Il Teorema di Gödel e i Limiti delle Macchine

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IL TEOREMA DI G ¨ ODEL E I LIMITI DELLE MACCHINE Emiliano Boccardi

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IL TEOREMA DI GODEL E I LIMITI DELLE MACCHINE

Emiliano Boccardi

Ai miei amici

iii

Table of Contents

Table of Contents iv

Abstract vii

Ringraziamenti viii

Prefazione ix

Introduzione 1

1 La dimostrazione del teorema di Godel 13

1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.2 Concetti e definizioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.2.1 Verita, modelli e implicazione logica . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.2.2 Assiomi logici e deduzioni formali . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.2.3 Definibilita di una relazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.2.4 Teorie e completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.2.5 Correttezza, consistenza e completezza del calcolo della deduzione 26

1.2.6 Procedure effettive e decidibilita . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

1.2.7 Assiomatizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

1.2.8 Rappresentabilita di una relazione e tesi di Church . . . . . . 34

1.3 Teoria dei numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

1.3.1 Teoria dei numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

1.3.2 La teoria dei numeri naturali con successore . . . . . . . . . . 38

1.3.3 Assiomi di Peano e affini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

1.4 Funzioni rappresentabili in AE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

1.5 Il teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

1.5.1 Una traduzione della prima sezione dell’articolo originale di Godel 49

1.5.2 Indecidibilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

iv

1.5.3 L’aritmetizzazione della sintassi . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

1.5.4 Il teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

1.6 Generalizzazioni del teorema di Godel . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

1.6.1 Il problema della fermata di Turing . . . . . . . . . . . . . . . 67

1.6.2 La prova di Kleene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

2 Argomenti Godeliani contro il meccanicismo 72

2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

2.2 Il meccanicismo contemporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

2.3 Argomenti Godeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

2.3.1 L’argomento di Lucas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

2.3.2 L’argomento di Penrose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

2.3.3 Il “nuovo argomento” Godeliano di Penrose . . . . . . . . . . 85

3 Critica dell’argomento Godeliano 87

3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

3.2 La ricezione degli argomenti Godeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

3.2.1 Critiche formali: Feferman, Davis e Putnam . . . . . . . . . . 87

3.2.2 Critiche Duhemiane: Chalmers, McCullough e Beneacerraf . . 90

3.2.3 Rovesciamenti dell’argomento Godeliano: Whitely, McCullough

e Hofstadter . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

3.2.4 Critiche alla formulazione del meccanicismo negli argomenti

Godeliani: Hofstadter, Dennett, Chalmers e D. McDermott . . 92

3.3 Il problema della coerenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

3.3.1 La critica di Benacerraf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

4 Meccanicismo, semantica e isomorfismo: sulla realizzazione di un

sistema formale 99

4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

4.2 Realizzare un sistema formale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.2.1 Soddisfazione e computazione di una funzione . . . . . . . . . 100

4.2.2 ? = Soddisfazione per passi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.2.3 ? = Digitalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104

4.3 La realizzazione di una struttura computazionale . . . . . . . . . . . 108

4.3.1 Stati, transizioni e automi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

4.4 La vacuita dell’implementazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

4.4.1 Argomenti-V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

4.4.2 L’argomento di Putnam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114

4.5 La cecita semantica dell’isomorfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

v

4.5.1 L’argomento di Newman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117

4.5.2 La cecita dell’isomorfismo e il realismo metafisico . . . . . . . 121

4.5.3 La cecita dell’isomorfismo nelle teorie naturalistiche della se-

mantica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

4.6 Un’analisi della cecita semantica dell’isomorfismo . . . . . . . . . . . 125

4.6.1 Il paradigma codicista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

Consclusioni 134

Bibliografia 138

vi

Abstract

In questo lavoro si sostiene che ne i risultati ottenuti da Godel nel 1931, ne le loro suc-

cessive generalizzazioni, possono essere usati per produrre argomenti a priori contro

il meccanicismo in filosofia della mente. Si osserva tuttavia che tali risultati gettano

una luce interessante sulla relazione che sussiste tra un sistema formale e un sistema

fisico che lo realizza. In particolare si sostiene che la proprieta di realizzare un sistema

formale non puo considerarsi intrinseca ad alcun sistema fisico, a meno che questo

non realizzi un sistema di rappresentazioni (cioe un sistema di stati intenzionali).

vii

Ringraziamenti

Sono particolarmente grato a Francesco Altea, Carl Hoefer, Federico Perelda, e Emil-

iano Trizio per le interessanti conversazioni sugli argomenti di questa tesi. Ringrazio

anche il Professor Luigi Perissinotto e il Professor Luigi Vero Tarca per aver diretto

questa tesi.

Sono inoltre infinitamente grato ai miei genitori Virgilio e Luciana Boccardi, che mi

hanno aiutato in tutti questi anni.

Ringrazio infine:

Andrea Bianchi, Valentina Bonifacio, Andrea Beltramin (senza il quale non mi sarei

mai laureato), Guia Camerino, Caterina Castellani, Gilberto Ciarmiello (che contin-

ua a mancarmi molto), Andrea e Isabel Crovato, Piero Dalbon, Franco Franceschin,

il Dr. Fulghieri, Martin Sarava Holzknecht, Roberto Loss, Fantina Madricardo, Inti

Marconato, Giovanna Massaria, Michela Massimi, Margherita Morgantin, Nane Moro

(per i suoi insights), Matthew e Marie-Josephine Newman, Giuseppe Pareschi, Sil-

via Puppini, La Rivetta e tutti i compagni di lavoro, Paolo, Laura e Agata Russo,

Giulia Telarini, Massimiliano Vianello, Aldo Vio, i Borderline, e tutti quelli che ho

dimenticato.

Barcellona, Spagna Emiliano Boccardi

10 Giugno, 2007

viii

Prefazione

Nella stesura di questa tesi mi sono a volte ispirato a letture che, non essendo citate

nel testo, non vengono menzionate. In particolare sono debitore nei confronti di

Diego Marconi ([34]), per alcune idee che si trovano nell’introduzione, e nei confronti

di Herbert D. Enderton ([16]) e Gabriele Lolli ([30]) per le dimostrazioni dei teoremi

e le definizioni che si trovano nel primo capitolo di questa tesi. Naturalmente nessuno

di loro e responsabile per cio che dico o per come lo dico.

Nella maggior parte dei casi, le citazioni che si trovano in questa tesi sono state

tradotte da me dall’inglese (perche la versione italiana non esiste o non era reperi-

bile). In particolare, nel paragrafo 1.6.1 riporto una mia traduzione della prima parte

dell’articolo di Godel del 1931. In questo caso ho anche cambiato la notazione e la

formattazione dei paragrafi originale, dove mi e parso che fosse disponibile una no-

tazione piu familiare alla maggior parte dei lettori, o comunque piu comprensibile.

Anche per quanto riguarda le traduzioni, la responsabilita per la fedelta e/o per la

conmprensione adeguata dei testi originali e mia.

ix

Introduzione

Durante il secolo passato, l’idea filosofica di uomo, e in particolare quella di mente

umana, si era frantumata, dissolta in una miriade di particolarismi culturali e sociali.

Sembrava insomma che l’idea stessa di essere umano, o di mente, fosse un prodotto

culturale, suscettibile di mille variazioni e interpretazioni. Il panorama filosofico,

inoltre, era intasato da una miriade di (possiamo dirlo a posteriori) sciocchezze sulla

varieta e infinita apertura della mente umana. Popoli cui mancherebbero i concetti di

alcuni colori, popoli senza futuro, senza passato, intrappolati in un perenne presente

dalla poverta della loro lingua, lingue che hanno centinaia di parole per riferirsi alla

neve, etc.

Insomma l’uomo sarebbe “un’invenzione recente”, come e stato sostenuto da Fou-

cault, non solo nel senso che e di recente che ci si e rappresentati l’umanita in quanto

tale, ma nel senso che non ci sarebbe nulla di solido, dietro questa rappresentazione.

Il linguaggio era naturalmente protagonista in questa (non)visione dell’uomo e

della mente. Il linguaggio e infatti la facolta piu sfuggente, complessa e plastica che

possediamo, quella che meno si presta a facili generalizzazioni, e quella che piu rifugge

una sistemazione in un quadro naturalistico del mondo.

Descartes, che riteneva che gli uomini, a differenza delle bestie, non fossero mac-

chine, adduceva a difesa della sua tesi che queste ultime

1

2

non potrebbero mai usare parole o altri segni combinandoli come fac-

ciamo noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perche si puo ben

concepire che una macchina sia fatta in modo tale da proferire parole, e ne

proferisca anzi in relazione a movimenti corporei che provochino qualche

cambiamento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosa si vuole da

lei se la si tocca in qualche punto, o se si tocca in un altro gridi che le si fa

male e cosı via; ma non si puo immaginare che possa combinarle in modi

diversi per rispondere al senso di tutto quel che si dice in sua presenza,

come possono fare gli uomini, anche i piu ottusi.

Nella prima meta del secolo passato, l’unico serio candidato per una visione scien-

tifica dell’uomo, quindi per un suo inquadramento naturalistico, era il comportamen-

tismo. Le estreme difficolta che quest’ultimo incontrava nel tentativo di “naturaliz-

zare” il linguaggio non facevano che confermare la tesi che non vi e alcuna “natura”

umana, se non quella appunto di sfuggire a qualunque tentativo di sistematizzazione.

Non si riesce a naturalizzare la mente semplicemnte perche non vi e alcuna “natura”

della mente: la mente sarebbe un prodotto culturale, come la cocacola, il matrimonio,

o il concetto di nazione.

La critica Chomskyana al comportamentismo (1959) ha innescato una rivoluzione

nella concezione scientifica del linguaggio e della mente, e ha riportato alla luce, fra

gli scienziati (inconsapevolmente), prima, e fra i filosofi, poi, una veneranda idea:

quella che il pensiero sia un calcolo. Il cartesianesimo aveva diffuso l’idea che fosse

possibile una sistematizzazione del pensiero sulla falsariga della scienza galieliana della

natura. Spinoza parlava di un “automa spirituale”, riferendosi al sistema delle idee

vere che la mente alberga. Leibniz, e Hobbes, concordavano nel concepire il pensiero

3

come governato da leggi “meccanizzabili”. All’inizio del ’900, come vedremo fra poco,

queste idee avevano trovato un terreno molto fertile nel campo della matematica e

della logica. Ebbene, all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, i tempi erano maturi

perche tutte queste idee trovassero un posto nell’immagine scientifica dell’uomo, in

una mirabile sintesi, che oggi occupa un posto di primo piano anche nell’immagine

filosofica dell’uomo e della mente.

Negli corso degli anni ’80, poi, molte delle sciocchezze che si erano dette a proposito

dei ruoli determinanti svolti dal linguaggio e dalla cultura, vennero smascherate come

imposture: non esistono popoli senza futuro o senza colori, gli eschimesi hanno un

vocabolario semanticamente indistinguibile da quello inglese per riferirsi alla parola

neve, etc. Le stesse lingue, che in prima analisi sono cosı diverse fra loro, oggi non ci

sembrano piu tanto aliene le une alle altre.

Questa immagine della mente trovo una sistemazione filosofica nel funzionalismo,

e in particolare nella sua versione “computazionalista”, a tutti gli effetti una forma

di meccanicismo.

La parola computazionalismo sottende una vasta gamma di tesi filosofiche riguar-

do alla natura della mente. Queste tesi costituiscono, da decenni ormai, il paradigma

principale per una comprensione scientifica e filosofica dei fenomeni mentali. Sotto

questo nome si possono trovare uno spettro di ipotesi caratterizzate da varie inter-

pretazioni della tesi che possedere una mente sia la stessa cosa che realizzare (imple-

mentare e il termine usato piu spesso) un particolare tipo di computazione. Com-

prendere la tesi che gli stati mentali sono stati computazionali e pertanto cruciale

per potre comprendere qualunque tesi computazionalista, e soprattutto per cercare

di esplicitare quale idea della mente soggiacia a questo paradigma.

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L’idea generale e che la struttura causale di un sistema fisico puo “rispecchiare” (in

un senso da precisarsi) la struttura formale di una computazione, cosı realizzandola.

Cio che rende queste tesi filosoficamente attraenti e la possibilta che queste offrono

di inquadrare i fenomeni mentali all’interno dell’ordine naturale delle cose.

L’oggetto di questo lavoro e un’obiezione a priori che e stata mossa contro il mec-

canicismo, sulla scorta di un teorema di logica formale: il teorema di incompletezza

di Godel.

Torniamo dunque nuovamente indietro per seguire il percorso accidentato del

pensiero matematico fra il XIX e il XX secolo.

Quando Girolamo Saccheri, padre, suo malgrado, delle geometrie non euclidee,

considero, fra il XVII e il XVIII secolo, la geometria assoluta (cioe il sistema di assio-

mi che si ottiene espungendo il postulato delle parallele), e scoprı che da questa non

era possibile dimostrare che la somma degli angoli interni di un triangolo e di 180

gradi (cioe che questo enunciato non e decidibile in quella assiomatizzazione), lo fece

pensando di poterne derivare delle contraddizioni. Era talmente convinto dell’ovvieta

dei postulati di Euclide, che non considero nemmeno la possibilta di aver scoperto

delle geometrie non euclidee consistenti. Quando, un secolo piu tardi, questi “mostri”

che Saccheri aveva creato per dimostrarne l’impossibilita, si dimostrarono consistenti,

una profonda crisi si abbatte sul pensiero matematico e le sue conseguenze attraver-

sano l’intero pensiero scientifico fino ai nostri giorni. I postulati di Euclide, infatti,

sono profondamente radicati nelle nostre intuizioni circa la natura dello spazio. Una

fede ceca nel potere della ragione aveva per secoli suggerito che questi assiomi, cosı

intuitivamente veri, non potessero essere negati senza incorrere in qualche contrad-

dizione. Per questo la geometria, nella sistematizzazione assiomatica deduttiva che le

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aveva dato Euclide, costituiva un paradigma del pensiero, ed era esibita come prova

della possibilta di un pensiero umano certo, infallibile. Descartes e Spinoza imita-

vano lo stile della geometria, persino per dimostrare l’esistenza di Dio. Tutto il resto

della matematica, compresa l’analisi, doveva le sue incrollabili basi alle relazioni che

intratteneva con la Geometria.

E’ comprensibile dunque che l’esistenza di questi mostri che ripugnano all’intel-

letto facesse temere di perdere ogni certezza. L’analisi certo non navigava in acque

migliori (si pensi al caso della curva di Peano-Hilbert, che riempie l’intero spazio di

un quadrato).

Fu cosı, almeno in questa ricostruzione sbrigativa, che si fece ricorso all’aritmet-

ica, come all’ultima ancora di salvezza per l’amata certezza. Il timore (ragionevole,

sebbene a posteriori infondato) era che dalla semplice aritmetica non si potesse ri-

cavare gran che. Una conoscenza certa ma inutile non sarebbe stata una degna erede

della geometria. Dedekind, Cantor e Weierstrass riuscirono nell’intento, e fondarono

l’analisi sull’aritmetica. Purtroppo, non si riuscı in alcun modo ad evitare di fare

ricorso ad insiemi infiniti, che certo non erano altrettanto ovviamente intuibili dei

punti e delle rette di Euclide.

Come e noto, una nuova tempesta si stava per abbattere su quanti speravano di

fondare la conoscenza matematica su basi certe. E’ opportuno pero soffermarci ad

osservare che, gia a questo punto, si sentiva la necessita di catturare tutto quanto

era salvabile, l’aritmetica, la logica, e tutto cio che da queste si poteva fondare, in

strutture formali, di modo da non lasciare nemmeno la minima possibilita all’errore.

Questa esigenza e del tutto comprensibile. Se ci accade di sbagliare dove pensiamo non

vi sia spazio per l’errore, non solo avremo timore di sbagliare ancora, ma dubiteremo

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ragionevolmente della nostra stessa sensazione che qualcosa sia indubitabile. Se ci

accorgiamo di commettere errori di calcolo quando facciamo delle operazioni molto

complicate, non solo dubiteremo dei risultati ottenuti facendo i conti a mente, ma

anche della nostra sensazione di non aver commesso errori. Una risposta piu che

naturale, in questi casi, e usare un pallottoliere. Ovviamente un pallottoliere non

capisce cio che fa, non sa cosa siano i numeri, ne, se perquesto, qualsiasi altra cosa.

Ma, si badi bene, e proprio questo il punto! Se le macchine sono buone a qualcosa,

se sono piu prevedibili, e quindi piu affidabili, di noi umani, e proprio perche non

sanno cio che fanno, o meglio, perche per fare cio che fanno non c’e bisogno di un

briciolo di comprensione, di intelligenza. Non e cosı, dopotutto, che facciamo di conto

noi stessi, quando dobbiamo metterci a scrivere una divisione complicata? Quanti di

noi, da bambini, pensavano a cosa significasse il numerino che si riporta sotto le cifre

di una divisione per fare il calcolo. Lo facciamo meccanicamente, e un’operazione

tipografica, non serve alcuna intelligenza per farlo. Ed e proprio questo il punto. Se

serve pensare molto per fare qualcosa, e piu facile sbagliarsi.

Il segreto per non sbalgiarsi e dunque questo: meccanizzare, meccanizzare, mec-

canizare.

Volevo la certezza nello stesso modo in cui la gente vuole la fede religiosa.

Ritenevo che la certezza sia da trovare piu facilmente nella matematica

che non altrove. Ma scoprii che molte dimostrazioni matematiche, che i

miei insegnanti oensavano che dovessi comunque accettare, erano piene di

errori, e che, se veramente la certezza fosse da scoprire nella matematica,

questo accadrebbe in una nuova specie di matematica con fondamenta

piu solide di quelle che fino a quelo momento erano sembrate sicure. Ma,

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via via che il mio alvoro procedeva, ero costretto a ricordare la favola

dell’elefante e della tartaruga. Avendo costruito un elefante su cui avrebbe

potuto poggiare il mondo matematico, trovai che l’elefante vacillava, e

presi a costruire una tartaruga per impedire all’elefante di vacillare [...].1

Gottlob Frege aveva sistematizzato il percorso di formalizzazione della logica in-

augurato da George Bool, riuscendo ad esprimere formalmente ogni ragionamento

conosciuto che i matematici usano per dimostrare teoremi in modo rigoroso. Aveva

inoltre mostrato come, contra Kant, fosse possibile fondare l’aritmetica su basi pu-

ramente logiche, e quindi, a priori. Aveva insomma inaugurato il logicismo. Come e

noto, anche questa tartaruga si rivelo inconsistente: era possibile derivare delle con-

traddizioni a partire da quegli stessi assiomi che avrebbero dovuto reggere l’intero

castello delle matematiche.

Ecco quindi che il secolo si inaugura con una nuova “crisi dei fondamenti”. Rias-

sumendo, dunque, la ricerca della certezza doveva difendersi da due gravi pericoli. Da

un lato non ci si poteva piu fidare dell’intuizione, del “significato” dei termini, della

ovvieta degli assiomi. Questo strumento della ragione umana era stato (a ragione)

accusato di alto tradimento: cio che agli umani pare ovviamente vero, puo non es-

serlo. Dall’altro, non solo si corre il rischio di considerare certe delle proposizioni che

non sono logicamente necessarie, ma si corre anche il rischio, forse ancor peggiore, di

contraddirsi. Quest’ultimo e un punto importante. L’esperienza traumatizzante della

crisi dei fondamenti, aveva insegnato non solo che la certezza e difficile da incontrare,

anche nelle matematiche, ma che la contraddizione si puo annidare nei meandri piu

1B. Russell [48], p.73.

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reconditi di un sistema formale. Gli assiomi di Euclide erano considerati non con-

traddittori perche si riteneva che avessero una controparte reale nello spazio fisico, e

la relata non si puo contraddire. Ma chi poteva garantire, ora che questo ancoraggio

alla realta era venuto meno, che non vi fossero contraddizioni nascoste nei nostri sis-

temi di assiomi? L’esperienza di Frege, dopotutto, non ci aveva insegnato che e ben

possibile scoprire contraddizioni anche nei sistemi piu semplici ed eleganti?

Le tre risposte che i matetmatici seppero dare, come e noto alla maggior parte dei

lettori, furono quella di Russell, quella di Brouwer e quella di Hilbert. Russell, con

la sua opera monumentale dei Principia Mathematica, riscatto il sistema di Frege,

liberandolo, perlomeno, da quella contraddizione che lo aveva messo in crisi. Nat-

uralmente nulla grantiva che anche questa tartaruga non avrebbe preso a vacillare.

Russell tuttavia non credeva che si potesse fare altro che difendersi dalle contrad-

dizioni, quando queste si palesano: non credeva insomma che si potesse dimostrare

l’incontradditorieta di un sistema formale in modo certo.

Brouwer, dal canto suo, resuscito l’idea Kantiana che l’intuizione potesse e dovesse

fondare in modo certo le matematiche. Il prezzo da pagare per evocare questa facolta

screditata della ragione umana, era quello di espungere dalla matematica ogni cosa

sospetta, ogni ragionamento o concetto che non fosse afferrabile in un colpo solo dal-

l’occhio della mente. In particolare, se l’intuizione doveva fare il suo lavoro fondativo,

l’infinito, almeno quello attuale, avrebbe dovuto uscire di scena.

Hilbert, dal canto suo, non accettava di gettare alle ortiche tanta parte del ragion-

amento matematico. Riteneva che si fossero seguiti i severi precetti di Brouwer, le

matematiche ne sarebbero risultate orrendamente mutilate. Si badi bene che nessuno

metteva in dubbio che i metodi finitistici di Brouwer fossero scorretti. E nessuno

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mettava anche in dubbio che i suoi metodi fossero piu “sicuri” degli altri. Le opin-

ioni divergevano circa cosa fosse possibile fare usando solo quei metodi. Hilbert,

cosı, seguendo il precetto: meccanizzare... meccanizzare... meccanizzare, diede inizio

all’impresa titanica di meccanizzare la deduzione.

E’ noto come Leibniz pensasse che fosse possibile costruire la characteristica uni-

versalis, una macchina per calcolare pensieri. Quando avremo ottenuto una simile

meccanizzazione del pensiero, pensava,

non ci sara maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne

sia tra due calcolatori. Sara sufficiente, infatti, che essi prendano la penna

in mano, si siedano a tavolino, e si dicano reciprocamente (chiamato, se

loro piace, un amico): calcoliamo.2

Hilbert costruı un sistema formale che “meccanizzava” la deduzione logica sulla

base di regole combinatorie semplicissime. Tecnicamente, dato il lavoro logicista che

Russell aveva gia fatto, questo significava mettere in relazione la teoria degli insiemi

e l’intera analisi con una loro piccola parte propria, la combinatoria, cioe la branca

della matematica che si occupa di insiemi finiti di oggetti, delle loro permutazioni, etc.

Dal momento che la combinatoria e perfettamente in accordo con i precetti finitisti-

ci di Brouwer, il progetto formalista di Hilbert avrebbe sbaragliato l’intuizionismo.

Si sarebbero insomma potute accettare le ragioni dell’intuizionismo, senza dover ac-

cettare anche i suoi aspetti piu radicali e mistici. La botte piena e la moglie ubriaca,

come si dice. Con questo strumento potente e semplice allo stesso tempo, Hilbert

2G. Leibniz [28], p.237.

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sperava di dimostrare al di la di ogni ragionevole dubbio che la matematica era coer-

ente. Si desiderava liberarsi dall’incubo delle contraddizioni, e ora il sogno pareva a

portata di mano.

Ebbene e a questo punto che si inserisce il teorema di incompletezza di Godel.

Godel dimostro infatti che dati quegli assiomi (quelli di Russell, o simili) e dati

quei metodi finitistici di deduzione (quelli di Hilbert, o simili), bisognava riconoscere

come vere proposizioni che non erano dimostrabili (a partire dagli assiomi). Insomma

dimostro che non si puo avere sia la botte piena che la moglie ubriaca.

Purtroppo il teorema esercita un fascino magnetico, e si presta ad essere usato

per trarne le conseguenze piu disparate. Il presente lavoro, come ho detto, riguarda

uno di questi usi indebiti del teorema di Godel. Penso che, per la gran parte, questi

usi indebiti del teorema dipendano da un’espressione parziale (quindi non corrispon-

dente ai fatti) del teorema di incompletezza. Se eliminiamo tutte le specificazioni

dall’enunciato del teorema, infatti, dovremmo dire che Godel dimostro che esistono

proposizioni della matematica che sono vere ma non dimostrabili. Questo e falso:

Godel non dimostro ne che la botte delle verita dimostrabili e vuota, ne che la moglie

e sobria.

A mio parere, qualunque “dimostrazione” di una tesi filosofica sulla base di un

singolo risultato tecnico, matematico o scientifico che sia, puzza di marcio. Mi pare

evidente, infatti, che e gia abbastanza difficile trarre conseguenze filosofiche da pre-

messe filosofiche. Trarre conseguenze filosofiche da premesse tecniche e, a mio parere,

un’impresa destinata a fallire sin dal principio.

Ad ogni modo, gli argomenti contro il meccanicismo che tratteremo nel seguito,

hanno approssimativamente la seguente forma:

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1. Le macchine sono sistemi formali incarnati.

2. I sistemi formali sono limitati dal teorema di Godel (vi sono sempre verita che

non sono conseguenze degli assiomi, qualunque siano gli assiomi)

3. Noi umani riusciamo a “vedere” che queste proposizioni indecidibili sono vere.

Ne segue che

4. Non siamo macchine.

Come vedremo nelle pagine che seguono, tutti questi argomenti commettono

qualche fallacia (in particolare vedremo che le proposizioni 1-3 sono tutte false) e

non si possono quindi prendere troppo sul serio. La quantita di critiche distruttive e

dettagliate che gli argomenti Godeliani hanno ricevuto da quando sono stati proposti

fino ad oggi ha convinto quasi tutti coloro che si occuppano di filosofia della mente

che si tratta di non sequitur.

Tuttavia, a mio parere, questi argomenti mettono in una luce interessante un

problema delle teorie meccaniciste che genericamente viene detto il problema della

semantica artificiale. Quando giungiamo alla fine della dimostrazione del teorema di

Godel, ci accorgiamo in un batter d’occhio che la proposizione che abbiamo appena

dimostrato essere indimostrabile, e tuttavia vera. Ci accorgiamo che e vera in modo

immediato, semplice, in un modo che non somiglia per nulla ai “calcoli” di Leibniziana

memoria. Vediamo che e vera in colpo solo. Non e forse questa una confutazione del

meccanicismo?

Beh, non lo e almeno per due motivi. In primo luogo, come risultera chiaro

nelle possime pagine, e scorretto dire che vediamo che la proposizione di Godel e

vera. Questo presuppone che l’aritmetica sia coerente, fatto che non e a sua volta

12

dimostrabile all’interno dell’aritmetica. Resta indubitabile comunque che vediamo

questa proposizione come vera non appena ci rendiamo conto di cio che “significa”.

Lo facciamo in modo apparentemente immediato, senza dover calcolare nulla. Come

vedremo questa e una difficolta seria per l’intelligenza artificiale, il problema appunto

della semantica artificiale. La tesi che sosterro in questo lavoro e che gli argomenti

Godeliani offrono una prospettiva interessante su questo problema. In particolare,

sosterro che il problema sollevato dagli argomenti Godeliani non e quello della se-

mantica artificiale, ma quello piu profondo che concerne la realizzazione di sistemi

formali.

Il lavoro e strutturato come segue:

1. Nel primo capitolo vengono introdotti vari concetti propedeutici alla dimostrazione

del teorema di Godel e viene infine riprodotta una dimostrazione formale del risultato.

2. Nel secondo capitolo, dopo aver brevemente discusso in cosa consista il mecca-

nicismo (nella sua veste contemporanea), vengono presentati gli argomenti Godeliani

contro di esso.

3. Il terzo capitolo e dedicato alle critiche che sono state sollevate contro questi

argomenti.

4. Infine, il quarto capitolo e dedicato ad alcune difficolta inerenti al concetto di

realizzazione di un sistema computazionale. Il problema della cecita semantica dei

sistemi formali viene inserito in un contesto filosofico piu generale, dal quale e a mio

avviso possibile fornire una diagnosi efficace.

Capitolo 1

La dimostrazione del teorema diGodel

1.1 Introduzione

In questo capitolo vengono introdotte nozioni fondamentali per capire la dimostrazione

del teorema di Godel (paragrafi 1.2-1.6). Il lettore familiare con i concetti della logi-

ca elementare e della teoria dei modelli puo saltare interamente questi paragrafi. In

questo caso l’avvertenza e che in tutta la dimostrazione del teorema di Godel ho us-

ato la nozione di rappresentabilita in un sistema di assiomi, al posto di quella piu

familiare, ma equivalente, di ricorsivita.

Nei paragrafi 1.7 e 1.8 viene proposta una dimostrazione integrale del teorema di

incompletezza e alcune sue generalizzazioni.

1.2 Concetti e definizioni preliminari

Quanto segue sono alcune definizioni elementari che verranno diffusamente utilizzate

nel seguito. Il lettore familiare con i concetti della logica elementare puo senz’altro

saltare interamente questa sezione.

13

14

1.2.1 Verita, modelli e implicazione logica

Se nella logica proposizionale una funzione di verita ci comunica quali enunciati

vadano interpretati come veri e quali come falsi, nella logica del primo ordine questo

ruolo e svolto dalle strutture, che possono pensarsi come traduzioni dal linguaggio

formale nella lingua naturale. Una struttura, in altre parole, ci dovra dire a quale

collezione di oggetti il quantificatore universale (∀) si riferisce e cosa denotano gli altri

parametri (i simboli predicativi e funzionali). Piu formalmente:

15

Definizione 1.2.1 (Struttura). Una struttura U per una data logica del primo

ordine e una funzione il cui dominio e l’insieme dei parametri tale che:

1. U assegna a ∀ un insieme non vuoto |U |, detto l’universo di U

2. U assegna ad ogni simbolo predicativo a n posti P una relazione n-aria PU ⊆

|U |n

3. U assegna ad ogni simbolo costante c un membro cU dell’universo |U |.

4. Infine U assegna ad ogni simbolo funzionale ad n posti f una operazione n-aria

fU su |U |.

In un senso debole che specificheremo nel corso di questo lavoro, una struttura U

assegna dei “significati” ai parametri del linguaggio. Tradotto nel linguaggio naturale

attraverso U , il parametro ∀, ad esempio, significa “per ogni membro di |U |”. Come

vedremo nel corso di questo lavoro, la nozione di struttura e della massima importanza

per capire la differenza tra la verita di un asserto (o di un pensiero) nel linguaggio

(o nel pensiero) naturale, e la verita di un enunciato in un linguaggio formale. Se gli

asserti del linguaggio naturale devono essere interpretati per riferirsi a dei fatti o a

degli stati di cose, gli enunciati di un linguaggio formale sono solo interpret-abili in

un modo o nell’altro.

Come dicevo la nozione di struttura svolge un ruolo affine a quello delle funzioni di

verita nel calcolo proposizionale. Se le forlule del linguaggio formale, infatti, vengono

“tradotte” nel linguaggio naturale dalle strutture, e facile rendersi conto che, data

una formula σ in un linguaggio formale, la sua traduzione nel linguaggio naturale

16

per mezzo di una data struttura U , puo risultare vera oppure falsa. Al fine di ren-

dere questa nozione intuitiva matematicamente rigorosa, si fa ricorso alla nozione di

soddisfazione.

Definizione 1.2.2 (Modello). Siano:

• φ una formula ben formata (d’ora in avanti fbf) del nostro linguaggio formale

• U una struttura per il linguaggio

• s : V → |U | una funzione dall’insieme V delle variabili del linguaggio nell’uni-

verso di U .

Diremo che la struttura U soddisfa φ con s (o che e un modello di φ), e scriveremo

|=U φ[s], sse la traduzione di φ tramite U , dove ogni variabile libera x viene tradotta

con s(x), e vera.

Banalmente diremo che una struttura U soddisfa (o che e un modello) per un

insieme di formule Σ, sse soddisfa ciascuna di queste formule. Diremo infine che una

insieme di formule Σ e soddisfacibile sse esiste una struttura U e un’assegnazione s

che lo soddisfano.

Il concetto di modello si presta ad una estensione naturale della nozione di im-

plicazione tautologica. Intuitivaente diremo che un insieme di formule Σ implica

logicamente un’altra formula φ quando ogni interpretazione di (ciascuna formula in)

Σ soddisfa anche φ. Piu formalmente:

Definizione 1.2.3 (Implicazione Logica). Sia Γ un insieme di formule del lin-

guaggio. Allora Γ implica logicamente φ, e scriveremo Γ |= φ, se per ogni struttura

17

U ed ogni assegnazione s : V → |U | tale che U soddisfa ogni membro di Γ con s, U

soddisfa anche φ con s

L’equivalente delle tautologie, nella logica del prim’ordine, sono le formule valide.

Una formula e valida (scriveremo semplicemente |= φ) sse per ogni U e per ogni s, U

soddisfa φ con s. Intuitivamente le formule valide sono formule che risultano vere in

qualunque interpretazione.

Sara utile per quanto segue tenere presente anche questa definizione. Diremo

(informalemnete) che due strutture U e B sono elementarmente equivalenti se rendono

vere le stesse formule e false le stesse foemule. Piu formalmente:

Definizione 1.2.4 (Equivalenza elementare). Due strutture U e B si dicono

elementarmente equivalenti sse per ogni enunciato σ del linguaggio:

|=U σ ⇔|=B σ

E’ importante notare che un corollario del teorema di omomorfismo (che non

enuceremo qui) e che due strutture isomorfe sono sempre elementarmente equivalenti.

Due strutture isomorfe, inoltre, sono equivalenti anche rispetto agli enunciati del

secondo ordine (e di tutti gli ordini superiori): esse sono insomma strutturalmente

identiche.

1.2.2 Assiomi logici e deduzioni formali

Una regola di inferenza e una regola per ottenere una nuova formula da certe altre.

Dato un sottoinsieme da definirsi delle formule, Λ, chiamato insieme degli assiomi

logici, e dato un qualunque insieme di formule Γ, diremo che una formula φ e un

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teorema di Γ sse e possibile ottenere φ applicando (un numero finito di volte) delle

regole di inferenza all’insieme Γ⋃

Λ. Vi sono varie scelte possibili sia per Λ che per

le regole di inferenza. Lo scopo del gioco e ottenere il piu gran numero possibile

di enunciati veri (e nessun enunciato falso) a partire da enunciati veri. Una delle

possibilita (per la logica classica), quella che sceglieremo di usare, e quella di avere

una sola regola di inferenza: il modus ponens ; dalle formule α e α → β, e possibile

inferire β.

Il prezzo da pagare per avere una sola regola di inferenza cosı semplice e che

l’insieme degli assiomi logici non potra essere vuoto. In particolare se scegliamo,

come abbiamo fatto, il modus ponens come unica regola di inferenza, l’insieme degli

assiomi logici Λ si puo costruire nel modo seguente.

Diremo che una formula φ e una generalizzazione della formula φ sse per qualche

n ≥ 0 e per delle variabili x1, ..., xn si ha φ = ∀x1, ...,∀xnψ. Gli assiomi logici sono

allora tutte le genralizzazioni delle formule formate in uno dei modi seguenti:

1. Tautologie;

2. ∀xα→ αxt , dove in α e possibile sostituire t a x;

3. ∀x(α→ β) → (∀xα→ ∀xβ);

4. α→ ∀xα, dove x non occore libera in α;

5. x ≈ x (se il linguaggio comprende l’identita);

6. x ≈ x→ (α→ α′), dove α e atomica e α

′e ottenuta da α sostituendo y a x in

zero o piu posti (naturalmente anche questo assioma vale solo se il linguaggio

comprende l’identita);

19

Come dicevamo, dato un insieme di formule Γ diremo che una formula φ e un

teorema di Γ e scriveremo Γ ` φ sse e possibile ottenere φ da Γ⋃

Λ applicando il

modus ponens un numero finito di volte. In questo caso, una sequenza di formule che

registra come φ e stata ottenuta da Γ⋃

Λ verra detta una deduzione di φ da Γ. Piu

formalmente:

Definizione 1.2.5 (Deduzione). Una deduzione di φ da Γ e una sequenza <

α0, ..., αn > di formule tale che per ogni i ≤ n una delle seguenti proposizioni risulta

vera:

1. αi ∈ Γ⋃

Λ, o

2. per qualche j, k ≤ i, αi si puo ottenere da αj per modus ponens (cioe αi = αj →

αi).

1.2.3 Definibilita di una relazione

Abbiamo gia accennato al fatto che le strutture (nel senso tecnico definito poc’anzi)

offrono delle “traduzioni” possibili dal linguaggio formale al linguaggio naturale. Tale

dizione non va presa troppo sul serio, nel senso che, a differenza delle traduzioni fra

linguaggi naturali, non ha senso chiedersi se una data struttura offra una “traduzione”

corretta o meno. Certo alcune strutture offriranno interpretazioni piu perspique di al-

tre. Alcune offriranno interpretazioni prive di significato. Ma questo lo sappiamo solo

noi che guardiamo alla faccenda da fuori, dall’alto delle nostre preacquisite conoscen-

ze linguistiche e fattuali. Per quanto riguarda un sistema formale, ogni struttura e

altrettanto sensata di qualunque altra. Torneremo presto su questo punto. Ora voglio

pero concentrarmi su un’altra questione, legata alla prima ma non coincidente. Dato

20

un linguaggio formale (un insieme di formule ben formate), e data una struttura per

esso (un’interpretazione per i suoi parametri), mi chiedo quanto sia in grado di es-

primere circa gli oggetti del suo universo. Abbiamo infatti visto che una struttura U

associa al parametro ∀ un insieme di elementi: l’universo |U |. Intuitivamente questo

universo e cio di cui il nostro linguaggio formale “parla”, quando viene interpreta-

to per mezzo di U . Analogamente, abbiamo visto, i simboli predicativi, una volta

interpretati per mezzo di U , “parlano” di relazioni che potrebbero sussistere fra gli

elementi dell’universo. Se in particolare una relazione sussiste davvero fra gli elementi

individuati da una certa formula (sotto l’interpretazione U), allora diciamo che quella

formula e soddisfatta o che la struttura e un modello per quella formula.

Ora invece mi voglio chiedere se il linguaggio formale, interpretato attraverso U

mi dica tutto cio che potrebbe essere vero o falso circa gli elementi di |U |. Poniamo

ad esempio che l’universo del nostro linguaggio sia l’insieme dei numeri naturali. Cio

significa che le formule del linguaggio si “riferiranno” a proprieta dei numeri naturali.

Alcune di queste saranno vere, altre false (verremo piu tardi al problema della ver-

ita degli enunciati). Ma, mi chiedo, le formule del linguaggio formale, esprimeranno

(attraverso la struttura) tutte e sole le relazioni che possono sussistere fra i numeri

naturali? O ve ne sara qualcuna che sfugge alla “capacita di esprimersi” del linguag-

gio? Una risposta preliminare e che questo dipende dal sistema formale che stiamo

considerando. A parita di universo, infatti, vi saranno sistemi formali piu ricchi e piu

poveri.

Consideriamo ad esempio un linguaggio (dotato di uguaglianza), il cui universo

e l’insieme dei numeri naturali e i cui parametri sono solo i seguenti: un simbolo

21

costante (interpretato come il numero 0), e una funzione a un posto S intesa a de-

notare la funzione successore. Ora questo linguaggio sara certamente in grado di

esprimere il fatto che il numero 0 non e il successore di alcun numero. La formula

che “esprime” questo fatto e ¬(∃x(Sx ≈ 0) (dove il simbolo ¬ nega la formula che

lo segue). Naturalmente date le condizioni che ho dato nulla si puo affermare circa

la verita o la falsita di questo enunciato, dal punto di vista del sistema formale. Noi

pero sappiamo che 0 non e il successore di alcun numero: la struttura U e pertanto

un modello per la formula ¬(∃x(Sx ≈ 0). Ma noi sappiamo anche altre cose circa

i numeri naturali, ad esempio sappiamo che 3 > 2. Puo il nostro scarno linguaggio

formale esprimere questo fatto? Chiaramente no. Se pensate che sia possibile provate

ad esprimere il fatto che 3 > 2, usando solo le parole “zero”, “successore di” e “uguale

a”. Potete naturalmente usarle un numero imprecisato di volte (come nella frase “Il

successore del successore del successore.... di zero e uguale a... ”). E’ facile rendersi

conto che con questo linguaggio non si puo esprimere un gran che, a proposito dei

numeri naturali.

Si sarebbe tentati di dire che il motivo per cui non siamo in grado di esprimere il

fatto che 3 > 2 e che non vi e un parametro nel linguaggio che (nella struttura) viene

interpretato come “maggiore di”. Tuttavia questa impressione non e corretta. A volte

dei fatti (delle relazioni fra membri dell’universo), sono esprimibili anche senza che nel

linguaggio vi siano parametri che vengono direttamente interpretati come riferentesi

a quelle relazioni. Di fatto questo si verifica per la maggior parte delle relazioni che

il linguaggio puo esprimere.

Si pensi ad un linguaggio un po’ piu “ricco” di quello precedente, che oltre a

0, alla funzione S e all’uguaglianza, abbia anche tra i suoi parametri due simboli

22

funzionali a due posti (+ and ·) intesi a denotare le solite operazioni di addizione e

moltiplicazione. Ora, anche questo linguaggio, come il precedente, non possiede alcun

parametro che viene interpretato attraverso U come la relazione d’ordine “minore di”.

Eppure e facile rendersi conto che la formula ∃v3 · v1 ≈ v2, dove le v1 sono variabili,

esprime (attraverso U) precisamente la relazione “essere minore di”. Letteralmente

la traduzione della formula, infatti, e “dati due numeri a e b, esiste un numero c tale

che b e la somma di a e del successore di c”. Ora, il successore di c, chiunque sia c

non puo essere 0. Quindi la formula dice che b si ottiene da a aggiungendo ad a un

numero (il successore di c appunto). E questo non e equivalente a dire che a e minore

di b?

In questo caso, anche se non vi e nel linguaggio alcun parametro inteso a denotare

la relazione “minore di”, diremo che la relazione “minore di” e definibile dal linguaggio

entro la struttura U . Questo equivale a dire che esiste una formula nel linguaggio che

e soddisfatta se e solo se la relazione che definisce fra i membri dell’universo denotati

sussiste davvero.

Piu formalmente: sia U una struttura e φ una formula tale che tutte le variabili

che occorrono libere in φ siano incluse fra v1, ..., vk. Allora per gli elementi a1, ...ak

di |U |, |= φ[[a1, ...ak]] significa che U soddisfa φ con qualuqnue funzione s : V → |U |

tale che s(vi) = ai, 1 ≤ i ≤ k.

Definizione 1.2.6 (Definibilita). Si dice che una formula φ definisce una relazione

k-aria R in |U | sse

R = {〈a1, ...ak〉 :|=U φ[[a1, ...ak]]}

Una relazione R su |U | e definibile in U sse esiste una formula che la definisce in U .

Stante, come abbiamo visto, che la domanda circa la definibilta di una relazione in

23

una struttura dipende dal linguaggio, e dalla struttura stessa, possiamo chiederci se,

dato un universo (un insieme di enti), esistano un linguaggio e una struttura tali da

definire tutte le relazioni che sussistono fra i membri dell’universo. Beh, se l’universo

e finito, questo e certamente possibile. Ma se e infinito? Ad esempio, esistono un

linguaggio e una struttura tali da definire tutte le relazioni che sussistono fra i numeri

naturali? Come vedremo meglio piu avanti, la risposta e negativa. Il numero di

tutte le formule del linguaggio (quindi a forziori il numero di quelle che definiscono

relazioni fra numeri naturali) e ℵ0. Ma il numero di relazioni che sussistono fra i

numeri naturali, e 2ℵ0 . Quindi vi saranno sempre delle relazioni che sussistono fra

numeri naturali che non sono definibili nel linguaggio formale. Vedremo piu avanti

quali conseguenze e legittimo trarre da questo fatto. Anticipo che non e legittimo

trarre alcuna conseguenza profonda circa l’ineffabilita intrinseca di alcun enunciato

particolare.

1.2.4 Teorie e completezza

Dato un insieme (anche infinito) di formule, ha senso chiedersi quale sia la chiusura di

questo rispetto all’implicazione logica. In altre parole, dato un insieme di formule T ,

ci chiediamo quali siano le formule vere in tutti i modelli di T . Un insieme di formule

chiuso rispetto all’implicazione logica viene detto una teoria. Piu formalmente:

Definizione 1.2.7 (Teoria). Si dice che un insieme T e una teoria sse dato qualunque

enunciato (formula chiusa) σ del linguaggio si ha

T |= σ ⇒ σ ∈ T

E’ facile rendersi conto che, banalmente, l’insieme di tutte le formule del linguaggio

24

e una teoria. Questo insieme, tuttavia, non e molto interessante, in quanto, qualunque

interpretazione scegliamo per esso, dira tutto e il contrario di tutto. Infatti e l’unica

teoria che non puo essere soddisfatta in nessun caso (cioe non ha alcun modello)...

insomma: non parla di nulla. Ai fini di questo lavoro, e utile soffermarsi un istante

su questo punto. Un attimo fa ho detto che in un certo senso la teoria di tutte le

formule del linguaggio non e interessante perche “dice” tutto e il contrario di tutto.

Ora invece sostengo che questa teoria non e interessante perche non “parla” di nulla.

Mi sto contraddicendo? Il punto e, come vedremo meglio piu avanti, che le formule

di un linguaggio non parlnano mai di nulla, non hanno mai un significato: sono segni

in attesa che qualcuno ci “veda” un significato. Persone diverse potranno vederci

significati diversi. Per ora ci accontentiamo di osservare che se una teoria non ha

modelli, nessuno potra mai “vederci” alcun significato. In questo senso la teoria di

tutte le formule non “parla” di nulla. Non “parla” di nulla di reale, intendo dire.

Nulla vieta che qualcuno voglia comunque “vedere” un significato nelle formule di

questa teoria. In questo caso la teoria affermera tutto e il contrario di tutto.

Oltre a questa teoria massimale, esiste sempre anche un’altra teoria che potremmo

chiamare minimale: la teoria di tutte le formule valide del linguaggio. Questa teoria,

a differenza di quella di prima, affema solo cose vere (in tutti i modelli). In questo

senso quindi e “migliore” della teoria di tutte le formule. Tuttavia anche questa non

e di grande interesse: proprio perche dice cose vere in tutti i modelli, qualuqnue siano

gli assiomi che decidiamo di aggiungere a quelli logici, essa e scarsamente informativa.

Sia K una classe di strutture per il linguaggio. Chiameremo teoria di K l’insieme

di tutte le formule vere in ogni struttura contenuta in K:

25

ThK = {σ : σ e vera in ogni membro di K }

E’ facile rendersi conto che un insieme di formule cosı definito e di fatto una

teoria. Come dicevamo all’inizio di questo paragrafo, dato un insieme di formule Γ

ha senso interrogarsi su quale sia la chiusura di Γ rispetto all’implicazione logica:

CnΓ = {σ : Σ |= σ}. E’ importante notare che tale chiusura, qualunque essa sia, e

una teoria. La teoria degli insiemi, ad esempio e l’insieme delle conseguenze di un

certo sottoinsieme delle formule: gli assiomi della teoria degli insiemi. E’ anche facile

rendersi conto che un insieme di formule T e una teoria sse:

T = CnT

Diremo inoltre che una teoria e completa se (informalmente) contiene tutto cio

che il linguaggio ha da dire a proposito di un certo universo. Piu formalmente:

Definizione 1.2.8 (Completezza). Si dice che una teoria T e completa sse per ogni

formula σ del linguaggio, si ha o σ ∈ T o ¬σ ∈ T .

Un risultato interessante a proposito della completezza e il seguente:

Proposizione 1.2.1. Una teoria e completa sse tutti i suoi modelli sono (a due a

due) elementarmente equivalenti

Data una struttura U , la teoria ThU (che, come ricorderete, e l’insieme di tutte

le formule vere in U , e sempre una teoria completa. Data una interpretazione U di

un linguaggio, infatti per ogni formula σ, se σ non e vera, lo e ¬σ. Ne segue che per

ogni σ, o σ o ¬σ apparterra alla teoria ThU .

26

1.2.5 Correttezza, consistenza e completezza del calcolo della

deduzione

Abbiamo visto che, dati un insieme di formule Σ e una qualuqnue formula φ, in

alcune condizioni (definite qui sopra) si avra che Σ implica logicamente φ. Abbiamo

indicato questo fatto con Σ |= φ. Ricordiamo che questo si verifica quando ogni

interpretazione che rende vere tutte le Σ rende vera anche φ. Il problema fondamentale

dell’implicazione, cosı definita, e che potrebbe essere molto difficile, se non impossibile,

sapere quando un enunciato e vero (in una certa interpretazione). Ancor piu difficile e

sondare tutte le possibili interpretazioni per verificare che tutte quelle che soddisfano

Σ soddisfano anche φ.

Abbiamo anche visto che fra Σ e φ puo intercorrere una relazione piu sondabile,

piu umana se vogliamo: puo succedere che esista una deduzione formale di φ da σ.

Abbiamo indicato questo fatto con Σ ` φ. Dico che e piu umana perche se esiste una

deduzione, possiamo sperare di trovarla. E una volta trovata ci potremo mettere il

cuore in pace. Come vedremo nei prossimi capitoli, questa relazione in effetti e piu

umana di quella di implicazione, ma non quanto vorremmo. Per anticipare questa

delusione, basta pensare che se esiste una deduzione, e vero, possiamo sperare di

incontrarla (magari mettendoci molto tempo). Ma se non esiste? Quando potremmo

sapere di aver cercato abbastanza? Una situazione simile e la leggendaria ricerca del

Santo Graal. Se si trova da qualche parte, prima o poi sara possibile trovarlo. Ma se

non esiste?

Ad ogni modo qui mi interessa mettere in luce quale relazione sussista fra impli-

cazione logica e deducibilita formale. In altre parole. Se, dati Σ e φ, sappiamo che

Σ |= φ Cosa possiamo dire della relazione Σ ` φ? Potrebbe succedere che sia vero

27

che Σ |= φ ma che sia falso che Σ ` φ? E, viceversa, potrebbe essere che Σ ` φ, ma

non che Σ |= φ?

Come vedremo, perfortuna, non e possibile. La relazione “disumana” di impli-

cazione logica e equivalente a quella “quasi umana” di deducibilta. E’ infatti possibile

dimostrare i seguenti teoremi.

Teorema 1.2.2 (Correttezza del calcolo della deduzione). Per ogni Σ e φ, se

Σ ` φ, allora Σ |= φ

L’idea della prova di questo teorema (che non riprodurro qui), e che gli assiomi

logici sono implicati logicamente da qualsiasi enunciato (a forziori da qualsiasi insieme

di enunciati), e che il modus ponens preserva l’implicazione logica (cioe, se Σ |= ψ e

Σ |= (ψ → φ), allora Σ |= φ).

Anche il converso di questo teorema, come anticipato, sussiste. Fu dimostrato da

Kurt Godel nel 1930. Prima di enunciarlo, introdurro un concetto molto importante

per quanto segue: quello di consistenza di un insieme di enunciati. Intuitivamente,

un insieme di enunciati e inconsistente se ve ne sono almeno due, fra loro, che sono

incompatibili. Due enunciati sono mutuamente incompatibili se si contraddicono (o

se portano a una contraddizione. Tale condraddizione potrebbe non essere palese.

Per quano ne sapevamo prima di averci pensato, ad esempio, gli assiomi della geome-

tria euclidea potevano essere inconsistenti. Chi ci assicura che, a partire da quegli

assiomi, non saremo un giorno in grado di derivare sia che la somma degli angoli di un

triangolo e di 180 gradi e anche che la stessa somma e 150 gradi? Siamo sicurui che

possiamo dedurre che la somma degli angoli di un triangolo e di 180 gradi. Ma come

facciamo a sapere che non sia possibile dimostrare che la stessa somma e di 150 gradi?

28

Dopotutto, per dimostrare che qualcosa e possibile, basta farlo. Ma cosa bisogna fare

per dimostrare che e impossibile fare qualcosa? Come vedremo, perfortuna, in alcuni

casi e possibile dimostrare che un insieme di enunciati e consistente (cioe che non e

inconsistente). Formalmente:

Definizione 1.2.9 (Inconsistenza). Un insieme Σ di enunciati si dice inconsistente

se esiste una formula φ del linguaggio tale che Σ ` φ e Σ ` ¬φ. Un insieme si dice

consistente se non e inconsistente.

Come dicevo, Godel dimostro che il calcolo della deduzione e completo, cioe che

permette di dedurre da un insieme di enunciati tutti e soli gli enunciati che sono da

questo implicati.

Teorema 1.2.3 (Completezza del calcolo della deduzione). 1. Per ogni Σ e

φ, se Σ |= φ, allora Σ ` φ

2. Ogni insieme consistente di formule e soddisfacibile.

Questo risultato e estremamente piu profondo della correttezza del calcolo. In un

certo senso permette di ridurre il problema “semantico” dell’implicazione al problema

sintattico della deduzione. Il pundo 2 del teorema, a volte, e chiamato “teorema di

esistenza del modello”, ed e uno dei risultati piu affascinanti e intriganti della logica.

In qualche modo ci dice che se non ci contraddiamo, siamo sicuri che esiste qualcosa

di cui stiamo parlando (anche se non sappiamo cosa sia).

1.2.6 Procedure effettive e decidibilita

Il concetto di procedura effettiva e della massima importanza, in logica in generale, ma

soprattutto ai fini della nostra discussione. Appartiene a quella famiglia di concetti

29

non soggetti ad essere precisamente formulati, nel senso che e vago e aperto. Prima

di darne una caratterizzazione, vorrei fare un esempio analogo che forse e familiare

a molti lettori. Quando la maggior parte di noi incontra il concetto di continuita di

una funzione, gli viene detto che una funzione e continua se il suo grafico puo essere

disegnato “senza staccare la matita dal foglio”. Ora, e chiaro che questa definizione

non e ne precisa ne spedibile in ogni circostanza. Come faccio ad essere sicuro che la

matita non si e staccata dal foglio. Di quanto si deve staccare dal foglio per dire che

si e staccata? Un millimetro? Un micron? Un amstrong? E se si e staccata, come

faccio a sapere che in linea di principio avrei potuto disegnare lo stesso grafico senza

staccarla. Ovviamente possiamo disegnare solo una parte finita di un grafico di una

funzione. Ammesso di essere sicuro di non aver staccato la matita dal foglio finora,

come faccio a sapere che riuscirei a disegnare l’intero grafico senza staccarla?

Come e noto il matematico tedesco Karl Weierstrass propose una definizione pre-

cisa di continuita sulla base dell’esistenza o meno di grandezze matematiche (si

ricorderanno gli 1epsilon e i δ). Chiediamoci: quella di Weierstrass e la “vera

definizione” di continuita? E’ quella corretta? La domanda non ha senso, dato

che la definizione intuitiva era vaga e imprecisa. Tuttavia le funzioni individuate da

Weierstrass in modo rigoroso si rivelarono della massima importanza in matematica:

la definizione di Weierstrass cattura una famiglia di funzioni estremamente signi-

ficativa. Per ironia della sorte, Weierstrass dimostro che esistono funzioni ovunque

continue e mai derivabili. Naturalmente nessuno potrebbe “disegnare” il loro grafico.

Ne possiamo dedurre che Weierstrass si era sbagliato? No, semplicemente dobbiamo

accettare che il concetto di continuita non era esattamente come ce lo immaginavamo.

E’ una questione terminologica? Perche non abbiamo mantenuto il nome “continuita”

30

per denotare il nostro vecchio concetto intuitivo, e non ne abbiamo inventato un altro

per quello di Weierstrass? Tutto questo somiglia molto alle nostre consuete guerre di

secessione partitiche. A chi va il simbolo del vecchio partito? Certamente avremmo

potuto fare cosı. Ma il vecchio concetto era divenuto desueto, poco spendibile, inutile

insomma: sarebbe stato uno spreco di lessico inventare un nome a parte per il nuovo

concetto rigoroso. Tanto piu che un istintivo platonismo da parte dei matematici li

spinge a credere che, con il vecchio concetto, in realta, i matematici avessero voluto

catturare proprio quello che Weierstrass ha finalmente catturato. Il vecchio concetto,

insomma, era una un arpione spuntato: quello che conta e uccidere la grande balena

bianca, non l’armamentario di arpioni.

Una sorte simile e toccata al concetto di “procedura decidibile”. L’idea intuitiva e

quella di una procedura per decidere della verita o meno di un enunciato. Voi mi date

un enunciato, e io devo decidere se questo e vero o no (in una certa interpretazione).

Ora, per quanto ne sapete, io potrei essere un mago, e dare sempre le risposte giuste.

Oppure potrei lanciare una moneta, e decidere sulla base dei miei lanci, ed essere cosı

fortunato da azzeccarci sempre. Queste mie doti, pero, sarebbero poco spendibili,

per almeno due motivi. In primo luogo non vi servirebbero a molto, perche non

potrei farvene dono. Avreste sempre bisogno di chiedermi se qualcosa e vero o falso,

e vi rovinerei il gusto di fare matematica per conto vostro. In secondo luogo non

potreste mai convincervi per conto vostro che le ho davvero, queste doti. E se fossi

un impostore? Per saperlo, naturalmente, non potreste fare altro che chiedermelo:

“sei un impostore?”. “No”, direi io. La mia procedura per decidere se un enunciato

e vero o falso, insomma, non sarebbe una procedura effettiva.

Definizione 1.2.10 (Procedura effettiva). Una procedura effettiva, insomma, e

31

una procedura che soddisfa ai seguenti desiderata:

1. Devono esserci delle precise istruzioni, di lunghezza finita, e ciascuna di queste

istruzioni non deve richiedere alcuna forma di intuito, o intelligenza (tanto meno

magia). Chiunque, anche senza sapere nulla di matematica, deve essere in grado

di comprendere ciascuna di queste istruzioni e quale usare in ciascun momento.

2. Le istruzioni non devono mai richiedere il ricorso al caso: niente monete, dadi,

etc.

3. Infine, data una formula, le istruzioni suddette devono garantire che, in un

tempo finito, chiunque le usi deve pervenire ad una risposta definitiva: “Si” o

“No”.

Si noti (ed e importante), che, sebbene sia richiesto che una procedura effettiva

pervenga ad una risposta in un numero finito di passi, non vi deve essere alcun limite

a priori circa il numero di questi passi.

Perveniamo cosı alla nozione di decidibilta di un insieme di formule.

Definizione 1.2.11 (Insiemi decidibili). Diremo che un insieme di formule Σ e

decidibile sse esiste una procedura effettiva che, data qualunque formula α, permette

di stabilire se e vero o no che α ∈ Σ

Mentre tutti gli insiemi finiti di formule sono decidibili, come vedremo non tutti

gli insiemi infiniti lo sono. Risulta utile definire la seguente nozione che, in un certo

senso risulta essere una “mezza” decidibilita.

Definizione 1.2.12 (Insiemi effettivamente numerabili). Diremo che un insieme

di formule Σ e effettivamente numerabile se esiste una procedura effettiva che elenca

(in qualche, qualunque ordine) tutte le formule di Σ.

32

Il seguente risultato giustifica il commento precedente, circa la mezza decidibilta

garantita dalla nozione di numerabilta effettiva.

Teorema 1.2.4. Un insieme di formule Σ e effettivamente numerabile sse esiste una

procedura effettiva tale che, data una qualunque formula α, produce la risposta “Si”

se e solo se α ∈ Σ

Si noti che questa procedura permette di decidere in modo effettivo se α ∈ Σ solo

se effettivamente e vero che α ∈ Σ. In caso contrario, la procedura non garantisce di

dare alcuna risposta.

Risulta inoltre vero il seguente teorema, che non dimostreremo.

Teorema 1.2.5. Un insieme di formule Σ e decidibile sse sia Σ che il suo comple-

mento (cioe l’insieme di tutte le formule del linguaggio che non sono contenute in Σ)

sono effettivamente numerabili.

Per questo motivo si dice anche che un insieme effettivamente numerabile e semide-

cidibile.

Anticipiamo sin da ora che il concetto vago di decidibilita di un insieme viene “cat-

turato” dal concetto rigoroso di insieme ricorsivo (che definiremo in uno dei prossimi

paragrafi), nello stesso senso in cui il concetto vago di continuita e stato catturato

dall’analisi di Weierstrass.

1.2.7 Assiomatizzazione

Ricordiamo che la chiusura di un insieme di formule Σ rispetto all’implicazione log-

ica e l’insieme delle conseguenze logiche di Σ⋃

Λ, dove Λ e l’insieme degli assiomi

logici. Introdurremo qui il concetto di assioma e di assiomatizzazione di una teoria.

33

Informalmente l’idea nasce in questo modo. Le teorie, per essere interessanti, devono

contenere un sacco di verita (possibilmente tutte) Idealmente contengono tutte e sole

le verita. Quando si parla di teorie infinite, tutte le verita sono davvero tante. E’

naturale chiedersi se non sia possibile “ottenere” l’intera teoria a partire da un in-

sieme piu ristretto, almeno decidibile, magari addirittura finito. Con “ottenere” qui

intendo ottenere per conseguenza logica. Formalmente:

Definizione 1.2.13 (Teorie assiomatizzabili). Diremo che una teoria T e as-

siomatizzabile sse esiste un insieme decidibile di formule chiuse Σ tale che T =

CnΣ.

Diremo inoltre che la teoria e finitamente assiomatizzabile se l’insieme Σ e finito.

Come vedremo non tutte le teorie sono assiomatizzabili, tanto meno finitamente

assiomatizzabili. Questa e una delle questioni piu fondamentali del presente lavoro.

Come facciamo a sapere se una teoria e assiomatizzabile o no? In generale non vi e

una ricetta valida per tutti i casi. I seguenti risultati, tuttavia, asiutano a rispondere

in alcuni casi. Li enuncero senza dimostrarli.

Teorema 1.2.6. Se una teoria CnΣ e finitamente assiomatizzabile allora esiste un

sottoinsieme finito Σ0 ⊆ Σ tale che CnΣ0 = CnΣ.

Il teorema enunciato sembra banale, ma per capire che non lo e basta notare che

a priori l’insieme finito che assiomatizza la teoria potrebbe non essere contenuto in

Σ.

Corollario 1.2.7. 1. Se una teoria e assiomatizzabile allora e effettivamente nu-

merabile.

2. Se una teoria e assiomatizzabile e completa, allora e decidibile.

34

Non e sempre facile sapere se una teoria e completa o meno. Il seguente crieterio

viene spesso usato (e lo useremo). Data una teoria T e un numero cardinale λ,

diremo che T e λ-categorica se tutti i modelli di T che hanno cardinalita λ sono tra

loro isomorfi. Vale la seguente proposizione.

Proposizione 1.2.8 (Test di Los-Vaught). Data una teoria T in un linguaggio

numerabile, se:

1. T e λ-categorica per qualche cardinale infinito λ, e

2. Tutti i modelli di T sono infiniti.

Allora T e completa.

1.2.8 Rappresentabilita di una relazione e tesi di Church

Si ricordera che una relazione e definibile in una certa struttura quando esiste una

formula che e vera (nell’interpretazione data) sse la relazione sussiste fra i membri

denotati (attraverso l’interpretazione) dell’universo. Ora introdurro il concetto di

rappresentazione di una relazione in una data teoria. Questo concetto e piu forte

di quello di definibilita. Diremo (informalmente) che una relazione n-aria Rn fra n

elementi dell’universo e rappresentabile in una teoria T se, dati qualunque n elementi

dell’universo, T continene una formula che afferma che la relazione sussiste, se la re-

lazione sussiste davvero, mentre contiene la sua negazione, se la relazione non sussiste

per la n-tupla data. Piu formalmente

Definizione 1.2.14 (Relazioni rappresentabili). Indichiamo con 〈cU1 , ..., cUn 〉 la

n-tupla di oggetti dell’universo |U | “denotati” (per mezzo della struttura U) dalla

35

n-tupla 〈c1, ..., cn〉 di termini del linguaggio. Allora diremo che una relazione n-aria

Rn ⊆ |U |n e rappresentabile in una teoria T sse esiste una formula ρ del linguaggio

tale che:

1. 〈cU1 , ..., cUn 〉 ∈ Rn ⇒ ρ(c1, ..., cn) ∈ T

2. 〈cU1 , ..., cUn 〉 /∈ Rn ⇒ ¬ρ(c1, ..., cn) ∈ T

Cominciamo con il notare in che senso la definizione di rappresentabilita sia piu

forte di quella di definibilita. Si ricordera che la teoria ThU e una teoria completa,

qualcunque sia U . E’ quindi evidente che una relazione e rappresentabile in U se

e solo se e definibile in U . Ma cosa dire se la teoria non e completa? Si consideri

la chiusura logica di un insieme di assiomi Σ. Allora, data la definizione qui sopra,

una relazione n-aria Rn ⊆ |U |n e rappresentabile in CnΣ sse esiste una formula ρ del

linguaggio tale che:

1. 〈cU1 , ..., cUn 〉 ∈ Rn ⇒ Σ ` ρ(c1, ..., cn)

2. 〈cU1 , ..., cUn 〉 /∈ Rn ⇒ Σ ` ¬ρ(c1, ..., cn)

Se per la definibilita chiediamo solo che certe formule risultino vere (in una inter-

pretazione), per la rappresentabilita chiediamo anche che siano deducibili dagli ele-

menti della teoria. Nel caso appena visto (quello della rappresentabilita nella teoriea

ThΣ), chiediamo, oltre alla definibilita di Rn, anche che o ρ(c1, ..., cn) o ¬ρ(c1, ..., cn)

sia deducibile dagli assiomi Σ. Quindi, una data relazione fra membri di un universo,

sara rappresentabile o meno non solo a seconda del linguaggio scelto e della struttura,

ma anche della teoria nella quale desideriamo rappresentare questa relazione.

36

Dovrebbe essere chiaro che il motivo per introdurre questa condizione piu forte, e

che se non siamo dei maghi: il piu delle volte sara difficile conoscere tutte le relazioni

che sussistono tra infiniti elementi

Il concetto di rappresentabilita si e dimostrato della massima importanza in matem-

atica, grazie alle sue relazioni con il concetto (vago, come abbiamo visto) di decidi-

bilita. E’ possibile infatti dimostrare la seguente proposizione:

Proposizione 1.2.9. Ogni relazione rappresentabile in una teoria finitamente as-

siomatizzabile e decidibile.

Sara invece impossibile dimostrare il converso, poiche la natura vaga e impre-

cisa della nozione di decidibilita ci permette solo di affermare con certezza che qual-

cosa e decidibile, se e decidibile. Provare il converso della precedemte proposizione

richiederebbe di poter affermare con altrettanta sicurezza che qualcosa e indedicdi-

bile, e questo non e possibile. E’ possibile pero ipotizzare che anche il converso valga.

Vi sono vari motivi per farlo. Fra questi, il fatto che ogni relazione che i matematici

hanno ritenuto fosse decidibile si e rivelata essere rappresentabile in una teoria finita-

mente assiomatizzabile. La precedente proposizione, congiuntamente all’ipotesi che

anche il suo converso sia vero, e nota come la tesi di Church, o tesi di Church-Turing,

che enucio qui di seguito.

Proposizione 1.2.10 (Tesi di Church-Turing). Una relazione e rappresentabile

in una teoria finitamente assiomatizzabile se e solo se e decidibile.

Vedremo nella prossima sezione che la nozione di rappresentabilita e equivalente ad

un’altra nozione molto importante: quella di ricorsivita (che definiremo piu avanti).

Sara quindi possibile riformulare la tesi di Church in un modo che forse risulta piu

37

familiare alla maggior parte dei lettori non specializzati: una relazione e decidibile

sse e ricorsiva.

E’ utile definire la rappresentabilita anche per le funzioni (oltre che per le relazioni,

come abbiamo fatto finora).

Definizione 1.2.15 (Funzioni rappresentabili). Data una funzione f : Nm → N ,

diremo che una formula φ in cui solo v1, ..., vm+1 occorrono libere la rappresenta

funzionalmente (in una teoria assiomatizzabile CnA) sse per ogni a1, ..., am in N ,

A ` ∀vm+1[φ(Sa10, ..., Sam0, vm+1) ↔ vm+1 ≈ Sf(a1,...,am)0]

Un teorema, infine, assicura che i due concetti sono equivalenti:

Teorema 1.2.11. Se φ rappresenta funzionalmente f in CnA, allora rappresenta

anche f (come relazione), in CnA.

1.3 Teoria dei numeri

1.3.1 Teoria dei numeri

Il linguaggio della teoria dei numeri e un linguaggio del primordine con l’eguaglianza

e dotato dei seguenti parametri:

Linguaggio della teoria dei numeri

∀ (inteso a significare “per tutti i numeri naturali”)

0 (inteso a significare il numero 0)

38

S (Un simbolo funzionale unario inteso a significare la funzione: “successore di”)

< (inteso a denotare la consueta relazione binaria d’ordine)

+ (un simbolo funzionale a due posti inteso a denotare l’addizione)

· (come sopra per la moltiplicazione)

E (come sopra per l’esponenziazione)

La struttura intesa per questo linguaggio e (informalmente):

< = (N, 0, S, <, +, ·, E)

(e chiaro che con questo intendiamo dire che |<| = N , 0<... etc.)

Ora, la teoria dei numeri e la teoria di questa struttura: Th< (ricordiamo che

la teoria di una struttura e l’insieme di tutte le formule vere in quella struttura).

Insomma, Th< e l’insieme di tutte le verita dell’aritmetica. Come e stato dimostrato

da Godel per la prima volta, questa teoria non e ne decidibile ne assiomatizzabile

(tantomeno finitamente assiomatizabile). Prima di addentrarci nella prova di questo

teorema, discuteremo qui di seguito una sottoteoria che si ottiene restringendo il

linguaggio della teoria dei numeri, eliminando alcni dei suoi parametri.

1.3.2 La teoria dei numeri naturali con successore

Consideriamo quindi la restrizione del linguaggio descritto nel paragrafo precedente

che si ottiene eliminando i parametri <, +, · e E. La (sotto)struttura risultante sara:

<S = (N, 0, S)

39

In questo linguaggio possediamo ancora la capacita di “riferirci” ai numeri. Ab-

biamo cioe ancora i numerali (0, S0, SS0... etc). Ma non saremo in grado di dire

alcunche di interessante su di essi. Come vedremo questa teoria risulta essere com-

pleta e assiomatizzabile, e, nononstante che non sia interessante da un punto di vista

strettamente aritmetico, ci permette di capire alcune proprieta molto profonde dei

suoi modelli.

Dunque, cosa possiamo dire a proposito di Th<S? Per cominciare elenchiamo qui

di seguito degli enunciati, intuitivamente veri, che forniranno poi l’insieme dei suoi

assiomi.

Assiomi AS

S1 ∀xSx 6= 0 (un enunciato che afferma che 0 non ha successore)

S2 ∀x∀y(Sx ≈ Sy → x ≈ y)

S3 ∀y(y 6= 0 → ∃xy ≈ Sx)

S4.1 ∀xSx 6= x

S4.2 ∀xSSx 6= x

...

S4.n ∀xSnx 6= x

Ora, indichiamo con AS un insieme che contiene tutti (e soli) gli enunciati scritti

qui sopra. Allora, poiche sono tutti veri in <S, siamo sicuri che CnAs ⊆ Th<S.

Possiamo anche affermare che CnAs = Th<S? Se cosı fosse, ricordando le definizioni

40

date sopra, la teoria <S sarebbe assiomatizzabile, e AS sarebbe un sistema di assiomi

per essa.

Dunque, consideriamo un modello arbitrario (non necessariamente quello che

avevamo in mente quando abbiamo costruito la teoria):

U = (|U |, 0U , SU)

Qualunque cosa sia, per rendere veri S1, S2 e S3, S dovra mappare uno a uno gli

elementi di |U | nell’insieme |U | − {0U}. Gli S4.n, tutti assieme, assicurano inoltre

che la nostra sequenza di elementi non potra mai ripetersi. Quindi, sicuramente

il modello conterra una sequenza di infiniti punti (notate che questi sono proprio i

numeri naturali che intendevamo descrivere) tutti distinti tra loro: 0U → SU0U →

SU(SU(0U)) → ...

Vi puo essere qualche altro elemento, o gli enunciati S1-S4.n assicurano che ogni

modello abbia solo gli elementi appena descritti? Nulla nei (potenziali) assiomi che

abbiamo dato impedisce che vi sia un altro elemento, diciamo a. Ma se cosı fosse,

allora gli assiomi impongono che vi sia anche un successore di a, e un successore del

successore di a... etc. Inoltre, dato che a non potra essere 0 (poiche non vi possono

essere due punti uguali fra loro), a avra anche un predecessore (poiche solo 0 non ne

ha), e un predecessore del predecessore. Insomma potrebbe esistere un altro elemento,

a, che non era “previsto”, ma se cosı fosse, a dovrebbe appartenere a quella che viene

definita una “catena Z”:

...∗ → ∗ → a→ SU(a) → SU(SU(a)) → ...

Quante di queste catene Z potrebbero esserci? Un numero qualunque, anche

41

non numerabile (nulla lo vieta). In generale la cardinalita di un modello (Card|U |)

dipendera dal numero λ di catene Z che vi sono in |U |: si avra cioe Card|U | = λ.

E’ piuttosto elementare dimostrare la seguente proposizione:

Proposizione 1.3.1. 1. Se U e U ′ sono modelli di AS con lo stesso numero di

catene Z, allora sono ismorfi.

2. Siano U e B due modelli non numerabili di AS di uguale cardinalita. Allora U

e isomorfo a B.

E’ quindi possibile dimostrare il seguente:

Teorema 1.3.2. CnAS e una teoria completa.

Dimostrazione. La proposizione precedente afferma che la teoria CnAS e categorica

per ogni potenza non numerabile. Gli assiomi AS, inoltre, assicurano che non vi sono

modelli finiti. E’ quindi possibile applicare il Test di Los-Vaught (enunciato sopra)

per concludere la dimostrazione.

Corollario 1.3.3. CnAS = Th<S

Dimostrazione. Si ha CnAS ⊆ ThRS; la prima teoria e completa (per il teorema

appena dimostrato), e la seconda e soddisfacibile.

Corollario 1.3.4. Th<S e decidibile.

Dimostrazione. Qualunque teoria completa e assiomatizzabile e decidibile. AS e un

insieme decidibile di assiomi per la teoria.

42

Con metodi simili a quelli sopra esposti (sebbene non altrettanto elemetari poiche

in genere non sara possibile usare il test di Los-Vaught), e possibile dimostrare che

anche le seguenti sottoteorie sono complete:

< = (N, 0, S), <)

< = (N, 0, S), <, +)

(Per quanto riguarda l’ultima, in particolare, il risultato che ne enuncia la com-

pletezza e stato dimostrato da Presburger nel 1929.)

Diamo per finire una definizione rigorosa di ricorsivita.

Definizione 1.3.1 (Relazioni ricorsive). Una relazione R sui numeri naturali e

ricorsiva sse e rappresentabile in qualche teoria consistente e finitamente assiomatiz-

zabile (in una lingua con 0 e S)

1.3.3 Assiomi di Peano e affini

Che dire dell’intera teoria Th<? Come dicevo, dimostreremo nel prossimo capitolo

che essa non e completa, ne decidibile. Ma fino a quando Godel non produsse la sua

famosa prova di incompletezza, si posteva sperare la teoria dei numeri fosse completa

e decidibile. Il candidato piu accredidato a svolgere il ruolo di sistema completo di

assiomi era la cosiddetta aritmetica di Peano. L’aritmetica di Peano e una teoria

assiomatica del prim’ordine ricavata da un sistema di assiomi del second’ordine (detti

appunto assiomi di Peano).

Quando Godel si accinse a dimostrare il suo teorema lo fece usando gli assiomi di

Peano (oltre all’intero apparato dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead.

Saremo in grado di dimostrare che qualunque sistema formale che sia altrettanto

43

espressivo di questi frammenti della teoria dei numeri non potra, percio stesso, essere

sia completo che assiomatizzabile.

Per semplificare la dimostrazione di incompletezza sulla quale lavoreremo nel se-

guito presentero qui un sistema di assiomi finito ma (come vedremo) molto potente.

Dimostreremo che ne la sottoteoria considerata, ne alcuna sua estensione ottenuta ag-

giungendo un insieme ricorsivo di assiomi (quindi in particolare nemmeno il sistema

di assiomi di Peano) e completa.

A differenza delle sezioni precedenti, considereremo qui il linguaggio della teoria

dei numeri nella sua interezza: < = (N, 0, S, <, +, ·, E)

Gli assiomi proposti sono dunque i seguenti:

Assiomi AE

S1 ∀x Sx 6= 0

S2 ∀x∀y (Sx ≈ Sy → x ≈ y)

L1 ∀x∀y (x < Sy ↔ x ≤ y)

L2 ∀x ¬x < 0

L3 ∀x∀y (x < y ∨ x ≈ y ∨ y < x)

A1 ∀x x+ 0 ≈ x

A2 ∀x∀y x+ Sy ≈ S(x+ y)

M1 ∀x x · 0 ≈ 0

M2 ∀x∀y x · Sy ≈ x · y + x

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E1 ∀x xE0 ≈ S0

E2 ∀x∀y xESy ≈ xEy · x

E’ facile rendersi conto che questi enunciati sono tutti veri nella struttura abituale

(intesa). L’insieme di questi assiomi (indichiamolo con AE) e dunque soddisfacibile:

la struttura e un modello per essi. Si ha dunque ThAE ⊆ Th<.

Prima di interrogarci sulla completezza di questa teoria, soffermiamoci ad analiz-

zare alcuni aspetti dei suoi modelli. Come nel caso discusso sopra (quello della teoria

dei numeri con successore) anche i modelli di AE sono fatti di catene Z. A differenza

degli assiomi AS, tuttavia, si notera che non e stato incluso l’assioma S3, quello re-

sponsabile del fatto che ogni catena, a parte quella standard, fosse simile all’insieme

Z dei numeri relativi. Ogni settore, quindi, sara in tutto simile a quello standard.

Per L3, inoltre, possiamo dire che ogni punto non standard e piu grande di tutti i

punti standard.

E’ possibile dimostrare il seguente teorema:

Teorema 1.3.5. Per ogni enunciato σ privo di quantificatori e vero in <, AE ` σ.

Corollario 1.3.6. Se σ e un enunciato esistenziale vero in <, allora AE ` σ

Dimostrazione. Se ∃v1∃v2θ e vero in <, allora per qualche numero m ed n, θ(Sm, Sn)

e vero in <. Poiche questa formula e priva di quantificatori, si ha che AE ` θ(Sm, Sn).

Ma θ(Sm, Sn) |= ∃v1∃v2θ.

Come vedremo, sara il quantificatore universale a “rovinare la festa”.

45

1.4 Funzioni rappresentabili in AE

Quanto segue e un catalogo di risultati circa la rappresentabilita di alcune funzioni

in AE. D’ora in poi omettero sempre di sepecificare “in AE” e parlero semplicemente

di funzioni rappresentabili. Dovrebbe essere chiaro che se una funzione e rappre-

sentabile negli assiomi AE sara rappresentabile anche in qualsiasi altra (adeguata)

assiomatizzazione della teoria dei numeri, e in particolare nel sistema di assiomi di

Peano.

1. La funzione successore e funzionalmente rappresentata dall’equazione:

v2 ≈ Sv1

2. Qualunque funzione costante e rappresentabile. Un funzione a m posti che

assume costantemente il valore b e rappresentata da:

vm+1 ≈ Sb0

3. La funzione proiettore Imi (a1, ..., am) = ai e rappresentata dall’equazione:

vm+1 ≈ vi

4. L’addizione, la moltiplicazione e l’esponenziazione sono rappresentate rispetti-

vamente dalle equazioni:

v2 ≈ v1 + v2

v2 ≈ v1 · v2

v2 ≈ v1Ev2

46

La famiglia delle funzioni rappresentabili e chiusa rispetto all’operazione di com-

posizione, grazie al seguente teorema che non dimostreremo.

Teorema 1.4.1 (Chiusura rispetto alla composizione). Sia g una funzione a n

posti, e siano h1, ... , hn funzioni a m posti. Sia in fine f una funzione definita da

f(a1, ..., am) = g(h1(a1, ..., am), ..., hn(a1, ..., am))

Se g e tutte le h1, ... , hn sono rappresentabili, allora f e rappresentabile.

Teorema 1.4.2 (Rappresentabilita dell’operatore di minimimo). Sia g una

funzione rappresentabile a m+1 posti. Poniamo che esista un b tale che g(a1, ..., am, b) ≡

g(−→a , b) = 0. Allora esiste ed e rappresentabile la funzione

f(−→a ) ≡ µb[g(−→a , b) = 0] = il minimo b tale che g(−→a , b) = 0

5. Ogni relazione definibile con una formula senza quantificatori e rappresentabile.

6. La classe delle funzioni rappresentabili e chiusa per unione intersezione e

complemento.

7. Se R e rappresentabile allora anche

{〈a1, ..., am, b〉 : per ogni c < b, 〈a1, ..., am, c〉 ∈ R}

e

{〈a1, ..., am, b〉 : per qualche c < b, 〈a1, ..., am, c〉 ∈ R}

sono rappresentabili.

7. Una relazione R e rappresentabile sse lo e anche la sua caratteristica:

47

KR(−→a ) =

{1 (Se −→a ∈ R)

0 (Altrimenti )

8. Se R e una relazione binaria rappresentabile, e f e g sono rappresentabili, e

rappresentabile anche

{−→a : 〈f(−→a ), g(−→a )〉 ∈ R}

Lo stesso vale anche relazioni m-arie e m funzioni rappresentabili.

9. Se R e rappresentabile lo e anche

S = {〈a, b〉 : per qualche c < b, 〈a, c〉 ∈ R}

10. E’ rappresentabile la relazione di divisibilita:

〈a, b〉 : a divide b in N}

11. L’insieme dei numeri primi e rappresentabile.

12. L’insieme delle coppie adiacenti di primi e rappresentabile.

13. La funzione il cui valore in a e il a+ 1-esimo primo pa, e rappresentabile.

Definizione 1.4.1 (Funzione di codifica). Ad una sequenza di numeri a0, ...am,

facciamo corrispondere il numero:

〈a0, ...am〉 ≡ pa0+10 · ... · pam+1

m =∏i≤m

pai+1i

Questa e la funzione di codifica.

14. Per ogni m, la funzione il cui valore in a0, ...am e 〈a0, ...am〉 e rappresentabile.

48

15. Esiste una funzione rappresentabile tale che per ogni b ≤ m assume il valore:

(〈a0, ...am〉)b = ab

Questa e la funzione di decodifica.

Definizione 1.4.2 (Numeri sequenza). Diremo che b e un numero sequenza sse

per qualche m ≥ −1 e per qualche a0, ..., am si ha:

b = 〈a0, ..., am〉

Se m = −1 si ha 〈〉 = 1

16. Esiste una funzione rappresentabile lg (lunghezza) tale che:

lg(〈a0, ..., am〉) = m+ 1

Definizione 1.4.3 (Ricorsione primitiva). Ad ogni funzione f a k+ 1 posti asso-

ciamo un’altra funzione f che, per ogni j < a, codifica i valori di f(j, b1, ..., bk). Piu

precisamente:

f ≡ 〈f(0,−→b , ..., f(a− 1,

−→b ))〉

f(a,−→b ) e un numero sequenza di lunghezza a che codifica i primi a valori di f .

Teorema 1.4.3. Sia g una funzione a k + 2 posti. Allora esiste un’unica funzione f

tale che

f(a,−→b ) = g(f(a,

−→b ), a,

−→b )

Se g e rappresentabile, lo e anche f .

49

17. Se una funzione F e rappresentabile, la funzione il cui valore in a,−→b e∏

i<a F (i,−→b ) e rappresentabile.

Definizione 1.4.4 (Concatenazione). Dati a e b, la loro concatenazione a ∗ b e

definita da:

a ∗ b ≡ a ·∏

i<lg(b)

p(b)i+1i+lg(a)

Questa e una funzione rappresentabile di a e b. Si ha che

〈a1, ..., am〉 ∗ 〈b1, ...bn〉 = 〈a1, ...am, b1, ..., bn〉

L’operazione di concatenazione e inoltre associativa sui numeri sequenza.

18. In fine definiamo l’operazione⊙

nel seguente modo:

⊙i<a

f(i) = f(0) ∗ f(1) ∗ ... ∗ f(a− 1)

Se F e rappresentabile, la funzione il cui valore in a,−→b e

⊙i<a F (i,

−→b ) e anch’essa

rappresentabile.

1.5 Il teorema di Godel

1.5.1 Una traduzione della prima sezione dell’articolo origi-

nale di Godel

1

1Quella che segue e una mia traduzione della prima parte dell’articolo originale di Godel ([22]).Data la scarsa familiarita dei simboli adottati nell’originale, ho operato alcune modifiche, ove unanotazione piu familiare fosse disponibile.

50

Lo sviluppo della matematica nella direzione di una maggiore esattezza ha con-

dotto, come e noto, ad una sempre crescente formalizzazione, grazie alla quale e ora

possibile produrre dimostrazioni seguendo poche regole meccaniche. Il sistema for-

male piu completo che e stato prodotto e, da un lato, quello dei Principia Mathematica

(PM)2 e, dall’altro l’assiomatizzazione della teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel

(poi ampliato da J. Van Neumann).3 Questi due sistemi sono talmente sviluppati che

e possibile, grazie ad essi, formalizzare tutti i metodi di dimostrazione attualmente

in uso nella matematica: e cioe possibile ridurre tali metodi a pochi assiomi e regole

di deduzione. Sembra pertanto plausibile che queste regole di deduzione siano suffi-

cienti per rispondere a tutte le domande sualla matematica che si possono esprimere

all’interno di questi sistemi. Mostreremo che cio non e vero, che vi sono problemi rel-

ativamente semplici nella ordinaria teoria dei numeri interi4 che non sono decidibili a

partire dagli assiomi. Cio non e dovuto alla particolare natura di questi sistemi, ma si

puo dimostrare per un ampia classe di sistemi formali, che, in particolare, comprende

tutti quelli che si possono ottenere aggiungendo un numero finito di assiomi ai siste-

mi summenzionati5, a patto che questi nuovi assiomi non permettano di dimostrare

2A. Whitehead and B. Russell, Principia Mathematica, 2nd edition, Cambridge 1925. In partico-lare, annoveriamo fra gli assiomi di PM anche l’assioma dell’infinito (nella forma: esistono un’infinitanumerabile di individui), e gli assiomi di riducibilita e della scelta (per tutti i tipi).

3Cfr. A. Fraenkel, ’Zehn Vorlesungen uber die Grundlegung der Mengenlehre’, Wissensch. u.Hyp., Vol. XXXI; J. v. Neumann, ’Die Axiomatisierung der Mengenlehre’, Math. Zeitschr. 27,1928, Journ. f. reine u. angew. Math. 154 (1925), 160 (1929). Si noti che al fine di completarela formalizzazione, gli assiomi e le regole di inferenza del calcolo logico devono essere aggiunti agliassiomi della teoria degli insiemi proposit negli articoli summenzionati. Le osservazioni che seguonopossono applicarsi anche ai sistemi formali proposti recentemente da D. Hilbert e dai suoi colleghi(per quelli, almeno, che sono stati pubblicati finora). Cfr. D. Hilbert, Math. Ann. 88, Abh. aus d.math. Sem. der Univ. Hamburg I (1922), VI (1928); P. Bernays, Math. Ann. 90; J. v. Neumann,Math. Zeitsehr. 26 (1927); W. Ackermann, Math. Ann. 93.

4Cioe, piu precisamente, esistono proposizioni in decidibili nelle quali, oltre alle costanti logiche¬ (non), ∨ (or), ∀ (per ogni) e = (identico a), non vi sono altri concetti, a parte + (l’addizione) e· (la moltiplicazione), entrambe riferite ai numeri naturali, e dove anche il parametro ∀ puo riferirsiai numeri naturali.

5A questo proposito, gli assiomi di PM si considerano distinti solo quando non e possibile generarli

51

dei teoremi falsi. Cominciamo dunque a descrivere approssimativamente la prova,

senza entrare nei dettagli, e, naturalmente, senza voler essere precisi. Le formule di

un sistema formale (qui ci atterremo al caso di PM) possono considerarsi, viste da

fuori, come una sequenza finita di simboli fondamentali (variabili, costanti logiche, e

parentesi o separatori). E’ facile definire precisamente quali sequenze di tali simboli

fondamentali siano formule sintatticamente corrette e quali no.6 Analogamente, le

dimostrazioni non sono altro che sequenze finite di formule (con specifiche propri-

eta definibili). Ovviamente, ai fini della metamatematica, e irrilevante quali oggetti

vengano adottati come simboli fondamentali. Noi pertanto sceglieremo di usare i nu-

meri naturali.7 Cosı, una formula sara una sequenza finita di numeri naturali8, e uno

schema di dimostrazione una sequenza finita di sequenze finite di numeri. I concetti e

le proposizioni metamatematiche divengono conseguentemente concetti e proposizioni

sui numeri naturali, o serie di questi,9 il che li rende (almeno in parte) esprimibili us-

ando i simboli del sistema PM. In particolare, e possibile mostrare che i concetti di

“formula”, “schema di dimostrazione”, “formula dimostrabile”, sono tutti esprimibili

all’interno del sistema PM. E’ possibile, ad esempio, costruire10 una formula F (v) di

PM, contenente una sola variabile libera v (il cui tipo e una serie di numeri), tale

l’uno dall’altro con un semplice cambio di tipo.6Qui, e in quanto segue, l’espresione “formula di PM” denota una formula scritta senza abbre-

viazioni (cioe senza l’uso di definizioni). Le definizioni servono solo ad abbreviare il testo scritto esono pertanto, in principio, inessenziali.

7Cioe mapperemo i segni fondamentali, uno ad uno, suoi numeri naturali (come illustrato nelseguito).

8Cioe una funazione numerica definita su un segmento iniziale dei numeri naturali (i numeri,infatti, non possono essere disposti secondo un ordine spaziale).

9In altre parole, la procedura sopra descritta fornisce un’immagine isomorfa al sistema PM neldominio dell’aritmetica, e qualunque argomento metamatematico puo essere condotto conseguente-mente in questa immagine isomorfa. Questo e cio che accade nello schema di dimostrazione chesegue, cioe: “formula”, “proposizione”, “variabile”, etc. vanno sempre considerati come gli oggettiche vi corrispondono in questa immagine isomorfa.

10Sarebbe molto semplice (sebbene laborioso) scrivere esplicitamente questa formula.

52

che, interpretata circa il suo contenuto, afferma: v e una formula dimostrabile. E’ ora

possibile ottenere una proposizione indecidibile del sistema PM, cioe una proposizione

A per la quale ne A, ne ¬A sia dimostrabile, nel modo seguente:

Definizione 1.5.1 (Nome di classe). Chiameremo nome di classe una formula di

PM contenente una sola variabile libera (del tipo dei numeri naturali).

Si pensi ai nomi di classi come ordinati (in qualche modo) in una serie,11 e si

denoti l’n-simo nome di classe con Rn; notiamo che sia il concetto di nome di classe

che il suo ordinamento sono definibili nel sistema PM. Sia ora α un qualunque nome

di classe. Indichiamo con α(n) la formula che si ottiene sostituendo in α la variabele

libera v con il nome (segno) del numero n. La relazione ternaria x = y(z) e anch’essa

definibile in PM. Possiamo ora definire una classe K di numeri naturali nel seguente

modo:

[Insieme K] K = {n ∈ N : ¬Dim(Rn(n))}

(dove Dim(x) significa che x e una formula dimostrabile). Poiche tutti i con-

cetti usati per costruire la classe K sono definibili in PM, anche la classe K stessa e

definibile in PM. Cio significa che esiste un nome di classe S12 che afferma (nell’in-

terpretazione) che la formula S(n) afferma che n ∈ K. Dato che S e esso stesso un

nome di classe, dovra essere uno dei segni di classe Rn ordinati in precedenza. Si avra

pertanto che, per un qualche numero q: S = Rq.

11Ad esempio secondo il numero crescente di termini che vi occorrono, e per numeri uguali, inordine alfabetico.

12Ancora una volta non vi sarebbe alcuna difficolta, in principio, a scrivere questa formula peresteso.

53

Dimostreremo ora che il teorema

[G] Rq(q)

e indecidibile in PM.13 Supponiamo infatti che G sia dimostrabile. Ne seguirebbe

che, in virtu di come e definito l’insieme K, sarebbe vero che ¬Dim(Rn(n)), il che

contraddirebbe la nostra ipotesi. D’altro canto, se ¬G fosse dimostrabile, ne dovrem-

mo concludere che n /∈ K, ovvero che G. Quindi sia G che ¬G sarebbero dimostrabili,

il che e impossibile.

L’analogia fra questo risultato e l’antinomica di Richard salta all’occhio; vi e anche

una stretta relazione con il paradosso del mentitore,14 poiche il teorema indecidibile

Rq(q) afferma precisamente che q ∈ K, cioe, data la definizione dell’insieme K, Rq(q)

non puo essere provato. Abbiamo quindi a che fare cono un teorema che afferma di

non poter essere dimostrato.15

Il metodo di prova sopra indicato puo chiaramente applicarsi ad ogni sistema for-

male che abbia le seguenti caratteristiche: in primo luogo, una volta interpretato,

deve possedere sufficienti mezzi espressivi per definire i concetti che figurano nella

prova su esposta (in particolare il concetto di “formula dimostrabile”); in secondo lu-

ogo, e necessario che ogni formula dimostrabile al suo interno sia corretta (circa il suo

contenuto). L’esposizione esatta della prova, che mi accingo a presentare, avra fra i

13Si noti che “Rq(q)” (o, il che e la stessa cosa, “S(q)”, e sempliciemente una descrizione meta-matematica del teorema indecidibile. Ma non appena sia stata determinata la formula S, e natural-mente anche possibile determinare il numero q, e quindi scrivere effettivamente il teorema indecidibilestesso.

14Qualunque antinomia epistemologica potrebbe parimenti essere utilizzata per una simile provadi indecidibilita.

15A dispetto delle apparenze, non vi e nulla di circolare in questo teorema, poiche comincia conl’affermare l’impossibilita di dimostrare una formula perfettamente determinata (vale a dire la q-esima nell’ordinamento, con una precisa sostituzione), e solo in un secondo momento (vorremo direquasi per caso) emerege la circostanza che questa formula e proprio quella che esprime questa stessaproposizione.

54

suoi obiettivi, fra gli altri, quello di sostituire la seconda di queste condizioni con una

piu debole e puramente formale. Osservando che Rq(q) afferma la sua indimostra-

bilita, possiamo concludere immediatamente che Rq(q) e corretta, dato che Rq(q) e

certamente indimostrabile (in quanto indecidibile). Cosı il teorema che e indecidibile

all’interno di PM risulta essere dopotutto decidibile sulla base di considerazioni meta-

matematiche. Un analisi minuziosa di questa notevole circostanza conduce a risultati

sorprendenti circa le dimostrazioni di consistenza dei sistemi formali, che verranno

discussi in maggior dettaglio nella sezione 4 (proposizione XI).

1.5.2 Indecidibilita

Prima di continuare con la prova del teorema di G., vorrei fare una breve digressione

sul concetto di indecidibilita. Ricorderete che, secondo la tesi di Church-Turing, una

relazione (un insieme) e decidibile se e solo se e rappresentabile in una teoria finita-

mente assiomatizzabile. Fino ad ora abbiamo avuto a che fare sempre con relazioni

decidibili (e percio rappresentabili in qualche assiomatizzazione). Ma come deve es-

sere una relazione, per non essere decidibile? Che tipo di formula potrebbe definirla?

Si ha spesso l’impressione, specialmente leggendo alcuni commenti sul teorema di

Godel, che le relazioni indecidibili siano cose arcane, che noi esseri umani riusciamo a

dimostrare vere in virtu di qualche misterioso potere. Alcune metafore forse possono

aiutare a fugare questa impressione. Un insieme di assiomi, come AS, o AE, puo

essere pensato come l’intero contenuto informativo di una favola, diciamo Cappuc-

cetto Rosso. Leggendo Cappuccetto rosso, infatti, veniamo in possesso di un certo

numero di informazioni, contenute letteralmente nel racconto. Sappiamo ad esempio

che Cappuccetto Rosso ha una nonna. Questo sara un assioma. Indichiamo l’insieme

55

di tutti questi assiomi con AC . Ora la teoria di Cappuccetto Rosso (ThC) e l’insieme

di tutte le cose che sono vere di Cappuccetto Rosso. Ora, a partire dagli assiomi AC ,

e con l’aiuto della logica (Λ), possiamo dedurre un gran numero di fatti che non sono

letteralmente contenuti nella favola. Dal fatto che cappuccetto “cammina... cammi-

na”, ad esempio, possiamo dedurre che cappuccetto non e rimasta ferma a casa. Non

c’e un enunciato, nella favola, che dica espressamente che cappuccetto non e rimasta

a casa, ma possiamo ugualmente annoverarlo fra le cose che sappiamo. L’insieme di

tutte le cose che possiamo dedurre, sara l’insieme delle conseguenze di AC : CnAC .

Saremo percio sicuri che CnAC ⊆ ThC. Ma, usando il nostro linguaggio naturale, e

la nostra fantasia, potremmo chiederci mole cose, circa Cappuccetto Rosso, che non

sono ne assiomi, ne sono decidibili sulla base di questo. Ad esempio, di che colore

sono gli occhi di Cappuccetto Rosso? Se indichiamo con b l’enunciato: “gli occhi di

C.R. sono blu”, e evidente che non avremo mai ne AC ` b ne AC ` ¬b. L’enunciato

b sara quindi indecidibile dagli assiomi AC (Si noti che, tuttavia, grazie agli assiomi

logici Λ, si avra AC ` (b ∨ ¬b)).

Ora, e evidente che possiamo decidere di aggiungere b agli assiomi (ad esempio

spinti dalla curiosita di un bambino). Ora si che avremo AC + b ` b e, se il nuovo

insieme e consistente, AC + b 0 ¬b. La vera storia di Cappuccetto Rosso sara un

modello anche per questo nuovo sistema di assiomi (dopotutto abbiamo aggiunto un

innoquo enunciato che non cambia una virgola di tutto il resto). Ma sara sempre

possibile anche aggiungere ¬b alla storia di Cappuccetto Rosso, e otterremo un’altra

versione della storia.

Un caso simile, e piu vicino alle nostre preoccupazioni matematiche, e quello del

teorema di pitagora. Si consideri nuovamente la nostra teoria assiomatica. E si

56

consideri l’enunciato p = ∀x∀y ¬(x2

y2 ≈ SS0). Noi sappiamo che, per una nota

dimostrazione che ha reso celebre Pitagora e i suoi seguaci, questo enunciato e vero

per i numeri naturali: la radice quadrata di due non e un numero razionale. Ora, gli

assiomi AE, a guardarli bene, sono veri anche se pensiamo che il modello inteso siano

i numeri reali (basta notare che l’operatore S si puo interpretare come: Sn = n + 1,

anziche come “successore di”). L’insieme dei numeri reali, pertanto, e anch’esso un

modello per i nostri assiomi. Ora, chiediamoci, sara possibile dimostrare p dagli

assiomi? Poniamo di si. Poniamo cioe che AE ` ∀x¬(x2 ≈ SS0). Per il teorema

di correttezza avremo anche AE `|= ∀x∀y ¬(x2

y2 ≈ SS0). Ma, nell’interpretazione

reale, l’enunciato ∀x∀y ¬(x2

y2 ≈ SS0) e falso! Poniamo allora che sia dimostrabile

¬p: AE ` ∃x∃y (x2

y2 ≈ SS0). Di nuovo si avra anche: AE |= ∃x∃y (x2

y2 ≈ SS0). Ma

ancora una volta ci imbattiamo in modello in cui l’interpretazione di questo teorema e

falso. Ne dobbiamo trarre la conclusione che, o gli assiomi sono inconsistenti, oppure

p e una proposizione indecidibile. Questo significa solo che l’enunciato p non fa parte

della teoria CnAE. La teoria CnAE e pertanto compatibile sia con p che con ¬p.

Cosa possiamo concludere dai fatti esposti sopra? Si sarebbe tentati (specie se

spinti da intuizioni particolarmente platoniste) di interpretare il fatto che gli assiomi

non permettono di dimostrare (ne di refutare) p, che questi assiomi non siano sufficien-

temente completi. Che ci sono verita che gli sfuggono semplicemente perche non sono

in grado di precisare con sufficiente esattezza il loro modelli. Avendo troppi modelli

diversi fra loro, ci saranno enunciati veri in alcuni ma non in altri modelli. In effetti

basta notare che se aggiungessimo S3 agli assiomi AE, sarebbe possibile dimostrare p.

Se invece si aggiungessero gli assiomi della teoria dei numeri reali (come quello della

completezza di Dedekind e l’esistenza degli elementi inversi delle operazioni), allora

57

si potrebbe dimostrare ¬p.

Aggiungere assiomi, per ottenere la completezza di un sistema formale, e una

tentazione piu che comprendsibile. Quando Presburger dimostro la completezza di <A

(e non fu cosa facile), a Hilbert e ai suoi colleghi parse plausibile che, in qualche modo

magari complicatissimo si sarebbe potuta dimostrare la completezza degli assiomi di

Peano. Se la prova di Godel si fosse limitata a mostrare che esistono proposizioni

matematiche indecidibili dagli assiomi di Peano, nessuno si sarebbe scoraggiato piu

di tanto: sarebbe scattata la caccia all’ultimo assioma. Ora, e importante notare

che esiste una tensione essenziale fra completezza e consistenza. Quando si aggiunge

un assioma a un sistema formale, infatti, naturalmente si spera che questo non sia

dimostrabile dagli altri (altrimenti il suo contributo sarebbe totalmente inutile). Ma

si spera anche che non sia dimostrabile la sua negazione!

Un caso analogo, e forse piu raffigurabile, e quello della rappresentazione carte-

siana di un punto nello spazio. Poniamo di voler rappresentare la posizione di un

punto nello spazio. Sappiamo che, dato un punto di origine, e un sistema di as-

si, avremo bisogno di almeno tre numeri. Se infatti avessimo solo due numeri, ci

mancherebbe l’informazione necessaria per “catturare” una volta per tutte il nostro

punto. Vogliamo inoltre che questi tre punti non diano informazioni “contradditorie”

circa la posizione del punto rispetto a ogni particolare asse: dobbiamo avere, insom-

ma, tutta l’informazione necessaria, ma non troppa. Insomma, se abbiamo solo due

numeri (anche se questi si trovano su due assi distinti), l’informazione che avremmo

sarebbe compatibile con molti punti: il nostro sistema di informazioni sarebbe in-

completo; se invece due o piu numeri si riferissero alla posizione rispetto a uno stesso

asse, allora l’informazione che avremmo sarebbe “contradditoria”.

58

Poniamo ora lo strano caso cosmicomico di avere tre coordinate (che pensiamo

essere) cartesiane. Poniamo cioe che una data terna di coordinate sia compatibile, alla

prova dei fatti, con piu di un punto, cosa dovremmo pensare? Con le tre dimensioni

che ci sono date non potremmo fare nulla, poiche ogni altro (quarto) punto avrebbe

una proiezione sugli assi che “contraddirebbe” quelle che gia abbiamo. Avremmo tre

possibilita.

1. Ci siamo sbagliati: gli assi che abbiamo scelto non sono dopotutto indipendenti

l’uno dall’altro (cioe le informazioni che abbiamo dopotutto si contraddicono).

2. Ci sono quattro dimensioni, e forse sara possibile “catturare” il nostro punto

con una quarta coordinata cartesiana. Oppure

3. Non esistono punti, cioe non esistono enti a zero dimensioni: ecco perche non

riuscivamo a individuarne uno. In questo caso, per quante dimensioni decidiamo di

aggiungere, non riusciremo mai a catturare un punto con una n-tupla di coordinate.

1.5.3 L’aritmetizzazione della sintassi

Torniamo alla dimostrazione del teorema. Nella seconda parte del suo articolo Godel

fa le seguenti tre cose (oltre a dare delle definizioni che gia conosciamo):

1. Introduce gli assiomi. Gli assiomi usati da Godel per dimostrare il teorema sono

del tutto simili a quelli scelti per questa esposizione: gli assiomi logici Λ (presenti nei

Principia Mathematica di Russell) e gli assiomi aritmetici. Gli assiomi scelti da Godel

per l’aritmetica sono gli assiomi di Peano. Differiscono quindi dai nostri (AE) per la

presenza degli infiniti assiomi dello schema di induzione, e per l’assenza di assiomi

per l’esponenziazione (che e rappresentabile a partire dalle operazioni fondamentali).

59

2. Compone un catalogo di funzioni e relazioni che sono rappresentabili nel sis-

tema di assiomi.16 Oltre a enumerare le relazioni e le funzioni matematiche rappre-

sentabili che abbiamo presentato nel lungo catalogo poco fa, Godel, come promesso

nell’introduzione del precedente paragrafo, procede ad associare numeri, relazioni

e funzioni ai concetti sintattici dell’aritmetica e della meta-aritmetica. Vi saranno

quindi numeri associati ai parametri del linguaggio, alle variabili, alle formule, alle

formule dimostrabili, all’affermazione che una sequenza di formule e la dimostrazione

di un’altra, etc.

3. Infine Godel mostra, usando le relazioni e le funzioni rappresentabili del cata-

logo, che esiste una relazione fra numeri che non e rappresentabile in alcun sistema

ricorsivo di assiomi (cioe che la teoria dei numeri non e assiomatizzabile).

In questo paragrafo ci occuperemo del punto 2. Cioe di spiegare come sia possibile

“rispecchiare” la metamatematica nell’aritmetica.

Per prima cosa, notiamo che e possibile associare ad ogni simbolo (parametrico o

logico) un numero naturale. Vi sara cioe una funzione h tale che h(∀) = 0, h(0) = 2,

etc. La seguente tabella mostra i simboli alla destra dei valori di questa funzione.

Ora stabiliremo un modo per associare a ciascuna formula del linguaggio un

numero naturale.

Definizione 1.5.2 (Numeri di Godel delle espressioni).

16Nell’articolo originale G. usa il termine “ricorsivo”, al posto del nostro “rappresentabile”. Comeabbiamo visto i due concetti sono intercambiabili.

60

Espressioni Per ogni espressione ε = s0...sn del linguaggio definiamo il suo

numero di Godel ](ε) nel modo seguente:

](s0...sn) = 〈h(s0), ..., h(sn)〉

Insiemi di espressioni Ad un insieme di espressioni Φ associamo l’insieme di

numeri di Godel:

]Φ = {](ε) : ε ∈ Φ}

Sequenze di espressioni Ad un sequenza di espressioni 〈α0, ..., αn〉 associamo

il numero:

γ(〈α0, ..., αn〉) = 〈]α0, ...]αn〉

Ora, usando le relazioni e le funzioni rappresentabili definite in precedenza e

possibile costruire le seguenti relazioni (insiemi) rappresentabili.

1. L’insieme dei numeri di Godel delle variabili e rappresentabile.

Tabella 1.1: Numeri di Godel dei simboli

Parametri Simboli

0. ∀ 1. (2. 0 3. )4. S 5. ¬6. < 7. →8. + 9. ≈10. · 11. v1

12. E 13. v2

61

2. L’insieme dei numeri di Godel dei termini e rappresentabile.

3. L’insieme dei numeri di Godel delle formule atomiche e rappresentabile.

4. L’insieme dei numeri di Godel delle formule ben formate e rappresentabile.

5. Esiste una funzione rappresentabile Sost tale che, per ogni termine o formula α,

variabile x, e termine t:

Sost(]α, ]x, ]t) = ]αxt

6. La funzione il cui valore in n e ](Sn0) e rappresentabile.

7. Esiste una relazione rappresentabile Lib tale che, per ogni termine o formula α e

variabile x:

〈]α, ]x〉 ∈ Lib⇔ x occorre libera in α

8. L’insieme dei numeri di Godel degli enunciati e rappresentabile.

9. Esiste una relazione rappresentabile Sosb tale che, per ogni termine o formula α,

variabile x, e termine t, 〈]α, ]x, ]t〉 ∈ Sosb sse t e sostituibile a x in α.

10. La relazione Gen, dove 〈a, b〉 ∈ Genn sse a e il numero di Godel di una formula

e b e il numero di Godel della generalizzazione di quella formula, e rappresentabile.

11. L’insieme dei numeri di Godel delle tautologie e rappresentabile.

12. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma ∀xφ→ φxt , dove t e un

termine sostituibile alla variabile x in φ, e rappresentabile.

13. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma

∀x(α→ β) → ∀xα→ ∀xβ e rappresentabile.

14. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma α→ ∀xα, dove x non

occorre libera in α, e rappresentabile.

62

15. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma x ≈ x e rappresentabile.

16. L’insieme dei numeri di Godel delle formule della forma x ≈ y → α→ α′, dove

α e atomica e α′

si ottiene sostituendo x in 0 o piu posti con y, e rappresentabile.

17. L’insieme dei numeri di Godel degli assiomi logici e rappresentabile.

18. Per un insieme finito A di formule, γ(D) : De una deduzione da A, e

rappresentabile.

19. Ogni funzione rappresentabile e definibile in <

20. Sia A un insieme di enunciati tali che ]A sia rappresentabile. Possiamo definire

(si noti bene, non sempre rappresentare) l’insieme CnA nel seguente modo:

a ∈ ]CnA sse ∃d : [(1) d e il numero di una deduzione da A, (2) l’ultimo

componenente di d e a e (3) a e il nuemro di Godel di una formula]

La parte fra parentesi quadre e rappresentabile. Tuttavia non sempre l’insieme

cosı definito sara a sua volta rappresentabile (in quanto non vi e alcun limite su d.

Teorema 1.5.1 (Rappresentabilita di teorie ricorsivamente assiomatizzabili).

Se ]A e rappresentabile e CnA e una teoria completa, allora ]CnA e rappresentabile.

1.5.4 Il teorema di Godel

Eccoci dunque arrivati alla parte cruciale dell dimostrazione. Per cominciare daro

una prova diversa da quella data da Godel nel 1931. Poi commentero le differenze

sostanziali. Il teorema di incompletezza fa uso di un risultato molto potente, il Lemma

del punto fisso, che enuncio e dimostro qui sotto.

Teorema 1.5.2 (Lemma del punto fisso). Data qualunque formula β in cui solo

v1 occorre libera, esiste un enunciato σ tale che

63

AE ` [σ ↔ β(S]σ0)]

Indirettamente tale formula afferma di essere vera di se stessa.

Dimostrazione. Sia θ(v1, v1, v3) una formula che rappresenta in CnAE la funzione il

cui valore in 〈]α, n〉 e ](α(Sn0)). Si consideri dunque la formula:

∀v3[θ(v1, v1, v3) → β(v3)] (1.5.1)

Sia q il numero di Godel di 1.5.1 e sia σ la formula:

∀v3[θ(Sq0, Sq0, v3) → β(v3)] (1.5.2)

Dobbiamo dimostrare che

σ ↔ β(S]σ0) (1.5.3)

e deducibile da AE. Si ha, per come abbiamo scelto θ,

AE ` ∀v3[θ(Sq0, Sq0, v3) → v3 ≈ S]σ0] (1.5.4)

Ora, e evidente che

σ ` ∀v3[θ(Sq0, Sq0, S]σ0) → β(S]σ0)]

e, dalla 1.5.4

AE ` θ(Sq0, Sq0, S]σ0)

64

Percio:

AE;σ ` β(S]σ)

Questa e la prima meta della 1.5.3 che vogliamo dimostrare. Ora basta notare che

la 1.5.4 implica

β(S]σ) → [∀v3(θ(Sq0, Sq0, v3) → β(v3))]

Ma la formula fra parentesi quadre e proprio σ, e questo conclude la prova.

Questo teorema, che Godel ha attribuito a Rudolph Carnap, e, come vedremo,

estremamente potente. Cominciamo con l’enunciare e dimostrare l’indecidibilita della

teoria dei numeri.

Teorema 1.5.3 (Teorema di indecidibilta di Tarski). L’insieme ]Th< dei nu-

meri di Godel degli enunciati veri nella struttura < non e definibilie in <.

Dimostrazione. Si noti che dal lemma del punto fisso segue immediatamente che

|=< [σ ↔ β(S]σ0)]

Si consideri dunque una qualunque formula β e si faccia l’ipotesi che β definisca

]Th<. Applicando il lemma del punto fisso alla formula ¬β si ottiene

|=< [σ ↔ ¬β(S]σ0)]

Ne segue che

65

|=< σ ⇔6|=< β(S]σ0)

Cioe

|=< σ ⇔6|=< σ

il che e impossibile. Dunque, o σ e vera ma non nell’insieme, oppure e falsa e

nell’insieme. In ogni caso cade l’ipotesi che β definisca ]Th<. Ne segue che la teoria

dei numeri e indecidibile.

A fortiori ne segue che:

Corollario 1.5.4. La teoria ]Th< non e rappresentabile.

Siamo dunque giunti alla prova del teorema di incompletezza.

Teorema 1.5.5 (Primo teorema di incompletezza di Godel). Se A ⊆ Th< e

]A e rappresentabile, allora CnA non e una teoria completa.

In particolare non esiste alcuna assiomatizzazione ricorsiva completa di Th<.

Dimostrazione. Poiche A ⊆ Th<, si ha che CnA ⊆ Th<. Se CnA e completa allora

vale l’identita. Se CnA fosse completa allora ]CnA sarebbe rappresentabile, il che

non e in forza del precedente corollario.

Nell’articolo del 1931, Godel non utilizzo il teorema di Tarski, ma costruı la frase

σ che abbiamo definito nella dimostrazione del lemma del punto fisso. Se gli assiomi

sono consistenti, σ e vera ma non dimostrabile, cioe gli assiomi sono incompleti.

66

Nell’articolo del 1931, Godel dimostro anche un’altro teorema, noto come secon-

do teorema di incompletezza di Godel. Questo e particolarmente importante per la

storia della matematica, poiche alcuni ritengono che abbia inferto un colpo mortale

al progetto formalista di Hilbert. Sostazialmente il teorema afferma che e possibile

dimostrare all’interno dell’aritmetica che se un sistema di assiomi e consistente, allora

dimostra la proposizione σ (o G, come e piu comunemente nota) di Godel.

Preliminarmente bisogna notare che e possibile rappresentare la consistenza degli

assiomi all’interno dell’aritmetica stessa. Se gli assiomi fossero inconsistenti, infatti,

sarebbe possibile dimostrare qualunque formula, cioe non vi sarebbe alcuna formula

che non e un teorema. Quindi la consistenza degli assiomi e equivalente all’affer-

mazione che una data formula non e un teorema. Prendiamone una a caso, ad esem-

pio la formula ¬(0 ≈ 0). Se AE 6` ¬(0 ≈ 0) allora il sistema di assiomi e consistente

(Cons(AE)). Viceversa, se AE ` ¬(0 ≈ 0) il sistema e inconsistente (¬Cons(AE).

Dunque la consistenza degli assiomi e rappresentabile all’interno del sistema.

Teorema 1.5.6 (Secondo teorema di incompletezza di Godel). Dato qualunque

sistema di assiomi A che abbia per modello <:

A ` [Cons(A) → σA]

Dove σA e la formula di Godel per il sistema di assiomi A.

Assieme al primo teorema, questo significa che, se A ` Cons(A) allora il sistema

e inconsistente.

Il secondo teorema comporta che, se crediamo che gli assiomi dell’aritmetica siano

consistenti, dobbiamo rinunciare a dimostrarne la consistenza all’interno dell’aritmet-

ica stessa. Di fatto la consistenza dell’aritmetica e stata dimostrata da un teorema

67

di Genzen. Se la prova utilizzata non facesse ricorso a procedure dimostrative che

non sono rispecchiabili nell’aritmetica, questo equivarrebbe ad aver dimostrato che

l’aritmetica di Peano e inconsistente. Fortunamente i metodi usati da Genzen (in par-

ticolare la cosiddetta induzione transfinita) non sono rappresentabili nell’aritmetica

di Peano.

Concludiamo enunciando un risultato ottenuto da Church

Teorema 1.5.7 (Teorema di Church). L’insieme dei numeri di Godel delle for-

mule valide nel linguaggio < non e rappresentabile.

1.6 Generalizzazioni del teorema di Godel

1.6.1 Il problema della fermata di Turing

A volte, mentre lavoriamo al computer, la macchina si blocca, non e piu possibile

continuare il lavoro, interrompere il programma che si stava usando, o fare qualunque

cosa che non sia staccare la spina e riavviare tutto. Viene fatto di chiedersi perche mai

i programmatori non inventino un programma che sappia in anticipo che questo sta

per accadere e lo impedisca. I programmi scritti per il calcolatore, se sono fatti bene,

non si fermano quasi mai: continuano fino a quando (in u tempo finito) raggiungono

lo stato desiderato (quello che e stato programmato per essere tale) e si fermano li.

E’ inevitabile che a volte, pero, spece se nel programma c’e una qualche istruzione del

tipo “continua ad eseguire questa operazione fino a che non e vero che p”, accade che

non si fermano mai. Ad esempio, un programma che continua ad aggiugere 1 ad un

numero dato, e che sia istruito a fermarsi solo quando il numero ottenuto in un certo

momento sia uguale a qualcuno dei numeri gia ottenuti in precedenza, e ovvio che non

68

si ferma mai. In questo caso e evidente che il programma non si fermera mai, anche

senza fare alcuna prova per verificarlo. Il problema della fermata puo essere espresso

in questo modo. E’ possibile scrivere un programma che riceva in input qualunque

programma e risponda (in un tempo finito) “Si” se il programma si ferma e “No” se

invece non si ferma? Nel 1937 il matematico Alan Turing dimostro, ispirandosi al

teorema di Godel (come egli stesso ammise) il cosiddetto teorema della fermata: non

esiste alcun programma universale per decidere se un generico programma si fermera

o no.

Piu formalmente, Turing ha dimostrato il seguente:

Teorema 1.6.1 (Teorema della fermata di Turing). Consideriamo una qualunque

enumerazione delle funzioni ricorsive, in cui la funzione φi corrisponde alla i+1-esima

funzione ricorsiva. Cioe detta f la i+ 1-esima funzione ricorsiva, abbiamo:

φi(y) = f(y)

Allora, non esiste nessuna funzione ricorsiva g tale che per ogni x e y

g(x, y) =

1 (Se φi(y) e definita )

0 (Altrimenti )

Dimostrazione. Supponiamo per ipotesi che g sia ricorsiva. Allora lo sarebbe anche

una funzione h cosı definita:

h(x) =

1 (Se g(x, x) = 0 cioe seφx(x) non e definita)

Indefinita (Altrimenti )

69

Supponiamo che nell’enumerazione delle funzioni ricorsive che abbiamo scelto, n

sia l’indice della funzione h, cioe che h = φn. Sara allora possibile inserire il numero

n stesso come argomento alla funzione h, abbiamo h(n) = φn(n). Avremo allora che

h = 1 sse g(n, n) = 0. Ma per la definizione di g abbiamo che g(n, n) = 0 sse non e

definita. Insomma φn(n) = h(n) = 1 se e solo se g(n, n) = 0, cioe φn(n) = 1 se e solo

se non e definita, che e assurdo. Quindi l’ipotesi iniziale che g fosse ricorsiva e falsa.

1.6.2 La prova di Kleene

Sulla falsariga del teorema dimostrato da Turing, Kleene ha proposto una generaliz-

zazione del teorema di Godel. Come vedremo nel prossimo capitolo, e questa versione

piu semplice della prova di Godel che e stata recentemente usata per confutare il mec-

canicismo. Prima di proporre una versione piu formale della prova, voglio raccontare

una storiella che la ricorda da vicino.17

1. Qualcuno un giorno presento a Godel una macchina, Oracle, capace di rispon-

dere correttamente a qualunque domanda gli venisse posta.

2. Godel chiese che gli venissero consegnati il programma e il progetto dei circuiti

di Oracle. Forse il programma era complicato, ma non poteva che essere di lunghezza

finita. Chiamiamo questo programma P(Oracle).

3. Con un sorriso beffardo, Godel scribacchio il seguente enunciato: “La macchina

costruita sulla base del programma P(Oracle) non dira mai che questo enunciato e

vero.” Chiamiamo questo enunciato G. Quindi G e equivalente a “Oracle non dira

mai che G e vero.”

17Una versione di questa storiella, si trova in un libro di R. Rucker ([46])

70

4. Ora Godel scoppio in una grassa risata, e chiese a Oracle se G era vera.

5. Se oracle avesse detto che G e vera, allora “Oracle non dira mai che G e vero.”

sarebbe stata falsa. Ma se “Oracle non dira mai che G e vero.” e falsa, allora G e

falsa. Quindi, se Oracle avesse detto che G e vera, allora G sarebbe stata in realta

falsa, e Oracle avrebbe detto qualcosa di falso. Ma allora Oracle non direbbe mai che

G e vera, poiche Oracle dice solo cose vere.

6. Abbiamo stabilito che Oracle non direbbe mai che G e vero. Allora “Oracle

non dira mai che G e vero.” e un enunciato vero. Cioe G e vero.

7. “Io conosco una verita che tu non potrai mai pronunciare”, disse Godel a

Oracle, “Io so che G e vera. Non sei un vero oracolo!”

Torniamo dunque alla prova di Kleene. Poniamo che vi sia una procedura effettiva

(Oracle) che comprende tutte le procedure a disposizione della comunita matemat-

ica allo scopo di dimostrare teoremi. In particolare, Oracle teoremi della forma “la

computazione C(n) non termina. Questi ultimi enunciati, detti anche enunciati Π1,

sono equivalenti a enunciati della forma “per ogni m, m non e il codice di una com-

putazione completa del programma C con argomento n”. Un’assunzione che facciamo,

circa Oracle (simile a quella fatta nella storiella, e che speriamo di ridurre all’assur-

do) e che deve essere corretta, nel senso che Oracle non da mai risposte false. Se

Oracle permette di stabilire che la computazione C(n) non termina, allora davvero

C(n) non termina. Ora, le computazioni a un argomento, in quanto rappresentabili

come stringhe di simboli di un alfabeto finito, possono essere enumerate effettivamente

in una lista: C1, C2, C3, ..., Cn, .... Assumiamo che se Oracle termina con argomen-

ti q e n, allora Cq(n) non termina. In altre parole, l’arrestarsi della computazione

Oracle(q, n) “dimostra” l’enunciato “Cq(n) non termina”. Siccome Oracle e corretta,

71

abbiamo che

1. Se Oracle(q, n) termina, allora Cq(n) non termina. In particolare, per q = n,

si ha che

2. Se Oracle(n, n) termina, allora Cn(n) non termina. A questo punto si osserva

che la procedura Oracle(n, n) dipende solo piu dall’unico parametro n, e quindi deve

a sua volta essere una delle procedure C1, C2, C3, ..., Cn, ..., ad esempio Ck. Ne segue

che

3. Ck(k) termina se e solo se Oracle(k, k) termina. Da (2), con n = k, si ha

4. Se Oracle(k, k) termina, allora Ck(k) non termina, e da (3) e (4),

5. Se Ck(k) termina, allora Ck(k) non termina. Questo implica che la com-

putazione Ck(k) non puo terminare. Ma allora, per (3), nemmeno la computazione

Oracle(k, k) puo terminare. Quindi la procedura Oracle e incapace di determinare

la mancata terminazione di Ck(k), contro l’ipotesi.

Capitolo 2

Argomenti Godeliani contro ilmeccanicismo

2.1 Introduzione

Dopo una breve introduzione al meccanicismo contemporaneo (par. 2.2), vengono

introdotti i principali argomenti Godeliani contro di esso (par. 2.3).

2.2 Il meccanicismo contemporaneo

Uno stesso numero, il numero due, ad esempio, puo avere vari nomi: 10 (in una rap-

presentazione binaria), 2 (in una rappresentazione decimale)... etc. Il fatto cruciale

che va notato e che un’operazione fra numeri, l’addizione diciamo, si puo effettuare

manipolando consistentemente in un certo modo i nomi dei numeri. Dopotutto, quan-

do ci viene insegnato per la prima volta a fare di conto, ci concentriamo nello sforzo

di conformarci a queste regole, anziche pensare ai numeri stessi. L’idea che vi siano

dei numeri, e quindi che si stia davvero parlando di qualcosa, arriva dopo, ci viene

raccontata, e trova riscontro nel fatto che c’e sempre una sola risposta giusta. Ma

72

73

queste regole sintattiche, meccaniche, funzionano solo per il particolare sistema di

rappresentazione che decidiamo di usare (nel nostro caso quello decimale): la ricetta

formale per sommare due numeri e diversa se sono rappresentati (nominati) in un sis-

tema binario o in uno decimale. Cio che conta, tuttavia, e che queste ricette formali

realizzino tutte (implementino) la stessa operazione.

Alla semantica, in questo quadro, e riservato un ruolo ancillare. La stessa oper-

azione, infatti, proprio in quanto non e essa stessa dipendente dal sistema di rapp-

resentazione, deve potersi individuare (identificare da un punto di vista metafisico)

indipendentemente da qualunque sistema per rappresentarla (e se per questo anche in-

dipendentemente da qualunque rappresentazione, da qualunque concetto semantico).

Ora i nomi, di solito, fanno un lavoro semantico: significano. Ma la sola proprieta che

i simboli che figurano in una descrizione di un’operazione (l’addizione in questo caso)

devono possedere, e l’interpretabilita. Questo quadro della computazione garantisce

una sana divisione del lavoro concettuale fra il sistema formale astratto e il sistema

fisico (la macchina) che lo implementa: la macchina fisica serve solo a manipolare gli

insignificanti (per lei) nomi dei numeri, in accordo con le regole. Tale divisione del

lavoro concettuale e ben espressa nella tesi che il cervello sia una “macchina sintattica

che conduce una macchina semantica”1.

Sommare dei numeri non e che un esempio di cio che l’intelligenza umana puo fare

(certo non uno dei piu brillanti). L’idea chiave di ogni tesi computazionalista e che il

cervello, o qualunque sia il medium implementazionale, faccia lo stesso lavoro che le

ricette nome-dipendenti fanno nel caso dell’addizione, realizzando (implementando)

1Cfr. Block [8].

74

quest’ultima per mezzo di una struttura causale ad esse isomorfa. Le ricette nome-

dipendenti realizzano l’addizione operando meccanicamente su simboli che sono sis-

tematicamente interpretabili come riferentisi a numeri. La struttura causale isomorfa

di un sistema fisico trasforma meccanicamente i simboli in conformita con questa

ricetta nome-dipendente, cosı realizzando fisicamente quell’operazione. E’ possibile

che questo sia cio che fa il nostro cervello. E se ogni comportamento intelligente si

potesse spiegare cosı? “Calculemus!”, affermava Leibniz.

Hobbes, in un passo frequentemente citato, affermava che:

Quando un uomo ragiona non fa altro che concepire una somma totale da

un addizione di parti oppure un resto da una sottrazione di una somma da

un’altra, e questo (se si fa con le parole) e il concepire la consequenzialita

dai nomi di tutte le parti al nome dell’intero oppure dai nomi dell’in-

tero e di una parte al nome dell’altra parte [...]. Queste operazioni non

riguardano soltanto i numeri, ma tutte quelle cose che possono essere ad-

dizionate insieme e sottratte l’una dall’altra. Infatti, come gli aritmetici

insegnano ad addizionare e a sottrarre con i numeri, cosı i geometri in-

segnano la stessa cosa riguardo a linee, figure (solide e piane). I logici

insegnano la stessa cosa a livello della consequenzialita delle parole, ad-

dizionando insieme due nomi per dare luogo ad un’affermazione e due

affermazioni per creare un sillogismo e piu sillogismi per produrre una

dimostrazione.2

Uno dei primi fruttuosi tentativi di simulare artificialmente la cognizione umana fu

il “Logic Theorist . Nel 1956 Allen Newell, Cliff Shaw and Herbert Simon3 mostrarono

2T. Hobbes, Leviatano ([26]), pp. 67-69.3Newell, Shaw and Simon [1].

75

come la loro creatura riuscisse a dimostrare 38 dei primi 52 teoremi provati da Russell

e Whitehead nei loro Principia Mathematica. Nel loro lavoro gli autori impiegarono la

seguente ricetta euristica. Usare un codice simbolico simile al linguaggio per rappre-

sentare il mondo (gli oggetti del mondo e il funzionamento che questi oggetti manifes-

tano. Questo costituisce la “base di conoscenze” (“knowledge base) della macchina.

Usare dei mezzi di input per trasdurre appropriatamente il flusso di stimoli ambientali

in un sistema di rappresentazioni per essi (queste rappresentazioni devono adoperare

lo stesso codice impiegato per formare la base di conoscenze). La macchina deve poi

usare entrambi la base di conoscenze e l’informazione trasdotta per produrre ulteriore

strutture di simboli (sulla base di procedure algoritmiche). Alcuni di questi simboli

“nuovi” devono essere designiati a fungere da output. Finalmente, una ulteriore

trasduzione deve tradurre questi ultimi in un comportamento appropriato.

L’ipotesi di sistema simbolico (ISS), proposta da Newell e Simon nel 19764, e

da allora considerato il nocciolo duro del paradigma computazionalista, si puo pen-

sare come ad una risposta a queste domande fondamentali sul pensiero: 1) Puo una

macchina pensare? 2) Cosa e necessario affinche una macchina pensi? E, 3) cosa e

sufficiente affinche una macchina pensi? La risposta alla prima domanda, se la ISS

e corretta, e si. La risposta alla seconda e che cio che e necessario e la capacita

di manipolare simboli. Infine la sufficienza si otterra seguendo le linee guida sopra

esposte.

L’entusiasmo per i frequenti successi del progetto fecero accantonare per lungo

tempo ogni dubbio circa la correttezza dell’ipotesi, e a maggior ragione circa la sua

sensatezza.

4Newell e Simon [37].

76

Enthusiasm about the early successes of the programme set aside all concerns

about the truth of the hypothesis for a long time, let alone concerns over the mean-

ingfulness of the hypothesis. “L’intuizione, la capacita di ideazione e l’apprendimento,

dissero Newell e Simon, “non sono piu prerogativa degli umani [...]. Vi sono oggi al

mondo macchine che possono pensare, che apprendono e che possono creare5.

Tanto entusiasmo, prevedibilmente, si dimostro eccessivamente ottimista. Persino

le macchine piu sofisticate oggi (a piu di 50 anni dall’inizio del progetto) non sono

che giocattoli rispetto a una macchina che puo pensare, apprendere e creare.

Oggi il computazionalismo non e piu solo senza rivali nel panorama dell’intelli-

genza artificiale. Spinto da una crescente pressione da parte di concezioni rivali, e

anche da alcune obiezioni interne, nelgi anni 80’, 90’ e ancor piu oggi, la concezione

standard del computazionalsimo pare aver fatto un numero cospicuo di concessioni a

punti di vista tradizionalmente non computazionalisti.

Molte di queste obiezioni paiono, almeno a prima vista, additare la difficolta del

computazionalismo di accomodare quelle che potremo genericamente chiamare “le

proprieta semantiche delle menti”. Il famoso argomento della stanza cinese di Searle, il

problema del radicamento dei simboli di Harnad, e persino alcuni aspetti del problema

piu tecnico della trasduzione, sono tutti esempi di questa area problematica. Dico

che queste obiezioni paiono potersi ricondurre a una difficolta del computazionalismo

a trattare le capacita semantiche degli agenti, perche ritengo che il problema risieda

altrove: nella nozione stessa di computazione.

L’obiezione Godeliana al computazionalsimo, di cui ci stiamo occupando in questo

lavoro, e che, come abbiamo visto, fallisce nell’intento desiderato, puo essere pero

5Newell e Simon [37], p. 6.

77

pensata come un sintomo di questa cattiva comprensione della nozione di realizzazione

di una computazione.

A prima vista (almeno per quanto riguarda me), lo spirito formalista del tratta-

mento della computazione descritto sopra, pare promettente. Pare ad esempio adatto

a spiegare come il nostro cervello, o qualunque altro medium implementazionale, es-

egua delle computazioni. Ma noi, per esprimerci in modo molto naieve, sembriamo

anche essere in grado di “intendere”, di significare i numeri. Io so se sto parlando

di aritmetica o di pecore. La mia calcolatrice no. Come lo facciamo? Qualunque

teoria della mente deve avere qualcosa di convincente da dire al proposito (fosse an-

che per proporre un punto di vista eliminativista). Alcuni penseranno, come molti

prima di loro, che questa sia precisamente la difficolta che ha spinto i teorici della

computazione ad emendare l’ipotesi di sufficienza in vari modi, per venire in contro

alle obiezioni che di volta in volta gli venivano mosse.

A guardar bene, infatti, all’interno dello stesso paradigma computazionalista e

possibile ravvisare un certo disaccordo circa il ruolo che dovrebbero avere le propieta

semantiche in una teoria della mente. Per come l’ho raccontato, lo spirito del paradig-

ma computazionalista pare essere rigidamente formalista, in un senso simile a quello

in cui lo era il progetto di Hilbert. Fodor, ad esempio, conferma questa aspettativa:

Se le proprieta mentali sono formali, allora hanno accesso solo alle propri-

eta formali delle rappresentazioni dell’ambiente che ci forniscono i sensi.

Pertanto, esse non hanno accesso alle loro proprieta semantiche, incluse

quella di essere vera, di riferirsi a qualcosa, o anche alla proprieta di essere

una rappresentazione dell’ambiente.6

6Smith [52], p. 231.

78

Le cose non sono cambiate molto, da allora. Sentiamo spesso esprimere opinioni

come la seguente:

Si notera che nulla nella mia trattazione della computazione e dell’im-

plementazione presuppone considerazioni semantiche, quali il contenuto

rappresentazionale degli stati interni. E’ precisamente cosı che dev’essere:

le computazioni sono specificate sintatticamente, non semanticamente [...]

Se le condizioni di implementazione dovessero presupporre considerazioni

semantiche, qualuque ruolo la computazione possa avere nel fondare l’In-

telligenza Artificiale e le scienze cognitive verrebbe messo a repentaglio.

[...].7

Ma ci si imbatte altrettanto frequentemente in dichiarazioni che paiono andare

nella direzione opposta: ci viene detto che le computazioni si devono definire “su”

rappresentazioni, che “non c’e computazione senza rappresentazione”:

E’ ampiamente riconosciuto che la computazione sia, in un modo o nell’al-

tro, un fenomeno simbolico, rappresentazionale, basato sull’informazione,

semantico o, come direbbero i filosofi, intenzionale.8

Quasi tutti i padri dell’intelligenza artificiale computazionalista si sono espressi al

proposito in modo perlomeno ambiguo. Lo stesso Fodor, ad esempio, ebbe a dire:

1. Gli unici modelli psicologici per i processi cognitivi che sembrano

anche solo remotamente plausibili rappresentano tali processi come

computazionali

7Chalmers. A Computational Foundation for the Study of Cognition. Section 2.2. Nonpubblicato, ma la sez. 2 (qui citata) e pubblicata come [10].

8Smith [52], p. 9.

79

2. La computazione presuppone un mezzo: un sistema rapresentazionale.9

Pylyshyn, un altro padre fondatore del paradigma:

Sapere quale computazione venga eseguita richiede la considerazione di

stati computazionali semanticamente interpretati.10

Qual’e esattamente il ruolo di queste proprieta semantiche? Chi conduce, la

macchina sintattica o quella semantica?

Pare che le acque si facciano torbide alla giuntura fra la nozione di “interpretabilita”

di un sistema di simboli e quella di “interpretazione” dello stesso sistema di simboli.

La prima, infatti, non appartiene al novero delle proprieta intenzionali (non piu di

quanto i pattern di inchiostro in un libro significhino intrinsecamente qualcosa). Ep-

pure l’interpretabilita e tutto quanto la nozione di computazione, almeno di primo

achito, pare richiedere:

Un sistema di simboli e un insieme di “individui fisici” arbitrari [...] che

vengono manipolati sulla base di “regole esplicite” che sono a loro volta in-

dividui fisici e stringhe di individui fisici. La manipolazione regolata degli

individui-simboli e basata solamente sulla forma di questi (sono sul loro

“significato”) [...]. Vi sono simboli atomici e composti. L’intero sistema

e tutte le sue parti - gli individui atomici, quelli composti, le manipo-

lazioni sintattiche tanto attuali quanto possibili e le regole - sono tutti

“semanticamente interpretabili”: e possibile assegnare sistematicamente

9Fodor [19], p. 27.10Pylyshyn [45], P. 58.

80

un significato alla sintassi, ad esempio come riferentesi ad oggetti e a

fatti.11

Ricordiamoci ora di quando, nel primo capitolo, abbiamo introdotto la nozione di

modello. La relazione che intercorre fra i simboli arbitrari e questi oggetti, o fatti,

non e precisamente la stessa che intercorre fra un insieme di formule in un linguaggio

formale e una struttura che le soddisfa?

Si noti che in quel caso, come in questo, gli elementi del linguaggio (i parametri), e

quelli dell’universo sono totalmente indipendenti gli uni dagli altri. Sebbene a volte in

teoria dei modelli si tenda a dire che i parametri “nominano” gli elementi della strut-

tura, non e cosı che dovremmo pensare ad essi. Una costante c nel linguagio, of course,

potrebbe essere ustata come un nome per il suo elemento corrispondente cU dell’uni-

verso, ma dire che c e a tutti gli effetti un “nome”. rovinerebbe ingiustificatamente

la natura essenzialmente formale della teoria dei modelli.

Una conseguenza di questo fatto, come abbiamo visto, e che un linguaggio formale

il piu delle volte non possiede le risorse, da solo, per individuare i suoi “modelli

intesi”. In particolare, dal punto di vista di una macchina sintattica (virtuale, come

un sistema formale, o fisica, come un sistema simbolico fisico) due modelli isomorfi

sono indistinguibili.

Le macchine sintattiche, potremmo dire, sono “ceche” rispetto alle propreta se-

mantiche.

Se il nostro sistema di simboli fisico (l’incarnazione di un sistema formale) possiede

11Questa e la definizione di “Sistema di Simboli” che propone Stephen Harnad ([24], p. 337)ricostruendola da Newell [37].

81

una struttura causale che corrisponde a quella di un certo algoritmo (ad esempio quel-

lo per eseguire addizioni nel sistema decimale), allora si dice che “implementa” quel-

l’algoritmo. Dato che, inoltre, la struttura algoritmica formale e “sistematicamente

interpretabile” come riferentesi a numeri e a operazioni su di essi, allora potremo dire

che il sistema di simboli fisico computa addizioni fra numeri. I nostri cervelli secondo

la tesi meccanicista, sarebbero precisamente dei sistemi fisici di simboli.

Se e vero che i sistemi fisici di simboli sono cechi alla semantica, non e possibile

ridurre all’assurdo il meccanicismo facendo notare che noi siamo in grado di “vedere”

la verita dell’enucniato di Godel?

2.3 Argomenti Godeliani

2.3.1 L’argomento di Lucas

Se la mente umana e una macchina (nel senso tecnico che abbiamo appena discus-

so), allora esiste, almeno il linea di principio, una macchina di Turing il cui output

e indistinguibile da quello di un essere umano. Molti trovano profondamente indi-

gesta questa ipotesi. L’aspetto repellente del meccanicismo (cosı come, in fondo, di

qualunque visione materialistica del mondo), e che sembra “soffocare” aspetti della

natura umana cui diamo molto valore: il libero arbitrio, l’apertura trascendentale, il

“posto speciale” che vorremmo assegnare a noi stessi nel cosmo. Piu prosaicamente

(e forse sulla scorta di tale sentimentalismo), una semplice introspezione individua

molte facolta tipicamente umane che paiono sfuggire al concetto di “meccanismo”.

Fra queste l’intuizione, l’inventiva, la creativita, e, non per ultima, la capacita di

“vedere” la verita di alcuni enunciati.

82

Quando leggiamo la dimostrazione del teorema di Godel, almeno quando la leggo

io, restiamo stupefatti dalla semplicta con cui, una volta dimostrata l’indecidibilta

del teorema G, ci convinciamo della sua verita. La pura indecidibilta, infatti, non

ci stupirebbe cosı tanto. E’ il fatto che esistano proposizioni vere ma indecidibili,

che desta tutta la nostra ammirazione per il risultato ottenuto da Godel. Come

facciamo a convincerci che G e vera? Semplicemente osservando che “afferma di

non essere dimostrabile”, cio che abbiamo appena dimostrato essere il caso. E’ la

coincidenza fra rappresentazione e rappresentato, che, da sola, basta a convincerci

che G e vera. Prima che ci venga fatto notare che questo e precisamente cio che G

“afferma”, non ce ne rendiamo conto, tanta e la difficolta che incontriamo a seguire il

ragionamento, la prima volta che ne facciamo esperienza. E’ quasi “un caso”, come si

esprime Godel stesso in una nota al suo articolo del ’31, che G “affermi proprio cio che

abbiamo appena dimostrato: “a dispetto delle apparenze, non vi e nulla di circolare

in questo teorema, poiche comincia con l’affermare l’impossibilita di dimostrare una

formula perfettamente determinata (vale a dire la q-esima nell’ordinamento, con una

precisa sostituzione), e solo in un secondo momento (vorremo dire quasi per caso)

emerege la circostanza che questa formula e proprio quella che esprime questa stessa

proposizione”.

E’ questa nostra capacita di accorgerci che, quasi per caso, la proposizione G e

vera, che ci colpisce come profondamente non meccanica, non meccanizzabile. Pare

infatti che si tratti di un “gesto” elementare, di un atto immediato (e immdediabile)

della nostra coscenza che “vede” la verita dell’enunciato in un colpo solo, senza stare

tanto a contare o a macinare simboli. Questa forte intuizione e alla base dell’utilizzo

che e stato fatto piu volte del teorema di incompletezza per “dimostrare” che non

83

siamo macchine, e non potremmo esserlo. La prima formulazione compiuta di questa

intuizione si trova in un articolo del filsofo di Harvard J. R. Lucas. In Minds, Machines

and Godel, apparso nel 1961 sulla rivista Philosophy, Lucas afferma che:

Il teorema di Godel deve potersi applicare alle macchine cibernetiche,

poiche e l’essenza di una macchina quella di essere la concreta realizzazione

di un sistema formale. Ne segue che data qualuque macchina che sia

consistente e capace di fare della semplice aritmetica, vi e una formula

che essa e incapace di produrre come vera, ovvero una formula che e

impossibile-provare-nel-sistema sebbene noi siamo in grado di vedere che e

vera. Ne segue che nessuna macchina potrebbe essere un modello completo

o adeguato della mente, che le menti sono essenzialmente diverse dalle

macchine.12

L’argomento di Lucas suscito subito un intenso dibattito. La “caccia all’errore”

che venne ingaggiata convinse infine la maggior parte dei filosofi che l’argomento

non e corretto. Persino quei filosofi, come Benacerraf, che erano indipendentemente

convinti che la mente non possa essere una macchina, si prodigarono per dimostrare

che l’argomento di Lucas e sbagliato.

In questo lavoro, ci concentreremo soprattutto su cosa significhi “essere la concreta

realizzazione di un sistema formale”. E’ mia opinione, infatti, che, tra tutti i difetti

dell’argomento Godeliano che sono stati posti in evidenza, quello piu profondo, e forse

piu interessante, sia quello di aver trattato i sistemi formali e le loro realizzazioni

concrete come se fossero la stessa cosa.

12Lucas [31]

84

2.3.2 L’argomento di Penrose

Oggi, dopo che lo spettro di Lucas e stato rievocato dai “nuovi argomenti” Godeliani

proposti da Roger Penrose13 negli ultimi vent’anni, si odono ancora degli spari.

Si ricordera che, alla fine del primo capitolo di questo lavoro, abbiamo presentato

una versione della prova di Godel che, partendo dall’ipotesi che la procedura Oracle

sia in grado di decidere la verita (o falsita) di qualunque enunciato Π1 della forma

“per ogni m, m non e il codice di una computazione completa del programma C con

argomento n”, perveniva alla conclusione che la procedura Oracle e incapace di deter-

minare la mancata terminazione di Ck(k), contraddicendo l’ipotesi. Quindi l’ipotesi

che Oracle contenga tutte le procedure a disposizione della comunita matematica per

decidere gli enucniati Π1 e ridotta all’assurdo: Oracle non puo comprendere tutte

le procedure di decisione. Questo fatto, unitamente alla costatazione che noi invece

siamo in grado di di decidere la non terminazione di Ck(k) (in un tempo finito),

implica che c’e qualcosa che noi sappiamo fare che nessuna macchina, nemmeno la

piu completa, sarebbe in grado di fare. Conclusione: non siamo macchine. Questa

in sostanza l’argomentazione che Roger Penrose ha prosposto in una serie di pubbli-

cazioni molto controverse. In particolare, Penrose ritiene che si possa dimosrare il

seguente enunciato:

[G] I matematici umani per determinare verita matematiche non usano

una procedura che possa essere riconosciuta come corretta (a knowably

sound algorithm ).

Se infatti questo enunciato non fosse vero, la procedura corretta che i matematici

usano per stabilire le verita matematiche (A) avrebbe una proposizione di Godel

13Si vedano Penrose [39] e [40]

85

(G(A)) che non potrebbe essere provata all’interno del sistema. Quindi i poteri

inferenziali degli esseri umani trascendono quelli di qualsiasi macchina.

2.3.3 Il “nuovo argomento” Godeliano di Penrose

Come vedremo nel prossimo capitolo tutti gli argomenti Godeliani proposti finora

contengono degli errori fatali. E’ giusto menzionare pero che quello piu banale, e

cioe che Penrose presuppone che si sappia che un certo algoritmo contiene tutte le

procedure inferenziali a disposizione dei matematici, puo essere emendato. L’errore

in questione, che discuteremo piu diffusamente nel prossimo capitolo, e questo. Il

sistema formale che (nell’ipotesi da ridurre all’assurdo) rappresenta tutti gli assiomi

e le conoscenze di base dei matematici, rappresenta tutte le conoscenze empiriche

che i matematici possono avere, o e un doppione dei Principia Mathematica? La

distinzione e importante, in quanto i matematici potrebbero essere venuti a sapere

empiricamente che il sistema formale A restituisce tutti e soli i loro output deduttivi,

e questa conoscenza non sarebbe quindi adeguatamente riflessa in A. La contromossa

di Penrose e quella di aggiungere ad A (che rappresenta il sistema inferenziale dei

matematici prima che vengano a conoscenza del fatto che gli output deduttivi co-

incidono) la conoscenza empiricamente acquisita. Questo e possibile nell’ipotesi che

il nuovo assioma sia consistente con gli altri. Penrose quindi applica l’argomento

Godeliano al nuovo sistema A′, riducendo all’assurdo nuovamente l’ipotesi che questo

rappresenti le capacita inferenziali dei matematici. In questo caso la conclusione di

Penrose sarebbe piu debole di prima, nel senso che riuscirebbe a provare solo che

[G’ ] Se i matematici umani per determinare verita matematiche usano

una procedura computabile, allora o questa procedura non e computabile,

86

oppure non e possibile scoprire contemporaneamente quale sia l’algoritmo

e decidere che esso e corretto.

Penrose ritiene di aver mostrato come sia impossibile venire a conoscenza di quali

siano le nostre procedure inferenziali senza con cio stesso convincerci che esse sono

corrette. Questo concluderebbe quello che e stato chiamato “il nuovo argomento

Godeliano”. In sostanza, il nuovo argomento sostituirebbe la vecchia ipotesi che il

sistema A contiene tutte le procedure inferenziali dei matematici con l’ipotesi “io

sono A”. Aggiungendo questa ipotesi come ulteriore assioma al sistema A, e ripe-

tendo l’argomento Godeliano, si arriva alla conclusione che io posso dimostrare il

mio enunciato G se e solo se non lo posso dimostrare. Come vedremo, ammesso (e

non concesso) che sia vero che conoscere le nostre procedure inferenziali significhi per

cio stesso convincerci che esse sono coerenti, Penrose addita l’ipotesi sbagliata come

responsabile di questa contraddizione. L’ipotesi responsabile e infatti che possiamo

sapere che siamo coerenti.

Capitolo 3

Critica dell’argomento Godeliano

3.1 Introduzione

Viene discussa la posizione di vari commentatori degli argomenti Godeliani (par. 3.2).

Particolare enfasi e posta sul problema della coerenza (par. 3.3).

3.2 La ricezione degli argomenti Godeliani

3.2.1 Critiche formali: Feferman, Davis e Putnam

Molte delle critiche che sono state mosse agli argomenti Godeliani partono dall’osser-

vare che questi sono invariabilmente imprecisi e spesso banalmente scorretti. Alcuni

autori arrivano a formulare critiche davvero impietose. Ne citeremo una partico-

larmente nota per tutte, espressa da Punam1, secondo il quale l’opera di Penrose

“rappresenta un triste episodio nella nostra presente vita intellettuale”.

Alcuni di questi errori e imprecisioni non inficiano, da soli, la sostenza dell’argo-

mento e non verranno pertanto trattati in questa sede. Per quanto riguarda invece

1Vedi Putnam [44]

87

88

quelle imprecisioni che trasformano gli argomenti Godeliani in non sequitur, e op-

portuno cominciare con le critiche mosse da Martin Davis. L’argomento di Penrose

poggia sull’assunto che l’intuizione che ci permette di riconoscere come vero l’enun-

ciato “Se A e corretto, allora G(A) e vero” non puo essere contenuta nel sistema A

stesso. L’errore di Penrose, secondo Davis, e quello di descrivere il riconoscimento

della verita di tale enunciato come “un’intuizione”. Si tratta infatti di un teorema

dimostrabile in nqualunque sistema abbastanza ampio (come quelli descritti nel pri-

mo capitolo di questo lavoro). Certo non si tratta di un enunciato∏

1, ma allora

cio che Penrose avrebbe dimostrato e che un sistema formale in grado di produrre

solo enunciati∏

1 non e un modello per la mente umana, cosa che solo uno sciocco

potrebbe pensare.

Anche Solomon Feferman2 fornisce un’analisi impietosa dell’argomento Godeliano

come viene formulato da Penrose, e considera una versione emendata dalla quale

emerge pero che l’argomento puo solo essere usato per dimostrare che le procedure

inferenziali dei matematici non seguono un metodo elencativo, cioe che per dimostrare

un teorema non dimostrano tutti i teoremi possibili, uno alla volta per vedere se il

teorema, o la sua negazione, compare nella lista. Ma non c’era certo bisogno di

scomodare il teorema di Godel per sapere che le cose stanno cosı.

Putnam, infine, ritiene che gli argomenti Godeliani proposti da Lucas poggino su

una banale cofusione fra due enunciati che verrebbero fatti conflagrare ambiguamente

nell’asserzione “il sistema formale A e coerente”. Come vedremo meglio in seguito

trattando la critica di Benacerraf, vi sono due cose diverse che si possono intendere con

questo asserto. Si puo infatti interpretare l’enunciato come esprimente la proposizione

2Vedi Feferman [17]

89

che i metodi usati dai matematici per dimostrare i loro teoremi sono coerenti (cioe in

altre parole che non succedera mai che i matematici dimostrino un teorema e anche

la sua negazione).

Tale proposizione viene espressa nel linguaggio ordinario. Secondo l’altra interpre-

tazione, la proposizione espressa e invece una proposizione matematica precisa, come

quella usata per dimostrare il secondo teorema di incompletezza. Secondo Putnam,

e, come vedremo, anche secondo Benacerraf, e questa confusione che conferisce all’ar-

gomento di Lucas la sua parvenza di correttezza. Una volta disambiguati su questo

punto, gli argomenti di Lucas paiono inutili e banali.

Per quanto riguarda gli argomenti di Penrose, Putnam ritiene che che l’errore

sia piu circostanziato, sebbene altrettanto fatale. Poniamo infatti di accettare che

nessun programma la cui correttezza noi possiamo conoscere possa simulare tutte

le competenze matematiche umane. Questo naturalmente non stabilisce che non

esista un algoritmo in grado di simulare perfettamente le nostre competenze. Anche

mantendendo ferma l’ipotesi che le regole che i matematici usano siano corrette, e

che i matematici possano accertare questo fatto, l’algoritmo in grado di simulare le

nostre competenze potrebbe (e probabilmente sara) cosı complesso che non sara mai

possibile accertarne la coerenza. Potrebbe inoltre risultare che il sistema che simula le

nostre competenze non sia coerente, anche se alcuni sistemi formali che esso produce

fossero coerenti. Vi e una differenza, infatti, fra il sistema formale che la mente

potrebbe usare per pervenire alla dimostrazione dei teoremi matematici, e i sistemi

formali che la mente e in grado di costruire (anche controllandone la coerenza) sulla

base di questo algoritmo. In particolare e possibile che i secondi siano tutti coerenti

quando il primo non lo e. E’ inoltre plausibile (se non ovvio), che sia impossibile

90

accertare la coerenza del primo, anche ammesso che sia coerente.

3.2.2 Critiche Duhemiane: Chalmers, McCullough e Beneac-

erraf

Molti critici3 hanno messo in luce il fatto che gli argomenti Godeliani permettono solo

di ridurre all’assurdo la congiunzione di piu tesi, fra le quali vi e quella che la mente

umana sia la realizzazione di un sistema formale. Queste osservazioni “Duhemiane”

sulla struttura logica degli argomenti Godeliani mostrano come, una volta “ripuliti”

da imprecisioni e scorrettezze, gli argomenti rivelino, fra le loro premesse, piu che la

semplice ipotesi che la mente umana realizzi un sistema formale. Questo significa che

ad essere ridotta all’assurdo sarebbe solo la congiunzione di queste premesse. Queste

critiche mettono poi in luce che alcune di queste premesse sono molto piu implausibili

di quella meccanicista. Discuteremo fra poco nel dettaglio una di queste analisi, quella

di Benacerraf. Molti autori si trovano d’accordo nell’osservare che, ad esempio, fra

queste premesse vi sia la possibilita dei matematici di dimostrare l’ineluttabilita dei

loro asserti.

3.2.3 Rovesciamenti dell’argomento Godeliano: Whitely, Mc-

Cullough e Hofstadter

Alcuni altri4 osservano che gli argomenti Godeliani si applicano altrettanto bene agli

esseri umani che alle macchine, e che quindi non provano alcunche circa le tesi mecca-

niciste. Whitely e McCullough, ad esempio, osservano che se sottoponiamo a Penrose

3Si vedano al proposito le critiche di Chalmers ([?]), McCullough ([35])e Benacerraf ([2]).4Si vedano al proposito le critiche di Whitely (([53]), Chalmers ([?]), McCullough ([35]) e

Benacerraf ([27])

91

l’enunciato

Questo enunciato non puo essere una convinzione incontrovertibile di

Roger Penrose.

potremo usare un argomento Godeliano per dimostrare che Penrose non e un

essere umano o che e incoerente. Se infatti tale enunciato fosse fra le convinzioni

incontrovertibili di Penrose, sarebbe falso. Se invece non lo fosse, allora sarebbe

incontrovertibilmente vero, e quindi noi saremmo in grado di intrattenere convinzioni

incontrovertibili che Penrose stesso non puo intrattenere. Ergo Penrose non e umano

quanto lo siamo noi. L’errore, qui, consiste nel non riconoscere che Penrose potrebbe

sottoporre un enunciato analogo a noi, per giungere alla stessa conclusione circa la

nostra inferiorita.

Hofstadter nota inoltre che, grazie a un risultato ottenuto da Alonzo Church e

Stephen Kleene, secondo cui e impossibile assegnare ricorsivamente notazioni (nomi)

a tutti gli ordinali costruttivi, le possibilita degli umani di vedere la verita degli enun-

ciati di Godel e limitata. E’ noto infatti come sia possibile tamponare (temporanea-

mente) la falla aperta dalla dimostrazione di Godel aggiungendo G come assioma al

sistema che abbiamo appena Godelizzato. Come e noto, nemmeno aggiungendo un’in-

finita di assiomi di questo tipo si puo eludere l’incompletezza dimostrata da Godel.

Tuttavia l’enuciato G di Godel per sistemi arbitrariamente complessi in questo senso

non sara arbitrariamente complesso. Cosı, sebbene il teorema di Godel garantisca che

un tale enunciato vi sia, per quanto complesso il sistema di assiomi sia diventato, la

capacita umana di individuarlo raggiungerebbe presto un limite invalicabile. Da quel

punto in poi, osserva Hofstadter, l’output deduttivo di qualunque essere umano sara

indistinguibile da quello di una macchina.

92

3.2.4 Critiche alla formulazione del meccanicismo negli argo-

menti Godeliani: Hofstadter, Dennett, Chalmers e D.

McDermott

Infine, alcuni commentatori5 hanno osservato che gli argomenti Godeliani prendono

le mosse da una versione distorta e Naieve del meccanicismo, e che quindi sconfiggono

un nemico di cartapesta. Per capire le tesi meccaniciste, e quindi per esporle corretta-

mente, e necessario comprendere quale relazione sussita fra i sistemi formali astratti e

quelli reali che li implementano. Ci occuperemo diffusamente di questo aspetto della

questione nel prossimo capitolo.

Questultimo aspetto in particolare, quello della relazione fra sistemi formali e

sistemi fisici che li realizzazno, e relativamente trascurato nella letteratura contem-

poranea. Come ha osservato McDermott, i sistemi formali che i computer realizzano

sono quasi sempre distinti da quelli che ne descrivono la struttura computazionale.

Questo punto e ben espresso da Aldo Antonelli

Dato un sistema formale F , c’e sempre una macchina di Turing MF che

enumera i teoremi di F , e inversamente, data una macchina di Turing

M , c’e sempre un sistema formale FM che la descrive (e che permette di

inferire, ad es., che M produce valore p su argomento q). Ma in generale

non si ha

F = FMF

5Si vedano al proposito le critiche di Chalmers ([?]), McDermott ([36]), Dennett ([15]) eBenacerraf ([2])

93

Cioe, dato un sistema formale F , si ottiene una macchina che ne enumera

i teoremi, che a sua volta puo essere descritta da un sistema formale. Ma

quest’ultimo non e in generale equivalente al sistema formale originario.

Mentre F puo essere un sistema che ci permette di inferire, ad es., teoremi

geometrici, FMFe un sistema che da teoremi concernenti gli stati interni

di una macchina di Turing.

(antonelli)

Anche Daniel Dennett ha espresso perplessita sulla versione del meccanicismo

presumibilmente refutata dagli argomenti Godeliani.

qualsiasi oggetto fisico puo essere simultaneamente interpretato come una

varieta di macchine di Turing diverse.

(Dennett p. 528, enfasi aggiunta).

Per ciascuna di esse (e anche se per ogni oggetto fisico vi fosse un’unica in-

terpretazione computazionale privilegiata) il teorema di Godel imporrebbe precise

limitazioni. Ma

Preso in tale senso, il teorema di Godel ha implicazioni rispetto alle ca-

pacita dimostrative, diciamo, delle querce: nonostante ogni singola quercia

con lo stormire delle fronde e il cadere delle ghiande possa dimostrare in-

numerevoli teoremi (!), ve ne e uno che essa non puo dimostrare: il suo

enunciato di G¨odel

(Dennett p. 530) .

94

Dennett osserva che l’argomentazione Godeliana e un non sequitur tanto quanto

quella del seguente pseudoargomento. Kasparov ha una capacita eccezionale di vin-

cere al gioco degli scacchi. Dal momento che non esiste alcun algoritmo praticabile

per vincere sempre agli scacchi, Kasparov non puo stare usando un algoritmo per

giocare a scacchi.

Chiaramente la conclusione e falsa, tanto che attualmente vi sono macchine che

vincono anche contro i campioni del mondo. Semplicemente le macchine che vincono

agli scacchi non usano l’algoritmo assoluto, cioe quello che garantisce di vincere in

ogni caso (sebbene questo debba esistere). Il punto e che nemmeno Kasparov e in

grado di vincere sempre agli scacchi, percio l’ipotesi meccanicista resta indifferente

all’argomentazione Godeliana.

Nel prossimo capitolo tratteremo da vicino il problema della relazione fra sistemi

formali e macchine calcolatrici. L’autore di questo lavoro ritiene che le sole virtu

degli argomenti Godeliani risiedano nella possibilita che hanno di fare luce su questa

spinosa questione.

3.3 Il problema della coerenza

Il problema della coerenza e stato piu volte additato come l’anello piu debole delle

argomentazioni Godeliane. Qui discuteremo come la questione sia stata affrontata da

alcuni commentatori.

95

3.3.1 La critica di Benacerraf

Nel tentativo di refutare l’argomento di Lucas, molti hanno cercato di renderlo piu

preciso, di eliminare la vaghezza contenuta nella sua formulazione originale, e che

impedisce di analizzarne a fondo i vizi e le virtu. Paul Benacerraf6 ha proposto una

formalizzazione dell’argomento che trovo particolarmente cogente, e che riporto qui

di seguito con inessenziali modifiche.

1. Sia S = [x : Iopossoprovarex]

S e quindi il mio output deduttivo. Naturalmente non assumiamo a priori che

questo sia l’output di una macchina. Assumiamo pero la correttezza delle deduzioni

(senza la quale l’argomento di Lucas non avrebbe senso).

2. Sia S∗ = [x : S ` x]

Cioe S∗ e la chiusura rispetto alle regole della logica del prim’ordine (con uguaglian-

za) enunciate nel primo capitolo di questo lavoro.

3. S∗ e consistente. Poiche tutti i membri di S sono veri, io non posso provare

cose false (per la correttezza) e la logica preserva la verita.

4. “Con(S∗)′′ ∈ S

Poiche ho appena provato che S∗ e consistente (punto 3.), e analitico che “Con(S∗)”

sia fra gli enunciati che posso dimostrare.

5. “Con(S∗)′′ ∈ S∗

Questo segue banalmente da S ⊆ S∗, e corrisponde all’ipotesi di Lucas (e di

Penrose, come vedremo) di sapere di essere consistente.

6. Sia Wx qualsiasi insieme ricorsivamente enumerabile. Si ha: ∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃

Con(Wx)).

6Benacerraff [2].

96

Da 3 segue che, dato che S∗ e consistente, lo sono anche tutti i suoi sottoinsiemi

ricorsivamente enumerabili. Come vedremo l’insieme Wx rappresenta l’output di una

qualche macchina di Turing (quella che nell’ipotesi da ridurre all’assurdo dovrebbe

essere la mia mente).

7. “∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S.

I punti 1-6 sono una prova di questo enunciato che io (quindi) sono in grado di

produrre.

8. “∀x(Wx ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S∗

Banale.

9. Sia Q la chiusura logica degli assiomi di Peano (ma e sufficiente anche il sistema

piu scarno, ma, come abbiamo visto, incompleto, proposto da Tarski, Mostowski e

Robinson). Supponiamo ora che vi sia un insieme ricorsivamente numerabile Wj tale

che:

(a) “Q ⊆ W ′′j ∈ S∗ (Questa e l’ipotesi che io sia in grado di provare che la macchina

Wj e adeguata per l’aritmetica).

(b) “Wj ⊆ S∗′′ ∈ S∗ (Questa e l’ipotesi che io sia in grado di provare che Wj e un

sottoinsieme del mio output totale).

(c) S∗ ⊆ Wj (Questa, infine e l’ipotesi, che speriamo di ridurre all’assurdo, che io

sono una macchina di Turing.

Queste tre condizioni costituiscono le sole assunzioni dell’argomento.

10. Q ⊆ Wj

Segue da 9a, per correttezza.

97

11. Esiste una formula Godeliana H (∀x¬Dim(x, g(H)))) tale che, se H ∈ Wj ,

vale anche ¬H ∈ Wj, e Wj sarebbe inconsistente.

12. “Con(Wj) ⊃ H ′′ ∈ Wj

Segue dal secondo teoream di Godel.

13. “Wj ⊆ S∗ ⊃ Con(Wx))′′ ∈ S∗

Segue banalmente da 8 (e dall’ipotesi di chiusura rispetto all’implicazione).

14. “Con(Wj)′′ ∈ S∗

Da 9b, 13, e dalla chiusura di S∗ rispetto al modus ponens.

15. “∀x(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wx))′′ ∈ S∗.

Abbiamo indicato con Con(Wx) l’enunciato che afferma la consistenza di Wx nel

senso piu generale in cui il concetto si applica anche a sistemi non formali. Con(Wx),

al contrario, e l’abbreviazione dell’enunciato che si usa nella dimostrazione del secondo

teorema di G: ad esempio l’enuciato matematico che corrisponde all’enunciato che (nel

modello) afferma che ¬(S0 ≈ S0) non e dimostrabile all’interno di Wx. Si indichi la

formula “∀x(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wx)))′′ con “B′′. Per stabilire B basta

notare che (per il secondo teorema di Godel), ogni sistema che contenga Q contiene

una formula che esprime la sua stessa consistenza (Con(Wx) nel nostro caso). E’

possibile poi mostrare che tale formula e vera (nel modello) se e solo se il sistema e

consistente nel senso piu generale appena menzionato (Con(Wx)).

16. “(Q ⊆ Wx ⊃ (Con(Wx) ≡ Con(Wj)))′′S∗.

Da 15 e dalla chiusura di S∗.

17. “Con(Wj)′′ ∈ S∗.

Da 9a, 14 e dalla chiusura di S∗ rispetto alle funzioni di verita.

18. “Con(Wj)′′ ∈ Wj.

98

Da 9c.

19. Entrambi H e ¬H sono in Wj, percio Wj e inconsistente.

20. Entrambi H e ¬H sono in Wj, percio S∗ e inconsistente, contro l’ipotesi 3.

Da 9b segue che Wj ⊆ S∗.

Lucas (e Penrose) ne concludono che l’ipotesi ridotta all’assurdo sia che io sono

una macchina di Turing. Questa e la formulazione piu precisa dell’argomento di cui

sia a conoscenza, e la usero ancora in quanto segue.7

7Anche David Lewis ([29]) ha proposto una versione dell’argomento che ne mette bene in luce lepremesse.

Capitolo 4

Meccanicismo, semantica eisomorfismo: sulla realizzazione diun sistema formale

4.1 Introduzione

Questo capitolo e dedicato all’analisi della nozione di realizzazione di un sistema

formale. E’ mia opinione che il problema sollevato dagli argomenti Godeliani metta

in nuova luce il problema dell’implementazione. Dopo aver discusso la nozione di

implementazione e i suoi problemi (par. 4.2-4.4), viene osservato come le difficolta

incontrate sono esempi di un problema piu generale che si presenta in epistemologia

(par. 4.5.1), in metafisica (par. 4.5.2) e nelle teorie naturalistiche della semantica

(par. 4.5.6). Infine (par. 4.5.6) viene proposta una diagnosi. la tesi sostenuta e che

le proprieta sintattiche presuppongano proprieta semantiche per essere causalmente

efficaci.

99

100

4.2 Realizzare un sistema formale

L’oggettivita dell’implementazione, ovvero la possibilita di specificare delle condizioni

(fisiche) necessarie e sufficienti che un sistema dinamico reale1 deve soddisfare per

essere la realizzazione di un certo sistema formale, e stata piu volte messa in discus-

sione. Molte di queste perplessita sono oggi familiari alla maggior parte dei filosofi

della mente e dell’intelligenza artificiale

4.2.1 Soddisfazione e computazione di una funzione

Computazione = soddisfazione + ?

Quali proprieta (fisiche) di un sistema fisico reale (S) sono necessarie e sufficienti

perche si possa dire che realizza una data struttura computazionale (A)? Indichiamo

il predicato “S realizza A con Re(S,A). La nostra domanda si puo ora riformulare in

questo modo: quali sono le condizioni di verita di Re(S,A)?

Assumeremo una teoria formale (Af ) che specifica un’architettura e un algoritmo

da questa (virtualmente) implementata. Questo algoritmo prende quali input gli ar-

gomenti della funzione f e produce i suoi valori quali output. La relazione fra Af e S

(il sistema dinamico reale) verra descritta con una mappa dai termini di Af a parti

(reali) di S. Queste parti di S dovranno essere specificabili e identificabili sulla sola

base delle loro proprieta spazio-temporali. Chiameremo questa mappa da Af a S uno

schema di etichettatura.2

1Nella letteratura l’espressione “sistema dinamico viene usata per denotare sia un sistema (al-meno potenzialmente) reale, che si muove nello spazio-tempo, che una sua descirizione matematica.Prendendo un prestito una terminologia introdotta da M. Giunti [21], Chiamero il primo un SistemaDinamico Reale (SDR), e il secondo un Sistema Dinamico Matematico (SDM).

2Copeland chiama questo schema labelling scheme. Si veda ad esempio [12].

101

[Schema di etichettatura] Uno schema di etichettatura (L) per una struttura

computazionale (A) consiste di 1) una specificazione di quali parti del sistema fisico

(S) debbano considerarsi quali “enti etichettati (una funzione di interpretazione) e

2) un modo non problematico per individuare in ogni momento l’etichetta portata da

ciascuna di queste parti.

In questa notazione, Re(S,Af ) e vera sse esiste uno schema di etichettatura L tale

che la coppia < L, S > sia un modello di Af . In altre aprole, la nostra (preliminare)

nozione di implementazione si puo esprimere cosı: Re(S,Af ) e vera sse ogni enunciato

in Af e vero di S nell’interpretazione L.

Supponiamo dunque di avere una funzione (f) e un sistema fisico (S). Ci chiediamo

se S computa f , cioe, ci chiediamo si Re(S,Af ) e vera. Abbiamo visto che questo

e il caso se esiste uno schema di etichettatura (L) tale che la coppia < L, S > e un

modello di Af .

Il requisito piu ovvio e che S “soddisfi” la funzione f. Infatti se S non soddisfa

la funzione f certamente non la computa. Poiche ogni sistema fisico istanzia qualche

funzione, il converso, tuttavia, non vale (o dovremmo dire che qualunque sistema

fisico computa delle funzioni).

[Soddisfazione] Un sistema fisico S soddisfa una funzione f sse: (1) associa

causalmente gli argomenti fisici di f (Wi) con i suoi valori fisici (Wo)3

3I valori e gli argomenti fisici sono i valori assunti dalle grandezze fisiche rilevanti. Questi nondovrebbero essere confusi con i numeri reali che possone essere loro assegnati da opportune misuree che seno gli argomenti e i valori delle variabili che figurano nella struttura matematica istanziata.

102

Se questo desideratum e necessario per catturare la nostra nozione pre-analitica

di sistema computazionale, certamente non e sufficiente.Qualunque sistema fisico,

infatti, in principio almeno, puo essere descritto da un sistema dinamico matematico.

Pertanto, per catturare la natura di un sistema computazionale dovremo imporre

condizioni piu restrittive. La strategia piu comune e quella di aggiungere le seguenti

condizioni: (2) che i processi che mediano gli argomenti e i valori di f siano algoritmici,

e (3) che la funzione f sia ricorsiva (Turing computabile)

La nostra domanda, (“S computa f?”), cosı, si riduce un chiedersi se le condizioni

(1), (2), e (3) dotino la nostra teoria formale (Af ) di un sistema di etichettatura tale

che tutti gli enunciati in Af siano veri di S nell’interpretazione L. Indichiamo una

“traduzione” di una frase α in Af con [α]L. Ci chiediamo dunque se le condizioni

(per il momento astratte) che abbiamo dato affinche S computi f ci permettano di

definire uno schema di etichettatura L tale che ∀α ∈ Af : [α]L e vero di S.

E’ abbastanza facile produrre un’interpretazione delle formule in Af che corrispon-

da al requisito che S soddisfi f . E’ infatti sufficiente che per ogni input astratto i e

ogni output o = f(i) esista una grandezza in S tale che:

[i]L = Wi sia affidabilmente, causalmente associato un [o]L = Wo, dove Wi e Wo

sono i valori delle grandezze. Al contrario, e stato da molti suggerito che sia impos-

sibile produrre uno schema di etichettatura che non sia dipendente dall’osservatore.

4.2.2 ? = Soddisfazione per passi

Per catturare la nozione di processo algoritmico alcuni hanno pensato di concepire

le computazioni come sequenze di istanze di funzioni elementari. Queste, sebbene

103

necessariamente ricorsive (altrimenti l’intera sequenza non sarebbe ricorsiva) devono

essere istanziate “direttamente”. Esse sarebbero dunque computabili (nel senso che

sono ricorsive), ma non computate. Alcuni ritengono che questo sia equivalente a

richiedere che la struttura causale che implementa la funzione sia analizzabile in una

serie di passi causali.

La computazione si riduce all’esecuzione di programmi, quindi il nostro

problema si riduce un spiegare cosa vuol dire eseguire un programma. La

strategia ovvia e adottare l’idea che l’esecuzione di programmi presuppon-

ga dei passi, e pensare che ogni passo elementare sia una funzione che il

sistema che esegue il programma semplicemente soddisfa [...] L’esecuzione

di programmi si riduce alla soddisfazione di passi4

Ma questa condizione e banalmente soddisfatta da qualunque sistema fisico (il

che vale un dire che non e affatto una condizione). Dato qualunque sistema che

soddisfa una certa dinamica, possiamo sempre analizzare il suo comportamento come

una serie di soddisfazioni di passi: qualunque scelta arbitraria della serie temporale

fa ugualmente al caso nostro.

Si consideri una palla non perfettamente elastica che rimbalza. Data un’altezza

di partenza hn, dopo un rimbalzo la palla raggiunge l’altezza hn+1 · (1 − c), quindi

il sistema (B) soddisfa la funzione definita ricorsivamente da fn+1 = fn · (1 − c).

Possiamo dire che la palla computa questa funzione? Secondo la definizione appena

data si, poiche 1) B soddisfa f , 2) B soddisfa una funzione algoritmica (nel senso

della soddisfazione di passi) e 3) B soddisfa una funzione Turing computabile.

4Cummins [13], pp. 91-92.

104

Cio che renderebbe B un sistema computazionale (e non solo un sistema che

soddisfa una certa funzione), secondo questa concezione della computazione, sarebbe

il fatto che il processo puo essere analizzato in passi (i singoli rimbalzi). Con cambio

banale della funzione di interpretazione (dello schema di etichettatura), tuttavia, B

si puo pensare anche come soddisfacente la funzione g(h) = (1 − c) · h che assegna

all’input h l’output (1 − c) · h. Questo processo comprende un solo rimbalzo (un

passo). Allora B computa la funzione g? Se seguiamo il criterio proposto dovremmo

chiederci se il processo puo essere analizzato in una serie di passi. Se “passo vuol

dire rimbalzo, allora la risposta e no, B non e un sistema computazionale. Ma perche

“passo dovrebbe voler dire rimbalzo? Possiamo raggruppare gli stati di B quando la

palla sta cadendo (chiamiamoli C) e quelli di quando la palla sta risalendo (R). ora,

la caduta della palla causa affidabilmente la sua risalita. Il processo e stato analizzato

in due passi (C e R) quindi ora il sistema sta nuovamente computando la funzione g.

Sicuramente il mero atto di etichettare gli stati non puo fondare una nozione assoluta

di computazione. L’idea della soddisfazione di passi era un tentativo di fornire una

controparte fisica alla nozione di algoritmo: il tentativo e fallito poiche le proprieta

proposte risultano dipendenti dall’osservatore (dalle scelte arbitrarie di chi assegna lo

schema di etichettatura).

4.2.3 ? = Digitalita

Riconoscendo le difficolta che si incontrano nello specificare la natura della com-

putazione sulla base della differenza fra continuo e discreto, alcuni autori preferiscono

ricorrere alla nozione di sistema digitale. Secondo queste proposte, un sistema fisico

reale (SFR) computa una funzione se e solo se e un sistema digitale. Nella definizione

105

standard, un sistema digitale (analogico) e un sistema i cui argomenti variano su

insiemi discreti (continui). Ma non tutti gli argomenti e le funzioni soddisfatte sono

rilevanti per la nostra definizione di digitale: solo quelli che svolgono un preciso ruolo

causale nella soddisfazione della funzione. Un orologio analogico le cui lancette si

muovano in passi discreti, ad esempio, non smette di essere analogico, poiche gli ar-

gomenti rilevanti variano su insiemi continui. Cosı un computer non smette di essere

digitale se rendiamo continuo il suo input. La maggior parte degli autori si trova

d’accordo nel ritenere che la nozione di schema notazionale di Goodman catturi il

concetto rilevante di discretezza. Secondo il trattamento di Goodman5, i requisiti per

essere un sistema simbolico (digitale) sono (a) la disgiunzione sintattica (ogni individ-

uo deve appartenere al piu un tipo) e (b) defferenziazione sintattica finita (individui

di tipi diversi non devono essere arbitrariamente simili fra loro). Il seguente e un

esempio di schema digitale: due segmenti di linea X e Y sono individui dello stesso

tipo se:

n+ 1/2 < LX , LY < n+ 1 for some n ∈ N

Si noti che due tipi distinti non sono mai infinitamente vicini l’uno all’altro e che

nessun individuo puo appartenere un piu di un tipo. Un esempio di schema analogico,

invece, e:

n < LX , LY < n+ 1

In questo caso individui apparteneti a tipi contigui possono essere arbitrariamente

vicini fra loro.

5Goodman [23].

106

Haugeland6 ha applicato la teoria degli schemi notazionali di Goodman ai sistemi

fisici. Il risultato e stato che, secondo la definizione di Goodman, i computer digi-

tali non potevano considerarsi digitali. I rivelatori di segnale nei computer digitali

standard sono in stato + se soggetti un un segnale maggiore di 2,5 volt e in stato

− per segnali inferiori un 2,5 volt. Questo contraddice il requisito di differenziazione

sintattica finita. Infatti non vi e alcun modo per classificare un segnale di esattamente

2,5 volt. Nella realta i segnali sono sempre vicini un 5 o un 0 volt, cosı non vi e quasi

mai ambiguita. Tuttavia, secondo lo schema di Goodman il sistema e analogico.

Hagueland ha quindi proposto di adattare la teoria di Goodman alla realta dei

sistemi fisici richiedendo che la disgiunzione sintattica e la differenziazione sintatti-

ca finita siano “relative alle nostre pratiche e tecnologie correnti”, anziche a qualche

possibilita fisica teorica. Cio che e rilevante per la nostra discussione e che il solo

trattamento che sembra rendere conto della distinzione digitale/analogico deve ab-

bandonare la speranza di caratterizzarli in termini di proprieta intrinseche dei sistemi:

se un sistema e o non e digitale non dipende solo da quale sistema si tratti (cioe da

quale sistema dinamico matematico descrive il suo comportamento) ma dipende anche

dall’osservatore.

Un trattamento alternativo del concetto di digitalita che (se corretto) supererebbe

queste difficolta e quello proposto da Block e Fodor7. l’intuizione alla base della

loro proposta e che i processi analogici sono processi di “basso livello” nel senso

che possono essere direttamente sussunti un qualche legge fisica. In altre parole

un processo sarebbe analogico se i suoi tipi rappresentano numeri che quantificano

qualche grandezza primitiva (o quasi-primitiva). Piu precisamente, Block e Fodor

6Haugeland [25].7Block e Fodor [9].

107

hanno suggerito che un sistema sia analogico se il suo comportamento di input-output

istanzia una legge fisica. La nozione di istanziazione diretta di una legge fisica e,

ovviamente, piuttosto controversa.

L’istanziazione di leggi fisiche fondamentali e sempre soggetta un clausule cetreis-

paribus. Ci confrontiamo quindi con un dilemma. In un certo senso qualunque sistema

sta sempre istanziando qualche legge fisica fondamentale (altrimenti ne violerebbe

qualucna). Tuttavia, se questo avviene direttamente o indirettamente dipende dai

nostri mezzi di osservazione, non dalla natura del sistema.

D’altra parte, al di fuori di un ambiente sperimentale altamente controllato, nes-

suna legge fisica viene mai immediatamente istanziata (anzi, le leggi fisiche vengono

sempre letteramente violate). Infine, se ricorriamo a clausule contrafattuali circa

l’esistenza di condizioni sperimentali ideali per mitigare la conclusione assurda che

nessun sistema potrebbe essere analogico, ancora una volta, dobbiamo rinuciare a

dare una caratterizzazione intrinseca alla nozione di digitalita.

Questa presunta relativita all’osservatore della distinzione digitale/analogico e

espressa piuttosto spesso nella letteratura. Nel 1951 Pitts, ad esempio, l’ha enunciata

cosı:

In effetti, la nozione di digitale o di analogico ha a che fare con qualunque

variabile in qualunque sistema fisico in relazione a tutte le altre, il che

vale a dire che e legata alla possibilita di considerla come una variabile

discreta ai fini pratici. 8

Naturalmente, il punto qui e: fini pratici per chi?

8Pitts [41], p.34.

108

4.3 La realizzazione di una struttura computazionale

Potremmo sperare di rendere oggettiva la nozione di computazione ricorrendo al-

la nozione di implementazione di una struttura computazionale. Un sistema fisico

starebbe davvero computando se realizza una struttura computazionale (una macchi-

na di Turing, o un automa, ad esempio).

La nozione di implementazione, tuttavia, e anch’essa minacciata, come vedremo,

da argomenti di relativita all’osservatore.

4.3.1 Stati, transizioni e automi

Analizzeremo il caso semplice degli automi a stati finiti. Per prima cosa, cos’e uno

stato? Dato un sistema fisico il cui comportamento si sa essere deterministico, e ra-

gionevole aspettarsi che risponedera sempre allo stesso tipo di input con lo stesso tipo

di output? Certamente no. Se digitiamo qualche comando al nostro computer, ad

esempio, ci aspettiamo che la sua risposta dipenda dal suo stato interno (ad esempio,

le cose cambiano se il computer e acceso o spento). Per un simile sistema determin-

istico, uno stato e definito come:

[Stato di un sistema deterministico] La rappresentazione di una parte del-

l’attivita di un sistema dinamico che sia sufficientemente dettagliata per determinare,

assieme all’iformazione dell’input attuale, quale saranno i suoi output e i suoi stati

immediatamente seguenti.

Vi e un ambiguita in questa definizione: dato un certo stato, cos’e esattamente “il

prossimo stato”? Intuitivamente e lo stato del sistema nel prossimo passo temporale,

109

ma questa nozione andrebbe chiarita. Supponiamo che l’evoluzione di un aspetto

di un sistema reale sia descritta dall’insieme {gt} di funzioni che sono soluzioni di

certe equazioni differenziali. Possiamo sempre considerare i valori di gt ad intervalli

discreti di T . In questo caso la serie discreta di passi temporali e sovrapposta alla

serie continua dei tempi reali. L’espressione “il prossimo output del sistema” in

questo caso significa lo stato e l’output al tempo t + 1. Il nostro insieme ordinato

di passi temporali, in questo caso, eredita la metrica dalla serie temporale reale, che

e continua, percio fra il tempo t + 1 e il tempo t intercorre un tempo definito, che

dipende solamente da t e da t+ 1.

Questo, tuttavia, non e l’unico senso in cui un sistema puo essere a tempo discreto.

In alcuni casi, la dinamica interna e cosı veloce a raggiungere stati di equilibrio che

e possibile descrivere l’evoluzione del sistema restringendo l’insieme M degli stati al-

l’insieme degli stati di equilibrio (che puo essere discreto). La funzioen di transizione,

questa volta, descrive come il sistema evolve da uno stato all’altro, date alcune con-

dizioni. In questo caso la reale lunghezza degli intervalli e irrilevante. Vi e un limite

inferiore (che dipende da quanto veloce e la dinamica del sistema), ma al di sopra di

questa soglia la serie temporale serve meramente come insieme ordinato.

Che l’osservatore si stia nascondendo dietro l’angolo, puo essere gia apprezzato in

questa fase iniziale dell’analisi. Si pensi ad un gioco “testa o croce” con una moneta.

Supponete che un giocatore vinca se ottiene testa due volte consecutive. Il tempo reale

che intercorre tra un lancio e l’altro e irrilevante. Questo accade perche quando una

moneta raggiunge una superficie piana impiega un tempo trascurabile per raggiungere

la posizione di equilibrio. Se le monete impiegassero centinaia d’anni per raggiungere

le loro posizioni di equilibrio, nessuno le userebbe per giocare. Il punto qui e che cio

110

che e “trascurabile” dipende da chi (o cosa) deve trascurare qualcosa.

Continuiamo con la nostra descrizione delle strutture computazionali. Questa e

una definizione formale di un automa un stati finiti: (ASF):

[Automa] Un automa e specificato da tre insiemi X, Y , e Q, e da due funzioni

α e β, dove: 1) X e un insieme finito, l’insieme degli input

2) Y e un insieme finito, l’insieme degli output

3) Q e l’insieme degli stati

4) δ : Q×X 7→ Q, la funzione di transizione, e tale che se in qualunque momento t il

sistema e nello stato q e riceve in input x, allora al tempo t + 1 il sistema si trovera

nello stato δ(q, x).

5) β: Q 7→ Y , la funzione di output e tale che quando il sistema si trova nello stato

q produce sempre l’output β(q). L’automa e finito se Q e finito.

L’obbiettivo, in questo paragrafo, e comprendere quali condizioni (fisiche) siano

necessarie e sufficienti affinche un sistema implementi un ASF.

Come si implementa un automa a stati finiti

La nozione di implementazione e fondata sulle nozioni di struttura causale e di isomor-

fismo fra strutture causali e strutture computazionali. Secondo Chalmers, ad esempio,

“un sistema fisico implementa una data computazione quando esiste un raggruppa-

mento di stati fisici del sistema in classi e una mappa biettiva dagli stati formali della

computazione a classi di stati tale che stati formali connessi da una realazione astratta

di transizione vengno mappati su classi di stati fisici connessi da una corrispondente

111

transizione causale.”9.

Quindi, data la definizione di ASF, un sistema fisico (P ) implementa un ASF (M)

se vi e una funzione (f) che mappa gli stati interni di P (QP ) negli stati di M (Q)

in modo tale che per ogni transizione formale (S, I) 7→ δ(S, I) = S ′ 7→ β(S ′) = O′, se

P si trova nello stato interno s e riceve input i dove f(i) = I e f(s) = S questo

causa il sistema ad entrare nello stato s′ e a produrre un outpu o′ tale che f(s′) = S ′

e f(o′) = O′.

Si noti che la mappa f ci permette di raggruppare gli stati fisici in classi (raggrup-

pando tutti gli stati che sono mappati nello stesso stato formale) in modo tale che

fra stati formali e classi di stati fisici vi e una relazione biettiva. E’ infatti possibile

definire una mappa f ∗ da gruppi di stati fisici (QP �f)10 a stati computazionali (Q).

La mappa e iniettiva poiche la funzione f e stata definita in modo tale che raggruppa

stati fisici in classi che corrispondono agli stati formali dell’automa. E’ suriettiva

grazie alla clausula “per ogni transizione formale” nella definizione data sopra.

Percio, la nostra definizione provvisoria di implementazione e dunque la seguente:

[Implementazione] Dato un automa A specificato da 〈X, Y,Q, δ, β〉, e un sis-

tema fisico S Descritto da 〈QS, T, {gt}〉, S implementa A Sse vi e una funzione

f ∗ : QS × XS × YS 7→ Q × X × Y tale che: [Iso] per ogni transizione di stato

computazionale I1, S1 → δ(I1, S1) = S2 7→ β(S2) = O2 esiste una transizione di stato

causale ([i1], [s1]) → [s2] 7→ [o2] tale che f ∗([i1]) = I, f ∗([s2]) = S2, e f ∗([o2] =

9D. Chalmers, A Computational Foundation for the Study of Cognition, section 2. URL:http://consc.net/papers/computation.html.

10L’insieme QP �f e l’insieme dei gruppi di stati fisici che si puo costruire dall’insieme QP deglistati usando la relazione di equivalenza indotta da questa funzione. Due stati fisici sono equivalentise vengono mappati nello stesso stato formale.

112

O2. Dove XS e YS Sono gli insiemi degli input e degli output fisici rispettivamente, ,

[i], [s] e [o] sono classi di input, di stati e di output definiti come tutti quegli input,

stati e output che f mappa sugli stessi input, stati e output computazionali.

Data questa definizione, quail proprita deve avere un sistema fisico per imple-

mentare un automa?

4.4 La vacuita dell’implementazione

4.4.1 Argomenti-V

Come abbiamo anticipato, la nozione di implementazione di una struttura com-

putazionale (implementazione) e stata oggetto di vari argomenti di relativita all’osser-

vatore. Tali argomenti, chiamiamoli argomenti per la vacuita dell’implementazione, o

argomenti-V, tendono a dimostrare che se le computazioni sono implementabili, allo-

ra sono sempre, vacuamente realizzabili da qualunque sistema fisico. L’idea generale

degli argomenti-V e che qualunque oggetto fisico e casualmente sufficientemente ricco

per essere descritto in modo tale da risultare essere l’implementazione di qualunque

computazione. Se gli argomenti-V fossero presi seriamente renderebbero il concet-

to di computazione privo di interesse fisico e, ancor peggio per i fini che ci siamo

prefissi, renderebbero il meccanicismo computazionalista vacuo, o assurdo. Tutti gli

argomenti-V si fondano sull’assunto che le proprieta fisiche di un sistema fisico sono

insufficienti per ascrivere ad esso proprieta sintattiche. “Se la computazione e definita

sulla base dell’assegnazione di una sintassi allora tutto sarebbe un computer digitale,

113

poiche qulunque oggetto e suscettibile di assegnazioni sintattiche.11. Nel nostro for-

malismo, la conclusione di questi argomenti e che :

[Argomenti-V] Dato qualunque sistema formale (computazionale) A, e qualunque

sistema fisico S, esiste sempre uno schema di etichettatura L tale che la coppia

< L, S > e un modelllo per A.

Nella letteratura si incontrano innumerevoli intuizioni che vanno in questa di-

rezione.

Nella definizione standard (di Turing) della computazione, e difficile elud-

ere le seguenti conseguenze: 1. Per ogni oggetto vi e una descrizione

tale che, in quella descrizione l’oggetto e un computer digitale. 2. Per

ogni programma e per ogni oggetto sufficientemente complesso, vi e una

descrizione dell’oggetto rispetto alla quale si puo dire che il programma

e da esso implementato. Cosı, ad esempio, il muro alle mie spalle in

questo momento sta implementando il programma del Wordstar, poiche

vi e qualche pattern di moti di molecole che e isomorfo alla struttura

formale del Wordstar [...].12

Un gran numero di casi presumibilmente problematici e stato proposto. Nel 1978,

ad esempio, Pinckfuss propose quello che ora e noto come il caso del secchio di Pinck:

Supponiamo che un secchio trasparente pieno d’acqua si trovi sotto il sole.

Al livello microscopico, accadono freneticamente una enorme quantita di

11Searle [51], p. 207.12Searle [51], p.209.

114

cose: correnti convettive, miriadi brulicanti di batteri e altre forme di vita,

etc. Ognuna di queste cose richiede che accada, al livello molecolare, una

miriade ancor piu complessa di fenomeni. Ora, tutta questa complessita

non e forse sufficiente da realizzare per un breve lasso di tempo, semplice-

mente per caso, il programma umano (date le opportune correlazioni fra

certi micro-eventi e i requisiti input, output, e simboli di stato del pro-

gramma)? E se e cosı, non dovrebbe forse il funzionalista concludere che

il secchio forma per un breve istante il corpo di un essere senziente, che

ha pensieri, sentimenti, e via cosı?13

Un argomento-V particolarmente preciso e stato proposto da Putnam

4.4.2 L’argomento di Putnam

Chiediamoci dunque piu precisamente se lo schema di ettichettatura proposto sopra

soddisfa I nostri desiderata. Nell’appendice al suo libro Representation e Reality14,

Putnam ha proposto un noto argomento per dimostrare che ogni sistema fisico aperto

implementa ogni ASF.

L’argomento ha la forma di un teorema, e consiste di due momenti. Nel primo si

sostiene che:

[Teorema di Putnam] Tutti I sistemi fisici aperti implementano qualunque ASF

senza input e output.

13Cosı lo racconta Lycan in [32], p. 39.14Putnam [43].

115

Il risultato viene poi esteso a ASF con input e output. Putnam ammette che

la specificazione di particolari input e output impedisce un’estensione del risultato.

Tuttavia, se il risultato e valido per la descrizione interna di un ASF, la tesi secondo cui

le proprieta cognitive sono coestensive con l’implementazione di un particolare ASF

e equivalente a dire che sono coesetensive con l’implementazione di una particolare

funzione di input-output. Se questo fosse il caso, il computazionalismo verrebbe fatto

conflagrare con il comportamentismo.

Cosı otteniamo che l’assunzione che qualcosa e la “realizzazione di un

certo automa (cioe possiede una specifica “organizzazione funzionale”)

e equivalente all’assunzione che si comporta come se avesse quella de-

scrizione. In breve, il “funzionalismo”, se fosse vero, implicherebbe il

comportamentismo! Se e vero che possedere stati mentali e equivalente

a possedere una certa “organizzazione funzionale”, allora e anche vero

che possedere degli stati mentali significa semplicemente possedere certe

disposizioni comportamentali!15

Non ci interessa qui riproporre la prova di Putnam. Cio che conta e che, ancora

una volta, la nozione di implementazione sembra in pericolo. La diagnosi di Putnam

addita gli arbitrari raggruppamenti di stati. Ci sarebbe bisogno di raggruppare fra

loro in una classe solo stati che abbiano intuitivamente qualcosa in comune.

Il problema naturalmente e che ci sono dei limiti alle restrizioni che possiamo

porre:

[...] questo “qualcosa in comune” deve esso stesso essere descrivibile al

livello fisico [...]: se i disgiunti in una disgiunzione di stati massimali non

15Putnam [43], pp. 124-125.

116

hanno nulla in comune che si possa descrivere al livello fisico e nulla che si

possa descrivere al livello computazionale, allora dire che essi “hanno in

comune che sono tutte realizzazioni dell’atteggiamento preposizionale A”,

dove A e proprio l’atteggiamento preposizionale che vorremmo ridurre,

sarebbe imbrogliare. 16

Come ho ditto, altri argomenti dello stesso tipo si possono trovare nella letteratu-

ra17. La validita di questi argomenti e stata messa in questione, 18, ma la maggior

parte degli autori si trova daccordo sul fatto che [questi argomenti] “mostrano che e

necessario comprendere meglio il ponte fra la teoria della computazione e la teoria dei

sistemi fisici: l’implementazione. ”19.

4.5 La cecita semantica dell’isomorfismo

Con questo lavoro ci proponiamo di comprendere meglio perche gli argomenti Godeliani

contro il meccanicismo ci paiono cosı convincenti. Come abbiamo visto nel capi-

tolo precedente, essi non permettono di ridurre all’assurdo il funzionalismo com-

putazionale. Tuttavia risulta molto evidente che per convincerci che la proposizione

G di Godel e vera, non utilizziamo alcun procedimento coscientemente deduttivo.

Ritengo che cio che pare fare difetto alle macchine, sia esattamente cio che fa difetto

a una teoria formale quando si cerca di farle catturare un modello inteso attraverso

la posizione di assiomi. Il solo isomorfismo fra linguaggio (e assiomi) e gli elementi

16Putnam [43], p. 100.17e.g. Searle [50].18Vedi Chalmers [10], [11], e Scheutz [49].19Chalmers [10].

117

della struttura, non pare bastare. Gli isomorfismi paiono cechi alle proprieta seman-

tiche. Ci pare invece che gli esseri umani ci vedano perfettamente in questo senso.

Come abbiamo visto nella sezione precedente, la teoria (attualmente dominante) della

computazione, secondo la quale la nozione di implementazione poggia solo sull’iso-

morfismo formale fra stati computazionali e stati fisici, pare ceca allo stesso modo:

pare impossibile eliminare modelli non intesi (quali le vacque implementazioni di

qualunque algoritmo da parte di qualunque sistema fisico).

Tale patologia, cioe la cecita dell’isomorfismo, e molto comune in filosofia. Ogni

metateoria che si sia proposta di rappresentare la relazione fra una struttura astratta

e la realta sulla base di isomorfismi strutturali e stata oggetto di critiche di questo

tipo. Qui voglio discutere alcuni di questi casi.

4.5.1 L’argomento di Newman

Un precursore degli argomenti per la cecita dell’isomorfismo risale all’inizio del secolo

scorso.

Nel 1927 Bertrand Russell affermo che “quando inferiamo qualcosa a partire dalla

percezione, e solo la struttura che possiamo inferire validamente; e La struttura e

cio che si puo esprimere nella logica matematica.”20. A questo un amico e collega

di Turing, Max Newman, rispose con un articolo nel quale affermava che “nessuna

[...] informazione circa un aggregato A, eccetto la sua cardinalita, e contenuta nel-

l’affermazione che esiste un sistema di relazioni, con A come campo, che abbia una

struttura data. Poiche dato qualunque aggregato A, e sempre possibile trovare un sis-

tema di relazioni comunque assegnato che sia compatibile con il numero cardinale di

20Russell [47], p. 254.

118

A.”21. Russell concesse qualche anno dopo che Newman aveva ragione.

Vale la pena considerare piu da vicino l’argomento di Newman. Avendo deciso che

e razionale credere nel mondo esterno (per aver escluso il solipsismo e il fenomenalis-

mo), Russell, in quel lavoro, cercava di capire quale conoscenza, se qualche conoscenza

era possibile, potessimo mai avere di esso. Il “mondo esterno” per Russell (in quel

lavoro) consiste di tutte le cause non percepite delle nostre percezioni (sia di quelle

attuali che di quelle possibili). Poiche non e ovviamente possibile alcuna conoscenza

diretta (direct acquaintance) di queste cause, Russell si interrogo su quale conoscenza

indiretta ne fosse invece possibile. L’unica conoscenza che e possibile ottenere circa

le cause non percepite delle nostre percezioni e, secondo Russell, “strutturale”: cioe e

conoscenza della struttura di relazioni che sussistono fra le cause non percepite. Di tali

relazioni, pensa Newman, “nulla si puo sapere (o nulla si puo presumere di sapere), se

non che sussistono.”. Russell specifica che la relazione generante debba essere quella

di “continuita casuale”, cioe il fatto che eventi contigui nella mappa spaziotemporale

della struttura di relazioni debbano rappresentare eventi “casualmente contigui” nel

mondo esterno. Ma, osserva Newman, “se i principi del signor Russell devono essere

mantenuti fermi, questa affermazione non potrebbe che essere una mera definizione di

continuita causale: se dovessimo conoscere direttamente qualcosa cira la sua natura

conosceremmo qualcosa di non strutturale circa il mondo esterno.”22

La forma della nostra ipotetica conoscenza del mondo esterno, nelle parole di

Russell, e che noi sappiamo che “[vi e] una relazione R tale che la struttura del

mondo esterno rispetto a R e W .”.

L’obiezione di Newman e la seguente:

21Newman [38], p. 140.22ibid. pp. 144-145.

119

Qualunque collezione di oggetti puo essere organizzata in modo tale da

avere una struttura W , a patto che vi sia un numero congruo di questi

oggetti. Percio la dottrina che solo la struttura e conoscibile implica

la dottrina che nulla puo essere conosciuto che non sia logicamente de-

ducibile dalla mera esistenza, eccetto (“teoricamente”) il numero degli

oggetti costituenti. 23

L’argomento poggia sull’affermazione che, “dato un aggregato A, esiste un sistema

di relazioni con qualunque struttura assegnata di cardinalita A, e che ha A come suo

campo. ”.

L’universalita dell’argomento poggia quindi sull’assunzione che nessuna restrizione

(intrinseca o estrinseca) venga posta rispetto alla relazione generante. La relazione,

in altre parole, deve essere concepita nei suoi termini piu generali: la classe di tutti gli

insiemi (x1, x2, ...xn) che soddisfano una certa funzione proposizionale φ(x1, x2, ...xn).

Ad esempio, dati quattro oggetti qualunque (questo e l’esempio di Newman): α,

β e γ, una relazione che sussiste fra a e α, a e β, e a e γ, ma no fra altre coppie, e

l’insieme delle coppie x e y che soddisfano la funzione proposizionale: “x e un a, e y

e un α, un β o un γ”. Poiche tale funzione e soddisfacibile da qualunque insieme di

quattro oggetti, l’affermazione che quattro oggetti sono il campo di una struttura di

relazioni come quella assegnata e totalmente non informativa. Poiche inoltre questo

e vero per qualunque aggregato di entita e qualunque data struttura di relazioni,

Newman conclude che la “conoscenza strutturale” non e conoscenza affatto.

L’argomento, chiaramente, puo essere sconfitto solo restringendo l’insieme delle

funzioni proposizionale che consideriamo essere relazioni “reali”, o “rilevanti”: ad

23ibid. p. 144.

120

esempio restringendo il dominio delle possibili relazioni a quelle “reali”, ed escluden-

do tutte quelle “fittizie”, dove una relazione “fittizia” e una relazione “la cui unica

proprieta e che sussiste fra gli enti tra I quail sussiste.” (tale sarebbe la relazione

dell’esempio qui sopra).

Tale restrizione, tuttavia, servirebbe allo scopo di sconfiggere l’argomento di New-

man solo se non fosse possible argomentare che, data una struttura W di relazioni

relai fra gli elementi di un aggregato A, vi sia un sistema di relazioni fra gli oggetti

di A con una qualunque struttura W1. In altre parole, l’esclusione delle “relazioni

fittizie” blocca l’argomento solo se non e possible applicare l’argomento anche alle

“relazioni reali”.

Newman ritiene che le cose stiano precisamente cosı.

Si consideri infatti una aggregato A e una struttura (quella ipoteticamente conosci-

uta) di relazioni reali fra I suoi elementi (W ). La struttura ci fornisce tutti i mezzi

necessari a “battezzare” gli oggetti dell’aggregato (ad ogni oggetto puo essere dato lo

stesso nome del suo correlato nella mappa che corrisponde a W .

Si consideri ancora, ad esempio, il caso dei quattro oggetti. La struttura generata

dalla relazione “fittizia” x e a, e y e α, β o γ” puo essere generata anche dalla

relazione reale “denotato da lettere di alfabeti diversi”. Cosı, parrebbe, per ogni

struttura W generata dalla relazione fittizia R esiste una relazione reale Rr che genera

la stessa struttura. Percio la restrizione a relazioni reali non e sufficiente a bloccare

l’argomento.

Si noti che Newman sta suggerendo che la nostra conoscenza del mondo esterno

(secondo una teoria strutturale) soffre di una “cecita” che e in tutto analoga a quella

dei linguaggi formali rispetto ai loro modelli, o a quella delle strutture computazionali

121

rispetto ai sistemi fisici che le implementano, e, infine, analoga alla presunta cecita

delle macchine di fronte alla verita della proposizione G.

Nelle parole di Newman, la difficolta che abbiamo esposto e la seguente:

L’argomento che abbiamo usato [...] comincia col negare che vi sia una

classificazione delle relazioni [...] con le seguenti proprieta: a) la classifi-

cazioni puo essere applicata alle relazioni fra oggetti non percepiti; b) se

C e la classe alla quale appartiene la relazione generante della struttura

reale W , non puo essere dimostrato logicamente che esiste un’altra re-

lazione nella classe C che possiede qualunque altra struttura W − 1 data.

24

Possiamo ora esprimere il nostro punto di vista circa la cecita dell’isomorfis-

mo. L’informazione che la struttura rappresentata e isomorfa a quella rappresen-

tante non fornisce alcuna informazione sui rappresentati, quindi in particolare non

fornisce alucna informazione circa come il mondo dovrebbe essere affinche la rappre-

sentazione sia “vera” (o, se e per questo, falsa). Se nessuna restrizione viene posta

sulla relazione generante, l’affermazione che un dominio e isomorfismo a un dominio

di rappresentazioni e totalmente non informativa, e percio inadatta a fondare nozioni

semantiche.

4.5.2 La cecita dell’isomorfismo e il realismo metafisico

In tempi piu recenti, Putnam ha proposto un argomento (noto come argomento model-

teoretico contro il realismo metafisico) che espone ancora una volta la cecita dell’i-

somorfismo. Secondo Putnam, come vedremo, la non informativita dell’isomorfismo

24ibid. p. 147.

122

e applicabile anche alla stessa idea che vi sia un mondo la fuori che noi potremmo

rappresentare.

L’argomento model-teoretico parte con l’osservare che: (a) qualunque teoria suf-

ficientemente complessa contiene modelli non intesi e (b) non vi e alcun modo, nes-

suna quantita di informazione addizionale (nemmeno fisica), per determinare quale

di questi modelli sia quello inteso. Dei teoremi fondamentali della teoria dei modelli

assicurano che qualunque teoria del prim’ordine ha vari modelli differenti. Putnam

argomenta che, di conseguenza, nessuna restrizione teorica puo servire a individuare

quale fra questi modelli sia quello inteso. Nemmeno restrizioni operazionali (come la

richiesta che una grandezza assuma un certo valore), second Putnam, sono sufficienti

allo scopo. Tali restrizioni, infatti, possono essere codificate in modo tale che sia puo

mostrare che esiste un modello non inteso che soddisfa anche la nuova collezione estesa

di assiomi. Ora, il realista metafisico deve assumere che esista (almeno in principio)

una teoria che descrive accuratamente il mondo. Il mondo stesso, per il realista, non

sarebbe altro che il modello intesso di questa teoria. Se Putnam ha ragione, e nessun

assioma, teorico o operazionale, e sufficiente a escludere i modelli non intesi, allora

ha ragione a concludere che il realismo metafisico non e intelligibile.

In una versione dell’argomento, nota come argomento della permutazione, Putnam

argomenta come segue. Un teorema fondamentale della teoria dei modelli assicura

che se due modelli di una teoria (M0 e M1) sono isomorfi, cioe se esiste una biezione

f : M0 7→ M1, allora per qualunque formula ψ, M0 |= ψ ⇔ M1 |= ψ (cioe come

si ricordera dal primo capitolo di questa tesi, M0 e M1 sono anche elementarmente

equivalenti). Un altro teorema assicura che, se f : M0 7→ X e una biezione, allora vi

e un metodo canonico per costruire una modello MX isomorfo a M0.

123

Da questi risultati segue che se permutiamo il dominio di un modello M0, vi sara

sempre un modo canonico per costruire un modello MX che sia isomorfo (quindi,

abbiamo visto elementarmente equivalente) a M0. Quindi, se M0 e il mondo reale

secondo il realista metafisico, anche MX dovra esserlo, per lo stesso motivo. MX ,

infatti, ha lo stesso dominio e soddisfa le stesse formule diM0. MaMX ha una funzione

di interpretazione completamente diversa da M0: come puo il realista affermare che

la sua teoria (idealmente) descrive accuratamente il mondo?

4.5.3 La cecita dell’isomorfismo nelle teorie naturalistiche

della semantica

Vediamo ora, brevemente, come la suddetta patologia dell’isomorfismo si presenti an-

che quando un qualche isomorfismo viene chiamato in causa per affrontare il problema

stesso di cosa sia una rappresentazione (cioe alla semantica).

Nonostante che per molti sia naturale concepire il significato come una qualche

relazione fra il linguaggio (le rappresentazioni) e il mondo, la preoccupazione per i

casi “Fregiani” (cioe espressioni che si riferiscono agli stessi enti pur avendo significati

differenti), ha spinto alcuni a sostenere che le condizioni che fissano il significato

siano da ricercarsi all’interno del linguaggio stesso. Cio che fissa il significato di

un’espressione, secondo queste teorie internaliste, non e qualche relazione fra questa

e qualche fatto del mondo, ma piuttosto il ruolo che questa espressione ha all’interno

del linguaggio stesso. Questa teoria dell’isomorfismo (anche nota come “semantica

del ruolo concettuale”), e strettamente imparentata (strutturalmente) con le altre

teorie dell’isomorfismo che abbiamo considerato in questo lavoro. Anche qui, infatti,

i candidati portatori di etichette (gli enti rappresentati, in questo caso) vengono

124

individuati a partire dai loro reciproci ruoli causali, anziche sulla base della relazione

che sussiste fra ognuno di essi e la sua controparte rappresentazionale.

Fra le difficolta che le teorie del ruolo concettuale devono affrontare (come del

resto qualunque altra teoria internista), quella che ci interessa in questa sede e che e

possibile argomentare che il ruolo concettuale (o inferenziale) di una rappresentazione

non fissa le appropriate relazioni con il mondo. Il significato di un’espressione, infatti,

assieme alla appropriata conoscenza del mondo, dovrebbe assicurare che il riferimento

di quell’espressione sia fissato. Il fatto che il ruolo concettuale di una rappresentazione

sia indipendente dal mondo ha spinto alcuni a sostenere che queste teorie sono in-

adeguate a priori. La sola informazione che esiste un isomorfismo fra una struttura

concettuale (ad esempio la struttura inferenziale di una rete di credenze) e la struttura

di relazioni fra fatti che sussistono nel mondo, e insufficiente a fissare le condizioni

di verita di ciascun ruolo concettuale. Stiamo cercando le condizioni di verito di

Rap(P, SI): la relazione intenzionale che sussiste fra un certo stato SI (la rappresen-

tazione) e una proposizione (P) (dotata di precise condizioni di verita). Ora se l’unica

condizione che poniamo e che gli stati di S (I in questo caso) possono essere messi

in relazione biunivoca con le proposizioni, in modo che fra la struttura cui SI appar-

tiene e quella cui P appartiene vi sia una relazione di isomorfismo, allora la formula

Rap(SI , P ) avra sempre dei modelli non intesi. Poiche vorremmo che le condizioni

che abbiamo posto fissassero il contenuto, tale proliferazione dei modelli e fatale per

la proposta.

Molti teorici del ruolo concettuale (ad esempio Block [7], Field [18] e Lycan [33]),

riconoscendo l’impossibilita di fissure le condizioni di verita sulla base dei soli ruoli

concettuali, hanno proposto delle teorie (semantiche del doppio aspetto) secondo le

125

quail vi deve sempre essere una componente che rende conto delle relazioni fra le rap-

presentazioni e il mondo. Ancora una volta, pero, l’isomorfismo non pare sufficiente

a fare cio che vorremmo facesse. Fodor e Lepore, nella loro critica alla teoria della

semantica di Block, hanno espresso questa obiezione cosı: “ora dobbiamo affrontare la

questione piu spinosa: cosa tiene assieme i due fattori? Ad esempio, cosa impedisce

che vi sia un’espressione che ha il ruolo inferenziale appropriato per il contenuto di

“4 e un numero primo” ma le condizioni di verita appropriate per il contenuto di

“l’acqua e umida”? ” [[20], p. 170].

Vi sono molti altri esempi analoghi a questo, che non avremo il tempo di discutere

in questa sede. Cio che mi preme sottolineare e che, ancora una volta, il concetto di

isomorfismo si dimostra incapace di creare la minima quantita di attrito con la realta

che e necessaria affinche questa venga opportunamente catturata.

4.6 Un’analisi della cecita semantica dell’isomor-

fismo

Una assunzione implicita e, a mio avviso, non necessaria in tutti gli argomenti scettici

che abbiamo considerato, e che le proprieta sintattiche debbano essere intrinseche ai

loro portatori. L’idea di Russell, ad esempio, e che la stessa struttura sia intrinseca

sia (1) al sistema delle nostre rappresentazioni (delle quali abbiamo una conoscenza

diretta) che (2) al sistema delle loro cause (che noi non percepiamo direttamente). La

relazione causale fra queste strutture deve solo portare l’informazione che queste due

strutture sono identiche (che vi e un isomorfismo fra le due): e cosı che verremmo a

sapere qualcosa di vero su un mondo del quale non facciamo alcuna esperienza diretta.

126

E’ difficile immaginare come tale teoria, impegnata com’e a sostenere la concezione

internalista delle proprieta formali, potrebbe sfuggire all’argomento di Newman. La

teoria di Russell, in altre parole, presuppone che il sistema delle casuse non percepite

delle nostre percezioni possegga una struttura formale saliente anche prima di in-

teragire casualmente con il nostro apparato percettivo. Tale struttura, si suppone,

dovrebbe causare nel dominio delle nostre percezioni una struttura relazionale ad essa

isomorfa.

Analogamente, l’obiezione di Putnam al computazionalismo funziona (se funziona)

solo nell’ipotesi che delle proprieta computazionali casualmente efficaci appertengano

intrinsecamente a degli oggetti fisici (come ci vogliono far credere la maggior parte

delle teorie della computazione correnti). In quel caso, l’identita di struttura fra

l’organizzazione causale del modello e l’organizzazione formale della struttura com-

putazionale, spera di garantire l’individuazione di un modello inteso (cioe l’oggettivita

dell’implementazione).

Come abbiamo visto, Putnam, nel suo argomento model-teoretico, spinge il coltel-

lo ancor piu in profondita, affermando che il medesimo problema riduce all’assurdo la

stessa idea che esista un mondo di enti e proprieta che “attendono” di ricevere un nome

e delle teorie. Io penso che sia possibile imparare una lezione meno severa da questi

argomenti: le proprieta strutturali sono reali (cioe attuali, anziche meramente poten-

ziali) solo quando sono accoppiate (fondate) su reali proprieta semantiche. Percio gli

argomenti-V, secondo il mio punto di vista, colpiscono il segno solo se si presuppone

che gli oggetti fisici in questione non interagiscano con dei sistemi rappresentazionali.

L’argomento model-teoretico, ad esempio, viene condotto a termine nell’assunzione

che nessuno sia li a interpretare i simboli.

127

Piu precisamente, la speranza irragionevole che Putnam ha dimostrato non pot-

er mai essere soddisfatta, e che la logica del prim-ordine, la teoria degli insiemi e

quella dei modelli, considerate come meri sistemi di simboli non interpretati, possano

individuare ed eliminare i modelli “non intesi”, che sono ai loro occhi formali indis-

tinguibili da quelli “intesi”. Prevedibilmente, nessun sistema di simboli, nemmeno

uno che potesse essere interpretato come riferentesi ai fatti che naturalizzano l’inten-

zionalita, potrebbe riuscire in una simile impresa. Questo non dovrebbe sorprenderci.

Dopotutto, se l’intenzionalita (come pensano i fiscalisti) e una proprieta naturale,

non e ragionevole aspettarsi che una sua descrizione matematica condivida con lei le

stesse proprieta casuali.

Noi pensiamo che la temperatura di un gas, ad esempio, sia una proprieta naturale

che puo essere descritta da un sistema matematico che descrive le posizioni e le velocita

di un enorme numero di atomi. Dovremmo forse aspettarci di far bollire una pentola

d’acqua gettandoci dentro un foglio di carta con su scritte delle equazioni differenziali?

E se non fosse cosı (come non e), dovremmo concluderne che la temperatura non e

una proprieta naturale? Sperare di fissare il modello inteso di una teoria gettandoci

dentro un insieme inerte di simboli che stanno per restrizioni operative e, mi pare,

altrettanto disperato.

E’ consistente con queste considerazioni che alcuni autori abbiano sostenuto che

l’argomento model-teoretico di Putnam non funzioni perche non e applicabile a for-

mulazioni del second’ordine della teoria degli insiemi. Formulazioni del second’ordine

paiono essere necessarie per trattare modelli contrafattuali o modali delle restrizioni

causali (ad esempio per specificare cosa succederebbe se facessimo certe misure). La

controbiezione di Putnam e stata che questi modelli possono essere “tradotti” nel

128

linguaggio del primordine25

Altri filosofi, (ad esempio Davidson [14], p. 237), inoltre, hanno sostenuto che

le relazioni causali che bloccherebbero le permutazioni possono a loro volta essere

permutate. Sarebbe inutile, sostiene Putnam, prescrivere che le restrizioni fisiche de-

vono essere poste ad un livello semantico piu alto di quello dei simboli che vogliamo

interpretare. Infatti, qualunque sia il livello o metalivello in cui poniamo le nostre

descrizioni, cio che conta e che a quel livello i simboli non sono intrinsecamente inter-

pretati, cosı che l’argomento di Putnam (o quello di Davidson) puo essere riadattato

per ripresentare la sfida.

Io ritengo, tuttavia, che queste manovre difensive non siano legittime. Sono in-

fatti condotte nell’assunzione che delle proprieta sintattiche potenziali, come quelle

che possono essere arbitrariamente ascritte ad una sequenza di simboli sconosciuti,

siano sufficienti per fissare delle reali (attuali) proprieta sintattiche,k come quelle che

ascriviamo ad una sequenza ben formata di simboli conosciuti. Noi ascriviamo tali

proprieta sintattiche reali rappresentando (come minimo) tutti I simboli che vi fig-

urano. Nessuna entita, insomma, possiede alcuna reale proprieta sintattica se non

relativamente ad un apparato rappresentazionale reale.

La differenza fra delle proprieta sintattiche reali e potenziali, e particolarmente

ovvia nel caso delle espressioni linguistiche. Si consideri l’espressione

TRE

Cosı come viene tipo-identificata (assumiamolo per amore dell’argomento), da

proprieta intrinseche della grana e della testura della carta che state guardando. E’

25Per affrontare queste obiezioni Putnam (in [42], pp. 8-9 and p. 23.), Putnam usa i modelli diHenken per trasformare la teoria del second’ordine in una teoria del prim’ordine.

129

un individuo dello stesso tipo del predicato unario T (RE), che potrebbe significare,

poniamo, che il re si trova sul trono, oppure e dello stesso tipo del predicato binario

T(R,E), che potrebbe significare che il re e stato tradito dal suo esercito, oppure e

una costante in una teoria dei numeri?

E’ chiaro che l’espressione TRE ha tutte queste potenziali forme sintattiche, e

molte altre ancora rispetto alle quali il nostro apparato percettivo e ceco. Sono pro-

prieta potenziali che si realizzano ogni qualvolta viene data una certa interpretazione

(il che e un fenomeno fisico, se la naturalizzazione dell’intenzionalita e possibile). Se

assumiamo l’internalismo sintattico, e qualcuno dimostra che le proprieta sintattiche

non sono sufficienti a fissare il contenuto (cosa che Putnam pensa di aver fatto) allora

questo qualcuno ha ragione a concludere che non vi sara mai sufficiente teoria per

portare a termine la missione. Questo e vero perche qualunque informazione, teorica

o operativa, non aggiungerebbe altro che ulteriori proprieta sintattiche potenziali.

L’idea che proprieta semantiche reali (quindi rappresentazioni mentali) siano es-

senziali per l’istanziazione di proprieta sintattiche puo apparire controintuitiva. Le

proprieta sintattiche, dopotutto, sono definite come proprieta non semantiche. Ques-

ta obiezione, tuttavia, si fonda su un fraintendimento dell’affermazione (vera) che le

proprieta sintattiche non richiedono alcuna particolare proprieta semantica per essere

realizzate.

Un esempio potrebbe aiutare a comprendere meglio la diagnosi che sto propo-

nendo. Notoriamente, i colori sono proprieta che non sopravvengono sua alcuna

proprieta intrinseca dei loro portatori. Una mela rossa non riflette luce rossa, ed e

erroneo pensare agli oggetti che noi vediamo come oggettivamente colorati in un certo

modo, come oggetti oggettivamente colorati. Piuttosto, la mela assorbe luce di varie

130

lunghezze d’onda in diversi gradi, in modo tale che la luce che non viene assorbita e

che, riflessa, giunge alla nostra retina, viene percepita comerossa. La mela viene per-

cepita come rossa solo perche la visione dei colori di un umano “normale” percepisce

luci con differenti misture di lunghezze d’onda come diverse, e abbiamo il linguaggio

(dei concetti) per esprimere queste differenze. Per sapere quale percezione di col-

ore emergera data una certa composizione di lunghezze d’onda, richiede di possedere

conoscenze circa la neurofisiologia della retina e del cervello. Questo, tuttavia, non

dimostra che i colori godano ti uno status ontologico di serie B. Le proprieta men-

tali sono evidentemente “non indipendenti da noi”, ma non per questo sono meno

qualificate a far parte della realta.

Ora, si immagini una bandiera divisa in tre settori diversamente colorati. I tre

colori sono giallo, verde e blu: sono adiacenti nello spettro. Il nostro linguaggio, e la

nostra intuizione, ci ingannano nel farci dire che la bandiera e composta di tre settori

colorati, anziche dire che appare composta di tre settori. Seguendo questa intuizione,

faremmo l’ipotesi che questa proprieta sintattica (quella di essere tripartita), debba

sopravvenire su qualche proprieta intrinseca della stoffa di cui e fatta la bandiera.

Supponiamo dunque di scegliere tre bande di frequenza come base di sopravvenienza

della tripartizione. Qualcuno, chiamiamolo Hilary, potrebbe obiettare che, qualunque

scelta abbiamo fatto, vi saranno modelli non intesi della stessa proprieta. Infatti,

anche un continuo perfetto di lunghezze d’onda verrebbe percepito come tripartito in

un settore giallo, uno verde e uno blu (agli occhi di un umano normale).

Avrebbe ragione dunque Hilary, se ne concludesse che le proprieta percettive

rispetto alla bandiera non sopravvengono su qualche proprieta fisica isomorfa? Cer-

to che no. Hilary potrebbe bensı sostenere che le proprieta della nostra percezione

131

non sopravvengono su alcuna proprieta sintattica intrinseca della bandiera. Ma il

numero tre che compare nell’enunciato “la bandiera e composta di tre settori”, deve

essere collegato a qualche proprieta fisica relazionale della luce riflessa e del nostro

sistema dinamico cognitivo. Il nuemero tre, per cosı dire, deve comparire da qualche

parte nella spiegazione di questa proprieta relazionale. Ricorrere a questo numero

tre e legittimo nella spiegazione del perche vediamo tre settori. Percio non dobbi-

amo abbandonare l’idea che la bandiera sia sintatticamente strutturata in un certo

modo: dobbiamo solo abbandonare la speranza di spiegare tale proprieta sintattica

ricorrendo ad un isomorfismo con proprieta intrinseche dell’oggetto percepito. Questa

trattazione della tripartizione della bandiera e un esempio di esternalismo sintattico.

E’ mia opinione che, cosı come la realizzazione di proprieta esterne e essenziale per

la nozione di trisettorialita nelle esempio che abbiamo fatto, la fattuale realizzazione

di proprieta semantiche sia essenziale per fondare la nozione di realizzazione di una

computazione.

4.6.1 Il paradigma codicista

E’ interessante chiedersi cosa possa aver oscurato un obiezione cosı facile al paradigma

internista della sintassi. Io pernso che sia stato un pregiudizio internista profonda-

mente radicato, circa la natura delle proprieta semantiche.

Molte teorie della semantica, cosı come la maggior parte delle teorie dell’imple-

mentazione, adottano quello che potremmo chiamare il paradigma codicista26: l’idea

secondo cui la cognizione consisterebbe di codifiche e di operazioni su di esse.

26Per la nozione di paradigma codicista, e una discussione dettagliata dei problemi che sollevasono debitore del lavoro di Bickhard ([3], [4],[5] e [6]).

132

Nella maggior parte dei casi, concepiamo il nostro contatto epistemico con il mon-

do come mediato dai sensi. Pensiamo che questi “codifichino” informazioni sull’ambi-

ente che poi vengono messe a disposizione della mente, che le elabora per pianificare

future contatti epistemici.

Questo quadro semplicistico costituisce la base della maggior parte della nostra

conoscenza scientifica della cognizione e della semantica. Cosa significa “codificare”

l’informazione? Intuitivamente, significa trasformare (trasdurre) l’informazione in un

formato che sia pratico da manipolare, preservando allo stesso tempo la possibilita di

“decodifica”, qualora questa si riveli necessaria.27

Un modo semplice per analizzare la nozione di codice e quella di pensare a ogni

codifica come a qualcosa che “sta per”. Ad esempio, il simbolo “...” sta per “S”, nel

codice Morse.

Secondo questa nozione, le codifiche sono trasformazioni sistematiche di rappre-

sentazioni. In quanto tali, richiedono che sia le rappresentazioni di cio che le codifiche

rappresentano (come la rappresentazione “...”), che le rappresentazioni delle codifiche

stesse (come la rappresentazione “S” ), siano presenti.

Alternativamente si possono definire le codifiche come corrispondenze fattuale,

possibilmente nomiche. Cosı, ad esempio, sentiamo spesso che una certa attivita

neurale codifica qualche proprieta della luce che colpisce la retina. Eppure non c’e

nessuno che sappia che quelle proprieta sono in corrispondenza fattuale con quei

neuroni. Dire che “codificano” quelle proprieta della luce conduce ad un pericoloso

equivoco.

La stessa luce che colpisce la retina potrebbe impressionare permanentemente una

27Nozioni familiari di codifiche sono il codice Morse, i codici informatici, i codici stenografici, lanumerazione di Godel che abbiamo discusso nel primo capitolo, etc.

133

pellicola in una macchina fotografica, stabilendo corrispondenze fattuali con la pel-

licola cosı come fa con una popolazione di neuroni. In questi casi, tuttavia, non

diremmo che quelle proprieta sono codificate dalla pellicola. Perche vi sia una “cod-

ifica”, e comunuqe, perche una corrispondenza fattuale abbia un qualunque valore

epistemico, tali corrispondenze devon essere conosciute; e per conoscerle abbiamo

bisogno di potre rappresentare sia cio che viene codificato che la codifica stessa. In

altre parole, le corrispondenze fattuali non trasportano alcuna informazione circa cio

che vi corrisponde.

Il mito codicista, inoltre, ha impedito, a mio avviso, di riconoscere il fatto che

gli isomorfismi, di per se, sono totalmente non informativi circa cio rispetto a cui

sussistono. L’utilizzo surrettizio delle proprieta semantiche in questi casi, consiste nel

suppore che le nostre capacita semantiche, che sono totalmente trasparenti alla nostra

coscienza, e che hanno la funzione di individuare i modelli intesi delle nostre teorie,

possano essere trasferite “gratuitamente” ai sistemi di simboli che costruiamo, cioe

senza trasferire anche gli stati fisici che supportano le nostre capacita intenzionali.

Consclusioni

Il teorema di Godel non ha mai smesso di affascinare i lettori per la sua profondita

e per le innumerevoli sue conseguenze, per la logica, la matematica e la filosofia in

generale. Forse proprio per questo si e prestato spesso a interpretazioni fantasiose.

Uno degli scopi che mi sono prefisso con questo lavoro e stato quello di fare chiarezza,

a me stesso prima che ad altri, su cosa esattamente Godel abbia dimostrato. In

particolare ho voluto sottolineare che Godel NON ha mai dimostrato che vi sono

proposizioni vere dell’aritmetica che non sono dimostrabili.

Le alternative lasciate aperte dal teorema sono infatti le seguenti:

ω-Incoerenza

Potrebbe esserci (nessuno ha mai dimostrato il contrario) una dimostrazione fini-

tista della negazione della formula G di Godel. Questo significherebbe che esiste un

numero di Godel (necessariamente soprannaturale) che costituisce una dimostrazione

della formula G. Non si avrebbe mai uno scontro diretto di proposizioni contraddi-

torie, in quanto per ogni numero naturale n, resterbbe vero che n non e il numero

di Godel di una dimostrazione di G. La maggior parte dei matematici, specialmente

quelli di orientamento platonista, sono disposti a scommettere che questo non sia il

caso, perche non vogliono essere costretti a digerire i numeri soprannaturali. Un conto

134

135

e se esiste un modello che li prevede, ma che questa sia la realta ultima e unica dei

numeri naturali e un boccone molto amaro da mandar giu. Tuttavia nessuno ha mai

dimostrato che questa eventualita non si possa verificare.

Incoerenza L’altra alternativa e che l’aritmetica sia incoerente, cioe che gli unici

sistemi di assiomi che sono sufficienti per catturare tutte le verita che desideriamo

catturare, siano anche sufficienti per contraddirsi fra loro. In questo caso sarebbe

possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto, compresa la proposizione G. An-

che questa e una prospettiva poco appetibile, ma non e proprio il timore di questa

evenienza che ha spinto i matematici a cercare delle prove assolute di coerenza simili

a quelle che si hanno per sistemi ridotti dell’aritmetica? Certo nessuno ha mai rin-

venuto alcuna contraddizione, ma i numeri naturali, e le loro relazioni, sono davvero

tanti!

Incompletezza Resta aperta la possibilta (quella nella quale forse la maggior parte

dei matematici ripone la propria fiducia) che la teoria dei numeri lasci aperte delle

questioni. Per un formalista questo non e un problema. Dopotutto per lui (o lei) gli

enunciati dell’aritmetica non significano nulla, in se: chiedersi se davvero la propo-

sizione G sia vera o no, per un formalista, e come chiedersi se davvero la nonna di

Cappuccetto Rosso aveva settant’anni o se ne aveva ottanta. Per un Platonista le

cose sono piu difficili da digerire, in questo caso. Questi continuera a chiedersi se la

proposizione G sia vera o falsa, poiche pensera che tutte le proposizioni dell’aritmet-

ica debbano essere vere o false. Ma non c’e motivo di disperarsi, nemmeno in questo

caso: si potra sempre sperare di trovare qualche altro mezzo per appurare la questione.

136

Inadeguatezza degli assiomi Infine e possibile che esistano dei sistemi di assiomi

logici che non sono Godelizzabili. Si potrebbe in questo caso sperare di dimostrarne

la completezza. Di fatto, lo stesso Godel passo larga parte della sua vita a cercare di

rimediare ai risultati negativi che aveva ottenuto nel suo articolo del 1931. Nel 1936

il logico Gerhard Genzen dimostro la consistenza dell’aritmetica del prim’ordine. Ne

dobbiamo dedurre che l’aritmetica e incoerente? No, poiche la coerenza e stata di-

mostrata usando, fra gli altri, un assioma che non e rappresentabile nell’aritmetica di

Peano, o in qualunque altro sistema finitista di assiomi.

Come si sara notato, nessuna di queste alternative presuppone che vi siano propo-

sizioni vere che non sono dimostrabili (senza ulteriori specificazioni). Questo basta da

se, come abbiamo visto, a guastare la festa dei misteriani che hanno usato il teorema

di Godel per dimostrare che gli umani sono piu che macchine.

Tuttavia, come ho sostenuto nel quarto capitolo di questa tesi, e giusto osservare

che gli argomenti Godeliani contro il meccanicismo, con la loro plausibilita immediata

mettono bene in luce una difficolta di qualunque teoria naturalistica della mente e

del pensiero. Anche se, come abbiamo detto, nessuno ha dimostrato incontrovert-

ibilmente che G e vera, dobbiamo riconoscere che quando arriviamo alla fine della

dimostrazione del teorema la verita di G (presupponendo la coerenza) appare imme-

diatamente, senza che ci sia bisogno di fare alcun ragionamento. Questo “apparire

vero”, questo essere immediatamente vero sulla base del significato dei termini e non

di qualche dimostrazione, e qualcosa che va spiegato. Sebbene sia tuttaltro che in-

fallibile, l’intuizione (o insight) e qualcosa che richiede una spiegazione. E’ giusto

137

notare che non vi e motivo di pensare che una macchina non sia in principio in grado

di possedere proprieta semantiche. Questo, infatti, dipende da cosa si intende con

“macchina”. Come abbiamo visto, una macchina e la realizzazione di una struttura

computazionale, percio la risposta dipende da cosa si intende per “realizzazione di

una struttura computazionale”. Nel quarto capitolo di questo lavoro ho analizzato la

relazione che sussiste fra i sistemi formali astratti e gli oggetti fisici che li realizzano.

La tesi che ho sostenuto e che questa nozione non sia fondabile in modo oggettivo

(cioe in modo non dipendente dall’osservatore) a meno di non fissare semanticamente

gli stati fisici che realizzano quelli computazionali. Ho inoltre sostenuto che la sper-

anza di individuare non semanticamente questi stati sia stata e sia alimentata da un

pregiudizio internista sulla natura delle proprieta intenzionali.

Va detto che nulla di cio che ho sostenuto in questa tesi costituisce un argomento

positivo a favore del meccanicismo. Potrebbe benissimo accadere che il meccanicismo

fallisca per altri motivi. Saremo in questo caso costretti a cercare altrove per un

degno sostituto. Fino ad allora, tuttavia, penso che il meccanicismo continuera ad

essere la piu promettente teoria scientifica e filosofica della mente.

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