La democrazia e il ‘politico’. I limiti dell’«agonismo democratico»

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02/2012 Luca Ozzano (a cura di) Religione, politica e democrazia nel mondo contemporaneo R D P La conoscenza dietro l'ideologia: il pensiero cattolico conservatore alle origini dello studio scientifico della società Gianfranco Morrà Come la tecnoscienza minaccia la democrazia e la libertà. La diagnosi politica di Bertrand Russell Michela Nacci Chi ha paura del lobbying? La (cattiva) rappresentanza degli interessi nella democrazia italiana Gianluca Sgueo Tra Schmitt (il politico) e Granisci (l'egemonia): verso una teoria realistica (e conflittuale) della democrazia Damiano Palano Berlusconiani vs. antiberlusconiani : la guerra civile ideologica della Seconda Repubblica Giovanni Belardelli Esiste un'opinione pubblica araba? La comunicazione in Medio Oriente tra radicalismo islamista e prove tecniche di democrazia Emidio Diodato Globalizzazione e politica: ripensare lo Stato, la sovranità, la democrazia e l'Europa Agostino Carrino Rubbettino

Transcript of La democrazia e il ‘politico’. I limiti dell’«agonismo democratico»

02/2012 Luca Ozzano (a cura di)Religione, politica e democrazianel mondo contemporaneo

RDP

La conoscenza dietrol'ideologia: il pensierocattolico conservatorealle origini dello studioscientifico della societàGianfranco Morrà

Come la tecnoscienzaminaccia la democraziae la libertà.La diagnosi politica diBertrand RussellMichela Nacci

Chi ha paura del lobbying?La (cattiva) rappresentanzadegli interessi nellademocrazia italianaGianluca Sgueo

Tra Schmitt (il politico) eGranisci (l'egemonia):verso una teoria realistica(e conflittuale) dellademocraziaDamiano Palano

Berlusconiani vs.antiberlusconiani :la guerra civile ideologicadella Seconda RepubblicaGiovanni Belardelli

Esiste un'opinione pubblicaaraba? La comunicazionein Medio Oriente traradicalismo islamista e provetecniche di democraziaEmidio Diodato

Globalizzazione e politica:ripensare lo Stato, lasovranità,la democrazia e l'EuropaAgostino Carrino

Rubbettino

Rivistadi Politica Aprile-Giugno 2012

i Politicatnaestrale di studi, analisi

DirettoreAlessandro Campiiafog alessandrocampi.it)

C -imitato di DirezioneLoxiardo Allodi, Danilo Breschi,lààteT Coralluzzo, Luigi Cimmino,Jteóoo De Luca, Giovanni Dessi,Stanzio B. Galli, Alessandro Crossato,Spcrtaco Pupo, Maurizio Serio,Ptaqoale Serra, Roberto Valle,ia^rio Ventrone, Sofia Ventura

Gntcsiitato di RedazioneGodio De Ligio, Chiara Moroni,Leonardo Varasano

Direzione e SegreteriaSriula di PoliticaCarso Cavour, 99Oèm Perugiam- 075-5733727•wwjhistadipolitica.it

DOSSIER: DEMOCRAZIA, POLITICA E RELIGIONE

5 II dibattito teorico su democrazia e religione e il caso italianoAlberta Giorgi, Luca Ozzano

25 Religione e democrazia negli Stati Uniti Giovanni Borgognone39 Politica e religione in Israele. Tra contrasti culturali,

giuridici e politici Paolo Di Motoli53 Religione e democratizzazione in Medio Oriente e Nord Africa.

Il caso della Tunisia Francesco Cavatorta71 Isiam e democratizzazione in Turchia.

Il caso délì'AK Parti Michelangelo Guida

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

87 La democrazia e il 'politico'.I limiti dell'«agonismo democratico» Damiano Palano

115 Lobbying e sistemi democratici. La rappresentanzadegli interessi nel contesto italiano Gianluca Sgueo

SAGGI

127 II volo di Icaro. Scienza, tecnica, potere nel pensiero politicodi Bertrand Russell Michela Nacci

151 II problema della sovranità nell'età della globalizzazioneAgostino Carrino

MATERIALI

177 Le origini (conservatrici) della sociologia.Due inediti di Bonald e Lamennais Gianfranco Morrà

187 La famiglia agricola, la famiglia industrialee il diritto di primogenitura Louis-Gabriel-Ambroise de Bonakl

203 Sul suicidio Félicité-Robert de Lamennais

OSSERVATORIO ITALIANO

207 II vortice. Le culture politiche dell'Italia contemporaneaGiovanni Belardelli

OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

221 Dopo le primavere arabe. Comunicazione e geopoliticain Medio Oriente Emidio Diodato

NOTIZIE SUGLI AUTORI

DEMOCRAZIAE DEFINIZIONI La democrazia e il 'politico'*

Damiano Palano È possibile, dal punto di vista teorico, farconvivere la democrazia liberale (della qualespesso si tende ad offrire unainterpretazione falsamente irenica econciliativa) con una concezione del 'politico'che tenga conto della dimensione agonisticache caratterizza le relazioni di potere e dellanatura intrinsecamente polemico-conf littuale della lotta politica? È possibile,in altre parole, andare oltre una visione dellademocrazia che ne enfatizza la dimensioneprocedurale e l'aspetto formalistico perelaborarne una definizione realistica chesappia coglierne, oltre che le caratteristichestoriche essenziali e i veri meccanismi difunzionamento, anche le trasformazioni e iprocessi di cambiamento che l'hanno direcente investita? In questa direzione,esplicitamente segnata dalla classicariflessione schmittiana, hanno lavorato inanni recenti studiosi quali Chantal Mouffe edErnesto Laclau: con esiti non sempreconvincenti ma con indubbia originalità.

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1. E. CANirrn, Ma.ixa e potwc(I960), Bompiani, Milano 1.981,p. 224.2. f l ' i , p. 225.3. Ibielfni.

In un famoso passaggio di Masse tmdMacht, Elias Canetti si sofferma sulla lo-gica del sistema bi-partitico e sull'analogia fra la votazione e lo scontro mili-tare. «Il sistema bi-partititico del parlamento moderno», scrìve, «si avvale del-la struttura psicologica di eserciti in battaglia»1. All'interno del parlamento, lavotazione assume infatti i caratteri di un confronto in cui ognuno dei gruppipolitici deve dimostrare la propria forza e l'effettiva consistenza numerica. «Euna sopravvivenza dello scontro cruento, che si compie in molteplici modi: conla minaccia, l'oltraggio, l'eccitazione fisica, la quale può perfino spingere a pic-chiare o lanciare oggetti»2. Ma, ovviamente, al concludersi della votazione, lacontesa simulata termina. «Il conteggio dei voti segna la ime della battaglia»,«si deve riconoscere che ,360 uomini hanno vinto su 240», e, pertanto, «la mas-sa dei morti resta interamente fuori del gioco»3. Ciò su cui insiste Canetti è dun-que l'esclusione della morte dall'arena parlamentare, nel senso che il confrontotra partiti può assumere i caratteri di una competizione pacifica, da cui vienebanditala possibilità stessa della soppressione fisica dell'avversario:

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88 4. Ibidem. Come osserva anco-ra Canetli: «L'elettore può pas-sare dall'una all'altra battagliaelettorale; le loro miitevuli sor-ti hanno per lui, se è politica-mente orientato, kt massima at-trattiva. Ma il momento in cuiegli effettivamente vota haqualcosa di sacro; sacre sono leurne sigillate che contengono leschede; sacra l'operazione diconteggio. La solennità ili que-ste operazioni deriva dalla ri-nuncia alla morte come stru-mento di decisione. Con ognisingola scheda la morte è percosì dire spazzata via. Ma ciòche l'avrebbe provocata, ia for-za dell'avversario, è registratoscrupolosamente in un nume-ro. Ma chi si prende gioco diquei numeri, chi lì confonde, lifalsifica, lascia nuovamentespazio alla morte e non se neaccorge» (Ivi, pp. 226-227).5. Gir., per esempio, J. A. SCHUM-PETER, Capitaliimo, socialismoe democrazia (1942). Etas, Mi-lano 1.994; ?.. A. DAIii., Prefa-zione alia tcoiìu democratica(195(1), Comunità, Milano1994; ii>.. Sulla democrazia(1.998), Laterza, Roma-Bari,2002; A. DOWNS, Teoria econo-mica della democrazia ( 1.957),il Mulino. Bologna 1988; Ci.SARTORI, The Tlieory ofDemo-cracy Kcvisiicd, Chatham Hou-se, Chatham 1987. Per una ras-segna delle definizioni fornitenel dibattito, si veda r. ORILI J DICORTONA, Come gli Stati di-rcnlcino demoeratici, Laterza,Roma-Bari 2009.6. E. CANOTTI, Massa e patere,cit., p. 17.

L'avversario, battuto nella votazione, non si rassegna affatto, poiché oraimprovvisamente non crede più nel suo diritto; egli si limita piuttostoa dichiararsi sconfitto. Non gli è difficile dichiararsi sconfitto, giacchénon gli accade nulla di male. In nessun modo è punito per il preceden-te atteggiamento ostile. Se davvero temesse un pericolo dì vita, reagi-rebbe ben diversamente. Egli conta piuttosto sulle future battaglie. Alsuo numero non è imposto alcun limite; nessuno dei suoi è stato ucci-so. [...] Il sistema parlamentare può funzionare fin tanto che sia garantitatale inviolabilità. Esso si sbriciola non appena vi compare qualcuno chesi permette di contare sulla morte di un membro del corpo parlamen-tare. Nulla è più pericoloso che vedere dei morti fra quei vivi. Una guer-ra è una guerra poiché comprende nel suo esito i morti. Un parlamen-to è solo un parlamento fin tanto che esclude i morti*.

Quando Canetti si concentra sulla logica del parlamentarismo, non si disco-sta in modo radicale dall'immagine del regime democratico adottata da granparte del dibattito contemporaneo. In effetti, anche Canetti individua i caratteridistintivi della democrazia nella presenza di una competizione per il voto po-polare, all'interno di un contesto di 'regole del gioco' accettate da tutti i par-tecipanti, i quali si impegnano a rispettare il responso delle urne e, in caso divittoria, i diritti delle minoranze. Se infatti nella storia del pensiero occiden-tale il termine-concetto «democrazia» rimanda a ideali come l'eguaglianza,la partecipazione, l'autogoverno del popolo, a partire dalla definizione pro-posta da Joseph A. Schumpeter è invece diventato quasi scontato riferirsi allademocrazia principalmente come a un metodo: un insieme di procedure pergiungere a decisioni politiche e il cui momento cruciale risiede in elezioni li-bere, ricorrenti e competitive''. Negli ultimi settantanni, nel dibattito teori-co e nella riflessione politologica, questa immagine della democrazia ha co-nosciuto molteplici declinazioni, che ne hanno enfatizzato aspetti differenti.Ma, a dispetto delle divergenze, in tutte le versioni la rinuncia alla soppres-sione fisica del rivale politico da parte di tutti i concorrenti costituisce il pre-supposto del 'gioco democratico'. E, così, tanto un'elezione democratica, quan-to un processo deliberativo sono possibili solo quando il nemico sia diventa-to effettivamente un avversario: un avversario del quale - a prescindere dai .risultati del confronto - ci si impegna a rispettare l'integrità fisica, la libertàpolitica, il diritto di espressione.Ciò che distingue piuttosto nettamente la visione canettiana dall'immagine del-la democrazia competitiva è invece l'idea della partecipazione alla lotta poli-tica, che, per l'autore di Masse undMucht, non è mai assimilabile a una com-petizione economica guidata da criteri di razionalità utilitaristica. Per Canet-ti, infatti, la tendenza ad aggregarsi (e a combattersi) è inscritta nelle leggi im-mutabili della psicologia umana, nell'ambivalente atteggiamento che ciascunindividuo mitre nei confronti della «massa». D'altronde, l'oggetto su cui si con-centra lo scrittore viennese è soprattutto il singolare potere di attrazione eser-citato dalla «massa» sul singolo. Da un lato, come_scrive,proprio neWincipitdì Masse undMacht, «nulla l'uomo teme di più che essere toccato dall'igno-to»1", e per questo rifugge con disgusto tutto quanto è estraneo e sconosciuto.Dall'altro, un simile terrore può essere annientato solo nella «massa», perchéproprio nel momento in cui la massa produce una «scarica», gli individui pos-sono liberarsi delle loro differenze e - come afferma - sentirsi uguali:

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

Solo tutti insieme gli uomini possono liberarsi dalle loro distanze. È pre-cisamente quello che avviene nella massa. Nella scarica .si gettano le di-visioni e tutti si sentono uguali. In quella densità, in cui i coipi si accalcanoe fra essi quasi non c'è spazio, ciascuno è vicino all'altro, come a se stes-so. Enorme il sollievo che ne deriva. E in virtù di questo istante di feli-cità, in cui nessuno è di più, nessuno è meglio dell'altro, che gli uomi-ni diventano massa7.

Quando illustra l'ambivalente rapporto di attrazione che spinge il singolo ver-so la massa, Canetti riprende evidentemente le suggestioni della^.syc/to/og'/fdcsfouìcs di fine Ottocento, anticipate da Hippolyte Taine e in seguito sviluppatedai saggi di Scipio Sighele, Cabrici Tarde e Gustava Le Bon". Ma, naturalmente,Canetti ha ben presente anche le ipotesi formulate da Sigmund Freud subi-to dopo il Primo conflitto mondiale e la riflessione sulla Massenspychologiesvolta da Herrmann Brochs. Molti fra questi autori - seguendo percorsi tut-t'altro che convergenti - riconoscono infatti come la « massa» non sia soltantoun fenomeno deteriore, ma scaturisca piuttosto da alcuni meccanismi psicologiciineliminabili. L'attrazione verso la 'massa' è così - per Canetti, come per mol-ti dei cultori della vecchia psicologia collettiva - una componente della 'na-tura umana', che neppure il processo di 'civilizzazione' è in grado di cancel-lare. E proprio quella spinta verso la massa non può che riaffiorare ciclicamente,soprattutto in presenza di determinate circostanze ambientali10.Non è certo sorprendente che, nel momento in cui formula la proposta di un«agonismo democratico», Chantal Mouffe si volga proprio a Canetti e dal-l'immagine della lotta parlamentare come 'simulazione' di una battaglia. In ef-fetti, anche Mouffe insiste sull'idea secondo cui, fra i partecipanti al 'gioco de-mocratico', deve esistere un accordo di fondo che elimina il conflitto violentodal confronto, e, dunque, anche la studiosa belga condivide l'idea che il pas-saggio alla democrazia sia reso possibile dalla trasformazione del nemico in unavversario con cui il conflitto è solo 'simulato'. Ma, a differenza di quanto av-viene nella gran parte della riflessione contemporanea, Mouffe non rinunciaa ritrovare nella dinamica democratica qualcosa di molto diverso da una com-petizione economica o da una deliberazione razionale: come Canetti, ritieneinfatti che anche nel 'gioco' democratico non venga meno la componente ir-riducibile - e inquietante - che sta alla base della 'passione politica', e che spin-ge il singolo a 'fondersi' (seppur provvisoriamente) nella 'massa'. In altre pa-role, Mouffe ritiene che il 'politico' non possa essere sostanzialmente eliminatoneppure in un'arena democratica in cui viene escluso il ricorso alla violenza,ma che tenda semmai ad assumere forme differenti. Così, la sua proposta pun-ta a ridefinire la democrazia in termini di agonismo proprio per delineare unavisione capace di tenere conto dell'essenza del 'politico'.Senza dubbio il contributo di Mouffe sull'agonismo democratico concentra l'at-tenzione su un punto debole della teoria della democrazia competitiva elabo-rata nella seconda metà del Novecento, oltre che, più in generale, su un limi-te del pensiero democratico. Per molti versi, tenta infatti di trovare un terre-no comune fra due percorsi per larga parte indipendenti, e forse fra loro per-sino incompatibili: da un lato, la teoria della democrazia competitiva, il cui pre-supposto consiste nella convinzione che sia possibile ricondurre ogni conflit-to - sociale e politico - nell'alveo delle istituzioni rappresentative e della dinamicademocratica; dall'altro, la visione realista del 'politico', secondo cui la tenden-

7. Ivi, p. 22.8. Per una ricostruzione di que-ste riflessioni, mi permetto dirinviare a D. PALANO, [I potere,lìdia moltitudine. L'invenzionetleirifietinscio collettivo nellateorìa politica e nelle scienze so-euilì italiane fra Otto e Nore-ccnto, Vita e Pensiero, Milano2002, e m.. Volti della, putirà.Figure del dilaniine all'albadell'ent biopolitìea, Mimesis,Milano 20IO. Sulla psicologìadella folli!, si veda anche il re-cente volume di s. CIJIITI, E.MORONI (a cura di). La folla.Continuità e attualità del di-battito ilalo-franuise, Oge, Mi-lano 2011.9. Per alcune osservazioni, an-cora oggi importanti, sui rap-porti tra l'indagine tlì Canetti ei lavori precedenti della psy-cliologic dtsfoules e della Mas-seiipxychologie, si veda M. CAC-C1ARI, II lintrttaggio del potere inCanetti. Uno spoglio, in «La-boratorio politico», 1982, u. 4,pp. 18.5-197.10. Sulla riflessione canettianasulla «massa», ctr., per esem-pio, M. GALLI, M. RICCIAKOI, I.l'TTrSCHER, P.P. PORTINARO, Mag-na c potere, in «Contempora-nea», VI (2003), n. 4, pp. 713-729, il. GAI.i,i, Invito alla let-tièra di Elias Cane/ti, Mursia,Milano IJJStì, pp. u'3-73, J.P.ARANSON, D. ROBERTO, EllaS Cd-

netti'fi Coitììler-Iiitage ofSocie-ty, Camden Hoiise, Rochester2OO4, J. S. MCMLELLANO, T/1C

Crowd and theMobfrom Pia-to to Canctlì, Umviu Hyman,London 1989, F. .PESI, Compii-xisàonea antropologia inEliasCanetti. in i a. Materiali mito-logici. Mito e antropologia nel-la cultura mit/eleurope.a, Ei-naudi, 'l'orino 1979, pp. 3O9-332.

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90 11. Cfr. per esempio w. CON-NOLLY, TìieEthox iij'Pìuralha-tion, Universitàof Minnesota,Minneapolis 1995, ma, in unacerta misura, è forse la propo-sta di H. ARENDT, {'ita attiva.La condizione umana (1958),Bompiiini, Milano 190Ì4, che ri-propone in termini più energi-ci l'idea eli un agonismo politi-co fortemente individualisti-co. Una riflessione importantesull'agonismo come tipo di spe-cifico di conflitto, rigorosa-mente incardinata in una vi-sione realista della politica, è.invece quella proposta da j.FUEi'NIX ìlennfliHo: definizio-ne e significali (1983), in IL)., Iltci'zo, il nemico, it conflitto.Materiali per unti teorìa del Po-Ulivo, a cura di A. Campi, Giui-frè, Milano 1995, pp. 155-201.

za conflittuale è inscritta nella 'natura umana', e per cui - come vuole il cele-bre criterio schmittiano - il 'politico' è inestricabilmente connesso con la di-stinzione fra (tmicus e hauti*. Se una componente cospicua del pensiero de-mocratico ha rappresentato la democrazia come una sorta di superamento del'politico', se non addirittura come un modo per eliminare il conflitto anche dalsistema internazionale, Mouffe procede in una direzione opposta. Tenta cioèdi elaborare una teoria della democrazia che abbia alla base un'idea 'forte' del'politico': una teoria che non rinunci all'immagine dell'essere umano come'na-turalmente' conflittuale e alla convinzione che la contrapposizione fra. amicie nemici sia in fondo una 'regolarità' inaggirabile. A differenza di altri contri-buti teorici centrati sull'idea di un agonismo politico", il modello di Monfle par-te dunque dalla concezione del 'politico' come dimensione costitutiva della'na-tura umana' per colmare le lacune della visione 'liberale' della democrazia: unavisione accusata di 'rimuovere' dallo spettro problematico la figura del 'nemi-co', o, meglio, la contrapposizione noi/laro, che invece sarebbe costitutiva delfenomeno politico. Al tempo stesso, Mouffe punta a mostrare come la demo-crazia - una democrazia efficace - non elimini il 'politico', e cioè il fondamen-to delle identità collettive nell'opposizione noi/loro, ma riesca a 'incanalare' Yan-tagonixmo entro sedi istituzionali e a trasformarlo così in agonismo.In questo testo, cerco di esaminare il «modello agonistico» di Mouffe e la ri-defmizione del 'politico1 compiuta in collaborazione (e in parallelo) con Er-nesto Laclau, soffermandomi in particolare sul tentativo di utilizzare il pen-siero di Cari Schmitt ai fini di un ripensamento della democrazia. L'obietti-vo cui plinto non è, naturalmente, mostrare l'esistenza di una discrasia, o dìuna vera e propria contraddizione, fra la prospettiva di Schmitt e la propo-sta di Mouffe e Laclau. Che \i sia uno scarto notevole fra questi contributi, esoprattutto fra le prospettive che li indirizzano, è infatti scontato, così comeè inevitabile che Mouffe si proponga - in modo d'altronde esplicito - un uti-lizzo 'parziale' di Schmitt. Il nodo su cui intendo attirare l'attenzione è inve-ce duplice. Da un lato, tento di mostrare come, effettivamente, il modello ago-nistico di Mouffe offra un contributo interessante non solo in vista di un con-fronto fra la teoria democratica e il 'politico', ma anche nella direzione di unadefinizione - 'realistica' e 'culturale' - della democrazia contemporanea. Dal-l'altro lato, invece, tento di mettere in luce alcuni limiti del suo discorso, che,a mìo avviso, derivano dall'immagine dei processi egemonici delineata da La-;clau e Mouffe nel corso degli anni Ottanta. In particolare, cerco di mostrarecome, in questo lavoro comune, Laclau e Mouffe finiscano con l'intersecaretre diverse concezioni del 'politico' e come, oltre a quella schmittiana, adot-tino anche (più o meno esplicitamente) le visioni del 'politico' proposte da Lo-uis Althusser e da Claude Lefort. La combinazione di queste tre prospettiveteoriche, che non è certo priva di originalità e di motivi di interesse, diventapossibile solo in un quadro segnato dalla marcata enfasi assegnata alle di-mensioni 'culturali' - un quadro dunque 'soreliano', più ancora che 'gramsciano'- come qxiello definito da Laclau e Mouife a partire dalla loro opera più nota,Hegemony and Socialist Strategy. Ma proprio una simile visione, secondo lamia critica, oblitera - almeno in parte - le potenzialità del «modello agoni-stico», perché non riesce a chiarire effettivamente il passaggio cruciale da ne-mica ad avversario, e, soprattutto, perché non è in grado di risolvere il pro-blema cruciale della costruzione dello spazio all'interno del quale può svilupparsiil 'gioco democratico'.

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

Nelle prossime pagine innanzitutto ricostruisco in termini sintetici la propo-sta di Mouffe riguardo all'«essenza» del 'politico' e al modello «agonistico» didemocrazia» (§2); in secondo luogo, mi soffermo sulla rilettura della nozionedi «egemonia» compiuta da Laclau e Mouffe negli Ottanta e sulle sollecitazio-ni che questa operazione offre a un ripensamento dell'e/Ao*- della democrazia(§3); infine, tento di mettere in luce alcuni dei limiti del modello agonistico, con-centrandomi in particolar modo sull'assenza, nel discorso di Mouffe (e di La-clau), di riferimenti sostanziali alle determinazioni materiali che stanno alla basedella costruzione dello «spazio» democratico (§4)".

12. In questo saggio, riprendoalcune annotazioni che ho giàavuto modo di dedicare alla ri-

s ' flessione di Moniti? e, in parti-colare, alla sua ipotesi sulleconseguenze dello «spirito po-stpolitico» contemporaneo: eri'.11. PALANO, // «politico» lui-ì\<era postpolitìca •>. Appuntisulla proposta teorica dì Chan-tal Mouffe, in «Teoria polìtica»,20O8, n. 3, pp. 89-133, oraraccolto, in una versione mo-dificata e più estesa in m., Finoalla file del mondo. Saggi sul'politica'nella rivoluzioni'spa-ziale, contemporanea, Uguori,Napoli 2010. pp. 35-108.13. Cfr. in particolare C. MOUl'-I-E, Tlic Return of thè Politicai,Verso, London 19.93, ID., Le

Quando Mouffe utilizza l'espressione 'politico' (thèpoliticai), e quando tenta di elaborare una teorìa del-le identità politiche, si richiama - in modo più omeno esplicito - alla riflessione di Cari Scruniti111.Il fatto che una studiosa «post-marxista» ripren-da una riflessione come quella dell'autore del No-mox derErde non è certo sorprendente, perché ne-gli ultimi decenni la riscoperta del giurista tedescoè stata compiuta in misura rilevante proprio da in-tellettuali che, in passato, avevano percorso i diversisentieri della teoria radicale11. In realtà, però,quando si volge a Schmitt, Mouffe ne utilizza le tesiallontanandosi talvolta in modo anche piuttosto netto dalle posizioni del giu-rista. Ovviamente, si tratta di una distanza di cui Mouffe è ben consapevole,e che scaturisce d'altronde dalle stesse premesse della sua operazione. Il te-sto principale cui la studiosa belga attinge è naturalmente il saggio sul Con-cetto di 'politico', nel quale Schmitt espone l'ipotesi sulla distinzione fra ami-co e nemico come criterio specifico del fenomeno politico. In particolare, inquel celebre articolo il giurista tenta di chiarire quale sia il «criterio» che puòessere considerato come caratterizzante l'ambito 'politico' della vita umana.Nell'esporre la sua tesi, Schmitt non considera in modo diretto il nodo dellemotivazioni psicologiche che stanno alla base della contrapposizione fra ami-co e nemico, e che la rendono una sorta di 'regolarità' ineliminabile. Per esem-pio, scrive che «tutte le teorie politiche in senso proprio presuppongono l'uo-mo come 'cattivo'», nel senso che «lo considerano come un essere estrema-mente problematico, anzi 'pericoloso' e dinamico»15. Un simile presuppostonon è comunque assunto dal giurista in termini assoluti, ma solo in relazio-ne alla riflessione condotta sul fenomeno politico. «Poiché la sfera del 'poli-tico' è determinata, in ultima istanza, dalla possibilità reale di un nemico»,osserva intatti, «le concezioni e le teorie politiche non possono facilmente ave-re come punto di partenza un 'ottimismo' antropologico», perché, in caso con-trario, «esse eliminerebbero, insieme alla possibilità del nemico, anche ogniconseguenza specificamente politica»"5. Per molti versi è scontato che Schmittsi rivolga (almeno implicitamente) a quella visione 'realistica' dei fenomenipolitici che - a partire da Tucidide, Machiavelli e Hohbes - aveva colto nel-l'essere umano una irriducibile tendenza alla ricerca del potere e nelle socie-tà umane il rischio costante del conflitto e della violenza17. Ma tale riferimento

polilìqtte et .vc.v cnjcux:ponr unedéniocratic pluiialtc, La Dé-couvcrtc-Mauss, Paris 1.994,in., The Dcinocratic l'arado.i,Verso, London 2000, ID. (acura di), The Challenge. oJ'CarlSdì miti, Verso, London 1999,in.. Sul politica. Dcmticrasia erappresentazione dei conflitti(2005), Bruno Mondadori, Mi-lano 2007.14. Emblematiche sono d'al-tronde le tappe della ricezionedi Schmitt nel dibattito italia-no, soprattutto a partire daglianni Settanta del secolo scorso,su cui si vedano, per esempio,e. GALLI, Cari Schmitt nellacui/tira italiana (1924-1978).Storia, bilancio, prospetthw dìuna presenza problematica, in«Materiali per una storia del-la cultura giuridica», 1,979, n. 1,pp. 81-KìO, e A. CAMPI, L'ombralunga di Weimar. CarlSchmittnella cultura politica italianatra terrorismo e crisi della par-titocra~ia, in «Rivista di Poli-tica», 2011, n. 2, pp. 91-101,15. C. SCHMITT, II concetto di 'po-lìtico'X1927), in ID., Le catego-rie del 'politico'. Saggi di teorìapolitica, a cura di G. Miglio e P.Schiera, il Mulino, Bologna1972, p. 146 (ma questa tradu-zione italiana è in realtà con-dotta sull'edizione del 1932).Iti. Ivi, pp. 148-149,17. Sugli aspetti problematicidell'antropologia (implicita) diSchmitt, cfr. L. STRAUSS, Note, .su«llconcettodipolitico» in CariSchmitt (1932), in e. SOMMITI,Parlamentarismo e democraziae allri scrini di dottrina e sto-ria dello Stato, Marco, Cosen-za 1,998, pp. 177-2O6, specie p.193. Per un'approfondita rico-struzione della riflessione con-dotta da Raymond Aron sullaproposta schmittiana (in cui èposta al centro anche la visio-ne antropologica), cfr. invece G.DE LIGIO, La virtù polìtica traamico e. nemico. RaymondAron e il «criterio* diSclimitt,in «Rivista di Politica», 2011, n.1, pp, 103-141.

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92 18. D'altronde, a dispetto dimolte semplificazioni, Schmittritrova il 'politico' non nellalotta, bensì solo in quella con-trapposizione che scaturiscedalla possibilità della lotta. «Il'politico'», attenua nitidamen-te chiarendo questo aspetto,«non consìste nella lotta stes-sa, che ha le sue proprie leggitecniche, psicologichc e mili-tari, ma [...] in un comporta-mento detcrminato da questapossibilità reale, nella chiaraconoscenza della situazioneparticolare in tal modo creata-si e nel compito di distinguerecorrettamente amico e nemia»(c. scHiiriT, TI concetta di 'po-litico', cit., p. 120).19- Per quanto concerne il pri-mo, cf'r. J. FREUND. L'cssencc diipoli/igne, Sircy, Paiis 1,965, e ID.,// terzo, il nemico, il conflitto,cit.; per quanto riguarda il se-condo, cf'r. invece o. MIGLIO, Leregolarità della politica, Giuf-t'rè, Milano 1988, '2 voli., e IR,Lezioni dì politica, il Mulino,Bologna 2011, '2 voli. Sulla ri-flessione si Miglio, si vedano pe-raltro i materiali raccolti nel fa-scicolo monografico della «Ri-vista di Politica», 2O11, n. 3, fracui mi permetto di segnalare o.PALANO,/!/™»» imperii, [.a ri-cerca stil Lpofilìco'di Gianfran-co Miglio, ivi. pp. 15-54.20. C. MOUFFE, Su!politico, cit,

p. 10. Su questo punto, cfr. an-che ID., Le polilique et ,vc,v cn-jew: pou r tt tic détnocrat ie. pin-i-ielle, cit., pp. 10-11.21. Cfr. A. nzzoRNO, Lei politi-ca (.[.svoluta e altri saggi, Fcl-trinelli, Milano 1993.22. E. LACLAU, La ragione po-pulista (2005), a cura di D. Ta-rÌ7?,o, I.aterza, Roma-Bari2008, pp. 37-38.23. Cfr., su questo punto, le os-servazioni sviluppate in iA>u-NAGHI, D. PAIANO, Ascesa o de-cadenza delle società e. delle d-riltà. Un nodo hla psicologia e.politica in alcuni scritti di-menticali, in !'. CATELLANI (acura di), identità c apparte-

nrii'zu nella soci.e,là globale.Saggi iti onore di Assunto Qtta-Jrìo Aristarchi, Vita c Pensie-ro, Milano 2005, pp. 23y-29l.i.24. Cfr. c. MOIJFPE, Sul politico,cit., p. 2(5.

rimane sempre implicito, perché Schmitt non giunge a una chiarificazione del-le regolarità 'psicologiche' della politica, né trasforma mai la sua indagine sulconcetto del 'polìtico in una teoria dell'«e.ssenza» della polìtica1*. A differen-za di Schmitt, Mouffe tenta invece di rinvenire proprio l'«essenza» del 'poli-tico', seguendo un percorso almeno formalmente simile a quello seguito, peresempio, da teorici come Julien Freund e Gianfranco Miglio1-9. Nella sua pro-posta, Mouffe fonda infatti il ragionamento sulla democrazia e siili «agonismodemocratico» su una ben precisa concezione delle dinamiche che attengono

al livello «ontologico» dei fenomeni politici. In so-stanza, ai suoi occhi il 'politico'viene a identificar-si con «ladimensione dell'antagonismo [...] costi-tutiva delle società umane», mentre la 'polìtica" coin-cide con «l'insieme di pratiche e istituzioni mediantele quali si crea un ordine, si organizza la coesistenza

umana nel contesto conflittuale determinato dal politico»20. Ed è così, pro-prio tentando di esplicitare quali sono i meccanismi più profondi che stan-no alla base dell'aggregazione umana (e, dunque, della contrapposizione ami-cus/hostìii), che Mouffe si distanzia da Schmitt.Mentre si interroga sull'wessenza» del 'politico', Mouffe si trova a riproporre lavecchia domanda sui moventi psicologici dell'azione collettiva e, cioè, su quel-la che Alessandro Pizzorno ha definito come la «politica assoluta», una formadi azione politica che risulta irriducibile alla razionalità strumentale21. Si trat-ta, per molti versi, di quello stesso sentiero che era stato imboccato, fra Ottoe Novecento, dai teorici positivisti che avevano esplorato - in modo suggesti-vo, ma spesso del tutto fuorviante - la dinamica psicologica della «folla», e cheavevano ispirato le ipotesi canettiane di Masse undMacht. E, da questo pun-to di vista, non è certo casuale che - per illustrare le radici più profonde del«populismo» - Ernesto Laclau (svolgendo un percorso di ricerca costantementeaffiancato a quello di Mouffe) sia tornato proprio a rileggere i contributi di Tai-ne, Le Bon e Tarde, oltre che gli scritti sulla psicologia collettiva di Freud: con-tributi - come scrive Laclau - capaci di cogliere «alcuni aspetti cruciali dellacostruzione delle identità sociali e politiche, [...] che prima di allora non era-no mai stati trattati adeguatamente»22. In effetti, tanto Mouffe quanto Laclaunon possono che trovare proprio in questo impressionistico filone di studio -e nelle riflessioni che precedono il 'divorzio'fra scienze sociali e psicologia - letracce per cogliere il fondamento 'emotivo' dei fenomeni politici e per abban-donare le distorsioni 'individualiste' e 'razionaliste' del pensiero liberale23. Mouf-fe non guarda comunque a Taine e Le Bon, bensì soprattutto a Canetti. Oltrea richiamare il passaggio di Masse undMacht sul sistema parlamentare2*, Mouf-fe si volge infatti al grande scrittore per definire meglio la propria visionedeH'«essenza» del 'politico' e delle sue inestirpabili radici psicologiche. Insie-me a Canetti, la pensatrice belga riconosce così che, in ogni individuo, esiste,accanto a un desiderio di differenziazione, anche una tendenza opposta, chespinge verso la 'fusione' con la massa. Una spinta «che fa sì che gli attori de-siderino diventare parte di una massa per perdervisi in un momento di fusione»,e che - per Canetti, ma anche per Mouffe - non è affatto l'esito di una sorta direversione atavistica, bensì un elemento irriducibile della psicologia umana:

Questa attrazione per la massa non è per lui qualcosa di arcaico e pre-moderno, destinato a scomparire con l'avanzare della modernità. Essa

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è parte integrante della dotazione psicologica degli esseri umani. Il ri-fiuto di ammettere questa tendenza è all'origine dell'incapacità del-l'approccio razionalista di fare i conti con i movimenti politici di mas-sa, che tendono a essere visti come un'espressione di forze irrazionali ocome un 'ritorno dell'arcaico'2",

La tendenza a 'fondersi' nella massa, individuata da Canetti, non può che sfug-gire - secondo Mouffe - alle principali varianti del pensiero liberale, che inquesto modo risultano del tutto incapaci di «riconoscere alle 'passioni* il ruo-lo di forze motrici fra le più importanti della vita politica»'-''. In questa risco-perta delle 'passioni', è comprensibile che Mouffe si volga anche alla critica delrazionalismo politico svolta da un autore raffinato - e per molti versi lonta-no da Canetti - come Michael Oakeshott-7. In realtà, però, Mouffe non si ar-resta al semplice riconoscimento della componente 'affettiva' delle identità po-litiche, perché - adottando (e 'dilatando') il criterio di Sclimitt - ritrova la for-za delle identità collettive, e il segreto della loro genesi, nella contrapposizionecon un soggetto esterno. In altre parole, ogni identità collettiva, ai suoi occhi,ha alla base non solo una forte componente affettiva, ma anche una netta con-trapposizione con un nemico, ossia con la rappresentazione di un conflitto.Procedendo in questa direzione, Mouffe ricorre allora alle tesi di Psicologìadi massa e analisi dell'Io, in cui Freud si interroga su ciò che tiene insiemeogni forma di organizzazione e, dunque, sul fondamento delle identità collettive.Alla base di un vincolo sociale - per Freud - sta in sostanza un investimentolibidico della massa nei confronti del capo, ma, secondo la lettura di Mouffe,un simile investimento richiede a sua volta anche una contrapposizione di tipoconflittuale. «L'identità collettiva, il 'noi', è il risultato di un investimento li-bidico, ma questo implica necessariamente la determinazione di un 'loro'»28.Come scrive infatti a proposito delle motivazioni che stanno alla base della mo-bilitazione collettiva:

La mobilitazione richiede politicizzazione, ma la politicizzazione non puòesistere senza la produzione di una rappresentazione conflittuale del mon-do, con campi opposti in cui la gente possa identificarsi, permettendocosì alle passioni di essere mobilitate politicamente all'interno dello spet-tro del processo democratico. [..,] Per agire politicamente gli uomini han-no bisogno di potersi identificare con un'identità collettiva che forniscaloro un'idea di se stessi a cui essi possano dare valore. Il discorso poli-tico deve offrire non soltanto misure politiche, ma anche identità checonsentano alla gente di dare un senso a ciò che sta vivendo e che le of-frano una speranza per il futuro-".

In altri termini, dunque, nel discorso di Mouffe risulta centrale l'elemento del-la 'passione', in virtù della quale l'attrazione del singolo verso la 'massa' è infondo irriducibile. Al tempo stesso, però, la costituzione di un'identità collettivarichiede una forma di esclusione, ossia la fissazione di una linea di demarca-zione noi/loro. Come per Hanna Pitkin, anche per Mouffe ciò che caratteriz-za il discorso politico è d'altronde il fatto che si riferisce alle identità colletti-ve, a un soggetto collettivo - un noi - che deve prendere una serie dì decisionie agire concretamente dal punto divista politico30. In particolare, scrive Mouf-fe, il «discorso politico tenta di creare specifiche forme di unità fra interessi

25. Ivi. p. 27.2(ì. HlUìc.itl.27. Cfr. per esempio c. MOUFFE,CitKXKihlj} aiul Politicai Men-titi/, in «Octoher», 1992, n. 6~2,pp. 28-32, e ID., Por (in Agoni-stic Mode! of Dcmocracii, iu N.O'SULUVAN (a curii di), Politica!Thcory in Transitimi, Rou-tledge. London 2000, ora in ID.,The Democratic Paradox, cit.,pp. 8O-10728. Cfr. e. MOUFFE, Sul politico,cit., p. 30.29. Ivi, p. 28.30. Cfr. H. PITK1N, Witlgeiisteinand Jiixticc, XJniversity ot'Ca-litbmia Press, Berkeley 1 972, p.216, ma si vedano soprattuttole argomentazioni di c. MOUF-FE, Witttft'iìtitein and Iheethosof tìcmocracii, in 1... NA«L, c.MOUi'FE (a cura di), The Lega-cij of \Vil.tgcnsteiii.: Praginu-tinm or Deconlruction, PoterLang, Frankftirt a. M 2001,pp. 131-138, c ID., Wittecmstein.

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ctj, in la. Thè Dcniocratic Pa-rarfOiT. cit., pp. tìO-79.

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94 31. Off. e. MOtU'i'F, Raw/a: Po-liticai Philosopìiy icithnut Po-litics, in i). KA.SMUSSEN (a curadi), Universali-sili zv>'. Coninni-liitariaitism, Mit Press, Cani-bridge (Ma) 199U, p. 50.32. e. MOUFFE,SuI politico, cìt.,p. 17. Moufte riprende la no-zione di «constitutive outsi-de» da H. STATKN, Witt^nstcinand Denteici, Basii Blackwell,Oxford 1985, che sviluppa inquesta direzione le ipotesi diJacques Derrida sul ruolo del-la differenza (cfr. c. MOUKHÌ, Po-ìitit'V and passiona. T!it.'stakt'f<of demarracy. Cantei' for thèStudy o I" Demoeracy, London2002, p. 6). Si veda in propo-sito anche m., T/n: DemocraticParacìo.ì', cit,, pp. 12.9-140.33. Cfr. soprattutto H. J. MOR-CIILNTHAU, L'uomo scientificoversus la politica di potenza(1946), Ideazione, Roma 2005,e it>., Polii ira irci le nazioni. Lalolla per iì poltre c la pace(19+8), il Mulino, Bologna1997. Sulla riflessione di Mor-genthau, si veda il recente !..ZAiiiiEKNAHUi, I limiti della po-lenr.a. Elica c politica nellateorìa intemazionale eli HansJ. Morgcnlìiuii, il Mulino, Bo-logna 2010.

differenti, ponendoli in relazione con un progetto comune», ma anche «sta-bilendo una frontiera per definire le forze da fronteggiare, il 'nemico'»31. Così,ogni identità presuppone sempre una sorta di «fuori costitutivo»:

La creazione di un'identità implica l'istituzione di una differenza, chespesso viene costruita sulla base di una gerarchia, per esempio tra for-ma e materia, bianco e nero, uomo e donna, e così via. Una volta che ab-biamo compreso che ogni identità è relazionale e che condizione es-senziale per l'esistenza di un'identità è l'affermazione di una differen-za - ovvero la percezione di qualcosa di 'altro' che costituisce il suo 'ester-no' - saremo in grado di capire meglio l'affermazione eli Schmitt a pro-posito della possibilità dell'antagonismo, e di vedere come una relazio-ne sociale possa diventare il terreno di cultura dell'antagonismo32.

Affrontando il nodo dell'«essenza» del 'politico'. Mouffe si trova evidentementealle prese con le questioni cruciali - e le ambiguità - al centro della visione'realista' dei fenomeni politici. In altre parole, emerge, al fondo del suo ra-gionamento, la domanda sulla motivazione che spinge il singolo verso la mas-sa. Per alcuni cultori del realismo, infatti, la spiegazione non è in fondo irri-ducibile a una logica di tipo strumentale, perché - come avviene in modo pa-radigmatico nel ragionamento di Hobbes - l'individuo, che pure è caratterizzatoda ima natura conflittuale, è spinto all'aggregazione dalla percezione della pro-pria insicurezza, dal timore nei confronti di un mondo minaccioso, e, dunque,decide di 'scambiare' la libertà con la sicurezza. In termini diversi, invece, al-tri cultori del realismo ritrovano, al fondo della natura umana, anche altre com-ponenti che più diffìcilmente possono essere ricondncibili a una logica utili-tarista. Tra questi, può essere probabilmente collocato Machiavelli, ma for-se - in misura paradigmatica - è la riflessione di Hans Morgenthau sull'am-mus dominandi a spiegare la politica come effetto di una pulsione indele-bilmente inscritta nella natura umana3-1. Rispetto a questa polarità, Mouffesembra propendere per una lettura che considera l'attrazione verso la massacome una sorta di pulsione autonoma, costitutiva dell'essere umano e irri-ducibile a ogni criterio razionalistico.Una simile ridefinizione del 'politico' è ovviamente uno sviluppo del percor-so intrapreso nel corso degli anni Ottanta, e in effetti è proprio questa rifles-sione elle consente a Mouffe di definire i caratteri di un'autentica dinamicademocratica e di sfuggire a quelli che ritiene essere i limiti delle rappresen-tazioni liberali della democrazia. Secondo Mouffe, infatti, il pensiero libera-le - nelle sue più raffinate formulazioni, come nelle sue più rozze volgarizza-zioni - rimuove l'idea del conflitto ed è così incapace di comprendere comele dinamiche politiche non siano riducibili né al contrasto fra posizioni valo-riali differenti, né soltanto al confronto degli interessi. Sono in sostanza pro-prio le basi della visione liberale che rendono impraticabile la percezione del'politico':

II politico non può essere afferrato dal razionalismo liberale per la sem-plice ragione che ogni razionalismo coerente richiede la negazione del-l'irriducibilità dell'antagonismo. Il liberalismo deve negare l'antagoni-smo perché, portando in primo piano il momento ineludibile della de-cisione - nel significato forte del dover decidere su un terreno indeci-

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

dibile - esso mette a nudo l'intimo limite di ogni consenso razionale. Nel-la misura in cui il pensiero liberale aderisce al razionalismo e all'indi-vidualismo, lasua cecità per il politico nella sua dimensione antagoni-stica non è perciò una mera carenza empirica ma qualcosa di costitu-tìvo:w.

In questo senso, Mouffe riprende e sviluppa i motivi polemici già enunciatida Schmitt, secondo cui il pensiero liberale «sorvola o ignora, in modo siste-matico, lo Stato e la politica e si muove invece entro la polarità tipica e sem-pre rinnovantesi di due sfere eterogenee, quelle cioè di etica ed economia, spi-rito e commercio, cultura e proprietà»3". Anche per Moufl'e, la teoria libera-le della democrazia continua infatti a muoversi fra queste due polarità'*. Perun verso il «paradigma deliberativo», rappresentato per esempio da JiirgenHabermas e John Rawls, tenta di fondare la democrazia sull'idea di un con-senso morale razionale, nella convinzione che «sia possibile creare nel regnodella politica un consenso morale razionale mediante una lìbera discussione»37.Per l'altro, il «paradigma «aggregativo», che da Schumpeter a Downs sviluppal'analogia fra democrazia e mercato, tende ad attribuire agli individui una lo-gica razionale e utilitarista molto simile a quella che orienta l'homo oecono-micux: così, gli individui vengono considerati «come esseri razionali, tesi allamasshnizzazione dei loro interessi, che agiscono nel mondo politico in un modofondamentalmente strumentale»38, mentre la politica è intesa come «l'istituirsidi un compromesso tra diverse forze che competono nella società»3". Il pun-to dell'argomentazione di Mouffe è che entrambi questi filoni illustrano il li-mite comune a tutte le visioni liberali della politica e, dunque, anche della con-cezione liberale della democrazia. Dato che il pensiero liberale non è in gra-do di comprendere l'autentico fondamento del 'politico', finisce infatti per for-nire una rappresentazione 'irrealistìca' della democrazia. La convinzione diMouffe è invece che, per comprendere realisticamente i fenomeni politici, sianecessario riconoscere che il confronto politico non è solo il risultato di unasemplice comunanza di interessi, di valori o di ideali, ma anche il prodotto diidentità collettive: identità che si costituiscono sempre in una contrapposi-zione fra noi e loro, ossia mediante la relazione con un hostis, un nemico 'pub-blico' che è, per definizione, il nemico di ini gruppo e non di un solo indivi-duo40. Dato che le contrapposizioni antagonistiche sono inevitabili, piuttostoche 'sopprimerle' è necessario tentare di 'incanalarle' all'interno di una dina-mica agonistica. Credere in una società «dalla quale sia stato sradicato l'an-tagonismo» è ìllusorio - osserva per esempio Mouffe - perché l'antagonismo«è una realtà sempre presente» e perché «il politico fa parte della nostra con-dizione ontologica»41. Ciò non significa che la politica democratica sia im-possibile, ma solo che la comprensione dei caratteri costitutivi del 'politico' rap-presenta il presupposto per pensare la democrazia in termini realistici:

Solo riconoscendo «il politico» nella sua dimensione antagonistica pos-siamo affrontare la questione centrale di una politica democratica. Talequestione, con buona pace dei teorici liberali, non è come negoziare uncompromesso tra interessi in competizione, e non è nemmeno come rag-giungere un consenso «razionale», e cioè del tutto inclusivo. A dispet-to di quello che molti liberali vogliono farci credere, la specificità dellapolitica democratica non è il superamento dell'opposizione noi/loro, ma

34. C. MOUFFE, Sul politico, Cit,p. lo. Ct'c. anche e. MOUFFE,Folilic.'ìaiid pastiions, cit., p. 5.35. c. SCHM'ITT, II concetto ili 'po-litico', cit., p. 157.36. Cfr. per esempio C. MOUi'FE,American Liberaliym and Il.fContinunitarian Critics:Rena/ti, Taylor Sandel and Waì-zer, in «Praxis International»,Vili (1<)88), n. 2, il)., Rawls: Po-liticai Philosophy witlinul Po-litica, cit., entrambi raccolti inID.. TìteRcturn of Hit Politicai,cìt,( rispettivamente pp. 23-40. pp. 4-1-5.9, ir>., Dcntocnu'yiinfl Pluralìsm: A Crìtìqitc ofthè Rationalìst Approiicìt, in«Cardozo Law Review», XVI(1.995), LI. 5, poi con il titolo De-mocmcy. Poirer andatile Poli-lit'ul», in ID.. The DcinocraticParadox, cit., pp. 17-35, ID.,The limite oj'JohnRawk'splu-ralism, in «Politics, Philosophy& Economie»», IV (2005), n, 2,pp. 221-231.37. C. ilOUFI'E, Sul polìtico, CÌt.,

pp. 14-15.38. Ibidem.39. Ivi, p.14.40. La distinzione fra il "nemi-co pubblico' e il 'nemico priva-to' fra 17ì<»s//.s' e Yì/iìtiiicus, cheMoutte riprende piuttosto li-nearmente da Schmitt, non ènaturalmente priva di alcuni si-gnificativi problemi, sottoli-neati, per esempio, dal classicoo. BKI . INNER, Terra c potere.Strutture prcxtatiitili e prc-mu-derne nella storia costituzionalenel&lustrìa medievali' (1,939),Giutfrè. Milano 198b", oltre cheda p.p. PORTINAKO, Materialiper una Hlorìcizzazione dellacoppia amico-nemico, in a. MI-GLIO (a cura di), Amicati (Inì-m iena) Hoslifì. Le radici dellaconflittualità 'privatu'i' dellacoìijlitfijalità 'pubblicai Giutìré,Milano 1992, pp. 219-310.41. C. MOUFFE, Sul politico, CÌt,,

p. lì).

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la maniera diversa in cui viene trattata. Requisito fondamentale dellademocrazia è che il modo in cui viene tracciata la linea di demarcazio-ne noi/loro sia compatibile con il riconoscimento del pluralismo che ècostitutivo della democrazia moderna42.

96 42./t'(.pp. IS-lfi.

43. C, MOUFFK. Tlie DenwcmticParadox, cit., p. 13.44. o. MOUFFE, Sul politica, cit..p. 59-<t5. Cfr. per esempio e. MOUKKK,Thè End of Politics and thèChallenge qf Riglit-fflng Po-IHilìsm, in F. PANÌZZA (a cura di),Populisti!, and thè Shadov! ofDcmocracy, Verso. London^005.46.11 riferimento alla centrali-tà del consenso avvicina Mouf-fe alla nozione di «postdemo-cruzia» proposta da .1. RANOIÈ-RE, 77 disaccorda. Politica cjì-losojia (1995), Meltemi. Roma20O7, e su.. L'odio per la demo-crazia (2O05), Cronopio, Na-poli 2O07. Per una lettura par-zialmente critica dei presup-posti teorici di Rancière, mipermetto di rinviare a D. PALA-NO, Lo scandalo dell'ugua-glianza. Alcuni appunti sul-l'itinerario teorico di JacquesRancière, in «Filosofia politi-ca», 20U, n. 3, pp. 305-320.

Sviluppando questo schema, Mouffe definisce l'«agonismo democratico» comeuna concezione della democrazia che non rimuove il 'politico' - ossia la ne-cessità per ciascun individuo di 'appartenere', il bisogno di 'fondersi' (seppurtemporaneamente) con la «massa» - ma che si basa piuttosto sull'idea che-irapporti conflittuali possano essere convcrtiti in rapporti fra avversali, all'internodi un contesto comune in cui le parti contrapposte si considerano come «ne-mici legittimi». In sostanza, Mouffe distingue due forme di manifestazionedell'antagonismo: da un lato, un antagonismo autentico, che si realizza «franemici, cioè, fra persone che non hanno uno spazio simbolico comune», e, dal-l'altro, IVagonismo», che implica «una relazione non fra nemici ma fra 'av-versali'», fra individui che possono essere definiti comefriendly enemies, os-sia fra «persone che sono amici perché dividono uno spazio simbolico comunema anche nemici perché vogliono organizzare questo spazio simbolico comunein un modo differente»43. La differenza fra la «democrazia agonistica» e la «de-mocrazia dialogica», sotto questo profilo, non attiene allora soltanto all'intensitàdel confronto, ma al fatto stesso che, nella «democrazia agonistica», il con-flitto viene 'civilizzato':

qui il dibattito democratico viene concepito come una reale contrap-posizione. Gli avversali combattono - anche duramente - ma attenen-dosi a un insieme condiviso di regole, e le loro posizioni, benché sianoin definitiva inconciliabili, sono accettate come prospettive legittime. Ladifferenza fondamentale tra l'impostazione «dialogica» e quella «ago-nistica» è che lo scopo di quest'ultima è una profonda trasformazionedei rapporti di potere esistenti, nonché l'affermarsi di una nuova ege-monia. Per questa ragione essa può a buon diritto essere definita «ra-dicale». Per essere chiari, non è la politica rivoluzionaria di tipo giaco-bino, ma nemmeno la politica liberale degli interessi in competizioneall'interno di un terreno neutrale, né la formazione di un consenso de-mocratico'".

Il modello agonistico elaborato da Mouffe non punta soltanto ad arricchirela riflessione teorica sulla democrazia, perché tende a suggerire anche una chia-ve di lettura delle trasformazioni dei sistemi politici contemporanei. Alcunedelle principali tendenze degenerative delle democrazie occidentali - come,soprattutto, la 'disaffezione' verso la politica e le sue istituzioni, o le derive 'neo-populiste', ma anche la proliferazione del terrorismo - vengono infatti inter-pretate come una conseguenza indiretta proprio del trionfo del paradigma li-berale e di una concezione 'consensuale' della democrazia45. In altre parole,quello che Mouffe definisce come «spinto postpolitieo»-contemporaneo si fon-da sulla convinzione che fenomeni come la fine della contrapposizione bipo-lare, il tramonto delle grandi ideologie novecentesche e il superamento del con-flitto di classe abbiano di fatto posto termine ai grandi confitti del passato, eche per questo la dinamica democratica possa svolgersi in.termini puramente'consensuali'4". Una simile convinzione - che estremizza i presupposti di fon-

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

do del liberalismo - finisce col rimuovere il tatto che la democrazia non si reg-ge esclusivamente sul consenso, ma anche su identità collettive, per loro na-tura radicate in relazioni agonistiche. Mentre esalta il momento del consen-so, lo «spirito postpolitico» tende invece a occultare il fondamento del 'poli-tico' e, così, a ostruire i canali democratici di sublimazione delle pulsioni di-struttive, col risultato che quelle pulsioni vengono fatte slittare altrove, ver-so identità collettive essenzialiste17. Pertanto, secondo il ragionamento di Mouf-fe, «rappresentare lo scopo della politica democratica in termini di consen-so e riconciliazione è non solo concettualmente errato, ma anche politicamenterischioso», perché «l'aspirazione a un mondo in cui la demarcazione noi/lorosia superata si basa su premesse false»4". La rimozione dell'antagonismo nonelimina effettivamente il conflitto, ma si limita a spostarlo su un terreno di-verso, e così non può che farlo riemergere al di fuori dei canali istituzionali,nella forma di un conflitto radicale. Ma la frontiera dell'esclusione viene adassumere allora una specifica connotazione morale, nel senso che i «nemici»,invece di essere considerati come avversari, finiscono con l'apparire solo comenemici assoluti, privi di qualsiasi legittimazione4-11. Rifiutando la centralità del'consenso' dello «spirito postpolitico» contemporaneo, la concezione «ago-nistica» di Mouffe si propone invece come soluzione capace di restituire for-za a quella contrapposizione tra avversali cui le identità collettive possono at-tingere. In una conversazione con Nadia Urbinati, Mouffe si sofferma propriosu questo nodo:

l'obiettivo del mio modello agonistico di democrazia è proprio di indi-care con precisione come si possa, partendo dalle premesse schmittia-ne sulla struttura antagonistica del politico, rendere visibile in che modouna concezione realmente politica e praticabile della democrazia libe-rale (con cui intendo il regime politico caratteristico della modernità oc-cidentale) sia nondimeno possibile. La mia tesi è che l'antagonismo, cheè in effetti inestirpabile, può manifestarsi sotto diverse forme: come an-tagonismo in senso proprio, cioè in termini di amico/nemico, laddovelo scopo è di eliminare l'avversario; ma anche sotto forma di ciò che hoproposto di chiamare 'agonismo' per riferirsi a un modo di antagonismo'addomesticato'. Ciò che intendo con 'agonismo' è un confronto tra av-versali i quali, anche se riconoscono che non esiste una soluzione razionaleal loro conflitto, tuttavia accettano di condurre questo conflitto dentrola cornice di un insieme di procedure condivise"".

La difficoltà principale che Mouffe deve affrontare per garantire coerenza almodello agonistico risiede nella definizione delle condizioni dell'equilibrio fraunità e pluralità, ossia fra la coesione della comunità politica e le istanze del-le singole 'parti'. Si tratta ovviamente di un nodo teorico da sempre ben chia-ro alla riflessione sulla democrazia, perché, fin dal momento in cui la stessanozione di «democrazia» viene elaborata nel mondo greco, la conti-apposizionefra le 'parti' viene percepita come un rischio costante di dissoluzione dell'or-dine e come un fattore suscettibile di condurre alla guerra civile. Se l'archi-tettura istituzionale e i congegni di limitazione del potere sono stati indicatidai sostenitori della democrazia come strumenti in grado di moderare il con-flitto e di evitare così che la contrapposizione trascenda in violenza, un'ancorapiù solida - in grado di porre la democrazia al riparo dagli urti delle corren-

47. C. .MOUFFE, Sul polìtico, cit..

p. 34. In questo senso, la letturadi Moufte ha qualche punto diconvergenza con ttlenne intui-zioni formulati- da Slavoj Zifcksulla stagione «post-politica»:cir. per esempio s. ZliiiK, C«;7Schmitt in thè Age ofPmt-Pa-/(/«-*•, in e. MOUFFE fa cura di).The Clialle.nge, ofCari ^chiniti,cit., pp. 16-39, Id. La violenzainvisibile (20O7), Rimjli, Mi-lano 2007, ma anche le anno-tazioni svolte in in., In difesadelle cause pene. Materiali perla rivoluzione globali' (20U8),Ponte alle Grazie, Firenze2009, pp. 350-355.48. C. MOUFI'E, Sul politico, cit.,pp. 2-3.49. Per una lettura critica del-l'ipotesi di Monile sullo «spiritopostpolitico» rimando alle con-siderazioni svolte, a propositosoprattutto dei risvolti inter-nazionali, in n. PALANO, // 'po-liìico' nell'ocra potttpvlitica»,cit.50. Cfr la discussione ira Mout-te e Urbinati su Democraziarappresentativa e conflittuale,in <'!! Mulino», 20()a, n. 5, p.811.

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98 5T. Cfr. per esempio i dui1 testi,a loro modo divenuti elisici, dilij\ AIJMOND, S. VliKBA, Cìl'ÌC llll-

lurc. Folilicul Attiluiìes andDemoci'aci/ in Fìve Nalionx,Prineeton University Press,Prinecton 1963, e R.[). PUTNAÌI,La tradizione cìvù-tr nelle re-gioni italiane (1.993), eon R.Leonardi e Ratraella Y, Nn net-ti, Mondadori, Milano 1993.52. Cfr. per esempio e. MOUFFE,American Lìltcralisin and ItsComiti nnilarian Critica:Rmtik, Taylor Scindei and Waì-zcr, cit.53. Cfr. per esempio in i.. Ai.-THUSSER et al., Leggere il Capi-tale (1965), Mimesis, Milano2007, e N. FOULANTZAS, Poterepoli lieo e cianai sociali (1.968),Editori Riuniti. Roma 1971.54. E. I,ACIJ\U, Tlic Spccifìty qfthè Politimi: uroiind thè Pou-Ìantzaa/Mìlband debate, in«Economy and Society», 1975,n. 1, pp. 87-110, poi in i IX, Po-litica and Ideohgy in MtiwìytTheory, New Left Bootus, Lon-don 1977-PP-51-79.

ti clernocratiche - è stata individuata nell'esistenza di una base culturale edetica comune. Proprio a un et/tos condiviso guardava per esempio Alexis deTocqueville quando celebrava l'esperimento americano, ma, non diversamente,seguendo le sue orme, un importante filone della ricerca politologica rintracciale radici di una democrazia stabile ed efficiente nella, presenza di una robu-sta civic culture o in una tradizione di civicness in grado di incanalare le ri-vendicazioni particolaristiche nell'alveo di una partecipazione responsabile erispettosa dell'interesse comune'11.Anche Mouffe non sfugge all'idea che solo un ethos condiviso possa offrire auna democrazia le basi di una dinamica agonistica, e dunque di conservarel'equilibrio instabile fra le 'parti' e il 'tutto'. Naturalmente, Monile non può peròfondare l'agonismo democratico sulle basi della 'cultura civica', o quantome-no non può considerare una simile base culturale come un dato statico, ere-ditato dal passato e riprodotto nel tempo. D'altronde, la teorica belga criticail comunitarismo proprio perché - nonostante questo filone colga i limiti del-l'individualismo liberale - ritiene che le 'comunità' (e dunque le identità col-lettive) siano 'essenze', formazioni coerenti, prive di lacerazioni interne, e nonformazioni contingenti, soggette a mutamenti e destinate dunque a cambia-re il loro profilo'2. Uethos a cui pensa Mouffe è allora qualcosa di differentedalla 'cultura civica', o anche dall'espressione di una sorta di Voìksgeist, per-ché è piuttosto l'esito di una costruzione 'egemonica', il prodotto di contrap-posizioni e di conflitti di potere. Ed è in corrispondenza di questa immagineche emergono più chiaramente le connessioni fra la teoria dell'agonismo de-mocratico e la riflessione condotta da Laclau e Mouffe negli anni Ottanta, per-ché il punto focale della loro attività teorica consisteva allora proprio nella cri-tica di ogni 'essenzialismo' e nel ripensamento della nozione di 'egemonia'.

Se l'enfasi che nelle loro riflessioni Laclau e Mouffe assegnano al 'politico' èun effetto della riscoperta di cui è stato oggetto il pensiero di Schmitt a par-tire dagli anni Ottanta, non è certo improprio riconoscere in questa scelta an-che un lascito della stagione marxista dei due studiosi e, in particolare, del loroconfronto critico con il pensiero di Louis Althusser. Nel vocabolario teoricodel marxismo strutturalista francese, il 'politico' riveste d'altronde un molo spe-cifico, seppure ben differente da quello che svolge nella riflessione schmittiana.Per Althusser e per il gruppo di studiosi che ne sviluppano le ipotesi teorichenegli anni Sessanta e Settanta, il 'politico' coincide infatti con una determi-nata «regione» delle relazioni sociali interne a uno specifico modo di produ-zione, e in questo senso esso si affianca ad altre aree (l'economico', l'Ideolo-gico', il 'giuridico'), ognuna delle quali adempie a funzioni indispensabili perla coerenza della struttura5". Naturalmente, Laclau e Mouffe non accolgonola rappresentazione strutturalista, e, anzi, in uno dei suoi primi saggi il teo-rico argentino svolge una critica approfondita della c&ncezione del 'politico'proposta da Althusser, Etienne Balibar e Nicos Poulantzas"4, Nel loro percorsoteorico successivo, e soprattutto in HegemonyandSocialifitStrategy, Laclaue Mouffe portano ben più a fondo la discussione dell'intera tradizione mar-xista, e in questo senso non risparmiano certo lo strutturalismo althusseria-no. In qualche misura', i due teorici 'post-marxisti', pur rovesciando il rapporto

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logico di subordinazione tra 'economico' e 'politico', conservano però quellache continuano a considerare un'intuizione importante di Althusser, ossia laconvinzione secondo cui alcune entità riescono a «surdeterminare» altre en-tità, senza però che nessuna di esse goda di una 'fissità' originaria'*7. In altritermini, il ripensamento della «siirdeterminazione» althusseriana conduce La-ci au e Mouffe non solo a una rilettura dellVegemonia» gramsciana, ma an-che a una complessiva ridefinizione del 'politico', come elemento di struttu-razione dell'ordine, che rompe nettamente con ogni visione 'essenzialista' del-la società e, dunque, anche con le matrici teoriche della tradizione marxista.In Hegemony and Socialist Strategy - una delle opere che ha probabilmen-te influenzato di più il dibattito «post-marxista» degli ultimi trent'anni - La-clau e Mouffe non si limitano in effetti a riprendere la nozione gramsciana diegemonia e a fornirne ima nuova declinazione, ma si pongono dinanzi alla cri-si politica del movimento operaio novecentesco e del suo patrimonio intel-lettuale. A differenza di molti teorici che, proprio al principio degli anni Ot-tanta, mettono radicalmente in questione la capacità del marxismo di com-prendere i mutamenti sociali e rompono dunque in modo netto con la tradi-zione marxista, Laclau e Mouffe - definendo la loro proposta come esplici-tamente «post-marxista» - tendono a mettere in luce un rapporto di conti-nuità politica con la tradizione marxista, che però si accompagna all'abban-dono della convinzione che il conflitto di classe sia il perno attorno al qualefar ruotare ogni progetto di emancipazione politica ma, soprattutto, a una net-ta 'relativizzazione' della portata scientifica del marxismo"''. Proprio la criti-ca indirizzata alla concezione del marxismo come 'scienza' occupa d'altron-de una posizione cruciale nella riflessione di Laclau e Mouffe, e in qualche modocostituisce il presupposto teorico principale dell'operazione al cuore di He-gemony and Socialist Stmtegy. Così, benché prendano le mosse da una cri-tica nei confronti dello strutturalismo di Althusser, l'obiettivo polemico del-la loro operazione diventa l'intera tradizione marxista, e in particolare l'am-bigua nervatura 'positivista' che il marxismo acquista negli anni della SecondaInternazionale. In Hegemony and Socialist Strategy, il punto di partenza è ineffetti l'analisi critica dell'«ortodossia marxista», la cui genesi è collocata ne-gli anni a cavallo fra Otto e Novecento, perché proprio in questa congiuntu-ra vengono individuati i limiti dell'intera riflessione successiva. La fine dallalunga depressione di fine Ottocento e l'inizio di circa un ventennio di relati-va prosperità, fra il 1896 e il 1914, mutano infatti radicalmente il quadro ori-ginario in cui aveva preso forma la teoria di Marx e, soprattutto, rendono sem-pre meno credibile la prospettiva di un'imminente transizione al socialismo.Nel nuovo scenario, si pone il problema della relazione fra lotta economica elotta polìtica, una relazione che non può più essere risolta nei termini di unasostanziale identità. Questa prima «crisi» del marxismo è determinata, perun verso, dalla «consapevolezza dell'opacità del sociale, della complessità e del-la resistenza di un capitalismo sempre più organizzato», e per l'altro dal ri-conoscimento della «frammentazione delle diverse posizioni degli agenti so-ciali, che secondo il paradigma classico avrebbero dovuto essere unite»''7. Talidue elementi non caratterizzano solo una fase nella storia del marxismo, ma- secondo la lettura di Hegemony and Socialist Strategy - determinano unasvolta netta, perché, a partire da questo momento, il problema del marxismosarà quello di riconquistare l'unità perduta di elementi disseminati e fram-mentali.

55. Por il concetto ahhusscria-nn di «surdetenriiiiazioneA,cfi-. in particolare L. ALTIIUSSER,PerMarj: (1965), Editori Riu-niti, Roma 1.967, pp. 69-96.56. Cft. per esempio E. LACI AU,Thcoi'y, Democracy and Socia-li.tni, in !D., Ne.n> Refl&tìon. o/'thè Rccohttion nf Our Time.Verso, Umdon lyyo, pp. 197-24f..57. B. IACLAU, C. MOUKFE, Egc-

iiiuiila e strategia socialista.K'm> tuia politica dcinocrtitìcctradicale (I.9S5), II Melangolo,Genova 2011, p. 6O.

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100 SS. Ivi, p. 92.59. G. SOREL, Hijli'sxioitì sullaviolenza, in ID., Scrìtti politici,a cura di R. Vivaceli!, Utet, Ti>-rino 200fi, pp. 219-220.60. E. I.AC1.MJ, t:. MOUFFE, Egl'-mtiiiia e strategia sacialì^ln,cit., p. 94.61. Ibidem.tìa. Ibidem.63. Sulla nozione gramsciana diegemonia, cfr, anche alcuni la-vori di Mouft'e risalenti alla se-conda metà degli anni Settan-ta: C. MOUI'I'K, A. SHOWSTACKSASSOON, Granisci in Frangeand llaly: A Revieìo qf'the Li-teniture, in «Ec.onomyand So-ciety», I (1,977). pp. 3l-fi8, e, so-prattutto, e. MOUFFR, Intro-(luc/ion: Granisci Today, in ID.(a cura di), Gnimxcì and Mar-.l'isl Theory. Routledge & Ke-gan Paul, London 1979, pp. 1-18, TI)., Hegemony and Jdcolo-f y in Gramsci, in «Research inPoliticai Economy», 1979, n. 2,pp. 1-31, poi in in. (a cura di),Granisci, and Marciti! Thetirij,cit, pp. Itì8-204,G4. E. LACLAU, c. MOUFFE, Ege-monia e strategia socialista.cit., p. 124.

Le diverse posizioni del dibattito marxista dei primi decenni del Novecento af-frontano la 'crisi' innescata dalla scoperta della frammentarietà e dell'opacitàdel sociale in modo diverso, ma - secondo Laclau e Mouft'e - è la risposta diGeorges Sorel a indicare il sentiero più fruttuoso. Sorel accetta infatti la criti-ca diretta al marxismo da Eduard Bernstein e da Benedetto Croce, sebbene nesvolga le conseguenze in una direzione molto diversa. Ciò che Sorel valorizzanel marxismo non è infatti il profilo dell'analisi scientifica della realtà, bensìla dimensione ideologica, ossia il fatto che il marxismo è l'ideologia capace di'unire' politicamente il proletariato. Nella visione soreliana le classi non sonopiù determinate dalla struttura dell'economia capitalista, perché appaiono piut-tosto come «blocchi», come poli capaci di imporre la loro concezione econo-mica. Il processo di formazione delle classi si gioca interamente a mi livello po-litico, ossia a un livello in cui le forze storielle si formano attorno a un'idea po-litica, a un «mito», e in contrapposizione con un altro soggetto di classe. «Unavolta che la sua identità smette di essere fondata su un processo di unità a li-vello infrastnitturale (a questo livello c'è infatti solo il mélange)», notano La-clau e Mouffe, «la classe operaia inizia a dipendere da\la.separazio7ie dalla clas-se capitalista, che può essere completa solo nella lotta contro di essa»:'R. In ter-mini del tutto coerenti, Sorel arriva allora a fondare il socialismo solo sul mito,«una organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sen-timenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapre-sa dal socialismo contro la società moderna»53. Il mito - che per Sorel è il mitosindacalista dello sciopero rivoluzionario - non può che essere un elemento pu-ramente simbolico, più o meno realistico, che «permette al proletariato di pen-sare il mélange delle relazioni sociali come organizzato attorno a una chiaralinea di demarcazione»60. Dunque, «la categoria della totalità, scartata comedescrizione oggettiva della realtà, viene reintrodotta come elemento mitico chestabilisce l'unità della coscienza dei lavoratori»61. A dispetto di tutte le ambi-guità, secondo Laclau e Mouffe, «il punto decisivo - ed è ciò che fa di Sorel ilpiù profondo e originale pensatore della Seconda internazionale - è che la stes-sa identità degli agenti sociali diventa indeterminata, e che ogni fissazione 'mi-tica' dipende da unalotta»62. Ed è proprio a partire dalle intuizioni di Sorel cheGranisci rielabora in termini nuovi la concezione deu"«egemonia»fi3.Laclau e Mouffe vedono infatti nel pensatore sardo una rottura piuttosto net- .ta con il leninismo, perché, quando Granisci ricolloca l'idea leninista delrl'egemonia su un livello «intellettuale e morale», in sostanza abbandona la con-vinzione che l'alleanza si possa reggere su una coincidenza di interessi, all'internodella quale i diversi soggetti sociali conservano identità specifiche e separa-te. L'idea di una direzione « intellettuale e morale» si riferisce allora alla dif-fusione di idee e valori in un vasto insieme di gruppi, che non comprende solola classe operaia. Pertanto, come osservano Laclau e Mouffe, «la direzione mo-rale e intellettuale costituisce, secondo Granisci, una sintesi superiore, una Vo-lontà collettiva' che, attraverso l'ideologia, diviene il cemento organico che uni-fica un 'blocco storico'»6*. Il punto chiave del ragionamento gramsciano risiedecosì nello spostamento dell'egemonia su un terreno specificamente ideologi-co. Ma, a questo spostamento, si lega anche una nuova concezione dell'ideo-logia, cui Laclau e Mouffe attribuiscono enorme importanza. Innanzitutto,Granisci - secondo la loro lettura - afferma il carattere 'materiale' dell'ideo-logia: perciò, «l'ideologia non si identifica con un 'sistema di idee' o con la 'fal-sa coscienza' degli agenti sociali», ma corrisponde piuttosto a «un intero or-

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

ganico e relazionale, incorporato in istituzioni e apparati che saldano insie-me un 'blocco storico' attorno a una serie di principi articolatoli fondamen-tali»1*. L'ideologia non attiene più, dunque, al piano della 'sovrastruttura', maprocede oltre, modificando la stessa relazione 'struttura'/'sovastruttura'. In se-condo luogo - ed è probabilmente questa, secondo Laclau e Mouft'e, l'opera-zione in cui meglio si mostra l'originalità di Granisci - l'ideologia perde ognilegame con la dimensione di classe, nel senso che i soggetti politici vengonoa essere, come aveva già suggerito Sorci, «volontà collettive». Come scrivo-no a questo proposito, sintetizzando il ragionamento gramsciano:

fiS.Ibitìtm. 101

Per Granisci i soggetti politici non sono - in senso stretto - le classi, ma 6T Mv'irÀ''volontà collettive" complesse; analogamente, gli elementi ideologici ar- 6s. ibidem.ticolati da una classe egemonica non hanno un'appartenenza di classe <>9' !"'"em-necessaria. Riguardo al primo punto, la posizione di Granisci è chiara:la volontà collettiva è un risultato dell'articolazione politico-ideologicadi forze storielle disperse e. frammentate. [...] Riguardo al secondo pun-to, è ugualmente evidente come, per Granisci, l'ideologia organica nonrappresenti una visione del mondo puramente classista e chiusa; essasi forma, invece, attraverso l'articolazione di elementi che, consideratiin se stessi, non hanno alcuna necessaria appartenenza di classe66.

Sviluppando le ipotesi di Granisci, ma rompendo ogni residuo legame con l'es-senzialismo, Laclau e Mouffe rovesciano il rapporto di subordinazione fra 'eco-nomico' e 'politico' che contrassegna il marxismo ortodosso, oltre che gran par-te della tradizione marxista. In effetti, i due teorici pensano l'egemonia comeun'articolazione integralmente 'politica', rinunciando all'idea che le forzeproduttive siano guidate da leggi oggettive e che l'identità dei soggetti socia-li sia determinata - persine in ultima istanza - dal livello economico. In altreparole, per effetto di questa operazione, l'egemonia non è più solo il processocon cui un soggetto costruisce un sistema di alleanze, ma principalmente - datoche nessuna identità sociale è predeterminata - anche il processo con cui si de-finisce la stessa identità dei soggetti egemonici. Una volta messo in discussioneil fondamento delle identità nella struttura sociale, Laclau e Mouffe non pos-sono però non mettere in questione anche la stessa 'oggettività' del terreno sucui si sviluppano le relazioni sociali: in altri termini, dunque, devono affermareche la «società» - intesa come uno spazio predefinito in cui si muovono i sog-getti storici, come una «totalità fondante i suoi processi parziali»67 - non puòesistere, nel senso che «non esiste uno spazio suturato caratteristico della 'so-cietà', visto che il sociale stesso non ha essenza»1'3. All'interno di questa visio-ne, contestare l'esistenza 'oggettiva' della società significa che la stessa totali-tà sociale è il prodotto di una struttura discorsiva. Ma tale strattura discorsi-va - come scrivono con una precisazione fondamentale - «non è solamenteun'entità 'cognitiva' o 'contemplativa', ma anche una.prati.ca articolatoria checostituisce e organizzale relazioni sociali»*'. Questo significa, pertanto, che lasocietà non è un 'dato', botisi il prodotto di una struttura discorsiva, e che, per- • - - . _ , -tanto, la stessa maggiore o minore complessità è esclusivamente il risultato diuna rappresentazione egemonica delle identità e dei soggetti sociali.Rispetto all'insieme delle pratiche articolatone, la pratica egemonica presentaovviamente una propria specificità. In primo luogo, per Laclau e Mouffe, lapratica egemonica richiede che «l'articolazione abbia luogo attraverso uno scoii-

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102 70. ivi, p. 21S.71. Ibidem.72. Ivi, p. 217.73. Cfr, per esempio, E. LA-CLAU, JVezo Reflcctions un thèRi'i-o/iition o/Olir Time, cit.,10.. Einant:ìpation($), Verso,I,on<1i>n 1996, m. (a tura ili),TYip Mal-ini; uf Politicai Idcn-(ilìe.i, Verso, London 1994:, ID,Trantifornia ti OHS oj'Advanct'tlIndustriai Societies and thèTìieory ofthe Subjecì, in s. HAN-NINEN, L. r-ALDÀAN (a cura dì),Rcth i n/ci ng Ideologi/. A ManiiitDcbatf., Argument, Berlin 1983,pp. 39-44, II)., Mctaphor andSocial Antugo/iisin, in e. NEL-SON, L. GROssiiERiì (a cura di),Mani-igni ami ìlic Intcrpreta-tion ofCultttre, Univei'sityof Il-linois Press, Urbana-Chicago1988, pp. 249-257. in., Grani-sci, ili S. CIUTCHLEY, w. SHBOE-OKK (a cura di), A compatitoli toContinental philosophy, Black-well, Oxford-Maldcn (Mass.)1998, pp. 41Ì1-4CÌ8, m., La ra-gione populista, CÌt., ,1. BUTUiK,[•:. i ACUII, s. t&EK, Dialoghi sul-la Sinistra. Contingenza, ege-monia, universalità (2000), acura di L. Bazzicalupo, Later-za, Roma-Bari 2010. Per un'in-troduzione alla riflessione diLaclau, si vedano, per esempio,,S. CKITCHl.F.Y, O. MARCHART, La-

c/a.u. A Criìiml Kcader, Rou-tledge, London 2004, o. TA-RIZZO, Populismo: i-iti starà adascoltare?, iu F.. I-ACIAU, Lti ra-gione populista, cit., pp. VII-XXXIII, e A. NOituis, ErnestoLaclau and tlic logic qf 'litepo-liticai', in «Philosophy & SocialCriticism», XXXII (UOOtì), n. 1,pp. 111-134.74. Sulle differenze tra i duepercorsi, ctr. M. A. WENMAN,Laclau or Mouffe? Splittingthè Difference, in «Philosophyand Social Critidsm», XXIX(2003), n. 5, pp. 581-606. Unesame approtbndito della lororiflessione comune è invece of-ferto da A.M. SMITH, Laclauand Moiiffc. Thf. radicai tle-mocratic imagi naiy. Routled-

ge, London 1998.75. E. LACLAU, La ragione, po-pulista, cit., p. 64.76. h'i, pp. 66-67. Sull'idea del«significante M.ioto>', eli', ancheK. I.ACI.AU, Whu do Empiti Si-giiifiersMalleì- lo Politici, in ID.,Entancipation(.-i), cit., pp. 36-4(5.77. E. LACLAU, La ragione po-pulista, cit., p. 67.78. Ivi, p. (59.

tro con le pratiche articolatone antagxmiste», e, cioè, che «l'egemonia emer-ga in un campo attraversato dagli antagonismi e che presupponga [...] feno-meni di equivalenza ed effetti di frontiera»70. In secondo luogo, l'egemonia ri-chiede che le frontiere che separano le diverse forze antagonistiche siano in-stabili. «Solo la presenza di un grande insieme di elementi fluttuanti e la pos-sibilità della loro articolazione in campi avversi - il che implica una costan-te ridefinizione di questi ultimi - costituisce il terreno che ci permette di de-finire una pratica come egemonica»71. Per effetto di questa rilettura, il gram-

sciano blocco atorico può essere allora inteso comeuna specifica formazione discorsiva egemonica,mentre la nozione di guerra di posizione palesal'idea che sia indispensabile una frontiera in gra-do di dividere il sociale in due campi contrapposti.Rigettando qualsiasi traccia dell"essenzialismo'gramsciano, Laclau e Mouffe non possono però cherifiutare l'idea che esista uno «spazio politico» daicontorni predefiniti, il quale costituisce il terreno'necessario' in cui prende forma l'antagonismo. Edè per questo motivo che distinguono fra due diverse

configurazioni dello spazio politico, a seconda che gli antagonismi siano mol-teplici, o che emerga una contrapposizione fra due campi principali:

Parleremo quindi di lotte acm oc rati eh e quando implicano una plurali-tà di spazi politici, e lotte popolari, quando alcuni discorsi costruisco-no tendenzialmente la divisione di un singolo spazio politico in due cam-pi contrapposti. Ma è chiaro che il concetto fondamentale è quello di 'lot-ta democratica1, e che le lotte popolari sono semplicemente delle con-giunture specifiche che risultano dalla moltiplicazione degli effetti di equi-valenza tra le lotte democratiche72.

Se in Hegernony and Sodulitit Stmtegy il cuore dell'analisi è rappresentato dal-le «lotte democratiche», nei lavori successivi - e soprattutto nella, Ragione po-pulista - Laclau si sposta invece sulle «lotte popolari», oltre che sulla strut-tura delle identità politiche73. Le premesse teoriche che continuano ancora oggi .a indirizzare la sua ricerca - come quella di Mouffe - rimangono comunquele stesse delineate negli anni Ottanta7*. Negli scritti più recenti di Laclau, ein particolare nella Ragionepnpuliata, le basi sono costituite infatti dalla no-zione di egemonia. In primo luogo, il terreno di costituzione dell'oggettivitàè sempre definito dal discorso - ossia da «un complesso di elementi in cui lerelazioni giocano un ruolo costitutivo»71* - e, in secondo luogo, dall'idea cheun'identità egemonica sia «qualcosa di simile a un significante vuoto, che in-carna nella sua particolarità una pienezza irrealizzabile», perché, «la categoriadi 'totalità' non può essere mai sradicata, ma [...] resta, in quanto totalità fal-lita, un orizzonte e non un fondamento»76. Infine, la totalizzazione egemonica- e dunque anche la costruzione di un 'popolo' - si configura come un'opera-zione «catacresica», ossia come la nominazione di qualcosa che è «essen-zialmente. innominabile»77. Ciò implica che il «popolo» prodotto dal populi-smo non abbia «la natura di un'espressione ideologica», ma si presenti come«una relazione concreta tra agenti sociali», ossia come, «una via per la co-struzione dell'unità del gruppo»7". In un simile quadro teorico, dunque, è piut-

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

tosto evidente come la distinzione fra lotte 'politiche' ed 'economiche', formulatadalla tradizione marxista, perda qualsiasi rilevanza, perché, in fondo, ogni lot-ta - per il fatto stesso di esprimere una dimensione antagonistica - diventauna lotta 'politica'. Ma è anche piuttosto chiaro - come ammette lo stesso La-clau - che la stessa distinzione fra 'politico' e 'populismo' tende a sfumarsi, per-ché la logica del populismo coincide proprio con la logica fondamentale del'politico':

dobbiamo allora dire che il politico è sinonimo di populismo? Sì, per-lomeno nel senso in cui io intendo il populismo. Siccome la costruzio- 7.9. fri, \>. wtì. 103

1 1 i \i ._. i . . . . . . . j. il SO. C. MOl'FFE, Sii/ voli! il'O, l'it.,ne del «popolo» e 1 atto politico per antonomasia, un atto opposto alla ,,0pura amministrazione entro una stabile cornice istituzionale, le condi-zioni sine qua non del politico sono la costruzione di frontiere antago-nistiche all'interno del sociale e l'appello a nuovi soggetti di cambiamentosociale - tutto ciò implica, come sappiamo, la produzione di significantivuoti per unificare una molteplicità di domande eterogenee in cateneequivalenziali. Ma queste condizioni sine qua non sono anche le carat-teristiche definitorie del populismo79.

Naturalmente, la riflessione sul 'politico' condotta da Laclau - in particolare,per la coincidenza che stabilisce fra la logica del 'politico' e la logica del 'populismo'- non è priva di ambiguità ed elementi problematici, ina, senza dubbio, rap-presenta uno sviluppo piuttosto coerente delle tesi degli anni Ottanta e dellacritica dell'essenzialismo. Una volta abbandonata l'idea che i soggetti politiciabbiano una base oggettiva', diventa infatti inevitabile trovare nel 'politico' quelmeccanismo con cui, mediante la logica della contrapposizione e dell'equiva-lenza, viene costruito il 'popolo'. Una simile posizione - effettivamente 'sore-liana' - si ritrova d'altronde alla base anche del modello agonistico, perché an-che lo spazio simbolico comune in cui Mouffe colloca il confronto democrati-co non è un terreno 'oggettivo', bensì l'esito di una costruzione egemonica.In primo luogo, anche per Mouffe - come per Laclau - il 'politico', oltre a ri-flettere una serie di pulsioni ineliminabili, ha un legame serrato con l'egemonia.Come risulta d'altronde dal percorso compiuto in Hegemony and SocialistStm-tegy, ogni ordine sociale è sempre il prodotto dell'egemonia esercitata da unadeterminata forza, e pertanto il 'politico' si trova al di sopra e al di fuori del'sociale', perché coincide con quella forza che costituisce il 'sociale':

II politico è in relazione con gli atti che istituiscono egemonia. Ed è inquesto senso che occorre differenziare il sociale dal politico. Il socialeè il regno di pratiche sedimentate, vale a dire di pratiche che dissimu-lano gli atti originali della loro istituzione politica contingente e che sonodate per scontate, come fossero autofondate. Le pratiche sociali sedi-mentate sono parte costitutiva di ogni società possibile; non tutti i le-gami sociali vengono messi in discussione nello stesso momento. Il so-ciale e il politico hanno perciò lo statuto di ciò che Heidegger definiva . -._. . _esistensdali, e cioè sono dimensioni necessaire di ogni vita associata. Seil politico - inteso nel suo senso egemonico - implica la visibilità degliatti di istituzione del sociale, è impossibile determinare a priori che cosasia il sociale e che cosa il politico indipendentemente da un qualche ri-ferimento contestuale"0.

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104 HI. e. MOUFFF, Tlie DenwcraticParadox, cit., pp. 68-6'ì). Que-sto punto, secondo Mouffe, eestremamente importante per-ché «il modello liberale domi-nante è incapace di riconosce-re [_• • • ] che una concezione li-beraldemoeratìca della giusti-zia e delle istituzioni Kberal-dcmocratiche richiede un ithosdemocratico al tine di funzio-nare efficacemente e di con-servarsi» (ivi, p. 69).82. A questo proposito, Mour-fc ha precisato che un'efficacedinamica democratica «ri-chiede lo sviluppo di un ethaademocratico che può esseresostenuto solo attraverso lamobilitazione degli afretti inuna molteplicità di pratichedemocratiche» (e. MOUFFE, N.URBINATI, Democrazia rappre-acntatii'a e conflittuale, eit..pp. 819-820). Sul ruolo del-Yclh'K, cfr. le osservazioni di«'.E. t'ONNOLLV, The ethos ofdc-tiinc.ntlizutinn, s. CRITCHLEV, o.MARCMART fa cura di). Lodali,cit, pp. lfa'7-181.

E proprio muovendo da questa visione che Mouffe ritiene che la democrazia- o, meglio, il conflitto agonistico fra avversar! - si svolga all'interno di unospazio mutevole. Ma, soprattutto, è a partire da simili premesse che Mouffeinvita a pensare la definizione dello spazio simbolico della democrazia comel'esito di una eostruzione 'egemonica', che fissa i confini fra 'sociale' e 'politi-co', e soprattutto come un terreno sorretto da un ethos ben preciso. Come haosservato Mouffe, richiamando l'importanza della lezione di Wittgenstein perla teoria democratica, non è infatti sufficiente soffermarsi sugli elementi pro-cedurali, perché ogni procedura si basa sempre su un ethos condiviso. «De-mocrazia», ha scritto per esempio, non è soltanto «un modo con cui stabili-re le procedure giuste indipendentemente dalle pratiche» : al contrario, «le pro-cedure coinvolgono sempre impegni etici sostanziali», «per la ragione che essenon possono operare propriamente se non sono supportate da una forma spe-cifica di «'f/io.S'»81, Ov^amente, nella prospettiva di Mouffe. non si tratta di con-cepire un simile ethos come una dimensione che afferisce a una moralità su-periore, o a una serie di prescrizioni etiche universali, ina, semplicemente, diconsiderare}'ethos come un insieme di identità e valori storicamente prodottida conflitti egemonici, da scontri interni alla comunità politica oltre che, so-prattutto, da esclusioni che registrano l'esito di quelle contrapposizioni"2. Inaltri termini, un ragionamento realistico sutt'ethos richiede, secondo Mouf-fe, non solo che vadano riconosciute le radici collettive dell'etica, ma ancheche venga esplicitata l'esistenza di quelle relazioni conflittuali - seppur nonnecessariamente antagonistìche - che presiedono alla costruzione e al con-solidamento di un'identità collettiva. Per evitare di ricondurre alla morale lalogica della politica, è indispensabile riconoscere in modo adeguato il ruolocruciale del «fuori costitutivo», ossia la centralità di una differenza che costruiscel'identità collettiva.Il suggerimento che, in questo modo, Mouffe propone al ripensamento 'rea-listico' della democrazia - e, in particolare, al ruolo cruciale AelYethos - nonpuò essere sottovalutato. Ma è però proprio a proposito della distinzione fra'interno' ed 'esterno' che emergono i limiti della sua operazione, oltre che for-se, più in generale, dell'intera riflessione di Laclau e Mouffe. Paradossalmente,infatti, benché insistano sulle contrapposizioni antagonistìche, Laclau e Mouf-fe tendono a concentrarsi quasi esclusivamente sul conflitto interno, ossia su .quel tipo particolare di antagonismo che può essere trasformato in agonismo,In questo modo, dimenticando ciò che sta realmente 'fuori' dai confini dellacomunità e dello spazio simbolico democratico, non possono che occultare pro-prio quella fatale contrapposizione fra amicus e hostis che Sehmitt colloca alcuore del 'politico'.

Quando Mouffe definisce il quadro della «democrazia agonistica», la sua con-sapevole distanza teorica da Sehmitt si delinea in modo piuttosto chiaro. Inparticolare, nel momento in cui afferma che la definizione del confine tra noie loro deve essere compatibile con il pluralismo, Mouffe si discosta eviden-temente dalla visione del giurista. In effetti, Sehmitt tende a considerare il plu-ralismo come un fattore destinato a indebolire, se non addirittura a lacera-re, la comunità politica, e d'altronde, negli anni di Weimar, individua l'erigi-

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ne della «crisi spirituale» del parlamentarismo proprio nella perdita dell'unitàdel Volk della tradizione romantica83. Nel Concetto ili 'politico', per esempio,Schmitt non ammette logicamente la possibilità che due raggruppamenti po-litici possano convivere all'interno della stessa sintesi, senza che l'unità rea-le di quest'ultima venga messa in discussione. «L'unità politica», osserva in-fatti «è, per sua essenza, l'unità decisiva, senza che importi da quali forze essatrae i suoi ultimi motivi psichici», e, «se esiste, è l'unità suprema, cioè quel-la che decide nel caso decisivo»34. Per Schmitt, l'esistenza di più associazio-ni politiche all'interno di una medesima sintesi comporta così semplicementeche lo 'Stato' ha cessato di rappresentare l'«unità decisiva», e che ha smarri-to il proprio specifico carattere politico. Al contrario, Mouffe - per fondare lastessa idea di una democrazia agonistica - non può che riconoscere che il plu-ralismo è possibile, e che, anzi, solo il pluralismo può dar luogo a una realedemocrazia. Questo punto è chiarito per esempio da Mouffe anche nella suaconversazione con Urbinati, ìn cui esplicita di non voler affatto invocare «una'politica schmittiana' che rifiuta la democrazia parlamentare». «Ho letto daqualche parte che la mia 'posizione schmittiana' è contraddittoria perché Schmittnon l'avrebbe mai sottoscritta», osserva Mouffe, precisando inoltre: «È ovvioche sarebbe stato contrario, visto che il fulcro del mio approccio agonistico èprovare che si sbagliava riguardo alla disponibilità di una forma politica di de-mocrazia pluralistica! »*',In realtà, Mouffe non nega però che anche nelle società democratiche esistanodei vincoli costitutivi, che limitano di fatto il pluralismo. La limitazione delpluralismo rappresenta infatti il «paradosso» costitutivo della democrazia, unparadosso che comunque non può essere negato. Pertanto, scrive per esem-pio, chi concepisce il pluralismo della democrazia moderna come un «plu-ralismo totale», la cui unica limitazione sarebbe costituita dagli accordi sul-le procedure, «dimentica che tali regole 'regolative' hanno significato solamentein relazione alle regole 'costitutive' che sono necessariamente di ordine dif-ferente»86. Anche per Mouffe, la democrazia moderna implica dunque il ri-conoscimento «di un certo numero di 'valori', che, come l'eguaglianza e la li-bertà, costituiscono i suoi 'principi politici'», e, così, la tensione fra pluralismoe democrazia si configura come una tensione al tempo stesso costitutiva e ir-resolubile, tanto che «il desiderio di risolverla potrebbe condurre soltanto al-l'eliminazione della politica e alla distruzione della democrazia»"7. Nel suo di-scorso, il conflitto e il rapporto fra le 'parti' e il 'tutto' riescono però a rima-nere in una sorta di condizione di equilibrio instabile: in altre parole, in unacondizione in cui le forze in conflitto, pur esprimendo opzioni realmente al-ternative, riescono a convivere e a confrontarsi senza ricorrere alla violenza.Evidentemente, il punto teorico su cui si gioca la proposta di Mouffe è collo-cato nel passaggio da nemico ad avversario, e, in particolare, nella dinamicache conduce due diversi raggruppamenti a considerarsi - secondo le paroledella studiosa belga - come «appartenenti alla medesima associazione poli-tica» e come «parti che condividono uno spazio simbolico comune entro il qua-le ha luogo il conflitto».Jn un'ottica schmittiana, si tratta evidentemente diuna sorta di nodo gordiano, che può essere tagliato solo dalla decisione so-vrana. Ma, in realtà, quandodefinisce l'«agonismo», e quando richiamal'idea di uno «spazio simbolico» comune tra i diversi awersari che operanoin un contesto democratico, Mouffe attinge a una concezione del 'politico' chenon è né quella di Schmitt e neppure quella proposta da Althusser e dallo strut-

8;?. Cfr. per esempio e. semi m1,Parlamentarismo e democrazia(1,923), in IL>., Parlamentarismoe democrazia e altri scritti didot trina e storia dello Stalo, cit,pp. 1-105. Sulla concezione delVolk ravvisatole negli scrittischmittiani degli anni Venti eTrenta, cfi1. R. CAVALLO, /,c alle-garle politiche del diritta. CariSchmitt e le aporic del modcr-no, Bonunno, Acireale-Roma2007, in particolare pp. 37-ll(ì, e A. SCALONE, Omogeneitàpulitici! e pluralismo conflit-tuale: il concetto di democraziain Cari Schmitt e Hann Keken,in G. DUSO (a cura di). Oltre lademocrazia. Un itinerario at-traverso i classici, Carocci.Roma 2004, pp. 241-269.S4. e. SCHMITT, // concetto di'politico', cit., p. 126.85. C MOUFFE, N. URBINATI, Dc-

mocruzia rappresentativa econjlitlttale, cit., p. S07. A pro-posito dell'antipluraìismoscbmittiano, ct'r. comunque C.MOUITE, /Varate™ and Mo-dei'ìì Dcìnocracy:Around CariSchmitt, in «Formations»,19.91, n. 14, poi in la, The Re-rum oftlic Politicai, cit, pp. 117-134, e 1D., Democracy and Phi-raliam: A Criìiquc ofthe Ra-tionallst Approach. cit.86. e. MOUFFE, Pluralismi andModera Dcmocracy: AroundCarìScìnnitt, cit., p.l;31.87. Ivi, pp. 132-133. Cfr. sulputito anche io., Pensee la dé-mocratie moderne arce, et coti-tré, dui Schniitl, in <<RevueFrancaise de Science Politi-qucs», XLII (1992). n. I, poi inil)., Le politiquey et .STO' eiijcua',cit., pp. 120-142.

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106 88, C. UÌFORT, Saggi sul pulii i-m (1980), II Ponte, Bologna2007.S9. Cfr. per esempio i'. RUSAN-VALLON, Le Pnuple inlrauva-hli: Ffistuin' tlv la reprc.si'iita~timi démorratique cn Frenice,Gallimard, Parò 1.998, e ID., LaDémocratìc inaclit'.Vi'C. Pliatoi-i'i' di' la titnn'cruincU' eri Frftn-cc, Gallimard, Paris 200O.90. r. wyswviiLum, II Politica.Storia di U H concello (200,'JXRublx-ttino, Soveria Mannelli2005, p. 8.91. Cfr. c. MOUFFE, Tlie cìcnia-cnttìcpnrado,?, cit., p. 1. Mouf-t'e osserva però, dirì'even-'.ian-dosì da Lcfort: «invece dì iden-tificare semplicemente la mo-derna forma dì democrazia conil luogo vuoto del potere, io vor-rei anche sottolineare la di-stinzione fra due aspetti: dauna parte, la democrazia comet'orma di governo, cioè, il prin-cipio della sovranità del popo-lo; e dall'altro, la cornice sim-bolica all'interno della qualequesto governo democraticoviene esercitato» (ini, p. 2).

turalismo marxista. Questa ulteriore modalità di considerare il 'politico' - laterza che entra in gioco - sembra piuttosto un'eredità di Claude Lefort e del-la sua riflessione sulla trasformazione dell'immaginario politico i [inescata dal-la Rivoluzione francese"*. Secondo Letbit, infatti, nel momento in cui si ab-bandona la società gerarchica di antico regime, il potere non è più incentra-to sulla figura del re, ma diventa un luogo «vuoto», ossia un luogo che è sog-getto periodicamente a una rìdefmizione simbolica. Nel discorso di Lefort, l'at-tenzione è posta soprattutto sulla democrazia, ma, per molti versi, uno sviluppodelle sue ipotesi può essere rinvenuto nella ricerca condotta da Pierre Ro-sanvallon negli ultimi trentanni: lo storico francese si è infatti concentrato prò-prio sulla costruzione simbolica del «popolo», ossia di quel soggetto inde-terminato che la democrazia pone alla base della propria legittimazione8-". Evi-dentemente, in questa prospettiva il 'politico' non ha molto a che vedere conquell'aspetto della vita umana che Schmìtt definiva come "das Politischtf, macoincide piuttosto - come chiarisce lo stesso Rosanvallon nella sua lezione inau-gurale al College de France - con l'insieme di quei processi che costruiscono10 spazio simbolico comune di un popolo:

II politico [...] corrisponde contemporaneamente ad un ambiti! e ad unprocesso. In quanto ambito designa il luogo all'interno del quale si in-trecciano i molteplici fili della vita degli uomini e delle donne, fornen-do la cornice ai loro discorsi e al loro agire. Quest'idea rimanda all'esi-stenza di una «società» che appare agli occhi dei propri membri comeun «tutto» dotato di senso. In quanto processo il politico rappresentail percorso attraverso cui un gruppo di uomini, che inizialmente sonodefinibili come semplice «popolazione», si trasforma in una vera e pro-pria comunità. Esso si costituisce attraverso l'elaborazione sempre con-flittuale di regole esplicite o implicite riguardanti il partecipare e il con-dividere, dando così forma alla vita della polis9".

Quando colloca l'agonismo democratico all'interno di uno spazio simbolicocomune, Mouffe presuppone proprio un'immagine simile a quella di Rosan-vallon. E, d'altronde, proprio all'inizio di Deinocratic Parado,r cita, esplìcita-mente tra le proprie fonti teoriche gli scritti sulla democrazia di Lefort, chia-rendo come sia cruciale, dopo la Rivoluzione francese, l'emergenza di un nuorvo «spazio simbolico comune», radicalmente diverso rispetto al passato, in cuidiventa impossibile garantire definitivamente una stabile legittimazione delpotere91.11 punto più problematico - che finisce con l'incrinare l'intero edificio teori-co dell'antagonismo democratico - è però relativo proprio ai confini di que-sto spazio simbolico comune. Aben vedere, infatti, Mouffe non chiarisce qua-li siano davvero le condizioni che creano - o che contribuiscono a creare - unsimile «spazio simbolico». Senza dubbio, come si è visto, Mouffe esplicita inmodo molto chiaro che ogni assetto è fondato sulla presenza di una forza ege-mone, la quale plasma la società e da forma alle relazioni sociali. Ma, nel suodiscorso, lo «spazio simbolico» non pare essere realmente creato da un sog-getto egemone, perché sembra piuttosto l'effetto dell'incontro di soggetti col-lettivi cbe - come nell'immagine canettiana - decidono di abbandonare il cam-po di battaglia per decidere la contesa con lo strumento, del voto. Per esem-pio, quando definisce gli avversar! come «persone che sono amici perché con-

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dividono un spazio simbolico comune ma anche nemici perché vogliono or-ganizzare questo spazio simbolico comune in un modo differente», è evidentequale sia l'elemento che attenua il conflirto, trasformando il nemico in av-versario, ma è invece tutt'altro che chiaro se anche in questo caso esista (e qua-le sia) T'esterno costitutivo', ossia un fuori che determina l'attenuazione deldissidio interno allo spazio simbolico comune. E proprio questa incertezza pa-lesa un elemento critico della teoria di Mouffe, oltre che forse anche della ri-flessione condotta con Laclau.Per molti versi, in relazione alla questione dei confini dello spazio democra-tico, torna in effetti ad affiorare un limite della riflessione di Mouffe sul 'pò- 107litico', e soprattutto un problema irrisolto della sua rilettura in chiave plura-lista di Schmitt. Ovviamente, la scelta con cui Mouffe decide di non seguireil giurista sulla strada del suo radicale antipluralismo è più che legittima, eda un certo punto dì vista persine condivisibile. Ma, una volta abbandonatal'impostazione schmittiana, non può che riemergere il nodo cruciale del 'so-vrano', capace di tenere insieme la comunità politica, proprio in quanto è ingrado di contrapporta (e distinguerla) dal 'fuori'. E, in effetti, se il tentativo disostituire la decisione sovrana con l'egemonia riesce sicuramente a rappre-sentare la dinamica interna alla comunità politica in modo più efficace di quan-to non possa fare la proposta schmittiana, non riesce però a colmare intera-mente il vuoto di una fondazione 'materiale' nella costruzione spazio simbo-lico democratico: un'assenza che emerge soprattutto per quanto concerne lafissazione dei confini esterni, ossia quella demarcazione fra aminis e hostische non può essere interamente superata dalla trasformazione del nemico inavversario.Probabilmente, le radici dell'assenza di una fondazione 'materiale' si trovanoproprio nella critica del marxismo ortodosso sviluppata da Laclau e Mouffenegli anni Ottanta, e nell'obiettivo di abbandonare ogni relazione deterministicafra 'base' e 'sovrastruttura', fra sviluppo delle forze produttive e forme della co-scienza, oltre che fra 'economia' e 'politica'. Quell'operazione teorica condu-ceva Laclau e Mouffe ad abbandonare l'idea che i fattori 'materiali' avesseroqualche ruolo nella definizione delle identità dei soggetti politici, e a collocaredunque ogni conflitto sul terreno dell'egemonia, al livello di uno scontro cul-turale, capace però di produrre effetti anche 'materiali', sulla costituzione del-le soggettività. Ma, se un percorso di quel genere consentiva allora effettiva-mente di rompere con ogni schema determinista, oggi quelle opzioni finisconocol produrre conseguenze negative per la comprensione realistica dei conflitti.Per il semplice motivo che l'egemonia, una volta che sia stata ridefinita in ter-mini esclusivamente 'culturali', non può che lasciare inevasa la questione cru-ciale della decisione sovrana sui confini della comunità politica. Ed è signi-ficativo che un problema molto simile affiori anche nella teoria del populismoe delle identità politiche di Laclau.Benché richiami solo incidentalmente il nome di Schmitt, anche Laclau, quan-do evoca il 'politico', intende infatti riferirsi a quella dimensione che il giuri-sta tedesco aveva consi4erato come caratterizzante la politica. Rispetto al- - . - . _ • . -l'operazione compiuta da Schmitt. oltre ad alcune analogie (che riguardanoprincipalmente la superiorità dei legami effettivamente 'politici' su qualsia-si altro genere di rapporto), sono però evidenti alcune differenze sostanzia-li. Nel saggio sul Concetto di 'politico', Schmitt cerca infarti di cogliere l'ele-mento specifico della politica, oltre che le sue concrete manifestazioni stori-

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108 92. Cfr. in proposito i materia-li recentemente pubblicati in H..i. MORCÌKNVHAU, // concetto delpolì.tit'o. 'Cottti'ti' Si'hniitt, acura di A, Campì e L. Cimmi-no, Rubbettino, Soveria Man-nelli 2010.yy. Cfr, per esempio E. LACLAU,Identità ed egemonia: il moltiddl'unirarsolc lidia costruzio-ne delle logiche politiche, e m.,La sinftlii.ni, la storia, il poli-tico, entrambi in .i. IJUTLER, E.LACt.AL\. t\ÌKK, Dialoghi sul-la Sinistra, cit, rispettivamentepp. 4.6-.9O e pp. 183-213.

che, e proprio per questo giunge a sostenere la centralità della dicotomia diFreu.nd e Felini, sottolineando dunque che l'associazione realmente 'politica'è quella dotata del potere di decidere su chi è il nemico, su chi è effettivamenteYhostis da respingere all'esterno dei confini (materiali o immateriali) della co-munità. Dopo la prima edizione del saggio, forse anche dietro la sollecitazionedi una critica del giovane Hans Morgenthau92, Schmitt ridefinisce il concet-to di 'politico' rapportandolo non tanto alla distinzione fra amico e nemico,quanto s]ì'inttnnità di un'associazione e di una dissociazione. In questo modo,Schmitt prende atto che un certo grado di politicità concerne (non solo po-tenzialmente) tutti i vari tipi di associazione umana, e che la conti-apposizionefra amico e nemico in fondo struttura anche forme sociali elementari. Ma, altempo stesso, afferma che il grado di politicità di un'associazione - variabilenel corso del tempo - viene a dipendere dall'intensità con cui è in grado di in-cludere i membri e dunque di escludere gli 'stranieri', fino all'estremo di le-gittimare la soppressione fisica di quegli individui che vengono considerati comeJwstes. In questo senso, Schmitt riconosce dunque che, potenzialmente, tut-te le associazioni sono politiche, ma che, in un determinato contesto, una spe-cifica associazione diventa 'più politica' delle altre, perché riesce a imporre ilproprio criterio di distinzione fra amici e nemici. Un'implicazione di questaoperazione è che il livello istituzionale (e, nello specifico, lo Stato) non mo-nopolizzi realmente il 'politico', ma punti piuttosto a 'neutralizzare' il conflit-to, a eliminarlo. E, per questo, il 'politico' si può riconoscere in quel potere 'so-vrano' che sta all'esterno dell'ordinamento giuridico, e che ne fonda la stes-sa vigenza.Naturalmente, nella teoria di Schmitt non sono affatto assenti elementi di am-biguità, che in parte vengono risolti (o comunque rivisti) con la riflessione po-stbellica sul nomos e sul fondamento spaziale della politica. Ma lo schemaschmittiano riesce a illustrare alcuni dei nodi critici che rendono almeno par-zialmente problematiche le ipotesi di Laclau e Mouffe. Come Schmitt, ancheLaclau e Mouffe riconducono infatti il 'politico' a una serie di 'parzialità' chepuntano a diventare 'universalità', e come il giurista anche i due teorici con-cepiscono il regno della 'politica' come un regno di universali falliti, dal mo-mento che - per entrambe le prospettive - la completa pacificazione della so-cietà e dunque l'eliminazione della politica rimangono solo ambizioni irrea- .lizzabili. Inoltre, Laclau e Mouffe appaiono davvero lontani da quelle sospettenostalgie che spingono Schmitt a pensare il 'popolo' in termini vicini al Volìe.romantico, ossia a un'entità le cui radici affondano in legami di suolo e san-gue: per Laclau, infatti, il 'popolo' è sempre una costruzione precaria, con-tingente, priva dì qualsiasi fondamento nella struttura della società. Ciò no-nostante, c'è un punto problematico che Laclau e Mouffe non considerano suf-ficientemente, e a proposito del quale la risposta di Schmitt appare - se nonforse del tutto convincente - comunque coerente. E questo nodo consiste pro-prio nel carattere politico di tutte le identità collettive.Se nella riflessione di Schmitt tutte le associazioni sono potenzialmente po-litiche, anche nella teoria di Laclau e Mouffe è piuttosto evidente che non esi-stono differenze strutturali fra le identità collettive e le identità politiche. Inaltre parole, la logica che consente a una identità collettiva di strutturarsi èla medesima che presiede alla formazione delle identità politiche e alla co-struzione del 'popolo"'1''. Ma ciò che non è del tutto chiaro, nelle argomenta-zione di Laclau e Mouffe, è quale sia l'elemento che è realmente in grado di

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determinare il grado di maggiore o minore 'politicità' di un'identità politica.Nella proposta schmittiana, l'idea dell'intensità riesce a risolvere questo pro-blema, chiamando in eausa l'ipotesi estrema della soppressione fisica del ne-mico e, dunque, il monopolio della foi-za fisica all'interno di una sfera delimitatada confini visibili (ma clic potrebbe essere anche del tutto priva di un radi-camento territoriale). Al contrario, Laclau e Moiiffe non evocano mai la di-mensione 'materiale' della forza, ma preferiscono rimanere su un piano pu-ramente simbolico, in cui la forza delle identità viene decisa dall'ampiezza del-la forza della rappresentazione. A ben vedere, in effetti, la loro convinzione'soreliana' che i soggetti sociali non esistano al di fuori della loro rappreseti- 94- cfr. per esempio E. LACLAU, 109. . v i j T l -^ r ti' 1 1 - T I (-'. MOUFI;F-, Egemonia v. stfah'-tazione, non può che condurre Laclau e Mourre a trovare la soluzione del con- ,r].(l soc;a;,-sf* cìt , 0.33.fritto antagonistico solo al livello di uno scontro tra rappresentazioni. In so- ii36.stanza, sembra che per Laclau e Mouffe le volontà collettive si scontrino sul 95'.F"LACLAU'L" ™ff'""e/><>-

pult.ita, cit,, p. 111.terreno della pura rappresentazione, e che l'ima possa avere la meglio sull'altra gg ivi, p. in.solo perché riesce a costruire catene di equivalenze più lunghe, o solo perchéil significante vuoto riesce ad essere 'talmente vuoto' da assicurare una mag-giore intensità ai vari anelli della catena equivalenziale.E difficile negare che la soluzione di Laclau e Mouffe non consegua coeren-temente dalla decisione di abbandonare l'idea di qualsiasi radicamento 'ma-teriale' del conflitto. In questo schema, c'è però uno snodo le cui ambiguitànon possono essere trascurate, e che riguarda la stessa natura del terreno sucui si svolge il conflitto delle opposte rappresentazioni. Per un verso, Laclaue Mouffe affermano che nessun terreno è predeterminato, e che cioè il terre-no stesso del confronto è l'esito di una creazione, il prodotto della rivoluzio-ne democratica54. In realtà, però, nella ricostruzione delle genesi delle iden-tità politiche, così come nell'analisi dello «spazio simbolico comune» sembrache il terreno sia già predefinita, o che quantome.no risultino già predefinitialcuni caratteri di questo terreno, tra cui, principalmente, il confine tra internoed esterno. Quando per esempio Laclau, nella Ragione populista, illustra lasequenza logica che conduce alla genesi di un'identità politica, il punto di av-vio consiste nella genesi di domande che rimangono senza risposta. Non si trat-ta solo di un punto importante per chiarire in cosa consista la logica del po-pulismo, perché in effetti Laclau ritiene che proprio qui si possa trovare la dif-ferenza fra le logiche sociali e le logiche strettamente politiche. «Nelle logi-che sociali», infatti, «è sempre all'opera in sistema rarefatto di asserzioni, cioèun sistema di regole che tratteggiano un orizzonte in cui alcuni oggetti sonorappresentati e altri esclusi»'"5, mentre le logiche politiche fissano quel siste-ma di regole. In sostanza, «mentre le logiche sociali consistono nel seguire re-gole, le logiche politiche sono riconduciti ili all'istituzione del sociale»: un'isti-tuzione «che viene fuori dalle domande sociali ed è inerente perciò a un cam-biamento sociale»-'1''. Naturalmente, perché il processo di cambiamento abbiaseguito, è necessario che le domande non trovino risposta e che si definiscaun momento equivalenziale in grado di mettere insieme la parzialità delle sin-gole domande. Ciò che più è significativo, per ricostruire la struttura teoricadel modello di Laclau, non è tanto che le domande rimangano senza rispo- • - - - _ . -sta, quanto che queste domande vengano avanzate. Naturalmente, il fatto chele domande particolari vengano formulate deve presupporre che esistano iden-tità sociali minimamente strutturate che spingono dei soggetti a formulare del-le domande. Ma, soprattutto, ciò implica che esista un soggetto a cui tali do-mande possono essere indirizzate, e che potrà fornire o meno una risposta.

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110 97. Per questa critica alla teo-ria di Kaclau. mi permetto dirinviare a o. I'ALANO, // Princi-pe populista. La sfida di Ernc-xto Ladini alia teorici nidìi:iih\n a MF.LF.OARI, il. BALDASSAR-

Ul (a cura di), // popolo chemattai, Ombre corte, Verona,in via di pubblicazione.9S. l.e espressioni sono diMouffe: efr., per esempio, e.MOWFE, Penser la tìémwratiemoderne avec, et contre. CariSi-ìunitl, cìt., io., PluralisiHand Moilern Democritei/:Arginici CarlSc/iinitt, in «For-mations», ]P., Cari Schmittand thè Parudox of Liberai Dr-mocraey, in <'Thc CanadianJournal of l.a\ ancì Jnrispru-dence», X (1997), n. 1, ora inID., The De-iìtocratic Piti'iulo*,cit, pp. 3R-C9.yy. Traggo la formula da M. KLI-STIN, Abxolutc VuluntarÌKìn:Crilique afa Post-Mar.riat Con-cepì of Hegemony, in «NewGennari Critique», 1988, n.4,3, pp. 14G-173.

In sostanza, la fase di avvio dello schema genetico delle identità politiche for-mulato da Laclau presuppone che, nel momento stesso in cui le domande ini-ziali vengono formulate (e forse addirittura concepite) da soggetti che sonoancora a uno stadio germinale di strutturazione, esistano non solo un cam-po di gioco, in cui le richieste vengono avanzate, ma anche un insieme di ruo-li ben definiti, che stabiliscono, al tempo stesso, chi domanda e chi risponde(o, meglio, chi è chiamato a rispondere). In questa raffigurazione logica, lo spa-zio del confronto politico sembra configurarsi come il palcoscenico di un tea-tro, i cui personaggi possono anche alternarsi, ma in cui la scena rimane im-mutata. Una simile semplificazione non può che innescare una notevole di-storsione dei conflitti reali, se non altro perché tende a presupporre che la com-plessità dei rapporti conflittuali sia riducibile su una sorta eli 'spazio liscio', unospazio orizzontale in cui tutte le richieste sono confrontabili97. E, inoltre, que-sta stessa operazione viene implicitamente a presupporre che i margini delpalcoscenico, i confini dello spazio politico, la demarcazione fra 'dentro' e 'fuo-ri', siano in fondo predefiniti, sottratti al gioco politico.Nella riflessione di Schmitt, il problema della decisione sovrana - affrontatogià nei saggi degli anni Venti e Trenta - non viene abbandonato neppure deilavori successivi, e probabilmente l'effettiva risposta a quei problemi che II con-cetto di 'politico'aveva lasciato insoluti giungono solo con la riflessione sul no-mos condotta a partire dagli anni Quaranta e dopo la fine della Seconda guer-ra mondiale. In effetti, la connessione fra Ortung e Ordnund e la stessa por-tata assegnata dal giurista tedesco alle diverse «rivoluzioni spaziali» diven-tano fondamentali per comprendere appieno il discorso sul tramonto delloji/npubìicum europumm e sulla trasformazione del nemico, ma risultano an-che cruciali per ricostruire quella sorta di 'materialismo politico' con cui Schmittporta a compimento la propria ricerca sul criterio del 'politico'. Proprio que-sti aspetti sembrano invece del tutto assenti dalla rilettura proposta da Mouf-fe, nel senso che, il suo tentativo di procedere «con Schmitt», ma «oltreSchmitt»95, viene completamente rimossa la riflessione sul fondamento spa-ziale della politica. Così, quando Mouffe si riferisce allo «spazio simbolico»comune all'interno del quale si s\iluppa l'agonismo democratico, sembra pro-cedere sul terreno di una scita di «volontarismo assoluto», che espunge pro-grammaticamente qualsiasi radice materiale™. II 'politico', come si è visto, vie- •ne a scaturire - sia per Mouffe, sia per Laclau - da basi psieologiche, consÌTderate come caratterizzanti la natura umana. Ma, al tempo stesso, il conte-sto materiale, tecnologico ed economico in cui la contrapposizione amico-nemico prende forma e si manifesta non sembra avere alcuna importanza. E,soprattutto, mentre collocano i conflitti all'interno della costruzione egemo-nica del reale, tendono a dimenticare le dimensioni ultimative dell'egemoniae del potere, ossia la possibilità estrema di ricorrere alla violenza e alla sop-pressione fisica del nemico. Così, i soggetti cui si riferiscono Laclau e Mouf-fe appaiono come l'espressione di volontà collettive soreliane, tenute insiemeda grandi mitologie e dalla tensione garantita dalla contrapposizione noi/loro,mentre non paiono giocare alcun ruolo gli aspetti economici, tecnologici e mi-litari in cui quelle contrapposizioni e quei soggetti assumono consistenza rea-le. In questo modo, ovviamente, lo «spazio simbolico» della democrazia puòscaturire soltanto dalla volontà di questi grandi soggetti. Ma, soprattutto, sfu-ma inevitabilmente ogni riferimento alla base «spaziale» su cui poggiano lediverse configurazioni storielle del rapporto fra amicus e hostis.

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

A dispetto dei limiti del discorso di SVloviffe sull'agonismo democratico, la suaproposta teorica e, più in generale, il lavoro condotto insieme a Laclau ri-mangono contributi importanti per un ripensamento della teoria democra-tica e per la costruzione di un nuovo 'realismo democratico'1"". Il modellodell'«agonismo democratico» riesce infatti a cogliere un punto debole dellateoria della democrazia competitiva (e del 'realismo democratico' postbelli-co), perché mostra come il «metodo democratico» richieda sempre il soste-gno politico di un ethox condiviso, e perché, al tempo stesso, configura un si-mile et/MS non come una dotazione storica die si può solo dilapidare, bensìcome il prodotto di conflitti e di articolazioni egemoniche. Un limite delle teo-rie della democrazia competitiva consiste infatti nell'assenza di una probie-matìzzazione del piano dei valori: dato che i valori sono esclusi in partenza,viene fatalmente espunto anche il nodo problematico del 'come' sono prodottii 'diritti minimi" della democrazia, e soprattutto il tatto che questi 'diritti mi-nimi' sono il risultato di conflitti, che finiscono col dilatare o restringere la de-finizione della democrazia (ossia di ciò che, in un determinato contesto sto-rico, viene considerato un regime democratico). Seguendo le indicazioni di La-clan e Muott'e, e sviluppando le intuizioni del modello agonistico, diventa in-vece possibile pensare il concetto di democrazia come un 'prodotto cultura-le', come il risultato di conflitti egemonici sul significato delle pratiche socia-li e come un campo destinato a registrare - come ogni concetto politico - i mu-tamenti nei rapporti di t'orza, l'ascesa o il declino della partecipazione, il gra-do di conflittualità interna e internazionale.Da questo punto di vista, l'aspetto più importante su cui iniziare riflettere -e rispetto al quale la riflessione di Laclau e Moutìe offre importanti solleci-tazioni - è allora costituito dall'elaborazione di un modello teorico capace diregistrare e comprendere, in modo effettivamente 'realistico', i mutamenti del-la democrazia contemporanea. Si tratta, per alcuni versi, di una sorta di 'ro-vesciamento realistico' della teoria realistica della democrazia. Un rovescia-mento che riconosca finalmente allabase di ogni regime democratico (e dun-que di ogni definizione realistica della democrazia) ciò che possiamo defini-re uno specifico ethos: non un catalogo di virtù, ma un insieme di valori e iden-tità collettive, che sostengono le procedure della democrazia liberale. Una de-finizione effettivamente 'realistica' - capace anche di cogliere le trasformazionidella democrazia - deve dunque riconoscere che la democrazia è un insiemedi procedure accompagnate da un gruppo di 'diritti minimi', ma anche che,allabase della democrazia (e cioè di un determinato regime democratico), stasempre un fondamento politico, che esprime una specifica visione etica e, dun-que, una determinata interpretazione dei 'diritti minimi*"11.Il banco di sabbia in cui Laclau e Mouff e finiscono con l'arenarsi è però rap-presentato dal rifiuto di collocare la costruzione egemonica dello spazio sim-bolico della democrazia all'interno di un quadro definito anche da elementi'materiali'. Se questi elementi non possono essere ricondotti in uno schemadeterministico, non possono neppure essere totalmente dimenticati. In ter-mini schematici, per quanto l'egemonia possa essere considerata effettivamentecome la dinamica cruciale con cui il sociale prende forma, e con cui la forzaegemone traccia i confini dello spazio democratico, non si può arrivare a li-quidare quei fattori materiali (interni ed esterni) che vanno a rafforzare o in-

100. Ho sviluppato questo ra-gionamento, in modo più este-so, in D. BALANO, La democrazìasenza qualità. Appunti tulle«promi'.w min mantenute»della (curia democratica, Uni-Scrviec, Trento 2010, io., TIvalore della democrazia. Ri-pensare // realismo democi'ali-i'o dopo l\<ent americana», in«Rivista di Politica», 2010, n. 4,pp. 9-27, e ID., Capitalismo, cri-ni e democrazia. Appurili,s1 tdlu«distruzione matrice.» con-temporanea, in A. 51MONCINI(a cimi eli), Una rii'ulusionedall'alto. A pariìrc dalla «rìsiglobuli:, Mimesis, Milano 2012,pp. 2S9-3O7.101. A proposito della necessi-tà di ripensare Velìios della de-mocrazia, in una chiave bendiversa a quella suggerita dal-la tradizione americana della tv-vic culture, mi permetto di ori-nare alla annotazioni propostein I). PALANO. La democraziascusa qualità, cit, e in ID., Qua-le ethosperfa deinttcra-id? I li-miti dclt'tiniliviilualismo de-mocratico», in «Notizie di Po-liteia», 2O11, n. 102, pp. 27-38.

Ili

RIVISTA DI POLITICA 2

i 12 102. Cir. por esempio - ma la ri-flessione sull'egemonia (nelpassato e nel presente) è ov-viamente ben più arTollata - R.GILPIN, Giiemi e rntttanie/itunella puliik'ii ìnteriiaLionalc(.1.981), il Mulino, Bologna1989, O. ARRIGHI, // llllìgo XX

secola (19.94), II Saggiatore,Milano 199(>, e i. WAUjiiWTKiN,77 sifstcma mondiale dell'eco-nomia, moderna. I. L'agi'ìcol-tura capitalìxtica e /e originidell'economia-mnndo europeanel XII secolo (1974), il Muli-no, Bologna lyys2.

debolire l'egemonia - o che determinano lo stesso raggio d'azione (reale e po-tenziale) dell'azione egemonica, oltre che delle minacce provenienti dall'esterno- se non inficiando irreparabilmente le ambizioni realistiche di uno schemainterpretativo. D'altronde, tutti quei pensatori che, nel campo degli studi in-ternazionalisti, adottano la nozione di egemonia non mancano di evidenzia-re come le determinanti dell'ascesa e del declino di una potenza egemonicavadano ricercate, oltre che nella capacità di 'persuasione' nei confronti deglialleati, anche nell'insieme di tutte le capacità materiali che rendono preferi-bile, vantaggioso o persine inevitabile porsi sotto l'ala protettrice dell'egemone.Così, tanto autori neo-mercantilisti come Robeit Gilpin, sia neo-marxisti comeImmanuel Wallerstein e Giovanni Arrighi, hanno ricostruito l'andamento deicicli egemonici seguendo, oltre all'elemento 'ideologico', anche - se non so-prattutto - fattori 'materiali' come la supremazia militare, economica, tec-nologica1"2. Benché non 'determinino' direttamente conseguenze politiche, pro-prio questi fattori rimangono infatti fondamentali per ricostruire quali sia-no effettivamente le basi 'materiali' in cui prende forma lo spazio simbolicocomune e in cui si colloca la dinamica agonistica delle democrazie.Se Laclau e Mouffe tendono a trascurare del tutto l'insieme delle detenninazioni'materiali', è probabilmente solo prendendo in considerazione tali fattori chediventa possibile far uscire il modello agonistico dalle secche in cui rischia diarenarsi. In altre parole, per quanto concerne la trasformazione ^anemico adavversario come momento cruciale della definizione dello spazio simbolicodella democrazia, è indispensabile riconoscere come un simile passaggio nonsia prodotto soltanto dal compromesso fra volontà sovrane - ossia da un ac-cordo fra due o più parti, che decidono di accettare le 'regole del gioco' de-mocratico - ma anche da altre componenti. Più in particolare, significa rico-noscere come la definizione dello spazio, e soprattutto dei suoi confini ester-ni, dipenda anche dalle trasformazioni economiche, dalla dotazione milita-re, dalla collocazione geopolitica, dal livello delle tecnologie. In termini schmit-tiani, si potrebbe dire che la definizione dello spazio della democrazia non puòche riflettere, e seguire, gli andamenti nelle grandi «rivoluzioni spaziali», per-ché sono i grandi mutamenti nei concetti della spazialità a mutare la perce-zione della sicurezza, con cui ogni sintesi politica - antica o moderna, de-mocratica o non democratica - deve prioritariamente confrontarsi. In sostanza,se Mouffe enfatizza solo l'elemento della contrapposizione agonistica, voltaa definire i confini interni fra awersarì, è necessario prendere atto che i con-fini dello spazio democratico sono anche - forse principalmente - esterni, eche la demarcazione di questi confini è legata a dinamiche che spesso vannoa influire sulla stessa possibilità dell'agonismo democratico. Il confronto perl'egemonia, dunque, non si svolge solo all'interno dello spazio democratico,ma anche al di fuori. E proprio l'esito di questo confronto esterno influisce sul-la stessa configurazione interna dell'agonismo democratico, anche se non sipuò non riconoscere allV/7ìos democratico rilevanti margini di autonomia, cherendono inefficace ogni tentativo di configurare la relazione egemonica comeuna relazione gerarchica di pura subordinazione. - -— • -Rovesciare 'realisticamente' la teoria realistica della democrazia, scorgendoalla base di un determinato regime democratico uno specifico etilati, non si-gnifica naturalmente suggerire una visione di per sé confortante. Riconoscereche, alla base di un regime democratico, si trova un fondamento politico im-plica infatti anche riconoscere che i caratteri di ogni ethos non sono fissati in

DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI

una struttura'oggettiva', ma sono destinati a essere costantemente ridetìnitidai conflitti egemonici e dai mutamenti negli equilibri di forza. In altre pa-role, se da un lato la riaffermazione della centralità dell'e/Ao-s comporta la cri-tica dell"irrealistica' rimozione dei valori compiuta dalla teoria realistica, dal-l'altro, questa stessa operazione non può che mostrare come il terreno su cuiregge la democrazia sia inevitabilmente soggetto a sommovimenti più o menocostanti e inevitabili, scatenati dai conflitti - interni ed esterni - sui 'confini'della democrazia. E, da questo punto di vasta, ogni democrazia non appare strut-turalmente differente dalla «massa» di Canetti. Perché, come osservava il gran-de scrittore, «la massa è sempre una sorta di fortezza assediata, ma assedia- w">-E- CANETTI, A/mwu e/m/e/-- 113ta in senso duplice: essa ha il nemico dinanzi alle mura, e ha il nemico in can- ' ' l l "p 'tina» 103