Il Novecento cinese di Dantefinale
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Alessandra Brezzi <[email protected]>
Il Novecento cinese di Dante
Alessandra Brezzi
Spettacolari successi economici (alti tassi di crescita, Bejing 2008, Expò
Shanghai 2010) hanno inaugurato il XXI secolo in Cina, favorendo una continua
crescita economica e un dinamico scambio commerciale con l’estero. Oltre a
questo, però, il nuovo millennio ha anche promosso iniziative ed eventi culturali,
come le numerose attività legate all’anno della cultura italiana in Cina (2006) e
all’anno della cultura cinese in Italia (2010), che hanno favorito, principalmente in
Cina, un incremento e una maggior attenzione al lavoro traduttivo di opere
letterarie italiane, sia di quelle che avevano subito un certo oblio nel corso del
Novecento, Pirandello per citarne uno, sia di quelle già note al pubblico cinese. In
quest’ottica, sulla scia del lavoro intrapreso alla fine degli anni Novanta hanno
visto la luce nuove e accurate collane di “classici italiani”: le opere di Calvino
(2001), quelle di Moravia (2006, 2010), Eco (2005, 2010), le ristampe di Collodi e
De Amicis, libri ancora molto apprezzati in Cina. Probabilmente il dato più
sorprendente sono state le tre nuove traduzioni della Divina Commedia: quella
dell’italianista Huang Wenjie 黄文杰 del 2000, quella del professore hongkongese
Huang Guobin 黄国彬 (anche conosciuto con il nome di Laurence Kwok Pun
Wong) che ha completato il suo lavoro interpretativo nel 2003 ed infine quella del
poeta Zhang Shuguang 张曙光 del 2005. A queste si sono aggiunte numerose
ristampe di precedenti traduzioni della Commedia, realizzate nel XX secolo
attraverso lingue intermediarie, e altre opere dantesche, Vita nova, De Monarchia
e Convivio, sino ad allora poco conosciute. Seppur molto diverse le une dalle altre,
come vedremo nelle pagine seguenti, queste tre nuove edizioni sono un’indubbia
testimonianza del rinnovato interesse rivolto a Dante dagli ambienti accademici e
editoriali cinesi, confermando, però, quella tendenza interpretativa novecentesca
che aveva rivolto la propria attenzione principalmente alla Commedia, lasciando
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quasi inascoltate le altre opere. La Commedia fu, infatti, l’opera che per prima
arrivò in Cina, nel 1921, quella a cui si riservarono il maggior numero di
traduzioni, parziali e integrali, a cui si dedicarono saggi e approfondimenti. Per
meglio comprendere, quindi, questo rinnovato interesse, dobbiamo ripercorrere le
principali tappe del XX secolo, cercando di seguire i due itinerari lungo cui si è
articolata la recezione di Dante in Cina: uno segnato dai riconoscimenti che
intellettuali e scrittori hanno tributato al poeta fiorentino nel corso del secolo
scorso, più legato al ruolo e alla funzione di Dante nella storia letteraria mondiale,
e l’altro, invece, che si addentra nella selva traduttiva di questi ultimi cento anni, e
che come vedremo interesserà principalmente la Commedia. Entrambi hanno
fornito una propria lettura dell’opera dantesca, hanno in qualche modo contribuito
a far conoscere e diffondere la figura del nostro poeta, anche se non sono stati
sufficienti a creare, una corrente di studi e una scuola di critica danteschi, come è
avvenuto in altre parti del mondo.
L’arrivo in Cina
L’arrivo di Dante in Cina fu tardivo; il suo primo incontro con il lettore
cinese avvenne in occasione del sesto centenario della sua morte, nel 1921, quando
il giovane, e ancora poco conosciuto, Qian Daosun 钱稻孙 (1887-1968) consegnò
ad una delle riviste letterarie più influenti del periodo ciò che egli stesso definì “un
assaggio della Divina Commedia”: i primi tre canti dell’Inferno. Prima di allora, il
nome e la fama di Dante non erano certamente ignoti all’élite intellettuale della
dinastia mancese (1644-1911), anzi tra i più attivi riformisti di fine epoca Qing,
che a seguito del repentino fallimento dell’esperimento riformista, nel 1898, erano
stati costretti a trovar rifugio in Giappone, il nome e l’esempio di Dante erano ben
noti, come dimostra l’omaggio resogli da Liang Qichao 梁启超 (1873-1929), tra i
principali protagonisti del periodo. Liang negli anni del suo esilio giapponese
(1898-1912) compose un melodramma incompiuto La nuova Roma (Xin Luoma,
新罗马),1 costruito secondo le regole del kunju 昆剧, una delle forme tipiche del
1 Una traduzione dei primi atti è apparsa nel 1981 a cura del prof. Bertuccioli, cfr. G. Bertuccioli, Un melodramma di Liang Qichao sul Risorgimento italiano: Xin Luoma (La Nuova Roma). Introduzione, traduzione e note, in «Catai», 1 (1981), pp. 308-349.
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teatro classico meridionale, dove le parti recitate si alternano alle parti cantate su
arie musicali scelte dal drammaturgo da un ampio e conosciuto repertorio. Il
dramma, che nelle intenzioni dell’autore si sarebbe dovuto comporre di 40 atti, di
cui solo quattro videro la luce, doveva allegoricamente servire a spronare i propri
connazionali a non lasciare che il paese venisse “affettato come un melone” dalle
potenze straniere, a partecipare attivamente alla costruzione di una moderna
nazione, una quarta Roma dopo Roma, Bisanzio e Mosca. In quello stesso anno,
1902, Liang Qichao si era servito di altri personaggi della recente storia italiana, i
protagonisti del Risorgimento, per strumentalmente scuotere il paese. Nelle sue
intenzioni le gesta di Cavour, Mazzini e Garibaldi, descritte nel suo lungo saggio
Biografie dei tre eroi che hanno fatto l’Italia (Yidali jianguo sanjie zhuan, 意大利
建国三杰传),2 dovevano incitare il paese a rispondere alle minacce straniere e a
liberarsi dalla fallimentare politica degli ultimi sovrani Qing, così da creare, come
aveva fatto l’Italia, uno stato unito e indipendente. Dante, invece, doveva servire
culturalmente a scuotere letterati e scrittori affinché abbandonassero la ormai
obsoleta gerarchia di generi letterari per abbracciare nuove forme culturali e
linguistiche, con cui forgiare moderni contenuti didattici e estetici.
In La nuova Roma Dante entra in scena sin dal prologo, con sembianze
taoiste (lunghe vesti di seta, capelli raccolti con uno spillone sulla nuca)
cavalcando una gru, simbolo di longevità, e comincia a recitare il lungo monologo
con cui ripercorre le vicende della storia d’Italia, dalla caduta dell’impero alla
nascita del Regno d’Italia e le sue personali:
Convinto che per gettare le basi della indipendenza nazionale occorre
cominciare con lo svegliare lo spirito del popolo, scrissi alcune novelle e
drammi, ai quali aggiunsi svariate poesie e canzoni nella speranza che, ripetute
per le strade e nei mercati ed apprese anche dalle donne dai bambini, avrebbero
a poco a poco contribuito a rafforzare lo spirito nazionale e forse a lavare l’onta
della patria. Per fortuna, grazie all’Alto Cielo che ha avuto pietà di noi, sono
apparsi successivamente degli uomini: tre eroi della stessa età ed un grande
sovrano. Oggi la mia Italia è diventa una potenza europea di prima categoria,
completamente indipendente […]. Mentre passeggiavo oziosamente per il 2 Su quest’opera, cfr. G. Bertuccioli, F. Masini, Italia e Cina, Bari 1996, pp. 307-316; F. Masini, L’Italia in Cina, in La letteratura italiana in Cina, a c. di A. Brezzi, Roma 2008, pp. 187-205 (in part. 198-205).
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Paradiso, ho gettato uno sguardo al polveroso mondo sottostante ed ho pianto,
profondamente commosso da un simile spettacolo. Ormai posso ben
considerare dileguati del tutto quegli sporchi fumi di rabbia che mi riempivano
la pancia in vita ed oggi, libero da preoccupazioni ed impegni, voglio andare a
fare un viaggio in Oriente, in Cina, per passare un po’ il tempo.3
Dal paradiso dove si trova, Dante vuole intraprendere il lungo viaggio che,
in compagnia dei suoi due amici Shakespeare e Voltaire, lo porterà presso “il
malato dell’‘oriente”, la Cina, dove vorrebbe assistere alla rappresentazione de La
nuova Roma, perché in essa sono descritti “ad uno ad uno gli episodi della
fondazione della nostra Italia”.4 Liang consegna a Dante il compito di spiegare ai
lettori le finalità della sua creazione letteraria:
[…] io penso che questo giovane [Liang Qichao], esule in una contrada
straniera, ha rivolto lo sguardo alla patria e si è sentito bruciare dal dolore delle
sue condizioni. Non avendo però altri mezzi per soccorrerla, egli si è servito delle
sue limitate capacità letterarie per rivolgere un appello ai suoi compatrioti
mediante un linguaggio forte e finemente metaforico. Egli soffre dello stesso
male e nutre gli stessi sentimenti che io provai in vita.5
Il merito di questa “Turandot” orientale non fu certamente di diffondere
l’opera del poeta fiorentino tra i lettori cinesi, ma piuttosto inaugurare una moda,
assai diffusa tra scrittori e intellettuali della generazione successiva, di ricorrere
alla figura del nostro poeta come autorevole modello per promuovere nuove
pratiche politiche e culturali in quella fase di trasformazione che scosse la Cina tra
la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La questione di una nuova identità
nazionale, scaturita a seguito dell’incontro con le potenze occidentali già a partire
dalla metà dell’Ottocento, ormai sempre più urgente visto il graduale disgregarsi
dell’impero, non risparmiò una riflessione anche in ambito culturale e letterario,
anzi la costruzione di una moderna letteratura, che sapesse coniugare gli elementi
più innovatori della tradizione autoctona, liberandola da quelli più retrogradi, con
modelli stranieri, divenne una delle priorità culturali di inizio Novecento. Nelle
3 Bertuccioli, Un melodramma cit., p. 314. Il ventre per il cinese è la sede delle passioni. 4 Ibid., pp.314-315. 5 Ibid., p. 315.
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prime due decadi del secolo scorso l’ambiente culturale e letterario cinese fu
travolto da un fervente clima di sperimentazione ed elaborazione teorica che non
tralasciò di osservare e studiare ciò che era avvenuto al di là dei confini nazionali.
I modelli letterari delle singole tradizioni occidentali furono fagocitati all’interno
di quella fucina intellettuale cinese, senza un ordine e una razionalizzazione, senza
la possibilità di articolarsi lungo coordinate geografiche che consentissero di
percorrere sincronicamente aree diverse del globo, né lungo traiettorie
cronologiche che diacronicamente partissero dalla lontana antichità per avvicinarsi
alla più vicina contemporaneità, né lungo sentieri che liberalmente attraversassero
generi e movimenti letterari stranieri. L’attività traduttiva di quegli anni, seppur
caotica e disomogenea, per quantità e varietà può esser paragonata a quella che ha
caratterizzato, e sta caratterizzando il passaggio tra i due secoli trascorsi;
l’abbondanza e la varietà di allora, sintomo di un’attenzione e di una curiosità
verso il mondo occidentale, trova eguale intensità negli ultimi anni del XX secolo
e i primi di questo XXI.
In questo clima di sperimentazione e di attività traduttiva, tuttavia, i
maggiori della nostra letteratura ebbero un posto decisamente marginale, l’unica
eccezione fu Dante. Il suo nome, la sua opera, il valore e i meriti, spesso associati
ai grandi della classicità, Omero, Virgilio, furono frequentemente citati all’interno
di articoli, saggi o diari redatti dagli intellettuali e scrittori di inizio Novecento: per
alcuni è il maestro indiscusso, insieme a Byron, della lirica mondiale6; per altri la
sua maestria risiede nel trarre ispirazione creativa dalla proprie vicende
biografiche.7
Hu Shi 胡适 (1891-1962), figura di spicco del dibattito culturale che
caratterizzò il periodo tra il 1915 e il 1920, invece, si servì della figura di Dante
per perorare il rinnovamento della lingua e l’abbandono, o quanto meno la
trasformazione della tradizionale lingua scritta, wenyan 文言, in favore di una più
colloquiale e vicina al parlato. Una prima citazione al “gigante letterario” del
medioevo italiano,8 è contenuta nel suo famoso articolo, Opinioni su una riforma
6 Su Manshu (1882-1918), in una sua poesia, cita Dante e Byron come suoi maestri; cfr. G. Bertuccioli, Dante e la Cina, «Mondo Cinese», 73 (1991), pp. 7-15 (in part. 11). 7 È una citazione contenuta nel lungo saggio Critica al Sogno della camera rossa (Honglou meng pinglou, 红楼梦评论) di Wang Guowei (1877-1927) apparso sulla rivista «Jiaoyu shijie» (教育世界, Mondo dell’educazione), 1904, pp.1-36 (in part. 32). 8 Hu Shi, Hu Shi wencun 胡适文存 (Raccolta di scritti di Hu Shi) Taipei 1983 4 voll., I, p. 7.
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della letteratura (Wenxue gailiang chuyi, 文学改良刍议) apparso nel 1917 su
Gioventù nuova (Xin qingnian, 新青年), dove sintetizza in otto punti il suo dogma
per una riforma letteraria e linguistica, sollecitando la necessità di dotarsi di
strumenti “vivi”, ossia una lingua che «non imiti gli antichi, non adoperi frasi
fatte, non si serva più di allusioni classiche, non adoperi frasi simmetriche, non
rifugga dall’impiego di parole e di espressioni popolari», insomma una lingua viva
con cui forgiare una “nuova letteratura”9. L’anno successivo nel Saggio su una
rivoluzione letteraria costruttiva (Jianshe de wenxue geming lun, 建设的文学革
命论), apparso sulla medesima rivista, per dar forza al proprio ragionamento Hu
Shi si richiama nuovamente all’esempio di Dante, che insieme a Chaucer e Lutero,
definisce i padri fondatori delle rispettive lingue nazionali. 10 Una lettura
probabilmente troppo affrettata delle opere occidentali, come Renaissance di Edith
Sichel, non permise allo studioso cinese di cogliere a pieno i molteplici fattori che
consentirono al volgare di Dante di divenire lingua nazionale, tuttavia il richiamo
ai tre autori è funzionale a rafforzare la necessità di creare un idioma volgare
‘illustre’, che possa conseguire pari dignità letteraria con la precedente lingua
classica.
Unica voce fuori dal coro monocorde elogiativo delle prime decadi del XX
secolo, fu quella della pungente penna di Lu Xun 鲁迅 (1881-1936), promotore
della moderna letteratura cinese. L’unica dimostrazione di apprezzamento nei
confronti del poeta fiorentino è nel fallimentare tentativo di fondare un nuovo
periodico a Tokyo, insieme al fratello Zhou Zuoren 周作人 (1885-1967) e
all’amico Xu Shoushang 许寿裳 (1883-1948), nel 1907. Il nome scelto per la
rivista, che a causa della mancanza di fondi non vedrà mai la luce, è Xinsheng 新
生,11 Nuova vita o Vita nuova. L’anno successivo, nel famoso saggio, Il potere
della poesia di Mara (Moluo shi li shuo, 摩罗诗力说 ) 12 dedicato ai poeti
‘demoniaci’ - Mara è il demone della tradizione indiana che per l’intellettuale
cinese rappresenta i poeti ribelli - Lu Xun riserva a Dante solo un breve cenno
quale fondatore della lingua italiana, capace di unire il paese in un momento di
9 Ibid., p. 7. 10 Hu Shi, Hu Shi cit., p. 71. 11 In realtà un altro progetto editoriale con lo stesso nome prese forma a Shanghai dal 1934 al 1935. 12 Lu Xun, Lu Xun quanji 鲁迅全集 (Opere complete di Lu Xun) 16 voll., 1982, I, p. 64.
7
disomogeneità politica e linguistica, anticipando le stesse considerazioni che
saranno presentate, come abbiamo visto, da Hu Shi qualche anno più tardi.
Tuttavia non ritiene Dante un esempio significativo, al pari dei poeti romantici
europei di fine Ottocento, dei poeti oppressi della Russia e della Polonia nel XVIII
e XIX secolo, o di quelli dell’antica tradizione indiana, giudaica e persiana, tale da
esser citato nel suo articolato e complesso ragionamento sulla necessità di una
‘nuova voce’ per la letteratura cinese. Trascorsi altri trent’anni, Lu Xun torna a
confrontarsi con Dante, e questa volta il suo giudizio è ancora più severo; nel
saggio Su Dostoevskji (Tuosituofusiji de shi, 陀思妥夫斯基的事, 1936), ormai la
fama e il prestigio riconosciutogli, gli consentirono di confessare, con provocatoria
sincerità, che degli autori letti in gioventù due sono quelli che seppur apprezzati
non è riuscito ad amare, Dante e Dostoevskji:
nel Purgatorio della sua Divina commedia, ci sono gli eretici che amo;
sono anime che spingono pesanti pietre in cima ad una alta e ripida rupe, è un
lavoro estenuante, eppure appena allentano la presa vengono oppressi; non so
come ma anch’io mi sentivo sfinito, e quindi mi sono fermato lì, non sono stato
in grado di raggiungere il Paradiso.13
Dagli anni Venti alla fondazione della Repubblica popolare cinese
Il 1921, il sesto centenario della morte di Dante, come già detto, fu
occasione di pubblicazioni e celebrazioni in tutto il mondo, anche in Cina
quell’anniversario portò novità significative, non più affidate alle penne di scrittori
e saggisti, ma di giornalisti e traduttori. Se fino ad allora il nome di Dante, la sua
biografia, le sue opere erano fugacemente citate in articoli o saggi, il lettore cinese
non aveva potuto apprezzarne la maestria creativa; se nel 1924 un lettore tedesco
poteva scegliere tra circa novanta traduzioni della Commedia,14 un lettore cinese
13 Lu Xun, Lu Xun cit., VI, p. 411. 14 Cfr. il saggio di Stephan Oswald in La ricezione di Dante Alighieri: impulsi e tensioni. Atti del convegno internazionale all’Università di Urbino (26 e 27 maggio 2010), a c. di R. Unfer Lukoschik e M. Dalla Piazza, München 2011 (in corso di pubblicazione).
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poteva assaporare solo quell’“assaggio” che Qian Daosun15 aveva consegnato alla
redazione del Mensile di narrativa (Xiaoshuo yuebao, 小说月报), diretto da
Zheng Zhenduo e Mao Dun: i primi tre canti dell’Inferno.
Nell’introduzione, che accompagna l’interpretazione cinese con testo italiano a
fronte, Qian premette di non esser stato animato «da alcuna pretesa letteraria, ma
dal semplice piacere di trasmettere queste storie e questa mitologia»,16 di voler
portare all’attenzione del lettore cinese «quest’opera di cui esistono già numerose
traduzioni ed edizioni critiche in tutto il mondo, ma in Cina ancora non se ne è
sentito parlare».17
Lo sforzo interpretativo di Qian consentì il primo incontro tra un’opera
letteraria italiana e il lettore cinese, e fu l’unico tentativo, fino alla recente
pubblicazione di Huang Guobin 黄国彬 (1946-) nel 2003 e di Zhang Shuguang 张
曙光 (1956-) nel 2005, di calcare l’endecasillabo dantesco su un verso cinese,
seppur per soli tre canti. Egli ripescò, infatti, dalla tradizione poetica cinese un
metro ormai desueto, utilizzato nell’antichità, dal poeta Qu Yuan 屈原 (340-278
a.C.) nel suo Incontro al dolore (Lisao, 离骚), per farci scivolare sopra le terzine
dantesche.
Qian, come Liang Qichao, aveva scoperto Dante durante i suoi anni di
studio in Giappone, dove il poeta fiorentino era molto apprezzato, 18 e
successivamente durante il suo soggiorno in Italia, tra 1908 e il 1909, quando suo
padre fu nominato Ministro di Cina presso la legazione di Roma. 19 Per la sua
lettura traduttiva, Qian si servì del lavoro realizzato, nel 1914, dal collega
giapponese Yamakawa Heizaburō 山川三丙郎 (1876-1942)20, che a sua volta si
era servito di tre versioni intermediarie, quella tedesca di Streckfuß del 1824,
quelle inglese di Cary del 1814 e di Longfellow del 1867, quest’ultima utilizzata
15 Cfr. A. Brezzi, Qian Daosun e il suo Inferno. La prima traduzione della Divina Commedia in Cina, in Caro Maestro… Scritti in onore di Lionello Lanciotti per l’ottantesimo compleanno, Venezia 2005, pp. 157-170. 16 Qian Daosun, Shenqu yi luan 神曲一脔 (La Divina Commedia un assaggio), in «Xiaoshuo yuebao» (小说月报, Mensile di narrativa),12 (1921), 9, pp. 2-36 (in part. 2). 17 Ibid., p. 2. 18 Cfr. G. Bertuccioli, Giappone, in Enciclopedia Dantesca, a c. di AA.VV., 16 voll., Roma 2005, 9, pp. 490-492. 19 A. Brezzi, Qian Daosun e il suo Inferno cit., pp. 158-160. 20 Fu professore di lingua inglese, tradusse la Divina Commedia tra il 1912 e il 1922, e nel 1929 diede alle stampe la traduzione della Vita Nova, cfr. Enciclopedia Dantesca, 16, p. 598.
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nel Giappone di fine Ottocento come testo per l’apprendimento della lingua
inglese! In questa babele traduttiva il percorso interpretativo cinese della
Commedia aveva compiuto un lungo viaggio: era partito dall’Italia medioevale,
per attraversare l’Europa di inizio Ottocento, da lì aveva raggiunto il Giappone del
periodo Taishō per poi finalmente approdare nella neonata Repubblica cinese. Con
questo viaggio, tuttavia, era stato intrapreso il secondo sentiero, quello che di lì ad
una decina di anni avrebbe condotto nella selva traduttiva dell’opera dantesca.
Un’altra importante rivista di quegli anni, Eastern Miscellany (Dongfang
zazhi, 东方杂志), non potendo presentare ai propri lettori nessuna traduzione,
consegnò tre corposi articoli (Dante: il poeta e la sua poesia, Il pensiero politico
di Dante e Essenza della Divina Commedia) con cui la redazione tratteggiava le
caratteristiche più significative dell’opera dantesca. Nell’editoriale della redazione,
con toni quanto mai retorici e nazionalistici, si commenta il valore ancora attuale
di Dante, e ancora una volta si auspica la nascita di un “Dante cinese”:
A settembre di quest’anno si celebrerà l’anniversario della morte del poeta
italiano Dante, in ogni paese si svolgeranno solenni celebrazioni (…) Dante, poeta
di sei secoli fa, occupa una posizione fondamentale nella letteratura classica; noi,
uomini moderni, perché dovremmo commemorarlo? Perché i grandi talenti non
svaniscono con il trascorrere delle epoche; la Divina Commedia, capolavoro che ha
influenzato la cultura mondiale, è eterna, non di una sola epoca, è universale, non
limitata ad un unico popolo (…). Noi cinesi perché dovremmo onorare questo sesto
centenario della morte del saggio poeta? Sappiamo che Dante è stato il padre della
letteratura nazionale, il predecessore del rinascimento europeo, il riformista della
letteratura popolare con una lingua vernacolare (…). Riteniamo che l’arte e la
letteratura siano la fonte di vita per il popolo, una forza in grado di far avanzare
tutto, riteniamo che il risveglio del popolo cinese e la nascita di talenti artistici
siano la cosa più urgente. Perciò nel celebrare il sesto centenario della morte del
Saggio poeta italiano nutriamo una speranza egoistica: quando potrà finalmente
nascere il Dante cinese? Il risveglio dell’arte e della letteratura cinese sono davanti
ai nostri occhi? Nel celebrare questo glorioso anniversario, ci auguriamo che la
luce del Saggio poeta risplenda per sempre sulla terra ferma [la Cina]! La gloria del
popolo italiano sia eterna come quella del Poeta! Che lo spirito del poeta discenda
10
sul suolo cinese, purifichi gli animi torbidi e smunti del popolo, e li elevi al
Paradiso!”21
L’esempio di Dante, come emblema di rinascita, di rinnovamento culturale
e linguistico, necessario alla contingenza cinese, è un topos comune nella Cina
degli anni Venti e Trenta, al di là delle fedi professate e dei credo artistici,
realismo, romanticismo, naturalismo, che ciascuna rivista o scrittore professa nel
proprio lavoro creativo, Dante sembra unire il coro polifonico per un
‘rinascimento cinese’ che riecheggia in quegli anni. Gli anni Trenta sono, però,
contraddistinti da una conoscenza più approfondita e diretta dell’opera dantesca,
non solo grazie ai nuovi sapienti saggi, ma perché finalmente appaiono per la
prima volta anche un “assaggio” di alcune poesie della Vita Nova (1936), una
prima traduzione parziale della Commedia, tradotta da Fu Donghua 傅东华 (1893-
1971), e una integrale (1939), condotta da Wang Weike 王维克 (1900-1952) su
precedenti versioni ottocentesche inglesi e francesi.
Un tema nuovo nella lettura cinese dell’opera dantesca è introdotto dai
poeti romantici: l’amore stilnovista. Guo Moruo 郭沫若 (1892-1978), tra i
fondatori della Società Creazione (Chuangzao she, 创造社), traduttore de I Dolori
del Giovane Werther, oltre che scrittore e poeta, è certamente tra i più appassionati
lettori delle vicende amorose di Dante. Nel 1923 pubblicò un originale omaggio a
Dante, una poesia dal curioso titolo La canzone di Paolo (Paolo zhi ge, Paolo之
歌), dove il poeta pur di rimanere accanto a Francesca da Rimini, è disposto a
sopportare le sofferenze dell’inferno.22 Ancora più esplicita è l’ammirazione per
l’amore di Dante nei confronti di Beatrice, che nelle parole del poeta cinese è un
amore più romantico che mistico. Nel romanzo autobiografico, Tre racconti di vita
dissipata (Piaoliu sanbu qu, 漂流三部曲 ) 23 scritto l’anno successivo, la
narrazione, scandita in tre capitoli che emblematicamente Guo chiama Strada
sbagliata (Qilu, 歧路), Purgatorio (Lianyu, 炼狱) e Croce (Shizijia, 十字架), 21 Paradiso appare in italiano nel testo; cfr. Jizhe, Zhu Dandi qushi liubai nian jinian 祝但底去世六百年纪念 (Commemorazione del sesto centenario della morte di Dante), in «Dongfang zazhi» (东方杂志, Eastern Miscellany) 18 (1921), 15, pp. 67-68. 22 Pubblicata originariamente con il titolo Sembra sia arrivato Dante, sul quarto numero del I anno della rivista Trimestrale Creazione (Chuangzao jikan, 创造季刊), 1923; cfr. Guo Moruo, Guo Moruo quanji 郭沫若全集 (Opere complete di Guo Moruo), 20 voll., Beijing 1982, I, p. 208. 23 Apparso per la prima volta nel 1924 sulla rivista Settimanale Creazione (Chuangzao zhoubao, 创造周报), fu riedito nel 1926 nella raccolta di saggi e romanzi Ulivo (Ganlan, 橄榄).
11
descrive le vicende del giovane Aimu, alter ego dell’autore, studente di medicina
in Giappone. I tormenti e le sofferenze descritte, come pene infernali, nelle prime
due parti del romanzo, scaturiscono dalla decisione del protagonista di
abbandonare gli studi di medicina per dedicarsi alla letteratura, rimedio più
efficace alla cura della società, pratica comune tra gli intellettuali cinesi che si
recavano in Giappone. Decisione che costringerà il protagonista a separarsi dalla
moglie e dai figli e ad una vita di solitudini, rimpianti e tristezze. Se la scelta di
abbandonare gli studi scientifici per dedicarsi agli studi umanistici, e in particolare
alle letterature straniere, è un elemento che accomuna molti scrittori e intellettuali
di quegli anni, Guo Moruo, Lu Xun, le sofferenze per la forzata lontananza dalla
moglie, l’infermiera giapponese Sato Tomikō (1897-1994), conosciuta anche
come Anna Guo (安娜郭), è una delle peculiari caratteristiche della penna
eccessivamente romantica di Guo Moruo, che nel romanzo così descrive il
momento della separazione tra il protagonista e moglie, che lo confronta
dicendogli che la lontananza gli permetterà la stesura di un lungo romanzo:
Il suono dolce, musicale del loro amore agli inizi, sette anni fa,
riecheggiò nel suo cuore, che cominciò a gridare follemente: Oh, ti sono grato,
ti sono grato, amor mio! Tu sei la mia Beatrice! Tu sei la mia Beatrice! Tu sei
mia! Un lungo romanzo? Si, è la cosa migliore! Dante ha composto la Divina
Commedia per il suo amore, certamente io creerò un lungo romanzo per
ricordarti, per renderti eterna. Oh Ave Maria! Ave Maria! Donna eterna!24
L’amore tra Dante e Beatrice è anche uno degli elementi che Zheng
Zhenduo 郑振铎 (1898-1958), tra i fondatori della società letteraria Wenxue yanjiu
hui 文学研究会 (Associazione per le ricerche letterarie), fornisce ai suoi lettori
nel lungo e sapiente saggio dedicato a «uno dei più famosi protagonisti della
letteratura».25 Zheng tra il gennaio del 1924 e del 1927 pubblicò a puntate sulla
rivista di cui era capo redattore, Mensile di Narrativa (Xiaoshuo yuebao, 小说月
报), una lunghissima serie di articoli dal titolo Compendio di letteratura (Wenxue 24 I corsivi sono miei, nel testo originale queste parole sono in italiano, cfr. Guo Moruo, www.millionbook.net/mj/g/guomoruo/001/009.htm. 25 Zheng Zhenduo, Wenxue dagang 文学大纲 (Compendio di letteratura), 2 voll., Guilin 2008, I, pp. 278-287 (in part. p. 278).
12
dagang, 文学大纲), con cui ripercorrere, in senso diacronico e sincronico, i vasti
sentieri della letteratura mondiale dalla classicità greca alla recente letteratura del
nuovo secolo, il XX. Nel capitolo dedicato alla Letteratura medioevale europea,
che precede una serie di capitoli destinati alla letteratura medioevale in Cina, in
Persia, in Giappone, nel mondo arabo e indiano, Zheng non può esimersi dal
riservare un’intera sezione, la quinta, al poeta fiorentino che definisce «il ponte tra
Medioevo e Rinascimento»,26 e che descrive con le seguenti parole: «di alta
statura, con una lunga veste grigia e un cappello rosso cinto da una corona di lauro
[….].È il protagonista di una delle storie d’amore più curiose e affascinati al
mondo».27
In realtà il saggio è un sintetico ma puntuale percorso interpretativo della
Commedia, definita da Zheng Zhenduo «un libro che non ha uguali nella storia
dell’umanità»,28 con cui l’autore illustra per la prima volta al lettore protagonisti e
vicende storiche dell’italiana dantesca, oltre a fornire giudizi di critica letteraria.
L’esilio è, invece, la chiave di lettura scelta da Mao Dun 茅盾 (1896-1981)
nel suo saggio dedicato a La Divina Commedia (Shenqu, 神曲)29. Mao Dun, come
Zheng Zhenduo con cui divise la direzione della rivista Mensile di Narrativa, si
dedicò allo studio e alla divulgazione della letteratura straniera in Cina, in
particolare di quella europea, e tra il settembre e il novembre del 1934 presentò
sette saggi su quelli che a suo dire erano i capolavori della letteratura europea
dall’antichità al tardo Ottocento, tra questi naturalmente figura anche la
Commedia.30
Diversamente dalla esiliata penna di Bertold Brecht, che due anni più tardi nel
Visita ai poeti in esilio,31 accosterà Dante ad alcuni poeti della dinastia Tang (618-
907), Bai Juyi 白居易 (772-846) e Du Fu 杜甫 (712-770), Mao Dun avvicina il
poeta fiorentino a Qu Yuan 屈原 (340-278 a.C.), un poeta esiliato del III sec. a.C.
26 Zheng Zhenduo, Wenxue cit., p. 281. 27 Ibidem, pp. 278-279. 28 Ibidem, p. 287. 29 Pubblicato nel 1934 sulla rivista «Zhong xuesheng» (中学生). 30 I capolavori analizzati da Mao Dun sono: l’Iliade e l’Odissea, l’Electra, la Divina Commedia, il Decameron, Don Chischiotte, I miserabili e Guerra e Pace. Dopo l’iniziale pubblicazione sulla rivista Zhong xuesheng, nel 1936 vennero raccolti nel volume Shijie wenxue mingzhu jianghua 世界文学名著讲话 (Conversazioni sui capolavori della letteratura mondiale), edito dalla Kaiming shudian di Shanghai, e più volte ripubblicato nel corso del Novecento. 31 B. Brecht, Poesie, a c. di G. D. Bonino, Torino 1992, pp. 159-161.
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Nelle sue parole la distanza cronologica e culturale che separa i due poeti è
colmata non solo dall’esperienza dell’esilio, certamente significativa per entrambi,
ma piuttosto dalla forma e dal contenuto delle loro opere più famose, la Commedia
e il Lisao 离骚 (Incontro al dolore):
Può essere interessante comparare Dante e Qu Yuan, la Divina Commedia e
il Lisao. Entrambi questi due grandi poeti, di famiglie aristocratiche, dopo aver
subito sconfitte politiche, consegnarono alla poesia il compito di custodire
sofferenze e indignazione. Certamente la Commedia è molto più voluminosa del
Lisao, si compone, infatti, di 100 canti per un totale di 14.000 versi, suddivisi in
Inferno, Purgatorio e Paradiso (…). Il Lisao a confronto può sembrare
insignificante, eppure se non ci limitiamo a paragonare solo questo poema, ma
l’intera opera di Qu Yuan, possiamo trovare aspetti assai interessanti”.32
Il Lisao è una composizione poetica di soli 370 versi, in cui l’autore, costretto
all’esilio da ministri corrotti del suo tempo, intraprende un viaggio nel mondo
soprannaturale alla ricerca di chi lo possa comprendere, un viaggio che lo porterà
fino al giardino delle delizie o terra degli immortali, luogo paradisiaco sul monte
Kun Lun. 33 Tuttavia un dato biografico importante distingue le vite dei due poeti:
Qu Yuan, a differenza di Dante, nel 278 a.C. si suiciderà nel fiume Miluo per
protesta contro la corruzione dei suoi tempi.
L’accostamento tra Dante e Qu Yuan, proposto per la prima volta
nell’introduzione al suo “assaggio” della Commedia da Qian Daosun, è stato
recentemente riproposto dal premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian 高行健
(1940-), nel suo discorso, La ragion d’essere della Letteratura (Wenxue de liyou,
文学的理由) all’Accademia svedese, nel 2000:
32 Mao Dun, Shenqu 神曲 (La Divina Commedia), in Shijie wenxue mingzhu jianghua 世界文学名著讲话 (Conversazioni sui capolavori della letteratura mondiale), Nanjing 2009, pp. 56-85 (in part. p. 56). 33 Il massiccio montuoso nella zona centro-occidentale della Cina è divenuto un luogo paradisiaco per i taoisti, luogo abitato dalla regina Madre d’Occidente (Xi wangmu) e dagli immortali. Nella religione taoista si compone di nove livelli, chi riesce a scalarli ha accesso al cielo, altrimenti si può sprofondare nei nove livelli sottoterra e raggiungere le acque sotterranee sede dei morti, cfr. Dizionario della saggezza orientale, Milano 2007, pp. 231-232.
14
Lo scrittore che aspirasse alla libertà di pensiero doveva o fuggire o tacere.
Ma poiché lo scrittore si affida alla lingua se tace per troppo tempo è come se si
suicidasse. Se vuole evitare il suicidio e l’esser ridotto al silenzio, e per di più, ha
necessità di parlare con la propria voce, non può scegliere che l’esilio. Così è
sempre stato, e basta pensare alla storia letteraria, in Oriente come in Occidente,
per trovare conferma: da Qu Yuan a Dante, da Joyce a Thomas Mann, a
Solzenicyn (…).34
A partire dagli anni Trenta, Dante è presente anche in un nuovo genere
letterario: i resoconti di viaggio. Se con il crollo dell’impero (1911) e soprattutto
l’abbandono del sistema degli esami imperiali (1905), la nuova classe
intellettuale, dismessi i panni dei letterati, si era riversata in Giappone per
frequentare le moderne scuole volute dal governo Meiji, all’inizio degli anni Venti
le mete preferite diventano le università europee (Francia, Germania, Inghilterra)
e americane, dove non solo si ha l’opportunità di confrontarsi direttamente con
autori e pensatori del passato europeo, spesso fonte di ispirazione per i processi
rivoluzionari in atto in Cina, ma anche di impossessarsi degli strumenti linguistici
con cui, nel giro di qualche anno, inondare il mercato editoriale e commerciale di
nuove e più accurate traduzioni. L’Italia non figura tra le alma mater europee,
tuttavia è meta ambita nei viaggi di svago, e protagonista degli zibaldoni o degli
appunti di viaggio redatti in questi anni. Nuovi accenni a Dante sono contenuti,
per esempio, nel diario di viaggio che Xu Zhimo 徐志摩 (1895-1931),
rappresentate illustre della nuova poesia cinese, studente negli Stati Uniti tra il
1918 e 1919, e successivamente in Inghilterra, prima a Londra e poi a Cambridge,
redasse dopo il 1925, a seguito di un suo primo viaggio in Europa. Dante è
menzionato nelle pagine moscovite, quando Xu si sofferma a riflettere su uno dei
suoi passatempi preferiti, visitare i cimiteri nelle periferie delle città:
34 Gao Xingjian, La ragion d’essere della letteratura, tr. it. M.C. Pisciotta, Milano 2000, p. 9.
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Questo mio viaggio in Europa sembra si fatto apposta per celebrare la
festa del Qingming;35 visito tombe di personaggi famosi o che hanno a che fare
con me. A Mosca ho visitato la tomba di Chekhov, di Kropotkin; a Berlino quella
di mio figlio,36 a Fontainebleau quella della Mansfield, a Parigi quella della
Signora delle camelie, e quella di Baudelaire, de I fiori del male (…); a Roma
Shelley e Keats; a Firenze quella della Browing, di Michelangelo e della famiglia
Medici. In questi ultimi giorni ho raggiunto Ravenna (una città portuale dell’Italia
nord-occidentale) perché dovevo visitare la tomba di Dante, ad Assisi (cittadina
dell’Umbria) quella di San Francesco (…).37
Zhu Ziqing 朱自清 (1898-1948), studente in Inghilterra, nel 1931 si dedica
alla stesura del Zibaldone del viaggio in Europa (Ou you zaji, 欧游杂记), con
l’intento, come scrive nella prefazione, di:
scrivere appunti di viaggio per gli studenti della scuola. Ho insegnato per
cinque anni nelle scuole, e questo vuole essere un piccolo dono per gli studenti.
Ogni capitolo del libro ha come soggetto principale la descrizione dei paesaggi,
parlerò pochissimo dei luoghi personali.38
Non può esimersi dal richiamare Dante, quando si trova a descrivere
Firenze, perché come egli stesso scrive:
Le vestigia di Firenze hanno un rapporto stretto con Dante, non solo
per questa chiesa [Santa Croce] (…). La tradizione racconta che il primo
35 È la festa dei defunti, o degli spiriti. Secondo il calendario lunare cade nella prima decade di aprile e in quell’occasione si visitano le tombe degli antenati. Fu abolita con la fondazione della Repubblica popolare cinese e ripristinata nel 2008. 36 A Berlino nel 1925, all’età di tre anni morì il secondo figlio di Xu Zhimo e della prima moglie Zhang Youyi (1900-1989), Peter, che fu seppellito nella città tedesca; cfr. Chang Pang-Mei N., Bound feet & Western dress, a Memoir, New York 1996, pp. 128-145. 37 Xu Zhimo, Yunyou - hai yun 云游-海韵 (Viaggio fluttuante – ritmo marino), Nanjing 2009, pp. 55-56. 38 Zhu Ziqing, Ouyou zaji欧游杂记 (Zibaldone del viaggio in Europa), Tianjin 2005, p. V; il testo fu pubblicato per la prima volta sulla rivista «Zhong xuesheng», 1932, 27.
16
incontro con la sua amata, Beatrice, avvenne a fianco di un ponte, ed è una
scena che si ammira spesso nelle raffigurazioni. È un ponte interessante, si
tratta del ponte Santa Trinita sull’Arno, alle due estremità del ponte vi sono
delle statue, la vista è veramente bella (…). La casa di Dante non distava
molto da quella di Beatrice, oggi entrambe hanno un altro utilizzo, non è
possibile visitarle, vi sono solo delle targhe commemorative in legno appese
sul muro.39
Dopo aver letto dell’Italia nei diari di viaggio, il lettore cinese, negli anni Quaranta
può finalmente apprezzare la prima traduzione integrale della Vita Nova, condotta
da Wang Duqing 王独清 (1898-1940) nel 1941.
Dagli anni Quaranta agli anni Ottanta
Gli anni successivi alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese
consegnarono agli intellettuali e scrittori nuovi dogmi per la costruzione di una
letteratura al servizio delle masse; nei nuovi principi teorici sull’arte e la
letteratura, espressi da Mao sin dal 1942 – i famosi discorsi di Yan’an - la
letteratura diveniva ancillare alla politica, il valore estetico subalterno al
messaggio ideologico e sociale. L’esegesi politica di ogni opera letteraria
condizionò, quindi, anche l’attività traduttiva, che andò gradualmente rallentando
sino quasi ad un arresto durante i “dieci anni di disordini”, come viene definito il
periodo della Rivoluzione culturale, 1966-1976. Tuttavia prima di
quell’isolamento, una nuova traduzione della Commedia venne data alle stampe
nel 1954, quella che Zhu Weiji 朱维基 (1904-1971) condusse sulle versioni
inglesi di Cary (1814), Longfellow (1867) e Carlyle (1889). Difficile interpretare
le scelte letterarie dei traduttori e delle case editrici in quegli anni, tuttavia si
preferì proporre una nuova traduzione della Commedia, piuttosto che dedicarsi ad
altre opere dello stesso autore, o alla scoperta di nuovi capolavori. Non è da
escludere che le parole di ammirazione e apprezzamento espresse in alcune opere
dai fondatori del comunismo ottocentesco, Marx e Engels, consentirono al poeta
39 Ibid., pp. 12-13.
17
italiano di ottenere, in quegli anni, un salvacondotto per la sua Commedia. La
prefazione alla traduzione di Zhu così comincia:
La Divina Commedia è una delle opere più importanti della storia
letteraria mondiale, è l’opera rappresentativa di un artigiano consumato della
letteratura nella fase di passaggio dal medioevo al capitalismo moderno, di Dante
antesignano del rinascimento italiano. Il poeta che è stato un anello di
congiunzione e che ha portato avanti una missione rivoluzionaria è molto
apprezzato da Marx e Engels. Engels disse: “Il chiudersi del medioevo feudale,
l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura colossale;
è quella di un italiano, il Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del medioevo e il
primo poeta moderno”, e nelle sue opere citò versi e personaggi della
Commedia.40
Ed effettivamente l’unico incontro tra lettori cinesi e la Divina Commedia,
durante i dieci anni della Rivoluzione culturale, avviene nelle opere, ampiamente
diffuse, di Marx ed Engels; sono le citazioni di versi o giudizi in esse contenute
l’unico legame attivo tra pubblico cinese e letteratura straniera. Lo scrittore Ba Jin
巴金 (1904-2005), anarchico in gioventù, nei Pensieri erranti (Suixiang lu, 随想
录), apparsi nel 1986, ricorda le torture, fisiche e psicologiche, subite durante gli
anni della “rieducazione” paragonandole alle pene dell’Inferno dantesco, e
spiegando che il recitare a memoria versi di quell’opera era per lui fonte di
conforto.
Tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, la Cina fu
travolta da quel black out che impedì, quindi, qualunque contatto con il mondo
esterno – se non sporadici incontri attraverso le traduzioni dalla lingua russa in
base alle scelte operate dal vicino paese socialista – e obbligò a un silenzio
letterario scrittori e intellettuali. Se il sesto centenario della morte di Dante era
stato salutato anche in Cina da numerose pubblicazioni, l’anniversario della
nascita, nel 1965, passò completamente sotto silenzio nella Cina maoista, come in
40 Zhu Weiji, Shenqu 神曲 (La Divina Commedia), Shanghai 1998, p. 1. La frase di Engels è contenuta nella prefazione all’edizione italiana del 1893 del Manifesto del partito comunista, in K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Torino 1963, pp. 319-320.
18
silenzio era il mondo intellettuale cinese. Con la fine degli anni Settanta e la
politica di apertura lanciata da Deng Xiaoping 邓小平 (1904-1997), l’attività
traduttiva riprende con nuovo slancio, nel frattempo l’istaurarsi di relazioni
diplomatiche tra la Repubblica popolare cinese e l’Italia (1970) permette una
maggior diffusione della lingua e della cultura italiana, e in particolare prepara il
terreno per accordi culturali che faciliteranno il compito alla nuova generazione di
traduttori, generazione che per la prima volta si confronterà con la lingua italiana,
abbandonando definitivamente il passaggio per lingue intermediarie.
Dagli anni Ottanta ad oggi
La ripresa dell’attività traduttiva, a partire dalla metà degli anni Ottanta,
non solo ha consegnato per la prima volta classici della letteratura mondiale sinora
ad allora inesplorati, colmando così quei vuoti che la storia traduttiva e politica
del Novecento avevo provocato, ma anche ha offerto nuove e più accurate
traduzioni di autori già omaggiati nel passato. Nel caso della letteratura italiana,
l’ancora esiguo gruppo di traduttori, presenti nei neonati dipartimenti di
italianistica, ha intrapreso sentieri diacronici e sincronici alla scoperta di autori
mai tradotti (Petrarca, Machiavelli, Pascoli, Manzoni, Saba, Montale, Moravia) e
ha voluto affrontare nuovamente, con strumenti esegetici e filologici più raffinati,
autori che in passato avevano subito forti omissioni (di censura, politica o morale)
o maltrattamenti interpretativi dovuti ai passaggi per le lingue intermediarie.
Sorprendentemente anche l’opera dantesca incontra lo sguardo di questi traduttori.
Tra il 1985 e il 1996 vengono pubblicate le traduzioni del De Monarchia di Zhu
Hong 朱虹, presentata nel 1985 con il titolo Lun shijie diguo 论世界帝国,
Sull’impero mondiale, nel 1997, invece, con il titolo Dizhi lun 帝制论, Sulla
monarchia, per ripresentarsi nel 2002 e nel 2009 con il primo titolo. Nel 1988
Qian Hongjia 钱鸿嘉 (1927-2001) consegna alle stampe una nuova traduzione di
Vita Nova, con il medesimo titolo della traduzione di Wang Duqing del 1941, e
ancora una volta basandosi su una versione inglese del 1903; otto anni più tardi il
grande italianista Lü Tongliu 吕同六 (1938-2005), traduce per la prima volta il
Convivio (Xiangyan, 飨宴). In quegli stessi anni, numerose sono le ristampe delle
due traduzioni novecentesche della Commedia, quella di Wang Weike e di Zhu
19
Weiji, tra il 1990 e il 1997 si conclude, invece, la ventennale fatica traduttiva che
Tian Dewang 田德望 (1909-2000) aveva intrapreso nel 1982, all’età di 73 anni
dopo essersi ritirato dalla vita accademica. È questa la prima traduzione cinese a
confrontarsi direttamente con l’italiano dantesco, consultando, come è spiegato
nella prefazione, gli studi di famosi dantisti italiani, U. Bosco, G. Reggio, N.
Sapegno, A. Momigliano, tuttavia una particolarità colpisce immediatamente il
lettore: la scelta di una forma prosastica, già adottata da Wang Weike all’inizio
del secolo. Tian informa il lettore dei suoi timori sin dalle prime pagine
dell’introduzione, spiegando che la paura di esser ricordato come un traduttore-
traditore, lo ha spinto ad optare per una forma in prosa, conscio di non possedere
sufficienti qualità liriche per trasmutare quelle terzine.41 È una dimostrazione di
“lealtà” nei confronti del lettore, una scelta dettata dal timore di generare in lui
percezioni ingannevoli, l’ars poetica di Dante, la sua maestria, a detta del
traduttore, è ineguagliabile, meglio quindi «trasmettere queste storie e questa
mitologia» come aveva scritto Qian Daosun nella sua introduzione del 1921,
sacrificando l’originale forma metrica. Dopo di lui altri tre colleghi si
cimenteranno nuovamente in questa faticosa impresa: Huang Wenjie nel 2000,
Huang Guobin nel 2003 e Zhang Shuguang nel 2005, consentendo per la prima
volta al lettore cinese di poter scegliere tra sei diverse versioni della Commedia,
un numero certamente elevato se paragonato a quello di vent’anni prima.
Curiosa appare la soluzione scelta da Huang Wenjie. Il traduttore, infatti,
riproduce il verso dantesco come unità grafica, facendo scivolare gli endecasillabi
su un verso libero, senza rime e di diverso metro, affidando a una prosa moderna,
arricchita da una lingua vivida e colloquiale, unica traccia di fedeltà linguistica
all’opera originale, il messaggio dantesco. La scansione grafica prosodica di
quelle pagine serve probabilmente nelle intenzioni del traduttore, ipotizzabili ma
non dichiarate, a suggerire o a proiettare immediatamente nella mente del lettore
la forma “esteriore” dell’opera, a trasportare nella lingua d’arrivo la matrice
prosodica, ma così facendo abbandona completamente la morfologia originaria.
Ancora diversa è la versione del 2003 ad opera d Huang Guobin, non solo
perché concepita in caratteri non semplificati, accessibile quindi ai lettori
hongkongesi e taiwanesi, ma non facilmente a quelli della Repubblica popolare
41 Tian Dewang, Shenqu - Diyu 神曲-地狱 (La Divina Commedia- Inferno), Beijing 2005, p. 25.
20
cinese, che dovranno attendere la versione del 2009, soprattutto per le scelte
scaturite dal lungo lavoro traduttivo del professore hongkongese. Avvicinatosi alla
Commedia nel 1984, Huang Guobin porterà avanti il lavoro interpretativo, ad
intervalli, sino al 1999, per poi tra il 2000 e il 2002 dedicarsi all’apparato critico,
che come spiega nella lunga introduzione, ha una doppia finalità:
La prima è di fornire gli elementi indispensabili al lettore cinese per
avvicinarsi alla Divina Commedia, permettendogli di attraversare le porte della
traduzione e di entrare in un mondo sino ad allora sconosciuto. La seconda è di
fornire agli studiosi (soprattutto a chi si occupa di traduzione e di comparatistica)
materiali adatti. Le difficoltà per raggiungere il primo obiettivo non sono
insormontabili, per raggiungere il secondo, invece, ci vuole la determinazione di
Ercole nel sopportare le dodici fatiche. Perché nella moltitudine dei grandi poeti
dell’umanità Dante è ancora l’erudito tra gli eruditi, è l’essenza tra le essenze;
chiosare la sua Divina commedia è come chiosare un’enciclopedia: non si può
evitare di parlare di astronomia, geografia, storia, società, mitologia, costumi,
politica, teologia, filosofia, medicina, biologia, lingua, letteratura, critica
letteraria.42
Le motivazioni delle proprie scelte traduttive non sono affidate
all’introduzione, ma a diversi saggi e pubblicazioni che Huang ha presentato nel
corso degli ultimissimi anni; per esempio, nel bel saggio Translating the Divina
Commedia for the Chinese Reading Public in the Twenty-first Century, conduce il
lettore attraverso la propria esperienza traduttiva, pratica, concreta più che teorica,
confrontandola con quella di chi lo ha preceduto, sia chi ha condotto il proprio
lavoro con l’ausilio di lingue intermediarie, Wang Weike e Zhu Weiji, sia chi si è
rivolto direttamente al volgare dantesco, Tian Dewang e Huang Wenjie.
Provocatoriamente Huang Guobin afferma che il verso cinese moderno è più adatto
di quello inglese a rendere la terza rima:
42 Huang Guobin, Shenqu 神曲 (La Divina Commedia), Taipei 2003, p. 13.
21
Cercherò di dimostrare che il verso è più adatto della prosa per rendere il
testo originale, e che per quanto riguarda la terza rima il cinese moderno ha un
vantaggio rispetto all’inglese moderno (…). Questo è dovuto alla particolarità delle
sillabe finali della lingua cinese moderna (…). Di tutti i requisiti necessari per una
traduzione credibile della Commedia, il primo riguarda il medium: al fine di
preservare il più possibile le qualità poetiche dell’opera originale, la traduzione
deve esser fatta in versi (…). Non solo si deve tradurre dall’italiano originale, ma si
deve utilizzare un medium che riproduca il più possibile la qualità dell’opera
originale. Con questo intendo dire che il verso cinese moderno può fronteggiare
tutti gli stratagemmi prosodici utilizzati da Dante, compresa la terza rima (…).43
Ed effettivamente Huang Guobin riproduce il ritmo metrico dei 14.223
endecasillabi, con una fedeltà sintattica e fonologica, in tutte e tre le sue cantiche,
consegnando al lettore cinese la prima versione prosodica della Commedia che con
straordinarie soluzioni traduttive trasmette tutta l’intensità dell’originale.
La seconda traduzione prosodica, la prima ad essere pubblicata nella
Repubblica popolare cinese nel 2005, è quella del poeta Zhang Shuguang 张曙光,
che spinto più dal desiderio di confrontarsi con la poesia dantesca che non di
consegnare un lavoro filologicamente attento, vuole fornire una propria personale
lettura, convinto che più numerose siano le versioni di una stessa opera, maggiori
le possibilità per il lettore di coglierne l’essenza. Non è un italianista e quindi il
suo lavoro è condotto su delle versioni inglesi, con cui, come spiega in
un’intervista, ha cercato di «conservare lo stile della poesia originale e il suo
afflato poetico, non potendo nella traduzione cinese conservare la musicalità del
testo italiano. Non ho voluto modificare il verso, sacrificando così la rima».44 Di
diverso avviso, come abbiamo già visto, è l’accademico hongkongese, che nel bel
saggio sopra menzionato commentando due terzine del XXXIII canto del Paradiso
scrive:
43 Huang Guobin, Translating the Divina Commedia for the Chinese Reading Public in the Twenty-first Century, in «TTR: traduction, terminologie, redaction», 21 (2008), pp. 191-219 (in part. p. 192, p. 216). 44 Zhang Shuguang, Wo yi Shenqu 我译神曲 (La mia traduzione della Divina Commedia), www.readfree.net/htm/200602/143117/html.
22
sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo: di trasportare, di esprimere
l’intensità emozionale dell’originale e di ricreare le caratteristiche fonologiche,
caratteristiche che includono la sonorità tra le vocali di uno stesso verso,
l’orchestrazione delle vocali, i modelli sonori e lo schema della rima”.45
Al di là delle scelte soggettive, stilistiche e interpretative, che ciascun
traduttore è costretto ad intraprendere prima di confrontarsi con l’opera dantesca,
una caratteristica accomuna tutte le traduzioni apparse in Cina nel corso degli
ultimi due secoli, siano esse in prosa o in poesia, condotte dall’originale dantesco
o da lingue intermediarie: il ricco e corposo apparato di note, di cui
inevitabilmente ogni edizione deve dotarsi. Nel caso di questi traduttori,
diversamente da altri della tradizione e del presente europeo, il lavoro
interpretativo non si limita alla ricerca di strutture linguistiche o metriche più o
meno equivalenti, ad avvicinare le diversità semantiche tra due diversi sistemi
linguistici e lessicali, italiano e cinese, ma piuttosto a colmare un divario culturale
tra lettore e autore, tra traduttore e autore. La fatica interpretativa consiste anche
nel “trasmutare” concetti, idee, dogmi assolutamente distanti, se non addirittura
estranei, alla tradizione cinese. Le implicazioni culturali della Commedia, i suoi
riferimenti filosofici, religiosi, storici, teologici e financo scientifici, come
ricordava Huang Guobin, risultano totalmente estranei ad un lettore cinese. Non si
trattò quindi, e non si tratta ancor oggi, di colmare soltanto una distanza geografica
o cronologica, ma di colmare quel divario culturale e storico tra tradizioni, a volte,
estranee.
Le insidie per il traduttore cinese hanno diverse gradazioni di difficoltà,
dalla fitta selva di nomi e toponimi, emblema della memoria storica europea, che
trascritti con caratteri che richiamano la forma fonetica originale appaiono
intellegibili al lettore, e che vanno quindi chiosati nelle note; alla complessità di
trovare soluzioni interpretative per concetti, oggetti, animali, piante ignote al
lettore, perché assenti nella cultura d’arrivo; fino ad evitare le trappole più
insidiose ossia liberare dall’ambiguità espressioni o parole consuete in entrambi i
sistemi linguistici, ma latrici di valori culturali diversi.
45Huang Guobin, Translating the Divina Commedia cit., p. 214.
23
Per proporre alcuni esempi, una prima fondamentale difficoltà è nella resa
dei nomi dei tre mondi ultraterreni attraversati da Dante e che danno il nome alle
tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nel lessico cinese novecentesco, il
composto bisillabo diyu 地狱, letteralmente posto e prigione, parola di derivazione
buddhista, era invalso per indicare l’inferno buddhista, “mondo delle sofferenze”,
luogo dove erano destinate le anime che nelle vite precedenti avevano svolto
azioni malvagie; la permanenza in questo luogo, tuttavia, non era eterna, come
nell’inferno cristiano, ma limitata; la discesa in questi inferi non era determinata
da un’autorità divina, ma dalle azioni che ciascun individuo aveva commesso nelle
vite precedenti. La funzione dell’inferno buddhista è quindi più simile al concetto
di purgatorio cristiano! Nel caso del purgatorio cristiano, invece, inizialmente,
sull’esempio del lessico adottato dai missionari gesuiti nel XVI e XVII secolo, per
tradurre i testi religiosi, si scelse il composto bisillabo jingjie 净界 letteralmente
purificare, pulire il mondo, termine che, nella corrente buddhista che venera
Amithaba, indica la Pure Land, conosciuto anche come Paradiso occidentale, o
dell’Occidente, luogo contrapposto al mondo dove vivono le creature mortali. Una
scelta traduttiva che poteva quindi facilmente generare confusione tra il Paradiso
dell’Occidente, della dottrina buddhista, e il Purgatorio dei cristiani! Per questo a
partire dagli anni ’40 del secolo scorso, lo si sostituì con il composto bisillabo,
ormai utilizzato in tutte le traduzioni del Purgatorio dantesco, lianyu 炼狱. Per
l’ultima cantica, invece, due sono le soluzioni traduttive proposte nel corso del
Novecento e ancora utilizzate nel XXI secolo: tiantang 天堂, ovvero sala del cielo,
e tianguo 天国, il regno del cielo. Al primo composto ricorsero i missionari gesuiti
per tradurre il paradiso cristiano, ed è stato utilizzato da Wang Weike nel 1939, da
Zhu Weiji nel 1959 e da due dei recenti traduttori, Huang Wenjie e Zhang
Shuguang, il secondo, invece, fu coniato dai missionari protestanti all’inizio del
XIX secolo, per tradurre l’espressione Kingdom of Heaven, tian-guo, cielo-regno,
ed è la soluzione proposta da Tian Dewang e Huang Guobin.
Altra difficoltà con cui i traduttori cinesi devono sovente confrontarsi
nell’interpretazione della Commedia sono quelle espressioni o parole
assolutamente consuete nel lessico cinese, ma latrici di una diversa valenza
culturale e semantica; espressioni che possono rivelarsi terribili agguati per il
traduttore se non le si colloca nell’esatta cornice culturale e linguistica del nostro
24
poeta. La parola ombra, per esempio, spesso utilizzata da Dante come allegoria
dell’anima non ha un’esatta corrispondenza nel lessico cinese; i lemmi più
consueti yinying 阴影 e yingzi 影子 rimandano alla definizione di un’ombra scura
o di una forma scura che si forma quando un oggetto o una persona ostruisce una
fonte luminosa46, entrambe rimandano ad una corporalità, ad una forma corporea
assente nella parola dantesca. Così come gli attributi teologici delle tre entità che
compongono la Trinità, solo evocata e non esplicitamente citata da Dante nei 5-6
vv. del III canto dell’Inferno: «divina podestate, la somma sapienza e ’l primo
amore», costringono il traduttore cinese ad una faticosa ricerca di parole che
inevitabilmente rimandano il lettore alla conoscenza suprema della dottrina
buddhista (prajña), o alla saggezza confuciana (zhi, 智), una delle qualità umane
esprimibile attraverso le relazioni umane, o alla benevolenza confuciana (ci’ai, 慈
爱), che caratterizza qualunque rapporto umano, ma che non contiene nulla di
divino.
Il rinnovato interesse per il lungo poema dantesco in questi ultimi anni non è
testimoniato soltanto dalle numerose traduzioni pubblicate in Cina e a Taiwan, ma
anche dall’attenzione con cui i lettori accolgono queste pubblicazioni. È
sbalorditivo scoprire, nei forum della rete la gran quantità di pagine dedicate a
Dante e alla sua opera, ancora una volta principalmente la Commedia; siti che
propongono conferenze, interviste, saggi al fine di approfondire la conoscenza di
Dante o semplicemente permettere al lettore di confrontarsi con altri; stupisce
trovare, all’inizio del XXI secolo, una tale quantità di commenti e giudizi, spesso
pungenti, ma ben motivati ed esaustivi, su un capolavoro trecentesco della lontana
Italia:
Due anni fa avevo sentito parlare di una nuova traduzione della Divina Commedia,
apparsa a Taiwan, ma proprio perché edita a Taiwan non avevo mai avuto
l’opportunità di darle un’occhiata. Quest’anno sono stata a Pechino e ho avuto la
fortuna di trovarla in una libreria, ho dato un’occhiata a qualche canto per circa
un’ora lì in libreria, voglio consigliarla a tutti, è veramente ECCEZIONALE! 46 AA.VV., Hanyu da cidian (汉语大词典, Grande dizionario della lingua cinese), Shanghai 2002.
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Questa finalmente può dirsi traduzione poetica. Nel continente [la Cina
continentale] c’è molta della cosiddetta poesia, ma non si riesce a leggere, è prosa
composta in versi, che perde tutta la potenza e il ritmo, oppure si tratta di rime
aggiunte meccanicamente in fondo al verso, o di cambi di rima secondo il proprio
gusto, a leggerla è quasi comica (soprattutto quando si tratti di poemi epici di
questo tipo). Ho sempre pensato che la scelta e l’opposizione tra le parole fosse la
parte più bella della poesia. Da questo punto di vista il vecchio Tian Dewang è
rispettabilissimo, accademicamente e personalmente, è stato concreto e realistico,
ha con onestà tradotto la Divina Commedia in prosa, e l’ha tradotto in modo
attento. Quando ho letto la traduzione dell’Inferno di Huang Guobin, per la prima
volta ho provato violentemente un’inspiegabile paura (avevo già letto la traduzione
di Tian Dewang e di Zhu Wenjie), frasi che contengono una solenne atmosfera,
vigorose, mi sembrava di stare nell’inferno! L’intero poema tradotto in terza rima
(…). Ho sempre pensato che la poesia fosse intraducibile, ma di fronte a questo mi
inchino!47
47 Commento dell’utente GhostK, postato il 18 marzo 2007 nel forum Yiwen shalong 译文沙龙(Salone della traduzione) sul sito www.yiwen.com.cn/mybbs/announce/announce.asp, Yiwen luntan 译文论坛 (Forum della traduzione).