La metafora Nautica e la "Traditio" del Novecento, Scaffale Aperto 3/2012

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Scaffale Aperto Rivista di Italianistica anno 3/2012 ARACNE

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anno 3/2012

ARACNE

Scaffale ApertoRivista di Italianistica

anno 3/2012

Università degli Studi “Roma Tre”Dipartimento di Italianistica

Scaffale ApertoRivista di Italianisticaanno 3/2012

Direttore responsabile Claudio Giovanardi

RedazioneGiuseppe CrimiIlde Consales Maurizio FiorillaAndrea VivianiPaolo Rigo

Comitato scientificoMarco ArianiSimona CostaPaolo D’AchilleRoberto SalsanoLuca Marcozzi

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I edizione: dicembre 2012

ISBN 978-88-548-5748-3ISSN 2038-7164-03

Indice

Saggi

9 Aretino a Roma. Proposte nuove e semi-nuove per la toponomastica e l’ono-mastica della ‘Cortigiana’ (I e II redazione)Giuseppe Crimi

39 Echi danteschi nella scrittura poetica di Pietro BemboVincenza Accardi

53 «Contribuir potranno allo studio dell’uomo in genere». La funzione conoscitiva della fantasia e della poesia nell’Alfieri autobiografico Annarita Placella

79 La metafora nautica e la “traditio” nel NovecentoPaolo Rigo

Note e discussioni

101 Poetiche di romanzo: la dissoluzione del genere nell’esperienza di PirandelloFrancesco Lioce

113 Retroscena delle iniziative petrarchesche della Reale Accademia d’Italia (1940–1941)

Alberto Raffaelli

127 Un romagnolo a Roma. Usi e funzioni del dialetto romanesco nel cinema di Federico Fellini

Francesca Tomassini

indice

147 Per un teatro necessario. La prima drammaturgia di Dacia Maraini Claudia Messina

Recensioni

175 Scrittura civile. Studi sull’opera di Dacia Maraini, a cura di J. C. de Miguel y Canuto, Roma, Perrone, 2010 (Claudia Messina)

183 Riassunti – Abstracts

191 Profili degli Autori

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La metafora nautica e la “traditio” del Novecento

Paolo Rigo

La metafora nautica e più in generale il campo metaforico in cui il termi-ne di confronto, o di referenza, il vehicle1 è il mondo equoreo, ha un’at-testazione antichissima in poesia e più in generale in ogni tipo di testo.2 Hans Blumenberg, in Naufragio con spettatore, notava che «il mare è sempre stato sospetto alla Kulturkritik»,3 divenendo una struttura attiva, sempre capace di produrre uno scarto diverso e mai diretta verso la cristallizza-zione del concetto portante, cioè l’instabilità dell’esistenza. Nel suo studio Blumenberg attestava l’uso particolare di tale metafora — ma portatrice di concetti mutati — vivo da Lucrezio fino a filosofi ottocenteschi come Burckhardt, Nietzsche, o a poeti del calibro di Hopkins.4

È possibile ipotizzare un uso metaforico equoreo che abbia interessato poeti di generazioni e “scuole” diverse nel Novecento italiano? E tale at-testazione in quale modo si potrebbe porre rispetto alla traditio? È suppo-nibile una traditio metaforica nella complessa e vastissima produzione let-teraria italiana? Probabilmente sì. Nel 1948 Curtius a proposito della me-

1 Il termine viene introdotto da I.A. Richards nel 1936 nel suo studio The Philosophy of Rhe-toric, in italiano pubblicato nel 1967 (I.A. Richards, La filosofia della retorica, a cura di B. Placido, Milano, Feltrinelli). Si consideri che la bibliografia sulla metafora è sterminata: sebbene il presen-te contributo abbia come obiettivo la registrazione di un particolare campo metaforico, non si è considerato opportuno presentare un’indubbia bibliografia complessa, bensì si registrano alcuni fondamentali e preziosi contributi della disciplina: cfr. H. Blumenberg, Per una leggibilità del mondo, il libro come metafora della natura, Bologna, Il Mulino, 1981; cfr. H. Blumenberg, Paradigmi per una metaforologia, Bologna, Il Mulino 1960; P. Ricouer, La metafora viva, Milano, Jaca Book, 1971; U. Eco, La metafora nel medioevo latino, «Quaderno di Doctor Virtualis», 3, 2004, pp. 35-75.

2 Si potrebbe considerare, sebbene questa non sia la sede giusta, la presenza di una lettura allegorica nel viaggio per il mare fin dalle origini della letteratura mondiale, ad esempio nella stes-sa odissea, al contempo l’elemento marino è considerato origine di vita, morte, ed incarna molte-plici significati nella propria natura: «In molti miti della creazione del mondo sorgenti o oceani rap-presentano l’origine della vita ma sono anche associati ad elementi di dissoluzioni, si pensi ai cicli del diluvio universale. Nella cultura occidentale l’acqua viene legata tramite il movimento del sole al mondo dell’aldilà», Enciclopedia dei simboli, a cura di H. Biedermann, Milano, Garzanti, 1991, p. 6.

3 H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, paradigmi per una metafora dell’esistenza, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 28.

4 Cfr. G.M. Hopkins, Il naufragio del Deutschland, a cura di N. Cagnone, Milano, Coliseum, 1988.

Scaffale ApertoISBN 978-88-548-5748-3DOI 10.4399/97888548574834pp. 79-97 (dicembre 2012)

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tafora della navigatio affermava che «le metafore relative alla navigazione originariamente appartengono alla poesia»,5 e notando uno spostamento di campo retorico–stilistico6 riconosce la sopravvivenza dell’immagine e la sua trasposizione nel Convivio e nella Commedia di Dante, la famosa «navi-cella», «piccoletta barca», o il «legno», corrispettivi metaforici dell’ingegno poetico del poeta, che hanno sviluppato pagine interessantissime7 e proba-bilmente anche nuovi usi poetici. Dipendente o meno da Dante, lo stesso Petrarca8 nella canzone 206 dei Rvf si paragona alla piccola imbarcazione:

Ma s’io nol dissi, chi sí dolce apria meo cor a speme ne l’età novella, regg ‘anchor questa stanca navicella col governo di sua pietà natia, né diventi altra, ma pur qual solia quando piú non potei, che me stesso perdei (né piú perder devrei)9

Si può notare l’avvenuto mutamento di registro dalle primissime rappre-sentazioni realistiche, e quasi tecniche, dal capostipite della letteratura ita-liana Giacomo da Lentini in Madonna dir vo voglio. L’uso di tale metafora è

5 E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, a cura R. Antonelli, Firenze, La nuova Italia, 1992, p. 148.

6 La metafora sembra essere passata tra le pagine della retorica e della filosofia. È un parti-colare interessante perché anche Blumenberg, senza volere, e partendo da obiettivi e da un’analisi completamente differente, attesta il cambiamento d’uso: «orazio ha introdotto la “nave dello sta-to” nella retorica della politica», Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., p. 34.

7 Per una prima analisi della questione e per l’esauriente bibliografia citata, cfr. S. Finazzi, La «navicella» dell’ingegno: genesi di un’immagine dantesca, «Rivista di studi danteschi», 10 (2010), pp. 106–26.

8 Sul rapporto Dante–Petrarca «L’arco della parobola, scandito da una temporalità interna forte ed esplicitamente marcata, partirà dal “giovanile errore” per arrivare al “senio” ed alle soglie della morte reale dell’autore, in una fusione straordinaria fra dato letterario–antropologico ed evento biografico. Ma non era questa già la soluzione consegnata alla Commedia?», R. Antonelli, ‘Rerum Vulgarium Fragmenta’ di Francesco Petrarca, in Letteratura Italiana, dir. da A. Asor Rosa, Le opere, vol. I. Dalle origini al Quattrocento, Torino, Einaudi, 1992, p. 442. Inoltre cfr. P. Trovato, Dante in Petrarca. Per un inventario dei dantismi nei ‘Rerum vulgarium fragmenta’, Firenze, olschki, 1979; G. orelli, Dantismi del ‘Canzoniere’, in Id., Accertamenti Verbali, Milano, Bompiani, 1978, pp. 67–81; G. Velli, Il Dante di Francesco Petrarca, «Studi petrarcheschi», 2, 1985, pp. 185–99.

9 vv. 37–44. La metafora equorea è spesso presente in Petrarca, in particolar modo è piutto-sto utilizzata l’analogia della navigatio pericolosa–vita del poeta e porto–morte: Rvf 14, 5–8; 28, 7–9; 80, in cui la metafora è ripetuta spesso; 119, 13–4. Una vera e propria esaltazione della metafora è nel sonetto 365 e nel Secretum.

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ben attestato in tutta la scuola siciliana, e direi anche in tutto il Duecento:10 ciò comporta tensioni e significati differenti, come accade ad esempio in Jacopone da Todi, dove il mare «di fronte al dramma della morte di Cri-sto, è esplicitamente il mare della vita, il mondo terreno segnato dall’im-perfezione e dal caos».11 Tutti questi usi sono senz’altro originali, nuovi, nonostante gli elementi che compongono la resa linguistica siano sempre i medesimi: dunque, come afferma Jean Cohen, «la figura d’invenzione non è dunque originale nella sua forma, ma soltanto entro i termini nuovi nei quali il genio del poeta ha saputo incarnarli»;12 si dovrà indagare pertanto in quali termini nuovi il Novecento si è posto rispetto a questo uso. Si esamineranno qui le mutazioni presenti in alcuni campi quali il naufragio e la nave, e si cercherà di attestare l’uso nuovo, a volte anche con intenti parodici, di questo campo metaforico in alcune voci poetiche dell’ultimo secolo.

1. Il dolce naufragio del Novecento

Il topos metaforico del naufragio ha origine antiche,13 e probabilmente si perde nella notte dei tempi. Senz’altro, per il passato, il naufragio è il risultato di una forte connotazione negativa nel viaggio per mare, in cui il pericolo dell’avventura, il non conosciuto, devono aver scatenato un forte scenario disastroso nei poeti. A questo carattere negativo è legato anche un aspetto positivo, come ha notato Blumenberg: nel viaggio per mare, e nel naufragio in particolare, «si rivela il possesso di sé che si può raggiungere nel processo dell’autoscoperta e dell’autoappropriazione».14 Sebbene il processo individuato da Blumenberg si riferisca alla disciplina fi-losofica nello specifico e si risolve nell’interessante invenzione retorica del

10 Si pensi alla metafora del «legno» nella canzone Ora parrà s’eo saverò cantare di Guittone d’Arezzo.

11 A. Boccia, La metafora nautica nella poesia duecentesca e nel primo Dante, «Bolletino di Italia-nistica», 5 (2008), 2, pp. 7–23.

12 J. Cohen, Struttura del linguaggio poetico, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 69.13 Per una conoscenza del topos del naufragio nella letteratura cfr. Naufragi. Atti del Conve-

gno di Studi sul naufragio in letteratura (Cagliari, 8–10 aprile 1992), a cura di L. S. Nowé, M. Virdis, Roma, Bulzoni, 1993; Naufragi, Storia di un’avventurosa metafora, a cura di M. Di Maio, Verona, Guerini, 1994.

14 Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., p. 35.

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legno preesistente al naufragio,15 l’appropriazione di una nuova coscienza è riscontrabile anche in poesia: per i tempi più lontani a noi, e sempre non andando oltre la dimensione italiana del fenomeno, si rammentino i versi citati di Jacopone da Todi, dove il naufragio si connaturava come un accrescimento mistico, una conoscenza improvvisa per il poeta, oppure si pensi alle due meravigliose ottave dell’Orlando furioso, dove il naufragio di Ruggiero potrebbe, in senso allegorico, anticipare non solo lo svolgimento dell’intreccio dell’opera16 ma anche la successiva azione cioè la conversio-ne.17

Tali e tante le forze in gioco, e i possibili intrecci, tra le varie opere e tradizioni, che sembra quasi impossibile districarne la matassa. Prima di andare oltre, è interessante notare come il naufragio torni come figu-ra retorica in due poeti molto vicini per stile e convinzioni religiose nel Novecento: Giuseppe Ungaretti e Mario Luzi, i “naufragi” dei due autori verranno, però, considerati con un significato differente. Così in Ungaretti:

E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare.18

Il naufragio svolge un ruolo importantissimo nella produzione di Ungaret-ti che intitola la seconda edizione dell’esordio poetico Allegria di naufragi.19

15 Ivi, pp. 105–11. 16 «Né dovrà sfuggire che le ottave 48–49, brevissimo stream of consciousness del nuotatore in

pericolo di vita, condensano in sedici versi quasi il senso dell’intero libro»: C. Bologna, Orlando Fu-rioso di Ludovico Ariosto, in Letteratura Italiana, dir. da A. Asor Rosa, Le opere, vol. II. Dal Cinquecento al Settecento, cit., p. 256.

17 L. Ariosto, Orlando Furioso, XLI 48, 7–8: «e fece voto di core e di fede / d’esser cristian, se ponea in terra il piede».

18 Allegria di Naufragi, in G. Ungaretti, Porto sepolto (1919), in Id., Vita d’un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 19962, p. 61. Si pensi anche all’importantissima Il porto sepolto: «Vi arriva il poeta / e poi torna alla luce con i suoi canti / e li disperde // Di questa poesia / mi resta / quel nulla / d’inesauribile segreto», ivi, p. 23.

19 Per una primissima introduzione alle questioni genetiche ed evolutive delle raccolte di Ungaretti: cfr. G. Luti, Invito alle lettura di Ungaretti, Milano, Mursia, 1974; C. ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia, 1982; G. Ungaretti–G. De Robertis, Carteggio 1931–1962, a cura di D. De Robertis, Milano, Mursia, 1984.

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Molto si è scritto del valore ossimorico dell’espressione, mentre non si è forse riflettuto abbastanza sul valore evolutivo del titolo. Ungaretti, infatti, è passato da un primissimo Porto sepolto, fino all’Allegria del 1931. Qual è il senso generale che raccoglie il titolo e che dovrebbe invitare la lettura? Su quale “allegria” si interroga Ungaretti? Quale luogo retorico lo interessa? Prima del poeta del Novecento, un antecedente illustre aveva utilizzato un ossimoro di pari forza, cioè Leopardi nel verso conclusivo dell’Infinito.20 L’approdo finale, la condizione del naufragio leopardiano nell’Infinito alle-goricamente è da intendersi con l’arrivo ad una condizione di conoscenza — finalmente — felice e soddisfacente, una vera e propria dulcendo naufra-gii, che come ha notato Piero Boitani è comprensiva della propria «picco-lissima veglia dei sensi».21 Tale condizione è riscontrabile anche nei versi di Ungaretti, ma è il mutamento di obiettivo a creare la trasformazione metaforica e il restringimento di campo: infatti, se per Leopardi l’indagine è di tipo cosmologica, Ungaretti si accontenta di giungere all’appropria-zione della traditio letteraria.22

Un movimento di appropriazione del dettato poetico tradizionale espresso attraverso la metafora del naufragio è presente anche in Giovanni Pascoli e precisamente nella poesia Cuore e cielo:

come nel cielo, oceano profondo,dove ascedendo il pensier nostro annega,tramonta un’Alfa, e pullula dal fondo cupo un’omega.23

Il movimento di appropriazione–conoscenza circolare, esplicitato tramite

20 L’infinito, in G. Leopardi, Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboli, Torino, Einaudi, 1993, p. 105–6.

21 P. Boitani, L’ombra di Ulisse. Figure di un mito, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 137. oltre a Boitani per il rapporto tra naufragio e condizione del poeta nell’Infinito di Leopardi, cfr. P. Bigon-giari, Leopardi e l’ermetismo, in Leopardi e il Novecento. Atti del III convegno internazionale di studi leopardiani (Recanati, 2–5 ottobre 1972), Firenze, olschki, 1974, pp. 149–67, a pp. 158–9.

22 Della stessa idea è C. Bologna, Tradizione e fortuna dei classici italiani, vol. II, Torino, Einaudi, 1993, p. 621, il quale, però, considera tale arricchimento come non avvenuto, inespresso, «una deriva che è sprofondamento nel mare dell’origine non più riconquistabile», ma se fosse così che senso avrebbe la soddisfazione derivata dallo stato d’allegria? Sebbene il discorso di Bologna si interessi della prospettiva di ricomposizione della tradizione, essa non sarà da considerare a poste-riori? Dopo, cioè, un’appropriazione?

23 G. Pascoli, Cuore e cielo, vv. 5–8, da Myricae (1891), in Id., Poesie, con un saggio di G. Con-tini, a cura di A. Vicinelli, vol. I, Milano, Mondadori, 1997, p. 38.

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l’utilizzo di «Alfa» e «omega», lascia individuare nella coscienza letteraria di Pascoli una tensione verso l’assorbimento delle tradizioni passate. Co-me fa notare la voce autorevole di Contini, la poetica del Fanciullino inten-de il “nuovo” come un obiettivo che «si trova, non si fa, si scopre, non si inventa».24 Il naufragio pascoliano, inoltre, muove la sua forza poetica nel campo di una dicotomia che include come entità la salita, l’«ascedendo» e la discesa, o meglio, la caduta, l’«annegare». È una caduta all’insù possibile nella metaforica del naufragio.25

Appena un anno prima dell’uscita del Porto Sepolto, Corrado Govoni, in aperta concordanza con il futurismo marinettiano stampava Rarefazioni, parole in libertà, il cui testo–emblema era Il palombaro. oltre la fusione tra l’immagine e il verso, vera e propria innovazione del tempo, non si può non considerare il significato del protagonista della poesia: il “palombaro” è, in marina, l’addetto al recupero degli oggetti persi e di valore, l’addetto al recupero dell’àncora e dei resti del naufragio. E se il Futurismo secondo la felice definizione di Marinetti si proponeva di rifiutare ogni «passatismo»,26 allora il palombaro non è il miglior figurante del recupero di qualcosa che è andato perduto? Paradossalmente l’innovazione è nell’elevazione di ciò che rifiutavano i futuristi.

La persistenza della topica del naufragio è presente anche nel poeta (che si può indicare come) progenitore del movimento, Gabriele D’Annunzio:

Tutte l’acque rombarono crosciaronosu me sommerso, tolseroogni terrestrità dal corpo immemoredalla sua dura nascita.E mi risollevai dio verso l’eteresanto; spirai grande alitoche una nave d’eroi sospinse. Io auspiceapparvi agli Argonauti.27

Di immediata evidenza, in questa lirica, il compimento ultimo della situa-zione, il raggiungimento della classicità, motivo del poeta cui la critica si è

24 G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, Milano, Mondadori, 1974, p. 233.25 Su questo aspetto, ma senza considerare Pascoli, M.I. Vincentini, Varianti da un naufragio,

Milano, Mursia, 1994, pp. 115–6. 26 Il termine compare per la prima volta nel manifesto Contro Venezia passatista del 27 aprile

1910 firmato da Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo.27 G. D’Annunzio, Ditirambo II, vv. 138–45 in Alcyone (1903), Milano, Mondadori, 2010.

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recentemente interessata.28

La condizione di disperazione, di distruzione e di smarrimento tipica del naufrago prima della rivelazione o risalita è riscontrabile anche con un significato differente da quelle appena esposte, ma con un linguaggio simile. È il caso emblematico di Luzi e Betocchi:

A fondosempre più a fondodove scendono gli squaliper dominio e preda, sì, e dove, mortal’agonia, muoiono e si depongono i naufragie subito salireancora al celestiale incontro.29

Se a livello metrico è indubbia in questa lirica l’influenza di Mallarmé e del suo celebre Colpo di dadi,30 dal punto di vista tematico il naufragio riveste il ruolo di attraversamento, in una sorta di «esperienza iniziale»,31 una pars destruens necessaria per poter risalire dagli abissi fino al contatto celeste. L’esperienza del contatto divino è qui riferibile ad una tradizione religiosa che prende le mosse dal paradigma dei naufragi dell’apostolo Paolo,32 e

28 Cfr. G. Leonelli, Pascoli e D’Annunzio, in Id., Il Lettore di se stesso, Torino, Aragno, 2004, pp. 299–315. E come nota Marinella Cantelmo: «mentre D’Annunzio esaltava il mito – e sublimava il suo io poetico attraverso i miti – Pascoli intanto, non lo si dimentichi, provvedeva al suo declas-samento», M. Cantelmo, Frantumazione e resistenza del mito nel Novecento, in Il mito nella letteratura italiana, dir. da P. Gibellini, 5 voll., Brescia, Morcelliana, 2003, vol. IV, p. 21; con le parole di Solmi bisogna considerare il rapporto con la classicità come non finito, una «funzione della mitologia in Alcyone che non è soltanto quella del consueto dizionario di immagini del classicismo [...]. Ben altra cosa sono i miti di Alcyone: essi si sviluppano dal corpo stesso dell’emozione fisica come figure spontanee e necesarie di essa»: S. Solmi, L’Alcyone e noi, in Id., Scrittori negli anni, Milano, Garzanti, 1976, pp. 177–8.

29 Mare sempre presente, vv. 18–33, in M. Luzi, Frasi e incisi di un canto salutare (1992), in Id., Tutte le poesie, 2 voll., Milano, Garzanti, 2007, vol. II, p. 851.

30 Sebbene non relazioni il poeta francese con Luzi, ma sarà la bibliografia del medesimo a svelare, senza alcuna sorpresa, la conoscenza diretta di Mallarmé, è interessante, per i rapporti e le influenze del Simbolismo francese in Europa, il saggio S. Sinisi, Miti e figure nell’immaginario simbolista: arte, teatro, musica, danza, Genova, Costa & Nolan, 1992.

31 Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., p. 32.32 La disperazione e la ricerca di un approdo richiamano alla mente il naufragio paolino di

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non è del resto nuovo in ambito cristiano l’utilizzo di metafore equoree come figurazione del lungo e impervio cammino del fedele verso la salva-zione: Agostino afferma ad esempio che «la vita in questo mondo è come un mare in tempesta attraverso il quale dobbiamo guidare la nostra nave fino al porto».33 La natura negativa e le insicurezze del viaggio per mare in epoca antica, testimoniate dalla letteratura classica e da prendere alla lettera, hanno generato in seguito la nascita del tropo. In questo ambito il naufragio è il significante della parte negativa del cammino di fede, il peccato, lo smarrimento del cristiano. Proprio tale condizione è ricavabile da un’altra poesia di Luzi:

In quel sogno di naufragiotroppo spesso ricorrente, che lui perdadi forza e di sapienzae dimentichi a rottae il punto e nemmeno più lo cerchiil suo tutto smarrito orientamento.Bravo! così siamo alla ciecain un nembo, così nessuno al mondo ne sa nientedi noi, del nostro viaggio – grida,o le sembra, in quella desolata batticinadell’alba prima del risveglio.34

Probabilmente a giocare il ruolo di archetipo in questo naufragio della fede è il profeta Giona, di cui si ricordi l’incipit del secondo libro:

Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del maree le correnti mi hanno circondato;Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,l’abisso mi ha avvolto.35

Lo smarrimento e la devastazione prima del ricongiungimento, in parte

At, 27–28,4.33 Agostino, Discorso LXIII (cit. in Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., p. 45).34 M. Luzi, In salvo? – Lui solo può saperlo, da Per il battesimo dei nostri frammenti, (1985), in Id.,

Tutte le poesie, cit., p. 521.35 Gion, 2, 1–5.

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come già accadeva in Jacopone da Todi, sono rappresentate dunque da un naufragio che a sua volta accende la speranza di salvezza in Dio. Una situazione simile è presente anche in Betocchi, amico e confidente di Luzi:

Così crudamente sento di me se piùm’abbandono; ma non mi basta.E allora afferro a salvarmi la zatteradel conoscere il male, la sventura36

L’ultima apparizione di questa vivissima significazione del naufragio della fede è in alcune recenti poesie di Alda Merini,37 il cui percorso di fede è differente dai due poeti precedenti. Le sue poesie sembrano tese verso la necessità di esprimere l’accensione totalizzante dell’immersione in Cristo, una sicurezza opposta al delirio del mondo di fuori. Al contrario, quasi mezzo secolo prima le poesie degli Ossi di Seppia esprimevano quel senso di sfiducia e di smarrimento delle certezze del mondo moderno tramite il «naufragio, ovvero il disperdersi delle certezze»,38 dimensione ossimori-ca che «tutto avvolge e neutralizza»:39 questo movimento totalizzante di dispersione sembra ormai non riferirsi più solamente al mondo marino ma, sterzando il campo metaforico come in un’operazione ingegneristica di asciugamento delle acque, trova la sua dimensione ultima spingendosi verso la terra, verso la città, come avviene in Arsenio:

Discendi all’orizzonte che sovrastauna tromba di piombo, alta sui gorghi, più d’essi vagabonda: salso nembovorticante, soffiato dal ribelleelemento alle nubi: fa che il passosulla ghiaia ti scriccchioli e t’inciampiil viluppo dell’alghe.40

36 C. Betocchi, Fluttua la vita in me come fa il torlo, vv. 8–11, da Prime e ultimissime (1974) in Id., Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1996, p. 377.

37 «Che da una riva all’altra/ di disperazione e passione / ci fosse un uomo chiamato Gesù», Io che sono vicina alla morte, vv. 7–9; oppure «è sempre salsedine di quel mare / pieno di coralli, di pesci, / forse di morti e di infiniti sottomarini», In ogni parte, vv. 18–20, in A. Merini, Mistica d’amo-re, Torino, Frassinelli, 2008.

38 E. Ajello, Naufragio di fronte alle cinque terre, in Naufragi: storia di un’avventurosa metafora, a cura di M. Di Maio, cit. p. 304.

39 Ibid.40 E. Montale, Arsenio, vv. 14–20, da Ossi di seppia (1925), in Id., Tutte le poesie, Milano, Mon-

dadori, 2007, p. 83.

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2. La barca, l’allontanamento, la solitudine

La barca mezzo espressivo del viaggio rappresenta il mezzo di esplorazio-ne dell’oscuro e dell’appropriazione di una conoscenza poetica. L’appro-priazione, l’assorbimento e l’uso di un nuovo sistema metaforico atto ad esprimere la presa di coscienza della traditio precedente hanno subito un processo dinamico sotto il profilo stilistico, attraverso cui si è giunti alla pervasività della metafora del naufragio. Gli stessi poeti del Novecento hanno conferito un valore semantico diverso anche al viaggio per nave. Se si pensa al sonetto dantesco del «vasel», del vascello non metaforizzato ma dono immaginifico da parte di un incantatore41 che trasporta gli amici Guido, Dante e Lippo,42 vi si leggerà un’idea complessiva di allontanamen-to e separatezza dalle realtà umane. Nel sonetto è presente anche l’idea del pericolo del viaggio per mare, sottolineata dal quinto verso («sì che fortuna od altro tempo rio») e tramite, anche in questa situazione psicologica e re-ale assieme, della nascita del desiderio poetico. Lo stesso desiderio poetico è presente nel componimento Alla vita di Mario Luzi:

Amici dalla barca si vede il mondo e in lui una verità che precede intrepida, un sospiro profondo dalle foci alle sorgenti; la Madonna dagli occhi trasparenti scende adagio incontro ai morenti, raccoglie il cumulo della vita, i dolori le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.43

I due componimenti condividono l’idea di un elitario isolamento dal mondo,44 ma è presente un’inversione di significato e di scopi: l’obiettivo

41 In questa sede si risparmia l’analisi della traditio del testo, però il «vasel» fa riferimento alla barca donata da Merlino ad Aglentine, citata nel poemetto ducentesco Mare Amoroso, vv. 212–6: «E se potesse avere una barchetta / tal com’fu quella che donò Merlino / a la valente donna d’Avolo-na, / ch’andassi sanza remi e sanza vela / altressì ben terra com’ per acqua».

42 D. Alighieri, Guido, i’ vorrei che tu e Lippo e io (il testo da Poesie dello Stilnovo, a cura di M. Berisso, Milano, Rizzoli, 2006, p. 183).

43 M. Luzi, Alla vita, vv. 12–9, da La Barca (1935) in Id., Tutte le poesie, cit., p. 31.44 E sulle intertestualità e presenze di influssi del primo sull’altro cfr. L. Gattamorta, Luzi e

Dante: figure e trame di una intertestualità, «Strumenti Critici», n. 2, 2000, pp. 193–217; cfr. Id., Stilno-

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di Dante è di elevare non solo l’amicizia desumibile dal senso letterario del testo, ma anche, ad una lettura più profonda, il valore della nuova poesia rispetto alla vecchia. È un sonetto emblema di un programma poetico, è una barca che vola verso le altezze della lirica. La barca di Luzi, invece, è profondamente ancorata al motivo della distanza dalla realtà contempora-nea, non da un programma poetico ma dal mondo stesso. Il testo di Luzi è considerato il manifesto stesso del movimento ermetico. Siamo qui di fronte al primo Luzi, il poeta che ancora non aveva “aderito alla realtà”45 ma la metafora del distacco sociale rimarrà viva negli anni nella sua poe-sia.46

oltre al caso emblematico di Luzi, diversi poeti della corrente stilistica definita ermetica hanno idealizzato il concetto di allontanamento del mon-do proprio tramite la metafora nautica. In Alfonso Gatto il mare diviene vera e propria porta di separazione, momento di distacco, motivo che crea la scissione nel poeta trasformandolo nell’Uomo di mare,47 come avviene ai versi 5–6 del componimento che ha proprio quel titolo: «non ha paura di nessuno. / Cammina da bravo, solo: respira e odora».

Il concetto di mare come elemento divisore non è riscontrabile solo in Gatto, ma anche in una poesia quale Imbarcadero di Giovanni Raboni:

Vi ho ritrovati, vi ravvisosotto ombrelli e cappucci, è il vostro corpo

vismo e dantismo di Luzi da “La barca” a “Quaderno gotico”, «L’Alighieri», n. 19, 2002, pp. 25–51; cfr. E. Raimondi, Dante e il Reale della Metafora, in Id., I sentieri del Lettore, a cura di A. Battistini, vol. I, Bologna, il Mulino, 1994; cfr. M.S. Titone, Dante nell’Opera di Luzi e Pasolini, Firenze, olschki, 2001; cfr. G. Raboni, Nelle poesie di Luzi la Commedia del ’900, «Corriere della Sera», 24 novembre 1998, p. 27. Il primissimo a parlare di un’intertestualità tra Dante e Luzi fu Giorgio Caproni che all’uscita di Nel Magma nel 1964 salutava la nuova opera dell’amico: «Luzi è riuscito per primo a donarci in queste pagine impegnate fino all’osso un anticipo di quella che potrebbe essere una “commedia” d’oggi, affrescando quasi una sua discesa nell’erebo del nostro essere qui e ora e così (ma sempre in rapporto con l’essere in assoluto e con la storia)», ora in G. Caproni, La scatola nera, Milano, Garzanti, 1996, p. 173. Inoltre si ricordino il volume dello stesso Luzi incentrato sulla riscoperta di Dante, L’inferno e il limbo, Firenze, Marzocco, 1949, e le diverse interviste, tra cui si segnalano quella di L. Gattamorta, Le vie del ritorno a Dante. Colloquio con Mario Luzi, «Resine», 80 (1999) pp. 121–35 e M.R. Mancuso, «Non posso stare senza Dante», Mariarosa Mancuso interroga Mario Luzi, «Sette», n. 38, 1999, p. 89–94.

45 «La realtà […] possiamo ritrovarla in segno e in simboli […] straordinariamente rafforzata nei contorni e nelle virtù dei significati»: Luzi, L’Inferno ed il limbo, cit., p. 18; cfr. Id., Dubbi sul reali-smo poetico, in Tutto in questione, Firenze, Vallecchi, 1965, pp. 34–52.

46 Si ricordi ad esempio la poesia: Approdo? Non c’è approdo c’è il viaggio appena, in Luzi, Tutte le poesie, cit., p. 523.

47 A. Gatto, Uomo di mare, in Id., Poesie 1929–1941, Milano, Garzanti, 1961, p. 12.

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stranamente visibileche ancora migra, si riuniscedi là, dopo la terra, a tanto caro sangue…48

Il viaggio per mare atteso dalle persone “al di qua” dell’arrivo del «traghet-to» sembra creare una mutazione: il distacco crea cambiamento, e come ha notato Zanzotto è «paradossalmente un ricomporsi un po’ più in là dei conglomerati o strati sconnessi, in una loro intima giustizia».49

Lasciando Raboni e tornando a Gatto, è necessario sottolineare l’im-portanza che svolge il mondo equoreo nella sua poetica e nei suoi testi, in cui è costante la presenza del tessuto metaforico d’origine marina. Si pensi, ad esempio, alla poesia Libertà dove la trasformazione del poeta da agens ad osservatore del cosmo si realizza tramite un’elevazione descritta utilizzando la terminologia d’area semantica marina: «sgorgare nell’aria», «sono confuso, impacciato al boccale di schiuma,», «s’affila in spinta una bandiera».50 Ramat pone giustamente l’attenzione sul fatto che sarà tra-mite il mezzo della navigazione, spesso utilizzando sineddoche come la «bandiera», l’«albero», che il poeta compie il suo itinerario di distacco e al-lontanamento, tra Isola ed Isola tramite «lampanti specificazioni di identità e “proprietà”: “mio pericolo”, “mio movimento”, “mi spazia”, “m’isola” a designare un istinto di conversazione il cui oggetto è ciò che il poeta chia-ma “universo–poesia”».51

Questo ipotetico distacco dal mondo, avvenuto sempre per via marina è presente anche in alcuni testi di Quasimodo, ad esempio ai vv. 12–5 di In una città lontana «l’urlo del distacco /d’una nave che apriva ali furiose / di schiume o di lacrime delle donne / dei porti»,52 oppure alla poesia Il traghetto, dove il trapasso, la morte è annunciata nel mezzo di trasporto.53

Anche se si può parlare di una vera e propria visione del viaggio, è la fuga poetica metaforizzata da Dino Campana nei Canti Orfici uno dei primissimi luoghi novecenteschi in cui il mare diviene davvero “motivo”

48 G. Raboni, Imbarcadero, vv. 12–7, da A tanto caro sangue, ora in Id., Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 2005, p. 190.

49 A. Zanzotto, Raboni. Sonetti di vita e di morte, «Corriere della Sera», 13 dicembre 1993.50 A. Gatto, Isola, vv. 7, 9–10, in Id., Poesie, cit., p. 14.51 S. Ramat, Introduzione: Un viaggio da isola a isola, in Gatto, Tutte le poesie, cit., p. X. 52 Il corsivo è di chi scrive. L’edizione di riferimento è S. Quasimodo, Tutte le poesie, Milano,

Mondadori, 1970, p. 187.53 «Dunque tu sei morta», v. 15, Il traghetto, ivi, p. 164.

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della poesia, dove si delinea – tramite interessantissime trame esotiche, fitte e inconcludenti però per lo stesso poeta – una continua ricerca di sé.54 Un lungo filo conduttore verso l’appropriazione della “misteriosa” voce, la poesia. Su un finissimo filo Esotico–Mare–Poesia, il cui inizio è da porsi in Viaggio a Montevideo, Campana è costretto a tornare su se stesso per appropriarsi della meta finale del viaggio:

Ritorno inesorabilmente a teriscossa dal tuo sognoacqua di mare amaroche esali nella notte:verso le eterne rotteil mio destino preparamare che batti come un cuore stancoviolentato dalla voglia atrocedi un essere insaziato che mi strugge.55

Desiderio di lontanza e fuga, parole espresse quasi con rabbia ma troppo silenziose ed assopite in un isolamento non solo poetico ma anche sociale, sono presenti anche nelle Poesie di Michelstaedter. Negli scritti del gorizia-no il mare sembra rappresentare il fine ultimo di un lungo viaggio:

Dato ho la vela al vento e in mezzo all’ondedel mar selvaggio, nella notte oscura,solo, in fragile nave ho abbandonatoil porto della sicurezza inerte.[...]mi parve dolce cosa naufragarenel seno ondoso che col ciel confina,né temuta ho la morte.56

54 «Una certa “circolarità” è dunque intimamente connessa con la visione del viaggio da parte di Campana: si pensi, ad esempio, a La Verna: da Marradi a Marradi oppure al vagabondare stesso del poeta lungo le strade del mondo: da Marradi all’universo; e dall’universo a Marradi»: A. Asor Rosa, I ‘Canti Orfici’ di Dino Campana, in Letteratura italiana, dir. da A. Asor Rosa, Le opere, vol. IV, Il Novecento, l’età della crisi, cit., p. 362. Inoltre cfr. M. Luzi, Campana al di qua e al di là dell’elegia, in Id., Vicissitudine e forma, Milano, Rizzoli, 1974, pp. 157–63; cfr. anche A. Abruzzese, Lo stile e il viaggio, in Id., Lo stile e il viaggio, Venezia, Marsilio, 1979; M. Del Serra, Il labirinto mediterraneo negli “Orfici”, in La Liguria per Dino Campana. Il viaggio, il mistero, il mare, la mediterraneità, «Resine», n. 58–9, 1993, pp. 61–6.

55 D. Campana, Per vichi fondi tra il palpito rosso, vv. 62–70, in Canti Orfici, a cura di F. Ceragio-li, Milano, Rizzoli, 2004, p. 131.

56 C. Michelstaedter, A senia, vv. 1–4, 16–18, in Id., Poesie, a cura di S. Campailla, Milano,

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Dove oltre alla memoria leopardiana, Michelstaedter realizza una vera e propria inversione del topos della navigatio tempestosa e del porto sicuro57 per il mare, figuralità del rifiuto della vita.

In questo cammino novecentesco non si può non sottolineare la pre-senza del distacco in Sbarbaro, il quale ipotizza una vera e propria fuga dal mondo. A svolgere un ruolo determinante è senz’altro la percezione della realtà in una fase fragile, insicura, incerta: «la nave che sbanda, al consueto porto».58 Anche in questo caso si potrà considerare un rapporto in itinere, non ancora del tutto risolto, con la tradizione. Scomposta, assorbita, mai completamente distrutta, essa è il mondo a cui guardare, e nel mondo vecchio della traditio è la voce mai sopita delle due grandi corone, Dante e Petrarca. A volte questa voce è attestata anche nel solo uso lessicale del termine «navicella», logicamente sempre con il senso di una navigazione per innalzamento delle proprie capacità poetiche o intellettive (con allu-sione naturalmente al poema dantesco), presente in Govoni («la mia fede è pura navicella»),59 Moretti («o una bella navicella»),60 e Ungaretti («o navicella accesa»).61

3. Ironia e nuovi mezzi

La fortuna nei secoli della metafora nautica ha generato nel Novecento anche forme ironiche e vere e proprie risposte parodiche alla necessità espressa da alcuni di appropriarsi della traditio in modo non innovativo ma ripetitivo. Del resto, come attesta Benjamin, l’innovazione del modo e del linguaggio è da ricercarsi proprio in rapporto a ciò che si è assorbito, cioè tramite un confronto con esso, e per ipotizzare un’evoluzione è necessario

Adelphi, 1987, p. 89.57 Come già ricordato alla n 9 il tema è spesso utilizzato da Petrarca. Nel secondo libro del

Secretum è poi spesso impiegata l’analogia vita–navigatio perigliosa, morte–porto sicuro.58 C. Sbarbaro, Lettera dall’osteria, v. 20, in Id., Rimanenze, Milano, Scheiwiller, 1955, p. 3.59 C. Govoni, Anime preganti, v. 1, da Armonia in grigio et in silenzio, in Id., Poesie, a cura di G.

Ravegnani, Milano, Mondadori, 1961, p. 132.60 M. Moretti, La giostra, v. 41, in Id., Poesie scritte col lapis (1910: si cita dall’ed. Bari, Palo-

mar, 2002, p. 84).61 G. Ungaretti, Sogno, v. 1, da Poesie disperse, in Id., Vita d’un uomo, cit., p. 392. Inoltre ma

con puro uso lessicale, anche in in P.P. Pasolini, Poema per un verso di Shakespeare, v. 385, da Bestem-mia. Tutte le poesie, a cura di G. Chiarcossi e W. Siti, vol. II, Milano, Garzanti, 1993, p. 732.

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uno scarto da esso. La parodia e le altre forme che si attuano guardando di-rettamente al genere hanno l’indubbio valore di sottolineare lo scarto che l’autore, e in riflesso la stessa cultura a lui contemporanea, hanno operato. Si legga L’ipotesi di Guido Gozzano:62

Viaggia viaggia viaggiaviaggia nel folle volo,vedevano già scintillarele stelle dell’altro polo...viaggia viaggia viaggiaviaggia per l’alto mare:si videro innanzi levareun’alta montagna selvaggia...Non era quel porto illusoriola California o il Perú,ma il monte del Purgatorioche trasse la nave all’in giú.E il mare sovra la portasi fu rinchiuso in eterno.E Ulisse piombò nell’Infernodove ci resta tuttora...

Il testo qui proposto è l’ultima strofa del componimento, che nella sua in-terezza altro non è – secondo il parere unanime degli studiosi – che una pa-rodia dei viaggi di Ulisse. Siamo qui di fronte alla presentazione del monte dantesco, e il sottilissimo gioco che Gozzano instaura con la tradizione precedente e i rimandi alla Comedia costituiscono una parte consistente del preziosissimo tessuto poetico del componimento.

Polemica, ironia, e gioco tra amici, in cui rivive non solo il rapporto con Dante, ma probabilmente anche un tessuto intimo, caratterizzano la poesia Epigramma di Montale:

62 G. Gozzano, L’ipotesi, vv. 139–54, da Poesie Sparse, in Id., Poesie, Milano, Mondadori, 2006, pp. 364–5. L’ironia verso il mito e le figure antiche è riscontrabile anche in una canzonetta di Savi-nio nel suo romanzo Hermaphrodito, il protagonista, in un suo viaggio da moderno Argonauta si esibisce in una canzonetta: «L’Argonauta se ne va / tralallèra tralallà / l’Argonauta se ne va / chi sa mai se tornerà!» in A. Savinio, Hermaphrodito, Torino, Einaudi, 1974, p. 222. Per quanto riguarda invece la figura di Ulisse, bisogna ricordare che, oltre al parodistico episodio di Gozzano, essa è pre-sente anche in alcuni poeti della corrente crepuscolare, sebbene in rari casi, come quello di Moretti in tarda età. Per un primo accenno cfr. A. Scarsella, Tra liberty e crepuscolarismo. La Signorina felicita e il virile Prometeo, in Il mito nella letteratura, cit., pp. 51–75.

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Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicoloricarte e ne trae navicelle che affida alla fanghigliamobile d’un rigagno; vedile andarsene fuori.63

Il testo è dedicato a Sbarbaro, il quale negli stessi anni spesso si serviva della metafora nautica per dare voce al suo impegno poetico. L’ironia di Montale è davvero sprezzante: la «navicella» è relegata a percorrere niente altro che la «fanghiglia / mobile d’un rigagno». Eppure la metafora equo-rea non è sconosciuta al poeta ligure, presente in alcune poesie, come ad esempio Riviere, in cui la voce più recente di D’Annunzio riecheggia mai completamente doma:

oh allora sballotaticome l’osso di seppia dalle ondatesvanire a poco a poco;diventareun albero rugoso od una pietralevigata dal mare; nei colorifondersi dei tramonti; sparir carneper spicciare sorgente ebbra di sole,dal sole divorata... Erano questi,riviere, i voti del fanciullo anticoche accanto ad una rosa balaustratalentamente moriva sorridendo.

Qui «il desiderio di svanire, fondersi, sparir e morire del fanciullo antico non può essere appagato. Invano il poeta cerca nel mare patria, identità, realizzazione».64 Al di là dell’interpretazione fornita per questo brano dalla Vincentini, credo sia opportuno far riferimento alle coincidenze tematiche e linguistiche con Maia di D’Annunzio, rispetto alla quale non avverrà il riscatto del vate, ma avrà luogo la costatazione dell’insufficienza dell’uo-mo: i tempi, in definitiva, sono mutati.

È logico allora supporre che l’ironia di Montale sia basata su un so-strato di conoscenze poetiche pregresse. Anche in Montale l’immaginario

63 E. Montale, Epigramma, vv. 1–2, da Ossi di seppia, in Id., Tutte le poesie, cit., p. 19.64 Vincentini, Varianti da un naufragio, cit., p. 134.

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marino è metafora di isolamento, deputata all’appropriazione o alla dispe-razione del poeta. D’altra parte, il rapporto con la tradizione è ammesso dallo stesso Montale e sintetizzato nell’idea di una nuova poesia che po-tesse gettare dei «ponti fra significati lontani e discordanti di parole [...] una poesia che tende ad alzarsi con la leggerezza del respiro e a ritrovare fortune d’architettura e di stille quella pàtina di distacco, quel serno acume dell’intelligenza che furono vanto della poesia dei classici».65

3.1. I nuovi mezzi

Quest’ultima sezione è dedicata alla presenza e alla fortuna recente dell’immaginario marino. Scorgendo i titoli di raccolte, di sezioni di rac-colte o di testi di poeti ancora non antologizzati ci si imbatte assai spesso in richiami al confronto tra il mare e l’autore, in ogni aspetto letterario e figurativo. Ad esempio si ricorderanno Il viaggio inaudito,66 L’oceano e il ragazzo di Conte,67 Maurizio Cucchi con Le meraviglie dell’acqua ed altri titoli.68 La presenza del campo equoreo è vasta anche in alcuni tra i cosid-detti “nuovi”. Né si può dimenticare un autore come Zanzotto, il quale ha creato, come da sue abitudini, un rapporto bidirezionale, da una parte guardando verso la tradizione, metrica e stilistica, e dall’altra operando considerazioni sul sostrato sociale in cui è immerso. Il risultato finale è un nuovo slittamento del campo metaforico, ad esempio in Nautica celeste,69 il cui titolo da un lato richiama alla memoria i passaggi tra i cieli aristotelici dell’intelletto dantesco e dall’altro riflette anche sulle innovazioni tecno-logiche come i viaggi lunari.70 Una siffatta trasformazione del linguaggio, nel segno di una lingua che sentendo prossima l’afonia si ribella e produce

65 E. Montale, Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976, p. 473.66 A. Ceni, Il viaggio inaudito, Riva del Garda, Tosadori, 1981.67 G. Conte, L’oceano e il ragazzo, Milano, Rizzoli, 1983.68 M. Cucchi, Le meraviglie dell’acqua, Milano, Mondadori, 1980. Ma si considerino spie di

questo rinnovato interesse, probabilmente mai domo, scorgendo il catalogo Einaudi, anche rac-colte recentissime: G. Frasca, Rive, Torino, Enaudi, 2001, le sezioni Le navi, Voci tempestate e Acqua rotta di M. Gualtieri, Senza polvere senza peso, ivi, id., 2006; F. Pusterla, Le terre emerse, ivi, id., 2012.

69 A. Zanzotto, IX Ecloghe (1962) in Id., Poesie e Prose scelte, a cura di S. Del Bianco–G. M. Villalta, Milano, Mondadori, 1999, p. 209.

70 Per un’analisi della poesia cfr. S. Agosti, L’esperienza del linguaggio di Andrea Zanzotto, in Zanzotto, Poesie e Prose scelte, cit., pp. III–LVI. Mi permetto inoltre di segnalare un mio precedente intervento: P. Rigo, Zanzotto: la ricerca tra il vecchio e il nuovo per una della forma lirica in Ecloghe, in Con Dolce curiosità, a cura di M. Chiavarone, Roma, Edizioni della sera, 2012, pp. 151–68.

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una nuova manifestazione di forza e nominazione, si manifesta ad esem-pio nel verso «a me tra placidi astri gli squillanti satelliti»,71 dove risuona semanticamente e foneticamente la calma delle acque del lago. La tensio-ne di Zanzotto verso una società oscura e distante dalla lingua poetica è, probabilmente, in tempi non sospetti, la forza generatrice della poesia.

Le risposte negli ultimi vent’anni sono molte e diverse: la forza dell’i-magery marina non si è andata spegnendo, si sono battute altre strade, ma sostanzialmente il sostrato è rimasto immutato, e la riacquisizione della tradizione ha fatto sì che la stessa tensione poetica delle origini sia ancora espressa tramite la metafora del naufragio. Si veda ad esempio questo bra-no di Giuseppe Conte:

Quei gridi non sanno le coronele asce di Re del nord sommersila sanguinaria incursioneche piansero le gru e le folaghe?

E mette per mare zattere il Ragazzo, vuole avere una vocee naufraga in una battagliadi trote e d’else di luce.72

L’autore spiega che alla base della ballata è «una leggenda celtica»,73 il cui soggetto è il recupero della voce e della musica da parte di un «ragazzo muto». Si è di fronte alla stessa afasia di Zanzotto, a una analoga tensione verso un mondo che metaforicamente ha perso la voce. E dove trovare la risposta a questa afasia se non nella tradizione? La differenza, la nuova risposta è lo spostamento dell’ipostrato, da una parte lo sguardo poetico si è posato sulle innovazioni culturali e sociali, dall’altro la tensione è andata mutandosi anche nel rispetto di tradizioni sconosciute alla nostra cultura nazionale, il mondo celtico in cui il mare è protagonista, quasi come se fosse uno spostamento dalla figura al mito, con addirittura l’evocazione di divinità così distanti da suonare quasi prive di senso, «Mannan / Mac Lir».74

71 A. Zanzotto, Per la finestra nuova, v. 8, in Id., Poesie e prose scelte, cit., p. 212.72 G. Conte, L’oceano e il ragazzo camminano, vv. 17–24, in Id., L’oceano e il ragazzo, cit., p. 124.73 Ibid., nota alla poesia. Mi domando se nella costruzione del verso non abbia giocato una

qualche influenza anche il verso «odimi, o Re di Tempeste!» di Maia di D’Annunzio.74 G. Conte, Fedeltà al mare, v. 64, in Id., L’oceano e il ragazzo, cit., p. 130.

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Nella poesia di Conte il mare diviene il «segno principale di questo paesag-gio e segno sopra tutti gli altri, garanzia e sigla di questa trasformazione, è, nella sua mobilità e nel suo segreto, l’immagine più ansiosamente cercata e amata».75 In Conte, pur con molte perplessità poetiche, una risposta è stata data: esiste cioè una fievole speranza di appropriazione globale del tessuto culturale celtico. In Cucchi, invece, «rimane il senso di una ricerca ma non si sa più di cosa. Rimane una perlustrazione meticolosa di impron-te o dei movimenti dell’acqua mossa da qualcosa che è sparito alla vista».76

Si navigava distratti, ignaridi questa prodigiosa vicinanza al centro;si canticchiava, bisbigliava l’oscurocorpo del mistero...77

È andata sparendo nella poesia degli ultimi decenni la dimensione di lontananza percepita ed espressa dagli ermetici. Il mare dei poeti recenti è divenuto un luogo di tranquillità, e la tensione presente fino a Luzi, e in modo indiretto, mediato dalla mitologia celtica in Conte, è sparita. in Cucchi la navigazione si è trasformata ed è diventata «distratta».

75 G. Ficara, Introduzione, in Conte, L’oceano e il ragazzo, cit., p. 15.76 A. Donati, Postfazione critica, in M. Cucchi, Tutte le poesie 1965–2000, Milano, Mondadori,

2001, p. 270. 77 M. Cucchi, Le meraviglie dell’acqua, vv. 137–40, in Id., Tutte le poesie, cit., p. 100.