Pier Paolo Pasolini poeta fotogrammatico: la luce tra stile e metafora

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di laurea in Lettere Curriculum Moderno PIER PAOLO PASOLINI “POETA FOTOGRAMMATICO”: LA LUCE TRA STILE E METAFORA Tesi di laurea in Letteratura Italiana Contemporanea Relatore Prof: Marco Antonio Bazzocchi Presentata da: Francesco della Noce Sessione seconda Anno accademico 2012-2013 1

Transcript of Pier Paolo Pasolini poeta fotogrammatico: la luce tra stile e metafora

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in

Lettere Curriculum Moderno

PIER PAOLO PASOLINI “POETA FOTOGRAMMATICO”:LA LUCE TRA STILE E METAFORA

Tesi di laurea in

Letteratura Italiana Contemporanea

Relatore Prof: Marco Antonio Bazzocchi

Presentata da: Francesco della Noce

Sessione seconda

Anno accademico 2012-2013

1

Indice

Introduzione: la variata immagine della luce p.5

Capitolo I: Poliedro di luce: specimina della luce ne Le ceneri di Gramsci,

La religione del mio Tempo, Poesia in forma di rosa. p.8

1.1 Luce atmosferica o di decoro ( A ) p.8

1.1.1 Tra cronachistico e universale p.8

1.1.2 Icasticità e retorica p.9

1.2 Luce Allegorica ( B ) p.11

1.3 Luce Simbolica ( C ) p.12

Capitolo II:La luce come elemento figurativo e poetico:

“Pasolini poeta fotogrammatico” p.14

2.1 Luce trait d'union tra codice figurativo e codice linguistico p.14

2.2 Contrasto e ossimoro p.24

Capitolo III: Le metafore della luce p.29

3.1 La luce tra cinema e poesia p.29

3.2 Pasolini e le polemiche degli anni '60 p.35

3.3 Sotto i riflettori del falso progresso p.39

3.4 La vis allegorica delle lucciole p.41

Capitolo IV: Luce mistica p.48

4.1 La luce del sole p.52

Conclusioni p.56

Apparato Iconografico p.59

Bibliografia p.68

Appendice p.71

2

A Nino e Ninì

Un sincero, profondo, reverenziale

ringraziamento a Maria Occhinegro,

senza il cui aiuto questo lavoro

non avrebbe visto la luce.

3

«Felice il tempo nel quale la volta stellata è la

mappa dei sentieri praticabili e da percorrere, che il

fulgore delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e

tuttavia familiare, ignota come l'avventura e insieme

certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari

tempo come la propria casa, perché il fuoco che arde

nell'anima partecipa dell'essenza delle stelle: come la

luce del fuoco, così' il mondo è nettamente separato

dall'io, epperò mai si fanno per sempre estranei l'uno

all'altro. Perché il fuoco è l'anima di ogni luce e nella

luce si avvolge ogni fuoco.»

György Lukács, Theorie des Romans

4

Introduzione

La variata immagine della luce

Pier Paolo Pasolini è stato soprattutto un poeta, della parola come dell'immagine; e

tra questi due mezzi espressivi sussiste una continua osmosi che dota la già

copiosissima produzione di una ricchezza aggiunta.

Oggetto della presente ricerca è indagare il ruolo che la luce riveste in una parte

della produzione pasoliniana, nello specifico quella poetica, biograficamente compresa

tra il suo arrivo a Roma e l'inizio della sua carriera cinematografica.

Le ceneri di Gramsci, La Religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa: opere

scelte per l'alto livello raggiunto dalla produzione poetica che precede l'approdo al

medium cinematografico, giro di boa della formazione intellettuale di un visionario

che nella luce ha individuato il punto di incontro fra dominio linguistico e figurativo,

tra livello estetico e spirituale, tra passione e ideologia.

Sembra che l'autore scriva con la luce sia le immagini cinematografiche che quelle

linguistico-poetiche, così che le altissime occorrenze dell'elemento luminoso nelle

opere, in particolare nelle poesie, sembrano essere il segnale di un'attenzione quasi

ossessiva.

È necessario avanzare una serie di ipotesi che verrà dimostrata nel corso di questo

lavoro, e che già più critici hanno sostenuto in relazione a singoli ambiti dell'opera

pasoliniana ( mi riferisco, in particolare, a Walter Siti1 e Vincenzo Cerami2), ovvero

l'ipotesi che esista un'equivalenza tra il piano figurativo-immaginario e quello

stilistico-espressivo nella produzione letteraria pasoliniana, e ciò è vero in particolar

modo per la poesia, e che sia la luce, pertanto, a far da spola tra l'immagine e la parola

(nella poesia) e tra la parola e l'immagine (nella sceneggiatura) nella tessitura delle

opere, letterarie e cinematografiche.

La luce è « uno degli elementi alla base della sua rappresentazione della realtà»3,

1 W. Siti, Il sole vero e il sole della pellicola, o sull'espressionismo in Pasolini in Rivista di letteratura italiana, VII, 1 , 1989

2 V.Cerami, La trascrizione dello sguardoin Pier Paolo Pasolini, Per il Cinema, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2003

3 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 12

5

quindi il punto di contatto tra codice figurativo e codice linguistico e, più

generalmente, tra immaginazione e realtà, tra appropriazione del reale e realtà stessa:

«soltanto la luce lascia trasparire per lo sguardo l'oggetto in quanto oggetto visibile, e lascia passare lo

sguardo, che vede, verso un oggetto da vedere. La luce è ciò che lascia passare. Il chiaro è la visibilità (il

visibile), estensibilità, apertura dell'aperto. Con ciò abbiamo determinato l'essenza vera e propria del chiaro: esso

consente alle cose di mostrarsi allo sguardo, di offrire una veduta la vedere, inteso nell'accezione ristretta del

percepire attraverso la vista.»4

E, poiché la realtà, per Pasolini, è oggetto di un amore sacrale, nell'universo

figurativo del poeta la luce arriva ad assumere anche una forte valenza allegorica e

simbolica rispetto al reale di cui il poeta si appropria (soprattutto ne Le Ceneri di

Gramsci) e condivide la medesima natura del sentimento del sacro e della passione ab

joi.

Un oggetto di ricerca così sottile non permette che venga esaurito nel presente

lavoro, tuttavia si è cercato di costituire un'intelaiatura capace di dare un'idea

dell'importanza di tale argomento all'interno della produzione pasoliniana e accogliere

la varietà della luce partendo dall'oggettività delle sue occorrenze.

4 Martin Heidegger, L'essenza della verità, Adelphi, Torino, 2004, p. 50

6

« No, non ero io che contavo, né il

mondo, ma soltanto l'accordo e il

silenzio che fra il mondo e me faceva

nascere l'amore.»

Albert Camus, Nozze

7

Capitolo I

Poliedro di luce: specimina della luce ne Le ceneri di Gramsci, La religione del

mio Tempo, Poesia in forma di rosa.

Davanti alle numerose occorrenze, si è voluto procedere, nell'intenzione di una

filologia del pensiero poetante, a una catalogazione tripartita del minerale poetico, tra

la figuratività, la dirompente critica dell'allegoria e la forza del simbolo. Si vuole qui

presentare una campionatura delle occorrenze più specifiche e pregnanti in cui la luce

è presente, più o meno direttamente, nelle poesie di queste raccolte. 5

1.1. Luce atmosferica o di decoro (A):

In molte poesie la luce contribuisce o a creare un'atmosfera che il poeta vuole

esprimere, o a esaltare figurativamente alcuni elementi pregnanti all'interno del

componimento. Quest'utilizzo della luce risponde a una visualità che rimanda

all'universo figurativo (manieristico e caravaggesco) che Pasolini, tramite le lezioni di

Longhi, ha fatto suo. L'estetica e l'alta figuratività delle poesie sono il fuori (modus

videndi) di un dentro che corrisponde a una certa maniera di vivere e stare nel mondo

(modus vivendi). L'uso qui indagato è quello atmosferico; la luce è finalizzata alla

creazione di un particolare atmosfera che il poeta vuole trasmettere per verba. Si tratta

di una prassi luminosa di superficie, non priva di figure retoriche (vedi infra). In

alcune occorrenze l'intensità della luce fa sì che essa funga da soglia verso un valore

allegorico o simbolico.

1.1.1 Tra cronachistico e universale

In buona parte delle occorrenze, in particolare ne Le Ceneri, il poeta getta il suo

sguardo su luoghi particolari, presentati con un massimo di definizione e avvolti da

5 Si è voluto procedere alla catalogazione delle diverse occorrenze separandole in tre grandi gruppi, che vengono indicati con una lettera (A, B, C) e numeri arabi progressivi. Per una migliore fruibilità del testo, si è preferito porli in Appendice.

8

una visione poetica che li trasfigura in luoghi universali, generali. Il volo del suo

sguardo lungo l'Appennino diventa ipotiposi della frenesia di una vita umile e

marginale, squisitamente popolare. (A1,A 2,A 4, A5,A 7 ) L'insistenza sui luoghi,

presentati attraverso la luce, si inscrive in una ricca tradizione cronachistica presente

all'interno della letteratura italiana. Un esempio per tutti, di uno dei suoi maggiori

esponenti, siano i versi 254-257 de La Ginestra di Giacomo Leopardi, che così

recitano:

«[...] Su l'arenoso dorso, a cui riluce/ Di Capri la marina/ E di Napoli il porto e

Mergellina.»6

Quest'insistenza sul luogo, che viene come illuminato dalla luce dello sguardo del

poeta, che indugia sui frammenti e particolari più poetici, dà al particolarissimo un

valore universale: come per Leopardi Napoli diviene culla di un'umanità che può e

deve unirsi per ergersi e far fronte alla precarietà della sua condizione, così in Pasolini

la toponomastica di una Roma periferica e la vivida descrizione del paesaggio italiano

trasfigurano la periferia in crogiolo di pura vita, di esistenza antropologicamente

differente, di meravigliosa ed eterna autenticità.

Appare qui la centralità della marginalità7, che Pasolini pone al centro delle sue

raccolte poetiche.

1.1.2 Icasticità e retorica

La figuratività del linguaggio poetico, il quale, come si vedrà più avanti, è strettamente

legato alla necessità di espressione (da cui l'espressionismo) di Pasolini e al codice

figurativo che aveva assimilato tramite Longhi, si realizza spesso attraverso ricche

figure retoriche quali l'ipallage8, la sinestesia9 , l'antitesi e l'ossimoro10 e la

personificazione11.

Questa ricchezza retorica deriva da un'attenzione verso la luce che funge da filtro

6 Giacomo Leopardi, La Ginestra in Tutte le opere in poesie, vol. I , a cura di Francesco Flora, ArnoldoMondadori Editore, Milano, 1953, p. 122

7 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007 p.1538 Cfr. A5,A26,A39,A47,A579 Cfr. A7,A9, A10, A11, A13,A17, A23,A24,A25,A42,A5110 Cfr. A6,A11,A46, A47, A6111 Cfr. A16, A58,A63,A65

9

percettivo che fa apparire il poetico nella concretezza del reale: è una particolare

atmosfera (fisica e psichica assieme) che apre a una percezione della realtà come sede

del poetico o del sacro: quest'attenzione si risolve nell'armonia della figura retorica, in

cui la luce è protagonista (come si diceva supra in riferimento al chiaro e alla

percezione).

10

1.2. Luce allegorica (B):

La luce ricorre spesso come elemento allegorico, soprattutto ne Le ceneri di Gramsci,

prima raccolta di respiro civile e nazionale. L'allegoria è una potenza di raffigurazione

differente dal simbolo, giacché se quest'ultimo combina l'eterno e l'istante, l'allegoria

svela la natura e la storia seguendo l'ordine del tempo: trasforma la natura in storia e la

storia in natura. I luoghi su campionati e descritti dal lampo dello sguardo poetico

dell'autore arrivano a caricarsi fino al parossismo e superano la soglia della superficie

figurativa per giungere a caricarsi di un valore metaforico critico e attuale, poiché

l'allegoria serve a dar forma all'individuale in modo tale che esso appaia una metafora

dell'universale: l'allegoria «trasforma il fenomeno in un concetto, il concetto in

un'immagine, ma in modo che il concetto nell'immagine sia da considerare sempre

circoscritto e completo nell'immagine e debba esser dato ed esprimersi attraverso di

essa»12

Il valore metaforico dell'allegoria lo ritroviamo in:

la luce come metafora del falso progresso13

la luce metafora dell'ideale e della Storia come possesso borghese14

la luce metafora dell'ideale della Resistenza e di un futuro di redenzione15

12 Wolfgang Goethe, Massime riflessioni a c. di S. Seidel, Roma, 1983, in Estetica, di Elio Franzini e Maddalena Mazzocut.-Mis, Bruno Mondadori, Milano, 2010, p. 208

13 Cfr. 1,3,4,5,6,714 Cfr. 8, 1115 Cfr. 10,14,15,17,18,20

11

1.3. Luce simbolica (C)

Per comprendere l'importanza del valore del simbolo all'interno della produzione

poetica pasoliniana è opportuno fare dei brevi accenni alla storia della riflessione este-

tica.

Anzitutto, il simbolo, o la messa in atto di una funzione simbolica, è insita nell'e-

spressione delle idee estetiche, nell'atto della creazione artistica e nel suo mondo

espressivo, attraverso una logica che non è riconducibile a forme conoscitive precosti-

tuite16.

Anche attraverso il simbolo è possibile cogliere l'universale nel particolare, di

esprimere l'infinito nel finito, ma a differenza dell'allegoria, proprio perché non è ri-

conducibile a forme conoscitive precostituite (il concetto), esso opera attraverso l'ana-

logia che mette in contatto le cose del mondo cogliendone le intime corrispondenze, e

assurgendo a un livello ideale.

Alla luce di quanto detto, possiamo rilevare che in numerose occorrenze, la luce

viene utilizzata come simbolo: è spesso in relazione a diversi elementi quali la purezza

e la passione, cui si affiancano la vita, la gioia e la creazione.

Questa visione della luce è vicina alla “passione ab joi” che Pasolini poneva alle

radici della sua produzione poetica e alla sua visione epico-religiosa del mondo, vicina

a una vera e propria ierofania dello spirito divino del mondo, che per Pasolini è un

principio arcaico, profondamente umano e del tutto immanente.

16 Elio Franzini e Maddalena Mazzocut.-Mis, Estetica, Bruno Mondadori, Milano, 2010, p. 204

12

«I campi sono più verdi quando si descrivono che nel

loro reale colore verde.»

F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine

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Capitolo II

La luce come elemento figurativo e poetico:

Pasolini “poeta fotogrammatico”

2.1 Luce trait d'union tra codice figurativo e codice linguistico

La sceneggiatura di Mamma Roma (1961) si apre con questa dedica: «a Roberto

Longhi cui sono debitore della mia “fulgurazione figurativa”»17. Longhi, celeberrimo

storico e critico dell'arte, rivestì per Pasolini un ruolo di fondamentale importanza nel-

la formazione umanistica e artistica tanto da influenzare irrevocabilmente il suo im-

maginario. Lo conobbe nella «piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro

la cattedra)» di via Zamboni durante il periodo di studi universitario. Pasolini, recen-

sendo, a distanza di molti anni, il volume Da Cimabue a Morandi, parla di Longhi

come di un'apparizione, che assume «i connotati archetipici dell'evento irripetibile»18

È, insomma, indubbio che Pasolini fu debitore nei confronti del suo maestro per

quanto riguarda l'amore che egli nutrì profondamente per la storia dell'arte, e in parti-

colare per i maestri fiorentini, Giotto, Piero della Francesca e Masaccio ma soprattutto

i manieristi Pontormo, Rosso Fiorentino e il Parmigianino e il geniale Caravaggio.

Quel che è importante rilevare è come questo appassionato amore di Pasolini per la

pittura abbia sotterraneamente lavorato fino a diventare per Pasolini un modus videndi.

Alberto Marchesini lo ha dimostrato molto bene nel suo opuscolo, facendo emergere

da un lato l'attrazione “sacrale” di Pasolini verso le opere pittoriche, e dall'altra il suo

modo, inedito e peculiare, di utilizzare la pittura nelle sue opere: egli, attraverso le

“fulgurazioni” di Longhi, arriva a possedere lo sguardo del pittore, non l'opera stessa,

fino a ricavare un modello di alta pregnanza visiva e simbolica.

Esemplare, a tale proposito, il poema Gli affreschi di Piero ad Arezzo (Fig. 9), in

17 Pier Paolo Pasolini, Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006 p. 24018 A. Marchesini, Longhi e Pasolini: tra “fulgurazione figurativa” e fuga dalla citazione p. 6

14

cui la visione, che compie una vera e propria écfrasis del «sacro muro»19 , ripercorren-

do, attraverso particolari e scorci, è mediata da uno sguardo di secondo grado, il «pio»

sguardo di un operaio, che si proietta interamente nell'opera. Tramite quest'operazio-

ne, l'io autoriale recupera quella verginità e quella purezza di sguardo capace di coglie-

re la divinità della visione, velata dalla sola «luce […] che si spande/ da un sole rac-

chiuso dove fu divino/ l'Uomo, su quell'umile ora dell'Ave», come all'arrivo di quel

«primo raggio di mero sole» che pare tingere il colore del mondo.20 lo sguardo diventa

omogeneo con l'azione della luce che dà la giusta forma e il giusto colore ad ogni cosa,

come insegna Longhi21.

Questa stessa operazione di uno sguardo mediato, era già presente anche nel poe-

metto Picasso, in cui attraverso lo sguardo di un borghese «chiaro nel chiaro vestito»22

l'autore mette a nudo l'Espressione «che si incolla alla cornea e al cuore,/ irrichiesta,

pura, cieca passione»23

Di ogni autore, poi, un aspetto viene privilegiato più di un un altro: dal Pontormo

prende i colori, reinterpretati nel tableau vivant de La Ricotta ( Pànfete, un'altra volta –

a stacco netto – la Deposizione del Pontormo a colori, coi colori che sfolgorano in pie-

no petto...)24 , i costumi da Piero della Francesca25, ma è da Masaccio che egli fa deri-

vare il maggior grado di espressività, riprendendone soprattutto quel particolare uso

della luce che miri a far emergere il corpo nella sua urgenza materiale, a un punto tale

da farlo diventare figura. Allo stesso modo in cui «Masaccio[...]pone l'uomo al centro

della speculazione e costruisce attorno a lui un'intelaiatura prospettica tale da dare ri-

lievo grandissimo alle figure che sono modellate con linee essenziali e si stagliano in

un netto contrapporsi di luci e ombre.»26 , così la sofferente umanità delle borgate è

19 Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi, a cura di Giafranco Contini, Mondadori, Milano, 1973 p. 390 20 Ibid.21 «Distribuisce esso [il primo raggio di mero sole] agli uomini il tono del sesso e della razza, al paese e agli animali i vocaboli dei loro mantelli, ai metalli il forbito, agli eserciti i quarti delle insegne e degli scudi; agli edificî e ai vestimenti le apparenze di abitato involucro, ch’essi sono, del gesto e della vita»R. Longhi, Ibid.

22 Pier Paolo Pasolin, Picasso, in Le Ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1957, p. 1823 Id. p. 2024 Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Milano, Garzanti, 1989 p. 48025 Alberto Marchesini, Op. Cit. ., p. 1926 Stefania Vannucci, Pier Paolo Pasolini: I colori della poesia, Quaderni Pier Paolo Pasolini Associazione

Fondo Pier Paolo Pasolini, Roma p.131

15

presentata nelle sue inquadrature. Ragazzi di vita, prostitute, magnaccia e altri umili

testimoni dell'esistenza condividono il pesto e mesto sguardo degli astanti de «Il tribu-

to della Moneta» o del «San Pietro risana i malati con la propria ombra» (vedi

Fig.2,4,5, 8, 9,10), di chi, sotto il peso di una sopravvivenza suburbana, cela la «grazia

esistenziale degli uomini»27

Scrive Marchesini: «Il chiaroscuro e lo spesso volumetrico,[...] costantemente ri-

cercati nell'inquadratura, vanno pertanto letti come filtri ulteriori fra l'autore il proprio

mondo, altre vie d'accesso alla ricomposizione mitica del suo universo poetico.»28

Lo afferma Pasolini stesso quando, nella preparazione di Accattone, dice di aver

pensato spesso a Masaccio, « non imitandolo per certe inquadrature, ma proprio pen-

sandoci come sostanza, come modo di vedere[il corsivo è nostro] certe facce, certa gra-

vità della materia» o, più in generale, scrivendo che « i riferimenti pittorici erano visti

come fatti stilistici interni: non, accidenti!, come ricostruzione di quadri!».29

L'utilizzo del bianco e nero nei suoi primi film deriva anche e soprattutto dalla sug-

gestione che le diapositive di Longhi, appunto, in bianco e nero, esercitavano sul gio-

vane Pasolini, il quale mirava, attraverso il bianco e nero appunto, di far emergere il

corpo, la materia.

«Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto – che

sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo). E non riesco a concepire im-

magini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha

l'uomo come centro di ogni prospettiva. Quindi, quando le mie immagini sono in movimento, sono in movimen-

to un po' come se l'obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro; concepisco sempre il fondo come il fondo di

un quadro, […] le figure in campo lungo sono sfondo e le figure in primo piano si muovono in questo sfondo, se-

guite da panoramiche, ripeto, quasi sempre simmetriche, come se io in un quadro, - dove, appunto, le figure non

possono essere che ferme – girassi lo sguardo per vedere meglio i particolari.»30

Prima del “cinema di poesia”, pare esserci in Pasolini una vera “poesia del

cinèma”, in cui lo sguardo affascinato del poeta sui particolari delle diapositive delle

opere d'arte dona movimento all'ombra-luce delle figure. Bellissime, a tale proposito,

27 Pier Paolo Pasolini, L'Alba meridionale, in Poesia in forma di Rosa, Garzanti, Milano, 1963, p. 16528 Alberto Marchesini, Op. Cit. p. 1229 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Roma, Editori Riuniti, 1977 p. 23030 Pier Paolo Pasolini, Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006 p. 386

16

queste righe di Deleuze:

«La luce diviene visibile quando si scontra con uno schermo nero, ci dice Bergson. Ecco ciò che Böhme ci

dice: Dio è luce, ma anche attraverso essa non si manifesta. Ma in quanto è luce è posseduto da qualcosa che non

si confonde con lui ma che è l'aspetto più profondo in lui. Non è lui, ma è il senza-fondo in lui, e il senza-fondo

in lui è la volontà di manifestarsi. […] il secondo tempo è la collera di dio, cioè dio si opporrà all'opacità pura,

alle tenebre per giungere alla propria manifestazione. La collera di dio è l'atto attraverso il quale dio o la luce in -

nalza le tenebre come condizione della sua manifestazione. In questo momento, e in rapporto alle tenebre che si

oppongono alla luce, si dirà che la luce diventa bianca. […] è il passaggio della luce ad una coppia di opposizio-

ne, il bianco e il nero. Il nero saranno le tenebre allo stato puro , e il bianco sarà la luce in rapporto a queste tene -

bre. Ma per il momento nulla si manifesta; si tratta ancora delle condizioni della manifestazione. Terzo momen-

to: perché qualcosa si manifesta, che cosa occorre? Occorre che le tenebre si schiariscano un poco sotto la luce e

che il bianco si oscuri un poco sotto le tenebre...»31

In Diario al registratore Pasolini dichiara la sua estetica cinematografica: «Io cer-

co la plasticità, soprattutto la plasticità dell'immagine, sulla strada mai dimenticata di

Masaccio: il suo fiero chiaroscuro, il suo bianco e nero – o sulla strada, se volete, degli

arcaici, in uno strano connubio di sottigliezza e di grossezza. Non posso essere impres-

sionistico. Amo lo sfondo, non il paesaggio […] ombre e luci in movimento, sulla fi-

gura e sul paesaggio, la silhouette che danza contro gli sfondi in scorcio – mai frontali

– dei lungofiumi, dei mari increspati, dei boschetti».32

Chiave di lettura che ci accompagnerà per far emergere le ragioni di un certo uso

della luce nelle poesie. Quest'utilizzo plastico della luce, che vede contrapposti luce e

ombra in un continuo gioco di forme e volumi, ha radici in una soluzione stilistica, sul

crinale del rapporto bifronte tra l'immagine e la parola: Vincenzo Cerami, nell'introdu-

zione agli scritti di Pasolini per il cinema, scrive che la sua scrittura «si potrebbe defi -

nire visiva». Pasolini era come un pittore che:

«scriveva con un occhio alla letteratura e l'altro allo schermo, per scavare, rintracciare dentro un linguaggio

bidimensionale, non fatto di pensieri ma di facce, comportamenti e panorami, verità che il cinema, linguistica-

mente, tende a nascondere. Il linguaggio cinematografico lo scopriva mentalmente e o codificava sul copione,

assumendo gli occhi del pittore, attraverso la descrizione assorta e accorata delle inquadrature.» e in questa im-

maginosa verbosità, «alla luce […] è affidata la creazione del clima adatto alla scena. In sceneggiatura l'indica -

31 Gilles Deleuze, Cinema, Mimesis Edizioni, Milano, p. 43 32 Pier Paolo Pasolini, Op. cit. p. 392

17

zione di un colore prefigura una particolare luce, un'atmosfera capace di incidere sul senso dei fatti, o in contra -

sto o in perfetta coincidenza con il tono della sequenza.»33

Immagine e parola sono legate da un rapporto essenziale, nascono dall'intima ne-

cessità d'espressione. E Pasolini lavora l'immagine così come lavora la parola: scrivere

letteratura o cinema non può prescindere dall'applicare delle figure retoriche, dall'evi-

tare il grado zero della lingua. C'è sempre «almeno un'ombra di espressività, che è l'a-

spetto “naturale” dello stile» 34, e pertanto se un'immagine può avere la stessa forza al-

lusiva di una parola (“kinemi” = fonemi nella potenza comunicativa), è perché entram-

be sono frutto di scelte estetiche, fanno parte di un'operazione stilistica35 che le fa rien-

trare all'interno di una logica espressiva volutamente ricercata dall'autore per il suo si-

gnificato stilistico (e quindi politico, cfr. par. 3. 2)

Non pare fuori luogo, a questo punto, postulare una corrispondenza tra il contrasto

figurativo del cinema di Pasolini e il linguaggio poetico se, è vero come è vero, che «i

generi diversi che Pasolini affronta simultaneamente […] costituiscono un unicum ag-

glutinato e compatto» 36, tanto più che lo stesso scrive: «non è qui il caso di fare un'a-

nalisi sull'equivalenza del “sentimento poetico” suscitato da certe sequenze del mio ci-

nema e di quello suscitato da certi passi dei miei volumi di versi. Il tentativo di defini-

re una simile equivalenza non si è mai fatto, se non genericamente, richiamandosi ai

contenuti. Tuttavia credo che non si possa negare che un certo modo di provare qual-

cosa si ripete identico di fronte ad alcuni miei versi e ad alcune mie inquadrature» 37.

I tratti principali della pittura verso cui Pasolini era debitore possono riassumersi,

dunque, nell'accentuata coloritura, nel “chiaroscuro” e nell'antropocentrismo che risal-

ta nei quadri da lui amati, dove al centro si muovono una variegata umanità illuminata

dal lume universale (Piero della Francesca) (Fig. 13)o umili garzoni e prostitute ri-

schiarati dalla drammaticità del lume quotidiano (Caravaggio). (Fig.11 e 12)

33 Vincenzo Cerami, La trascrizione dello sguardo, in Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, a cura di Walter Siti Mondadori, Milano, 2003 p.XXIX

34 Pier Paolo Pasolini, Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006 p. 57 35 Id. p. 6136 Fernando Bandini, Il sogno di una cosa chiamata poesia in Pier Paolo Pasolini, Tutte le poesie a cura di

Walter Siti Mondadori, Milano, 2003 p.XV37 Pier Pasolo Pasolini, Saggi sull'arte e la letteratura, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2003 p.2511

18

Per comprendere la luce nelle poesie di Pasolini sarebbe opportuno servirsi di uno

strumento che prendiamo in prestito da Goethe, quando nella Teoria dei colori parla

del poliedro di luce: «un esempio di chiaroscuro artificiale in cui tutte le specie di luce,

mezzaluce, ombra e riflesso fossero visibili.»38

Questa varietà tonale si esplica anche a livello stilistico:

« Pasolini s'impossessa di svariati linguaggi, ma sulla congerie, sottesa da quella volontà di sublime, domina

soprattuto un linguaggio visivo, attento ai colori e alle peculiarità del paesaggio, alle ore del tempo (mattini e

crepuscoli), una sorta di persistente segnale che ci troviamo all'interno di un discorso poetico. Si tratta spesso di

momenti particolarmente vivaci della poesia pasoliniana, soprattutto quando il poeta si abbandona alla suggestio-

ne di un ricordo commosso dei luoghi.»39

Nelle poesie abbiamo una prevalenza dell'organo della vista sugli altri sensi, il che

determina un alta concentrazione figurativa che si traduce in un linguaggio fortemente

icastico.

E nell'abbondanza di queste descrizioni, risaltano contrasti visivi, come si può ve-

dere in questi esempi: «morta festa / di luci», «abbagliato sotto sbiadite stelle», «anco-

ra più buio, o l'abbaglia // con cieche schiarite», «lume che riverbera», «buio[...]il me-

riggio nel lucore / terreo», «luce nerastra», «pasta di luce sulla pasta dell'ombra viva».40

In altre occorrenze, invece, ritroviamo un diretto richiamo agli artisti verso cui Pa-

solini era debitore: «bruciore / della luna[....]tutto svapora e si fioco / tra colonnati di

caravaggesca polvere», «il gusto del dolce e grande manierismo che tocca col suo ca-

priccio dolcemente robusto // le radici della vita vivente:ed è realismo...»41. Bandini

torna a farci notare che Pasolini è come se compiesse una sorta di écfrasis alla rove-

scia. Partendo da citazioni pittoriche, da strumenti figurativi, ci porta, infatti, alla de-

scrizione dei luoghi e dei paesi42.

La luce, in questo universo figurativo, serve a far emergere anche i colori, «lumi

38 Wolfgang Goethe, La Teoria dei colori, in Opere Vol V., Sansoni, Firenze, 1961 p. 34039 F. Bandini, Op. Cit. p. XXVIII40 Cfr A6,A 8, A14, A17. A30, A32, A61,A 6641 Cfr, A42, A5042 Id. p.XXIX

19

ingialliscono la calda atmosfera», «cuori bianchi dei globi», «grigia luce»; «indorarsi

quieto»; «pasquale albore»;«lume fragrante[...]oleato fulgore», «verdi stesi da un pi-

tocco Corot», «i più bei colori ardevano nel mite, friulano sole»,« si accende l'azzurro

che bianco è quasi», «in superficie / superstiti grisaglie, cappelletti verdi / su casacche

rosso mattone o morello»43. I colori, del resto, non sono altro che una modulazione del-

la luce, della sua intensità: « “La luce cade”. Questo non vuol dire che essa si distrug-

ga, la luce rimane in sé, ma il raggio di luce ne esce in qualche maniera. Esso cade. E

la luce risale. Questi gradi della luce possiamo chiamarli colori. I colori sarebbero del-

le intensità di luce.»44

Cerami torna a spiegarci ( a proposito delle Ceneri di Gramsci, cui verrà data

maggior attenzione più avanti) come lo stile verbale , che fa della ricerca di nuove for-

me espressive la sua cifra, sia legato a uno stile figurativo di riferimento:

«lo sperimentalismo era la via d'uscita per tentare l'impresa del realismo”vero e proprio”, il quale, per evitare

il reperto sociologico e il moralismo ideologico, doveva saldarsi con una soggettività in grado di portare verità

(quindi contraddizione), presentare il mondo con uno sguardo fuorviante perché sensuale. [...]lo sperimentali-

smo, attraverso la mimesi e il plurilinguismo (e l'espressionismo) avrebbe dovuto rendere possibile l'equazione.

Ma un'altra equazione si poneva immediata e drammatica, quella che stringeva nello stesso laccio sperimentali-

smo e manierismo. »45

Lo sperimentalismo, dunque, prima e durante gli articoli di Officina, è inevitabil-

mente influenzato da un retroterra culturale figurativo, che influenza sotterraneamente

la ricerca dello stile, ed è volto a far emergere il contrasto, il chiaroscuro, l'ossimoro

come figura di opposte tensioni, quali anche quelle che animavano il dibattito storico e

culturale dell'Italia contemporanea (popolo e storia).

Questo modo di scrivere poesia ci porta ad avanzare un'altra ipotesi, ovvero che

che Pasolini sia un poeta fotogrammatico. Egli scrive in versi come se stesse (de)scri-

vendo un quadro, attraverso ricche modulazioni di luce e ombre che mettano in risalto

la realtà nella sua materialità, che spesso si carica di un valore allegorico, simbolico e

43 Cfr.A 11,A9,A6,A 21, A25,A41, A46,A48, A5244 Gilles Deleuze, Cinema, Mimesis Edizioni, Milano, p. 2845 Vincenzo Cerami, Le ceneri di Gramsci, in Letteratura Italiana, vol. IV IL novecento I. L'età della Crisi,

Einaudi, Torino 1985 p. 678

20

sacro. In un saggio inedito del 1974, La Luce di Caravaggio, egli sembra parlare indi-

rettamente della propria poetica. Riferendosi alle lezioni di Longhi, infatti, individua

tre elementi di innovazione: un «nuovo profilmico», cioè, un «mondo di mettere da-

vanti al cavalletto nel suo studio: tipi nuovi di persone nel senso sociale e caratteriolo-

gico, tipi nuovi di oggetti, tipi nuovi di paesaggi»46; una nuova luce: drammatica e

quotidiana, in contrapposizione al lume universale; e un diaframma luminoso: un fil-

tro, che Longhi individua nella pittura eseguita con uno specchio, che dona al quadro

un «eccesso di verità».

Longhi, nel saggio del 1952 su Caravaggio, scrive, commentando il San Matteo: «

Nel Caravaggio, invece, è la realtà stessa a venir sopraggiunta dal lume (o dall'ombra)

per “incidenza”; il caso, l'incidente di lume ed ombra diventano causa efficiente della

nuova pittura (o poesia).»47

Dunque è la luce, il lume a far emergere la buia realtà e l'immagine, la materia e il

corpo, in altre parole: il «fotogramma», che è giustamente il momento in cui «l'attimo

di cronaca gli parve emergere, non dico con un rilievo, ma con uno spicco, con un'evi-

denza così memorabile, invariabile, monumentale come, dopo Masaccio, non s'era più

visto.»48. Il fotogramma è l'attimo di massima drammaticità, di maggior pregnanza spi-

rituale ed espressiva che si realizza tramite la luce e la sua opposizione con l'ombra. In

Caravaggio la luce sembra voler legare il divino all'umano, al mondo sofferente dei

poveri. Pasolini fa sua questa lezione , in consonanza allo stile che già aveva matura-

to: uno stile d'opposizione, di contrasto, d'espressione. L'io poetante si appropria del

reale, potremmo dire, attraverso il Caravaggio e il suo modus videndi, riccamente con-

trastato, che vede:

a) la scelta di soggetti umili visti attraverso uno sguardo poetico e sacrale (il pro-

filmico)

b) l'utilizzo di uno stile espressionista (Walter Siti) che deriva da una grande figu-

ratività della poesia

c) il cinema e l'utilizzo della macchina da presa come diaframma luminoso per fis-

46 Pier Paolo Pasolini, Op. cit. p. 267347 Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi, a cura di Giafranco Contini, Mondadori, Milano, 1973 p. 83648 Id., p. 837

21

sare le figure nel loro «eccesso di evidenza»49

Quest'appropriazione del reale, avviene attraverso la messa a fuoco di «un fram-

mento di realtà, [che il poeta] trasfigura e deforma con energia visionaria, ma senza

che si perda il ricordo del caos da cui è emerso – dell'urto con la realtà; il fenomeno

stilistico è carico di rabbia psicologica, tenta di possedere la realtà e si contorce nella

propria impotenza; più che alla serenità di un oggetto, assomiglia a un “gesto” esisten-

ziale.». È la luce l'elemento che dà forma all'espressione, la modella, la disciplina, in

tutta l'energia verbale di cui Siti ha tratto specimina interessanti, a cui rimandiamo per

una più accurata lettura. 50

Interessante a tale riguardo anche l'osservazione di Deleuze sulle monadi che, pur

essendo chiuse e individuali, contengono una luce “sigillata” che crea il bianco ma an-

che l'ombra, il chiaro e l'oscuro, così che da tale contrasto fuoriescano le cose per mez-

zo di ombreggiature e tinte più o meno forti. Come scriveva il critico artistico Desar-

gues, è a quel punto sufficiente rovesciare la prospettiva e mettere «il luminoso al po-

sto dell'occhio, l'opaco al posto dell'oggetto e l'ombra al posto della proiezione»51.

Tale paragone è utile a dimostrare come l'attenzione poetica di Pasolini (e in parti-

colare ciò lo rileviamo nel paragrafo 1.1.1) si soffermi sulla materia che emerge alla

luce dello sguardo del poeta e di come, tramite questa luce, che possiamo assimilare al

sentimento poetico, il reale si riveli in tutta la progressiva gradazione di luce e ombra,

la cui opposizione permette di risolversi nel grado intermedio, nell'incontro variamente

disciplinato dello sguardo col reale, della luce con la tenebra, del chiaro con l'oscuro,

della vita con la morte...nella sfumatura che amplifica e modella il reale proiettandovi

il proprio sentimento.

Il ruolo che, in tal senso, svolge la luce, è quello di fungere da trait d'union tra il

codice linguistico e quello figurativo, ovvero di ponte tra l'universo della parola scritta

in versi e la fase visiva della composizione che viene prima della stesura, il momento

originario di appropriazione del reale, in cui l'io poetico trasferisce la sua adesione

49 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007 p.5650 Walter Siti, Il sole vero e il sole della pellicola, o sull'espressionismo di Pasolini, Rivista di Letteratura

Italiana, VII, 1 1989 pp, 100 e 10151 Gilles Deleuze, Cinema, Mimesis Edizioni, Milano, p. 54

22

emotiva sugli oggetti e sui frammenti del reale che lo circondano, che si caricano per

questo di un valore aggiunto, trasfigurando il frammento particolare in correlativo og-

gettivo universale, il corpo in figura.

Se fare cinema «è una questione di sole »52 ed è come «scrivere su carta che bru-

cia» 53, è altrettanto vero che anche le poesie vengono scritte con la luce, il reale viene

esposto alla luce, al lume figurativo dello sguardo dei pittori che hanno colonizzato

l'immaginario pasoliniano. E con ciò si ottiene quell'effetto di un «eccesso di verità»

della materia del reale trattata nei versi, poiché la poesia fa essere l'ente ancora più

ente 54 attraverso il «diaframma luminoso» del verso o della celluloide, supporto su cui

il poeta incide il proprio sguardo sul mondo.

L'essenza dell'arte, come scrive Heidegger, consiste nel fatto che l'artista possiede

la visione essenziale di ciò che è possibile, e mettendo in opera le «nascoste possibilità

dell'ente», fa sì che gli uomini vedano quell'ente reale in cui essi si aggirano ciecamen-

te55.

È come se l'artista illuminasse il reale, appropriandosene, e lo restituisse filtrato

attraverso la propria percezione in una “visione aumentata” che libera lo sguardo per le

cose del mondo e sovverte l'ordine dato, l'esistente all'interno di una codificata gerar-

chia di valori, per cui l'umile e il basso e la caotica realtà da cui emergono, si innalza-

no fino a giungere a un livello di lirismo e universalità, di verità e sacralità. Come fa

notare Deleuze a proposito del “cinema di poesia” di Pasolini, si ottiene un effetto di «

permutazione del triviale e del nobile» di «comunicazione dell'escrementizio e del bel-

lo»56.

52 Pier Paolo Pasolini, Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006 p. 392 53 Pier Paolo Pasolini, Essere è naturale? In Empirismo Eretico, Garzanti, Milano, 2000, p. 24554 Martin Heidegger, L'essenza della verità, Adelphi, Torino, p.5455 Id. p. 8856 G. Deleuze, L'immagine-movimento, Ubulibri, Milano, 1984, p. 95

23

2.2 Contrasto e ossimoro

Se, dunque, in pittura abbiamo il chiaroscuro, nel cinema e in fotografia il contra-

sto, in poesia ritroviamo l'ossimoro come figura equivalente di opposizione, «intima

struttura di interno contrasto»57.

L'importanza della figura dell'ossimoro nella produzione di Pasolini è stata lunga-

mente studiata.

Fortini, già nel 1960, ha sottolineato che «l'ispirazione, il moto primo di tutto quel

che Pasolini scrive si fonda sull'antitesi […] rilevabile a tutti i livelli della sua scrittura

[…]; fino alla sua più frequente figura di linguaggio, quella sottospecie dell'oxymoron

[Όξύμωρος], che l'antica retorica chiamava sineciosi [dal greco συνοικέω (convivo) o

συνοικισμός (coabitazione) NdR], e con la quale si affermano, d'uno stesso soggetto,

due contrari.»58 .

L'importanza dell'ossimoro è capitale poiché è la figura che permette di collegare il

modus videndi di Pasolini, poeticizzato nei versi, al suo modus vivendi, cioè a quella

contraddizione che lo animava internamente: il contrasto figurativo dei suoi versi e la

retorica dell'ossimoro acquista un valore antropologico:

«Stare nell'ossimoro per Pasolini vuol dire molto di più che vivere inchiodato alla propria diversità condan -

nandosi alla sua semplice ed infinita ripetizione, ma esaltare e sovrapporre le diverse forme dell'antitesi e della

contraddizione, cercare ed aprirsi a quelle forme con ansia febbrile ed inesausta, vivere una vita lontano da tutti

coloro che vi hanno trovato una casa e di lì giudicano il mondo, anche quando questa casa è quella scomoda e

dolorosa della “diversità”»59

Anche Stefano Agosti, nello specifico della produzione poetica pasoliniana, ha ri-

levato l'importanza della contraddizione:

«Così, per quanto riguarda la dimensione discorsiva ed egocentrica di questa poesia, se ne è potuta determi-

nare supplementariamente la natura specifica, configurabile nei termini di un'incessante contraddizione o antino-

57 G. Barberi Squarotti in Poesia e narrativa del secolo XX Mursia, Milano, 1971

58 Franco Fortini, in La poesia italiana degli ultimi anni, in “Il Menabò”, n. 2., 1960

59 Franco Cassano, Il pensiero Meridiano, Laterza, Bari, 1996 p.114

24

mia [...] fra ragione e passione (o: razionalità e visceralità), storia e natura, umano e sub-umano, sino all'implica-

zione di opposizioni più precisamente ideologiche, quali marxismo e cattolicesimo, o psicologiche, quali perver -

sione e innocenza.»60

Walter Siti sottolinea come anche il suo espressionismo segnali una dicotomia tra

« la realtà davanti al poeta che vuole esprimerla, il quale, quindi, non appartiene a

quella realtà, ne è stato esiliato – e immagina di potervi rientrare forzando (al limite,

annullando) l'espressione. »61

L'espressione nasce appunto dalla volontà di colmare una separazione, di sfondare

un diaframma che separa il poeta dalla realtà, nasce dalla contraddizione del vivere

una realtà ed esserne al contempo separato, sentirsi irrevocabilmente diverso.

Da ciò deduciamo che la cifra stilistica dell'ossimoro e del contrasto corrisponde a

un modo di vivere il mondo che contraddistingue la sua figura di intellettuale e che

proprio per questo ci interessa. Pasolini si iscrisse al PCI nel 1947, diventando presto

segretario della sezione di S. Giovanni e poi tra i fondatori della Federazione provin-

ciale comunista di Pordenone, e fu molto attivo l'operato politico nel suo Friuli. Que-

sto punto di svolta lo troviamo segnato nella produzione letteraria de La scoperta di

Marx de L'usignolo della Chiesa Cattolica. L'inizio dell'attività politica aveva radici

profonde nell'amore per il popolo, per i contadini friulani: «Ciò che mi ha spinto ad es-

sere comunista è stata una lotta di braccianti friulani contro i latifondisti, subito dopo

la guerra. Io fui coi braccianti. Poi lessi Marx e Gramsci»62. Ma il 22 ottobre 1949 vie-

ne denunciato per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico, il famoso

“scandalo di Ramuscello”, che gli vale l'espulsione dal PCI e la perdita della sua catte-

dra. Costretto a fuggire, nel gennaio dell'anno successivo, a Roma, dove incontra il

sottoproletariato delle borgate romane e dove cresce ancor di più il suo amore passio-

nale, viscerale per il popolo, per la sua allegrezza e “corrotta purezza”. Questo è uno

dei termini del dissidio in cui si trova Pasolini nel secondo dopoguerra, quando la sua

figura di intellettuale inizia a emergere nel panorama italiano, il nuovo e discusso ro-

60 Stefano Agosti, La parola fuori di sé, Manni, San Cesario di Lecce, 2004 p. 61 W. Siti, Op. Cit. p. 10562 Pier Paolo Pasolini, Al lettore nuovo in Pier Pasolo Pasolini, Scritti sull'arte e la letteratura, a cura di Walter

Siti, Mondadori, Milano, 2003 p.2517

25

manzo Ragazzi di vita, proprio negli anni in cui scrive i versi che andranno a compor-

re Le ceneri di Gramsci, dimostra che nel poeta sta maturando l'ideologia, quella

gramsciana e marxista, ma il suo operato è diviso, tra la ragione dell'ideologia e la pas-

sione verso il popolo.

Tale discorso emerge chiaramente in quella che, fra le tante, è una delle più espli-

cative antitesi 63 : Pasolini vive una contraddizione: quella tra «l'ideale che illumina»64,

l'ideologia politica, e le «buie viscere» di un' «estetica passione», che lo attacca attra-

verso «il calore/degli istinti» alla vita proletaria anteriore a qualsiasi ideologia, a qual-

siasi storia, la cui natura e la cui allegria la circonfondono, agli occhi del poeta, di una

«luce poetica»65.

Cerami ha riassunto ciò in queste illuminanti righe:

«Pasolini si guarda attorno, sceglie un'immagine e la fissa con gli occhi della ragione, di chi partecipa alla

millenaria, muta, lotta dei poveri; la stessa immagine, poi, la fissa con sguardo religioso, ingenuo e violentemen-

te sensuale. Così egli finisce per amare visceralmente ciò che la ragione odia e per amare razionalmente ciò che

in realtà odia. Al centro di questo nodo un poeta esule, diseredato dalla storia, diverso dai borghesi e diverso dal

popolo. La contemporaneità delle due immagini contrarie nella stessa immagine spinge il linguaggio verso uno

stile a forti contrasti lessicali, dove la figura retorica della sineciosi (come dire ossimoro) irrompe con frequenza

incontrollata se non proprio compiaciuta. »66

Il problema di Pasolini è quello di essere fatalmente attratto a una condizione di

vita, quella sottoproletaria, archetipica testimonianza millenaria di un'umanità autenti-

ca e primitiva che è sopravvissuta nei secoli, estranea alla Storia, che non ha coscienza

di sé (su questo vi torneremo più avanti); ma su quest'amore pende anche la missione

ideologica di una ricostruzione dell'Italia che porti a compimento gli ideali della resi-

stenza, e qui sorge un problema fondamentale: anzitutto, il possesso della storia, cioè

la cultura che ha portato Pasolini ad essere tale, è, di fatto, un appannaggio borghese.

Egli vive una condizione di privilegio che automaticamente lo squalifica dal poter vi-

63 Cfr. B 9

64 Cfr. B 8

65 Da Le ceneri di Gramsci, in Id., p. 5666 Vincenzo Cerami, Le ceneri di Gramsci, in Letteratura Italiana, vol. IV IL novecento I. L'età della Crisi, Einaudi,

Torino 1985 p.660

26

vere autenticamente la vita popolare da cui è così attratto, relegandolo irreparabilmente

dietro la condizione di diversità. Inoltre, egli è in una posizione polemica verso lo stes-

so Gramsci poiché il suo operare secondo l'ideale cozza con l'impulso viscerale che lo

lega al popolo. Si trova diviso tra l'essere un poeta civile67 che sente profondamente la

missione dell'intellettuale organico (l'ideologia) e l'amore verso un popolo che tradi-

rebbe nella sua purezza se acquisisse coscienza politica (quella che nasce dal borghese

possesso della storia) e la cui condizione è minacciata dall'avanzare del neocapitali-

smo.

Come leggiamo, dunque, nei versi su citati, Pasolini vive una contraddizione in ter-

mini: una vera e propria coincidentia oppositorum.

Esemplari questi versi:

«[...]la via d'uscita//verso l'eterno non è in quest'amore/ voluto e prematuro. Nel restare/dentro l'inferno con

marmorea//volontà di capirlo, è da cercare la salvezza. Una società/ designata a perdersi è fatale //che si perda:

una persona mai»68

La contraddizione, sembra volerci dire Pasolini, va vissuta fino in fondo, jusqu'au

bout, nell'impegno profondo e costante a volerne comprendere le ragioni. Ma soprat-

tutto, la contraddizione va vissuta interamente, col corpo, nostro modo d'essere nel

mondo.

Ecco dunque, che il cerchio si chiude e si ritorna alla luce, ché, come scrive Goe-

the, se figurativamente «Il chiaroscuro fa apparire il corpo come corpo, in quanto luce

ed ombra ci danno la nozione del volume.»69, a livello poetico questo chiaroscuro, che

si realizza in termini linguistici ed esprime una forte polarità, fa emergere l'urgenza fi-

sica del corpo come sede delle opposte tensioni che lo animano in quanto sede del sa-

cro: «Ogni aspetto della realtà è dunque un corpo, possiede l'intensità espressiva (eroti-

ca) di un corpo, è sacro come un corpo».70

67 Alberto Moravia, Pasolini poeta civile in Per conoscere Pasolini, Bulzoni & Teatro Tenda, 1978 Editori,Roma,1978

68 Pier Paolo Pasolini, Picasso in Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, p. 2469 Johann Wolgang Goethe, Op. Cit. p. 33970 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007 p.55

27

«– E ora considera anche questo: se colui che è stato li-

berato in questo modo ridiscendesse e si mettesse a se-

dere allo stesso posto, non avrebbe improvvisamente,

venendo dal sole, gli occhi pieni di buio?

–E molto

–E se ora dovesse competere nuovamente, con coloro

che sono sempre rimasti incatenati colà, nell'esprimere

opinioni sulle ombre, mentre ha ancora gli occhi offu-

scati, prima cioè di averli di nuovo adattati al buio, cosa

che richiederebbe un non breve periodo di adattamento,

non sarebbe esposto laggiù al ridicolo e non gli si direb-

be forse che è salito solo per ritornare con gli occhi ro-

vinati, e che dunque non vale assolutamente la pena di

andare su? E non pensi che essi [gli incatenati], se qual-

cuno si adoperasse per liberarli dalle catene e per con-

durli verso l'alto, se potessero afferrarlo e ucciderlo, lo

ucciderebbero veramente?

–Certamente!»

Platone, La Repubblica

28

Capitolo III

Metafore della luce

3.1 La luce tra cinema e poesia

« La luce è monumentale,/forza, forza, approfittiamone, forza/il cinquanta e il carrello a precedere: /(vengo-

no Mamma Roma e suo figlio,/verso la casa nuova, tra ventagli/di case, là dove il sole posa ali/arcaiche: che

sfondi, faccia pure/di questi corpi in moto statue/di legno, figure masaccesche/deteriorate, con guance

bianche/bianche, e occhiaie nere opache/-occhiaie dei tempi delle primule,/delle ciliege,delle prime

invasioni/barbariche negli “ardenti/solicelli italici”[...] sono altari/queste quinte dell'Ina-casa, /in fuga nella Luce

Bullicante/ a Cecafumo.71 »

Questi sono i versi che furono scritti durante le riprese di Mamma Roma. Come si

può notare la luce del sole è la protagonista di questi versi, ed è l'elemento che dà tono

e forma agli attori, rendendoli simili, negli occhi del poeta, sede del sacro e del bello,

a opere d'arte.

Più avanti nella raccolta, nella medesima sezione Poesie mondane (il cui titolo al-

lude all'occasione da cui sono state scritte, ovvero i set de Mamma Roma e La Ricotta),

troviamo questi versi:

« Poi compare Testaccio, in quella luce/ di miele proiettata sulla terra/dall'oltretomba. Forse è scoppiata,/la

Bomba, fuori dalla mia coscienza./ Anzi, è così certamente. E la fine/del Mondo è già accaduta: una cosa/muta,

calata nel controluce del crepuscolo./ombra, chi opera in questa èra. /Ah, sacro Novecento, regione dell'anima /

(in cui l'apocalisse è un vecchio evento!

Il Pontormo/ con un operatore/meticoloso, ha disposto cantoni/di case giallastre, a tagliare/questa luce friabi-

le e molle,/ che dal cielo giallo si fa marrone/impolverato d'oro sul mondo cittadino.../ e come piante senza radi-

ce, case e uomini,/creano solo muti monumenti di luce/e d'ombra, in movimento: perché/la loro morte è nel loro

moto. /vanno, come senza alcuna colonna sonora,/automobili e camion, sotto gli archi,/sull'asfalto, contro il ga-

sometro,/nell'ora, d'oro,di Hiroscima,/dopo vent'anni, sempre più dentro/ in quella loro morte gesticolante: e

io/ritardatario sulla morte, in anticipo/sulla vita vera, bevo l'incubo/della luce come un vino smagliante./nazione

senza speranze! L'apocalisse/esploso fuori dalle coscienze/nella malinconia dell'Italia dei Manieristi,/ha ucciso

tutti: guardateli- ombre/grondanti d'oro nell'oro dell'agonia.» 72

71 Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano, 1964 p. 1972 Id.p. 25-26

29

Questo poema, che porta in calce la data di composizione (12 giugno 1962), è stata

composto sul set de La Ricotta. Pasolini sente l'urgenza della fine di un mondo, quello

sottoproletario, primitivo, di chi è morto senza coscienza, anzi, si è perduto,incoscien-

te, nella ricerca di divenire proletario o borghese. Il paesaggio viene descritto attraver-

so un linguaggio ricco di effetti cromatici e chiaroscurali. In questo movimento di luce

si accampa un personaggio, Il Pontormo, alter-ego del poeta, del regista-pittore. La

vita delle borgate, popolosa, ricca di vitalità, si dissolve nell'«Apocalisse del Novecen-

to», nella vita delle metropoli. «Gli uomini sono allo sbando, vagano senza meta nelle

metropoli della pazzia. Pasolini identifica il loro moto con la loro stessa morte, quella

morte che egli definisce “gesticolante” e che altro non è che la inutile vita di una mol-

titudine alla ricerca del nulla.»73 . Attraverso luce e movimento, dunque, l'occhio pitto-

rico del regista-poeta compone un ritratto esiziale di quest'ultimo barlume di umanità

che si perde. E la loro morte psichica, “fisica” di persone in carne e ossa corrisponde

alla loro morte “figurativa”: è l'agire dei loro corpi di «fantasmi creati dal rapporto tra

luce e tenebre»74 che li rende figure di una umanità che sta scomparendo. In questa «

abbacinante doratura che avvolge il mondo l'uomo si perde smarrendo le sue stesse ra-

gioni di vita»75.

Gilles Deleuze, in una conferenza sul cinema, scrive a proposito di tale rapporto:

«la luce permette delle decomposizioni e delle composizioni di movimento. La luce è

un mezzo attraverso cui si può estrarre la mobilità pura del movimento, vale a dire il

movimento dal suo mobile o dal suo veicolo.»76. Questo movimento “gesticolante”,

quasi di insetti impazziti, ben si inscrive, inoltre, nella visione del cinema che aveva

Pasolini: nella distinzione tra cinema e film, e nell'identità di cinema e realtà, nel

montaggio come morte necessaria per acquisire senso: «ricordiamo la differenza che

Pasolini teorico pone tra cinema e film: il film è il prodotto morto, ottenuto attraverso

tagli discreti sul continuum, del cinema. Lo stile è una morte infinitamente ripetuta, ma

73 Stefania Vannucci, Op. Cit. p. 9674 Marco Antonio Bazzocchi, L'italia vista dalla luna, Bruno Mondadori, Milano, 2013, p. 4475 Ibid.76 G. Deleuze, Op. Cit. p. 42

30

sarà sempre possibile, attraverso la luce, risalire alla vita che sta al di là dello stile»77.

Sussiste, quindi, in Pasolini, uno stretto rapporto tra la poesia e il cinema, che si ri-

vela nell'immagine scritta in versi carica delle coloriture, delle sfumature e dei contra-

sti della realtà, e che solo la luce permette di rendere sacra.

Questi versi sono esempio della ricchezza figurativa che caratterizza lo stile di Pa-

solini, dal sapore masaccesco, frutto di una sensibilità che ama il gioco degli opposti e

la vivacità cromatica manieristica.

Deleuze, ne La piega, parla di un «nuovo regime della luce», precisando che le fi-

gure dei quadri di Caravaggio e Tintoretto emergono dal fondo scuro e sono delineate

dal loro rivestimento più che dal loro contorno. Così, in Pasolini, i corpi sorgono dal

buio dell'indistinto culturale per emergere in una luce sacrale di resistenza (nel loro es-

sere sensibili all'appello del sacro, come si vedrà più avanti) esistenziale (nella loro

corporeità) al modello omologante.

Come ha intuito Bazzocchi, quest'estetica dell'opposizione diviene viva metafora

in poesia, e assume una valenza antropologica. E Pasolini conferma:«Questa è l'Italia,

e / non è questa l'Italia: insieme / la preistoria e la storia / che in essa sono convivano,

se / la luce è frutto di un buio seme.» 78.

Il legame di opposizione luce-ombra acquisisce un forte valore allegorico: «Luce e

buio non si possono dividere, sono opposti ma legati proprio dal rapporto di opposizio-

ne: la luce della storia (del progresso) nasce dal buio della preistoria. In questa idea di

Pasolini si fondono le suggestioni ideologiche che vengono da Gramsci e da de Marti-

no con un'intuizione espressiva e artistica presente in Longhi»79. Fuor di metafora, nel-

l'Italia del secondo dopoguerra, anni in cui Pasolini scrive questi versi, il sottoproleta-

riato è testimone di un'umanità arcaica, pre-industriale, primitiva che non ha ancora

conosciuto la Storia e il Progresso, ma ne vive al di fuori, come suggerisce de Martino.

Il compito di cui il poeta si sente investito è quello (come abbiamo visto in 2.2, im-

possibile e pertanto fonte di contrasto e dissidio interno per il poeta) gramsciano di

operare da intellettuale organico, di riuscire a realizzare quella letteratura nazional-po-

77 W. Siti, Op. Cit. p. 11878 Pier Paolo Pasolini, L'umile Italia, in Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957 p. 3779 Marco Antonio Bazzocchi, Op. Cit. p. 44

31

polare che sfondi la tradizione di una casta (non più quella “libresca e astratta” ma

nella fattispecie quella borghese e impegnata) e arrivi al popolo, al fine di guidarlo ver-

so «l'ideale che illumina», alla formazione di una nuova cultura alternativa.

La visione di Pasolini è, per sua stessa ammissione, epico-religiosa: i personaggi

dei suoi film, come delle sue poesie, sono miserabili che vivono al di fuori di una co-

scienza storica, in particolare borghese. Il loro vivere nella miseria è per lui una carat-

teristica epica. Il loro vivere è puro perché privo di coscienza e quindi essenziale.80

Questa purezza viene assimilata al regno animale, che nel poema è simboleggiato

dal volo delle “umili e pie” rondini. Pasolini, in questi, tra i più intensi versi dell'intera

raccolta, si propone quindi di far vivere, di far sopravvivere quest'umanità nella pro-

pria opera, presentendo l'apocalissi di una trasformazione.

Ed è proprio la luce che permette di fissare nell'eleganza del verso o nell'urgenza

dell'inquadratura la fisicità necessaria del proletariato, prima che scompaia sotto l'inar-

restabile mutazione antropologica: « Il sole romano, in una luce innaturale che sembra

venire da un arcaico passato, accompagna le figure che agiscono sulla pellicola e le

rinchiude in un'atmosfera si eternità, l'unica dove possono sopravvivere alla trasforma-

zione»81.

Le ceneri di Gramsci (Giugno 1957) è ricca di metafore della luce. In essa sono

raccolti poemetti scritti e pubblicati nei sei anni precedenti: a partire, dunque, dall'arri-

vo a Roma, nell'inverno del 1950, con la madre.

Episodio cruciale nella biografia del poeta in cui «Alla luce indistinta dell'alba

senza tempo del mito friulano si sostituiscono le molteplici variazioni luministiche del

mondo della storia, dove la pace lunare della notte e il clamore solare del giorno si al-

ternano, e in cui i frammenti di paradiso si scorgono incastonati in un paesaggio infer-

nale.»82. L'arrivo nella capitale lo catapulta nel mondo « di luce e miseria»83 del sotto-

proletariato delle borgate, dove trascorre i primi anni della sua esperienza romana.

80 Pier Paolo Pasolini, Una visione del mondo epico-religiosa, in Per il Cinema, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2001, p. 2846

81 Marco Antonio Bazzocchi, L'italia vista dalla luna, Bruno Mondadori, Milano, 2013, p. 3482 M. Rizzarelli, Le ceneri di Gramsci: lo sguardo di Pasolini dai cieli alle viscere dell’«umile Italia», in AA.VV.,Un dono in forma di parole, La Spezia, Agorà, 2002, p. 329.

83 Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 p. 90

32

L'esperienza interiore di poeta che possiede il privilegio, tipicamente borghese,

della storia e della cultura, immersa nel mondo “preumano” del sottoproletariato, dà

origine a questi undici poemetti, salutati dalla critica con pareri avversi, ma unanime-

mente riconosciuti come una delle più importanti opere poetiche del secondo dopo-

guerra, come rinascita della «poesia civile».84

La raccolta, che non segue l'ordine cronologico di composizione, si apre con la di-

vina e maledetta prospettiva a volo d'uccello sull'Appennino, che porta l' «io poetico

invisibile»85 a compiere un'escursione nello spazio e nel tempo dell'Italia, dalla Luc-

chesia al meridione, dall'alto verso il basso, dai dossi «ebbri, calcinati» alla spuma del-

l'Adriatico.

Qui possiamo apprezzare un primo uso della luce nella poesia Pasoliniana: un uso

altamente figurativo, incline a creare un'atmosfera particolare, ricercata, che il poeta

«vede» e vuole esteticamente trasmettere per verba. La notte in cui dorme l'Italia del

secondo dopoguerra, per analogia metaforizzata nel monumento funebre di Ilaria del

Carretto che Jacopo della Quercia scolpì agli inizi del XV secolo, è rischiarata da una

«muta luna» la cui luce è «tiepida sulla Lucchesia dai prati / troppo umani, cocente

sulle rive / della Versilia», segue la «morta festa / di luci» di Pisa, la «grigia luce della

cattolica, superstite / perfezione» di Lucca e l'aeroporto di Ciampino, «abbagliato sotto

sbiadite stelle» o i «bianchi globi dei bar salaci / delle periferie cittadine».

L'occhio-luna ripercorre l'Italia alla ricerca della vita che brulica ai margini della

storia: il sottoproletariato viene paragonato a un umile esercito «tra le infette marane /

della borgata» in attesa «di farsi cristiano nella cristiana / città», di scendere nella

«luce borghese», di non restare esclusi dalle «vicende / segrete della luce cristiana».

Questo popolo vive sotto «una muta ma inesorabile ipoteca del futuro»86 e non lo «ab-

baglia / la modernità» fintanto che non giunga «la luce / del futuro» a ferirci e far pian-

gere «ciò che muta, anche / per farsi migliore».

Emerge qui una prima metafora che attraversa le raccolte di poesia prese in esame:

la Storia come luce che illumina, anzi, abbaglia, rischiara ferocemente le vicende uma-

84 V. Cerami, Le ceneri di Gramsci, in Letteratura Italiana Le opere. Il novecento, vol. IV, Einaudi, Torino, 1989

85 M. Rizzarelli, op.cit. p. 33286 Alberto Asor Rosa, Op. cit. p. 375

33

ne con tutta la violenza del «succedersi necessario dei secoli».

Il popolo è presentato come «un esercito accampato nell'attesa / di farsi cristiano»

mentre occupa una «marcita distesa d'erba sozza nell'accesa campagna» nella speranza

di «scendere anch'egli nella borghese luce». Ai « fangosi deschi» si oppongono per an-

titesi le «lucide chiese / novecentesche e grattacieli» simboli del potere che avanza e

della sua inarrestabile marcia. 87

87 Cfr. B 1

34

3.2 Pasolini e le polemiche degli anni '60

È a questo punto opportuno fare un rimando all'ideologia e all'operato di Pasolini.

In un momento storico e sociale di forte mutamento, il “miracolo economico” a ca-

vallo tra anni cinquanta e sessanta, (che avrebbero determinato poi la “mutazione an-

tropologica” e la “scomparsa delle lucciole”) determina forti cambiamenti in ambito

economico-sociale (scuola di massa, sviluppo industriale, diffusione dei mass media,

forti correnti migratorie interne) e, di conseguenza, culturale e letterario. Si sviluppa,

tra la fine degli cinquanta e l'inizio degli anni sessanta, un dibattito intenso tra le

“neoavanguardie” letterarie ( dietro riviste quali “Il Verri”; “Marcatré”, “Malebolge”,

“Grammatica”, “Quindici”, “Officina”, “Il Menabò”, “Che fare”...).

Si è delineato, all'interno di questo dibattito, un fronte che ha visto contrapposte

una linea di “neosperimentalismo” legato a storia e ideologia (“Officina”), e radicale

sperimentalismo linguistico non allineato alla posizione ideologica marxista, ma di

matrice anarchica e puramente linguistica, non più letteraria: «usano gli strumenti sov-

vertitori della letteratura per sconvolgere e demistificare la lingua: ma si pongono in

un punto linguistico zero per ridurre a zero la lingua, e quindi i valori. »

Nell'arco di questo panorama, Pasolini si pone, in forte opposizione a quella dei

contemporanei intellettuali del Gruppo '63 (in particolare egli entrò in polemica con

Sanguineti), rivendicando la fiducia nel ruolo ideologico del poeta e il suo impegno

come poeta civile , come intellettuale, con il compito di ricostruire il volto culturale e

letterario dell'Italia del secondo dopoguerra alla luce dell'insegnamento di Gramsci,

Marx e Gobetti.

Da “Officina”, infatti, si auspica un rinnovamento che mira a uno storicismo di

nuovo stampo, che si traduce nel su citato “neosperimentalismo” prosastico e poetico,

e si dimostra fortemente critica nei confronti dell'ermetismo (tacciato di «intimismo al-

l'ombra del potere» (Leonetti ) e del neorealismo, debole movimento sul piano dell'in-

terpretazione e dell'analisi.88

88 Carlo Segre, Clelia Martignoni, Testi Nella Storia Vol. 4, Bruno Mondadori Scolastica, Milano, 1995 p. 55

35

Se il Gruppo 63 si rifà all'insegnamento di Adorno, cercando di realizzare «caos

nell'ordine» del linguaggio, di contestare la realtà della lingua per entrare in contesta-

zione con se stessi o le istituzioni, in una poesia «non rivestita dell'ideologia». Pasoli-

ni, al contrario, rivendica la politicità del suo sperimentalismo, lo stretto rapporto che

lega stile e ideologia, ancora una volta alla luce di una contraddizione:

«le opinioni politiche del mio libro non sono solo opinioni politiche, ma sono, insieme, poetiche; hanno ,

cioè subito quella trasformazione radicale di qualità che è il processo stilistico. [...]L'ideologia di uno scrittore è

la sua coscienza letteraria (articolata in una serie di opinioni, alcune chiare, altre, certo, confuse) che provvede a

fondere in modo stilisticamente irreversibile gli schemi della vera e propria ideologia politica e gli schemi dell'i-

deologia estetica, che spesso hanno due storie non coincidenti.[...]nel mio caso: l'ideologia politica è quella mar-

xista, ma l'ideologia estetica proviene – per quanto poi profondamente modificata – dall'esperienza decadentisti-

ca, e trascina quindi con sé i rottami di una cultura superata: evangelismo, umanitarismo, ecc.. l'ideologia politica

è proiettata verso il futuro, l'ideologia estetica […] contiene il passato. Uno scontro, e insieme, una fusione. In

altre parole, l'ideologia di uno scrittore è la sua ideologia politica […] ma calata in una coscienza in cui si dà il

massimo del particolarismo individualistico, con tutte le sue sopravvivenze e contraddizioni storiche e

concrete».89

Pasolini non teme di rivendicare con forza posizioni il ruolo poetico della contrad-

dizione, nella sua posizione fortemente contrastante con il contesto neoavanguardistico

dell'epoca. E se Calvino, da Il Menabò, parla di “mare dell'oggettività” che sommerge

la nuova produzione creativa, col rischio di far scomparire l'urgente opposizione della

coscienza, dell'io (la ricerca delle avanguardie di un grado zero della lingua) Pasolini,

nelle poesie, più che nei romanzi, fa emergere la presenza della coscienza, arriva a pro-

iettarsi sulla realtà, deformandola e modulandola con lo stile, che è luce, passione e

ideologia.

E la sua posizione viene anche messa in versi nella sezione Nuovi epigrammi:

« […] Solo una forza confusa mi dice che un nuovo tempo /comincia per tutti e ci obbliga ad essere nuovi./ For -

se – per chi ha sentito e si è dato – è l'impegno/ non più a sentire e a darsi, ma a pensare e cercarsi, /se il mondo

comincia a finire d'essere il mondo/ in cui già suoi, siamo nati, prima creduto eterno, / poi fertile oggetto di sto -

89 Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 pp.185-186

36

ria: sempre riconosciuto. / Ma anche il tempo della vita è pensare, non vivere, / e poiché il pensare è ora senza

metodo e verbo, /luce e confusione, prefigurazione e fine, /si sta dissolvendo nel mondo anche la pura vita. /

Donchisciotteschi e duri, aggrediamo la nuova lingua/che ancora non conosciamo, che dobbiamo tentare.» 90

Traspare da questi versi il crollo delle certezze legate all'eclissarsi di un mondo tra-

scorso e finito nell'immediato dopoguerra, e l'aprirsi di una nuova epoca, radicalmente

diversa, di ricerca e pensiero, in cui i redattori di “Officina”, destinatari del componi-

mento vengono esortati a una “battaglia” linguistica (e ideologica) per far riemergere

quella “luce di pura vita” che si sta dissolvendo nel fluire caotico e irrazionale di una

società in profonda trasformazione, che vede l'ascesa omologante di una lingua tecni-

co-scientifica.

La luce ritorna anche in una metafora continuata presente nel componimento La

reazione stilistica. La lingua viene presentata come oscura materia che la Ragione ri-

schiara perché venga posseduta come «forma della vita» infinita, nel rifiuto di «unilin-

guismo» e “ purezza” della lingua letteraria piccolo-borghese («La Lingua è oscura /

non limpida – e la Ragione è limpida, / non oscura! Il vostro Stato, la vostra Chiesa, /

vogliono il contrario, con la vostra intesa.»91). La lingua è testimonianza della storia in

quanto realtà infinitamente variegata che non può esser ridotta a uno stile chiuso nel

possesso borghese della lingua, ma deve aprirsi ad accogliere forme di espressività che

contrastino la nuova base tecnologica della lingua italiana92.

Il poeta rivendica la Storia come «realtà irrealizzata», come apertura verso l'ignoto

(«[…] No, la storia / che sarà non è come quella che è stata. / non consente giudizi,

non consente ordini, / è realtà irrealizzata. / E la lingua, s'è frutto dei secoli contraddit-

tori,/contraddittoria –s'è frutto dei primordi / tenebrosi – s'integra, nessuno lo

scordi,/con quello che sarà, e che ancora non è. / E questo suo essere libero mistero,

ricchezza/infinita, ne spezza, /ora, ogni raggiunto limite, ogni forma lecita.93») che ab-

bracci ogni strato della società, soprattutto quello popolare, nel cui linguaggio , non

90 Pier Paolo Pasolini, Ai redattori di Officina da Nuovi epigrammi in La Religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961, p. 120

91 Pier Paolo Pasolini, La reazione stilistica da Poesie Incivili in Id.92 Pier Paolo Pasolini, Nuove questioni linguistiche In Empirismo Eretico, Garzanti, Milano, 2000, p. 1393 Pier Paolo Pasolini, La reazione stilistica da Poesie Incivili in La Religione del mio tempo, Garzanti, Milano,

1961, p. 120 p. 156

37

ancora investito dal processo di tecnicizzazione, prevale ancora il fine espressivo su

quello comunicativo 94. È qui sottesa una metafora che vede emergere una nuova lin-

gua letteraria (da tentare, da costruire) dal buio dei suoi primordi (la tradizione).

Nel momento di transizione storico-sociale in cui si sono sviluppate le avanguar-

die, che corrisponde a un «vuoto della storia», per Pasolini, il loro compito si è esauri-

to nel momento in cui si prende coscienza della rivoluzione linguistica in atto: il loro

sperimentalismo che tende al grado zero della lingua e che attacca il Significato, porte-

rà alla loro stessa soppressione, alla loro morte: l'incomprensibilità.

Pasolini rivendica, invece, un nuovo fine della lotta del letterato, perché venga rin-

novato il suo «mandato»: esso sarà « l'espressività linguistica, che viene radicalmente

a coincidere con la libertà dell'uomo rispetto alla sua meccanizzazione».95 nella pro-

spettiva di una conoscenza politica approfondita della cause che hanno portato a tale

mutamento linguistico: «mai come oggi il problema della poesia è un problema cultu-

rale, e mai come oggi la letteratura ha richiesto un modo di conoscenza scientifico e

razionale, cioè politico» 96

94 Pier Paolo Pasolini, Nuove questioni linguistiche p. 2295 Id. p. 2396 Id. p. 24

38

3.3 Sotto i riflettori del falso progresso

Alla luce di questa contraddizione feconda che attraversa la poetica pasoliniana,

emerge chiaramente,tra i versi dei poemetti delle Ceneri, l'avanzata inarrestabile della

Storia, dello Sviluppo, all'interno di una linearità cristiana e progressista, lume feroce

della tecnica e dell'alienazione, al di qua della cui soglia, ancora per poco, vive l'uma-

nità superstite.

È ora qui opportuno inserire una metafora che attraversa l'intera opera di Pasolini

negli anni: la Storia è anche e soprattutto la storia del Potere, del suo agire sull'umani-

tà, anche e soprattutto sui suoi corpi, nell'operare trasformazioni irreversibili in nome

della crociata del progresso e dello sviluppo.

Pasolini ha studiato e approfondito molto questo tema come emerge, in particolare,

da Salò. Ma durante gli anni '70, gli anni degli Scritti corsari e delle Lettere luterane,

questo “luminoso sviluppo” della storia dà i suoi effetti attraverso , «la riorganizzazio-

ne e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo»97.

«Questa riorganizzazione è consistita in un cambiamento nel vissuto: il cambia-

mento consiste nel fatto chela vecchia cultura di classe (con le sue divisioni nette: cul-

tura della classe dominata, o popolare, cultura della classe dominante, o borghese, cul-

tura delle éllites), è stata sostituita da una nuova cultura interclassista: che si esprime

attraverso il modo di essere degli italiani, attraverso la loro nuova qualità di vita.»98

Si arriva, insomma, alla Società dello spettacolo che Guy Debord aveva preconiz-

zato meno di un decennio prima: «lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello

stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un sup-

plemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell'irreali-

smo della società reale. Nell'insieme delle sue forme particolari, informazione o propa-

ganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il mo-

dello presente della vita socialmente dominante.»99 a tal punto che «l'alienazione dello

97 Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975 p. 5098 Id., p. 5799 Guy Debord, La società dello spettacolo,Massari editore, Bolsena, 2002 p. 44,

39

spettatore a vantaggio dell'oggetto contemplato […] si esprime così: più esso contem-

pla meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno

comprende la propria esistenza e il proprio desiderio. L'esteriorità dello spettacolo, in

rapporto all'uomo agente, si manifesta nel fatto che i suoi gesti non sono più suoi, ma

di un altro che glieli rappresenta. Questo perché lo spettatore non si sente a casa pro-

pria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto. »100

Mentre i sottoproletari vivono in « quella che Chilanti ha chiamato l'età del pane.

Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari, ed era questo, forse che ren-

deva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni

superflui rendono superflua la vita»101, a questo età viene sostituita “l'età dei riflettori”:

«il tipo di uomo o donna che conta, che è moderno, che è da imitare e da realizzare,

non è descritto o decantato: è rappresentato il linguaggio della televisione è per sua na-

tura il linguaggio fisico-mimico, il linguaggio del comportamento.[...] appunto perché

perfettamente pragmatica, la propaganda televisiva rappresenta il momento qualunqui-

stico della nuova ideologia edonistica del consumo: e quindi è enormemente

efficace»102

Questa luce che illumina e rischiara il cammino dell'Italia, non ha, dunque, un va-

lore positivo, non rientra in una visione escatologica verso un paradiso moderno o

un'età di libertà ma, anzi, è una falsa luce, è una luce che è buio, che acceca e fa per-

dere all'uomo la sua dimensione autentica, vera, profonda, arcaica. È qui opportuno

chiamare in causa Georges Didi Hubermann, che a tal proposito ha intuito che, di fatto,

c'è stato un “capovolgimento” dell'inferno dantesco: se in Dante era il paradiso ad es-

sere pura luce, luce empirea e divina e l'inferno, invece, il regno delle ombre e del

buio, «oggi – ci dice Pasolini – viviamo in un inferno di piena luce»103, la luce «“fero-

ce” dei riflettori – del fascismo imperante»104 .

100 Id. p. 53101 Pier Paolo Pasolini, Op. Cit. p. 53102 Id., p. 59103 Georges Didi Huberman, Come le lucciole, Bollati Boringhieri, Torino, 2009 p. 14104 Id.,p. 19

40

3.4 La vis allegorica delle lucciole

In questa continua concatenazione che attraversa il tempo e le opere di Pasolini, la

nuova metafora delle lucciole è particolarmente significativa.

Nel primo febbraio del 1975, a nove mesi esatti dalla sua tragica morte, Pasolini

pubblica sulle colonne del Corriere della Sera il celebre articolo delle lucciole: queste

righe costituiscono una summa del suo pensiero e della sua analisi sull'Italia degli anni

del dopoguerra e della democrazia cristiana.: le lucciole sono scomparse «una decina

di anni fa» (i primi anni sessanta, proprio quelli in cui Pasolini girava Accattone e

Mamma Roma e pubblicava La religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa).

Queste lucciole rappresentano valori della società contadina e paleoindustriale, forme

di vita pure e ancestrali, arcaiche: quello che, appunto, Pasolini ha eternato nelle poe-

sie qui oggetto di studio. Ma la scomparsa delle lucciole rappresenta, dunque, per Pa-

solini, l'identificazione di «quello che allora si chiavava “benessere “ con lo “sviluppo”

e che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio “

di cui nel Manifesto parla Marx.»105, tale genocidio è da identificarsi con la distruzione

e sostituzione di valori nella società italiana « che porta alla “soppressione di larghe

zone della società stessa […] Oggi l'Italia sta vivendo in maniera drammatica per la

prima volta questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così dire fuori della

storia -la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese – hanno subito que-

sto genocidio, ossia questa assimilazione al mondo e alla qualità di vita della borghe-

sia”. 106

Il processo di smembramento, di cancellazione identitaria del sottoproletariato e

della cultura arcaica paleoindustriale può essere spiegata istituendo una nuova metafo-

ra. Le falene sono lepidotteri a volo notturno. Per secoli, esse si sono orientate in volo

seguendo i raggi della luna, in un moto rettilineo e inalterato. Alla comparsa dei lam-

pioni e dell'illuminazione pubblica,poiché la luce dei lampioni si diffonde circolarmen-

105 Pier Pasolo Pasolini, L'articolo delle lucciole, in Op. Cit. p. 130106 Pier Paolo Pasolini, Genocidio, in Op. Cit. p. 226

41

te, esse hanno iniziato a volare intorno, attratte da questa fonte luminosa. Salvo, poi,

morire per il calore sprigionato dalle fonti luminose. Allo stesso modo, il sottoproleta-

riato delle borgate romane, ultima reliquia di un'umanità vissuta sotto “la muta luna”,

in una concezione del tempo arcaica, circolare, si è ritrovato in assedio “accampato

nell'attesa / di farsi cristiano” attorno alla “cristiana città” per eccellenza, Roma, in at-

tesa, speranzoso, del suo ingresso nella luce borghese e cristiana, ignaro, tuttavia, del-

la sorte che lo colpirà, nell'olocausto della tecnica e del benessere diffuso, abbacinato

dal fulgore dei riflettori e dallo splendore delle merci.

Le lucciole, al contrario, come scrive Didi Huberman, sono la testimonianza di una

sopravvivenza, di un barlume di contropotere che rischia di scomparire « nell'acce-

cante bagliore dei “feroci” riflettori: i riflettori delle torri di guardia, degli spettacoli

politici, degli stadi di calcio, dei palcoscenici televisivi»107

Questi valori, profondamente umani, sono rappresentati da quest'umanità liminale,

che per quanto «abbandonata al cinismo più vero / e alla più vera passione; al

violento / negarsi e al violento darsi;» resta «nel mistero // chiara, perché pura e corrot-

ta...»: autentica. La ricerca di questi barlumi la possiamo individuare retroattivamente

nel poema d'esordio de Le ceneri di Gramsci, quando, nel suo volo sulla penisola, il

poeta indugia sulle tracce di quei barlumi dove sopravvive quest'umanità fuori della

storia108.

Anche Giuseppe Calabrese, nel suo libro Pasolini e il Sacro, ha sottolineato che

«l'attenzione è sempre rimasta puntata su quel mondo “altro, eredità di una civiltà arcaica, rimasta inassimila -

ta per lungo tempo dalla storia borghese e ancora impregnata dei caratteri di una vita antica, eppure contempora-

nea, dalla quale sarebbe dovuta germinare la possibilità di un diverso “progresso” rispetto allo “sviluppo” del

neocapitalismo.»109

Nonostante l'abiura dalla Trilogia della vita getti una luce funesta sulla visione po-

litica pasoliniana del futuro, è tuttavia d'obbligo avere fiducia nelle lucciole, nelle so-

pravvivenze. Nelle righe finali dell'articolo sul genocidio, Pasolini apre un varco di

107 Georges Didi Huberman, Come le lucciole, Bollati Boringhieri, Torino, 2009 p.21108 Cfr. A 1, 10, 17109 Giuseppe Conte Calabrese, Pasolini e il sacro, Jaca Books, Milano,1994 p.22

42

speranza: «Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all'an-

goscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero

cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui,

tra voi, a parlare.».110

Anche Didi Huberman vede in queste piccole sopravvivenze luminose la metafora

di nuova vita:

« sarebbe questa, in conclusione, l'infinita risorsa delle lucciole: il loro ritirarsi, quando è “forza diagonale” e

non un ripiegarsi su se stesse; la loro comunità clandestina di “scintille di umanità”, quei segnali inviati per inter -

mittenze; la loro essenziale libertà di movimento, la loro facoltà di fare apparire il desiderio come ciò che è indi-

struttibile per eccellenza[....] sta a noi non vedere scomparire le lucciole. Ma per fare ciò dobbiamo acquisire la

libertà di movimento il ritirarsi...che non sia ripiegamento su noi stessi, la facoltà di fare apparire scintille di

umanità, il desiderio indistruttibile. Noi stessi […. ]dobbiamo dunque trasformarci in lucciole e riformare, così,

una comunità del desiderio, una comunità di bagliori, di danze malgrado tutto, di pensieri da trasmetter. Dire sì

nella notte attraversata da bagliori, e non accontentarsi di descrivere il no della luce che ci rende ciechi.»111

Come osserva Asor Rosa, Le ceneri di Gramsci è un'opera in cui Pasolini tenta di

« realizzare un discorso parenetico, a cui non sono estranee le suggestioni della letteratura civile e progressi -

sta, nata dall'antifascismo e dalla Resistenza. Nei momenti di maggiore accensione, cioè quando il poeta si trova

in presenza di attività di vita popolare (sesso, canto, allegria), un tono epico penetra nell'esortazione e nel rim-

provero, e ne costituisce l'asse di opposizione, la variante interna sempre disponibile.»112

e non è un discorso privo di un messaggio positivo di speranza, di salvezza per l'u-

manità del sottoproletariato. La ritroviamo nei versi finali de Il canto popolare, quan-

do, rivolgendosi al «ragazzo del popolo che canti», scrive: «...Nella tua incoscienza è

la coscienza/che in te la storia vuole, questa storia / in cui Uomo non ha più che la vio-

lenza/delle memorie, non la libera memoria[...] / e ormai, forse, altra scelta non ha /

che dare alla sua ansia di giustizia / la forza della tua felicità, / e alla luce di un tempo

che inizia / la luce di chi è ciò che non sa.»113

110 Pier Paolo Pasolini, Genocidio, in Op. cit. p. 229111 Georges Didi Huberman, Come le lucciole, Bollati Boringhieri, Torino, 2009 p.92112 Alberto Asor Rosa, Pasolini in Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura, Einaudi, Torino, 1965. p.

376113 Pier Paolo Pasolini, Il canto popolare.in Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957 p. 16

43

Pasolini sembra quindi prospettare un domani in cui alla «luce di un tempo che ini-

zia», ovvero il tempo della rivoluzione borghese, frutto della storia violenta, si sostitui-

sca «la luce di chi è ciò che non sa»114 ovvero di quel vitalismo e allegrezza che con-

traddistinguono il popolo nel suo aspetto più genuino. Come giustamente osserva Ca-

labrese, il sottoproletariato vive il mondo in un modo altro rispetto al modo di vivere

borghese o proletario, in cui «La coincidentia oppositorum di benefico e malefico ap-

pare riflessa nella mentalità e nella cultura del sottoproletariato che la traduce nelle

modalità di comportamenti variabili, senza mediazioni, dall'infimo al nobile, dall'ab-

bietto al dignitoso, dal meschino al generoso, dal basso all'alto, proprio nella perma-

nenza e nell'attraversamento del “basso».115

Proprio per questo, il sottoproletariato ha in sé, in potenza, una carica vitalistica ri-

voluzionaria, è una classe sociale pericolosa per la classe dominante, in quanto porta-

trice di una cultura «diversa e più integralmente umana, non omologata al “valore” e

al potere”».116

Ma proprio poiché varia e variegata, la luce assume anche valori opposti all'interno

della produzione poetica dell'autore. Ne La Religione del mio tempo troviamo spesso

occorrenze in cui l'elemento luminoso è metafora di un futuro positivo, pregno di idea-

li civili e politici: troviamo ciò attestato, in particolare in La resistenza e la sua luce117,

dove, nella rievocazione biografica del periodo della resistenza (il trasferimento a San

Giovanni, l'arruolamento del fratello fra le linee della brigata Osoppo) la ripetizione

epiforica sembra rimandare a un'antifrasi tra il passato periodo della resistenza, in cui

futuro era luminoso e ricco di ideali, e il buio presente, in cui questi ideali di giusti-

zia118 non hanno trovato realizzazione. Quest'opposizione luminoso futuro-buio presen-

te riemerge anche nei versi finali di Comizio, dove il fratello Guido, in una descrizione

quasi cristologica perché martire della resistenza, prova pietà per il nostro futuro, ed è

costretto a «mendicare un po' di luce per questo / mondo rinato in un buio mattino».

114 Pasolini, id., p. 18115 Giuseppe Conte Calabrese, Op. cit. p. 97116 Id.p. 98117 Cfr. B 15118 Cfr. B 16

44

Anche in Pietro II, abbiamo un'immagine simile: durante una partita al Trullo con

dei ragazzi delle borgate si trasforma in una surreale gioco con intellettuali e amici di

Pasolini, che vede i ragazzini trasformarsi in Moravia, Morante, Garboli,

Bertolucci,Carlo Levi, Bassani, Roversi, Leonetti, Gadda, Fortini, Contini... il poema

si chiude con una domanda epigrammatica: «Chi ha detto che il Trullo è una borgata

abbandonata?le grida della quieta partitella, la muta primavera, non è questa la vera

Italia, fuori dalle tenebre?» l'Italia migliore, quella non avviluppata dalle tenebre del-

l'irrazionalismo illuministico, è quella degli intellettuali e dei borgatari, di chi, cioè, è,

pur essendo agli antipodi, al di fuori di questa falsa luce, o se ne chiama fuori: il ragaz-

zino che non ha coscienza di sé né della propria classe all'interno della società e l'intel-

lettuale che, per un moto interno della propria coscienza, la rifiuta. La purezza unisce

gli antipodi.

E andando più avanti, nel poema che dà nome alla raccolta Poesia in forma di

Rosa, Pasolini ci regala versi solari e positivi: «...miliardi di viventi, /una dolce mattina

si desteranno,/ al semplice trionfo delle mille mattine della vita, // con la maglia

riarsa... con l'umido/del primo sudore...felici–essi– / felici! Essi soltanto felici!//essi

soltanto possessori del sole! / lo stesso sole del barbaro/che nel medioevo discese // e

dalle gole dei monti, dalle ombre / della neve si accampò, / sull'erba nera e folta / catti-

va e felice degli argini d'aprile. // Solo chi non è nato, vive! Vive perché vivrà, e tutto

sarà suo, / è suo, fu suo!»119

Questi versi, scritti al ritorno da un viaggio di Pasolini in Africa, permettono di

compiere un volo pindarico sul pensiero di Pasolini, il quale, proprio nel volume Poe-

sia in forma di Rosa si fa profeta della Nuova Preistoria, di questo periodo storico in

cui il neocapitalismo e il consumismo edonista avrebbero determinato, con la “muta-

zione antropologica” conseguente, l'inizio di un diverso periodo storico. Questi versi,

che concludono il poema, sembrano aprire, tuttavia, una prospettiva di liberazione fu-

tura, al di là dell'imminente ingresso in questa nuova epoca. Questa liberazione avvie-

ne sotto il segno del sole, costante di ogni panorama pasoliniano120 ed elemento che ri-

119 Pier Paolo Pasolini, Op. Cit. p. 63120 Marco Antonio Bazzocchi, Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 2002 p. 180

45

corre moltissimo. Nello specifico, il sole, che assurge a simbolo di autenticità121, mette

in collegamento il remoto futuro con il remoto passato, dove un “barbaro” medievale

scende dai monti (forse un'anticipazione sulla figura del cannibale in Porcile): il futuro

diventa luminoso risveglio e riappropriazione del mondo in un momento collettivo di

vita e felicità che non può non collocarsi che in questo rimando a un altrove temporale:

«La “Nuova preistoria”, cioè, si colloca nel punto di trapasso tra l'estremo approdo

della disumanizzazione e alienazione neocapitalistica, l'estinzione di un'intera civiltà, e

l'avvento di una nuova “aurora”; essa riterrà così, ora dell'uno ora dell'altro momento,

pur tendendo a proiettarsi in un luminoso futuro, ormai irraggiungibile per il poeta. »122

121 Cfr. p. 68122 Gian Carlo Ferretti, La “disperata vitalità” di Pasolini, ne La letteratura del Rifiuto, Mursia, Milano 1968 p.122

46

«Così la neve al sol si disigilla;

così al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla.»

Dante, Paradiso, XXXIII

47

Capitolo IV

Luce mistica

La luce intrattiene un rapporto strettamente legato alla sfera della passione e del sa-

cro, sia perché la luce fa emergere ciò che è sacro, sia perché essa è spesso simbolo di

un principio vitale, intimo, e di purezza123. La parola poetica è segno di una manifesta-

zione di energia vitale124

Nel poema A un ragazzo, dedicato al giovane Bernardo Bertolucci, figlio del poeta

Attilio, con cui Pasolini era legato da profonda amicizia, la luce allude a un rapporto di

piena armonia con il mondo, di pieno accordo con la natura 125, di pura genuinità, di

chi guarda alla vita con gli occhi pieni di stupore e curiosità «Noi dovremmo chiedere,

come fai tu, dovremmo / voler sapere col tuo cuore che si ingemma» e che trova rispo-

sta nella poeticità, simboleggiata dalla luce crepuscolare di un tramonto friulano. Ri-

corda un rapporto col mondo mitico, una sorta di vitalismo panico, di compartecipa-

zione alla realtà circostante, proprio come poteva essere il rapporto del poeta col ma-

terno Friuli (che non a caso è più volte presente assieme al doppio filo che lega, negli

occhi del poeta, il giovane Bertolucci al ricordo del fratello Guido) e che Asor Rosa

ha ricordato con questa bella immagine: «Il poeta nasce dunque come voce di natura,

come creatura d'acqua, d'erba e di pioggia.»126. In opposizione a chi vive al di fuori del

mondo della storia, l'ombra che ingombra il petto dei più grandi, di chi sente la vita ve-

nir meno nel suo aspetto poetico e luminoso. Perché la luce è poesia, una poesia inte-

riore che nasce dal buio della vita: «Alle volte è dentro di noi qualcosa / (che tu sai

bene, perché è la poesia) / qualcosa di buio in cui si fa luminosa // la vita: un pianto in-

terno, una nostalgia / gonfia di asciutte, pure lacrime...»127.

È grazie alla poesia, dunque, che la vita acquisisce la sua bellezza e la sua carica

123 Cfr. S 9, 10, 12 e 16

124 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007 p.158125 Cfr. S 14126 Alberto Asor Rosa, Storia Europea della Letteratura Italiana, Einaudi, Torino, 2009, p. 461127 Da La guinea in Poesia in forma di rosa,P.P. Pasolini, Garzanti, Milano, 1963 p. 8

48

vitalistica, per quanto questa si manifesti nella forma di un pianto interno, di una no-

stalgia gonfia di asciutte, pure lacrime: quest'ossimoro (che tradisce anche la spropor-

zione tra la pienezza di sentimento e le parole) ci permette di collegare la luce al mo-

mento di creazione del poeta, ovvero al sentimento primigenio da cui distillano lacri-

me di poesia: la passione ab joi.

Nel componimento Al Sole, interamente attraversato dalla presenza della luce, leg-

giamo l'espressione «lume infinito» («Obbediente, sincero, atterrito, / non dovevo es-

sere buono, ma santo, / non uomo, ma gigante, / non elegante, ma puro, squisito,/dove-

vo cercare un linguaggio, / a esprimere quel mio intimo lume infinito, / che fosse estre-

mo: ingenuo appannaggio dell'agio borghese, dell'antiborghese coraggio»128) che sem-

bra alludere alla “passione”, a quest'energia intima che esprime gioia, un eccesso di

amore per la vita, disinteressato129: un amore che tutto illumina proprio in quanto tale.

E questo sentimento assume le forme dell'immagine, della parola o del verso in virtù di

una separazione, di una lontananza dall'oggetto amato: « nostalgia della vita che au-

menta, accresce l'amore per la vita, un sentimento di esclusione dalla vita che è la con-

dizione per poterla vivere ab joi, cioè nella distanza, nell'allontanamento, nella separa-

zione, perfino nell'esclusione. E se il bello, come l'amore e la gioventù, è ciò che dà

gioia, questo bello non può essere sentito, provato nella carne, patito, se non assumen-

dolo come da sempre già perduto. C'è accrescimento della vita solo là dove la vita pare

svanire: perciò la passione ab joi della vita è la malinconia.»130

Questo amore panico di Pasolini nelle poesie si traduce, come ha scritto Agosti, in

una volontà di dizione totale della realtà (dall'alto al basso, dall'umile all'elevato), di-

zione che avviene per mezzo della luce, la quale unisce la realtà al sentimento: quello

di Pasolini è «un allucinato, infantile amore per la realtà. Religioso in quanto si fonde

in qualche modo, per analogia, con una sorta di immenso feticismo sessuale, lo stesso

inconsulto amore per la realtà...mi fissa davanti ai vari aspetti (un viso, un paesaggio,

un gesto, un oggetto) quasi fossero fermi e isolati nel fluire del tempo; la ragione della

semplificazione.. è il mio modo di vedere la realtà come un'apparizione sacrale. E la

128 Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 p. 161129 Cfr. S 6130 Pasolini, gli stili della passione di Raoul Kirchmayr, in Aut Aut 345 Inattualità di Pasolini Gennaio-Marzo 2010 Il saggiatore , Milano 2010 p. 39

49

sacralità è molto semplice; evidentemente il mio sguardo verso le cose del mondo, ver-

so gli oggetti, è uno sguardo non naturale, non laico»131

Più chiaramente ancora Pasolini ne parla chiamando in causa direttamente la luce:

«Io la chiamo sacralità; e la posso in modo schematico ed elementare schematizzare così: la mia incapacità

di vedere nella natura la naturalezza. Ad altri le cose, la realtà, appaiono normali, naturali. Ma a me tutto sembra

investito da una specie di luce importante, particolare, che è appunto meglio definire “sacrale”: e questo determi-

na il mio stile, la mia tecnica.»132

È una dichiarazione di poetica importante che ripropone ancora una volta la luce

come elemento primigenio nell'atto creativo di impossessamento del reale da parte del

poeta, che investe tutta la realtà di questo sacro, luminoso sentimento poetico: Bazzoc-

chi ha giustamente sottolineato che la sacralità del reale, che Pasolini conosce sin dai

primi versi, nasce da una premessa letteraria, la disposizione poetica insita in chi guar-

da fa emergere il sacro, e alla sua base vi è la parola poetica come «segno di un impul-

so originario, manifestazione di energia vitale, soffio e grido insieme»: la parola poeti-

ca è sacralità, capace di unirsi con l'altro elemento sacro che è il corpo.133

Il rapporto della luce col sacro, infatti, è doppiamente confermato dall'occorrenza

simbolica di tale elemento, che induce a intravedere una possibile influenza del misti-

cismo neoplatonico, quasi una sorta di ipostasi: l'anima, o il principio vivificante, è

spesso indicato attraverso sinonimi della luce134 che diviene il simbolo di un centro

pulsionale d'energia, di vita.

In Una luce, poi, si esprime questo afflato divino, questa tensione sacrale verso la

vita, che si oppone al caos e alla disperazione, alla difficoltà di comprendere il mondo

e la storia nella sua illuministica irrazionalità. Al simbolo della luce vengono date le

fattezze di una Donna che riassume in sé la caratteristica di madre e bambina, che vie-

ne spesso indicata attraverso metafore appartenenti al campo semantico della natura

(«[...]nella dolcezza del gelso e della vita // o del sambuco, in ogni alto o misero /segno

131 Walter Siti, Op. cit. p. 98132 Pier Paolo Pasolini, Incontro con Pasolini, Note schedario n. 4, 28 aprile 1969133 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007 p.158134 Cfr. S 2, 6,7,12, 13, 17

50

di vita, in ogni primavera, sarai / tu; in ogni luogo dove un giorno risero, // e di nuovo

ridono, impuri, i vivi, tu darai la purezza...»135) e che la trasfigura in una madre ance-

strale, universale, panica: la presenza della morte e il tempo futuro dei verbi (in oppo-

sizione all'attenzione del poeta verso un passato mitico, trasfigurato) esprimono la ten-

sione verso un ricongiungimento al grembo materno della Natura. E l'importanza della

figura della madre è stata messa in evidenza da Walter Siti quando afferma che la natu-

ra viene concepita come una sostanza divinamente intatta, un territorio incantato

(come si vede anche nella sequenza onirica presente in Il pianto della scavatrice) che

altro non è che il corpo della madre, dilatato e diventato paese.

E la religione è un punto capitale del pensiero di Pasolini: la sua visione del mon-

do, che Calabrese ha più volte ribadito essere immanente, quasi spinoziana o, meglio,

goethiana: in cui la natura è avvertita quale immanente totalità «che nell'esprimersi

mediante molteplici linguaggi mantiene segreto il suo codice primario»136. Essere reli-

giosi significa essere sensibili all'appello del sacro, a questo sentimento che implica

presenza e assenza assieme, presenza in tutto il vario dispiegarsi del reale, assenza

nella conoscenza della sua intima logica e meccanica:

«l'homo religiosus pasoliniano... nel concepire la realtà come sacra tenta di aderirvi mantenendosi aperto alla

rivelazione di quello che essa mostra nascondendosi. E il “misticismo” è per Pasolini la prova della volontà del-

l'uomo di essere tutt'uno con i cicli del cosmo e, nel tentativo di giungere a una totale identificazione con esso, di

aspirare a diventarne parte integrante e condividerne intimamente la sacralità. » 137

La luce è il medium attraverso cui la ierofania ha luogo. È su di essa che il poeta fa

aderire il suo sentimento, aprendo un varco nel mistero del mondo per mostrarne tutta

la sua grande bellezza.

135 Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 p. 106136 Calabrese, Op. Cit. p. 112137 Calabrese, Op.Cit. p. 40

51

4.1 La luce del Sole

Il sole è l'elemento luminoso che è più presente nelle poesie di Pasolini, nonché

nella sua cinematografia. Ciò dà a tale elemento una posizione di rilievo primordiale e,

come la luce si declina in variate atmosfere e partecipa di diverse natura, così il Sole e

la sua luce assumono valenze differenti allo stesso tempo positive e negative, sacre e

profane, atmosferiche e simboliche.

All'interno dei panorama cinematografici, il sole è pressoché onnipresente. Nei

campi lunghi e lunghissimi in esterno, la luce del sole è l'elemento su cui l'attenzione

del poeta-regista si posa di più, tanto più che fare cinema è una questione di sole138

perché «[...] solo il sole / imprimendo pellicola può esprimere / in tanto vecchio odio /

un po' di vecchio amore»139. Quest'attenzione verso la luce del sole la ritroviamo,

infatti, nella sezione Poesie Mondane all'interno di Poesia in forma di rosa, quelle

poesie, cioè, che sono state scritte durante le riprese di Mamma Roma e La Ricotta.

Momento di grande sacralità lo ritroviamo nella scena del sogno di Accattone, in

cui, sognando la propria morta, chiede al becchino di scavare la sua fossa nella «luce

radiosa, sconfinata, che evapora nell'azzurro di una estate piena di sole fermo e conso-

lante»140.

Questo episodio può essere letto come la volontà di Accattone di morire e rigene-

rarsi, di accettare la sua fine terrena per entrare in un ciclo cosmico di rinascita, simbo-

leggiato, appunto, dalla luce del sole. Si concretizza così la metafora ispirata alla meta-

fora del chicco di grano che deve morire per dare la vita. È questo, secondo Calabrese,

il modo che i sottoproletariato ha per enunciare il proprio essere depositari del sacro:

«la morte dei protagonisti dei romanzi e dei film di Pasolini è l'unica alternativa che

hanno per enunciare il sacro in una storia che non li riconosce per tale disposizione»141.

138 Cfr. supra n. 150139 Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di Rosa, Garzanti, Milano, 1963 p. 23140 Pier Paolo Pasolini, Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006 p. 220141 Id.,p. 100

52

La presenza del sole ritorna in più poesie anche all'interno di un'immagine

ricorrente: il sole che risplende sull'orizzonte del materno Friuli e delle povere borgate,

metafora della «luce del futuro», «dell'acerba luce della Resistenza»142, di «Giustizia»143.

Altresì, il sole fa parte del paesaggio delle borgate, ne è un elemento costitutivo. La

sua presenza conferisce a tale ambiente delle connotazioni esotiche e sacrali. I giovani

corpi dei borgatari illuminati dalla luce del solleone vengono poi ricercati da Pasolini

tra l'Africa, l'Asia e il Mediterraneo, tra quelle popolazioni che vivono «a livelli

d'esistenza di sole, in pienezza / e tra baracche e sterri, / prati zeppi di canne e

d'immondezza»144. La presenza del sole collega, infatti, le borgate romane ai paesaggi

del meridione e del Nord Africa (si veda la sezione L'alba meridionale in Poesia in

forma di rosa o La Terra di lavoro, La resistenza e la sua luce...). Il sole, che avvolge

ogni aspetto del reale, gli dona una particolare atmosfera, tale da farla diventare

simbolo di autenticità, un'autenticità sacrale e religiosa, vissuta in un tempo

irrimediabilmente relegato nell'Altrove: il sole diviene simbolo di un tempo passato

sospeso. Da «l'indorarsi quieto del mezzogiorno» che «pareva eternare ogni cosa

all'intorno»145 al sole «ferocemente antico» che posa le sue «antiche ali» 146 con un

biancore «gioiosamente romanico, perdutamente barocco»147 , la luce del sole sembra

riferirsi a una dimensione Urcronica in cui solo lì è possibile l'identificazione di Realtà

e Verità. È una dimensione mitica, in cui il passato remoto sfuma in futuro anteriore: lo

ritroviamo, per esempio, nella metafora citata nel capitolo precedente148 di un

“luminoso futuro di liberazione” dell'umanità.

Il sole del futuro, metafora della liberazione, è lo stesso sole del barbaro che

discese nella civiltà. La figura del barbaro è stata presentata da Bazzocchi come

momento di vivere autentico: punto di fusione tra cultura e natura, Realtà come

142 Pier Paolo Pasolini, Al Sole in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 p. 106143 La resistenza e la sua luce, in Id. p. 59144 Pier Paolo Pasolini, Al Sole in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961 p. 159145 Cfr. A 20146 Pier Paolo Pasolini, Poesie mondane in Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano, 1963, p.19147 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere in Op. Cit. p. 107148 Cfr. p. 59

53

circolarità e illimitatezza, non come linearità (spaziale e temporale dei fatti) e storia

(ordine del tempo), quindi illusione e alienazione. 149

Il reale che urta con tutta la sua urgenza lo ritroviamo in molte delle poesie in cui il

poeta mette a nudo se stesso e la propria interiorità. Il sole è anche e soprattutto un

elemento che ha a che fare con la realtà della visione: il sole e la luce sono legati

all'evidenza della verità e all'urto della realtà sulla scrittura150. Ne abbiamo un esempio

in Le belle bandiere, dove alla regressione onirico-interiore si accompagna la presenza

ossessiva, esteriore e surreale del sole (« “ma no! Ma no! È solo un sogno! / la realtà /

è fuori nel sole trionfante, / nei viali e nei caffè vuoti, nella suprema afonia delle dieci

del mattino, / un giorno come tutti gli altri, con la sua croce!”» )151, nella cui luce

prendono forma le esistenze poetiche di amici e familiari che, sotto il biancore del

sole, (un biancore mitologico), vengono trasposti in presenze positive durante una

regressione onirica alla stagione trascorsa delle “belle bandiere”, metonimia per la

stagione degli ideali e delle alte speranze rivoluzionarie.

Il poeta si interroga sulla realtà, che assume i caratteri di «un sogno fatto dentro un

sogno», quella realtà che è diventata un'estensione illimitata del proprio io, del proprio

corpo: «tutto il mondo è il mio corpo insepolto»152. Emerge una tensione panica di

Pasolini a confondersi con il mondo, e la luce è l'elemento che ne suggella l'unione,

che guida l'io alla scoperta del mondo, nel quale vi si riconosce e a cui

contemporaneamente resta estraneo. Il suo è un mondo di «sole e solitudine»153, dove

appunto il sole pare essere l'elemento che costruisce parimenti il mondo della realtà (la

storia e gli ideali) e della fuga dalla realtà (il sogno e le illusioni).

Nella scrittura delle poesie, Pasolini va alla ricerca di quest'atmosfera, anche

esteticamente, sempre cercando di tener fede, attraverso il medium di cui si serve (la

celluloide come il verso), a quell'impressione di autenticità che vuole trasmettere154. La

sua produzione e il suo stile sono improntati a non avere soluzione di continuità tra

149 Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 185150 Marco Antonio Bazzocchi, Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p.181151 Pier Paolo Pasolini, Ibid. 152 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere in Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano, 1963 p. 107153 Pier Paolo Pasolini, La persecuzione in Op. Cit.p. 71154 Cfr. A 65

54

l'espressione e il reale, ma anzi egli è sempre teso a cercare di colmare questo

inevitabile scarto con l'espressività (come si è visto nel capitolo secondo). 155 In questo,

il sole assume una presenza ossessiva: se è tramite il sole che il reale viene scritto sulla

carta che brucia della celluloide, egli cerca anche di partecipare verbalmente alla sua

essenza, di trasmetterla nello sperimentalismo del verso.

Infine, se, da una parte, il sole viene percepito come centro positivo di energia

vitale 156 , presenza che tutto osserva e vivifica; dall'altra perde le sue caratteristiche

positive, diventa, metaforicamente, un “buio sole”. Il poeta, deluso e amareggiato

«nell'ombra-luce della storia» che vede il dilagare della «mutazione» e il genocidio di

quell'umanità che tanto amava, è come se ponesse un filtro funereo sul sole, simbolo di

un'ideale da perseguire nell'impegno e nella lotta, che diviene quindi oggetto di una

regressione onirica, di rifiuto del mondo.

155 Cfr. S16156 Cfr. A 23, 24, 25, 33

55

Conclusioni

Sulla base di quanto indagato in questa ricerca, possiamo affermare che la luce

nelle opere di Pasolini, e in particolare quelle poetiche oggetto d'analisi, è presente in

più livelli.

Il primo, che si può definire estetico-fenomenologico, comprende un uso della luce

altamente figurativo, in stretto rapporto con l'immagine. E ciò è vero in quanto

Pasolini è un poeta che pone nell'atto del vedere la radice della propria ispirazione

poetica. La sua attenzione verso il mondo, il suo costante interesse per la realtà che lo

circonda, passa attraverso lo sguardo. E con lo sguardo, che il sentimento filtra, la

realtà arriva ad impressionare l'anima. E dall'anima sgorga la poesia. Non sorprende,

dunque, che in Pasolini la luce sia un elemento pressoché costante, quasi ossessivo,

che attraversa l'intera sua produzione in versi con una vivida e vivace presenza: si è

potuto apprezzare la poliedricità della luce, elemento che esprime la potenza

espressiva delle poesie, generata a sua volta dalla forza espressiva contenuta

nell'immagine, frutto della tensione spirituale che l'ha creata e del rigore creativo che

l'ha determinata.

Questo livello presenta un forte punto di contatto con l'universo figurativo di cui il

poeta diviene erede attraverso le lezioni di storia dell'arte di Longhi, in particolare per

quanto riguarda lo stile espressionista delle raccolte Le ceneri di Gramsci e La

Religione del mio tempo, che ha forti analogie con la pittura masaccesca e

caravaggesca, soprattutto per quanto riguarda i toni “chiaroscurali”, che stimolano la

percettività del lettore/spettatore verso la materialità del mondo e la corporeità

dell'Uomo. Il linguaggio “bifronte” del cinema e delle poesie è unito da questo modus

videndi: l'opposizione di luci e ombre delle lente inquadrature tende a mettere in

evidenza la corporeità degli attori, che spesso condividono l'aura sacrale di alcuni

dipinti ;così come la figuratività del linguaggio tende a far emergere l'urgenza dello

sguardo sul reale. Tale figuratività si esplica attraverso l'uso di figure retoriche quali

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l'ipotiposi (che diviene spesso écfrasis), l'antitesi e, soprattutto, l'ossimoro. Proprio

l'ossimoro si pone come figura chiave dello stile di Pasolini in quanto rispecchia

l'intimo contrasto interno che anima lo spirito del poeta, il suo modus vivendi: la sua

diversità e la sua atipica posizione nel panorama intellettuale dell'Italia del secondo

dopoguerra ne fa una figura di spicco dotata di uno spirito d'osservazione del tutto

peculiare, capace di far emergere la sacralità del mondo nei suoi aspetti più umili e il

feroce grido di denuncia alla società italiana perché prenda coscienza della deriva

alienante verso cui è diretta.

L'insistenza parossistica sulla luce che illumina il reale, il luogo, l'assolutamente

determinato, fanno sì che il poeta riesca a trasmettere verbalmente un'atmosfera che

raggiunge vette di alta poeticità e, soprattutto, contribuisce a trasfigurare il reale in

universale. La Roma delle borgate, nella sua presenza cronachistica, diviene teatro di

un'umanità liminale, antropologicamente differente, capace di resistenza alla dilagante

mutazione antropologica che investe l'Italia negli anni della produzione poetica

pasoliniana qui analizzata, e che presto ne sancirà la scomparsa.

L 'elemento luminoso nella sua intensità, poi, attraversa la soglia estetico-

fenomenologica per divenire allegoria, secondo livello in cui è presente la luce: la

trasfigurazione del reale in universale rientra in un'architettura metaforica che vede la

luce assumere valori diversi, spesso opposti. In generale, possiamo affermare che la

luce nel suo valore metaforico sta ad indicare un altrove temporale, che sia quello della

Storia, come quello di un tempo sospeso di speranza, già trascorso e di là da venire. Da

una parte occorrono metafore che stanno ad indicare il presente accecato dalla falsa

luce dello Sviluppo alienante, dall'altra la luce è metafora di un tempo di là dal tempo,

urcronico, di redenzione e giustizia, di verità, di umanità autentica. Quel che è

interessante rilevare è come tale visione poetica della società capovolga il sistema

metaforico dantesco: se nella la luce ha sempre assunto un valore positivo di

compartecipazione al divino, all'empireo, come meglio appare nel Paradiso di Dante,

Pasolini capovolge questa metafora per dirci che viviamo in un buio presente,

illuminato da una luce artificiale che è buio. La Storia è, quindi, capovolta nelle sue

57

magnifiche sorti e progressive. E chi assume un valore positivo all'interno di questo

sistema sono le lucciole, barlume nel buio della Storia: i sottoproletari quali testimoni

(impazziti) di una vita pre-industriale in cui l'Uomo è ancora tale, indice di un

genocidio imminente. E sebbene viviamo nel tempo presente, allorché il genocidio sia

già compiuto, Pasolini ci insegna a scrutare nel buio alla ricerca di quei barlumi di

resistenza che tuttora esistono. E il suo disperato grido di vitalità non rinuncia a un

possibile capovolgimento di tale situazione: da La religione del mio tempo a Poesia in

forma di Rosa la luce sta spesso a indicare il superamento della Nuova Preistoria e il

raggiungimento di una nuova Epoca illuminata da un nuovo sole di Giustizia e felicità.

Proprio il Sole unisce il secondo livello con il terzo, in cui i concetti storico-critici

dell'allegoria che sottostanno la metafora della luce sfumano verso la sintesi e l'unità

del simbolo. Questo livello comprende tutte le ricorrenze in cui la luce occorre in

luogo di un principio vitalistico che assume in sé le caratteristiche di purezza e

passione. Quest'aspetto avvicina la presenza della luce a una visione “sacrale” del reale

che mette in collegamento Uomo e Natura. Traspare un afflato religioso laico e

terreno, sotto il segno del Sole, quasi a voler riprendere una certa religiosità solare

tipica della classicità ellenistica e di un pensiero meridiano e archetipico la cui

presenza nell'opera di Pasolini potrebbero essere un interessante oggetto di studi.

In queste pagine conclusive, si è cercato di isolare la presenza della luce in Pasolini

volendola dividere per livelli qualitativi. Tuttavia, è necessario specificare che nella

concretezza retorica del verso vi è commistione e compartecipazione di più livelli,

unificati da e nello stile, unicità del proprio stare-nel-mondo.

58

Apparato Iconografico

59

Figura 1: Fotogramma dal film Mamma Roma «« La luce è monumentale,/forza, forza, approfittiamone, forza/il cinquanta e il carrello a precedere: /vengono Mamma Roma e suo figlio,/verso la casa nuova, tra ventagli/di case, là dove il sole posa ali/arcaiche: che sfondi, faccia pure/di questi corpi in moto statue/di legno,[...]»

Figura 2 Fotogramma dal film Mamma Roma; si noti la somiglianza con Fig. 8«figure masaccesche/deteriorate, con guance bianche/bianche, e occhiaie nere opache/-occhiaie dei tempi delle primule,/delle ciliege,delle prime invasioni/barbariche negli “ardenti/solicelli italici”»

60

Figura 3Fotogramma dal film Mamma Roma «sono altari/queste quinte dell'Ina-casa, /in fuga nella Luce Bullicante/ a Cecafumo.»

Figura 4 Fotogramma dal film Mamma Roma

61

Figura 5: Fotogramma dal film Accattone

62

Figura 7 Fotogramma dal film Accattone, scena

Figura 6: Fotogramma dal film Accattone

63

Figura 8: Masaccio, La trinità, Firenze, Santa Maria Novella, particolare

Figura 9: Masaccio, Il tributo della moneta, Firenze, Cappella Brancacci, particolare

64

Figura 10: Masaccio, San Pietro risana i malati con la sua ombra, Firenze, Cappella Brancacci, particolare

65

Figura 12: Caravaggio, Cena in Emmaus, Milano, Pinacoteca di Brera, cm 141 x 175

Figura 11: Caravaggio, La Morte della Vergine, Parigi, Museo del Louvre cm 369 x 245

66

Figura 13: Piero della Francesca, Le storie della Vera Croce, Arezzo, San Francesco

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Saggi sull'arte e la letteratura, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2003

Empirismo Eretico, Garzanti, Milano, 2000

Per il Cinema, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano, 2001

Accattone- Mamma Roma – Ostia,Garzanti, Milano, 2006

Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975

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Marco Antonio Bazzocchi, L'italia vista dalla luna, Bruno Mondadori, Milano, 2013

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Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Bologna, Il Mulino

Giovanni Beltrami, Gli strumenti della Poesia, Bologna, Il Mulino

Enciclopedia Treccani

69

Appendice

Luce atmosferica o di decoro ( A ):

A1) «...[luce della luna] tiepida sulla lucchesia dai prati // troppo umani, cocente

sulle rive / della Versilia...»157

A2) «E vi si sbianca l'Italia da Pisa/ sparsa sull'Arno in una Morta festa/ di luci, a

Lucca pudica nella grigia/ luce della cattolica, superstite/ sua perfezione...»158

A3) «...Non vi accende/la luna che grigiore, dove azzurri/gli Etruschi dormono...»159

A4) «...Ciampino// abbagliato sotto sbiadite stelle...»160

A5) «...dalla provincia viziosa ai cuori//bianchi dei globi dei bar salaci/delle

periferie cittadine»161

A6) «...sotto le sue palpebre, nel suo/ sonno, incarnata, la terra alla luna / ha un

vergine orgasmo nell'argenteo buio // che sulla frana dell'Appennino sfuma/ scosceso

verso coste dove imperla il Tirreno o l'Adriatico la spuma.»162

A7) «...dove i lumi/ingialliscono la calda atmosfera...»163

A8) «Nelle sere non più torce ma globi/ di luce, e la periferia non pare /altra, non

altri i ragazzi nuovi...»164

A9) «Nel tremito d'oro,domenicale... »165

A10) « [la nazione]... sembra arda/ di popolare gioia, ed è una noia/irreligiosa che

solare si sparge// sui floreali gessi e i gran ventagli/degli scalini.»166

A11) «se le sere ormai fonde/tremano agli ultimi brusii poetici// di mera vita»167

A12) «...un palco sta su essa, coperto di bandiere,/del cui bianco il bruno lume fa//un

sudario...»168

A13) «[….] e si espande da esso iridescente il bitume//sui tuoi Cristi inchiodati tra

157Pier Pasolo Pasolini L'appennino, ne Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957, p.3158Ibid.159Id., p.4160Id.,p.6161Id., p.7162Ibid.163Id.,p.8164Da Il canto popolare, in Op.cit.. p.14165Da Picasso, in Id., p. 17166Ibid.167Da Comizio, in Id., p. 16168Id.p.17

70

falde /di luce franata[...]»169

A14) «[...] la trebbia scuote col massiccio brivido/tettoie e stalle, in un ringhio

osannante,/impastato di luce, di sudore umano/...»170

A15) «Non è di maggio questa impura aria / che il buio giardino straniero / fa ancora

più buio, o l'abbaglia // con cieche schiarite […] questo cielo /...»171

A16) «[...] con la luce cerea// che al quartiere in penombra si rapprende. E lo

sommuove. Lo fa più grande, vuoto, intorno, e più lontano, lo riaccende//di una vita

smaniosa[...]»172

A17) «Quanto più è vano//- in questo vuoto della storia, in questa/ronzante pausa in

cui la vita tace -/ ogni ideale, meglio è manifesta//la stupenda, adusta sensualità/ quasi

alessandrina che tutto minia// e impuramente accende, quando qua// nel mondo,

qualcosa crolla, e si trascina/il mondo, nella penombra, rientrando/ in vuote piazze, in

scorate officine...// già si accendono i lumi, costellando / via Zabaglia, via Franklin,

l'intero / Testaccio, disadorno tra il suo grande // lurido monte, i lungoteveri, il nero /

fondale, oltre il fiume, che Monteverde / ammassa o sfuma invisibile sul cielo.//

diademi di lumi che si perdono/smaglianti, e freddi di tristezza/quasi marina...Manca

poco alla cena;/brillano i rari autobus del quartiere, / con grappoli d'operai agli

sportelli,/e gruppi di militari vanno, senza fretta, // verso il monte che cela in mezzo a

sterri / fradici e mucchi secchi di immondizia nell'ombra, rintanate zoccolette // che

aspettano irose sopra la sporcizia /afrodisiaca...»173

A18) «Com'era nuovo nel sole Monteverde Vecchio!»174

A19) « Giunsi nella piazza, accaldato e tremante,/ché gelo e sole insieme il quartiere

accecante//sbiancavano con muta ed estasiata noia./»175

A20) «Anzi,l'indorarsi quieto del mezzogiorno/pareva eternare ogni cosa

all'intorno»,176

169Da Qudri Friulani, p. 45170Id., p.49171Da Le ceneri di Gramsci, in Le ceneri di Gramsci. p. 50172Id., p. 60173Id., p.62174Da Recit, in Id., p.64175Ibid.176Id., p. 65

71

A21) « Tutto Monteverde tremava di martelli / da assolati cantieri ad assolati sterri //

ma era solo un fervore di gente umiliata: / era solo la pace che una città occupata

//spande nella sua luce come un tempo pura, / rassegnata a esser vinta, a brulicare

oscura // meridionali voci, risa di vecchia gente / hanno allora un clamore che la storia

non sente://dove guizza più vivo uno straccio, uno sguardo, / lì più morta al sole la

natura riarde.//»177

A22) « ed ecco la mia casa, nella luce marina/di via Fonteiana in cuore alla

mattina.»178

A23) «...e con quanta dolcezza nella mia stanza cola/l'olio dardeggiante dello svenato

sole!»179

A24) « o sole che inondi d'un pasquale albore / la mia povera stanza, e mi bruci sul

cuore,» 180

A25) «...ecco lì, dietro il lume fragrante del sole / tra sterri e impalcature, l'oleato

fulgore // d'una periferia nuda come un inferno...»181

A26) «Ecco nel calore incantato//della notte che piena quaggiù/tra le curve del fiume

e le sopite/visioni della città sparsa di luci,//echeggia ancora di mille vite...»182

A27) «...una luna morente nel silenzio,/ che di lei vive, sbianca tra violenti/ardori che

miseramente sulla terra//muta di vita, coi bei viali, le vecchie/viuzze, senza dar luce

abbagliano/e, in tutto il mondo, le riflette//lassù un po' di calda nuvolaglia...»183

A28) «...uomini e ragazzi se ne tornano a casa/-sotto festoni di luci ormai sole-/verso

i loro vicoli...»184

A29) «...Ecco Villa Pamphili, e nel lume // che tranquillo riverbera / sui nuovi muri,

la via dove abito. Presso la mia casa, su un'erba // ridotta a un'oscura bava...»185

A30) «...poi, piano, rinasce, nella luce violenta, /tra i palazzi accecati, nuovo, uguale,

urlo che solo chi è morente, //nell'ultimo istante,può gettare/in questo sole che crudele

177Id., p.66178Ibid.179Id., p.67180Id., p.68181Id., p.69182 Da Il pianto della scavatrice, in Id.,. p. 70183Id., p.72184Id., p. 73185Id., p.78

72

ancora splende/già addolcito da un po' di aria di mare...» 186

A31) «...buio è quasi il meriggio nel lucore/terreo del coppedè vivace...»187

A32) «...giace// schermato il sole come in un velo/ di grassi, di carta carbone, /di

polvere alzata dagli urti sul nero// fondo dei tricicli...»188

A33) « scolorato il sole fa più intensa// la sua luce, e ogni strada, ogni piazza/ quasi in

silenzio brulica al frastuono/ d'una gente...»189

A34) «...E ti perdi allora in questa luce/ che rade, con la pioggia, d'improvviso/zolle

di salvia rossa, case sudice...»190

A35) «...Il sole/lungo le volte così puro riarde/ dal non visto orizzonte...»191

A36) «...fiati di fiamma dalla vetrata a ponente/tingono la parete, che quegli occhi

scrutano intimoriti...»p.11192

A37) «...eppure/ è così pio il suo ammirare, ai fiotti/del lume diurno, le figure/che un

altro lume soffia nello spazio...».p.11193

A38) «...E quella pura/luce che tutto vela/ di toni di pulviscolo: ed è bufera/è

strage....»194

A39) «...vedere le strade dei quartieri tranquilli, via Morgagni,Piazza Bologna, con

agli alberi /gialli di luce senza vita, pezzi di mura, /vecchie villette, palazzine nuove,/ il

caos della città, nel bianco / sole mattutino, stanca e oscura...»195

A40) «...Ora sfuriate di sole, su praterie di grotte/ e cave, naturale barocco, con

verdi/stesi da un pitocco Corot; ora soffi d'oro/ sulle piste dove con deliziose groppe

marrone/corrono i cavalli, cavalcati da ragazzi/ che sembrano ancor più giovani, e non

sanno/ che luce è nel mondo introno a loro...»196

A41) «...sotto, le Terme di Caracalla al bruciore/della luna spalancano l'immoto/bruno

dei prati senza erbe, dei pesti/rovi: tutto svapora e si fa fioco/tra colonnati di

186Id., p.89187 Una polemica in versi, Id.,p. 91188Ibid.189Ibid. 190Da Terra di Lavoro in Id., p. 105191 Da La ricchezza, ne La religione del mio Tempo, Garzanti, Milano, 1961 p.11192Ibid.193Ibid.194Ibid.195Id., p. 25196Id., p.27

73

caravaggesca polvere, /e ventagli di magnesio,/che il cerchietto della luna

campestre/scolpisce in fumate iridescenti...» 197

A42) «...Imbocco San Michele, tra muraglie /basse, quasi di casematte,

piazze7granulose su cui la luna abbaglia/come su decrepita ghiaia, terrazze/ dove

occheggia un garofano...»198/p. 48

A43) «...nella piazzetta/sotto casa, sostano, intorno al caffè/già vuoto, o più in là tra le

carrette/o i camion ruggini fin file inanimate/dove più arde la luna, e i

vicoletti,/sboccando, sono più bui. - o illuminati/appena per svegliare, di sbieco,/ in

una pietra leggera e disossata/come spugna...»199

A44) «...era un mattino in cui sognava ignara/nei rósi orizzonti una luce di mare.//

ogni filo d'erba come cresciuto a stento/era un filo di quello splendore opaco e

immenso...»200

A45) «...era ormai quasi estate, e i più bei colori/ardevano nel mite, friulano sole. // il

grano giù alto era una bandiera /stesa sulla terra, e il vento la muoveva//fra le tenere

luci, riapparse a ricolmare /di festa antica l'aria tra i monti e il mare...»201

A46) «...il sole, il colore del cielo, la nemica//dolcezza , che l'aria rabbuiata/da

redivive nubi, ridà alle cose, tutto accade come a una passata//ora del mio esistere:

misteriose mattine di Bologna o di Casarsa, /doloranti e perfette come rose...»202

A47) «...l'ossessione è perduta, è divenuta/odorante fantasma che si stende/in giorni

di luce grande e muta, // quando così debile si accende/l'azzurro che bianco è quasi,

a/ai rumori dispersi si rapprende//l'assurdo silenzio di stasi naturali, e agli odori dei

pranzi,/ dei lavori, si mischiano randagi// soffi di bosco, sepolti nei canti/più ombrosi o

più assolati/delle prime colline- o stanchi// moti quasi di altre età, ora beati /in questa

che vuole nuovo amore. ...»203

A48) «...questi due che per quartieri sparsi/di luce e miseria, vanno abbracciati/ lieti

197Id., p. 43198Id., p.48199Id., p.49200 Da A un ragazzo, in Id.,. p. 69201 Id. p. 71202 Da La religione del mio tempo, p. 76203Id.,p.78

74

paganamente dei loro passi...»204

A49) «...ah bosco, deterso dentro, sotto i forti/ profili del fogliame, che si

spezzano,/riprendono il motivo d'una pittura rustica/ma raffinata – il Garutti? Il

Collezza?// non Correggio, forse: ma di certo il gusto del dolce e grande manierismo

che tocca col suo capriccio dolcemente robusto//le radici della vita vivente: ed è

realismo... sotto i caldi castagni, poi, nel vuoto/che vi si scava in mezzo, come un

crisma, / odora una pioggia cotta al sole, poco: /un ricordo della disorientata

infanzia...»205

A50) «Una coltre di primule. Pecore/controluce (metta, metta, Tonino,/il cinquanta,

non abbia paura/che la luce sfondi- facciamo/questo carrello contro natura!). L'erba

fredda tiepida, gialla tenera/, vecchia nuova – sull'Aqua Santa. / pecore e pastore, un

pezzo/ di Masaccio/ provi col settantacinque, /e carrello fino al primo piano./

Primavera medioevale206...»

A51) «...prati convessi e immensi, in panoramica,/mostrano gruppi degni di

Mizoguchi/ l'erbetta – cresciuta dalla maledetta/ intossicante luce d'aprile, luce/per

puzzolenti pastori – sotto,/sfondo universale: in superficie/superstiti grisaglie,

cappelletti verdi/ su casacche rosso mattone o morello,/ lucenti utilitarie, pittoreschi/

gruppi al gioco della palla...»207

A52) «La luce è monumentale,/forza, forza, approfittiamone, forza/il cinquanta e il

carrello a precedere: /vengono Mamma Roma e suo figlio,/verso la casa nuova, tra

ventagli/di case, là dove il sole posa ali/arcaiche: ce sfondi, faccia pure/di questi corpi

in moto statue/di legno, figure masaccesche /deteriorate, con guance bianche/bianche,

e occhiaie nere opache/-occhiaie dei tempi delle primule,/delle ciliege,delle prime

invasioni/barbariche negli “ardenti/solicelli italici”... sono altari/queste quinte dell'Ina-

casa, /in fuga nella Luce Bullicante/ a Cecafumo.»208

A53) «...la città era lucida, /e tremavano fanali, in quel lucore/ di facile effetto umido,

204Id., p.90205Da La Guinea in Poesia in forma di rosa, p.9206 Da Poesie mondane, in Id., p. 17207Id., p.18208Id.,p.19

75

pesante/ più pesante dell'odore stesso dei tigli/ compressi, sprofondati nell'aria...»209

A54) «...tornavo per la Via Portuense. Lasciai/(lucido nello stordimento della

festa/degli altri, nemica, senza luce, mai//per me – rifiuto anche ciò che mi resta,),/ la

macchina, nel sole dominato dalla sera.»210

A55) «...ma – camminando controluce – scorsi, il sole, /oscurarsi, sui bambini e i

giovinetti/che giocavano, lungo il muro, nel calore...»211

A56) «...sotto un ammasso/ di cavalcavia e cantieri, ecco laggiù/morte, le mareggiate

di luci/della Città in cui la Storia non ha vita.»212

A57) «...era l'inizio del giorno, pochi istanti fa, /una luce vecchia, morente...»213

A58) «Il sole, il sole. Come già in fondo a Marzo,/nei meandri d'Aprile. […] file di

bar e macellerie con sola cliente la luce-/ e un altro versante del quartiere, con la luce

di striscio-/una strada in salita...»214

A59) «...E dentro un cortile tagliato/dalla luce come in un caravaggesco senza neri,

Longhi, / la Banti, con Gadda e Bassani. Roversi e Leonetti...»215

A60) «...C'è una nuvola fatta di bagliore arancione. È come un'isola con intorno il

bordo della marea//- un filo di luce nerastra, ecc. ecc. è gonfia di montagne, un sacco

arancione, di luce, pieno di pannocchie, ecc. – o patate, o ossa animali! – [...]io e lei

siamo lì, che lottiamo, come figure di un pittore del Cinquecento Nero (tanto per non

cambiare, per restare coerente coi sublimi traslati della mia testa storica!) siamo lì,

abbrancati come una mantide che fa l'amore con un passerotto e, visti da lontano, sui

pendii del fuoco arancione, glaciale di quella nube alla periferia di Roma, si potrebbe

essere incerti se è coito, sonno o duello all'ultimo sangue. Finché resta – e resta a

lungo – la luce su quella montagna di luce d'aranci, /su quell'ombrella

spumeggiante..»216

A61) «...frammento di un pezzo di cielo,/in un mondo concluso, rigorosamente

209Id.,p.21210Da La persecuzione in Id.,. p.64211Id., p. 65212 Da Pietro II in Id.,. p. 75213Ibid. 214Id., p. 79215Ibid216Da Una disperata vitalità, in Id., p. 91

76

composto,/di luci, di stelle e luna, e il nero della nuvola,/come , il mondo, non fosse

che un cumulo/ di scintillanti frantumi, di casuali rifiuti,/spazzati da un

cataclisma...»217

A62) «...più giù, in fondo alla Tuscolana, oltre Cinecittà, c'è un prato,/tutto pelato,

con lievi ondulazioni, un piccolo /deserto, con una fila di piloni, una centrale/ elettrica,

in fondo, dai globi di luce smagliante e morta:/(sotto un pilone senza luci, /nel centro

di quel prato...»218

A63) «...il biancore del sole, su tutto, /come un fantasma che la storia/preme sulle

palpebre...»219

A64) «… e quelle/quelle antiche montagne/color di paglia, coi muri del

medioevo/come paglia più scura, nella schiuma/ secca che fa, della luce, il

pancinor,/con profili di visi masacceschi neri,/controluce, su fondali castamente

ardenti...»220

A65) «...il sole, il sole vero, il sole ferocemente antico,/ -sui dorsi d'elefante dei

castelli barbarici,/sulle casupole del Meridione – o il sole/ della pellicola, pastoso

sgranato, grigio,/biancore da macero, e controtipato, controtipato/-il sole sublime che

sta nella memoria/con altrettanta fisicità che nell'ora /in cui è alto, e va nel cielo,

verso/interminabili tramonti di paesi miseri. [...]un biancore di calve viva, alto,/-

imbiancamento dopo una pestilenza/che vuol dir quindi salute, e gioiosi/mattini,

formicolanti meriggi – è il sole/che mette pasta di luce sulla pasta dell'ombra viva,

alonando, in fili/ di bianchezza suprema, o coprendo/il bianco ardente il bianco

ardente/d'una parete porosa come la pasta del pane/superficie di medioevo

popolare/»221

217Id. p. 92218id. p.93219Da Le belle bandiere in Id.,p. 106220 Da Israele in Id., p. 173221Da Israele in op. cit. p. 169-170

77

Luce allegorica ( B ):

B1) «Un esercito accampato nell'attesa/ di farsi cristiano nella cristiana/città, occupa

una marcita distesa/d'erba sozza nell'accesa campagna:/scendere anch'egli dentro la

borghese / luce spera aspettando una umana/abitazione, esso sardo o pugliese,/dentro

un porcile il fangoso desco/in villaggi ciechi tra lucide chiese/novecentesche e

grattacieli....»222

B2) «....e contro gli sfondi/del suo paesaggio, non più scarnisce/ in luce di intelletto

– che non nasconde// la buia materia- una mano che unisce a Dio il povero rione.

Quaggiù/tutto è preumano, e umanamente gioisce,// contro il riso del volgare fu/ ed è

inutile ogni parola/di redenzione: splende nella più//ardente indifferenza dei

colori/seicenteschi, quasi che al sole/o all'ombra non bastasse che la sola//sfrontata

presenza, di stracci, d'ori,/con negli occhi l'incallito riso/dei bassi digiuni

d'amore....»223

B3) «...ragazzi romanzi sotto le palpebre/chiuse cantano nel cuore della specie/dei

poveri rimasta sempre barbara// a tempi originari, esclusa alle vicende/segrete della

luce cristiana,/ al succedersi necessario dei secoli://e fanno dell'Italia un loro

possesso, /ironici, in un dialettale riso/ che non città o provincia ma

ossesso//poggio,rione,tiene in sé inciso,/se ognuno chiuso nel calore del sesso,/sua sola

misura, vive tra una gente//abbandonata al cinismo più vero/e alla più vera passione; al

violento/negarsi e al violento darsi; nel mistero/chiara, perché pura e corrotta...//»224

B4) «Improvviso il mille novecento/cinquanta due passa sull'Italia: solo il popolo ne

ha un sentimento/vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia/ la modernità, benché sempre

il più/moderno sia esso, il popolo, spanto/in borghi, in rioni, con gioventù sempre

nuove – nuove al vecchio canto – / a ripetere ingenuo quello che fu...»225

B5) «...Nella tua incoscienza è la coscienza/che in te la storia vuole, questa storia/in

cui Uomo non ha più che la violenza/delle memorie, non la libera memoria[...]/e

ormai, forse, altra scelta non ha/ che dare alla sua ansia di giustizia/la forza della tua

222 Da L'appennino Le ceneri di Gramsci, P.P. Pasolini, Garzanti, Milano, 1957, p.9223Id. p.11224Ibid.225 Da Il canto popolare in Id., p. 13

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felicità, / e alla luce di un tempo che inizia / la luce di chi è ciò che non sa.»226

B6) «Dove meglio capire, intera, la natura che deve farsi / nazione, l'ombra che

s'avvera/ nella chiarezza? Ah dolci intarsi/ che nella vellutata sera/ della Venezia, della

Lombardia,/–terrorizzata quasi nella/troppa ebbrezza, nella pazzia/che troppo la

trascina– pia/la rondine intreccia sulla terra. // più è sacro dov'è più animale/il mondo:

ma senta tradire/la poeticità, l'originaria/forza, a noi tocca esaurire/il suo mistero in

bene e in male/ umano. Questo è l'Italia, e/non è questa l'Italia: insieme/la preistoria e

la storia/che in essa sono convivano, se/ la luce è frutto di un buio seme...»227

B7) «...ed è lui, il troppo onesto,// il troppo puro, che deve andare a capo

chino?/Mendicare un po' di luce per questo/ mondo rinato in un oscuro mattino?»228

B8) «...già con la tua magra mano/ delineavi l'ideale che illumina.»229

B9) «Non dico l'individuo, il fenomeno/ dell'ardore sensuale e sentimentale... / altri

vizi esso ha, altro è il nome// e la fatalità del suo peccare../ ma in esso impastati quali

comuni, / prenatali vizi, e quale//oggettivo peccato! Non sono immuni gli interni e

esterni atti, che lo fanno incarnato alla vita, da nessuna//delle religioni che nella vita

stanno, /ipoteca di morte, istituite / a ingannare la luce, a dar luce all'inganno. »

B10) «...vivo nel non volere / del tramontato dopoguerra: amando/ il mondo che odio

– nella sua miseria//sprezzante e perso- per un oscuro scandalo/ della coscienza...//Lo

scandalo del contraddirmi, dell'essere/ con te e contro te; con te nel cuore, / in luce,

contro te nelle buie viscere; // del mio paterno stato traditore/ - nel pensiero, in

un'ombra d'azione- / mi so ad esso attaccato nel calore// degli istinti, dell'estetica

passione; / attratto da una vita proletaria/ a te anteriore, è per me religione// la sua

allegria, non la millenaria/sua lotta: la sua natura, non la sua/ coscienza; è la forza

originaria// dell'uomo, che nell'atto s'è perduta, / a darle l'ebbrezza della nostalgia,/ una

luce poetica: ed altro più // io non so dirne che non sia / giusto ma non sincero,

astratto/ amore, non accorante simpatia...»230

B11) «...ma come io possiedo la storia,/ essa mi possiede; ne sono illuminato:// ma a

226 Id. p. 16227 Da L'umile Italia in Id., p. 37228 Da Comizio in id.,. p.31229 Da Le ceneri di Gramsci, in Id., p. 56230Id. p.56

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che serve la luce? »231

B12) «...La luce/ del futuro non cessa un solo istante// di ferirci: è qui, che brucia/ in

ogni nostro atto quotidiano,/ angoscia anche nella fiducia// che ci dà vita, nell'impeto

gobettiano/ verso questi operai, che muti innalzano, /nel rione dell'altro fronte umano,//

il loro rosso straccio di speranza.»232

B13) «La luce che piove su queste anime/è quella, ancora, del vecchio meridione,/

l'anima di questa terra è il vecchio fango.»233

B14) «Così giunsi ai gironi della Resistenza / senza saperne nulla se non lo stile: fu

stile tutta luce, memorabile coscienza/ di sole.[..]Fuggimmo con le masserizie su un

carro/da Casarsa a un villaggio perduto/ tra rogge e viti: ed era pura luce. / Mio fratello

partì, in un mattino muto / di marzo, su un treno, clandestino, / la pistola in un libro: ed

era pura luce. / Visse a lungo sui monti, che albeggiavano / quasi paradisiaci nel tetro

azzurrino / del piano friulano: ed era pura luce. / Nella soffitta del casolare mia madre /

guardava sempre perdutamente quei monti, / già conscia del destino: ed era pura luce. /

Coi pochi contadini intorno / vivevo una gloriosa vita di perseguitato / dagli atroci

editti: ed era pura luce. / Venne il giorno della morte / e della libertà, il mondo

martoriato/ si riconobbe nuovo nella luce... // quella luce era speranza di giustizia:/ non

sapevo quale: la Giustizia. /la luce è sempre uguale ad altra luce. / poi variò: da luce

diventò incerta alba/un'alba che cresceva, si allargava, / sopra i campi friulani, sulle

rogge / illuminava i braccianti che lottavano. / così l'alba nascente fu una luce /fuori

dall'eternità dello stile... / nella storia la giustizia fu coscienza/d'una umana divisione di

ricchezza,/ e la speranza ebbe nuova luce.»234

B15) «...Ricordo, di quei tempi, solo la tua luce, / alta, sopra le perdute / radure del

Friuli, sopra una gente senza/speranza: risplendevi puro, / sempre, eri l'acerba luce

della Resistenza./ In un tempo che mai al mondo fu più scuro / eri l'acerba luce del

futuro.»235

B16) «...Non so perché trafitto / da tante lacrime sogguardo / quel gruppo di ragazzi

231Ibid.232Da Il pianto della scavatrice in Id.,. p. 90233Da La terra di lavoro in Id., p.104234La resistenza e la sua luce in La ricchezza ne La religione del mio tempo, pp.58-59235Da Al sole in Id.,. p. 106

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allontanarsi/nell'acre luce di una Roma ignota, / la Roma appena affiorata dalla

morte,/superstite con tutta la stupenda/gioia di biancheggiare nella luce: piena del suo

immediato destino/d'un dopoguerra epico, degli anni / brevi e degni d'un'intera

esistenza./li vedo allontanarsi: ed è ben chiaro / che, adolescenti, prendono la

strada/della speranza, in mezzo alle macerie / assorbite da un biancore ch'è vita/quasi

sessuale, sacra nelle sue miserie. / E il loro allontanarsi nella luce/ mi fa ora

raggricciare di pianto: / perché? Perché non c'era luce / nel loro futuro. Perché c'era

questo / stanco ricadere, questa oscurità. / sono adulti, ora: hanno vissuto / quel loro

sgomentante dopoguerra / (di corruzione assorbita dalla luce, / e sono intorno a me,

poveri uomini/a cui ogni martirio è stato inutile, / servi del tempo, in questi giorni/in

cui si desta il doloroso stupore / di sapere che tutta quella luce, / per cui vivemmo, fu

soltanto un sogno / ingiustificato, inoggettivo, fonte / ora di solitarie, vergognose,

lacrime.»236

B17) «...Il Pontormo / con un operatore / meticoloso, ha disposto cantoni / di case

giallastre, a tagliare/questa luce friabile e molle,/ che dal cielo giallo si fa

marrone/impolverato d'oro sul mondo cittadino.../ e come piante senza radice, case e

uomini,/creano solo muti monumenti di luce/e d'ombra, in movimento: perché/la loro

morte è nel loro moto. /vanno, come senza alcuna colonna sonora,/automobili e

camion, sotto gli archi,/sull'asfalto, contro il gasometro,/nell'ora, d'oro,di Hiroscima,

(/dopo vent'anni, sempre più dentro/ in quella loro morte gesticolante: e io/ritardatario

sulla morte, in anticipo/sulla vita vera, bevo l'incubo/della luce come un vino

smagliante./nazione senza speranze! L'apocalisse/esploso fuori dalle coscienze/nella

malinconia dell'Italia dei Manieristi,/ha ucciso tutti: guardateli- ombre/grondanti d'oro

nell'oro dell'agonia.»237

B18) «...miliardi di viventi, /una dolce mattina si desteranno,/ al semplice trionfo

delle mille mattine della vita,// con la maglia riarsa... con l'umido/del primo

sudore...felici-essi-/felici! Essi soltanto felici!//essi soltanto possessori del sole! /lo

stesso sole del barbaro/che nel medioevo discese//e dalle gole dei monti, dalle

236Da Lacrime in op.cit. p. 60-61237Da Poesie Mondane in Poesia in forma di rosa pp.25-26

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ombre /della neve si accampò,/sull'erba nera e folta ma /cattiva e felice degli argini

d'aprile.// solo chi non è nato, vive! Vive perché vivrà, e tutto sarà suo,/è suo, fu

suo!»238

B19) «...Avete voluto avere un poeta in questo banco/lustrato dai calzoni di tanti

poveri cristi?/ va bene, godetevelo. La giustizia/diventa cieca voce di rondini, agli

scioperi/della Poesia. E non perché, la Poesia, abbia diritto/ di delirare su un po' di

azzurro, su un misero sublime/giorno che nasce con la malinconia della morte. /Ma

perché la poesia è giustizia. Giustizia che cresce/in libertà, nei soli dell'anima, dove si

compiono /in pace le nascite dei giorni, le origini e le fini/delle religioni, egli atti di

cultura/sono anche atti di barbarie,/e chi giudica è sempre innocente.»239

B20) «...Dilagò la nevrosi, attraverso la ferita- e la morte venne allora dalla vita, dai

regni che si estendono oltre la sua ombra, dove c'è soltanto luce la stupenda luce del

futuro. “Ciò che hai saputo, hai saputo: il resto non lo saprai.”...»240

238Da Poesia in forma di rosa in Id. p. 63239Da Pietro II in Id.,. p. 76240Da Una disperata vitalità p. 91

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Luce mistica ( C ) :

C1) «….Muti/decenni, di un secolo ancor verde, /e bruciato dalla rabbia

dell'azione/non trascinante ad altro che a disperdere//nel suo fuoco ogni luce di

Passione...»241

C2) «...mi sospingo come / disincarnato in mezzo a questa fiera // d'ombre[...]e qui

urla soltanto la borghese// impotenza a trascendere la specie,/la confusione della fede

che / l'esalta, e disperatamente cresce / nell'uomo che non sa che luce ha in sé»242

C3) «...ha dolorosa e accesa, // nel sorriso, la luce con cui vide, /oscuro partigiano,

non ventenne/ancora, come era da decidere/con vera dignità, con furia indenne/d'odio,

la nuova nostra storia: e un'ombra,/in quei poveri occhi, umiliante e solenne...//egli

chiede pietà, con quel suo modesto, /tremendo sguardo, non per il suo destino, / ma per

il nostro... »243

C4) «...invece è la passion / mite, virile, che rischiara / il mondo in una luce

senza/impurezze, che al mondo dà le care / civili piazzette, dove ignare/rondini scatena

l'innocenza[...]borghi del settentrione, dove / dal ragazzo con fierezza / e allegra umiltà

nasce il giovane, / e vive la sua giovinezza / da vero adulto, benché piova / il suo

occhio chiaro e la sua bionda/testa luce infantile: ma è / quell'infanzia solo

gioconda/onestà: egli nella sua fonda / vita il mondo matura con sé»244

C5) «...un'anima in me, che non era solo mia, / una piccola anima in quel mondo

sconfinato, / cresceva, nutrita dall'allegria // di chi amava, anche se non riamato. / e

tutto si illuminava, a questo amore. / forse ancora di ragazzo, eroicamente, // e però

maturato dall'esperienza che nasceva ai piedi della storia... »245

C6) «...e in questa // maturità che per essere nascente / era ancora amore, tutto era /

per divenire chiaro-era, // chiaro! Quel borgo nudo al vento, / non romano, non

meridionale, / non operaio, era la vita// nella sua luce più attuale: vita, e luce della vita,

piena/ nel caos non ancora proletario // come la vuole il rozzo giornale / della cellulare,

241 Da Picasso in Le ceneri di Gramsci, p.25242 Da Comizio in id., p. 27-29243 Id., p. 31244 Da L'umile italia in Id., pp. 32-33245 Da Il pianto della scavatrice in Id., p. 73

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l'ultimo / sventolio del rotocalco: osso // dell'esistenza quotidiana, /pura, per essere fin

troppo / prossima, assoluta per essere // fin troppo miseramente umana. »246

C7) «...i pochi amici che venivano / da me, nelle mattine o nelle sere // dimenticate

sul Penitenziario, / mi videro dentro una luce viva: / mite, violento rivoluzionario// nel

cuore e nella lingua. Un uomo fioriva.»247

C8) «Cammino per una strada che avanza// tra i primi prati primaverili, sfatti/ in una

luce di paradiso[...]io grido di gioia, così ferito / in fondo ai polmoni da quell'aria// che

come un tepore o una luce/ respiro guardando la vallata...»248

C9) «...E proprio in quel sopore // è la luce...in quella incoscienza/d'infante,

d'animale o ingenuo libertino/è la purezza...»249

C10) «...È una luce / - a certo non meno soave/ di quella, ma suprema – che si

spande / da un sole racchiuso dove fu divino/ l'Uomo, su quell'umile ora dell'Ave.// che

si spande, più bassa / sull'ora del primo sonno, della / notte, che acerba e senza stelle

Costantino/circonda, sconfinando dalla terra / il cui tepore è magico silenzio...»250

C11) «...sì che questi chiari momenti / d'oscuro amore, abbandonati, / non si perdano,

nel mondo, in cui rimane / persa nella sua purezza / la luce delle gesta quotidiane.»251

C12) «...così nuovo alla luce di questi mesi nuovi / che tornano su Roma, e che noi

altrove// ancorati a una luce d'altri tempi / sembrano portarti da inutili venti/[...]al

giusto momento, ci lasci, ritorni/alla segreta luce dei tuoi primi giorni: // alla luce che

certo tu non puoi dire né, noi, ricordare, una luce d'aprile // in cui la coscienza con le

sue gemme sfiora / solo la vita, non la storia ancora. // [...]vuoi SAPERE. Non hai

domanda su un oggetto / su cui non c'è risposta; che trama solo in petto. // la risposta,

se c'è, è nella pura / aria del crepuscolo, accesa sulle mura // del Vascello, lungo le

palazzine / assiepate nel cuore del sole che declina.// »252

C13) «...chiedendo di sapere tu ci vuoi indietro, / legati a quel dolore che ancora

oscura il petto. // ci toglie questa luce che a te splende intera, / ch'è della nuova

246 id., p. 77247 Id ,p.81248 Id. ,p. 82-85249 Id., p. 87250 Da Gli affreschi di Piero ad Arezzo in La ricchezza ne La religione del mio tempo, pp.12-13251 Id p. 17252 Da A un ragazzo in Id.,p. 65-67

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gioventù ogni sera[...]L'ombra che ci invecchia fosse astratta coscienza, / voce che

contraddice la vitale presenza!»253

C14) «...pur sopravvivendo, in una lunga appendice / di inesausta, inesauribile

passione / - che quasi in un altro tempo ha la radice - // so che una luce, nel caos, di

religione, / una luce di bene, mi redime/ il troppo amore nella disperazione.. // è una

povera donna, mite, fine, che non ha quasi coraggio di essere, / e se ne sta nell'ombra,

come una bambina, // coi suoi radi capelli, le sue vesti dimesse,»254

C15) «...e di nuovo ridono, impuri, i vivi, tu darai/la purezza, l'unico giudizio che ci

avanza, /ed è tremendo, e dolce: ché non c'è mai// disperazione senza un po' di

speranza.»255

C16) «No, non a noi: tu manchi ma a loro, che pure vivono a livelli/d'esistenza di

sole, in pienezza,/ e tra baracche e sterri,/ prati zeppi di canne e d'immondezza/sentono

in questa disorientata brezza, /con altro cuore il tuo non esserci.[...]nel tuo buio, sole/si

compie ancora una volta l'ingiustizia: per essi, che son senza/ vestiti e casa, per me,

che soffro mistica/degradazione. Causale coincidenza/confusione d'incoscienza e di

coscienza. // [...]all'ombra di una nuova lotta, e ai sordidi/inviti del nuovo capitale, già

padrone/un'altra volta, e disposto al perdono...[...]obbediente, sincero, atterrito, /non

dovevo essere buono, ma santo,/ non uomo, ma gigante, / non elegante, ma puro,

squisito./Dovevo cercare un linguaggio,/ a esprimere quel mio intimo lume infinito,/

che fosse estremo: ingenuo appannaggio/ dell'agio borghese, dell'antiborghese

coraggio.// ho saputo, eccome ho saputo!,/ ventenne, capire quale era il sentimento/ più

forte in quel luminoso caos/ di ogni sentimento:/la libertà. »256

C17) «...Mentre ognuno con fede ricattatoria/era pieno della luce della sua scelta,/ io

continuavo per la strada incerta/della conoscenza, nell'ombra-luce della

storia./intransigenza e dolore/erano sola garanzia di qualche vittoria,/e proprio dentro

la tua luce di sole/ fatto simbolo, serbavo il tuo furore[...]Tu splendi sopra un sogno,

/buio sole: chi vuole non sapere,/ vuole sognare...»257

253 Id., p. 70-71254 Da Una luce in Id., p. 103255 Id., p. 106256 Al sole in Id.,p. 159-161257 Id. p. 162-163

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C18) «...vengo da te e torno a te,/ sentimento nato con la luce, col caldo,/battezzato

quando il vagito era gioia,/riconosciuto in Pier Paolo/ all'origine di una smaniosa

epopea: ho camminato alla luce della storia,/ ma sempre, il mio essere fu eroico,/sotto

il tuo dominio, intimo pensiero./si coagulava nella tua scia di luce/nelle atroci

sfiducie/della tua fiamma, ogni atto vero/del mondo, di quella/storia: e in essa si

verificava intero,/vi perdeva la vita per riaverla: /e la vita era reale solo se bella...»258

C19) «Alle volte è dentro di noi qualcosa / (che tu sai bene, perché è la poesia) /

qualcosa di buio in cui si fa luminosa // la vita: un pianto interno, una nostalgia /

gonfia di asciutte, pure lacrime...»259

C20) «...e così, ecco questa mattina in cui non spero / che nella luce.. / Sì, nella luce

che disossa/con la sua felicità primaverile/le giornate di questa mia Canossa. // eccomi

nel chiarore di un vecchio aprile, / a confessarmi, inginocchiato, / fino in fondo,fino a

morire. //ci pensi questa luce a darmi fiat, / a reggere il filo con la sua

biondezza/fragrante, su un mondo, come la morte, rinato.//poi...ah. Nel sole è la mia

sola lietezza../quei corpi, coi calzoni dell'estate,/un po' lisi nel grembo...»260

C21) «...come un cieco: a cui sarà sfuggita,/ nella morte, una cosa che coincide / con

la vita stessa, - luce seguita//senza speranza, e che a tutti sorride,(/invece, come la cosa

più semplice del mondo – una cosa che non potrà mai condividere. //morirà senza aver

conosciuto il profondo/senso d'esser uomo, nato a una sola/vita cui nulla, nell'eterno,

corrisponde // ...dentro i ventri delle madri, nascono figli ciechi/-pieni di desiderio di

luce-sbilenchi // –pieni d'istinti lieti: e attraversano la vita nel buio e la vergogna ….

gli altri dicono sempre che non bisogna // essergli di peso. Ed essi obbediscono. Si

tinge/così tutta la loro vita di un colore diverso. / e il mondo – il mondo innocente! – li

respinge...»261

C22) «....il biancore del sole, su tutto, / come un fantasma chela storia/preme sulle

palpebre // [...]di colpo i miei amici poeti, / che condividono come me il brutto

biancore/ di questi Anni Sessanta/uomini e donne, appena un po' più anziani/ o più

giovani – sono là, nel sole.[...]la realtà/ è fuori, nel sole trionfante, / nei viali e nei caffè

258 Da Frammento alla morte in Id., p. 164259 Da La guinea in Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano, 1963 p. 8260 Da La realtà in Id.,p. 36261 Id., p. 44-45

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vuoti, / nella suprema afonia delle dieci del mattino ,/ un giorno come tutti gli altri, con

al sua croce!»[...]il mio amico dal mento di papa, il mio / amico dall'occhio

marroncino... i / miei cari amici del Nord / fondati su affinità elettive dolci come la

vita / -sono là, nel sole. // Anche Elsa, col suo biondo dolore, / lei,- destriero ferito,

caduto, / sanguinante- è là. 262

C23) «...marmo, cera, o calce, /nelle palpebre, agli angoli degli occhi: / il biancore

gioiosamente romanico, / perdutamente barocco, del sole nel sonno.[...] // di quel

biancore fu il sole vero, / di quel biancore furono i muri delle fabbriche, / di quel

biancore / fu la stessa polvere»263

C24) «...vide l'infinita capacità di obbedire / e l'infinita capacità di ribellarsi: / la

chiamo a sé ,e operò su lei / - che lo guardava fiduciosa / come un agnello guarda il

suo giusto carnefice- / la consacrazione a rovescio, mentre / nel suo sguardo cadeva/la

luce, e saliva un'ombra di pietà. // « tu scenderai nel mondo, / e sarai candido e gentile,

equilibrato e fedele, /avrai un'infinita capacità di obbedire e un'infinita capacità di

ribellarti, / sarai puro. / perciò ti maledico.» // »264

262 Da Le belle bandiere in Id., p. 107263 Id., p. 108264 Da una disperata vitalità in Id., p. 129

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