Il Teorema di Gödel e i Limiti delle Macchine
Transcript of Il Teorema di Gödel e i Limiti delle Macchine
Table of Contents
Table of Contents iv
Abstract vii
Ringraziamenti viii
Prefazione ix
Introduzione 1
1 La dimostrazione del teorema di Godel 13
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2 Concetti e definizioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2.1 Verita, modelli e implicazione logica . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.2.2 Assiomi logici e deduzioni formali . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.2.3 Definibilita di una relazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.2.4 Teorie e completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.2.5 Correttezza, consistenza e completezza del calcolo della deduzione 26
1.2.6 Procedure effettive e decidibilita . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
1.2.7 Assiomatizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.2.8 Rappresentabilita di una relazione e tesi di Church . . . . . . 34
1.3 Teoria dei numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
1.3.1 Teoria dei numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
1.3.2 La teoria dei numeri naturali con successore . . . . . . . . . . 38
1.3.3 Assiomi di Peano e affini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
1.4 Funzioni rappresentabili in AE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.5 Il teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.5.1 Una traduzione della prima sezione dell’articolo originale di Godel 49
1.5.2 Indecidibilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
iv
1.5.3 L’aritmetizzazione della sintassi . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
1.5.4 Il teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
1.6 Generalizzazioni del teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
1.6.1 Il problema della fermata di Turing . . . . . . . . . . . . . . . 67
1.6.2 La prova di Kleene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
2 Argomenti Godeliani contro il meccanicismo 72
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
2.2 Il meccanicismo contemporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
2.3 Argomenti Godeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
2.3.1 L’argomento di Lucas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
2.3.2 L’argomento di Penrose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
2.3.3 Il “nuovo argomento” Godeliano di Penrose . . . . . . . . . . 85
3 Critica dell’argomento Godeliano 87
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
3.2 La ricezione degli argomenti Godeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
3.2.1 Critiche formali: Feferman, Davis e Putnam . . . . . . . . . . 87
3.2.2 Critiche Duhemiane: Chalmers, McCullough e Beneacerraf . . 90
3.2.3 Rovesciamenti dell’argomento Godeliano: Whitely, McCullough
e Hofstadter . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
3.2.4 Critiche alla formulazione del meccanicismo negli argomenti
Godeliani: Hofstadter, Dennett, Chalmers e D. McDermott . . 92
3.3 Il problema della coerenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
3.3.1 La critica di Benacerraf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
4 Meccanicismo, semantica e isomorfismo: sulla realizzazione di un
sistema formale 99
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
4.2 Realizzare un sistema formale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
4.2.1 Soddisfazione e computazione di una funzione . . . . . . . . . 100
4.2.2 ? = Soddisfazione per passi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
4.2.3 ? = Digitalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
4.3 La realizzazione di una struttura computazionale . . . . . . . . . . . 108
4.3.1 Stati, transizioni e automi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
4.4 La vacuita dell’implementazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
4.4.1 Argomenti-V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
4.4.2 L’argomento di Putnam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
4.5 La cecita semantica dell’isomorfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
v
4.5.1 L’argomento di Newman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
4.5.2 La cecita dell’isomorfismo e il realismo metafisico . . . . . . . 121
4.5.3 La cecita dell’isomorfismo nelle teorie naturalistiche della se-
mantica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
4.6 Un’analisi della cecita semantica dell’isomorfismo . . . . . . . . . . . 125
4.6.1 Il paradigma codicista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
Consclusioni 134
Bibliografia 138
vi
Abstract
In questo lavoro si sostiene che ne i risultati ottenuti da Godel nel 1931, ne le loro suc-
cessive generalizzazioni, possono essere usati per produrre argomenti a priori contro
il meccanicismo in filosofia della mente. Si osserva tuttavia che tali risultati gettano
una luce interessante sulla relazione che sussiste tra un sistema formale e un sistema
fisico che lo realizza. In particolare si sostiene che la proprieta di realizzare un sistema
formale non puo considerarsi intrinseca ad alcun sistema fisico, a meno che questo
non realizzi un sistema di rappresentazioni (cioe un sistema di stati intenzionali).
vii
Ringraziamenti
Sono particolarmente grato a Francesco Altea, Carl Hoefer, Federico Perelda, e Emil-
iano Trizio per le interessanti conversazioni sugli argomenti di questa tesi. Ringrazio
anche il Professor Luigi Perissinotto e il Professor Luigi Vero Tarca per aver diretto
questa tesi.
Sono inoltre infinitamente grato ai miei genitori Virgilio e Luciana Boccardi, che mi
hanno aiutato in tutti questi anni.
Ringrazio infine:
Andrea Bianchi, Valentina Bonifacio, Andrea Beltramin (senza il quale non mi sarei
mai laureato), Guia Camerino, Caterina Castellani, Gilberto Ciarmiello (che contin-
ua a mancarmi molto), Andrea e Isabel Crovato, Piero Dalbon, Franco Franceschin,
il Dr. Fulghieri, Martin Sarava Holzknecht, Roberto Loss, Fantina Madricardo, Inti
Marconato, Giovanna Massaria, Michela Massimi, Margherita Morgantin, Nane Moro
(per i suoi insights), Matthew e Marie-Josephine Newman, Giuseppe Pareschi, Sil-
via Puppini, La Rivetta e tutti i compagni di lavoro, Paolo, Laura e Agata Russo,
Giulia Telarini, Massimiliano Vianello, Aldo Vio, i Borderline, e tutti quelli che ho
dimenticato.
Barcellona, Spagna Emiliano Boccardi
10 Giugno, 2007
viii
Prefazione
Nella stesura di questa tesi mi sono a volte ispirato a letture che, non essendo citate
nel testo, non vengono menzionate. In particolare sono debitore nei confronti di
Diego Marconi ([34]), per alcune idee che si trovano nell’introduzione, e nei confronti
di Herbert D. Enderton ([16]) e Gabriele Lolli ([30]) per le dimostrazioni dei teoremi
e le definizioni che si trovano nel primo capitolo di questa tesi. Naturalmente nessuno
di loro e responsabile per cio che dico o per come lo dico.
Nella maggior parte dei casi, le citazioni che si trovano in questa tesi sono state
tradotte da me dall’inglese (perche la versione italiana non esiste o non era reperi-
bile). In particolare, nel paragrafo 1.6.1 riporto una mia traduzione della prima parte
dell’articolo di Godel del 1931. In questo caso ho anche cambiato la notazione e la
formattazione dei paragrafi originale, dove mi e parso che fosse disponibile una no-
tazione piu familiare alla maggior parte dei lettori, o comunque piu comprensibile.
Anche per quanto riguarda le traduzioni, la responsabilita per la fedelta e/o per la
conmprensione adeguata dei testi originali e mia.
ix
Introduzione
Durante il secolo passato, l’idea filosofica di uomo, e in particolare quella di mente
umana, si era frantumata, dissolta in una miriade di particolarismi culturali e sociali.
Sembrava insomma che l’idea stessa di essere umano, o di mente, fosse un prodotto
culturale, suscettibile di mille variazioni e interpretazioni. Il panorama filosofico,
inoltre, era intasato da una miriade di (possiamo dirlo a posteriori) sciocchezze sulla
varieta e infinita apertura della mente umana. Popoli cui mancherebbero i concetti di
alcuni colori, popoli senza futuro, senza passato, intrappolati in un perenne presente
dalla poverta della loro lingua, lingue che hanno centinaia di parole per riferirsi alla
neve, etc.
Insomma l’uomo sarebbe “un’invenzione recente”, come e stato sostenuto da Fou-
cault, non solo nel senso che e di recente che ci si e rappresentati l’umanita in quanto
tale, ma nel senso che non ci sarebbe nulla di solido, dietro questa rappresentazione.
Il linguaggio era naturalmente protagonista in questa (non)visione dell’uomo e
della mente. Il linguaggio e infatti la facolta piu sfuggente, complessa e plastica che
possediamo, quella che meno si presta a facili generalizzazioni, e quella che piu rifugge
una sistemazione in un quadro naturalistico del mondo.
Descartes, che riteneva che gli uomini, a differenza delle bestie, non fossero mac-
chine, adduceva a difesa della sua tesi che queste ultime
1
2
non potrebbero mai usare parole o altri segni combinandoli come fac-
ciamo noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perche si puo ben
concepire che una macchina sia fatta in modo tale da proferire parole, e ne
proferisca anzi in relazione a movimenti corporei che provochino qualche
cambiamento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosa si vuole da
lei se la si tocca in qualche punto, o se si tocca in un altro gridi che le si fa
male e cosı via; ma non si puo immaginare che possa combinarle in modi
diversi per rispondere al senso di tutto quel che si dice in sua presenza,
come possono fare gli uomini, anche i piu ottusi.
Nella prima meta del secolo passato, l’unico serio candidato per una visione scien-
tifica dell’uomo, quindi per un suo inquadramento naturalistico, era il comportamen-
tismo. Le estreme difficolta che quest’ultimo incontrava nel tentativo di “naturaliz-
zare” il linguaggio non facevano che confermare la tesi che non vi e alcuna “natura”
umana, se non quella appunto di sfuggire a qualunque tentativo di sistematizzazione.
Non si riesce a naturalizzare la mente semplicemnte perche non vi e alcuna “natura”
della mente: la mente sarebbe un prodotto culturale, come la cocacola, il matrimonio,
o il concetto di nazione.
La critica Chomskyana al comportamentismo (1959) ha innescato una rivoluzione
nella concezione scientifica del linguaggio e della mente, e ha riportato alla luce, fra
gli scienziati (inconsapevolmente), prima, e fra i filosofi, poi, una veneranda idea:
quella che il pensiero sia un calcolo. Il cartesianesimo aveva diffuso l’idea che fosse
possibile una sistematizzazione del pensiero sulla falsariga della scienza galieliana della
natura. Spinoza parlava di un “automa spirituale”, riferendosi al sistema delle idee
vere che la mente alberga. Leibniz, e Hobbes, concordavano nel concepire il pensiero
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come governato da leggi “meccanizzabili”. All’inizio del ’900, come vedremo fra poco,
queste idee avevano trovato un terreno molto fertile nel campo della matematica e
della logica. Ebbene, all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, i tempi erano maturi
perche tutte queste idee trovassero un posto nell’immagine scientifica dell’uomo, in
una mirabile sintesi, che oggi occupa un posto di primo piano anche nell’immagine
filosofica dell’uomo e della mente.
Negli corso degli anni ’80, poi, molte delle sciocchezze che si erano dette a proposito
dei ruoli determinanti svolti dal linguaggio e dalla cultura, vennero smascherate come
imposture: non esistono popoli senza futuro o senza colori, gli eschimesi hanno un
vocabolario semanticamente indistinguibile da quello inglese per riferirsi alla parola
neve, etc. Le stesse lingue, che in prima analisi sono cosı diverse fra loro, oggi non ci
sembrano piu tanto aliene le une alle altre.
Questa immagine della mente trovo una sistemazione filosofica nel funzionalismo,
e in particolare nella sua versione “computazionalista”, a tutti gli effetti una forma
di meccanicismo.
La parola computazionalismo sottende una vasta gamma di tesi filosofiche riguar-
do alla natura della mente. Queste tesi costituiscono, da decenni ormai, il paradigma
principale per una comprensione scientifica e filosofica dei fenomeni mentali. Sotto
questo nome si possono trovare uno spettro di ipotesi caratterizzate da varie inter-
pretazioni della tesi che possedere una mente sia la stessa cosa che realizzare (imple-
mentare e il termine usato piu spesso) un particolare tipo di computazione. Com-
prendere la tesi che gli stati mentali sono stati computazionali e pertanto cruciale
per potre comprendere qualunque tesi computazionalista, e soprattutto per cercare
di esplicitare quale idea della mente soggiacia a questo paradigma.
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L’idea generale e che la struttura causale di un sistema fisico puo “rispecchiare” (in
un senso da precisarsi) la struttura formale di una computazione, cosı realizzandola.
Cio che rende queste tesi filosoficamente attraenti e la possibilta che queste offrono
di inquadrare i fenomeni mentali all’interno dell’ordine naturale delle cose.
L’oggetto di questo lavoro e un’obiezione a priori che e stata mossa contro il mec-
canicismo, sulla scorta di un teorema di logica formale: il teorema di incompletezza
di Godel.
Torniamo dunque nuovamente indietro per seguire il percorso accidentato del
pensiero matematico fra il XIX e il XX secolo.
Quando Girolamo Saccheri, padre, suo malgrado, delle geometrie non euclidee,
considero, fra il XVII e il XVIII secolo, la geometria assoluta (cioe il sistema di assio-
mi che si ottiene espungendo il postulato delle parallele), e scoprı che da questa non
era possibile dimostrare che la somma degli angoli interni di un triangolo e di 180
gradi (cioe che questo enunciato non e decidibile in quella assiomatizzazione), lo fece
pensando di poterne derivare delle contraddizioni. Era talmente convinto dell’ovvieta
dei postulati di Euclide, che non considero nemmeno la possibilta di aver scoperto
delle geometrie non euclidee consistenti. Quando, un secolo piu tardi, questi “mostri”
che Saccheri aveva creato per dimostrarne l’impossibilita, si dimostrarono consistenti,
una profonda crisi si abbatte sul pensiero matematico e le sue conseguenze attraver-
sano l’intero pensiero scientifico fino ai nostri giorni. I postulati di Euclide, infatti,
sono profondamente radicati nelle nostre intuizioni circa la natura dello spazio. Una
fede ceca nel potere della ragione aveva per secoli suggerito che questi assiomi, cosı
intuitivamente veri, non potessero essere negati senza incorrere in qualche contrad-
dizione. Per questo la geometria, nella sistematizzazione assiomatica deduttiva che le
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aveva dato Euclide, costituiva un paradigma del pensiero, ed era esibita come prova
della possibilta di un pensiero umano certo, infallibile. Descartes e Spinoza imita-
vano lo stile della geometria, persino per dimostrare l’esistenza di Dio. Tutto il resto
della matematica, compresa l’analisi, doveva le sue incrollabili basi alle relazioni che
intratteneva con la Geometria.
E’ comprensibile dunque che l’esistenza di questi mostri che ripugnano all’intel-
letto facesse temere di perdere ogni certezza. L’analisi certo non navigava in acque
migliori (si pensi al caso della curva di Peano-Hilbert, che riempie l’intero spazio di
un quadrato).
Fu cosı, almeno in questa ricostruzione sbrigativa, che si fece ricorso all’aritmet-
ica, come all’ultima ancora di salvezza per l’amata certezza. Il timore (ragionevole,
sebbene a posteriori infondato) era che dalla semplice aritmetica non si potesse ri-
cavare gran che. Una conoscenza certa ma inutile non sarebbe stata una degna erede
della geometria. Dedekind, Cantor e Weierstrass riuscirono nell’intento, e fondarono
l’analisi sull’aritmetica. Purtroppo, non si riuscı in alcun modo ad evitare di fare
ricorso ad insiemi infiniti, che certo non erano altrettanto ovviamente intuibili dei
punti e delle rette di Euclide.
Come e noto, una nuova tempesta si stava per abbattere su quanti speravano di
fondare la conoscenza matematica su basi certe. E’ opportuno pero soffermarci ad
osservare che, gia a questo punto, si sentiva la necessita di catturare tutto quanto
era salvabile, l’aritmetica, la logica, e tutto cio che da queste si poteva fondare, in
strutture formali, di modo da non lasciare nemmeno la minima possibilita all’errore.
Questa esigenza e del tutto comprensibile. Se ci accade di sbagliare dove pensiamo non
vi sia spazio per l’errore, non solo avremo timore di sbagliare ancora, ma dubiteremo
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ragionevolmente della nostra stessa sensazione che qualcosa sia indubitabile. Se ci
accorgiamo di commettere errori di calcolo quando facciamo delle operazioni molto
complicate, non solo dubiteremo dei risultati ottenuti facendo i conti a mente, ma
anche della nostra sensazione di non aver commesso errori. Una risposta piu che
naturale, in questi casi, e usare un pallottoliere. Ovviamente un pallottoliere non
capisce cio che fa, non sa cosa siano i numeri, ne, se perquesto, qualsiasi altra cosa.
Ma, si badi bene, e proprio questo il punto! Se le macchine sono buone a qualcosa,
se sono piu prevedibili, e quindi piu affidabili, di noi umani, e proprio perche non
sanno cio che fanno, o meglio, perche per fare cio che fanno non c’e bisogno di un
briciolo di comprensione, di intelligenza. Non e cosı, dopotutto, che facciamo di conto
noi stessi, quando dobbiamo metterci a scrivere una divisione complicata? Quanti di
noi, da bambini, pensavano a cosa significasse il numerino che si riporta sotto le cifre
di una divisione per fare il calcolo. Lo facciamo meccanicamente, e un’operazione
tipografica, non serve alcuna intelligenza per farlo. Ed e proprio questo il punto. Se
serve pensare molto per fare qualcosa, e piu facile sbagliarsi.
Il segreto per non sbalgiarsi e dunque questo: meccanizzare, meccanizzare, mec-
canizare.
Volevo la certezza nello stesso modo in cui la gente vuole la fede religiosa.
Ritenevo che la certezza sia da trovare piu facilmente nella matematica
che non altrove. Ma scoprii che molte dimostrazioni matematiche, che i
miei insegnanti oensavano che dovessi comunque accettare, erano piene di
errori, e che, se veramente la certezza fosse da scoprire nella matematica,
questo accadrebbe in una nuova specie di matematica con fondamenta
piu solide di quelle che fino a quelo momento erano sembrate sicure. Ma,
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via via che il mio alvoro procedeva, ero costretto a ricordare la favola
dell’elefante e della tartaruga. Avendo costruito un elefante su cui avrebbe
potuto poggiare il mondo matematico, trovai che l’elefante vacillava, e
presi a costruire una tartaruga per impedire all’elefante di vacillare [...].1
Gottlob Frege aveva sistematizzato il percorso di formalizzazione della logica in-
augurato da George Bool, riuscendo ad esprimere formalmente ogni ragionamento
conosciuto che i matematici usano per dimostrare teoremi in modo rigoroso. Aveva
inoltre mostrato come, contra Kant, fosse possibile fondare l’aritmetica su basi pu-
ramente logiche, e quindi, a priori. Aveva insomma inaugurato il logicismo. Come e
noto, anche questa tartaruga si rivelo inconsistente: era possibile derivare delle con-
traddizioni a partire da quegli stessi assiomi che avrebbero dovuto reggere l’intero
castello delle matematiche.
Ecco quindi che il secolo si inaugura con una nuova “crisi dei fondamenti”. Rias-
sumendo, dunque, la ricerca della certezza doveva difendersi da due gravi pericoli. Da
un lato non ci si poteva piu fidare dell’intuizione, del “significato” dei termini, della
ovvieta degli assiomi. Questo strumento della ragione umana era stato (a ragione)
accusato di alto tradimento: cio che agli umani pare ovviamente vero, puo non es-
serlo. Dall’altro, non solo si corre il rischio di considerare certe delle proposizioni che
non sono logicamente necessarie, ma si corre anche il rischio, forse ancor peggiore, di
contraddirsi. Quest’ultimo e un punto importante. L’esperienza traumatizzante della
crisi dei fondamenti, aveva insegnato non solo che la certezza e difficile da incontrare,
anche nelle matematiche, ma che la contraddizione si puo annidare nei meandri piu
1B. Russell [48], p.73.
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reconditi di un sistema formale. Gli assiomi di Euclide erano considerati non con-
traddittori perche si riteneva che avessero una controparte reale nello spazio fisico, e
la relata non si puo contraddire. Ma chi poteva garantire, ora che questo ancoraggio
alla realta era venuto meno, che non vi fossero contraddizioni nascoste nei nostri sis-
temi di assiomi? L’esperienza di Frege, dopotutto, non ci aveva insegnato che e ben
possibile scoprire contraddizioni anche nei sistemi piu semplici ed eleganti?
Le tre risposte che i matetmatici seppero dare, come e noto alla maggior parte dei
lettori, furono quella di Russell, quella di Brouwer e quella di Hilbert. Russell, con
la sua opera monumentale dei Principia Mathematica, riscatto il sistema di Frege,
liberandolo, perlomeno, da quella contraddizione che lo aveva messo in crisi. Nat-
uralmente nulla grantiva che anche questa tartaruga non avrebbe preso a vacillare.
Russell tuttavia non credeva che si potesse fare altro che difendersi dalle contrad-
dizioni, quando queste si palesano: non credeva insomma che si potesse dimostrare
l’incontradditorieta di un sistema formale in modo certo.
Brouwer, dal canto suo, resuscito l’idea Kantiana che l’intuizione potesse e dovesse
fondare in modo certo le matematiche. Il prezzo da pagare per evocare questa facolta
screditata della ragione umana, era quello di espungere dalla matematica ogni cosa
sospetta, ogni ragionamento o concetto che non fosse afferrabile in un colpo solo dal-
l’occhio della mente. In particolare, se l’intuizione doveva fare il suo lavoro fondativo,
l’infinito, almeno quello attuale, avrebbe dovuto uscire di scena.
Hilbert, dal canto suo, non accettava di gettare alle ortiche tanta parte del ragion-
amento matematico. Riteneva che si fossero seguiti i severi precetti di Brouwer, le
matematiche ne sarebbero risultate orrendamente mutilate. Si badi bene che nessuno
metteva in dubbio che i metodi finitistici di Brouwer fossero scorretti. E nessuno
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mettava anche in dubbio che i suoi metodi fossero piu “sicuri” degli altri. Le opin-
ioni divergevano circa cosa fosse possibile fare usando solo quei metodi. Hilbert,
cosı, seguendo il precetto: meccanizzare... meccanizzare... meccanizzare, diede inizio
all’impresa titanica di meccanizzare la deduzione.
E’ noto come Leibniz pensasse che fosse possibile costruire la characteristica uni-
versalis, una macchina per calcolare pensieri. Quando avremo ottenuto una simile
meccanizzazione del pensiero, pensava,
non ci sara maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne
sia tra due calcolatori. Sara sufficiente, infatti, che essi prendano la penna
in mano, si siedano a tavolino, e si dicano reciprocamente (chiamato, se
loro piace, un amico): calcoliamo.2
Hilbert costruı un sistema formale che “meccanizzava” la deduzione logica sulla
base di regole combinatorie semplicissime. Tecnicamente, dato il lavoro logicista che
Russell aveva gia fatto, questo significava mettere in relazione la teoria degli insiemi
e l’intera analisi con una loro piccola parte propria, la combinatoria, cioe la branca
della matematica che si occupa di insiemi finiti di oggetti, delle loro permutazioni, etc.
Dal momento che la combinatoria e perfettamente in accordo con i precetti finitisti-
ci di Brouwer, il progetto formalista di Hilbert avrebbe sbaragliato l’intuizionismo.
Si sarebbero insomma potute accettare le ragioni dell’intuizionismo, senza dover ac-
cettare anche i suoi aspetti piu radicali e mistici. La botte piena e la moglie ubriaca,
come si dice. Con questo strumento potente e semplice allo stesso tempo, Hilbert
2G. Leibniz [28], p.237.
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sperava di dimostrare al di la di ogni ragionevole dubbio che la matematica era coer-
ente. Si desiderava liberarsi dall’incubo delle contraddizioni, e ora il sogno pareva a
portata di mano.
Ebbene e a questo punto che si inserisce il teorema di incompletezza di Godel.
Godel dimostro infatti che dati quegli assiomi (quelli di Russell, o simili) e dati
quei metodi finitistici di deduzione (quelli di Hilbert, o simili), bisognava riconoscere
come vere proposizioni che non erano dimostrabili (a partire dagli assiomi). Insomma
dimostro che non si puo avere sia la botte piena che la moglie ubriaca.
Purtroppo il teorema esercita un fascino magnetico, e si presta ad essere usato
per trarne le conseguenze piu disparate. Il presente lavoro, come ho detto, riguarda
uno di questi usi indebiti del teorema di Godel. Penso che, per la gran parte, questi
usi indebiti del teorema dipendano da un’espressione parziale (quindi non corrispon-
dente ai fatti) del teorema di incompletezza. Se eliminiamo tutte le specificazioni
dall’enunciato del teorema, infatti, dovremmo dire che Godel dimostro che esistono
proposizioni della matematica che sono vere ma non dimostrabili. Questo e falso:
Godel non dimostro ne che la botte delle verita dimostrabili e vuota, ne che la moglie
e sobria.
A mio parere, qualunque “dimostrazione” di una tesi filosofica sulla base di un
singolo risultato tecnico, matematico o scientifico che sia, puzza di marcio. Mi pare
evidente, infatti, che e gia abbastanza difficile trarre conseguenze filosofiche da pre-
messe filosofiche. Trarre conseguenze filosofiche da premesse tecniche e, a mio parere,
un’impresa destinata a fallire sin dal principio.
Ad ogni modo, gli argomenti contro il meccanicismo che tratteremo nel seguito,
hanno approssimativamente la seguente forma:
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1. Le macchine sono sistemi formali incarnati.
2. I sistemi formali sono limitati dal teorema di Godel (vi sono sempre verita che
non sono conseguenze degli assiomi, qualunque siano gli assiomi)
3. Noi umani riusciamo a “vedere” che queste proposizioni indecidibili sono vere.
Ne segue che
4. Non siamo macchine.
Come vedremo nelle pagine che seguono, tutti questi argomenti commettono
qualche fallacia (in particolare vedremo che le proposizioni 1-3 sono tutte false) e
non si possono quindi prendere troppo sul serio. La quantita di critiche distruttive e
dettagliate che gli argomenti Godeliani hanno ricevuto da quando sono stati proposti
fino ad oggi ha convinto quasi tutti coloro che si occuppano di filosofia della mente
che si tratta di non sequitur.
Tuttavia, a mio parere, questi argomenti mettono in una luce interessante un
problema delle teorie meccaniciste che genericamente viene detto il problema della
semantica artificiale. Quando giungiamo alla fine della dimostrazione del teorema di
Godel, ci accorgiamo in un batter d’occhio che la proposizione che abbiamo appena
dimostrato essere indimostrabile, e tuttavia vera. Ci accorgiamo che e vera in modo
immediato, semplice, in un modo che non somiglia per nulla ai “calcoli” di Leibniziana
memoria. Vediamo che e vera in colpo solo. Non e forse questa una confutazione del
meccanicismo?
Beh, non lo e almeno per due motivi. In primo luogo, come risultera chiaro
nelle possime pagine, e scorretto dire che vediamo che la proposizione di Godel e
vera. Questo presuppone che l’aritmetica sia coerente, fatto che non e a sua volta
12
dimostrabile all’interno dell’aritmetica. Resta indubitabile comunque che vediamo
questa proposizione come vera non appena ci rendiamo conto di cio che “significa”.
Lo facciamo in modo apparentemente immediato, senza dover calcolare nulla. Come
vedremo questa e una difficolta seria per l’intelligenza artificiale, il problema appunto
della semantica artificiale. La tesi che sosterro in questo lavoro e che gli argomenti
Godeliani offrono una prospettiva interessante su questo problema. In particolare,
sosterro che il problema sollevato dagli argomenti Godeliani non e quello della se-
mantica artificiale, ma quello piu profondo che concerne la realizzazione di sistemi
formali.
Il lavoro e strutturato come segue:
1. Nel primo capitolo vengono introdotti vari concetti propedeutici alla dimostrazione
del teorema di Godel e viene infine riprodotta una dimostrazione formale del risultato.
2. Nel secondo capitolo, dopo aver brevemente discusso in cosa consista il mecca-
nicismo (nella sua veste contemporanea), vengono presentati gli argomenti Godeliani
contro di esso.
3. Il terzo capitolo e dedicato alle critiche che sono state sollevate contro questi
argomenti.
4. Infine, il quarto capitolo e dedicato ad alcune difficolta inerenti al concetto di
realizzazione di un sistema computazionale. Il problema della cecita semantica dei
sistemi formali viene inserito in un contesto filosofico piu generale, dal quale e a mio
avviso possibile fornire una diagnosi efficace.
Capitolo 1
La dimostrazione del teorema diGodel
1.1 Introduzione
In questo capitolo vengono introdotte nozioni fondamentali per capire la dimostrazione
del teorema di Godel (paragrafi 1.2-1.6). Il lettore familiare con i concetti della logi-
ca elementare e della teoria dei modelli puo saltare interamente questi paragrafi. In
questo caso l’avvertenza e che in tutta la dimostrazione del teorema di Godel ho us-
ato la nozione di rappresentabilita in un sistema di assiomi, al posto di quella piu
familiare, ma equivalente, di ricorsivita.
Nei paragrafi 1.7 e 1.8 viene proposta una dimostrazione integrale del teorema di
incompletezza e alcune sue generalizzazioni.
1.2 Concetti e definizioni preliminari
Quanto segue sono alcune definizioni elementari che verranno diffusamente utilizzate
nel seguito. Il lettore familiare con i concetti della logica elementare puo senz’altro
saltare interamente questa sezione.
13
14
1.2.1 Verita, modelli e implicazione logica
Se nella logica proposizionale una funzione di verita ci comunica quali enunciati
vadano interpretati come veri e quali come falsi, nella logica del primo ordine questo
ruolo e svolto dalle strutture, che possono pensarsi come traduzioni dal linguaggio
formale nella lingua naturale. Una struttura, in altre parole, ci dovra dire a quale
collezione di oggetti il quantificatore universale (∀) si riferisce e cosa denotano gli altri
parametri (i simboli predicativi e funzionali). Piu formalmente:
15
Definizione 1.2.1 (Struttura). Una struttura U per una data logica del primo
ordine e una funzione il cui dominio e l’insieme dei parametri tale che:
1. U assegna a ∀ un insieme non vuoto |U |, detto l’universo di U
2. U assegna ad ogni simbolo predicativo a n posti P una relazione n-aria PU ⊆
|U |n
3. U assegna ad ogni simbolo costante c un membro cU dell’universo |U |.
4. Infine U assegna ad ogni simbolo funzionale ad n posti f una operazione n-aria
fU su |U |.
In un senso debole che specificheremo nel corso di questo lavoro, una struttura U
assegna dei “significati” ai parametri del linguaggio. Tradotto nel linguaggio naturale
attraverso U , il parametro ∀, ad esempio, significa “per ogni membro di |U |”. Come
vedremo nel corso di questo lavoro, la nozione di struttura e della massima importanza
per capire la differenza tra la verita di un asserto (o di un pensiero) nel linguaggio
(o nel pensiero) naturale, e la verita di un enunciato in un linguaggio formale. Se gli
asserti del linguaggio naturale devono essere interpretati per riferirsi a dei fatti o a
degli stati di cose, gli enunciati di un linguaggio formale sono solo interpret-abili in
un modo o nell’altro.
Come dicevo la nozione di struttura svolge un ruolo affine a quello delle funzioni di
verita nel calcolo proposizionale. Se le forlule del linguaggio formale, infatti, vengono
“tradotte” nel linguaggio naturale dalle strutture, e facile rendersi conto che, data
una formula σ in un linguaggio formale, la sua traduzione nel linguaggio naturale
16
per mezzo di una data struttura U , puo risultare vera oppure falsa. Al fine di ren-
dere questa nozione intuitiva matematicamente rigorosa, si fa ricorso alla nozione di
soddisfazione.
Definizione 1.2.2 (Modello). Siano:
• φ una formula ben formata (d’ora in avanti fbf) del nostro linguaggio formale
• U una struttura per il linguaggio
• s : V → |U | una funzione dall’insieme V delle variabili del linguaggio nell’uni-
verso di U .
Diremo che la struttura U soddisfa φ con s (o che e un modello di φ), e scriveremo
|=U φ[s], sse la traduzione di φ tramite U , dove ogni variabile libera x viene tradotta
con s(x), e vera.
Banalmente diremo che una struttura U soddisfa (o che e un modello) per un
insieme di formule Σ, sse soddisfa ciascuna di queste formule. Diremo infine che una
insieme di formule Σ e soddisfacibile sse esiste una struttura U e un’assegnazione s
che lo soddisfano.
Il concetto di modello si presta ad una estensione naturale della nozione di im-
plicazione tautologica. Intuitivaente diremo che un insieme di formule Σ implica
logicamente un’altra formula φ quando ogni interpretazione di (ciascuna formula in)
Σ soddisfa anche φ. Piu formalmente:
Definizione 1.2.3 (Implicazione Logica). Sia Γ un insieme di formule del lin-
guaggio. Allora Γ implica logicamente φ, e scriveremo Γ |= φ, se per ogni struttura
17
U ed ogni assegnazione s : V → |U | tale che U soddisfa ogni membro di Γ con s, U
soddisfa anche φ con s
L’equivalente delle tautologie, nella logica del prim’ordine, sono le formule valide.
Una formula e valida (scriveremo semplicemente |= φ) sse per ogni U e per ogni s, U
soddisfa φ con s. Intuitivamente le formule valide sono formule che risultano vere in
qualunque interpretazione.
Sara utile per quanto segue tenere presente anche questa definizione. Diremo
(informalemnete) che due strutture U e B sono elementarmente equivalenti se rendono
vere le stesse formule e false le stesse foemule. Piu formalmente:
Definizione 1.2.4 (Equivalenza elementare). Due strutture U e B si dicono
elementarmente equivalenti sse per ogni enunciato σ del linguaggio:
|=U σ ⇔|=B σ
E’ importante notare che un corollario del teorema di omomorfismo (che non
enuceremo qui) e che due strutture isomorfe sono sempre elementarmente equivalenti.
Due strutture isomorfe, inoltre, sono equivalenti anche rispetto agli enunciati del
secondo ordine (e di tutti gli ordini superiori): esse sono insomma strutturalmente
identiche.
1.2.2 Assiomi logici e deduzioni formali
Una regola di inferenza e una regola per ottenere una nuova formula da certe altre.
Dato un sottoinsieme da definirsi delle formule, Λ, chiamato insieme degli assiomi
logici, e dato un qualunque insieme di formule Γ, diremo che una formula φ e un
18
teorema di Γ sse e possibile ottenere φ applicando (un numero finito di volte) delle
regole di inferenza all’insieme Γ⋃
Λ. Vi sono varie scelte possibili sia per Λ che per
le regole di inferenza. Lo scopo del gioco e ottenere il piu gran numero possibile
di enunciati veri (e nessun enunciato falso) a partire da enunciati veri. Una delle
possibilita (per la logica classica), quella che sceglieremo di usare, e quella di avere
una sola regola di inferenza: il modus ponens ; dalle formule α e α → β, e possibile
inferire β.
Il prezzo da pagare per avere una sola regola di inferenza cosı semplice e che
l’insieme degli assiomi logici non potra essere vuoto. In particolare se scegliamo,
come abbiamo fatto, il modus ponens come unica regola di inferenza, l’insieme degli
assiomi logici Λ si puo costruire nel modo seguente.
Diremo che una formula φ e una generalizzazione della formula φ sse per qualche
n ≥ 0 e per delle variabili x1, ..., xn si ha φ = ∀x1, ...,∀xnψ. Gli assiomi logici sono
allora tutte le genralizzazioni delle formule formate in uno dei modi seguenti:
1. Tautologie;
2. ∀xα→ αxt , dove in α e possibile sostituire t a x;
3. ∀x(α→ β) → (∀xα→ ∀xβ);
4. α→ ∀xα, dove x non occore libera in α;
5. x ≈ x (se il linguaggio comprende l’identita);
6. x ≈ x→ (α→ α′), dove α e atomica e α
′e ottenuta da α sostituendo y a x in
zero o piu posti (naturalmente anche questo assioma vale solo se il linguaggio
comprende l’identita);
19
Come dicevamo, dato un insieme di formule Γ diremo che una formula φ e un
teorema di Γ e scriveremo Γ ` φ sse e possibile ottenere φ da Γ⋃
Λ applicando il
modus ponens un numero finito di volte. In questo caso, una sequenza di formule che
registra come φ e stata ottenuta da Γ⋃
Λ verra detta una deduzione di φ da Γ. Piu
formalmente:
Definizione 1.2.5 (Deduzione). Una deduzione di φ da Γ e una sequenza <
α0, ..., αn > di formule tale che per ogni i ≤ n una delle seguenti proposizioni risulta
vera:
1. αi ∈ Γ⋃
Λ, o
2. per qualche j, k ≤ i, αi si puo ottenere da αj per modus ponens (cioe αi = αj →
αi).
1.2.3 Definibilita di una relazione
Abbiamo gia accennato al fatto che le strutture (nel senso tecnico definito poc’anzi)
offrono delle “traduzioni” possibili dal linguaggio formale al linguaggio naturale. Tale
dizione non va presa troppo sul serio, nel senso che, a differenza delle traduzioni fra
linguaggi naturali, non ha senso chiedersi se una data struttura offra una “traduzione”
corretta o meno. Certo alcune strutture offriranno interpretazioni piu perspique di al-
tre. Alcune offriranno interpretazioni prive di significato. Ma questo lo sappiamo solo
noi che guardiamo alla faccenda da fuori, dall’alto delle nostre preacquisite conoscen-
ze linguistiche e fattuali. Per quanto riguarda un sistema formale, ogni struttura e
altrettanto sensata di qualunque altra. Torneremo presto su questo punto. Ora voglio
pero concentrarmi su un’altra questione, legata alla prima ma non coincidente. Dato
20
un linguaggio formale (un insieme di formule ben formate), e data una struttura per
esso (un’interpretazione per i suoi parametri), mi chiedo quanto sia in grado di es-
primere circa gli oggetti del suo universo. Abbiamo infatti visto che una struttura U
associa al parametro ∀ un insieme di elementi: l’universo |U |. Intuitivamente questo
universo e cio di cui il nostro linguaggio formale “parla”, quando viene interpreta-
to per mezzo di U . Analogamente, abbiamo visto, i simboli predicativi, una volta
interpretati per mezzo di U , “parlano” di relazioni che potrebbero sussistere fra gli
elementi dell’universo. Se in particolare una relazione sussiste davvero fra gli elementi
individuati da una certa formula (sotto l’interpretazione U), allora diciamo che quella
formula e soddisfatta o che la struttura e un modello per quella formula.
Ora invece mi voglio chiedere se il linguaggio formale, interpretato attraverso U
mi dica tutto cio che potrebbe essere vero o falso circa gli elementi di |U |. Poniamo
ad esempio che l’universo del nostro linguaggio sia l’insieme dei numeri naturali. Cio
significa che le formule del linguaggio si “riferiranno” a proprieta dei numeri naturali.
Alcune di queste saranno vere, altre false (verremo piu tardi al problema della ver-
ita degli enunciati). Ma, mi chiedo, le formule del linguaggio formale, esprimeranno
(attraverso la struttura) tutte e sole le relazioni che possono sussistere fra i numeri
naturali? O ve ne sara qualcuna che sfugge alla “capacita di esprimersi” del linguag-
gio? Una risposta preliminare e che questo dipende dal sistema formale che stiamo
considerando. A parita di universo, infatti, vi saranno sistemi formali piu ricchi e piu
poveri.
Consideriamo ad esempio un linguaggio (dotato di uguaglianza), il cui universo
e l’insieme dei numeri naturali e i cui parametri sono solo i seguenti: un simbolo
21
costante (interpretato come il numero 0), e una funzione a un posto S intesa a de-
notare la funzione successore. Ora questo linguaggio sara certamente in grado di
esprimere il fatto che il numero 0 non e il successore di alcun numero. La formula
che “esprime” questo fatto e ¬(∃x(Sx ≈ 0) (dove il simbolo ¬ nega la formula che
lo segue). Naturalmente date le condizioni che ho dato nulla si puo affermare circa
la verita o la falsita di questo enunciato, dal punto di vista del sistema formale. Noi
pero sappiamo che 0 non e il successore di alcun numero: la struttura U e pertanto
un modello per la formula ¬(∃x(Sx ≈ 0). Ma noi sappiamo anche altre cose circa
i numeri naturali, ad esempio sappiamo che 3 > 2. Puo il nostro scarno linguaggio
formale esprimere questo fatto? Chiaramente no. Se pensate che sia possibile provate
ad esprimere il fatto che 3 > 2, usando solo le parole “zero”, “successore di” e “uguale
a”. Potete naturalmente usarle un numero imprecisato di volte (come nella frase “Il
successore del successore del successore.... di zero e uguale a... ”). E’ facile rendersi
conto che con questo linguaggio non si puo esprimere un gran che, a proposito dei
numeri naturali.
Si sarebbe tentati di dire che il motivo per cui non siamo in grado di esprimere il
fatto che 3 > 2 e che non vi e un parametro nel linguaggio che (nella struttura) viene
interpretato come “maggiore di”. Tuttavia questa impressione non e corretta. A volte
dei fatti (delle relazioni fra membri dell’universo), sono esprimibili anche senza che nel
linguaggio vi siano parametri che vengono direttamente interpretati come riferentesi
a quelle relazioni. Di fatto questo si verifica per la maggior parte delle relazioni che
il linguaggio puo esprimere.
Si pensi ad un linguaggio un po’ piu “ricco” di quello precedente, che oltre a
0, alla funzione S e all’uguaglianza, abbia anche tra i suoi parametri due simboli
22
funzionali a due posti (+ and ·) intesi a denotare le solite operazioni di addizione e
moltiplicazione. Ora, anche questo linguaggio, come il precedente, non possiede alcun
parametro che viene interpretato attraverso U come la relazione d’ordine “minore di”.
Eppure e facile rendersi conto che la formula ∃v3 · v1 ≈ v2, dove le v1 sono variabili,
esprime (attraverso U) precisamente la relazione “essere minore di”. Letteralmente
la traduzione della formula, infatti, e “dati due numeri a e b, esiste un numero c tale
che b e la somma di a e del successore di c”. Ora, il successore di c, chiunque sia c
non puo essere 0. Quindi la formula dice che b si ottiene da a aggiungendo ad a un
numero (il successore di c appunto). E questo non e equivalente a dire che a e minore
di b?
In questo caso, anche se non vi e nel linguaggio alcun parametro inteso a denotare
la relazione “minore di”, diremo che la relazione “minore di” e definibile dal linguaggio
entro la struttura U . Questo equivale a dire che esiste una formula nel linguaggio che
e soddisfatta se e solo se la relazione che definisce fra i membri dell’universo denotati
sussiste davvero.
Piu formalmente: sia U una struttura e φ una formula tale che tutte le variabili
che occorrono libere in φ siano incluse fra v1, ..., vk. Allora per gli elementi a1, ...ak
di |U |, |= φ[[a1, ...ak]] significa che U soddisfa φ con qualuqnue funzione s : V → |U |
tale che s(vi) = ai, 1 ≤ i ≤ k.
Definizione 1.2.6 (Definibilita). Si dice che una formula φ definisce una relazione
k-aria R in |U | sse
R = {〈a1, ...ak〉 :|=U φ[[a1, ...ak]]}
Una relazione R su |U | e definibile in U sse esiste una formula che la definisce in U .
Stante, come abbiamo visto, che la domanda circa la definibilta di una relazione in
23
una struttura dipende dal linguaggio, e dalla struttura stessa, possiamo chiederci se,
dato un universo (un insieme di enti), esistano un linguaggio e una struttura tali da
definire tutte le relazioni che sussistono fra i membri dell’universo. Beh, se l’universo
e finito, questo e certamente possibile. Ma se e infinito? Ad esempio, esistono un
linguaggio e una struttura tali da definire tutte le relazioni che sussistono fra i numeri
naturali? Come vedremo meglio piu avanti, la risposta e negativa. Il numero di
tutte le formule del linguaggio (quindi a forziori il numero di quelle che definiscono
relazioni fra numeri naturali) e ℵ0. Ma il numero di relazioni che sussistono fra i
numeri naturali, e 2ℵ0 . Quindi vi saranno sempre delle relazioni che sussistono fra
numeri naturali che non sono definibili nel linguaggio formale. Vedremo piu avanti
quali conseguenze e legittimo trarre da questo fatto. Anticipo che non e legittimo
trarre alcuna conseguenza profonda circa l’ineffabilita intrinseca di alcun enunciato
particolare.
1.2.4 Teorie e completezza
Dato un insieme (anche infinito) di formule, ha senso chiedersi quale sia la chiusura di
questo rispetto all’implicazione logica. In altre parole, dato un insieme di formule T ,
ci chiediamo quali siano le formule vere in tutti i modelli di T . Un insieme di formule
chiuso rispetto all’implicazione logica viene detto una teoria. Piu formalmente:
Definizione 1.2.7 (Teoria). Si dice che un insieme T e una teoria sse dato qualunque
enunciato (formula chiusa) σ del linguaggio si ha
T |= σ ⇒ σ ∈ T
E’ facile rendersi conto che, banalmente, l’insieme di tutte le formule del linguaggio
24
e una teoria. Questo insieme, tuttavia, non e molto interessante, in quanto, qualunque
interpretazione scegliamo per esso, dira tutto e il contrario di tutto. Infatti e l’unica
teoria che non puo essere soddisfatta in nessun caso (cioe non ha alcun modello)...
insomma: non parla di nulla. Ai fini di questo lavoro, e utile soffermarsi un istante
su questo punto. Un attimo fa ho detto che in un certo senso la teoria di tutte le
formule del linguaggio non e interessante perche “dice” tutto e il contrario di tutto.
Ora invece sostengo che questa teoria non e interessante perche non “parla” di nulla.
Mi sto contraddicendo? Il punto e, come vedremo meglio piu avanti, che le formule
di un linguaggio non parlnano mai di nulla, non hanno mai un significato: sono segni
in attesa che qualcuno ci “veda” un significato. Persone diverse potranno vederci
significati diversi. Per ora ci accontentiamo di osservare che se una teoria non ha
modelli, nessuno potra mai “vederci” alcun significato. In questo senso la teoria di
tutte le formule non “parla” di nulla. Non “parla” di nulla di reale, intendo dire.
Nulla vieta che qualcuno voglia comunque “vedere” un significato nelle formule di
questa teoria. In questo caso la teoria affermera tutto e il contrario di tutto.
Oltre a questa teoria massimale, esiste sempre anche un’altra teoria che potremmo
chiamare minimale: la teoria di tutte le formule valide del linguaggio. Questa teoria,
a differenza di quella di prima, affema solo cose vere (in tutti i modelli). In questo
senso quindi e “migliore” della teoria di tutte le formule. Tuttavia anche questa non
e di grande interesse: proprio perche dice cose vere in tutti i modelli, qualuqnue siano
gli assiomi che decidiamo di aggiungere a quelli logici, essa e scarsamente informativa.
Sia K una classe di strutture per il linguaggio. Chiameremo teoria di K l’insieme
di tutte le formule vere in ogni struttura contenuta in K:
25
ThK = {σ : σ e vera in ogni membro di K }
E’ facile rendersi conto che un insieme di formule cosı definito e di fatto una
teoria. Come dicevamo all’inizio di questo paragrafo, dato un insieme di formule Γ
ha senso interrogarsi su quale sia la chiusura di Γ rispetto all’implicazione logica:
CnΓ = {σ : Σ |= σ}. E’ importante notare che tale chiusura, qualunque essa sia, e
una teoria. La teoria degli insiemi, ad esempio e l’insieme delle conseguenze di un
certo sottoinsieme delle formule: gli assiomi della teoria degli insiemi. E’ anche facile
rendersi conto che un insieme di formule T e una teoria sse:
T = CnT
Diremo inoltre che una teoria e completa se (informalmente) contiene tutto cio
che il linguaggio ha da dire a proposito di un certo universo. Piu formalmente:
Definizione 1.2.8 (Completezza). Si dice che una teoria T e completa sse per ogni
formula σ del linguaggio, si ha o σ ∈ T o ¬σ ∈ T .
Un risultato interessante a proposito della completezza e il seguente:
Proposizione 1.2.1. Una teoria e completa sse tutti i suoi modelli sono (a due a
due) elementarmente equivalenti
Data una struttura U , la teoria ThU (che, come ricorderete, e l’insieme di tutte
le formule vere in U , e sempre una teoria completa. Data una interpretazione U di
un linguaggio, infatti per ogni formula σ, se σ non e vera, lo e ¬σ. Ne segue che per
ogni σ, o σ o ¬σ apparterra alla teoria ThU .
26
1.2.5 Correttezza, consistenza e completezza del calcolo della
deduzione
Abbiamo visto che, dati un insieme di formule Σ e una qualuqnue formula φ, in
alcune condizioni (definite qui sopra) si avra che Σ implica logicamente φ. Abbiamo
indicato questo fatto con Σ |= φ. Ricordiamo che questo si verifica quando ogni
interpretazione che rende vere tutte le Σ rende vera anche φ. Il problema fondamentale
dell’implicazione, cosı definita, e che potrebbe essere molto difficile, se non impossibile,
sapere quando un enunciato e vero (in una certa interpretazione). Ancor piu difficile e
sondare tutte le possibili interpretazioni per verificare che tutte quelle che soddisfano
Σ soddisfano anche φ.
Abbiamo anche visto che fra Σ e φ puo intercorrere una relazione piu sondabile,
piu umana se vogliamo: puo succedere che esista una deduzione formale di φ da σ.
Abbiamo indicato questo fatto con Σ ` φ. Dico che e piu umana perche se esiste una
deduzione, possiamo sperare di trovarla. E una volta trovata ci potremo mettere il
cuore in pace. Come vedremo nei prossimi capitoli, questa relazione in effetti e piu
umana di quella di implicazione, ma non quanto vorremmo. Per anticipare questa
delusione, basta pensare che se esiste una deduzione, e vero, possiamo sperare di
incontrarla (magari mettendoci molto tempo). Ma se non esiste? Quando potremmo
sapere di aver cercato abbastanza? Una situazione simile e la leggendaria ricerca del
Santo Graal. Se si trova da qualche parte, prima o poi sara possibile trovarlo. Ma se
non esiste?
Ad ogni modo qui mi interessa mettere in luce quale relazione sussista fra impli-
cazione logica e deducibilita formale. In altre parole. Se, dati Σ e φ, sappiamo che
Σ |= φ Cosa possiamo dire della relazione Σ ` φ? Potrebbe succedere che sia vero
27
che Σ |= φ ma che sia falso che Σ ` φ? E, viceversa, potrebbe essere che Σ ` φ, ma
non che Σ |= φ?
Come vedremo, perfortuna, non e possibile. La relazione “disumana” di impli-
cazione logica e equivalente a quella “quasi umana” di deducibilta. E’ infatti possibile
dimostrare i seguenti teoremi.
Teorema 1.2.2 (Correttezza del calcolo della deduzione). Per ogni Σ e φ, se
Σ ` φ, allora Σ |= φ
L’idea della prova di questo teorema (che non riprodurro qui), e che gli assiomi
logici sono implicati logicamente da qualsiasi enunciato (a forziori da qualsiasi insieme
di enunciati), e che il modus ponens preserva l’implicazione logica (cioe, se Σ |= ψ e
Σ |= (ψ → φ), allora Σ |= φ).
Anche il converso di questo teorema, come anticipato, sussiste. Fu dimostrato da
Kurt Godel nel 1930. Prima di enunciarlo, introdurro un concetto molto importante
per quanto segue: quello di consistenza di un insieme di enunciati. Intuitivamente,
un insieme di enunciati e inconsistente se ve ne sono almeno due, fra loro, che sono
incompatibili. Due enunciati sono mutuamente incompatibili se si contraddicono (o
se portano a una contraddizione. Tale condraddizione potrebbe non essere palese.
Per quano ne sapevamo prima di averci pensato, ad esempio, gli assiomi della geome-
tria euclidea potevano essere inconsistenti. Chi ci assicura che, a partire da quegli
assiomi, non saremo un giorno in grado di derivare sia che la somma degli angoli di un
triangolo e di 180 gradi e anche che la stessa somma e 150 gradi? Siamo sicurui che
possiamo dedurre che la somma degli angoli di un triangolo e di 180 gradi. Ma come
facciamo a sapere che non sia possibile dimostrare che la stessa somma e di 150 gradi?
28
Dopotutto, per dimostrare che qualcosa e possibile, basta farlo. Ma cosa bisogna fare
per dimostrare che e impossibile fare qualcosa? Come vedremo, perfortuna, in alcuni
casi e possibile dimostrare che un insieme di enunciati e consistente (cioe che non e
inconsistente). Formalmente:
Definizione 1.2.9 (Inconsistenza). Un insieme Σ di enunciati si dice inconsistente
se esiste una formula φ del linguaggio tale che Σ ` φ e Σ ` ¬φ. Un insieme si dice
consistente se non e inconsistente.
Come dicevo, Godel dimostro che il calcolo della deduzione e completo, cioe che
permette di dedurre da un insieme di enunciati tutti e soli gli enunciati che sono da
questo implicati.
Teorema 1.2.3 (Completezza del calcolo della deduzione). 1. Per ogni Σ e
φ, se Σ |= φ, allora Σ ` φ
2. Ogni insieme consistente di formule e soddisfacibile.
Questo risultato e estremamente piu profondo della correttezza del calcolo. In un
certo senso permette di ridurre il problema “semantico” dell’implicazione al problema
sintattico della deduzione. Il pundo 2 del teorema, a volte, e chiamato “teorema di
esistenza del modello”, ed e uno dei risultati piu affascinanti e intriganti della logica.
In qualche modo ci dice che se non ci contraddiamo, siamo sicuri che esiste qualcosa
di cui stiamo parlando (anche se non sappiamo cosa sia).
1.2.6 Procedure effettive e decidibilita
Il concetto di procedura effettiva e della massima importanza, in logica in generale, ma
soprattutto ai fini della nostra discussione. Appartiene a quella famiglia di concetti
29
non soggetti ad essere precisamente formulati, nel senso che e vago e aperto. Prima
di darne una caratterizzazione, vorrei fare un esempio analogo che forse e familiare
a molti lettori. Quando la maggior parte di noi incontra il concetto di continuita di
una funzione, gli viene detto che una funzione e continua se il suo grafico puo essere
disegnato “senza staccare la matita dal foglio”. Ora, e chiaro che questa definizione
non e ne precisa ne spedibile in ogni circostanza. Come faccio ad essere sicuro che la
matita non si e staccata dal foglio. Di quanto si deve staccare dal foglio per dire che
si e staccata? Un millimetro? Un micron? Un amstrong? E se si e staccata, come
faccio a sapere che in linea di principio avrei potuto disegnare lo stesso grafico senza
staccarla. Ovviamente possiamo disegnare solo una parte finita di un grafico di una
funzione. Ammesso di essere sicuro di non aver staccato la matita dal foglio finora,
come faccio a sapere che riuscirei a disegnare l’intero grafico senza staccarla?
Come e noto il matematico tedesco Karl Weierstrass propose una definizione pre-
cisa di continuita sulla base dell’esistenza o meno di grandezze matematiche (si
ricorderanno gli 1epsilon e i δ). Chiediamoci: quella di Weierstrass e la “vera
definizione” di continuita? E’ quella corretta? La domanda non ha senso, dato
che la definizione intuitiva era vaga e imprecisa. Tuttavia le funzioni individuate da
Weierstrass in modo rigoroso si rivelarono della massima importanza in matematica:
la definizione di Weierstrass cattura una famiglia di funzioni estremamente signi-
ficativa. Per ironia della sorte, Weierstrass dimostro che esistono funzioni ovunque
continue e mai derivabili. Naturalmente nessuno potrebbe “disegnare” il loro grafico.
Ne possiamo dedurre che Weierstrass si era sbagliato? No, semplicemente dobbiamo
accettare che il concetto di continuita non era esattamente come ce lo immaginavamo.
E’ una questione terminologica? Perche non abbiamo mantenuto il nome “continuita”
30
per denotare il nostro vecchio concetto intuitivo, e non ne abbiamo inventato un altro
per quello di Weierstrass? Tutto questo somiglia molto alle nostre consuete guerre di
secessione partitiche. A chi va il simbolo del vecchio partito? Certamente avremmo
potuto fare cosı. Ma il vecchio concetto era divenuto desueto, poco spendibile, inutile
insomma: sarebbe stato uno spreco di lessico inventare un nome a parte per il nuovo
concetto rigoroso. Tanto piu che un istintivo platonismo da parte dei matematici li
spinge a credere che, con il vecchio concetto, in realta, i matematici avessero voluto
catturare proprio quello che Weierstrass ha finalmente catturato. Il vecchio concetto,
insomma, era una un arpione spuntato: quello che conta e uccidere la grande balena
bianca, non l’armamentario di arpioni.
Una sorte simile e toccata al concetto di “procedura decidibile”. L’idea intuitiva e
quella di una procedura per decidere della verita o meno di un enunciato. Voi mi date
un enunciato, e io devo decidere se questo e vero o no (in una certa interpretazione).
Ora, per quanto ne sapete, io potrei essere un mago, e dare sempre le risposte giuste.
Oppure potrei lanciare una moneta, e decidere sulla base dei miei lanci, ed essere cosı
fortunato da azzeccarci sempre. Queste mie doti, pero, sarebbero poco spendibili,
per almeno due motivi. In primo luogo non vi servirebbero a molto, perche non
potrei farvene dono. Avreste sempre bisogno di chiedermi se qualcosa e vero o falso,
e vi rovinerei il gusto di fare matematica per conto vostro. In secondo luogo non
potreste mai convincervi per conto vostro che le ho davvero, queste doti. E se fossi
un impostore? Per saperlo, naturalmente, non potreste fare altro che chiedermelo:
“sei un impostore?”. “No”, direi io. La mia procedura per decidere se un enunciato
e vero o falso, insomma, non sarebbe una procedura effettiva.
Definizione 1.2.10 (Procedura effettiva). Una procedura effettiva, insomma, e
31
una procedura che soddisfa ai seguenti desiderata:
1. Devono esserci delle precise istruzioni, di lunghezza finita, e ciascuna di queste
istruzioni non deve richiedere alcuna forma di intuito, o intelligenza (tanto meno
magia). Chiunque, anche senza sapere nulla di matematica, deve essere in grado
di comprendere ciascuna di queste istruzioni e quale usare in ciascun momento.
2. Le istruzioni non devono mai richiedere il ricorso al caso: niente monete, dadi,
etc.
3. Infine, data una formula, le istruzioni suddette devono garantire che, in un
tempo finito, chiunque le usi deve pervenire ad una risposta definitiva: “Si” o
“No”.
Si noti (ed e importante), che, sebbene sia richiesto che una procedura effettiva
pervenga ad una risposta in un numero finito di passi, non vi deve essere alcun limite
a priori circa il numero di questi passi.
Perveniamo cosı alla nozione di decidibilta di un insieme di formule.
Definizione 1.2.11 (Insiemi decidibili). Diremo che un insieme di formule Σ e
decidibile sse esiste una procedura effettiva che, data qualunque formula α, permette
di stabilire se e vero o no che α ∈ Σ
Mentre tutti gli insiemi finiti di formule sono decidibili, come vedremo non tutti
gli insiemi infiniti lo sono. Risulta utile definire la seguente nozione che, in un certo
senso risulta essere una “mezza” decidibilita.
Definizione 1.2.12 (Insiemi effettivamente numerabili). Diremo che un insieme
di formule Σ e effettivamente numerabile se esiste una procedura effettiva che elenca
(in qualche, qualunque ordine) tutte le formule di Σ.
32
Il seguente risultato giustifica il commento precedente, circa la mezza decidibilta
garantita dalla nozione di numerabilta effettiva.
Teorema 1.2.4. Un insieme di formule Σ e effettivamente numerabile sse esiste una
procedura effettiva tale che, data una qualunque formula α, produce la risposta “Si”
se e solo se α ∈ Σ
Si noti che questa procedura permette di decidere in modo effettivo se α ∈ Σ solo
se effettivamente e vero che α ∈ Σ. In caso contrario, la procedura non garantisce di
dare alcuna risposta.
Risulta inoltre vero il seguente teorema, che non dimostreremo.
Teorema 1.2.5. Un insieme di formule Σ e decidibile sse sia Σ che il suo comple-
mento (cioe l’insieme di tutte le formule del linguaggio che non sono contenute in Σ)
sono effettivamente numerabili.
Per questo motivo si dice anche che un insieme effettivamente numerabile e semide-
cidibile.
Anticipiamo sin da ora che il concetto vago di decidibilita di un insieme viene “cat-
turato” dal concetto rigoroso di insieme ricorsivo (che definiremo in uno dei prossimi
paragrafi), nello stesso senso in cui il concetto vago di continuita e stato catturato
dall’analisi di Weierstrass.
1.2.7 Assiomatizzazione
Ricordiamo che la chiusura di un insieme di formule Σ rispetto all’implicazione log-
ica e l’insieme delle conseguenze logiche di Σ⋃
Λ, dove Λ e l’insieme degli assiomi
logici. Introdurremo qui il concetto di assioma e di assiomatizzazione di una teoria.
33
Informalmente l’idea nasce in questo modo. Le teorie, per essere interessanti, devono
contenere un sacco di verita (possibilmente tutte) Idealmente contengono tutte e sole
le verita. Quando si parla di teorie infinite, tutte le verita sono davvero tante. E’
naturale chiedersi se non sia possibile “ottenere” l’intera teoria a partire da un in-
sieme piu ristretto, almeno decidibile, magari addirittura finito. Con “ottenere” qui
intendo ottenere per conseguenza logica. Formalmente:
Definizione 1.2.13 (Teorie assiomatizzabili). Diremo che una teoria T e as-
siomatizzabile sse esiste un insieme decidibile di formule chiuse Σ tale che T =
CnΣ.
Diremo inoltre che la teoria e finitamente assiomatizzabile se l’insieme Σ e finito.
Come vedremo non tutte le teorie sono assiomatizzabili, tanto meno finitamente
assiomatizzabili. Questa e una delle questioni piu fondamentali del presente lavoro.
Come facciamo a sapere se una teoria e assiomatizzabile o no? In generale non vi e
una ricetta valida per tutti i casi. I seguenti risultati, tuttavia, asiutano a rispondere
in alcuni casi. Li enuncero senza dimostrarli.
Teorema 1.2.6. Se una teoria CnΣ e finitamente assiomatizzabile allora esiste un
sottoinsieme finito Σ0 ⊆ Σ tale che CnΣ0 = CnΣ.
Il teorema enunciato sembra banale, ma per capire che non lo e basta notare che
a priori l’insieme finito che assiomatizza la teoria potrebbe non essere contenuto in
Σ.
Corollario 1.2.7. 1. Se una teoria e assiomatizzabile allora e effettivamente nu-
merabile.
2. Se una teoria e assiomatizzabile e completa, allora e decidibile.
34
Non e sempre facile sapere se una teoria e completa o meno. Il seguente crieterio
viene spesso usato (e lo useremo). Data una teoria T e un numero cardinale λ,
diremo che T e λ-categorica se tutti i modelli di T che hanno cardinalita λ sono tra
loro isomorfi. Vale la seguente proposizione.
Proposizione 1.2.8 (Test di Los-Vaught). Data una teoria T in un linguaggio
numerabile, se:
1. T e λ-categorica per qualche cardinale infinito λ, e
2. Tutti i modelli di T sono infiniti.
Allora T e completa.
1.2.8 Rappresentabilita di una relazione e tesi di Church
Si ricordera che una relazione e definibile in una certa struttura quando esiste una
formula che e vera (nell’interpretazione data) sse la relazione sussiste fra i membri
denotati (attraverso l’interpretazione) dell’universo. Ora introdurro il concetto di
rappresentazione di una relazione in una data teoria. Questo concetto e piu forte
di quello di definibilita. Diremo (informalmente) che una relazione n-aria Rn fra n
elementi dell’universo e rappresentabile in una teoria T se, dati qualunque n elementi
dell’universo, T continene una formula che afferma che la relazione sussiste, se la re-
lazione sussiste davvero, mentre contiene la sua negazione, se la relazione non sussiste
per la n-tupla data. Piu formalmente
Definizione 1.2.14 (Relazioni rappresentabili). Indichiamo con 〈cU1 , ..., cUn 〉 la
n-tupla di oggetti dell’universo |U | “denotati” (per mezzo della struttura U) dalla
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n-tupla 〈c1, ..., cn〉 di termini del linguaggio. Allora diremo che una relazione n-aria
Rn ⊆ |U |n e rappresentabile in una teoria T sse esiste una formula ρ del linguaggio
tale che:
1. 〈cU1 , ..., cUn 〉 ∈ Rn ⇒ ρ(c1, ..., cn) ∈ T
2. 〈cU1 , ..., cUn 〉 /∈ Rn ⇒ ¬ρ(c1, ..., cn) ∈ T
Cominciamo con il notare in che senso la definizione di rappresentabilita sia piu
forte di quella di definibilita. Si ricordera che la teoria ThU e una teoria completa,
qualcunque sia U . E’ quindi evidente che una relazione e rappresentabile in U se
e solo se e definibile in U . Ma cosa dire se la teoria non e completa? Si consideri
la chiusura logica di un insieme di assiomi Σ. Allora, data la definizione qui sopra,
una relazione n-aria Rn ⊆ |U |n e rappresentabile in CnΣ sse esiste una formula ρ del
linguaggio tale che:
1. 〈cU1 , ..., cUn 〉 ∈ Rn ⇒ Σ ` ρ(c1, ..., cn)
2. 〈cU1 , ..., cUn 〉 /∈ Rn ⇒ Σ ` ¬ρ(c1, ..., cn)
Se per la definibilita chiediamo solo che certe formule risultino vere (in una inter-
pretazione), per la rappresentabilita chiediamo anche che siano deducibili dagli ele-
menti della teoria. Nel caso appena visto (quello della rappresentabilita nella teoriea
ThΣ), chiediamo, oltre alla definibilita di Rn, anche che o ρ(c1, ..., cn) o ¬ρ(c1, ..., cn)
sia deducibile dagli assiomi Σ. Quindi, una data relazione fra membri di un universo,
sara rappresentabile o meno non solo a seconda del linguaggio scelto e della struttura,
ma anche della teoria nella quale desideriamo rappresentare questa relazione.
36
Dovrebbe essere chiaro che il motivo per introdurre questa condizione piu forte, e
che se non siamo dei maghi: il piu delle volte sara difficile conoscere tutte le relazioni
che sussistono tra infiniti elementi
Il concetto di rappresentabilita si e dimostrato della massima importanza in matem-
atica, grazie alle sue relazioni con il concetto (vago, come abbiamo visto) di decidi-
bilita. E’ possibile infatti dimostrare la seguente proposizione:
Proposizione 1.2.9. Ogni relazione rappresentabile in una teoria finitamente as-
siomatizzabile e decidibile.
Sara invece impossibile dimostrare il converso, poiche la natura vaga e impre-
cisa della nozione di decidibilita ci permette solo di affermare con certezza che qual-
cosa e decidibile, se e decidibile. Provare il converso della precedemte proposizione
richiederebbe di poter affermare con altrettanta sicurezza che qualcosa e indedicdi-
bile, e questo non e possibile. E’ possibile pero ipotizzare che anche il converso valga.
Vi sono vari motivi per farlo. Fra questi, il fatto che ogni relazione che i matematici
hanno ritenuto fosse decidibile si e rivelata essere rappresentabile in una teoria finita-
mente assiomatizzabile. La precedente proposizione, congiuntamente all’ipotesi che
anche il suo converso sia vero, e nota come la tesi di Church, o tesi di Church-Turing,
che enucio qui di seguito.
Proposizione 1.2.10 (Tesi di Church-Turing). Una relazione e rappresentabile
in una teoria finitamente assiomatizzabile se e solo se e decidibile.
Vedremo nella prossima sezione che la nozione di rappresentabilita e equivalente ad
un’altra nozione molto importante: quella di ricorsivita (che definiremo piu avanti).
Sara quindi possibile riformulare la tesi di Church in un modo che forse risulta piu
37
familiare alla maggior parte dei lettori non specializzati: una relazione e decidibile
sse e ricorsiva.
E’ utile definire la rappresentabilita anche per le funzioni (oltre che per le relazioni,
come abbiamo fatto finora).
Definizione 1.2.15 (Funzioni rappresentabili). Data una funzione f : Nm → N ,
diremo che una formula φ in cui solo v1, ..., vm+1 occorrono libere la rappresenta
funzionalmente (in una teoria assiomatizzabile CnA) sse per ogni a1, ..., am in N ,
A ` ∀vm+1[φ(Sa10, ..., Sam0, vm+1) ↔ vm+1 ≈ Sf(a1,...,am)0]
Un teorema, infine, assicura che i due concetti sono equivalenti:
Teorema 1.2.11. Se φ rappresenta funzionalmente f in CnA, allora rappresenta
anche f (come relazione), in CnA.
1.3 Teoria dei numeri
1.3.1 Teoria dei numeri
Il linguaggio della teoria dei numeri e un linguaggio del primordine con l’eguaglianza
e dotato dei seguenti parametri:
Linguaggio della teoria dei numeri
∀ (inteso a significare “per tutti i numeri naturali”)
0 (inteso a significare il numero 0)
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S (Un simbolo funzionale unario inteso a significare la funzione: “successore di”)
< (inteso a denotare la consueta relazione binaria d’ordine)
+ (un simbolo funzionale a due posti inteso a denotare l’addizione)
· (come sopra per la moltiplicazione)
E (come sopra per l’esponenziazione)
La struttura intesa per questo linguaggio e (informalmente):
< = (N, 0, S, <, +, ·, E)
(e chiaro che con questo intendiamo dire che |<| = N , 0<... etc.)
Ora, la teoria dei numeri e la teoria di questa struttura: Th< (ricordiamo che
la teoria di una struttura e l’insieme di tutte le formule vere in quella struttura).
Insomma, Th< e l’insieme di tutte le verita dell’aritmetica. Come e stato dimostrato
da Godel per la prima volta, questa teoria non e ne decidibile ne assiomatizzabile
(tantomeno finitamente assiomatizabile). Prima di addentrarci nella prova di questo
teorema, discuteremo qui di seguito una sottoteoria che si ottiene restringendo il
linguaggio della teoria dei numeri, eliminando alcni dei suoi parametri.
1.3.2 La teoria dei numeri naturali con successore
Consideriamo quindi la restrizione del linguaggio descritto nel paragrafo precedente
che si ottiene eliminando i parametri <, +, · e E. La (sotto)struttura risultante sara:
<S = (N, 0, S)
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In questo linguaggio possediamo ancora la capacita di “riferirci” ai numeri. Ab-
biamo cioe ancora i numerali (0, S0, SS0... etc). Ma non saremo in grado di dire
alcunche di interessante su di essi. Come vedremo questa teoria risulta essere com-
pleta e assiomatizzabile, e, nononstante che non sia interessante da un punto di vista
strettamente aritmetico, ci permette di capire alcune proprieta molto profonde dei
suoi modelli.
Dunque, cosa possiamo dire a proposito di Th<S? Per cominciare elenchiamo qui
di seguito degli enunciati, intuitivamente veri, che forniranno poi l’insieme dei suoi
assiomi.
Assiomi AS
S1 ∀xSx 6= 0 (un enunciato che afferma che 0 non ha successore)
S2 ∀x∀y(Sx ≈ Sy → x ≈ y)
S3 ∀y(y 6= 0 → ∃xy ≈ Sx)
S4.1 ∀xSx 6= x
S4.2 ∀xSSx 6= x
...
S4.n ∀xSnx 6= x
Ora, indichiamo con AS un insieme che contiene tutti (e soli) gli enunciati scritti
qui sopra. Allora, poiche sono tutti veri in <S, siamo sicuri che CnAs ⊆ Th<S.
Possiamo anche affermare che CnAs = Th<S? Se cosı fosse, ricordando le definizioni
40
date sopra, la teoria <S sarebbe assiomatizzabile, e AS sarebbe un sistema di assiomi
per essa.
Dunque, consideriamo un modello arbitrario (non necessariamente quello che
avevamo in mente quando abbiamo costruito la teoria):
U = (|U |, 0U , SU)
Qualunque cosa sia, per rendere veri S1, S2 e S3, S dovra mappare uno a uno gli
elementi di |U | nell’insieme |U | − {0U}. Gli S4.n, tutti assieme, assicurano inoltre
che la nostra sequenza di elementi non potra mai ripetersi. Quindi, sicuramente
il modello conterra una sequenza di infiniti punti (notate che questi sono proprio i
numeri naturali che intendevamo descrivere) tutti distinti tra loro: 0U → SU0U →
SU(SU(0U)) → ...
Vi puo essere qualche altro elemento, o gli enunciati S1-S4.n assicurano che ogni
modello abbia solo gli elementi appena descritti? Nulla nei (potenziali) assiomi che
abbiamo dato impedisce che vi sia un altro elemento, diciamo a. Ma se cosı fosse,
allora gli assiomi impongono che vi sia anche un successore di a, e un successore del
successore di a... etc. Inoltre, dato che a non potra essere 0 (poiche non vi possono
essere due punti uguali fra loro), a avra anche un predecessore (poiche solo 0 non ne
ha), e un predecessore del predecessore. Insomma potrebbe esistere un altro elemento,
a, che non era “previsto”, ma se cosı fosse, a dovrebbe appartenere a quella che viene
definita una “catena Z”:
...∗ → ∗ → a→ SU(a) → SU(SU(a)) → ...
Quante di queste catene Z potrebbero esserci? Un numero qualunque, anche
41
non numerabile (nulla lo vieta). In generale la cardinalita di un modello (Card|U |)
dipendera dal numero λ di catene Z che vi sono in |U |: si avra cioe Card|U | = λ.
E’ piuttosto elementare dimostrare la seguente proposizione:
Proposizione 1.3.1. 1. Se U e U ′ sono modelli di AS con lo stesso numero di
catene Z, allora sono ismorfi.
2. Siano U e B due modelli non numerabili di AS di uguale cardinalita. Allora U
e isomorfo a B.
E’ quindi possibile dimostrare il seguente:
Teorema 1.3.2. CnAS e una teoria completa.
Dimostrazione. La proposizione precedente afferma che la teoria CnAS e categorica
per ogni potenza non numerabile. Gli assiomi AS, inoltre, assicurano che non vi sono
modelli finiti. E’ quindi possibile applicare il Test di Los-Vaught (enunciato sopra)
per concludere la dimostrazione.
Corollario 1.3.3. CnAS = Th<S
Dimostrazione. Si ha CnAS ⊆ ThRS; la prima teoria e completa (per il teorema
appena dimostrato), e la seconda e soddisfacibile.
Corollario 1.3.4. Th<S e decidibile.
Dimostrazione. Qualunque teoria completa e assiomatizzabile e decidibile. AS e un
insieme decidibile di assiomi per la teoria.
42
Con metodi simili a quelli sopra esposti (sebbene non altrettanto elemetari poiche
in genere non sara possibile usare il test di Los-Vaught), e possibile dimostrare che
anche le seguenti sottoteorie sono complete:
< = (N, 0, S), <)
< = (N, 0, S), <, +)
(Per quanto riguarda l’ultima, in particolare, il risultato che ne enuncia la com-
pletezza e stato dimostrato da Presburger nel 1929.)
Diamo per finire una definizione rigorosa di ricorsivita.
Definizione 1.3.1 (Relazioni ricorsive). Una relazione R sui numeri naturali e
ricorsiva sse e rappresentabile in qualche teoria consistente e finitamente assiomatiz-
zabile (in una lingua con 0 e S)
1.3.3 Assiomi di Peano e affini
Che dire dell’intera teoria Th<? Come dicevo, dimostreremo nel prossimo capitolo
che essa non e completa, ne decidibile. Ma fino a quando Godel non produsse la sua
famosa prova di incompletezza, si posteva sperare la teoria dei numeri fosse completa
e decidibile. Il candidato piu accredidato a svolgere il ruolo di sistema completo di
assiomi era la cosiddetta aritmetica di Peano. L’aritmetica di Peano e una teoria
assiomatica del prim’ordine ricavata da un sistema di assiomi del second’ordine (detti
appunto assiomi di Peano).
Quando Godel si accinse a dimostrare il suo teorema lo fece usando gli assiomi di
Peano (oltre all’intero apparato dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead.
Saremo in grado di dimostrare che qualunque sistema formale che sia altrettanto
43
espressivo di questi frammenti della teoria dei numeri non potra, percio stesso, essere
sia completo che assiomatizzabile.
Per semplificare la dimostrazione di incompletezza sulla quale lavoreremo nel se-
guito presentero qui un sistema di assiomi finito ma (come vedremo) molto potente.
Dimostreremo che ne la sottoteoria considerata, ne alcuna sua estensione ottenuta ag-
giungendo un insieme ricorsivo di assiomi (quindi in particolare nemmeno il sistema
di assiomi di Peano) e completa.
A differenza delle sezioni precedenti, considereremo qui il linguaggio della teoria
dei numeri nella sua interezza: < = (N, 0, S, <, +, ·, E)
Gli assiomi proposti sono dunque i seguenti:
Assiomi AE
S1 ∀x Sx 6= 0
S2 ∀x∀y (Sx ≈ Sy → x ≈ y)
L1 ∀x∀y (x < Sy ↔ x ≤ y)
L2 ∀x ¬x < 0
L3 ∀x∀y (x < y ∨ x ≈ y ∨ y < x)
A1 ∀x x+ 0 ≈ x
A2 ∀x∀y x+ Sy ≈ S(x+ y)
M1 ∀x x · 0 ≈ 0
M2 ∀x∀y x · Sy ≈ x · y + x
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E1 ∀x xE0 ≈ S0
E2 ∀x∀y xESy ≈ xEy · x
E’ facile rendersi conto che questi enunciati sono tutti veri nella struttura abituale
(intesa). L’insieme di questi assiomi (indichiamolo con AE) e dunque soddisfacibile:
la struttura e un modello per essi. Si ha dunque ThAE ⊆ Th<.
Prima di interrogarci sulla completezza di questa teoria, soffermiamoci ad analiz-
zare alcuni aspetti dei suoi modelli. Come nel caso discusso sopra (quello della teoria
dei numeri con successore) anche i modelli di AE sono fatti di catene Z. A differenza
degli assiomi AS, tuttavia, si notera che non e stato incluso l’assioma S3, quello re-
sponsabile del fatto che ogni catena, a parte quella standard, fosse simile all’insieme
Z dei numeri relativi. Ogni settore, quindi, sara in tutto simile a quello standard.
Per L3, inoltre, possiamo dire che ogni punto non standard e piu grande di tutti i
punti standard.
E’ possibile dimostrare il seguente teorema:
Teorema 1.3.5. Per ogni enunciato σ privo di quantificatori e vero in <, AE ` σ.
Corollario 1.3.6. Se σ e un enunciato esistenziale vero in <, allora AE ` σ
Dimostrazione. Se ∃v1∃v2θ e vero in <, allora per qualche numero m ed n, θ(Sm, Sn)
e vero in <. Poiche questa formula e priva di quantificatori, si ha che AE ` θ(Sm, Sn).
Ma θ(Sm, Sn) |= ∃v1∃v2θ.
Come vedremo, sara il quantificatore universale a “rovinare la festa”.
45
1.4 Funzioni rappresentabili in AE
Quanto segue e un catalogo di risultati circa la rappresentabilita di alcune funzioni
in AE. D’ora in poi omettero sempre di sepecificare “in AE” e parlero semplicemente
di funzioni rappresentabili. Dovrebbe essere chiaro che se una funzione e rappre-
sentabile negli assiomi AE sara rappresentabile anche in qualsiasi altra (adeguata)
assiomatizzazione della teoria dei numeri, e in particolare nel sistema di assiomi di
Peano.
1. La funzione successore e funzionalmente rappresentata dall’equazione:
v2 ≈ Sv1
2. Qualunque funzione costante e rappresentabile. Un funzione a m posti che
assume costantemente il valore b e rappresentata da:
vm+1 ≈ Sb0
3. La funzione proiettore Imi (a1, ..., am) = ai e rappresentata dall’equazione:
vm+1 ≈ vi
4. L’addizione, la moltiplicazione e l’esponenziazione sono rappresentate rispetti-
vamente dalle equazioni:
v2 ≈ v1 + v2
v2 ≈ v1 · v2
v2 ≈ v1Ev2
46
La famiglia delle funzioni rappresentabili e chiusa rispetto all’operazione di com-
posizione, grazie al seguente teorema che non dimostreremo.
Teorema 1.4.1 (Chiusura rispetto alla composizione). Sia g una funzione a n
posti, e siano h1, ... , hn funzioni a m posti. Sia in fine f una funzione definita da
f(a1, ..., am) = g(h1(a1, ..., am), ..., hn(a1, ..., am))
Se g e tutte le h1, ... , hn sono rappresentabili, allora f e rappresentabile.
Teorema 1.4.2 (Rappresentabilita dell’operatore di minimimo). Sia g una
funzione rappresentabile a m+1 posti. Poniamo che esista un b tale che g(a1, ..., am, b) ≡
g(−→a , b) = 0. Allora esiste ed e rappresentabile la funzione
f(−→a ) ≡ µb[g(−→a , b) = 0] = il minimo b tale che g(−→a , b) = 0
5. Ogni relazione definibile con una formula senza quantificatori e rappresentabile.
6. La classe delle funzioni rappresentabili e chiusa per unione intersezione e
complemento.
7. Se R e rappresentabile allora anche
{〈a1, ..., am, b〉 : per ogni c < b, 〈a1, ..., am, c〉 ∈ R}
e
{〈a1, ..., am, b〉 : per qualche c < b, 〈a1, ..., am, c〉 ∈ R}
sono rappresentabili.
7. Una relazione R e rappresentabile sse lo e anche la sua caratteristica:
47
KR(−→a ) =
{1 (Se −→a ∈ R)
0 (Altrimenti )
8. Se R e una relazione binaria rappresentabile, e f e g sono rappresentabili, e
rappresentabile anche
{−→a : 〈f(−→a ), g(−→a )〉 ∈ R}
Lo stesso vale anche relazioni m-arie e m funzioni rappresentabili.
9. Se R e rappresentabile lo e anche
S = {〈a, b〉 : per qualche c < b, 〈a, c〉 ∈ R}
10. E’ rappresentabile la relazione di divisibilita:
〈a, b〉 : a divide b in N}
11. L’insieme dei numeri primi e rappresentabile.
12. L’insieme delle coppie adiacenti di primi e rappresentabile.
13. La funzione il cui valore in a e il a+ 1-esimo primo pa, e rappresentabile.
Definizione 1.4.1 (Funzione di codifica). Ad una sequenza di numeri a0, ...am,
facciamo corrispondere il numero:
〈a0, ...am〉 ≡ pa0+10 · ... · pam+1
m =∏i≤m
pai+1i
Questa e la funzione di codifica.
14. Per ogni m, la funzione il cui valore in a0, ...am e 〈a0, ...am〉 e rappresentabile.
48
15. Esiste una funzione rappresentabile tale che per ogni b ≤ m assume il valore:
(〈a0, ...am〉)b = ab
Questa e la funzione di decodifica.
Definizione 1.4.2 (Numeri sequenza). Diremo che b e un numero sequenza sse
per qualche m ≥ −1 e per qualche a0, ..., am si ha:
b = 〈a0, ..., am〉
Se m = −1 si ha 〈〉 = 1
16. Esiste una funzione rappresentabile lg (lunghezza) tale che:
lg(〈a0, ..., am〉) = m+ 1
Definizione 1.4.3 (Ricorsione primitiva). Ad ogni funzione f a k+ 1 posti asso-
ciamo un’altra funzione f che, per ogni j < a, codifica i valori di f(j, b1, ..., bk). Piu
precisamente:
f ≡ 〈f(0,−→b , ..., f(a− 1,
−→b ))〉
f(a,−→b ) e un numero sequenza di lunghezza a che codifica i primi a valori di f .
Teorema 1.4.3. Sia g una funzione a k + 2 posti. Allora esiste un’unica funzione f
tale che
f(a,−→b ) = g(f(a,
−→b ), a,
−→b )
Se g e rappresentabile, lo e anche f .
49
17. Se una funzione F e rappresentabile, la funzione il cui valore in a,−→b e∏
i<a F (i,−→b ) e rappresentabile.
Definizione 1.4.4 (Concatenazione). Dati a e b, la loro concatenazione a ∗ b e
definita da:
a ∗ b ≡ a ·∏
i<lg(b)
p(b)i+1i+lg(a)
Questa e una funzione rappresentabile di a e b. Si ha che
〈a1, ..., am〉 ∗ 〈b1, ...bn〉 = 〈a1, ...am, b1, ..., bn〉
L’operazione di concatenazione e inoltre associativa sui numeri sequenza.
18. In fine definiamo l’operazione⊙
nel seguente modo:
⊙i<a
f(i) = f(0) ∗ f(1) ∗ ... ∗ f(a− 1)
Se F e rappresentabile, la funzione il cui valore in a,−→b e
⊙i<a F (i,
−→b ) e anch’essa
rappresentabile.
1.5 Il teorema di Godel
1.5.1 Una traduzione della prima sezione dell’articolo origi-
nale di Godel
1
1Quella che segue e una mia traduzione della prima parte dell’articolo originale di Godel ([22]).Data la scarsa familiarita dei simboli adottati nell’originale, ho operato alcune modifiche, ove unanotazione piu familiare fosse disponibile.
50
Lo sviluppo della matematica nella direzione di una maggiore esattezza ha con-
dotto, come e noto, ad una sempre crescente formalizzazione, grazie alla quale e ora
possibile produrre dimostrazioni seguendo poche regole meccaniche. Il sistema for-
male piu completo che e stato prodotto e, da un lato, quello dei Principia Mathematica
(PM)2 e, dall’altro l’assiomatizzazione della teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel
(poi ampliato da J. Van Neumann).3 Questi due sistemi sono talmente sviluppati che
e possibile, grazie ad essi, formalizzare tutti i metodi di dimostrazione attualmente
in uso nella matematica: e cioe possibile ridurre tali metodi a pochi assiomi e regole
di deduzione. Sembra pertanto plausibile che queste regole di deduzione siano suffi-
cienti per rispondere a tutte le domande sualla matematica che si possono esprimere
all’interno di questi sistemi. Mostreremo che cio non e vero, che vi sono problemi rel-
ativamente semplici nella ordinaria teoria dei numeri interi4 che non sono decidibili a
partire dagli assiomi. Cio non e dovuto alla particolare natura di questi sistemi, ma si
puo dimostrare per un ampia classe di sistemi formali, che, in particolare, comprende
tutti quelli che si possono ottenere aggiungendo un numero finito di assiomi ai siste-
mi summenzionati5, a patto che questi nuovi assiomi non permettano di dimostrare
2A. Whitehead and B. Russell, Principia Mathematica, 2nd edition, Cambridge 1925. In partico-lare, annoveriamo fra gli assiomi di PM anche l’assioma dell’infinito (nella forma: esistono un’infinitanumerabile di individui), e gli assiomi di riducibilita e della scelta (per tutti i tipi).
3Cfr. A. Fraenkel, ’Zehn Vorlesungen uber die Grundlegung der Mengenlehre’, Wissensch. u.Hyp., Vol. XXXI; J. v. Neumann, ’Die Axiomatisierung der Mengenlehre’, Math. Zeitschr. 27,1928, Journ. f. reine u. angew. Math. 154 (1925), 160 (1929). Si noti che al fine di completarela formalizzazione, gli assiomi e le regole di inferenza del calcolo logico devono essere aggiunti agliassiomi della teoria degli insiemi proposit negli articoli summenzionati. Le osservazioni che seguonopossono applicarsi anche ai sistemi formali proposti recentemente da D. Hilbert e dai suoi colleghi(per quelli, almeno, che sono stati pubblicati finora). Cfr. D. Hilbert, Math. Ann. 88, Abh. aus d.math. Sem. der Univ. Hamburg I (1922), VI (1928); P. Bernays, Math. Ann. 90; J. v. Neumann,Math. Zeitsehr. 26 (1927); W. Ackermann, Math. Ann. 93.
4Cioe, piu precisamente, esistono proposizioni in decidibili nelle quali, oltre alle costanti logiche¬ (non), ∨ (or), ∀ (per ogni) e = (identico a), non vi sono altri concetti, a parte + (l’addizione) e· (la moltiplicazione), entrambe riferite ai numeri naturali, e dove anche il parametro ∀ puo riferirsiai numeri naturali.
5A questo proposito, gli assiomi di PM si considerano distinti solo quando non e possibile generarli
51
dei teoremi falsi. Cominciamo dunque a descrivere approssimativamente la prova,
senza entrare nei dettagli, e, naturalmente, senza voler essere precisi. Le formule di
un sistema formale (qui ci atterremo al caso di PM) possono considerarsi, viste da
fuori, come una sequenza finita di simboli fondamentali (variabili, costanti logiche, e
parentesi o separatori). E’ facile definire precisamente quali sequenze di tali simboli
fondamentali siano formule sintatticamente corrette e quali no.6 Analogamente, le
dimostrazioni non sono altro che sequenze finite di formule (con specifiche propri-
eta definibili). Ovviamente, ai fini della metamatematica, e irrilevante quali oggetti
vengano adottati come simboli fondamentali. Noi pertanto sceglieremo di usare i nu-
meri naturali.7 Cosı, una formula sara una sequenza finita di numeri naturali8, e uno
schema di dimostrazione una sequenza finita di sequenze finite di numeri. I concetti e
le proposizioni metamatematiche divengono conseguentemente concetti e proposizioni
sui numeri naturali, o serie di questi,9 il che li rende (almeno in parte) esprimibili us-
ando i simboli del sistema PM. In particolare, e possibile mostrare che i concetti di
“formula”, “schema di dimostrazione”, “formula dimostrabile”, sono tutti esprimibili
all’interno del sistema PM. E’ possibile, ad esempio, costruire10 una formula F (v) di
PM, contenente una sola variabile libera v (il cui tipo e una serie di numeri), tale
l’uno dall’altro con un semplice cambio di tipo.6Qui, e in quanto segue, l’espresione “formula di PM” denota una formula scritta senza abbre-
viazioni (cioe senza l’uso di definizioni). Le definizioni servono solo ad abbreviare il testo scritto esono pertanto, in principio, inessenziali.
7Cioe mapperemo i segni fondamentali, uno ad uno, suoi numeri naturali (come illustrato nelseguito).
8Cioe una funazione numerica definita su un segmento iniziale dei numeri naturali (i numeri,infatti, non possono essere disposti secondo un ordine spaziale).
9In altre parole, la procedura sopra descritta fornisce un’immagine isomorfa al sistema PM neldominio dell’aritmetica, e qualunque argomento metamatematico puo essere condotto conseguente-mente in questa immagine isomorfa. Questo e cio che accade nello schema di dimostrazione chesegue, cioe: “formula”, “proposizione”, “variabile”, etc. vanno sempre considerati come gli oggettiche vi corrispondono in questa immagine isomorfa.
10Sarebbe molto semplice (sebbene laborioso) scrivere esplicitamente questa formula.
52
che, interpretata circa il suo contenuto, afferma: v e una formula dimostrabile. E’ ora
possibile ottenere una proposizione indecidibile del sistema PM, cioe una proposizione
A per la quale ne A, ne ¬A sia dimostrabile, nel modo seguente:
Definizione 1.5.1 (Nome di classe). Chiameremo nome di classe una formula di
PM contenente una sola variabile libera (del tipo dei numeri naturali).
Si pensi ai nomi di classi come ordinati (in qualche modo) in una serie,11 e si
denoti l’n-simo nome di classe con Rn; notiamo che sia il concetto di nome di classe
che il suo ordinamento sono definibili nel sistema PM. Sia ora α un qualunque nome
di classe. Indichiamo con α(n) la formula che si ottiene sostituendo in α la variabele
libera v con il nome (segno) del numero n. La relazione ternaria x = y(z) e anch’essa
definibile in PM. Possiamo ora definire una classe K di numeri naturali nel seguente
modo:
[Insieme K] K = {n ∈ N : ¬Dim(Rn(n))}
(dove Dim(x) significa che x e una formula dimostrabile). Poiche tutti i con-
cetti usati per costruire la classe K sono definibili in PM, anche la classe K stessa e
definibile in PM. Cio significa che esiste un nome di classe S12 che afferma (nell’in-
terpretazione) che la formula S(n) afferma che n ∈ K. Dato che S e esso stesso un
nome di classe, dovra essere uno dei segni di classe Rn ordinati in precedenza. Si avra
pertanto che, per un qualche numero q: S = Rq.
11Ad esempio secondo il numero crescente di termini che vi occorrono, e per numeri uguali, inordine alfabetico.
12Ancora una volta non vi sarebbe alcuna difficolta, in principio, a scrivere questa formula peresteso.
53
Dimostreremo ora che il teorema
[G] Rq(q)
e indecidibile in PM.13 Supponiamo infatti che G sia dimostrabile. Ne seguirebbe
che, in virtu di come e definito l’insieme K, sarebbe vero che ¬Dim(Rn(n)), il che
contraddirebbe la nostra ipotesi. D’altro canto, se ¬G fosse dimostrabile, ne dovrem-
mo concludere che n /∈ K, ovvero che G. Quindi sia G che ¬G sarebbero dimostrabili,
il che e impossibile.
L’analogia fra questo risultato e l’antinomica di Richard salta all’occhio; vi e anche
una stretta relazione con il paradosso del mentitore,14 poiche il teorema indecidibile
Rq(q) afferma precisamente che q ∈ K, cioe, data la definizione dell’insieme K, Rq(q)
non puo essere provato. Abbiamo quindi a che fare cono un teorema che afferma di
non poter essere dimostrato.15
Il metodo di prova sopra indicato puo chiaramente applicarsi ad ogni sistema for-
male che abbia le seguenti caratteristiche: in primo luogo, una volta interpretato,
deve possedere sufficienti mezzi espressivi per definire i concetti che figurano nella
prova su esposta (in particolare il concetto di “formula dimostrabile”); in secondo lu-
ogo, e necessario che ogni formula dimostrabile al suo interno sia corretta (circa il suo
contenuto). L’esposizione esatta della prova, che mi accingo a presentare, avra fra i
13Si noti che “Rq(q)” (o, il che e la stessa cosa, “S(q)”, e sempliciemente una descrizione meta-matematica del teorema indecidibile. Ma non appena sia stata determinata la formula S, e natural-mente anche possibile determinare il numero q, e quindi scrivere effettivamente il teorema indecidibilestesso.
14Qualunque antinomia epistemologica potrebbe parimenti essere utilizzata per una simile provadi indecidibilita.
15A dispetto delle apparenze, non vi e nulla di circolare in questo teorema, poiche comincia conl’affermare l’impossibilita di dimostrare una formula perfettamente determinata (vale a dire la q-esima nell’ordinamento, con una precisa sostituzione), e solo in un secondo momento (vorremo direquasi per caso) emerege la circostanza che questa formula e proprio quella che esprime questa stessaproposizione.
54
suoi obiettivi, fra gli altri, quello di sostituire la seconda di queste condizioni con una
piu debole e puramente formale. Osservando che Rq(q) afferma la sua indimostra-
bilita, possiamo concludere immediatamente che Rq(q) e corretta, dato che Rq(q) e
certamente indimostrabile (in quanto indecidibile). Cosı il teorema che e indecidibile
all’interno di PM risulta essere dopotutto decidibile sulla base di considerazioni meta-
matematiche. Un analisi minuziosa di questa notevole circostanza conduce a risultati
sorprendenti circa le dimostrazioni di consistenza dei sistemi formali, che verranno
discussi in maggior dettaglio nella sezione 4 (proposizione XI).
1.5.2 Indecidibilita
Prima di continuare con la prova del teorema di G., vorrei fare una breve digressione
sul concetto di indecidibilita. Ricorderete che, secondo la tesi di Church-Turing, una
relazione (un insieme) e decidibile se e solo se e rappresentabile in una teoria finita-
mente assiomatizzabile. Fino ad ora abbiamo avuto a che fare sempre con relazioni
decidibili (e percio rappresentabili in qualche assiomatizzazione). Ma come deve es-
sere una relazione, per non essere decidibile? Che tipo di formula potrebbe definirla?
Si ha spesso l’impressione, specialmente leggendo alcuni commenti sul teorema di
Godel, che le relazioni indecidibili siano cose arcane, che noi esseri umani riusciamo a
dimostrare vere in virtu di qualche misterioso potere. Alcune metafore forse possono
aiutare a fugare questa impressione. Un insieme di assiomi, come AS, o AE, puo
essere pensato come l’intero contenuto informativo di una favola, diciamo Cappuc-
cetto Rosso. Leggendo Cappuccetto rosso, infatti, veniamo in possesso di un certo
numero di informazioni, contenute letteralmente nel racconto. Sappiamo ad esempio
che Cappuccetto Rosso ha una nonna. Questo sara un assioma. Indichiamo l’insieme
55
di tutti questi assiomi con AC . Ora la teoria di Cappuccetto Rosso (ThC) e l’insieme
di tutte le cose che sono vere di Cappuccetto Rosso. Ora, a partire dagli assiomi AC ,
e con l’aiuto della logica (Λ), possiamo dedurre un gran numero di fatti che non sono
letteralmente contenuti nella favola. Dal fatto che cappuccetto “cammina... cammi-
na”, ad esempio, possiamo dedurre che cappuccetto non e rimasta ferma a casa. Non
c’e un enunciato, nella favola, che dica espressamente che cappuccetto non e rimasta
a casa, ma possiamo ugualmente annoverarlo fra le cose che sappiamo. L’insieme di
tutte le cose che possiamo dedurre, sara l’insieme delle conseguenze di AC : CnAC .
Saremo percio sicuri che CnAC ⊆ ThC. Ma, usando il nostro linguaggio naturale, e
la nostra fantasia, potremmo chiederci mole cose, circa Cappuccetto Rosso, che non
sono ne assiomi, ne sono decidibili sulla base di questo. Ad esempio, di che colore
sono gli occhi di Cappuccetto Rosso? Se indichiamo con b l’enunciato: “gli occhi di
C.R. sono blu”, e evidente che non avremo mai ne AC ` b ne AC ` ¬b. L’enunciato
b sara quindi indecidibile dagli assiomi AC (Si noti che, tuttavia, grazie agli assiomi
logici Λ, si avra AC ` (b ∨ ¬b)).
Ora, e evidente che possiamo decidere di aggiungere b agli assiomi (ad esempio
spinti dalla curiosita di un bambino). Ora si che avremo AC + b ` b e, se il nuovo
insieme e consistente, AC + b 0 ¬b. La vera storia di Cappuccetto Rosso sara un
modello anche per questo nuovo sistema di assiomi (dopotutto abbiamo aggiunto un
innoquo enunciato che non cambia una virgola di tutto il resto). Ma sara sempre
possibile anche aggiungere ¬b alla storia di Cappuccetto Rosso, e otterremo un’altra
versione della storia.
Un caso simile, e piu vicino alle nostre preoccupazioni matematiche, e quello del
teorema di pitagora. Si consideri nuovamente la nostra teoria assiomatica. E si
56
consideri l’enunciato p = ∀x∀y ¬(x2
y2 ≈ SS0). Noi sappiamo che, per una nota
dimostrazione che ha reso celebre Pitagora e i suoi seguaci, questo enunciato e vero
per i numeri naturali: la radice quadrata di due non e un numero razionale. Ora, gli
assiomi AE, a guardarli bene, sono veri anche se pensiamo che il modello inteso siano
i numeri reali (basta notare che l’operatore S si puo interpretare come: Sn = n + 1,
anziche come “successore di”). L’insieme dei numeri reali, pertanto, e anch’esso un
modello per i nostri assiomi. Ora, chiediamoci, sara possibile dimostrare p dagli
assiomi? Poniamo di si. Poniamo cioe che AE ` ∀x¬(x2 ≈ SS0). Per il teorema
di correttezza avremo anche AE `|= ∀x∀y ¬(x2
y2 ≈ SS0). Ma, nell’interpretazione
reale, l’enunciato ∀x∀y ¬(x2
y2 ≈ SS0) e falso! Poniamo allora che sia dimostrabile
¬p: AE ` ∃x∃y (x2
y2 ≈ SS0). Di nuovo si avra anche: AE |= ∃x∃y (x2
y2 ≈ SS0). Ma
ancora una volta ci imbattiamo in modello in cui l’interpretazione di questo teorema e
falso. Ne dobbiamo trarre la conclusione che, o gli assiomi sono inconsistenti, oppure
p e una proposizione indecidibile. Questo significa solo che l’enunciato p non fa parte
della teoria CnAE. La teoria CnAE e pertanto compatibile sia con p che con ¬p.
Cosa possiamo concludere dai fatti esposti sopra? Si sarebbe tentati (specie se
spinti da intuizioni particolarmente platoniste) di interpretare il fatto che gli assiomi
non permettono di dimostrare (ne di refutare) p, che questi assiomi non siano sufficien-
temente completi. Che ci sono verita che gli sfuggono semplicemente perche non sono
in grado di precisare con sufficiente esattezza il loro modelli. Avendo troppi modelli
diversi fra loro, ci saranno enunciati veri in alcuni ma non in altri modelli. In effetti
basta notare che se aggiungessimo S3 agli assiomi AE, sarebbe possibile dimostrare p.
Se invece si aggiungessero gli assiomi della teoria dei numeri reali (come quello della
completezza di Dedekind e l’esistenza degli elementi inversi delle operazioni), allora
57
si potrebbe dimostrare ¬p.
Aggiungere assiomi, per ottenere la completezza di un sistema formale, e una
tentazione piu che comprendsibile. Quando Presburger dimostro la completezza di <A
(e non fu cosa facile), a Hilbert e ai suoi colleghi parse plausibile che, in qualche modo
magari complicatissimo si sarebbe potuta dimostrare la completezza degli assiomi di
Peano. Se la prova di Godel si fosse limitata a mostrare che esistono proposizioni
matematiche indecidibili dagli assiomi di Peano, nessuno si sarebbe scoraggiato piu
di tanto: sarebbe scattata la caccia all’ultimo assioma. Ora, e importante notare
che esiste una tensione essenziale fra completezza e consistenza. Quando si aggiunge
un assioma a un sistema formale, infatti, naturalmente si spera che questo non sia
dimostrabile dagli altri (altrimenti il suo contributo sarebbe totalmente inutile). Ma
si spera anche che non sia dimostrabile la sua negazione!
Un caso analogo, e forse piu raffigurabile, e quello della rappresentazione carte-
siana di un punto nello spazio. Poniamo di voler rappresentare la posizione di un
punto nello spazio. Sappiamo che, dato un punto di origine, e un sistema di as-
si, avremo bisogno di almeno tre numeri. Se infatti avessimo solo due numeri, ci
mancherebbe l’informazione necessaria per “catturare” una volta per tutte il nostro
punto. Vogliamo inoltre che questi tre punti non diano informazioni “contradditorie”
circa la posizione del punto rispetto a ogni particolare asse: dobbiamo avere, insom-
ma, tutta l’informazione necessaria, ma non troppa. Insomma, se abbiamo solo due
numeri (anche se questi si trovano su due assi distinti), l’informazione che avremmo
sarebbe compatibile con molti punti: il nostro sistema di informazioni sarebbe in-
completo; se invece due o piu numeri si riferissero alla posizione rispetto a uno stesso
asse, allora l’informazione che avremmo sarebbe “contradditoria”.
58
Poniamo ora lo strano caso cosmicomico di avere tre coordinate (che pensiamo
essere) cartesiane. Poniamo cioe che una data terna di coordinate sia compatibile, alla
prova dei fatti, con piu di un punto, cosa dovremmo pensare? Con le tre dimensioni
che ci sono date non potremmo fare nulla, poiche ogni altro (quarto) punto avrebbe
una proiezione sugli assi che “contraddirebbe” quelle che gia abbiamo. Avremmo tre
possibilita.
1. Ci siamo sbagliati: gli assi che abbiamo scelto non sono dopotutto indipendenti
l’uno dall’altro (cioe le informazioni che abbiamo dopotutto si contraddicono).
2. Ci sono quattro dimensioni, e forse sara possibile “catturare” il nostro punto
con una quarta coordinata cartesiana. Oppure
3. Non esistono punti, cioe non esistono enti a zero dimensioni: ecco perche non
riuscivamo a individuarne uno. In questo caso, per quante dimensioni decidiamo di
aggiungere, non riusciremo mai a catturare un punto con una n-tupla di coordinate.
1.5.3 L’aritmetizzazione della sintassi
Torniamo alla dimostrazione del teorema. Nella seconda parte del suo articolo Godel
fa le seguenti tre cose (oltre a dare delle definizioni che gia conosciamo):
1. Introduce gli assiomi. Gli assiomi usati da Godel per dimostrare il teorema sono
del tutto simili a quelli scelti per questa esposizione: gli assiomi logici Λ (presenti nei
Principia Mathematica di Russell) e gli assiomi aritmetici. Gli assiomi scelti da Godel
per l’aritmetica sono gli assiomi di Peano. Differiscono quindi dai nostri (AE) per la
presenza degli infiniti assiomi dello schema di induzione, e per l’assenza di assiomi
per l’esponenziazione (che e rappresentabile a partire dalle operazioni fondamentali).
59
2. Compone un catalogo di funzioni e relazioni che sono rappresentabili nel sis-
tema di assiomi.16 Oltre a enumerare le relazioni e le funzioni matematiche rappre-
sentabili che abbiamo presentato nel lungo catalogo poco fa, Godel, come promesso
nell’introduzione del precedente paragrafo, procede ad associare numeri, relazioni
e funzioni ai concetti sintattici dell’aritmetica e della meta-aritmetica. Vi saranno
quindi numeri associati ai parametri del linguaggio, alle variabili, alle formule, alle
formule dimostrabili, all’affermazione che una sequenza di formule e la dimostrazione
di un’altra, etc.
3. Infine Godel mostra, usando le relazioni e le funzioni rappresentabili del cata-
logo, che esiste una relazione fra numeri che non e rappresentabile in alcun sistema
ricorsivo di assiomi (cioe che la teoria dei numeri non e assiomatizzabile).
In questo paragrafo ci occuperemo del punto 2. Cioe di spiegare come sia possibile
“rispecchiare” la metamatematica nell’aritmetica.
Per prima cosa, notiamo che e possibile associare ad ogni simbolo (parametrico o
logico) un numero naturale. Vi sara cioe una funzione h tale che h(∀) = 0, h(0) = 2,
etc. La seguente tabella mostra i simboli alla destra dei valori di questa funzione.
Ora stabiliremo un modo per associare a ciascuna formula del linguaggio un
numero naturale.
Definizione 1.5.2 (Numeri di Godel delle espressioni).
16Nell’articolo originale G. usa il termine “ricorsivo”, al posto del nostro “rappresentabile”. Comeabbiamo visto i due concetti sono intercambiabili.
60
Espressioni Per ogni espressione ε = s0...sn del linguaggio definiamo il suo
numero di Godel ](ε) nel modo seguente:
](s0...sn) = 〈h(s0), ..., h(sn)〉
Insiemi di espressioni Ad un insieme di espressioni Φ associamo l’insieme di
numeri di Godel:
]Φ = {](ε) : ε ∈ Φ}
Sequenze di espressioni Ad un sequenza di espressioni 〈α0, ..., αn〉 associamo
il numero:
γ(〈α0, ..., αn〉) = 〈]α0, ...]αn〉
Ora, usando le relazioni e le funzioni rappresentabili definite in precedenza e
possibile costruire le seguenti relazioni (insiemi) rappresentabili.
1. L’insieme dei numeri di Godel delle variabili e rappresentabile.
Tabella 1.1: Numeri di Godel dei simboli
Parametri Simboli
0. ∀ 1. (2. 0 3. )4. S 5. ¬6. < 7. →8. + 9. ≈10. · 11. v1
12. E 13. v2
61
2. L’insieme dei numeri di Godel dei termini e rappresentabile.
3. L’insieme dei numeri di Godel delle formule atomiche e rappresentabile.
4. L’insieme dei numeri di Godel delle formule ben formate e rappresentabile.
5. Esiste una funzione rappresentabile Sost tale che, per ogni termine o formula α,
variabile x, e termine t:
Sost(]α, ]x, ]t) = ]αxt
6. La funzione il cui valore in n e ](Sn0) e rappresentabile.
7. Esiste una relazione rappresentabile Lib tale che, per ogni termine o formula α e
variabile x:
〈]α, ]x〉 ∈ Lib⇔ x occorre libera in α
8. L’insieme dei numeri di Godel degli enunciati e rappresentabile.
9. Esiste una relazione rappresentabile Sosb tale che, per ogni termine o formula α,
variabile x, e termine t, 〈]α, ]x, ]t〉 ∈ Sosb sse t e sostituibile a x in α.
10. La relazione Gen, dove 〈a, b〉 ∈ Genn sse a e il numero di Godel di una formula
e b e il numero di Godel della generalizzazione di quella formula, e rappresentabile.
11. L’insieme dei numeri di Godel delle tautologie e rappresentabile.
12. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma ∀xφ→ φxt , dove t e un
termine sostituibile alla variabile x in φ, e rappresentabile.
13. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma
∀x(α→ β) → ∀xα→ ∀xβ e rappresentabile.
14. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma α→ ∀xα, dove x non
occorre libera in α, e rappresentabile.
62
15. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma x ≈ x e rappresentabile.
16. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma x ≈ y → α→ α′, dove
α e atomica e α′
si ottiene sostituendo x in 0 o piu posti con y, e rappresentabile.
17. L’insieme dei numeri di Godel degli assiomi logici e rappresentabile.
18. Per un insieme finito A di formule, γ(D) : De una deduzione da A, e
rappresentabile.
19. Ogni funzione rappresentabile e definibile in <
20. Sia A un insieme di enunciati tali che ]A sia rappresentabile. Possiamo definire
(si noti bene, non sempre rappresentare) l’insieme CnA nel seguente modo:
a ∈ ]CnA sse ∃d : [(1) d e il numero di una deduzione da A, (2) l’ultimo
componenente di d e a e (3) a e il nuemro di Godel di una formula]
La parte fra parentesi quadre e rappresentabile. Tuttavia non sempre l’insieme
cosı definito sara a sua volta rappresentabile (in quanto non vi e alcun limite su d.
Teorema 1.5.1 (Rappresentabilita di teorie ricorsivamente assiomatizzabili).
Se ]A e rappresentabile e CnA e una teoria completa, allora ]CnA e rappresentabile.
1.5.4 Il teorema di Godel
Eccoci dunque arrivati alla parte cruciale dell dimostrazione. Per cominciare daro
una prova diversa da quella data da Godel nel 1931. Poi commentero le differenze
sostanziali. Il teorema di incompletezza fa uso di un risultato molto potente, il Lemma
del punto fisso, che enuncio e dimostro qui sotto.
Teorema 1.5.2 (Lemma del punto fisso). Data qualunque formula β in cui solo
v1 occorre libera, esiste un enunciato σ tale che
63
AE ` [σ ↔ β(S]σ0)]
Indirettamente tale formula afferma di essere vera di se stessa.
Dimostrazione. Sia θ(v1, v1, v3) una formula che rappresenta in CnAE la funzione il
cui valore in 〈]α, n〉 e ](α(Sn0)). Si consideri dunque la formula:
∀v3[θ(v1, v1, v3) → β(v3)] (1.5.1)
Sia q il numero di Godel di 1.5.1 e sia σ la formula:
∀v3[θ(Sq0, Sq0, v3) → β(v3)] (1.5.2)
Dobbiamo dimostrare che
σ ↔ β(S]σ0) (1.5.3)
e deducibile da AE. Si ha, per come abbiamo scelto θ,
AE ` ∀v3[θ(Sq0, Sq0, v3) → v3 ≈ S]σ0] (1.5.4)
Ora, e evidente che
σ ` ∀v3[θ(Sq0, Sq0, S]σ0) → β(S]σ0)]
e, dalla 1.5.4
AE ` θ(Sq0, Sq0, S]σ0)
64
Percio:
AE;σ ` β(S]σ)
Questa e la prima meta della 1.5.3 che vogliamo dimostrare. Ora basta notare che
la 1.5.4 implica
β(S]σ) → [∀v3(θ(Sq0, Sq0, v3) → β(v3))]
Ma la formula fra parentesi quadre e proprio σ, e questo conclude la prova.
Questo teorema, che Godel ha attribuito a Rudolph Carnap, e, come vedremo,
estremamente potente. Cominciamo con l’enunciare e dimostrare l’indecidibilita della
teoria dei numeri.
Teorema 1.5.3 (Teorema di indecidibilta di Tarski). L’insieme ]Th< dei nu-
meri di Godel degli enunciati veri nella struttura < non e definibilie in <.
Dimostrazione. Si noti che dal lemma del punto fisso segue immediatamente che
|=< [σ ↔ β(S]σ0)]
Si consideri dunque una qualunque formula β e si faccia l’ipotesi che β definisca
]Th<. Applicando il lemma del punto fisso alla formula ¬β si ottiene
|=< [σ ↔ ¬β(S]σ0)]
Ne segue che
65
|=< σ ⇔6|=< β(S]σ0)
Cioe
|=< σ ⇔6|=< σ
il che e impossibile. Dunque, o σ e vera ma non nell’insieme, oppure e falsa e
nell’insieme. In ogni caso cade l’ipotesi che β definisca ]Th<. Ne segue che la teoria
dei numeri e indecidibile.
A fortiori ne segue che:
Corollario 1.5.4. La teoria ]Th< non e rappresentabile.
Siamo dunque giunti alla prova del teorema di incompletezza.
Teorema 1.5.5 (Primo teorema di incompletezza di Godel). Se A ⊆ Th< e
]A e rappresentabile, allora CnA non e una teoria completa.
In particolare non esiste alcuna assiomatizzazione ricorsiva completa di Th<.
Dimostrazione. Poiche A ⊆ Th<, si ha che CnA ⊆ Th<. Se CnA e completa allora
vale l’identita. Se CnA fosse completa allora ]CnA sarebbe rappresentabile, il che
non e in forza del precedente corollario.
Nell’articolo del 1931, Godel non utilizzo il teorema di Tarski, ma costruı la frase
σ che abbiamo definito nella dimostrazione del lemma del punto fisso. Se gli assiomi
sono consistenti, σ e vera ma non dimostrabile, cioe gli assiomi sono incompleti.
66
Nell’articolo del 1931, Godel dimostro anche un’altro teorema, noto come secon-
do teorema di incompletezza di Godel. Questo e particolarmente importante per la
storia della matematica, poiche alcuni ritengono che abbia inferto un colpo mortale
al progetto formalista di Hilbert. Sostazialmente il teorema afferma che e possibile
dimostrare all’interno dell’aritmetica che se un sistema di assiomi e consistente, allora
dimostra la proposizione σ (o G, come e piu comunemente nota) di Godel.
Preliminarmente bisogna notare che e possibile rappresentare la consistenza degli
assiomi all’interno dell’aritmetica stessa. Se gli assiomi fossero inconsistenti, infatti,
sarebbe possibile dimostrare qualunque formula, cioe non vi sarebbe alcuna formula
che non e un teorema. Quindi la consistenza degli assiomi e equivalente all’affer-
mazione che una data formula non e un teorema. Prendiamone una a caso, ad esem-
pio la formula ¬(0 ≈ 0). Se AE 6` ¬(0 ≈ 0) allora il sistema di assiomi e consistente
(Cons(AE)). Viceversa, se AE ` ¬(0 ≈ 0) il sistema e inconsistente (¬Cons(AE).
Dunque la consistenza degli assiomi e rappresentabile all’interno del sistema.
Teorema 1.5.6 (Secondo teorema di incompletezza di Godel). Dato qualunque
sistema di assiomi A che abbia per modello <:
A ` [Cons(A) → σA]
Dove σA e la formula di Godel per il sistema di assiomi A.
Assieme al primo teorema, questo significa che, se A ` Cons(A) allora il sistema
e inconsistente.
Il secondo teorema comporta che, se crediamo che gli assiomi dell’aritmetica siano
consistenti, dobbiamo rinunciare a dimostrarne la consistenza all’interno dell’aritmet-
ica stessa. Di fatto la consistenza dell’aritmetica e stata dimostrata da un teorema
67
di Genzen. Se la prova utilizzata non facesse ricorso a procedure dimostrative che
non sono rispecchiabili nell’aritmetica, questo equivarrebbe ad aver dimostrato che
l’aritmetica di Peano e inconsistente. Fortunamente i metodi usati da Genzen (in par-
ticolare la cosiddetta induzione transfinita) non sono rappresentabili nell’aritmetica
di Peano.
Concludiamo enunciando un risultato ottenuto da Church
Teorema 1.5.7 (Teorema di Church). L’insieme dei numeri di Godel delle for-
mule valide nel linguaggio < non e rappresentabile.
1.6 Generalizzazioni del teorema di Godel
1.6.1 Il problema della fermata di Turing
A volte, mentre lavoriamo al computer, la macchina si blocca, non e piu possibile
continuare il lavoro, interrompere il programma che si stava usando, o fare qualunque
cosa che non sia staccare la spina e riavviare tutto. Viene fatto di chiedersi perche mai
i programmatori non inventino un programma che sappia in anticipo che questo sta
per accadere e lo impedisca. I programmi scritti per il calcolatore, se sono fatti bene,
non si fermano quasi mai: continuano fino a quando (in u tempo finito) raggiungono
lo stato desiderato (quello che e stato programmato per essere tale) e si fermano li.
E’ inevitabile che a volte, pero, spece se nel programma c’e una qualche istruzione del
tipo “continua ad eseguire questa operazione fino a che non e vero che p”, accade che
non si fermano mai. Ad esempio, un programma che continua ad aggiugere 1 ad un
numero dato, e che sia istruito a fermarsi solo quando il numero ottenuto in un certo
momento sia uguale a qualcuno dei numeri gia ottenuti in precedenza, e ovvio che non
68
si ferma mai. In questo caso e evidente che il programma non si fermera mai, anche
senza fare alcuna prova per verificarlo. Il problema della fermata puo essere espresso
in questo modo. E’ possibile scrivere un programma che riceva in input qualunque
programma e risponda (in un tempo finito) “Si” se il programma si ferma e “No” se
invece non si ferma? Nel 1937 il matematico Alan Turing dimostro, ispirandosi al
teorema di Godel (come egli stesso ammise) il cosiddetto teorema della fermata: non
esiste alcun programma universale per decidere se un generico programma si fermera
o no.
Piu formalmente, Turing ha dimostrato il seguente:
Teorema 1.6.1 (Teorema della fermata di Turing). Consideriamo una qualunque
enumerazione delle funzioni ricorsive, in cui la funzione φi corrisponde alla i+1-esima
funzione ricorsiva. Cioe detta f la i+ 1-esima funzione ricorsiva, abbiamo:
φi(y) = f(y)
Allora, non esiste nessuna funzione ricorsiva g tale che per ogni x e y
g(x, y) =
1 (Se φi(y) e definita )
0 (Altrimenti )
Dimostrazione. Supponiamo per ipotesi che g sia ricorsiva. Allora lo sarebbe anche
una funzione h cosı definita:
h(x) =
1 (Se g(x, x) = 0 cioe seφx(x) non e definita)
Indefinita (Altrimenti )
69
Supponiamo che nell’enumerazione delle funzioni ricorsive che abbiamo scelto, n
sia l’indice della funzione h, cioe che h = φn. Sara allora possibile inserire il numero
n stesso come argomento alla funzione h, abbiamo h(n) = φn(n). Avremo allora che
h = 1 sse g(n, n) = 0. Ma per la definizione di g abbiamo che g(n, n) = 0 sse non e
definita. Insomma φn(n) = h(n) = 1 se e solo se g(n, n) = 0, cioe φn(n) = 1 se e solo
se non e definita, che e assurdo. Quindi l’ipotesi iniziale che g fosse ricorsiva e falsa.
1.6.2 La prova di Kleene
Sulla falsariga del teorema dimostrato da Turing, Kleene ha proposto una generaliz-
zazione del teorema di Godel. Come vedremo nel prossimo capitolo, e questa versione
piu semplice della prova di Godel che e stata recentemente usata per confutare il mec-
canicismo. Prima di proporre una versione piu formale della prova, voglio raccontare
una storiella che la ricorda da vicino.17
1. Qualcuno un giorno presento a Godel una macchina, Oracle, capace di rispon-
dere correttamente a qualunque domanda gli venisse posta.
2. Godel chiese che gli venissero consegnati il programma e il progetto dei circuiti
di Oracle. Forse il programma era complicato, ma non poteva che essere di lunghezza
finita. Chiamiamo questo programma P(Oracle).
3. Con un sorriso beffardo, Godel scribacchio il seguente enunciato: “La macchina
costruita sulla base del programma P(Oracle) non dira mai che questo enunciato e
vero.” Chiamiamo questo enunciato G. Quindi G e equivalente a “Oracle non dira
mai che G e vero.”
17Una versione di questa storiella, si trova in un libro di R. Rucker ([46])
70
4. Ora Godel scoppio in una grassa risata, e chiese a Oracle se G era vera.
5. Se oracle avesse detto che G e vera, allora “Oracle non dira mai che G e vero.”
sarebbe stata falsa. Ma se “Oracle non dira mai che G e vero.” e falsa, allora G e
falsa. Quindi, se Oracle avesse detto che G e vera, allora G sarebbe stata in realta
falsa, e Oracle avrebbe detto qualcosa di falso. Ma allora Oracle non direbbe mai che
G e vera, poiche Oracle dice solo cose vere.
6. Abbiamo stabilito che Oracle non direbbe mai che G e vero. Allora “Oracle
non dira mai che G e vero.” e un enunciato vero. Cioe G e vero.
7. “Io conosco una verita che tu non potrai mai pronunciare”, disse Godel a
Oracle, “Io so che G e vera. Non sei un vero oracolo!”
Torniamo dunque alla prova di Kleene. Poniamo che vi sia una procedura effettiva
(Oracle) che comprende tutte le procedure a disposizione della comunita matemat-
ica allo scopo di dimostrare teoremi. In particolare, Oracle teoremi della forma “la
computazione C(n) non termina. Questi ultimi enunciati, detti anche enunciati Π1,
sono equivalenti a enunciati della forma “per ogni m, m non e il codice di una com-
putazione completa del programma C con argomento n”. Un’assunzione che facciamo,
circa Oracle (simile a quella fatta nella storiella, e che speriamo di ridurre all’assur-
do) e che deve essere corretta, nel senso che Oracle non da mai risposte false. Se
Oracle permette di stabilire che la computazione C(n) non termina, allora davvero
C(n) non termina. Ora, le computazioni a un argomento, in quanto rappresentabili
come stringhe di simboli di un alfabeto finito, possono essere enumerate effettivamente
in una lista: C1, C2, C3, ..., Cn, .... Assumiamo che se Oracle termina con argomen-
ti q e n, allora Cq(n) non termina. In altre parole, l’arrestarsi della computazione
Oracle(q, n) “dimostra” l’enunciato “Cq(n) non termina”. Siccome Oracle e corretta,
71
abbiamo che
1. Se Oracle(q, n) termina, allora Cq(n) non termina. In particolare, per q = n,
si ha che
2. Se Oracle(n, n) termina, allora Cn(n) non termina. A questo punto si osserva
che la procedura Oracle(n, n) dipende solo piu dall’unico parametro n, e quindi deve
a sua volta essere una delle procedure C1, C2, C3, ..., Cn, ..., ad esempio Ck. Ne segue
che
3. Ck(k) termina se e solo se Oracle(k, k) termina. Da (2), con n = k, si ha
4. Se Oracle(k, k) termina, allora Ck(k) non termina, e da (3) e (4),
5. Se Ck(k) termina, allora Ck(k) non termina. Questo implica che la com-
putazione Ck(k) non puo terminare. Ma allora, per (3), nemmeno la computazione
Oracle(k, k) puo terminare. Quindi la procedura Oracle e incapace di determinare
la mancata terminazione di Ck(k), contro l’ipotesi.
Capitolo 2
Argomenti Godeliani contro ilmeccanicismo
2.1 Introduzione
Dopo una breve introduzione al meccanicismo contemporaneo (par. 2.2), vengono
introdotti i principali argomenti Godeliani contro di esso (par. 2.3).
2.2 Il meccanicismo contemporaneo
Uno stesso numero, il numero due, ad esempio, puo avere vari nomi: 10 (in una rap-
presentazione binaria), 2 (in una rappresentazione decimale)... etc. Il fatto cruciale
che va notato e che un’operazione fra numeri, l’addizione diciamo, si puo effettuare
manipolando consistentemente in un certo modo i nomi dei numeri. Dopotutto, quan-
do ci viene insegnato per la prima volta a fare di conto, ci concentriamo nello sforzo
di conformarci a queste regole, anziche pensare ai numeri stessi. L’idea che vi siano
dei numeri, e quindi che si stia davvero parlando di qualcosa, arriva dopo, ci viene
raccontata, e trova riscontro nel fatto che c’e sempre una sola risposta giusta. Ma
72
73
queste regole sintattiche, meccaniche, funzionano solo per il particolare sistema di
rappresentazione che decidiamo di usare (nel nostro caso quello decimale): la ricetta
formale per sommare due numeri e diversa se sono rappresentati (nominati) in un sis-
tema binario o in uno decimale. Cio che conta, tuttavia, e che queste ricette formali
realizzino tutte (implementino) la stessa operazione.
Alla semantica, in questo quadro, e riservato un ruolo ancillare. La stessa oper-
azione, infatti, proprio in quanto non e essa stessa dipendente dal sistema di rapp-
resentazione, deve potersi individuare (identificare da un punto di vista metafisico)
indipendentemente da qualunque sistema per rappresentarla (e se per questo anche in-
dipendentemente da qualunque rappresentazione, da qualunque concetto semantico).
Ora i nomi, di solito, fanno un lavoro semantico: significano. Ma la sola proprieta che
i simboli che figurano in una descrizione di un’operazione (l’addizione in questo caso)
devono possedere, e l’interpretabilita. Questo quadro della computazione garantisce
una sana divisione del lavoro concettuale fra il sistema formale astratto e il sistema
fisico (la macchina) che lo implementa: la macchina fisica serve solo a manipolare gli
insignificanti (per lei) nomi dei numeri, in accordo con le regole. Tale divisione del
lavoro concettuale e ben espressa nella tesi che il cervello sia una “macchina sintattica
che conduce una macchina semantica”1.
Sommare dei numeri non e che un esempio di cio che l’intelligenza umana puo fare
(certo non uno dei piu brillanti). L’idea chiave di ogni tesi computazionalista e che il
cervello, o qualunque sia il medium implementazionale, faccia lo stesso lavoro che le
ricette nome-dipendenti fanno nel caso dell’addizione, realizzando (implementando)
1Cfr. Block [8].
74
quest’ultima per mezzo di una struttura causale ad esse isomorfa. Le ricette nome-
dipendenti realizzano l’addizione operando meccanicamente su simboli che sono sis-
tematicamente interpretabili come riferentisi a numeri. La struttura causale isomorfa
di un sistema fisico trasforma meccanicamente i simboli in conformita con questa
ricetta nome-dipendente, cosı realizzando fisicamente quell’operazione. E’ possibile
che questo sia cio che fa il nostro cervello. E se ogni comportamento intelligente si
potesse spiegare cosı? “Calculemus!”, affermava Leibniz.
Hobbes, in un passo frequentemente citato, affermava che:
Quando un uomo ragiona non fa altro che concepire una somma totale da
un addizione di parti oppure un resto da una sottrazione di una somma da
un’altra, e questo (se si fa con le parole) e il concepire la consequenzialita
dai nomi di tutte le parti al nome dell’intero oppure dai nomi dell’in-
tero e di una parte al nome dell’altra parte [...]. Queste operazioni non
riguardano soltanto i numeri, ma tutte quelle cose che possono essere ad-
dizionate insieme e sottratte l’una dall’altra. Infatti, come gli aritmetici
insegnano ad addizionare e a sottrarre con i numeri, cosı i geometri in-
segnano la stessa cosa riguardo a linee, figure (solide e piane). I logici
insegnano la stessa cosa a livello della consequenzialita delle parole, ad-
dizionando insieme due nomi per dare luogo ad un’affermazione e due
affermazioni per creare un sillogismo e piu sillogismi per produrre una
dimostrazione.2
Uno dei primi fruttuosi tentativi di simulare artificialmente la cognizione umana fu
il “Logic Theorist . Nel 1956 Allen Newell, Cliff Shaw and Herbert Simon3 mostrarono
2T. Hobbes, Leviatano ([26]), pp. 67-69.3Newell, Shaw and Simon [1].
75
come la loro creatura riuscisse a dimostrare 38 dei primi 52 teoremi provati da Russell
e Whitehead nei loro Principia Mathematica. Nel loro lavoro gli autori impiegarono la
seguente ricetta euristica. Usare un codice simbolico simile al linguaggio per rappre-
sentare il mondo (gli oggetti del mondo e il funzionamento che questi oggetti manifes-
tano. Questo costituisce la “base di conoscenze” (“knowledge base) della macchina.
Usare dei mezzi di input per trasdurre appropriatamente il flusso di stimoli ambientali
in un sistema di rappresentazioni per essi (queste rappresentazioni devono adoperare
lo stesso codice impiegato per formare la base di conoscenze). La macchina deve poi
usare entrambi la base di conoscenze e l’informazione trasdotta per produrre ulteriore
strutture di simboli (sulla base di procedure algoritmiche). Alcuni di questi simboli
“nuovi” devono essere designiati a fungere da output. Finalmente, una ulteriore
trasduzione deve tradurre questi ultimi in un comportamento appropriato.
L’ipotesi di sistema simbolico (ISS), proposta da Newell e Simon nel 19764, e
da allora considerato il nocciolo duro del paradigma computazionalista, si puo pen-
sare come ad una risposta a queste domande fondamentali sul pensiero: 1) Puo una
macchina pensare? 2) Cosa e necessario affinche una macchina pensi? E, 3) cosa e
sufficiente affinche una macchina pensi? La risposta alla prima domanda, se la ISS
e corretta, e si. La risposta alla seconda e che cio che e necessario e la capacita
di manipolare simboli. Infine la sufficienza si otterra seguendo le linee guida sopra
esposte.
L’entusiasmo per i frequenti successi del progetto fecero accantonare per lungo
tempo ogni dubbio circa la correttezza dell’ipotesi, e a maggior ragione circa la sua
sensatezza.
4Newell e Simon [37].
76
Enthusiasm about the early successes of the programme set aside all concerns
about the truth of the hypothesis for a long time, let alone concerns over the mean-
ingfulness of the hypothesis. “L’intuizione, la capacita di ideazione e l’apprendimento,
dissero Newell e Simon, “non sono piu prerogativa degli umani [...]. Vi sono oggi al
mondo macchine che possono pensare, che apprendono e che possono creare5.
Tanto entusiasmo, prevedibilmente, si dimostro eccessivamente ottimista. Persino
le macchine piu sofisticate oggi (a piu di 50 anni dall’inizio del progetto) non sono
che giocattoli rispetto a una macchina che puo pensare, apprendere e creare.
Oggi il computazionalismo non e piu solo senza rivali nel panorama dell’intelli-
genza artificiale. Spinto da una crescente pressione da parte di concezioni rivali, e
anche da alcune obiezioni interne, nelgi anni 80’, 90’ e ancor piu oggi, la concezione
standard del computazionalsimo pare aver fatto un numero cospicuo di concessioni a
punti di vista tradizionalmente non computazionalisti.
Molte di queste obiezioni paiono, almeno a prima vista, additare la difficolta del
computazionalismo di accomodare quelle che potremo genericamente chiamare “le
proprieta semantiche delle menti”. Il famoso argomento della stanza cinese di Searle, il
problema del radicamento dei simboli di Harnad, e persino alcuni aspetti del problema
piu tecnico della trasduzione, sono tutti esempi di questa area problematica. Dico
che queste obiezioni paiono potersi ricondurre a una difficolta del computazionalismo
a trattare le capacita semantiche degli agenti, perche ritengo che il problema risieda
altrove: nella nozione stessa di computazione.
L’obiezione Godeliana al computazionalsimo, di cui ci stiamo occupando in questo
lavoro, e che, come abbiamo visto, fallisce nell’intento desiderato, puo essere pero
5Newell e Simon [37], p. 6.
77
pensata come un sintomo di questa cattiva comprensione della nozione di realizzazione
di una computazione.
A prima vista (almeno per quanto riguarda me), lo spirito formalista del tratta-
mento della computazione descritto sopra, pare promettente. Pare ad esempio adatto
a spiegare come il nostro cervello, o qualunque altro medium implementazionale, es-
egua delle computazioni. Ma noi, per esprimerci in modo molto naieve, sembriamo
anche essere in grado di “intendere”, di significare i numeri. Io so se sto parlando
di aritmetica o di pecore. La mia calcolatrice no. Come lo facciamo? Qualunque
teoria della mente deve avere qualcosa di convincente da dire al proposito (fosse an-
che per proporre un punto di vista eliminativista). Alcuni penseranno, come molti
prima di loro, che questa sia precisamente la difficolta che ha spinto i teorici della
computazione ad emendare l’ipotesi di sufficienza in vari modi, per venire in contro
alle obiezioni che di volta in volta gli venivano mosse.
A guardar bene, infatti, all’interno dello stesso paradigma computazionalista e
possibile ravvisare un certo disaccordo circa il ruolo che dovrebbero avere le propieta
semantiche in una teoria della mente. Per come l’ho raccontato, lo spirito del paradig-
ma computazionalista pare essere rigidamente formalista, in un senso simile a quello
in cui lo era il progetto di Hilbert. Fodor, ad esempio, conferma questa aspettativa:
Se le proprieta mentali sono formali, allora hanno accesso solo alle propri-
eta formali delle rappresentazioni dell’ambiente che ci forniscono i sensi.
Pertanto, esse non hanno accesso alle loro proprieta semantiche, incluse
quella di essere vera, di riferirsi a qualcosa, o anche alla proprieta di essere
una rappresentazione dell’ambiente.6
6Smith [52], p. 231.
78
Le cose non sono cambiate molto, da allora. Sentiamo spesso esprimere opinioni
come la seguente:
Si notera che nulla nella mia trattazione della computazione e dell’im-
plementazione presuppone considerazioni semantiche, quali il contenuto
rappresentazionale degli stati interni. E’ precisamente cosı che dev’essere:
le computazioni sono specificate sintatticamente, non semanticamente [...]
Se le condizioni di implementazione dovessero presupporre considerazioni
semantiche, qualuque ruolo la computazione possa avere nel fondare l’In-
telligenza Artificiale e le scienze cognitive verrebbe messo a repentaglio.
[...].7
Ma ci si imbatte altrettanto frequentemente in dichiarazioni che paiono andare
nella direzione opposta: ci viene detto che le computazioni si devono definire “su”
rappresentazioni, che “non c’e computazione senza rappresentazione”:
E’ ampiamente riconosciuto che la computazione sia, in un modo o nell’al-
tro, un fenomeno simbolico, rappresentazionale, basato sull’informazione,
semantico o, come direbbero i filosofi, intenzionale.8
Quasi tutti i padri dell’intelligenza artificiale computazionalista si sono espressi al
proposito in modo perlomeno ambiguo. Lo stesso Fodor, ad esempio, ebbe a dire:
1. Gli unici modelli psicologici per i processi cognitivi che sembrano
anche solo remotamente plausibili rappresentano tali processi come
computazionali
7Chalmers. A Computational Foundation for the Study of Cognition. Section 2.2. Nonpubblicato, ma la sez. 2 (qui citata) e pubblicata come [10].
8Smith [52], p. 9.
79
2. La computazione presuppone un mezzo: un sistema rapresentazionale.9
Pylyshyn, un altro padre fondatore del paradigma:
Sapere quale computazione venga eseguita richiede la considerazione di
stati computazionali semanticamente interpretati.10
Qual’e esattamente il ruolo di queste proprieta semantiche? Chi conduce, la
macchina sintattica o quella semantica?
Pare che le acque si facciano torbide alla giuntura fra la nozione di “interpretabilita”
di un sistema di simboli e quella di “interpretazione” dello stesso sistema di simboli.
La prima, infatti, non appartiene al novero delle proprieta intenzionali (non piu di
quanto i pattern di inchiostro in un libro significhino intrinsecamente qualcosa). Ep-
pure l’interpretabilita e tutto quanto la nozione di computazione, almeno di primo
achito, pare richiedere:
Un sistema di simboli e un insieme di “individui fisici” arbitrari [...] che
vengono manipolati sulla base di “regole esplicite” che sono a loro volta in-
dividui fisici e stringhe di individui fisici. La manipolazione regolata degli
individui-simboli e basata solamente sulla forma di questi (sono sul loro
“significato”) [...]. Vi sono simboli atomici e composti. L’intero sistema
e tutte le sue parti - gli individui atomici, quelli composti, le manipo-
lazioni sintattiche tanto attuali quanto possibili e le regole - sono tutti
“semanticamente interpretabili”: e possibile assegnare sistematicamente
9Fodor [19], p. 27.10Pylyshyn [45], P. 58.
80
un significato alla sintassi, ad esempio come riferentesi ad oggetti e a
fatti.11
Ricordiamoci ora di quando, nel primo capitolo, abbiamo introdotto la nozione di
modello. La relazione che intercorre fra i simboli arbitrari e questi oggetti, o fatti,
non e precisamente la stessa che intercorre fra un insieme di formule in un linguaggio
formale e una struttura che le soddisfa?
Si noti che in quel caso, come in questo, gli elementi del linguaggio (i parametri), e
quelli dell’universo sono totalmente indipendenti gli uni dagli altri. Sebbene a volte in
teoria dei modelli si tenda a dire che i parametri “nominano” gli elementi della strut-
tura, non e cosı che dovremmo pensare ad essi. Una costante c nel linguagio, of course,
potrebbe essere ustata come un nome per il suo elemento corrispondente cU dell’uni-
verso, ma dire che c e a tutti gli effetti un “nome”. rovinerebbe ingiustificatamente
la natura essenzialmente formale della teoria dei modelli.
Una conseguenza di questo fatto, come abbiamo visto, e che un linguaggio formale
il piu delle volte non possiede le risorse, da solo, per individuare i suoi “modelli
intesi”. In particolare, dal punto di vista di una macchina sintattica (virtuale, come
un sistema formale, o fisica, come un sistema simbolico fisico) due modelli isomorfi
sono indistinguibili.
Le macchine sintattiche, potremmo dire, sono “ceche” rispetto alle propreta se-
mantiche.
Se il nostro sistema di simboli fisico (l’incarnazione di un sistema formale) possiede
11Questa e la definizione di “Sistema di Simboli” che propone Stephen Harnad ([24], p. 337)ricostruendola da Newell [37].
81
una struttura causale che corrisponde a quella di un certo algoritmo (ad esempio quel-
lo per eseguire addizioni nel sistema decimale), allora si dice che “implementa” quel-
l’algoritmo. Dato che, inoltre, la struttura algoritmica formale e “sistematicamente
interpretabile” come riferentesi a numeri e a operazioni su di essi, allora potremo dire
che il sistema di simboli fisico computa addizioni fra numeri. I nostri cervelli secondo
la tesi meccanicista, sarebbero precisamente dei sistemi fisici di simboli.
Se e vero che i sistemi fisici di simboli sono cechi alla semantica, non e possibile
ridurre all’assurdo il meccanicismo facendo notare che noi siamo in grado di “vedere”
la verita dell’enucniato di Godel?
2.3 Argomenti Godeliani
2.3.1 L’argomento di Lucas
Se la mente umana e una macchina (nel senso tecnico che abbiamo appena discus-
so), allora esiste, almeno il linea di principio, una macchina di Turing il cui output
e indistinguibile da quello di un essere umano. Molti trovano profondamente indi-
gesta questa ipotesi. L’aspetto repellente del meccanicismo (cosı come, in fondo, di
qualunque visione materialistica del mondo), e che sembra “soffocare” aspetti della
natura umana cui diamo molto valore: il libero arbitrio, l’apertura trascendentale, il
“posto speciale” che vorremmo assegnare a noi stessi nel cosmo. Piu prosaicamente
(e forse sulla scorta di tale sentimentalismo), una semplice introspezione individua
molte facolta tipicamente umane che paiono sfuggire al concetto di “meccanismo”.
Fra queste l’intuizione, l’inventiva, la creativita, e, non per ultima, la capacita di
“vedere” la verita di alcuni enunciati.
82
Quando leggiamo la dimostrazione del teorema di Godel, almeno quando la leggo
io, restiamo stupefatti dalla semplicta con cui, una volta dimostrata l’indecidibilta
del teorema G, ci convinciamo della sua verita. La pura indecidibilta, infatti, non
ci stupirebbe cosı tanto. E’ il fatto che esistano proposizioni vere ma indecidibili,
che desta tutta la nostra ammirazione per il risultato ottenuto da Godel. Come
facciamo a convincerci che G e vera? Semplicemente osservando che “afferma di
non essere dimostrabile”, cio che abbiamo appena dimostrato essere il caso. E’ la
coincidenza fra rappresentazione e rappresentato, che, da sola, basta a convincerci
che G e vera. Prima che ci venga fatto notare che questo e precisamente cio che G
“afferma”, non ce ne rendiamo conto, tanta e la difficolta che incontriamo a seguire il
ragionamento, la prima volta che ne facciamo esperienza. E’ quasi “un caso”, come si
esprime Godel stesso in una nota al suo articolo del ’31, che G “affermi proprio cio che
abbiamo appena dimostrato: “a dispetto delle apparenze, non vi e nulla di circolare
in questo teorema, poiche comincia con l’affermare l’impossibilita di dimostrare una
formula perfettamente determinata (vale a dire la q-esima nell’ordinamento, con una
precisa sostituzione), e solo in un secondo momento (vorremo dire quasi per caso)
emerege la circostanza che questa formula e proprio quella che esprime questa stessa
proposizione”.
E’ questa nostra capacita di accorgerci che, quasi per caso, la proposizione G e
vera, che ci colpisce come profondamente non meccanica, non meccanizzabile. Pare
infatti che si tratti di un “gesto” elementare, di un atto immediato (e immdediabile)
della nostra coscenza che “vede” la verita dell’enunciato in un colpo solo, senza stare
tanto a contare o a macinare simboli. Questa forte intuizione e alla base dell’utilizzo
che e stato fatto piu volte del teorema di incompletezza per “dimostrare” che non
83
siamo macchine, e non potremmo esserlo. La prima formulazione compiuta di questa
intuizione si trova in un articolo del filsofo di Harvard J. R. Lucas. In Minds, Machines
and Godel, apparso nel 1961 sulla rivista Philosophy, Lucas afferma che:
Il teorema di Godel deve potersi applicare alle macchine cibernetiche,
poiche e l’essenza di una macchina quella di essere la concreta realizzazione
di un sistema formale. Ne segue che data qualuque macchina che sia
consistente e capace di fare della semplice aritmetica, vi e una formula
che essa e incapace di produrre come vera, ovvero una formula che e
impossibile-provare-nel-sistema sebbene noi siamo in grado di vedere che e
vera. Ne segue che nessuna macchina potrebbe essere un modello completo
o adeguato della mente, che le menti sono essenzialmente diverse dalle
macchine.12
L’argomento di Lucas suscito subito un intenso dibattito. La “caccia all’errore”
che venne ingaggiata convinse infine la maggior parte dei filosofi che l’argomento
non e corretto. Persino quei filosofi, come Benacerraf, che erano indipendentemente
convinti che la mente non possa essere una macchina, si prodigarono per dimostrare
che l’argomento di Lucas e sbagliato.
In questo lavoro, ci concentreremo soprattutto su cosa significhi “essere la concreta
realizzazione di un sistema formale”. E’ mia opinione, infatti, che, tra tutti i difetti
dell’argomento Godeliano che sono stati posti in evidenza, quello piu profondo, e forse
piu interessante, sia quello di aver trattato i sistemi formali e le loro realizzazioni
concrete come se fossero la stessa cosa.
12Lucas [31]
84
2.3.2 L’argomento di Penrose
Oggi, dopo che lo spettro di Lucas e stato rievocato dai “nuovi argomenti” Godeliani
proposti da Roger Penrose13 negli ultimi vent’anni, si odono ancora degli spari.
Si ricordera che, alla fine del primo capitolo di questo lavoro, abbiamo presentato
una versione della prova di Godel che, partendo dall’ipotesi che la procedura Oracle
sia in grado di decidere la verita (o falsita) di qualunque enunciato Π1 della forma
“per ogni m, m non e il codice di una computazione completa del programma C con
argomento n”, perveniva alla conclusione che la procedura Oracle e incapace di deter-
minare la mancata terminazione di Ck(k), contraddicendo l’ipotesi. Quindi l’ipotesi
che Oracle contenga tutte le procedure a disposizione della comunita matematica per
decidere gli enucniati Π1 e ridotta all’assurdo: Oracle non puo comprendere tutte
le procedure di decisione. Questo fatto, unitamente alla costatazione che noi invece
siamo in grado di di decidere la non terminazione di Ck(k) (in un tempo finito),
implica che c’e qualcosa che noi sappiamo fare che nessuna macchina, nemmeno la
piu completa, sarebbe in grado di fare. Conclusione: non siamo macchine. Questa
in sostanza l’argomentazione che Roger Penrose ha prosposto in una serie di pubbli-
cazioni molto controverse. In particolare, Penrose ritiene che si possa dimosrare il
seguente enunciato:
[G] I matematici umani per determinare verita matematiche non usano
una procedura che possa essere riconosciuta come corretta (a knowably
sound algorithm ).
Se infatti questo enunciato non fosse vero, la procedura corretta che i matematici
usano per stabilire le verita matematiche (A) avrebbe una proposizione di Godel
13Si vedano Penrose [39] e [40]
85
(G(A)) che non potrebbe essere provata all’interno del sistema. Quindi i poteri
inferenziali degli esseri umani trascendono quelli di qualsiasi macchina.
2.3.3 Il “nuovo argomento” Godeliano di Penrose
Come vedremo nel prossimo capitolo tutti gli argomenti Godeliani proposti finora
contengono degli errori fatali. E’ giusto menzionare pero che quello piu banale, e
cioe che Penrose presuppone che si sappia che un certo algoritmo contiene tutte le
procedure inferenziali a disposizione dei matematici, puo essere emendato. L’errore
in questione, che discuteremo piu diffusamente nel prossimo capitolo, e questo. Il
sistema formale che (nell’ipotesi da ridurre all’assurdo) rappresenta tutti gli assiomi
e le conoscenze di base dei matematici, rappresenta tutte le conoscenze empiriche
che i matematici possono avere, o e un doppione dei Principia Mathematica? La
distinzione e importante, in quanto i matematici potrebbero essere venuti a sapere
empiricamente che il sistema formale A restituisce tutti e soli i loro output deduttivi,
e questa conoscenza non sarebbe quindi adeguatamente riflessa in A. La contromossa
di Penrose e quella di aggiungere ad A (che rappresenta il sistema inferenziale dei
matematici prima che vengano a conoscenza del fatto che gli output deduttivi co-
incidono) la conoscenza empiricamente acquisita. Questo e possibile nell’ipotesi che
il nuovo assioma sia consistente con gli altri. Penrose quindi applica l’argomento
Godeliano al nuovo sistema A′, riducendo all’assurdo nuovamente l’ipotesi che questo
rappresenti le capacita inferenziali dei matematici. In questo caso la conclusione di
Penrose sarebbe piu debole di prima, nel senso che riuscirebbe a provare solo che
[G’ ] Se i matematici umani per determinare verita matematiche usano
una procedura computabile, allora o questa procedura non e computabile,
86
oppure non e possibile scoprire contemporaneamente quale sia l’algoritmo
e decidere che esso e corretto.
Penrose ritiene di aver mostrato come sia impossibile venire a conoscenza di quali
siano le nostre procedure inferenziali senza con cio stesso convincerci che esse sono
corrette. Questo concluderebbe quello che e stato chiamato “il nuovo argomento
Godeliano”. In sostanza, il nuovo argomento sostituirebbe la vecchia ipotesi che il
sistema A contiene tutte le procedure inferenziali dei matematici con l’ipotesi “io
sono A”. Aggiungendo questa ipotesi come ulteriore assioma al sistema A, e ripe-
tendo l’argomento Godeliano, si arriva alla conclusione che io posso dimostrare il
mio enunciato G se e solo se non lo posso dimostrare. Come vedremo, ammesso (e
non concesso) che sia vero che conoscere le nostre procedure inferenziali significhi per
cio stesso convincerci che esse sono coerenti, Penrose addita l’ipotesi sbagliata come
responsabile di questa contraddizione. L’ipotesi responsabile e infatti che possiamo
sapere che siamo coerenti.
Capitolo 3
Critica dell’argomento Godeliano
3.1 Introduzione
Viene discussa la posizione di vari commentatori degli argomenti Godeliani (par. 3.2).
Particolare enfasi e posta sul problema della coerenza (par. 3.3).
3.2 La ricezione degli argomenti Godeliani
3.2.1 Critiche formali: Feferman, Davis e Putnam
Molte delle critiche che sono state mosse agli argomenti Godeliani partono dall’osser-
vare che questi sono invariabilmente imprecisi e spesso banalmente scorretti. Alcuni
autori arrivano a formulare critiche davvero impietose. Ne citeremo una partico-
larmente nota per tutte, espressa da Punam1, secondo il quale l’opera di Penrose
“rappresenta un triste episodio nella nostra presente vita intellettuale”.
Alcuni di questi errori e imprecisioni non inficiano, da soli, la sostenza dell’argo-
mento e non verranno pertanto trattati in questa sede. Per quanto riguarda invece
1Vedi Putnam [44]
87
88
quelle imprecisioni che trasformano gli argomenti Godeliani in non sequitur, e op-
portuno cominciare con le critiche mosse da Martin Davis. L’argomento di Penrose
poggia sull’assunto che l’intuizione che ci permette di riconoscere come vero l’enun-
ciato “Se A e corretto, allora G(A) e vero” non puo essere contenuta nel sistema A
stesso. L’errore di Penrose, secondo Davis, e quello di descrivere il riconoscimento
della verita di tale enunciato come “un’intuizione”. Si tratta infatti di un teorema
dimostrabile in nqualunque sistema abbastanza ampio (come quelli descritti nel pri-
mo capitolo di questo lavoro). Certo non si tratta di un enunciato∏
1, ma allora
cio che Penrose avrebbe dimostrato e che un sistema formale in grado di produrre
solo enunciati∏
1 non e un modello per la mente umana, cosa che solo uno sciocco
potrebbe pensare.
Anche Solomon Feferman2 fornisce un’analisi impietosa dell’argomento Godeliano
come viene formulato da Penrose, e considera una versione emendata dalla quale
emerge pero che l’argomento puo solo essere usato per dimostrare che le procedure
inferenziali dei matematici non seguono un metodo elencativo, cioe che per dimostrare
un teorema non dimostrano tutti i teoremi possibili, uno alla volta per vedere se il
teorema, o la sua negazione, compare nella lista. Ma non c’era certo bisogno di
scomodare il teorema di Godel per sapere che le cose stanno cosı.
Putnam, infine, ritiene che gli argomenti Godeliani proposti da Lucas poggino su
una banale cofusione fra due enunciati che verrebbero fatti conflagrare ambiguamente
nell’asserzione “il sistema formale A e coerente”. Come vedremo meglio in seguito
trattando la critica di Benacerraf, vi sono due cose diverse che si possono intendere con
questo asserto. Si puo infatti interpretare l’enunciato come esprimente la proposizione
2Vedi Feferman [17]
89
che i metodi usati dai matematici per dimostrare i loro teoremi sono coerenti (cioe in
altre parole che non succedera mai che i matematici dimostrino un teorema e anche
la sua negazione).
Tale proposizione viene espressa nel linguaggio ordinario. Secondo l’altra interpre-
tazione, la proposizione espressa e invece una proposizione matematica precisa, come
quella usata per dimostrare il secondo teorema di incompletezza. Secondo Putnam,
e, come vedremo, anche secondo Benacerraf, e questa confusione che conferisce all’ar-
gomento di Lucas la sua parvenza di correttezza. Una volta disambiguati su questo
punto, gli argomenti di Lucas paiono inutili e banali.
Per quanto riguarda gli argomenti di Penrose, Putnam ritiene che che l’errore
sia piu circostanziato, sebbene altrettanto fatale. Poniamo infatti di accettare che
nessun programma la cui correttezza noi possiamo conoscere possa simulare tutte
le competenze matematiche umane. Questo naturalmente non stabilisce che non
esista un algoritmo in grado di simulare perfettamente le nostre competenze. Anche
mantendendo ferma l’ipotesi che le regole che i matematici usano siano corrette, e
che i matematici possano accertare questo fatto, l’algoritmo in grado di simulare le
nostre competenze potrebbe (e probabilmente sara) cosı complesso che non sara mai
possibile accertarne la coerenza. Potrebbe inoltre risultare che il sistema che simula le
nostre competenze non sia coerente, anche se alcuni sistemi formali che esso produce
fossero coerenti. Vi e una differenza, infatti, fra il sistema formale che la mente
potrebbe usare per pervenire alla dimostrazione dei teoremi matematici, e i sistemi
formali che la mente e in grado di costruire (anche controllandone la coerenza) sulla
base di questo algoritmo. In particolare e possibile che i secondi siano tutti coerenti
quando il primo non lo e. E’ inoltre plausibile (se non ovvio), che sia impossibile
90
accertare la coerenza del primo, anche ammesso che sia coerente.
3.2.2 Critiche Duhemiane: Chalmers, McCullough e Beneac-
erraf
Molti critici3 hanno messo in luce il fatto che gli argomenti Godeliani permettono solo
di ridurre all’assurdo la congiunzione di piu tesi, fra le quali vi e quella che la mente
umana sia la realizzazione di un sistema formale. Queste osservazioni “Duhemiane”
sulla struttura logica degli argomenti Godeliani mostrano come, una volta “ripuliti”
da imprecisioni e scorrettezze, gli argomenti rivelino, fra le loro premesse, piu che la
semplice ipotesi che la mente umana realizzi un sistema formale. Questo significa che
ad essere ridotta all’assurdo sarebbe solo la congiunzione di queste premesse. Queste
critiche mettono poi in luce che alcune di queste premesse sono molto piu implausibili
di quella meccanicista. Discuteremo fra poco nel dettaglio una di queste analisi, quella
di Benacerraf. Molti autori si trovano d’accordo nell’osservare che, ad esempio, fra
queste premesse vi sia la possibilita dei matematici di dimostrare l’ineluttabilita dei
loro asserti.
3.2.3 Rovesciamenti dell’argomento Godeliano: Whitely, Mc-
Cullough e Hofstadter
Alcuni altri4 osservano che gli argomenti Godeliani si applicano altrettanto bene agli
esseri umani che alle macchine, e che quindi non provano alcunche circa le tesi mecca-
niciste. Whitely e McCullough, ad esempio, osservano che se sottoponiamo a Penrose
3Si vedano al proposito le critiche di Chalmers ([?]), McCullough ([35])e Benacerraf ([2]).4Si vedano al proposito le critiche di Whitely (([53]), Chalmers ([?]), McCullough ([35]) e
Benacerraf ([27])
91
l’enunciato
Questo enunciato non puo essere una convinzione incontrovertibile di
Roger Penrose.
potremo usare un argomento Godeliano per dimostrare che Penrose non e un
essere umano o che e incoerente. Se infatti tale enunciato fosse fra le convinzioni
incontrovertibili di Penrose, sarebbe falso. Se invece non lo fosse, allora sarebbe
incontrovertibilmente vero, e quindi noi saremmo in grado di intrattenere convinzioni
incontrovertibili che Penrose stesso non puo intrattenere. Ergo Penrose non e umano
quanto lo siamo noi. L’errore, qui, consiste nel non riconoscere che Penrose potrebbe
sottoporre un enunciato analogo a noi, per giungere alla stessa conclusione circa la
nostra inferiorita.
Hofstadter nota inoltre che, grazie a un risultato ottenuto da Alonzo Church e
Stephen Kleene, secondo cui e impossibile assegnare ricorsivamente notazioni (nomi)
a tutti gli ordinali costruttivi, le possibilita degli umani di vedere la verita degli enun-
ciati di Godel e limitata. E’ noto infatti come sia possibile tamponare (temporanea-
mente) la falla aperta dalla dimostrazione di Godel aggiungendo G come assioma al
sistema che abbiamo appena Godelizzato. Come e noto, nemmeno aggiungendo un’in-
finita di assiomi di questo tipo si puo eludere l’incompletezza dimostrata da Godel.
Tuttavia l’enuciato G di Godel per sistemi arbitrariamente complessi in questo senso
non sara arbitrariamente complesso. Cosı, sebbene il teorema di Godel garantisca che
un tale enunciato vi sia, per quanto complesso il sistema di assiomi sia diventato, la
capacita umana di individuarlo raggiungerebbe presto un limite invalicabile. Da quel
punto in poi, osserva Hofstadter, l’output deduttivo di qualunque essere umano sara
indistinguibile da quello di una macchina.
92
3.2.4 Critiche alla formulazione del meccanicismo negli argo-
menti Godeliani: Hofstadter, Dennett, Chalmers e D.
McDermott
Infine, alcuni commentatori5 hanno osservato che gli argomenti Godeliani prendono
le mosse da una versione distorta e Naieve del meccanicismo, e che quindi sconfiggono
un nemico di cartapesta. Per capire le tesi meccaniciste, e quindi per esporle corretta-
mente, e necessario comprendere quale relazione sussita fra i sistemi formali astratti e
quelli reali che li implementano. Ci occuperemo diffusamente di questo aspetto della
questione nel prossimo capitolo.
Questultimo aspetto in particolare, quello della relazione fra sistemi formali e
sistemi fisici che li realizzazno, e relativamente trascurato nella letteratura contem-
poranea. Come ha osservato McDermott, i sistemi formali che i computer realizzano
sono quasi sempre distinti da quelli che ne descrivono la struttura computazionale.
Questo punto e ben espresso da Aldo Antonelli
Dato un sistema formale F , c’e sempre una macchina di Turing MF che
enumera i teoremi di F , e inversamente, data una macchina di Turing
M , c’e sempre un sistema formale FM che la descrive (e che permette di
inferire, ad es., che M produce valore p su argomento q). Ma in generale
non si ha
F = FMF
5Si vedano al proposito le critiche di Chalmers ([?]), McDermott ([36]), Dennett ([15]) eBenacerraf ([2])
93
Cioe, dato un sistema formale F , si ottiene una macchina che ne enumera
i teoremi, che a sua volta puo essere descritta da un sistema formale. Ma
quest’ultimo non e in generale equivalente al sistema formale originario.
Mentre F puo essere un sistema che ci permette di inferire, ad es., teoremi
geometrici, FMFe un sistema che da teoremi concernenti gli stati interni
di una macchina di Turing.
(antonelli)
Anche Daniel Dennett ha espresso perplessita sulla versione del meccanicismo
presumibilmente refutata dagli argomenti Godeliani.
qualsiasi oggetto fisico puo essere simultaneamente interpretato come una
varieta di macchine di Turing diverse.
(Dennett p. 528, enfasi aggiunta).
Per ciascuna di esse (e anche se per ogni oggetto fisico vi fosse un’unica in-
terpretazione computazionale privilegiata) il teorema di Godel imporrebbe precise
limitazioni. Ma
Preso in tale senso, il teorema di Godel ha implicazioni rispetto alle ca-
pacita dimostrative, diciamo, delle querce: nonostante ogni singola quercia
con lo stormire delle fronde e il cadere delle ghiande possa dimostrare in-
numerevoli teoremi (!), ve ne e uno che essa non puo dimostrare: il suo
enunciato di G¨odel
(Dennett p. 530) .
94
Dennett osserva che l’argomentazione Godeliana e un non sequitur tanto quanto
quella del seguente pseudoargomento. Kasparov ha una capacita eccezionale di vin-
cere al gioco degli scacchi. Dal momento che non esiste alcun algoritmo praticabile
per vincere sempre agli scacchi, Kasparov non puo stare usando un algoritmo per
giocare a scacchi.
Chiaramente la conclusione e falsa, tanto che attualmente vi sono macchine che
vincono anche contro i campioni del mondo. Semplicemente le macchine che vincono
agli scacchi non usano l’algoritmo assoluto, cioe quello che garantisce di vincere in
ogni caso (sebbene questo debba esistere). Il punto e che nemmeno Kasparov e in
grado di vincere sempre agli scacchi, percio l’ipotesi meccanicista resta indifferente
all’argomentazione Godeliana.
Nel prossimo capitolo tratteremo da vicino il problema della relazione fra sistemi
formali e macchine calcolatrici. L’autore di questo lavoro ritiene che le sole virtu
degli argomenti Godeliani risiedano nella possibilita che hanno di fare luce su questa
spinosa questione.
3.3 Il problema della coerenza
Il problema della coerenza e stato piu volte additato come l’anello piu debole delle
argomentazioni Godeliane. Qui discuteremo come la questione sia stata affrontata da
alcuni commentatori.
95
3.3.1 La critica di Benacerraf
Nel tentativo di refutare l’argomento di Lucas, molti hanno cercato di renderlo piu
preciso, di eliminare la vaghezza contenuta nella sua formulazione originale, e che
impedisce di analizzarne a fondo i vizi e le virtu. Paul Benacerraf6 ha proposto una
formalizzazione dell’argomento che trovo particolarmente cogente, e che riporto qui
di seguito con inessenziali modifiche.
1. Sia S = [x : Iopossoprovarex]
S e quindi il mio output deduttivo. Naturalmente non assumiamo a priori che
questo sia l’output di una macchina. Assumiamo pero la correttezza delle deduzioni
(senza la quale l’argomento di Lucas non avrebbe senso).
2. Sia S∗ = [x : S ` x]
Cioe S∗ e la chiusura rispetto alle regole della logica del prim’ordine (con uguaglian-
za) enunciate nel primo capitolo di questo lavoro.
3. S∗ e consistente. Poiche tutti i membri di S sono veri, io non posso provare
cose false (per la correttezza) e la logica preserva la verita.
4. “Con(S∗)′′ ∈ S
Poiche ho appena provato che S∗ e consistente (punto 3.), e analitico che “Con(S∗)”
sia fra gli enunciati che posso dimostrare.
5. “Con(S∗)′′ ∈ S∗
Questo segue banalmente da S ⊆ S∗, e corrisponde all’ipotesi di Lucas (e di
Penrose, come vedremo) di sapere di essere consistente.
6. Sia Wx qualsiasi insieme ricorsivamente enumerabile. Si ha: ∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃
Con(Wx)).
6Benacerraff [2].
96
Da 3 segue che, dato che S∗ e consistente, lo sono anche tutti i suoi sottoinsiemi
ricorsivamente enumerabili. Come vedremo l’insieme Wx rappresenta l’output di una
qualche macchina di Turing (quella che nell’ipotesi da ridurre all’assurdo dovrebbe
essere la mia mente).
7. “∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S.
I punti 1-6 sono una prova di questo enunciato che io (quindi) sono in grado di
produrre.
8. “∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S∗
Banale.
9. Sia Q la chiusura logica degli assiomi di Peano (ma e sufficiente anche il sistema
piu scarno, ma, come abbiamo visto, incompleto, proposto da Tarski, Mostowski e
Robinson). Supponiamo ora che vi sia un insieme ricorsivamente numerabile Wj tale
che:
(a) “Q ⊆ W ′′j ∈ S∗ (Questa e l’ipotesi che io sia in grado di provare che la macchina
Wj e adeguata per l’aritmetica).
(b) “Wj ⊆ S∗′′ ∈ S∗ (Questa e l’ipotesi che io sia in grado di provare che Wj e un
sottoinsieme del mio output totale).
(c) S∗ ⊆ Wj (Questa, infine e l’ipotesi, che speriamo di ridurre all’assurdo, che io
sono una macchina di Turing.
Queste tre condizioni costituiscono le sole assunzioni dell’argomento.
10. Q ⊆ Wj
Segue da 9a, per correttezza.
97
11. Esiste una formula Godeliana H (∀x¬Dim(x, g(H)))) tale che, se H ∈ Wj ,
vale anche ¬H ∈ Wj, e Wj sarebbe inconsistente.
12. “Con(Wj) ⊃ H ′′ ∈ Wj
Segue dal secondo teoream di Godel.
13. “Wj ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S∗
Segue banalmente da 8 (e dall’ipotesi di chiusura rispetto all’implicazione).
14. “Con(Wj)′′ ∈ S∗
Da 9b, 13, e dalla chiusura di S∗ rispetto al modus ponens.
15. “∀x(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wx))′′ ∈ S∗.
Abbiamo indicato con Con(Wx) l’enunciato che afferma la consistenza di Wx nel
senso piu generale in cui il concetto si applica anche a sistemi non formali. Con(Wx),
al contrario, e l’abbreviazione dell’enunciato che si usa nella dimostrazione del secondo
teorema di G: ad esempio l’enuciato matematico che corrisponde all’enunciato che (nel
modello) afferma che ¬(S0 ≈ S0) non e dimostrabile all’interno di Wx. Si indichi la
formula “∀x(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wx)))′′ con “B′′. Per stabilire B basta
notare che (per il secondo teorema di Godel), ogni sistema che contenga Q contiene
una formula che esprime la sua stessa consistenza (Con(Wx) nel nostro caso). E’
possibile poi mostrare che tale formula e vera (nel modello) se e solo se il sistema e
consistente nel senso piu generale appena menzionato (Con(Wx)).
16. “(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wj)))′′S∗.
Da 15 e dalla chiusura di S∗.
17. “Con(Wj)′′ ∈ S∗.
Da 9a, 14 e dalla chiusura di S∗ rispetto alle funzioni di verita.
18. “Con(Wj)′′ ∈ Wj.
98
Da 9c.
19. Entrambi H e ¬H sono in Wj, percio Wj e inconsistente.
20. Entrambi H e ¬H sono in Wj, percio S∗ e inconsistente, contro l’ipotesi 3.
Da 9b segue che Wj ⊆ S∗.
Lucas (e Penrose) ne concludono che l’ipotesi ridotta all’assurdo sia che io sono
una macchina di Turing. Questa e la formulazione piu precisa dell’argomento di cui
sia a conoscenza, e la usero ancora in quanto segue.7
7Anche David Lewis ([29]) ha proposto una versione dell’argomento che ne mette bene in luce lepremesse.
Capitolo 4
Meccanicismo, semantica eisomorfismo: sulla realizzazione diun sistema formale
4.1 Introduzione
Questo capitolo e dedicato all’analisi della nozione di realizzazione di un sistema
formale. E’ mia opinione che il problema sollevato dagli argomenti Godeliani metta
in nuova luce il problema dell’implementazione. Dopo aver discusso la nozione di
implementazione e i suoi problemi (par. 4.2-4.4), viene osservato come le difficolta
incontrate sono esempi di un problema piu generale che si presenta in epistemologia
(par. 4.5.1), in metafisica (par. 4.5.2) e nelle teorie naturalistiche della semantica
(par. 4.5.6). Infine (par. 4.5.6) viene proposta una diagnosi. la tesi sostenuta e che
le proprieta sintattiche presuppongano proprieta semantiche per essere causalmente
efficaci.
99
100
4.2 Realizzare un sistema formale
L’oggettivita dell’implementazione, ovvero la possibilita di specificare delle condizioni
(fisiche) necessarie e sufficienti che un sistema dinamico reale1 deve soddisfare per
essere la realizzazione di un certo sistema formale, e stata piu volte messa in discus-
sione. Molte di queste perplessita sono oggi familiari alla maggior parte dei filosofi
della mente e dell’intelligenza artificiale
4.2.1 Soddisfazione e computazione di una funzione
Computazione = soddisfazione + ?
Quali proprieta (fisiche) di un sistema fisico reale (S) sono necessarie e sufficienti
perche si possa dire che realizza una data struttura computazionale (A)? Indichiamo
il predicato “S realizza A con Re(S,A). La nostra domanda si puo ora riformulare in
questo modo: quali sono le condizioni di verita di Re(S,A)?
Assumeremo una teoria formale (Af ) che specifica un’architettura e un algoritmo
da questa (virtualmente) implementata. Questo algoritmo prende quali input gli ar-
gomenti della funzione f e produce i suoi valori quali output. La relazione fra Af e S
(il sistema dinamico reale) verra descritta con una mappa dai termini di Af a parti
(reali) di S. Queste parti di S dovranno essere specificabili e identificabili sulla sola
base delle loro proprieta spazio-temporali. Chiameremo questa mappa da Af a S uno
schema di etichettatura.2
1Nella letteratura l’espressione “sistema dinamico viene usata per denotare sia un sistema (al-meno potenzialmente) reale, che si muove nello spazio-tempo, che una sua descirizione matematica.Prendendo un prestito una terminologia introdotta da M. Giunti [21], Chiamero il primo un SistemaDinamico Reale (SDR), e il secondo un Sistema Dinamico Matematico (SDM).
2Copeland chiama questo schema labelling scheme. Si veda ad esempio [12].
101
[Schema di etichettatura] Uno schema di etichettatura (L) per una struttura
computazionale (A) consiste di 1) una specificazione di quali parti del sistema fisico
(S) debbano considerarsi quali “enti etichettati (una funzione di interpretazione) e
2) un modo non problematico per individuare in ogni momento l’etichetta portata da
ciascuna di queste parti.
In questa notazione, Re(S,Af ) e vera sse esiste uno schema di etichettatura L tale
che la coppia < L, S > sia un modello di Af . In altre aprole, la nostra (preliminare)
nozione di implementazione si puo esprimere cosı: Re(S,Af ) e vera sse ogni enunciato
in Af e vero di S nell’interpretazione L.
Supponiamo dunque di avere una funzione (f) e un sistema fisico (S). Ci chiediamo
se S computa f , cioe, ci chiediamo si Re(S,Af ) e vera. Abbiamo visto che questo
e il caso se esiste uno schema di etichettatura (L) tale che la coppia < L, S > e un
modello di Af .
Il requisito piu ovvio e che S “soddisfi” la funzione f. Infatti se S non soddisfa
la funzione f certamente non la computa. Poiche ogni sistema fisico istanzia qualche
funzione, il converso, tuttavia, non vale (o dovremmo dire che qualunque sistema
fisico computa delle funzioni).
[Soddisfazione] Un sistema fisico S soddisfa una funzione f sse: (1) associa
causalmente gli argomenti fisici di f (Wi) con i suoi valori fisici (Wo)3
3I valori e gli argomenti fisici sono i valori assunti dalle grandezze fisiche rilevanti. Questi nondovrebbero essere confusi con i numeri reali che possone essere loro assegnati da opportune misuree che seno gli argomenti e i valori delle variabili che figurano nella struttura matematica istanziata.
102
Se questo desideratum e necessario per catturare la nostra nozione pre-analitica
di sistema computazionale, certamente non e sufficiente.Qualunque sistema fisico,
infatti, in principio almeno, puo essere descritto da un sistema dinamico matematico.
Pertanto, per catturare la natura di un sistema computazionale dovremo imporre
condizioni piu restrittive. La strategia piu comune e quella di aggiungere le seguenti
condizioni: (2) che i processi che mediano gli argomenti e i valori di f siano algoritmici,
e (3) che la funzione f sia ricorsiva (Turing computabile)
La nostra domanda, (“S computa f?”), cosı, si riduce un chiedersi se le condizioni
(1), (2), e (3) dotino la nostra teoria formale (Af ) di un sistema di etichettatura tale
che tutti gli enunciati in Af siano veri di S nell’interpretazione L. Indichiamo una
“traduzione” di una frase α in Af con [α]L. Ci chiediamo dunque se le condizioni
(per il momento astratte) che abbiamo dato affinche S computi f ci permettano di
definire uno schema di etichettatura L tale che ∀α ∈ Af : [α]L e vero di S.
E’ abbastanza facile produrre un’interpretazione delle formule in Af che corrispon-
da al requisito che S soddisfi f . E’ infatti sufficiente che per ogni input astratto i e
ogni output o = f(i) esista una grandezza in S tale che:
[i]L = Wi sia affidabilmente, causalmente associato un [o]L = Wo, dove Wi e Wo
sono i valori delle grandezze. Al contrario, e stato da molti suggerito che sia impos-
sibile produrre uno schema di etichettatura che non sia dipendente dall’osservatore.
4.2.2 ? = Soddisfazione per passi
Per catturare la nozione di processo algoritmico alcuni hanno pensato di concepire
le computazioni come sequenze di istanze di funzioni elementari. Queste, sebbene
103
necessariamente ricorsive (altrimenti l’intera sequenza non sarebbe ricorsiva) devono
essere istanziate “direttamente”. Esse sarebbero dunque computabili (nel senso che
sono ricorsive), ma non computate. Alcuni ritengono che questo sia equivalente a
richiedere che la struttura causale che implementa la funzione sia analizzabile in una
serie di passi causali.
La computazione si riduce all’esecuzione di programmi, quindi il nostro
problema si riduce un spiegare cosa vuol dire eseguire un programma. La
strategia ovvia e adottare l’idea che l’esecuzione di programmi presuppon-
ga dei passi, e pensare che ogni passo elementare sia una funzione che il
sistema che esegue il programma semplicemente soddisfa [...] L’esecuzione
di programmi si riduce alla soddisfazione di passi4
Ma questa condizione e banalmente soddisfatta da qualunque sistema fisico (il
che vale un dire che non e affatto una condizione). Dato qualunque sistema che
soddisfa una certa dinamica, possiamo sempre analizzare il suo comportamento come
una serie di soddisfazioni di passi: qualunque scelta arbitraria della serie temporale
fa ugualmente al caso nostro.
Si consideri una palla non perfettamente elastica che rimbalza. Data un’altezza
di partenza hn, dopo un rimbalzo la palla raggiunge l’altezza hn+1 · (1 − c), quindi
il sistema (B) soddisfa la funzione definita ricorsivamente da fn+1 = fn · (1 − c).
Possiamo dire che la palla computa questa funzione? Secondo la definizione appena
data si, poiche 1) B soddisfa f , 2) B soddisfa una funzione algoritmica (nel senso
della soddisfazione di passi) e 3) B soddisfa una funzione Turing computabile.
4Cummins [13], pp. 91-92.
104
Cio che renderebbe B un sistema computazionale (e non solo un sistema che
soddisfa una certa funzione), secondo questa concezione della computazione, sarebbe
il fatto che il processo puo essere analizzato in passi (i singoli rimbalzi). Con cambio
banale della funzione di interpretazione (dello schema di etichettatura), tuttavia, B
si puo pensare anche come soddisfacente la funzione g(h) = (1 − c) · h che assegna
all’input h l’output (1 − c) · h. Questo processo comprende un solo rimbalzo (un
passo). Allora B computa la funzione g? Se seguiamo il criterio proposto dovremmo
chiederci se il processo puo essere analizzato in una serie di passi. Se “passo vuol
dire rimbalzo, allora la risposta e no, B non e un sistema computazionale. Ma perche
“passo dovrebbe voler dire rimbalzo? Possiamo raggruppare gli stati di B quando la
palla sta cadendo (chiamiamoli C) e quelli di quando la palla sta risalendo (R). ora,
la caduta della palla causa affidabilmente la sua risalita. Il processo e stato analizzato
in due passi (C e R) quindi ora il sistema sta nuovamente computando la funzione g.
Sicuramente il mero atto di etichettare gli stati non puo fondare una nozione assoluta
di computazione. L’idea della soddisfazione di passi era un tentativo di fornire una
controparte fisica alla nozione di algoritmo: il tentativo e fallito poiche le proprieta
proposte risultano dipendenti dall’osservatore (dalle scelte arbitrarie di chi assegna lo
schema di etichettatura).
4.2.3 ? = Digitalita
Riconoscendo le difficolta che si incontrano nello specificare la natura della com-
putazione sulla base della differenza fra continuo e discreto, alcuni autori preferiscono
ricorrere alla nozione di sistema digitale. Secondo queste proposte, un sistema fisico
reale (SFR) computa una funzione se e solo se e un sistema digitale. Nella definizione
105
standard, un sistema digitale (analogico) e un sistema i cui argomenti variano su
insiemi discreti (continui). Ma non tutti gli argomenti e le funzioni soddisfatte sono
rilevanti per la nostra definizione di digitale: solo quelli che svolgono un preciso ruolo
causale nella soddisfazione della funzione. Un orologio analogico le cui lancette si
muovano in passi discreti, ad esempio, non smette di essere analogico, poiche gli ar-
gomenti rilevanti variano su insiemi continui. Cosı un computer non smette di essere
digitale se rendiamo continuo il suo input. La maggior parte degli autori si trova
d’accordo nel ritenere che la nozione di schema notazionale di Goodman catturi il
concetto rilevante di discretezza. Secondo il trattamento di Goodman5, i requisiti per
essere un sistema simbolico (digitale) sono (a) la disgiunzione sintattica (ogni individ-
uo deve appartenere al piu un tipo) e (b) defferenziazione sintattica finita (individui
di tipi diversi non devono essere arbitrariamente simili fra loro). Il seguente e un
esempio di schema digitale: due segmenti di linea X e Y sono individui dello stesso
tipo se:
n+ 1/2 < LX , LY < n+ 1 for some n ∈ N
Si noti che due tipi distinti non sono mai infinitamente vicini l’uno all’altro e che
nessun individuo puo appartenere un piu di un tipo. Un esempio di schema analogico,
invece, e:
n < LX , LY < n+ 1
In questo caso individui apparteneti a tipi contigui possono essere arbitrariamente
vicini fra loro.
5Goodman [23].
106
Haugeland6 ha applicato la teoria degli schemi notazionali di Goodman ai sistemi
fisici. Il risultato e stato che, secondo la definizione di Goodman, i computer digi-
tali non potevano considerarsi digitali. I rivelatori di segnale nei computer digitali
standard sono in stato + se soggetti un un segnale maggiore di 2,5 volt e in stato
− per segnali inferiori un 2,5 volt. Questo contraddice il requisito di differenziazione
sintattica finita. Infatti non vi e alcun modo per classificare un segnale di esattamente
2,5 volt. Nella realta i segnali sono sempre vicini un 5 o un 0 volt, cosı non vi e quasi
mai ambiguita. Tuttavia, secondo lo schema di Goodman il sistema e analogico.
Hagueland ha quindi proposto di adattare la teoria di Goodman alla realta dei
sistemi fisici richiedendo che la disgiunzione sintattica e la differenziazione sintatti-
ca finita siano “relative alle nostre pratiche e tecnologie correnti”, anziche a qualche
possibilita fisica teorica. Cio che e rilevante per la nostra discussione e che il solo
trattamento che sembra rendere conto della distinzione digitale/analogico deve ab-
bandonare la speranza di caratterizzarli in termini di proprieta intrinseche dei sistemi:
se un sistema e o non e digitale non dipende solo da quale sistema si tratti (cioe da
quale sistema dinamico matematico descrive il suo comportamento) ma dipende anche
dall’osservatore.
Un trattamento alternativo del concetto di digitalita che (se corretto) supererebbe
queste difficolta e quello proposto da Block e Fodor7. l’intuizione alla base della
loro proposta e che i processi analogici sono processi di “basso livello” nel senso
che possono essere direttamente sussunti un qualche legge fisica. In altre parole
un processo sarebbe analogico se i suoi tipi rappresentano numeri che quantificano
qualche grandezza primitiva (o quasi-primitiva). Piu precisamente, Block e Fodor
6Haugeland [25].7Block e Fodor [9].
107
hanno suggerito che un sistema sia analogico se il suo comportamento di input-output
istanzia una legge fisica. La nozione di istanziazione diretta di una legge fisica e,
ovviamente, piuttosto controversa.
L’istanziazione di leggi fisiche fondamentali e sempre soggetta un clausule cetreis-
paribus. Ci confrontiamo quindi con un dilemma. In un certo senso qualunque sistema
sta sempre istanziando qualche legge fisica fondamentale (altrimenti ne violerebbe
qualucna). Tuttavia, se questo avviene direttamente o indirettamente dipende dai
nostri mezzi di osservazione, non dalla natura del sistema.
D’altra parte, al di fuori di un ambiente sperimentale altamente controllato, nes-
suna legge fisica viene mai immediatamente istanziata (anzi, le leggi fisiche vengono
sempre letteramente violate). Infine, se ricorriamo a clausule contrafattuali circa
l’esistenza di condizioni sperimentali ideali per mitigare la conclusione assurda che
nessun sistema potrebbe essere analogico, ancora una volta, dobbiamo rinuciare a
dare una caratterizzazione intrinseca alla nozione di digitalita.
Questa presunta relativita all’osservatore della distinzione digitale/analogico e
espressa piuttosto spesso nella letteratura. Nel 1951 Pitts, ad esempio, l’ha enunciata
cosı:
In effetti, la nozione di digitale o di analogico ha a che fare con qualunque
variabile in qualunque sistema fisico in relazione a tutte le altre, il che
vale a dire che e legata alla possibilita di considerla come una variabile
discreta ai fini pratici. 8
Naturalmente, il punto qui e: fini pratici per chi?
8Pitts [41], p.34.
108
4.3 La realizzazione di una struttura computazionale
Potremmo sperare di rendere oggettiva la nozione di computazione ricorrendo al-
la nozione di implementazione di una struttura computazionale. Un sistema fisico
starebbe davvero computando se realizza una struttura computazionale (una macchi-
na di Turing, o un automa, ad esempio).
La nozione di implementazione, tuttavia, e anch’essa minacciata, come vedremo,
da argomenti di relativita all’osservatore.
4.3.1 Stati, transizioni e automi
Analizzeremo il caso semplice degli automi a stati finiti. Per prima cosa, cos’e uno
stato? Dato un sistema fisico il cui comportamento si sa essere deterministico, e ra-
gionevole aspettarsi che risponedera sempre allo stesso tipo di input con lo stesso tipo
di output? Certamente no. Se digitiamo qualche comando al nostro computer, ad
esempio, ci aspettiamo che la sua risposta dipenda dal suo stato interno (ad esempio,
le cose cambiano se il computer e acceso o spento). Per un simile sistema determin-
istico, uno stato e definito come:
[Stato di un sistema deterministico] La rappresentazione di una parte del-
l’attivita di un sistema dinamico che sia sufficientemente dettagliata per determinare,
assieme all’iformazione dell’input attuale, quale saranno i suoi output e i suoi stati
immediatamente seguenti.
Vi e un ambiguita in questa definizione: dato un certo stato, cos’e esattamente “il
prossimo stato”? Intuitivamente e lo stato del sistema nel prossimo passo temporale,
109
ma questa nozione andrebbe chiarita. Supponiamo che l’evoluzione di un aspetto
di un sistema reale sia descritta dall’insieme {gt} di funzioni che sono soluzioni di
certe equazioni differenziali. Possiamo sempre considerare i valori di gt ad intervalli
discreti di T . In questo caso la serie discreta di passi temporali e sovrapposta alla
serie continua dei tempi reali. L’espressione “il prossimo output del sistema” in
questo caso significa lo stato e l’output al tempo t + 1. Il nostro insieme ordinato
di passi temporali, in questo caso, eredita la metrica dalla serie temporale reale, che
e continua, percio fra il tempo t + 1 e il tempo t intercorre un tempo definito, che
dipende solamente da t e da t+ 1.
Questo, tuttavia, non e l’unico senso in cui un sistema puo essere a tempo discreto.
In alcuni casi, la dinamica interna e cosı veloce a raggiungere stati di equilibrio che
e possibile descrivere l’evoluzione del sistema restringendo l’insieme M degli stati al-
l’insieme degli stati di equilibrio (che puo essere discreto). La funzioen di transizione,
questa volta, descrive come il sistema evolve da uno stato all’altro, date alcune con-
dizioni. In questo caso la reale lunghezza degli intervalli e irrilevante. Vi e un limite
inferiore (che dipende da quanto veloce e la dinamica del sistema), ma al di sopra di
questa soglia la serie temporale serve meramente come insieme ordinato.
Che l’osservatore si stia nascondendo dietro l’angolo, puo essere gia apprezzato in
questa fase iniziale dell’analisi. Si pensi ad un gioco “testa o croce” con una moneta.
Supponete che un giocatore vinca se ottiene testa due volte consecutive. Il tempo reale
che intercorre tra un lancio e l’altro e irrilevante. Questo accade perche quando una
moneta raggiunge una superficie piana impiega un tempo trascurabile per raggiungere
la posizione di equilibrio. Se le monete impiegassero centinaia d’anni per raggiungere
le loro posizioni di equilibrio, nessuno le userebbe per giocare. Il punto qui e che cio
110
che e “trascurabile” dipende da chi (o cosa) deve trascurare qualcosa.
Continuiamo con la nostra descrizione delle strutture computazionali. Questa e
una definizione formale di un automa un stati finiti: (ASF):
[Automa] Un automa e specificato da tre insiemi X, Y , e Q, e da due funzioni
α e β, dove: 1) X e un insieme finito, l’insieme degli input
2) Y e un insieme finito, l’insieme degli output
3) Q e l’insieme degli stati
4) δ : Q×X 7→ Q, la funzione di transizione, e tale che se in qualunque momento t il
sistema e nello stato q e riceve in input x, allora al tempo t + 1 il sistema si trovera
nello stato δ(q, x).
5) β: Q 7→ Y , la funzione di output e tale che quando il sistema si trova nello stato
q produce sempre l’output β(q). L’automa e finito se Q e finito.
L’obbiettivo, in questo paragrafo, e comprendere quali condizioni (fisiche) siano
necessarie e sufficienti affinche un sistema implementi un ASF.
Come si implementa un automa a stati finiti
La nozione di implementazione e fondata sulle nozioni di struttura causale e di isomor-
fismo fra strutture causali e strutture computazionali. Secondo Chalmers, ad esempio,
“un sistema fisico implementa una data computazione quando esiste un raggruppa-
mento di stati fisici del sistema in classi e una mappa biettiva dagli stati formali della
computazione a classi di stati tale che stati formali connessi da una realazione astratta
di transizione vengno mappati su classi di stati fisici connessi da una corrispondente
111
transizione causale.”9.
Quindi, data la definizione di ASF, un sistema fisico (P ) implementa un ASF (M)
se vi e una funzione (f) che mappa gli stati interni di P (QP ) negli stati di M (Q)
in modo tale che per ogni transizione formale (S, I) 7→ δ(S, I) = S ′ 7→ β(S ′) = O′, se
P si trova nello stato interno s e riceve input i dove f(i) = I e f(s) = S questo
causa il sistema ad entrare nello stato s′ e a produrre un outpu o′ tale che f(s′) = S ′
e f(o′) = O′.
Si noti che la mappa f ci permette di raggruppare gli stati fisici in classi (raggrup-
pando tutti gli stati che sono mappati nello stesso stato formale) in modo tale che
fra stati formali e classi di stati fisici vi e una relazione biettiva. E’ infatti possibile
definire una mappa f ∗ da gruppi di stati fisici (QP �f)10 a stati computazionali (Q).
La mappa e iniettiva poiche la funzione f e stata definita in modo tale che raggruppa
stati fisici in classi che corrispondono agli stati formali dell’automa. E’ suriettiva
grazie alla clausula “per ogni transizione formale” nella definizione data sopra.
Percio, la nostra definizione provvisoria di implementazione e dunque la seguente:
[Implementazione] Dato un automa A specificato da 〈X, Y,Q, δ, β〉, e un sis-
tema fisico S Descritto da 〈QS, T, {gt}〉, S implementa A Sse vi e una funzione
f ∗ : QS × XS × YS 7→ Q × X × Y tale che: [Iso] per ogni transizione di stato
computazionale I1, S1 → δ(I1, S1) = S2 7→ β(S2) = O2 esiste una transizione di stato
causale ([i1], [s1]) → [s2] 7→ [o2] tale che f ∗([i1]) = I, f ∗([s2]) = S2, e f ∗([o2] =
9D. Chalmers, A Computational Foundation for the Study of Cognition, section 2. URL:http://consc.net/papers/computation.html.
10L’insieme QP �f e l’insieme dei gruppi di stati fisici che si puo costruire dall’insieme QP deglistati usando la relazione di equivalenza indotta da questa funzione. Due stati fisici sono equivalentise vengono mappati nello stesso stato formale.
112
O2. Dove XS e YS Sono gli insiemi degli input e degli output fisici rispettivamente, ,
[i], [s] e [o] sono classi di input, di stati e di output definiti come tutti quegli input,
stati e output che f mappa sugli stessi input, stati e output computazionali.
Data questa definizione, quail proprita deve avere un sistema fisico per imple-
mentare un automa?
4.4 La vacuita dell’implementazione
4.4.1 Argomenti-V
Come abbiamo anticipato, la nozione di implementazione di una struttura com-
putazionale (implementazione) e stata oggetto di vari argomenti di relativita all’osser-
vatore. Tali argomenti, chiamiamoli argomenti per la vacuita dell’implementazione, o
argomenti-V, tendono a dimostrare che se le computazioni sono implementabili, allo-
ra sono sempre, vacuamente realizzabili da qualunque sistema fisico. L’idea generale
degli argomenti-V e che qualunque oggetto fisico e casualmente sufficientemente ricco
per essere descritto in modo tale da risultare essere l’implementazione di qualunque
computazione. Se gli argomenti-V fossero presi seriamente renderebbero il concet-
to di computazione privo di interesse fisico e, ancor peggio per i fini che ci siamo
prefissi, renderebbero il meccanicismo computazionalista vacuo, o assurdo. Tutti gli
argomenti-V si fondano sull’assunto che le proprieta fisiche di un sistema fisico sono
insufficienti per ascrivere ad esso proprieta sintattiche. “Se la computazione e definita
sulla base dell’assegnazione di una sintassi allora tutto sarebbe un computer digitale,
113
poiche qulunque oggetto e suscettibile di assegnazioni sintattiche.11. Nel nostro for-
malismo, la conclusione di questi argomenti e che :
[Argomenti-V] Dato qualunque sistema formale (computazionale) A, e qualunque
sistema fisico S, esiste sempre uno schema di etichettatura L tale che la coppia
< L, S > e un modelllo per A.
Nella letteratura si incontrano innumerevoli intuizioni che vanno in questa di-
rezione.
Nella definizione standard (di Turing) della computazione, e difficile elud-
ere le seguenti conseguenze: 1. Per ogni oggetto vi e una descrizione
tale che, in quella descrizione l’oggetto e un computer digitale. 2. Per
ogni programma e per ogni oggetto sufficientemente complesso, vi e una
descrizione dell’oggetto rispetto alla quale si puo dire che il programma
e da esso implementato. Cosı, ad esempio, il muro alle mie spalle in
questo momento sta implementando il programma del Wordstar, poiche
vi e qualche pattern di moti di molecole che e isomorfo alla struttura
formale del Wordstar [...].12
Un gran numero di casi presumibilmente problematici e stato proposto. Nel 1978,
ad esempio, Pinckfuss propose quello che ora e noto come il caso del secchio di Pinck:
Supponiamo che un secchio trasparente pieno d’acqua si trovi sotto il sole.
Al livello microscopico, accadono freneticamente una enorme quantita di
11Searle [51], p. 207.12Searle [51], p.209.
114
cose: correnti convettive, miriadi brulicanti di batteri e altre forme di vita,
etc. Ognuna di queste cose richiede che accada, al livello molecolare, una
miriade ancor piu complessa di fenomeni. Ora, tutta questa complessita
non e forse sufficiente da realizzare per un breve lasso di tempo, semplice-
mente per caso, il programma umano (date le opportune correlazioni fra
certi micro-eventi e i requisiti input, output, e simboli di stato del pro-
gramma)? E se e cosı, non dovrebbe forse il funzionalista concludere che
il secchio forma per un breve istante il corpo di un essere senziente, che
ha pensieri, sentimenti, e via cosı?13
Un argomento-V particolarmente preciso e stato proposto da Putnam
4.4.2 L’argomento di Putnam
Chiediamoci dunque piu precisamente se lo schema di ettichettatura proposto sopra
soddisfa I nostri desiderata. Nell’appendice al suo libro Representation e Reality14,
Putnam ha proposto un noto argomento per dimostrare che ogni sistema fisico aperto
implementa ogni ASF.
L’argomento ha la forma di un teorema, e consiste di due momenti. Nel primo si
sostiene che:
[Teorema di Putnam] Tutti I sistemi fisici aperti implementano qualunque ASF
senza input e output.
13Cosı lo racconta Lycan in [32], p. 39.14Putnam [43].
115
Il risultato viene poi esteso a ASF con input e output. Putnam ammette che
la specificazione di particolari input e output impedisce un’estensione del risultato.
Tuttavia, se il risultato e valido per la descrizione interna di un ASF, la tesi secondo cui
le proprieta cognitive sono coestensive con l’implementazione di un particolare ASF
e equivalente a dire che sono coesetensive con l’implementazione di una particolare
funzione di input-output. Se questo fosse il caso, il computazionalismo verrebbe fatto
conflagrare con il comportamentismo.
Cosı otteniamo che l’assunzione che qualcosa e la “realizzazione di un
certo automa (cioe possiede una specifica “organizzazione funzionale”)
e equivalente all’assunzione che si comporta come se avesse quella de-
scrizione. In breve, il “funzionalismo”, se fosse vero, implicherebbe il
comportamentismo! Se e vero che possedere stati mentali e equivalente
a possedere una certa “organizzazione funzionale”, allora e anche vero
che possedere degli stati mentali significa semplicemente possedere certe
disposizioni comportamentali!15
Non ci interessa qui riproporre la prova di Putnam. Cio che conta e che, ancora
una volta, la nozione di implementazione sembra in pericolo. La diagnosi di Putnam
addita gli arbitrari raggruppamenti di stati. Ci sarebbe bisogno di raggruppare fra
loro in una classe solo stati che abbiano intuitivamente qualcosa in comune.
Il problema naturalmente e che ci sono dei limiti alle restrizioni che possiamo
porre:
[...] questo “qualcosa in comune” deve esso stesso essere descrivibile al
livello fisico [...]: se i disgiunti in una disgiunzione di stati massimali non
15Putnam [43], pp. 124-125.
116
hanno nulla in comune che si possa descrivere al livello fisico e nulla che si
possa descrivere al livello computazionale, allora dire che essi “hanno in
comune che sono tutte realizzazioni dell’atteggiamento preposizionale A”,
dove A e proprio l’atteggiamento preposizionale che vorremmo ridurre,
sarebbe imbrogliare. 16
Come ho ditto, altri argomenti dello stesso tipo si possono trovare nella letteratu-
ra17. La validita di questi argomenti e stata messa in questione, 18, ma la maggior
parte degli autori si trova daccordo sul fatto che [questi argomenti] “mostrano che e
necessario comprendere meglio il ponte fra la teoria della computazione e la teoria dei
sistemi fisici: l’implementazione. ”19.
4.5 La cecita semantica dell’isomorfismo
Con questo lavoro ci proponiamo di comprendere meglio perche gli argomenti Godeliani
contro il meccanicismo ci paiono cosı convincenti. Come abbiamo visto nel capi-
tolo precedente, essi non permettono di ridurre all’assurdo il funzionalismo com-
putazionale. Tuttavia risulta molto evidente che per convincerci che la proposizione
G di Godel e vera, non utilizziamo alcun procedimento coscientemente deduttivo.
Ritengo che cio che pare fare difetto alle macchine, sia esattamente cio che fa difetto
a una teoria formale quando si cerca di farle catturare un modello inteso attraverso
la posizione di assiomi. Il solo isomorfismo fra linguaggio (e assiomi) e gli elementi
16Putnam [43], p. 100.17e.g. Searle [50].18Vedi Chalmers [10], [11], e Scheutz [49].19Chalmers [10].
117
della struttura, non pare bastare. Gli isomorfismi paiono cechi alle proprieta seman-
tiche. Ci pare invece che gli esseri umani ci vedano perfettamente in questo senso.
Come abbiamo visto nella sezione precedente, la teoria (attualmente dominante) della
computazione, secondo la quale la nozione di implementazione poggia solo sull’iso-
morfismo formale fra stati computazionali e stati fisici, pare ceca allo stesso modo:
pare impossibile eliminare modelli non intesi (quali le vacque implementazioni di
qualunque algoritmo da parte di qualunque sistema fisico).
Tale patologia, cioe la cecita dell’isomorfismo, e molto comune in filosofia. Ogni
metateoria che si sia proposta di rappresentare la relazione fra una struttura astratta
e la realta sulla base di isomorfismi strutturali e stata oggetto di critiche di questo
tipo. Qui voglio discutere alcuni di questi casi.
4.5.1 L’argomento di Newman
Un precursore degli argomenti per la cecita dell’isomorfismo risale all’inizio del secolo
scorso.
Nel 1927 Bertrand Russell affermo che “quando inferiamo qualcosa a partire dalla
percezione, e solo la struttura che possiamo inferire validamente; e La struttura e
cio che si puo esprimere nella logica matematica.”20. A questo un amico e collega
di Turing, Max Newman, rispose con un articolo nel quale affermava che “nessuna
[...] informazione circa un aggregato A, eccetto la sua cardinalita, e contenuta nel-
l’affermazione che esiste un sistema di relazioni, con A come campo, che abbia una
struttura data. Poiche dato qualunque aggregato A, e sempre possibile trovare un sis-
tema di relazioni comunque assegnato che sia compatibile con il numero cardinale di
20Russell [47], p. 254.
118
A.”21. Russell concesse qualche anno dopo che Newman aveva ragione.
Vale la pena considerare piu da vicino l’argomento di Newman. Avendo deciso che
e razionale credere nel mondo esterno (per aver escluso il solipsismo e il fenomenalis-
mo), Russell, in quel lavoro, cercava di capire quale conoscenza, se qualche conoscenza
era possibile, potessimo mai avere di esso. Il “mondo esterno” per Russell (in quel
lavoro) consiste di tutte le cause non percepite delle nostre percezioni (sia di quelle
attuali che di quelle possibili). Poiche non e ovviamente possibile alcuna conoscenza
diretta (direct acquaintance) di queste cause, Russell si interrogo su quale conoscenza
indiretta ne fosse invece possibile. L’unica conoscenza che e possibile ottenere circa
le cause non percepite delle nostre percezioni e, secondo Russell, “strutturale”: cioe e
conoscenza della struttura di relazioni che sussistono fra le cause non percepite. Di tali
relazioni, pensa Newman, “nulla si puo sapere (o nulla si puo presumere di sapere), se
non che sussistono.”. Russell specifica che la relazione generante debba essere quella
di “continuita casuale”, cioe il fatto che eventi contigui nella mappa spaziotemporale
della struttura di relazioni debbano rappresentare eventi “casualmente contigui” nel
mondo esterno. Ma, osserva Newman, “se i principi del signor Russell devono essere
mantenuti fermi, questa affermazione non potrebbe che essere una mera definizione di
continuita causale: se dovessimo conoscere direttamente qualcosa cira la sua natura
conosceremmo qualcosa di non strutturale circa il mondo esterno.”22
La forma della nostra ipotetica conoscenza del mondo esterno, nelle parole di
Russell, e che noi sappiamo che “[vi e] una relazione R tale che la struttura del
mondo esterno rispetto a R e W .”.
L’obiezione di Newman e la seguente:
21Newman [38], p. 140.22ibid. pp. 144-145.
119
Qualunque collezione di oggetti puo essere organizzata in modo tale da
avere una struttura W , a patto che vi sia un numero congruo di questi
oggetti. Percio la dottrina che solo la struttura e conoscibile implica
la dottrina che nulla puo essere conosciuto che non sia logicamente de-
ducibile dalla mera esistenza, eccetto (“teoricamente”) il numero degli
oggetti costituenti. 23
L’argomento poggia sull’affermazione che, “dato un aggregato A, esiste un sistema
di relazioni con qualunque struttura assegnata di cardinalita A, e che ha A come suo
campo. ”.
L’universalita dell’argomento poggia quindi sull’assunzione che nessuna restrizione
(intrinseca o estrinseca) venga posta rispetto alla relazione generante. La relazione,
in altre parole, deve essere concepita nei suoi termini piu generali: la classe di tutti gli
insiemi (x1, x2, ...xn) che soddisfano una certa funzione proposizionale φ(x1, x2, ...xn).
Ad esempio, dati quattro oggetti qualunque (questo e l’esempio di Newman): α,
β e γ, una relazione che sussiste fra a e α, a e β, e a e γ, ma no fra altre coppie, e
l’insieme delle coppie x e y che soddisfano la funzione proposizionale: “x e un a, e y
e un α, un β o un γ”. Poiche tale funzione e soddisfacibile da qualunque insieme di
quattro oggetti, l’affermazione che quattro oggetti sono il campo di una struttura di
relazioni come quella assegnata e totalmente non informativa. Poiche inoltre questo
e vero per qualunque aggregato di entita e qualunque data struttura di relazioni,
Newman conclude che la “conoscenza strutturale” non e conoscenza affatto.
L’argomento, chiaramente, puo essere sconfitto solo restringendo l’insieme delle
funzioni proposizionale che consideriamo essere relazioni “reali”, o “rilevanti”: ad
23ibid. p. 144.
120
esempio restringendo il dominio delle possibili relazioni a quelle “reali”, ed escluden-
do tutte quelle “fittizie”, dove una relazione “fittizia” e una relazione “la cui unica
proprieta e che sussiste fra gli enti tra I quail sussiste.” (tale sarebbe la relazione
dell’esempio qui sopra).
Tale restrizione, tuttavia, servirebbe allo scopo di sconfiggere l’argomento di New-
man solo se non fosse possible argomentare che, data una struttura W di relazioni
relai fra gli elementi di un aggregato A, vi sia un sistema di relazioni fra gli oggetti
di A con una qualunque struttura W1. In altre parole, l’esclusione delle “relazioni
fittizie” blocca l’argomento solo se non e possible applicare l’argomento anche alle
“relazioni reali”.
Newman ritiene che le cose stiano precisamente cosı.
Si consideri infatti una aggregato A e una struttura (quella ipoteticamente conosci-
uta) di relazioni reali fra I suoi elementi (W ). La struttura ci fornisce tutti i mezzi
necessari a “battezzare” gli oggetti dell’aggregato (ad ogni oggetto puo essere dato lo
stesso nome del suo correlato nella mappa che corrisponde a W .
Si consideri ancora, ad esempio, il caso dei quattro oggetti. La struttura generata
dalla relazione “fittizia” x e a, e y e α, β o γ” puo essere generata anche dalla
relazione reale “denotato da lettere di alfabeti diversi”. Cosı, parrebbe, per ogni
struttura W generata dalla relazione fittizia R esiste una relazione reale Rr che genera
la stessa struttura. Percio la restrizione a relazioni reali non e sufficiente a bloccare
l’argomento.
Si noti che Newman sta suggerendo che la nostra conoscenza del mondo esterno
(secondo una teoria strutturale) soffre di una “cecita” che e in tutto analoga a quella
dei linguaggi formali rispetto ai loro modelli, o a quella delle strutture computazionali
121
rispetto ai sistemi fisici che le implementano, e, infine, analoga alla presunta cecita
delle macchine di fronte alla verita della proposizione G.
Nelle parole di Newman, la difficolta che abbiamo esposto e la seguente:
L’argomento che abbiamo usato [...] comincia col negare che vi sia una
classificazione delle relazioni [...] con le seguenti proprieta: a) la classifi-
cazioni puo essere applicata alle relazioni fra oggetti non percepiti; b) se
C e la classe alla quale appartiene la relazione generante della struttura
reale W , non puo essere dimostrato logicamente che esiste un’altra re-
lazione nella classe C che possiede qualunque altra struttura W − 1 data.
24
Possiamo ora esprimere il nostro punto di vista circa la cecita dell’isomorfis-
mo. L’informazione che la struttura rappresentata e isomorfa a quella rappresen-
tante non fornisce alcuna informazione sui rappresentati, quindi in particolare non
fornisce alucna informazione circa come il mondo dovrebbe essere affinche la rappre-
sentazione sia “vera” (o, se e per questo, falsa). Se nessuna restrizione viene posta
sulla relazione generante, l’affermazione che un dominio e isomorfismo a un dominio
di rappresentazioni e totalmente non informativa, e percio inadatta a fondare nozioni
semantiche.
4.5.2 La cecita dell’isomorfismo e il realismo metafisico
In tempi piu recenti, Putnam ha proposto un argomento (noto come argomento model-
teoretico contro il realismo metafisico) che espone ancora una volta la cecita dell’i-
somorfismo. Secondo Putnam, come vedremo, la non informativita dell’isomorfismo
24ibid. p. 147.
122
e applicabile anche alla stessa idea che vi sia un mondo la fuori che noi potremmo
rappresentare.
L’argomento model-teoretico parte con l’osservare che: (a) qualunque teoria suf-
ficientemente complessa contiene modelli non intesi e (b) non vi e alcun modo, nes-
suna quantita di informazione addizionale (nemmeno fisica), per determinare quale
di questi modelli sia quello inteso. Dei teoremi fondamentali della teoria dei modelli
assicurano che qualunque teoria del prim’ordine ha vari modelli differenti. Putnam
argomenta che, di conseguenza, nessuna restrizione teorica puo servire a individuare
quale fra questi modelli sia quello inteso. Nemmeno restrizioni operazionali (come la
richiesta che una grandezza assuma un certo valore), second Putnam, sono sufficienti
allo scopo. Tali restrizioni, infatti, possono essere codificate in modo tale che sia puo
mostrare che esiste un modello non inteso che soddisfa anche la nuova collezione estesa
di assiomi. Ora, il realista metafisico deve assumere che esista (almeno in principio)
una teoria che descrive accuratamente il mondo. Il mondo stesso, per il realista, non
sarebbe altro che il modello intesso di questa teoria. Se Putnam ha ragione, e nessun
assioma, teorico o operazionale, e sufficiente a escludere i modelli non intesi, allora
ha ragione a concludere che il realismo metafisico non e intelligibile.
In una versione dell’argomento, nota come argomento della permutazione, Putnam
argomenta come segue. Un teorema fondamentale della teoria dei modelli assicura
che se due modelli di una teoria (M0 e M1) sono isomorfi, cioe se esiste una biezione
f : M0 7→ M1, allora per qualunque formula ψ, M0 |= ψ ⇔ M1 |= ψ (cioe come
si ricordera dal primo capitolo di questa tesi, M0 e M1 sono anche elementarmente
equivalenti). Un altro teorema assicura che, se f : M0 7→ X e una biezione, allora vi
e un metodo canonico per costruire una modello MX isomorfo a M0.
123
Da questi risultati segue che se permutiamo il dominio di un modello M0, vi sara
sempre un modo canonico per costruire un modello MX che sia isomorfo (quindi,
abbiamo visto elementarmente equivalente) a M0. Quindi, se M0 e il mondo reale
secondo il realista metafisico, anche MX dovra esserlo, per lo stesso motivo. MX ,
infatti, ha lo stesso dominio e soddisfa le stesse formule diM0. MaMX ha una funzione
di interpretazione completamente diversa da M0: come puo il realista affermare che
la sua teoria (idealmente) descrive accuratamente il mondo?
4.5.3 La cecita dell’isomorfismo nelle teorie naturalistiche
della semantica
Vediamo ora, brevemente, come la suddetta patologia dell’isomorfismo si presenti an-
che quando un qualche isomorfismo viene chiamato in causa per affrontare il problema
stesso di cosa sia una rappresentazione (cioe alla semantica).
Nonostante che per molti sia naturale concepire il significato come una qualche
relazione fra il linguaggio (le rappresentazioni) e il mondo, la preoccupazione per i
casi “Fregiani” (cioe espressioni che si riferiscono agli stessi enti pur avendo significati
differenti), ha spinto alcuni a sostenere che le condizioni che fissano il significato
siano da ricercarsi all’interno del linguaggio stesso. Cio che fissa il significato di
un’espressione, secondo queste teorie internaliste, non e qualche relazione fra questa
e qualche fatto del mondo, ma piuttosto il ruolo che questa espressione ha all’interno
del linguaggio stesso. Questa teoria dell’isomorfismo (anche nota come “semantica
del ruolo concettuale”), e strettamente imparentata (strutturalmente) con le altre
teorie dell’isomorfismo che abbiamo considerato in questo lavoro. Anche qui, infatti,
i candidati portatori di etichette (gli enti rappresentati, in questo caso) vengono
124
individuati a partire dai loro reciproci ruoli causali, anziche sulla base della relazione
che sussiste fra ognuno di essi e la sua controparte rappresentazionale.
Fra le difficolta che le teorie del ruolo concettuale devono affrontare (come del
resto qualunque altra teoria internista), quella che ci interessa in questa sede e che e
possibile argomentare che il ruolo concettuale (o inferenziale) di una rappresentazione
non fissa le appropriate relazioni con il mondo. Il significato di un’espressione, infatti,
assieme alla appropriata conoscenza del mondo, dovrebbe assicurare che il riferimento
di quell’espressione sia fissato. Il fatto che il ruolo concettuale di una rappresentazione
sia indipendente dal mondo ha spinto alcuni a sostenere che queste teorie sono in-
adeguate a priori. La sola informazione che esiste un isomorfismo fra una struttura
concettuale (ad esempio la struttura inferenziale di una rete di credenze) e la struttura
di relazioni fra fatti che sussistono nel mondo, e insufficiente a fissare le condizioni
di verita di ciascun ruolo concettuale. Stiamo cercando le condizioni di verito di
Rap(P, SI): la relazione intenzionale che sussiste fra un certo stato SI (la rappresen-
tazione) e una proposizione (P) (dotata di precise condizioni di verita). Ora se l’unica
condizione che poniamo e che gli stati di S (I in questo caso) possono essere messi
in relazione biunivoca con le proposizioni, in modo che fra la struttura cui SI appar-
tiene e quella cui P appartiene vi sia una relazione di isomorfismo, allora la formula
Rap(SI , P ) avra sempre dei modelli non intesi. Poiche vorremmo che le condizioni
che abbiamo posto fissassero il contenuto, tale proliferazione dei modelli e fatale per
la proposta.
Molti teorici del ruolo concettuale (ad esempio Block [7], Field [18] e Lycan [33]),
riconoscendo l’impossibilita di fissure le condizioni di verita sulla base dei soli ruoli
concettuali, hanno proposto delle teorie (semantiche del doppio aspetto) secondo le
125
quail vi deve sempre essere una componente che rende conto delle relazioni fra le rap-
presentazioni e il mondo. Ancora una volta, pero, l’isomorfismo non pare sufficiente
a fare cio che vorremmo facesse. Fodor e Lepore, nella loro critica alla teoria della
semantica di Block, hanno espresso questa obiezione cosı: “ora dobbiamo affrontare la
questione piu spinosa: cosa tiene assieme i due fattori? Ad esempio, cosa impedisce
che vi sia un’espressione che ha il ruolo inferenziale appropriato per il contenuto di
“4 e un numero primo” ma le condizioni di verita appropriate per il contenuto di
“l’acqua e umida”? ” [[20], p. 170].
Vi sono molti altri esempi analoghi a questo, che non avremo il tempo di discutere
in questa sede. Cio che mi preme sottolineare e che, ancora una volta, il concetto di
isomorfismo si dimostra incapace di creare la minima quantita di attrito con la realta
che e necessaria affinche questa venga opportunamente catturata.
4.6 Un’analisi della cecita semantica dell’isomor-
fismo
Una assunzione implicita e, a mio avviso, non necessaria in tutti gli argomenti scettici
che abbiamo considerato, e che le proprieta sintattiche debbano essere intrinseche ai
loro portatori. L’idea di Russell, ad esempio, e che la stessa struttura sia intrinseca
sia (1) al sistema delle nostre rappresentazioni (delle quali abbiamo una conoscenza
diretta) che (2) al sistema delle loro cause (che noi non percepiamo direttamente). La
relazione causale fra queste strutture deve solo portare l’informazione che queste due
strutture sono identiche (che vi e un isomorfismo fra le due): e cosı che verremmo a
sapere qualcosa di vero su un mondo del quale non facciamo alcuna esperienza diretta.
126
E’ difficile immaginare come tale teoria, impegnata com’e a sostenere la concezione
internalista delle proprieta formali, potrebbe sfuggire all’argomento di Newman. La
teoria di Russell, in altre parole, presuppone che il sistema delle casuse non percepite
delle nostre percezioni possegga una struttura formale saliente anche prima di in-
teragire casualmente con il nostro apparato percettivo. Tale struttura, si suppone,
dovrebbe causare nel dominio delle nostre percezioni una struttura relazionale ad essa
isomorfa.
Analogamente, l’obiezione di Putnam al computazionalismo funziona (se funziona)
solo nell’ipotesi che delle proprieta computazionali casualmente efficaci appertengano
intrinsecamente a degli oggetti fisici (come ci vogliono far credere la maggior parte
delle teorie della computazione correnti). In quel caso, l’identita di struttura fra
l’organizzazione causale del modello e l’organizzazione formale della struttura com-
putazionale, spera di garantire l’individuazione di un modello inteso (cioe l’oggettivita
dell’implementazione).
Come abbiamo visto, Putnam, nel suo argomento model-teoretico, spinge il coltel-
lo ancor piu in profondita, affermando che il medesimo problema riduce all’assurdo la
stessa idea che esista un mondo di enti e proprieta che “attendono” di ricevere un nome
e delle teorie. Io penso che sia possibile imparare una lezione meno severa da questi
argomenti: le proprieta strutturali sono reali (cioe attuali, anziche meramente poten-
ziali) solo quando sono accoppiate (fondate) su reali proprieta semantiche. Percio gli
argomenti-V, secondo il mio punto di vista, colpiscono il segno solo se si presuppone
che gli oggetti fisici in questione non interagiscano con dei sistemi rappresentazionali.
L’argomento model-teoretico, ad esempio, viene condotto a termine nell’assunzione
che nessuno sia li a interpretare i simboli.
127
Piu precisamente, la speranza irragionevole che Putnam ha dimostrato non pot-
er mai essere soddisfatta, e che la logica del prim-ordine, la teoria degli insiemi e
quella dei modelli, considerate come meri sistemi di simboli non interpretati, possano
individuare ed eliminare i modelli “non intesi”, che sono ai loro occhi formali indis-
tinguibili da quelli “intesi”. Prevedibilmente, nessun sistema di simboli, nemmeno
uno che potesse essere interpretato come riferentesi ai fatti che naturalizzano l’inten-
zionalita, potrebbe riuscire in una simile impresa. Questo non dovrebbe sorprenderci.
Dopotutto, se l’intenzionalita (come pensano i fiscalisti) e una proprieta naturale,
non e ragionevole aspettarsi che una sua descrizione matematica condivida con lei le
stesse proprieta casuali.
Noi pensiamo che la temperatura di un gas, ad esempio, sia una proprieta naturale
che puo essere descritta da un sistema matematico che descrive le posizioni e le velocita
di un enorme numero di atomi. Dovremmo forse aspettarci di far bollire una pentola
d’acqua gettandoci dentro un foglio di carta con su scritte delle equazioni differenziali?
E se non fosse cosı (come non e), dovremmo concluderne che la temperatura non e
una proprieta naturale? Sperare di fissare il modello inteso di una teoria gettandoci
dentro un insieme inerte di simboli che stanno per restrizioni operative e, mi pare,
altrettanto disperato.
E’ consistente con queste considerazioni che alcuni autori abbiano sostenuto che
l’argomento model-teoretico di Putnam non funzioni perche non e applicabile a for-
mulazioni del second’ordine della teoria degli insiemi. Formulazioni del second’ordine
paiono essere necessarie per trattare modelli contrafattuali o modali delle restrizioni
causali (ad esempio per specificare cosa succederebbe se facessimo certe misure). La
controbiezione di Putnam e stata che questi modelli possono essere “tradotti” nel
128
linguaggio del primordine25
Altri filosofi, (ad esempio Davidson [14], p. 237), inoltre, hanno sostenuto che
le relazioni causali che bloccherebbero le permutazioni possono a loro volta essere
permutate. Sarebbe inutile, sostiene Putnam, prescrivere che le restrizioni fisiche de-
vono essere poste ad un livello semantico piu alto di quello dei simboli che vogliamo
interpretare. Infatti, qualunque sia il livello o metalivello in cui poniamo le nostre
descrizioni, cio che conta e che a quel livello i simboli non sono intrinsecamente inter-
pretati, cosı che l’argomento di Putnam (o quello di Davidson) puo essere riadattato
per ripresentare la sfida.
Io ritengo, tuttavia, che queste manovre difensive non siano legittime. Sono in-
fatti condotte nell’assunzione che delle proprieta sintattiche potenziali, come quelle
che possono essere arbitrariamente ascritte ad una sequenza di simboli sconosciuti,
siano sufficienti per fissare delle reali (attuali) proprieta sintattiche,k come quelle che
ascriviamo ad una sequenza ben formata di simboli conosciuti. Noi ascriviamo tali
proprieta sintattiche reali rappresentando (come minimo) tutti I simboli che vi fig-
urano. Nessuna entita, insomma, possiede alcuna reale proprieta sintattica se non
relativamente ad un apparato rappresentazionale reale.
La differenza fra delle proprieta sintattiche reali e potenziali, e particolarmente
ovvia nel caso delle espressioni linguistiche. Si consideri l’espressione
TRE
Cosı come viene tipo-identificata (assumiamolo per amore dell’argomento), da
proprieta intrinseche della grana e della testura della carta che state guardando. E’
25Per affrontare queste obiezioni Putnam (in [42], pp. 8-9 and p. 23.), Putnam usa i modelli diHenken per trasformare la teoria del second’ordine in una teoria del prim’ordine.
129
un individuo dello stesso tipo del predicato unario T (RE), che potrebbe significare,
poniamo, che il re si trova sul trono, oppure e dello stesso tipo del predicato binario
T(R,E), che potrebbe significare che il re e stato tradito dal suo esercito, oppure e
una costante in una teoria dei numeri?
E’ chiaro che l’espressione TRE ha tutte queste potenziali forme sintattiche, e
molte altre ancora rispetto alle quali il nostro apparato percettivo e ceco. Sono pro-
prieta potenziali che si realizzano ogni qualvolta viene data una certa interpretazione
(il che e un fenomeno fisico, se la naturalizzazione dell’intenzionalita e possibile). Se
assumiamo l’internalismo sintattico, e qualcuno dimostra che le proprieta sintattiche
non sono sufficienti a fissare il contenuto (cosa che Putnam pensa di aver fatto) allora
questo qualcuno ha ragione a concludere che non vi sara mai sufficiente teoria per
portare a termine la missione. Questo e vero perche qualunque informazione, teorica
o operativa, non aggiungerebbe altro che ulteriori proprieta sintattiche potenziali.
L’idea che proprieta semantiche reali (quindi rappresentazioni mentali) siano es-
senziali per l’istanziazione di proprieta sintattiche puo apparire controintuitiva. Le
proprieta sintattiche, dopotutto, sono definite come proprieta non semantiche. Ques-
ta obiezione, tuttavia, si fonda su un fraintendimento dell’affermazione (vera) che le
proprieta sintattiche non richiedono alcuna particolare proprieta semantica per essere
realizzate.
Un esempio potrebbe aiutare a comprendere meglio la diagnosi che sto propo-
nendo. Notoriamente, i colori sono proprieta che non sopravvengono sua alcuna
proprieta intrinseca dei loro portatori. Una mela rossa non riflette luce rossa, ed e
erroneo pensare agli oggetti che noi vediamo come oggettivamente colorati in un certo
modo, come oggetti oggettivamente colorati. Piuttosto, la mela assorbe luce di varie
130
lunghezze d’onda in diversi gradi, in modo tale che la luce che non viene assorbita e
che, riflessa, giunge alla nostra retina, viene percepita comerossa. La mela viene per-
cepita come rossa solo perche la visione dei colori di un umano “normale” percepisce
luci con differenti misture di lunghezze d’onda come diverse, e abbiamo il linguaggio
(dei concetti) per esprimere queste differenze. Per sapere quale percezione di col-
ore emergera data una certa composizione di lunghezze d’onda, richiede di possedere
conoscenze circa la neurofisiologia della retina e del cervello. Questo, tuttavia, non
dimostra che i colori godano ti uno status ontologico di serie B. Le proprieta men-
tali sono evidentemente “non indipendenti da noi”, ma non per questo sono meno
qualificate a far parte della realta.
Ora, si immagini una bandiera divisa in tre settori diversamente colorati. I tre
colori sono giallo, verde e blu: sono adiacenti nello spettro. Il nostro linguaggio, e la
nostra intuizione, ci ingannano nel farci dire che la bandiera e composta di tre settori
colorati, anziche dire che appare composta di tre settori. Seguendo questa intuizione,
faremmo l’ipotesi che questa proprieta sintattica (quella di essere tripartita), debba
sopravvenire su qualche proprieta intrinseca della stoffa di cui e fatta la bandiera.
Supponiamo dunque di scegliere tre bande di frequenza come base di sopravvenienza
della tripartizione. Qualcuno, chiamiamolo Hilary, potrebbe obiettare che, qualunque
scelta abbiamo fatto, vi saranno modelli non intesi della stessa proprieta. Infatti,
anche un continuo perfetto di lunghezze d’onda verrebbe percepito come tripartito in
un settore giallo, uno verde e uno blu (agli occhi di un umano normale).
Avrebbe ragione dunque Hilary, se ne concludesse che le proprieta percettive
rispetto alla bandiera non sopravvengono su qualche proprieta fisica isomorfa? Cer-
to che no. Hilary potrebbe bensı sostenere che le proprieta della nostra percezione
131
non sopravvengono su alcuna proprieta sintattica intrinseca della bandiera. Ma il
numero tre che compare nell’enunciato “la bandiera e composta di tre settori”, deve
essere collegato a qualche proprieta fisica relazionale della luce riflessa e del nostro
sistema dinamico cognitivo. Il nuemero tre, per cosı dire, deve comparire da qualche
parte nella spiegazione di questa proprieta relazionale. Ricorrere a questo numero
tre e legittimo nella spiegazione del perche vediamo tre settori. Percio non dobbi-
amo abbandonare l’idea che la bandiera sia sintatticamente strutturata in un certo
modo: dobbiamo solo abbandonare la speranza di spiegare tale proprieta sintattica
ricorrendo ad un isomorfismo con proprieta intrinseche dell’oggetto percepito. Questa
trattazione della tripartizione della bandiera e un esempio di esternalismo sintattico.
E’ mia opinione che, cosı come la realizzazione di proprieta esterne e essenziale per
la nozione di trisettorialita nelle esempio che abbiamo fatto, la fattuale realizzazione
di proprieta semantiche sia essenziale per fondare la nozione di realizzazione di una
computazione.
4.6.1 Il paradigma codicista
E’ interessante chiedersi cosa possa aver oscurato un obiezione cosı facile al paradigma
internista della sintassi. Io pernso che sia stato un pregiudizio internista profonda-
mente radicato, circa la natura delle proprieta semantiche.
Molte teorie della semantica, cosı come la maggior parte delle teorie dell’imple-
mentazione, adottano quello che potremmo chiamare il paradigma codicista26: l’idea
secondo cui la cognizione consisterebbe di codifiche e di operazioni su di esse.
26Per la nozione di paradigma codicista, e una discussione dettagliata dei problemi che sollevasono debitore del lavoro di Bickhard ([3], [4],[5] e [6]).
132
Nella maggior parte dei casi, concepiamo il nostro contatto epistemico con il mon-
do come mediato dai sensi. Pensiamo che questi “codifichino” informazioni sull’ambi-
ente che poi vengono messe a disposizione della mente, che le elabora per pianificare
future contatti epistemici.
Questo quadro semplicistico costituisce la base della maggior parte della nostra
conoscenza scientifica della cognizione e della semantica. Cosa significa “codificare”
l’informazione? Intuitivamente, significa trasformare (trasdurre) l’informazione in un
formato che sia pratico da manipolare, preservando allo stesso tempo la possibilita di
“decodifica”, qualora questa si riveli necessaria.27
Un modo semplice per analizzare la nozione di codice e quella di pensare a ogni
codifica come a qualcosa che “sta per”. Ad esempio, il simbolo “...” sta per “S”, nel
codice Morse.
Secondo questa nozione, le codifiche sono trasformazioni sistematiche di rappre-
sentazioni. In quanto tali, richiedono che sia le rappresentazioni di cio che le codifiche
rappresentano (come la rappresentazione “...”), che le rappresentazioni delle codifiche
stesse (come la rappresentazione “S” ), siano presenti.
Alternativamente si possono definire le codifiche come corrispondenze fattuale,
possibilmente nomiche. Cosı, ad esempio, sentiamo spesso che una certa attivita
neurale codifica qualche proprieta della luce che colpisce la retina. Eppure non c’e
nessuno che sappia che quelle proprieta sono in corrispondenza fattuale con quei
neuroni. Dire che “codificano” quelle proprieta della luce conduce ad un pericoloso
equivoco.
La stessa luce che colpisce la retina potrebbe impressionare permanentemente una
27Nozioni familiari di codifiche sono il codice Morse, i codici informatici, i codici stenografici, lanumerazione di Godel che abbiamo discusso nel primo capitolo, etc.
133
pellicola in una macchina fotografica, stabilendo corrispondenze fattuali con la pel-
licola cosı come fa con una popolazione di neuroni. In questi casi, tuttavia, non
diremmo che quelle proprieta sono codificate dalla pellicola. Perche vi sia una “cod-
ifica”, e comunuqe, perche una corrispondenza fattuale abbia un qualunque valore
epistemico, tali corrispondenze devon essere conosciute; e per conoscerle abbiamo
bisogno di potre rappresentare sia cio che viene codificato che la codifica stessa. In
altre parole, le corrispondenze fattuali non trasportano alcuna informazione circa cio
che vi corrisponde.
Il mito codicista, inoltre, ha impedito, a mio avviso, di riconoscere il fatto che
gli isomorfismi, di per se, sono totalmente non informativi circa cio rispetto a cui
sussistono. L’utilizzo surrettizio delle proprieta semantiche in questi casi, consiste nel
suppore che le nostre capacita semantiche, che sono totalmente trasparenti alla nostra
coscienza, e che hanno la funzione di individuare i modelli intesi delle nostre teorie,
possano essere trasferite “gratuitamente” ai sistemi di simboli che costruiamo, cioe
senza trasferire anche gli stati fisici che supportano le nostre capacita intenzionali.
Consclusioni
Il teorema di Godel non ha mai smesso di affascinare i lettori per la sua profondita
e per le innumerevoli sue conseguenze, per la logica, la matematica e la filosofia in
generale. Forse proprio per questo si e prestato spesso a interpretazioni fantasiose.
Uno degli scopi che mi sono prefisso con questo lavoro e stato quello di fare chiarezza,
a me stesso prima che ad altri, su cosa esattamente Godel abbia dimostrato. In
particolare ho voluto sottolineare che Godel NON ha mai dimostrato che vi sono
proposizioni vere dell’aritmetica che non sono dimostrabili.
Le alternative lasciate aperte dal teorema sono infatti le seguenti:
ω-Incoerenza
Potrebbe esserci (nessuno ha mai dimostrato il contrario) una dimostrazione fini-
tista della negazione della formula G di Godel. Questo significherebbe che esiste un
numero di Godel (necessariamente soprannaturale) che costituisce una dimostrazione
della formula G. Non si avrebbe mai uno scontro diretto di proposizioni contraddi-
torie, in quanto per ogni numero naturale n, resterbbe vero che n non e il numero
di Godel di una dimostrazione di G. La maggior parte dei matematici, specialmente
quelli di orientamento platonista, sono disposti a scommettere che questo non sia il
caso, perche non vogliono essere costretti a digerire i numeri soprannaturali. Un conto
134
135
e se esiste un modello che li prevede, ma che questa sia la realta ultima e unica dei
numeri naturali e un boccone molto amaro da mandar giu. Tuttavia nessuno ha mai
dimostrato che questa eventualita non si possa verificare.
Incoerenza L’altra alternativa e che l’aritmetica sia incoerente, cioe che gli unici
sistemi di assiomi che sono sufficienti per catturare tutte le verita che desideriamo
catturare, siano anche sufficienti per contraddirsi fra loro. In questo caso sarebbe
possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto, compresa la proposizione G. An-
che questa e una prospettiva poco appetibile, ma non e proprio il timore di questa
evenienza che ha spinto i matematici a cercare delle prove assolute di coerenza simili
a quelle che si hanno per sistemi ridotti dell’aritmetica? Certo nessuno ha mai rin-
venuto alcuna contraddizione, ma i numeri naturali, e le loro relazioni, sono davvero
tanti!
Incompletezza Resta aperta la possibilta (quella nella quale forse la maggior parte
dei matematici ripone la propria fiducia) che la teoria dei numeri lasci aperte delle
questioni. Per un formalista questo non e un problema. Dopotutto per lui (o lei) gli
enunciati dell’aritmetica non significano nulla, in se: chiedersi se davvero la propo-
sizione G sia vera o no, per un formalista, e come chiedersi se davvero la nonna di
Cappuccetto Rosso aveva settant’anni o se ne aveva ottanta. Per un Platonista le
cose sono piu difficili da digerire, in questo caso. Questi continuera a chiedersi se la
proposizione G sia vera o falsa, poiche pensera che tutte le proposizioni dell’aritmet-
ica debbano essere vere o false. Ma non c’e motivo di disperarsi, nemmeno in questo
caso: si potra sempre sperare di trovare qualche altro mezzo per appurare la questione.
136
Inadeguatezza degli assiomi Infine e possibile che esistano dei sistemi di assiomi
logici che non sono Godelizzabili. Si potrebbe in questo caso sperare di dimostrarne
la completezza. Di fatto, lo stesso Godel passo larga parte della sua vita a cercare di
rimediare ai risultati negativi che aveva ottenuto nel suo articolo del 1931. Nel 1936
il logico Gerhard Genzen dimostro la consistenza dell’aritmetica del prim’ordine. Ne
dobbiamo dedurre che l’aritmetica e incoerente? No, poiche la coerenza e stata di-
mostrata usando, fra gli altri, un assioma che non e rappresentabile nell’aritmetica di
Peano, o in qualunque altro sistema finitista di assiomi.
Come si sara notato, nessuna di queste alternative presuppone che vi siano propo-
sizioni vere che non sono dimostrabili (senza ulteriori specificazioni). Questo basta da
se, come abbiamo visto, a guastare la festa dei misteriani che hanno usato il teorema
di Godel per dimostrare che gli umani sono piu che macchine.
Tuttavia, come ho sostenuto nel quarto capitolo di questa tesi, e giusto osservare
che gli argomenti Godeliani contro il meccanicismo, con la loro plausibilita immediata
mettono bene in luce una difficolta di qualunque teoria naturalistica della mente e
del pensiero. Anche se, come abbiamo detto, nessuno ha dimostrato incontrovert-
ibilmente che G e vera, dobbiamo riconoscere che quando arriviamo alla fine della
dimostrazione del teorema la verita di G (presupponendo la coerenza) appare imme-
diatamente, senza che ci sia bisogno di fare alcun ragionamento. Questo “apparire
vero”, questo essere immediatamente vero sulla base del significato dei termini e non
di qualche dimostrazione, e qualcosa che va spiegato. Sebbene sia tuttaltro che in-
fallibile, l’intuizione (o insight) e qualcosa che richiede una spiegazione. E’ giusto
137
notare che non vi e motivo di pensare che una macchina non sia in principio in grado
di possedere proprieta semantiche. Questo, infatti, dipende da cosa si intende con
“macchina”. Come abbiamo visto, una macchina e la realizzazione di una struttura
computazionale, percio la risposta dipende da cosa si intende per “realizzazione di
una struttura computazionale”. Nel quarto capitolo di questo lavoro ho analizzato la
relazione che sussiste fra i sistemi formali astratti e gli oggetti fisici che li realizzano.
La tesi che ho sostenuto e che questa nozione non sia fondabile in modo oggettivo
(cioe in modo non dipendente dall’osservatore) a meno di non fissare semanticamente
gli stati fisici che realizzano quelli computazionali. Ho inoltre sostenuto che la sper-
anza di individuare non semanticamente questi stati sia stata e sia alimentata da un
pregiudizio internista sulla natura delle proprieta intenzionali.
Va detto che nulla di cio che ho sostenuto in questa tesi costituisce un argomento
positivo a favore del meccanicismo. Potrebbe benissimo accadere che il meccanicismo
fallisca per altri motivi. Saremo in questo caso costretti a cercare altrove per un
degno sostituto. Fino ad allora, tuttavia, penso che il meccanicismo continuera ad
essere la piu promettente teoria scientifica e filosofica della mente.
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