Il “merito” come criterio allocativo. I dilemmi della “meritocrazia”, “Studi e Note di...

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GruppoMontepaschi Il “merito” come criterio allocativo. I dilemmi della “meritocrazia”* TEREnzIo MAccABELLI** What constitutes merit or a meritocratic society differs markedly among eco- nomists and social scientists. The word “meritocracy” was invented by Michael Young in 1958, but the term was first used in a negative sense. In the same years, Friedrich Hayek pictured the market economy as a social system incom- patible with the idea of merit. On the other hand, Richard A. Musgrave tried to use merit as an allocative criterion for some services and goods (i.e. “merit goods”), but his proposal was very controversial. Some of the major difficulties with the idea of a “meritocratic society” arise from the contradictory nature of the concept of “merit” itself. In this paper we present the thought of Young, Musgrave and Hayek on merit and meritocracy with the aim of showing how the ideas of merit and meritocracy are ambiguous and indefinite. (J.E.L.: B31, D63, H24, I29) The idea of meritocracy may have many virtues, but clarity is not one of them. Amartya Sen Michael Young, inventore nel 1958 del fortunato neologismo “meritocra- zia”, è autore pressoché misconosciuto nella letteratura economica. Pochissimi i rimandi alla sua opera più famosa, The Rise of the Meritocracy (1958), nonostante il sottotitolo riveli tematiche di indubbio rilievo anche per l’economia politica, soprattutto per l’ambito di studi denominato Economia dell’educazione 1 . Tra le poche citazioni spicca in effetti quella di Gary Becker che nel suo Human Capital, se pure fugacemente, menziona il libro di Young nelle parti in cui discute uno degli ideali più radicati nell’immagi- nario sociale dell’occidente, ossia l’uguaglianza di opportunità (Becker 1964: 172, 180). nel quadro analitico della teoria del capitale umano, il prin- cipio dell’uguaglianza di opportunità viene tradotto in una forma quanto mai * Articolo approvato nel mese di gennaio 2011. Devo un ringraziamento a Fabrizio Bientinesi, Luca Michelini e due anonimi referee della rivista per i pre- ziosi suggerimenti. Rimane naturalmente mia la responsabilità di quanto scritto. ** Università di Brescia. E-mail: [email protected]. 1 Il sottotitolo dell’opera di Young recita infatti An Essay on Education and Equality. Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 2-2011, pagg. 199-228

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GruppoMontepaschi

Il “merito” come criterio allocativo.I dilemmi della “meritocrazia”*

TEREnzIo MAccABELLI**

What constitutes merit or a meritocratic society differs markedly among eco-

nomists and social scientists. The word “meritocracy” was invented by Michael

Young in 1958, but the term was first used in a negative sense. In the same

years, Friedrich Hayek pictured the market economy as a social system incom-

patible with the idea of merit. On the other hand, Richard A. Musgrave tried to

use merit as an allocative criterion for some services and goods (i.e. “merit

goods”), but his proposal was very controversial. Some of the major difficulties

with the idea of a “meritocratic society” arise from the contradictory nature of

the concept of “merit” itself. In this paper we present the thought of Young,

Musgrave and Hayek on merit and meritocracy with the aim of showing how

the ideas of merit and meritocracy are ambiguous and indefinite.

(J.E.L.: B31, D63, H24, I29)

The idea of meritocracy may have many virtues,but clarity is not one of them.

Amartya Sen

Michael Young, inventore nel 1958 del fortunato neologismo “meritocra-zia”, è autore pressoché misconosciuto nella letteratura economica.Pochissimi i rimandi alla sua opera più famosa, The Rise of the Meritocracy(1958), nonostante il sottotitolo riveli tematiche di indubbio rilievo anche perl’economia politica, soprattutto per l’ambito di studi denominato Economiadell’educazione1. Tra le poche citazioni spicca in effetti quella di GaryBecker che nel suo Human Capital, se pure fugacemente, menziona il librodi Young nelle parti in cui discute uno degli ideali più radicati nell’immagi-nario sociale dell’occidente, ossia l’uguaglianza di opportunità (Becker1964: 172, 180). nel quadro analitico della teoria del capitale umano, il prin-cipio dell’uguaglianza di opportunità viene tradotto in una forma quanto mai

* Articolo approvato nel mese di gennaio 2011.Devo un ringraziamento a Fabrizio Bientinesi, Luca Michelini e due anonimi referee della rivista per i pre-ziosi suggerimenti. Rimane naturalmente mia la responsabilità di quanto scritto.** Università di Brescia. E-mail: [email protected] Il sottotitolo dell’opera di Young recita infatti An Essay on Education and Equality.

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astratta e stilizzata, ipotizzando cioè che i costi marginali per finanziare unitàaggiuntive di capitale umano siano uguali per tutti gli individui, dando cosìluogo a curve di offerta indifferenziate. Se tutti i vincoli sul lato dell’offertafossero rimossi, l’investimento in capitale umano dipenderebbe esclusiva-mente dalla domanda, ossia dalle “capacità” degli individui. Ed essendo ilcapitale umano il fattore decisivo da cui dipendono, a parere di Becker, leremunerazioni degli individui, la distribuzione del reddito approssimerebbein questa situazione l’ideale di una corrispondenza tra “merito” e posizionesociale, rendendo giustificabile anche “eticamente” la disuguale distribuzio-ne del reddito realizzata dal mercato. Becker sottolinea come questa sia laforma di disuguaglianza maggiormente tollerata dall’opinione pubblica,quella che meglio approssima il sogno americano dell’uguaglianza di oppor-tunità. E a supporto di questa affermazione Becker riporta un passo di TheRise of the Meritocracy in cui si afferma che la stratificazione, quando “svi-luppata in base a un principio di merito, [è] generalmente accettata da cia-scuno strato sociale” (Young 1958: 99, cit. in Becker 1964: 180).

Le idee di Becker in tema di uguaglianza di opportunità sono certamentepiù complesse e articolate. Ma più complesse sono le idee dello stesso Young,che forse Becker cita con eccessiva disinvoltura, trascurando il fatto che il suolibro non è affatto una celebrazione della meritocrazia quanto una delle suepiù disilluse rappresentazioni. A nostro parere, anche Becker non è sfuggito auno dei pericoli che da sempre accompagna il dibattito sulla meritocrazia:quello di assumere il merito come concetto dal significato assodato, ometten-do il problema della sua criticità (e, nel caso specifico, trascurando il fatto cheYoung abbia inventato il neologismo meritocrazia non per tesserne le lodiquanto piuttosto per metterne in evidenza i lati oscuri e indesiderabili).

Le discipline economiche, politiche e sociali hanno certamente offertocontributi di rilievo sui temi del merito e della meritocrazia2. È indubbio, tut-tavia, che tali concetti continuino a rimanere controversi e nebulosi, privi diuna declinazione universalmente accettata. come sottolineato di recente daAmartya Sen (2000: 5), “the idea of meritocracy may have many virtues, butclarity is not one of them”.

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2 Senza alcuna pretesa di completezza, ci limitiamo qui a ricordare Arrow, Bowles, Durlauf (2000) per l’e-conomia; Bell (1972) e Geoff (2006) per le scienze politiche; Goldthorpe (2005) per la sociologia; Lemann(2000) per la storia dei test attitudinali come proxi del merito individuale; Mcnamee, Miller (2004) eLongoria (2008) per le rappresentazioni del merito nell’opinione pubblica e per il gap tra realtà e perce-zione; Mccrudden (1998) per la tradizione di studi riguardante la “positive” o “affirmative action”. Perquanto riguarda l’Italia, da ricordare il recentissimo numero monografico della Rivista delle politichesociali (2008) dal titolo “Il merito: talento, impegno, caso. Le ombre dell'Italia”. Impossibile anche soloaccennare agli innumerevoli interventi o alle proposte di legge che discutono i modi di attuazione delmerito nell’economia, nella società e nella pubblica amministrazione. Doveroso è invece il richiamo adAbravanel (2008), libro che sta avendo un notevole successo editoriale.

Ritornare al pensiero di chi per primo ha introdotto il concetto di merito-crazia nel lessico delle scienze sociali può quindi essere salutare. The Rise ofthe Meritocracy rimane una lettura imprescindibile per chiunque voglia inter-rogarsi sul significato del merito come criterio allocativo. È però doverosoanticipare che la prosa dell’inventore del concetto di meritocrazia non si pre-sta facilmente a una rilettura in chiave economica. Muovendo da una pro-spettiva di storia delle idee e non avendo alcuna ambizione analitica, nonazzarderemo nemmeno questa traduzione. nostro obiettivo è piuttosto quel-lo di documentare come veniva declinato il concetto di merito nelle scienzeeconomiche e sociali negli anni in cui venne pubblicato The Rise of theMeritocracy. Questo scritto non intende nemmeno proporsi come contributostoriografico specifico su Young: azzarderemo invece una sorta di dialogoimmaginario tra Young e due famosi economisti che in quegli stessi anniavanzarono riflessioni di rilievo sull’idea di merito come criterio allocativo:Richard Musgrave e Friedrich Hayek.

Gli autori oggetto di questo scritto sono molto diversi tra loro e sono rara-mente accumunati. Richard Musgrave è uno dei massimi esponenti dell’eco-nomia pubblica e autore di una formulazione ancora oggi canonica dei finidella finanza pubblica; Friedrich Hayek, economista nonché filosofo socialee politico, è stato una delle voci più autorevoli del liberismo novecentesco;Michael Young è invece un personaggio decisamente più eccentrico e diffi-cile da inquadrare in un’ottica disciplinare, ma che riveste un ruolo fonda-mentale nella nostra ricostruzione per avere coniato il termine stesso di meri-tocrazia. Indipendentemente l’uno dall’altro e quasi contestualmente questitre autori si sono avvalsi del concetto di merito per declinarlo come criterioallocativo, portando allo scoperto quanto quel concetto possa essere sfug-gente e ambivalente. Tanto Musgrave quanto Hayek e Young hanno inoltreespressamente richiamato l’ambito dell’istruzione come laboratorio privile-giato d’indagine. E il rapporto tra merito, meritocrazia e istruzione è a nostrogiudizio il collante fondamentale che lega tra loro le riflessioni apparente-mente così diverse dei tre autori di cui ci occuperemo in queste pagine.

L’orizzonte temporale della presente ricostruzione è volutamente circo-scritto a un numero limitato di anni, nella convinzione che questo possa per-mettere di mettere maggiormente a fuoco i concetti e le categorie interpreta-tive proposte da questi tre autori. La scelta di individuare la fine degli annicinquanta come momento fondante il dibattito sul merito è naturalmentearbitraria: non sarebbe difficile risalire indietro nel tempo per trovaremomenti altrettanto significativi. La nostra scelta è semplicemente motivatadal fatto che solo nel 1958, come detto per opera di Young, il concetto dimeritocrazia entra nel lessico delle scienze sociali. E non è probabilmente uncaso che negli stessi anni, pur muovendo da presupposti assai diversi,Musgrave e Hayek abbiano deciso di avvalersi del concetto di merito per arti-colare le rispettive indagini economiche e sociali.

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Il saggio è organizzato in quattro parti. nella prima verranno discussi iconcetti di “merit wants” e “merit goods” introdotti da Musgrave nel 1956 epoi ripresi in forma più organica nel 1959. non ci dilungheremo sulle pro-blematiche analitiche di questi concetti, che peraltro hanno alimentato unlunghissimo dibattito ancora in corso. Il nostro interesse è rivolto principal-mente ai presupposti di filosofia sociale che lo stesso Musgrave ha sottoli-neato essere fondamentali per comprendere la logica sottostante i concetti di“merit wants” e “merit goods”, di cui vedremo le implicazioni nell’ambitodel settore educativo. nel secondo paragrafo presenteremo le idee di Hayeksul merito, soffermandoci in particolare su due fondamentali capitoli dellasua The Constitution of Liberty del 1960 che discutono il ruolo dell’educa-zione come strumento per garantire uguali opportunità. Qui troviamo, comenoto, una delle più feroci critiche all’idea che il mercato funzioni alla streguadi un criterio allocativo volto al riconoscimento del merito individuale e all’i-dea che lo Stato, per garantire pari opportunità, debba farsi carico dell’istru-zione. nella terza parte presenteremo The Rise of Meritocracy di Young,opera tra le più citate e influenti nel dibattito sulla meritocrazia ma sullaquale permangono ancora malintesi interpretativi (in larga parte dovuti alfatto che si tratta di un’opera più citata che letta). cercheremo di mostrarecome Young in quest’opera non intendesse affatto avallare un sistema educa-tivo totalmente meritocratico, ritenendo che questo avrebbe tradito l’origina-le anelito emancipatorio insisto nelle idee di merito e di uguali opportunità.Il quarto capitolo, infine, propone alcune considerazioni di sintesi sui tre con-tributi proposti in queste pagine. come cercheremo di argomentare, nono-stante si tratti di autori difficilmente comparabili, vi sono singolari analogienell’immagine del “merito” che essi trasmettono: anziché prestarsi a unacomprensione intuitiva, il concetto di merito possiede ambivalenze non facil-mente risolvibili; l’ideale di una società meritocratica, presa nel suo signifi-cato letterale, richiede condizioni incompatibili con molte delle attuali istitu-zione che reggono le società liberali; merito e meritocrazia, infine, rimanda-no a criteri allocativi e a un modello di organizzazione sociale per molti versiantagonisti al mercato.

1. “Merit wants” e “merit goods” in Richard Musgrave:il caso dell’istruzione

Richard Musgrave è considerato il padre della moderna teoria della finan-za pubblica. La sua Theory of Public Finance (1959) è un vero e proprio clas-sico nella storia dell’economia pubblica. A Musgrave si deve la celebre par-tizione delle finalità del bilancio pubblico nelle tre funzioni allocativa, distri-butiva e stabilizzatrice. Ed è discutendo queste tre funzioni che Musgraveintroduce il concetto di “merit wants”.

Pochi anni prima della Theory of Public Finance Musgrave aveva pre-

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3 “Poiché la stessa quantità deve essere consumata da tutti, gli individui sanno di non poter essere esclusidal godimento del bene. Stando così le cose, essi non sono costretti a rivelare le loro preferenze attraver-so la domanda sul mercato. Il ‘principio di esclusione’, che è essenziale per lo scambio, non può essereapplicato e quindi il meccanismo di mercato non funziona” (Musgrave 1956-1957: 131-132).4 nella Theory of Public Finance Musgrave chiarisce inoltre che il concetto di “merit wants” attraversa edè indipendente dalla divisione da lui stesso proposta del bilancio pubblico nelle tre funzioni allocativa,distributiva e stabilizzatrice.

sentato le tre funzioni del bilancio pubblico avvalendosi della celebre distin-zione tra bisogni privati e bisogni pubblici. Il soddisfacimento dei bisogniprivati avviene attraverso l’acquisto di beni sul mercato per i quali vale il“principio di esclusione” (o di rivalità nel consumo). I bisogni pubblici, osociali, sono invece soddisfati da beni che “debbono essere consumati nellastessa quantità da tutti” (Musgrave 1956-1957: 130-131). Ma l’assenza dirivalità permette comportamenti opportunistici: ogni consumatore di benipubblici ha tutto l’interesse a non rivelare le proprie preferenze, rendendocosì impossibile la loro allocazione attraverso il mercato3.

È necessario allora un processo politico attraverso il quale rendere mani-feste le preferenze dei consumatori, in modo da imputare a ciascuno di essila relativa quota di finanziamento del bene pubblico. Ma sebbene allocati inmodo diverso – attraverso il mercato i beni privati e attraverso lo Stato i benipubblici – vale per entrambi il principio della “sovranità del consumatore”.Lo Stato simula il comportamento del mercato, realizzando un allocazione dibeni pubblici conforme alle preferenze dei consumatori. Lo Stato, in altreparole, soddisfa la domanda di beni pubblici “in accordo con le preferenzeindividuali e con il principio della sovranità del consumatore” (1956-1957:143).

Secondo Musgrave, tuttavia, vi sono alcune tipologie di bisogni che nonpossono essere soddisfati con lo stesso criterio allocativo dei beni pubblici.Esistono infatti alcuni bisogni che gli individui tendono a sottostimare e chese lasciati al mercato darebbero luogo a una domanda insufficiente.“L’evidente inclinazione della gente a dotarsi di una seconda macchina o diun terzo frigorifero prima di assicurare un’adeguata educazione ai propri figline è una dimostrazione” (1956-1957: 143). Il mercato fallisce in questo casonon solo perché occulta le reali preferenze dei consumatori ma perché rivelapreferenze che sono per sé stesse insoddisfacenti o distorte. Questo tipo dibisogni sono appunto quelli che Musgrave – “in mancanza di un altro nome”– propone di chiamare “merit wants”.

nella Theory of Public Finance (1959) Musgrave riprende e approfondi-sce il problema dei beni meritori4, ribadendo la loro sostanziale differenzarispetto ai beni pubblici: i bisogni sociali soddisfatti dallo Stato attraverso ibeni pubblici riflettono le preferenze dei consumatori; nel caso dei bisogni

meritori, l’assunto è che vi siano preferenze “sbagliate” dei consumatori, chelo Stato dovrebbe correggere per evitare una domanda sottodimensionata. Lalinea di demarcazione rispetto ai bisogni sociali si trova in questa “interfe-renza” nel sistema delle preferenze individuali: la qualifica di meritorio attri-buita a un determinato bisogno implica che il sistema delle preferenze indi-viduali possa essere emendato dalle scelte politiche5. I “merit goods” riman-dano in sostanza a quella situazioni in cui la valutazione sociale dei beni nondipende esclusivamente dalle informazioni insite nelle preferenze individua-li (Brahic, clement, Moureau e Vidal 2008: 2). Musgrave aggiunge che lostesso ragionamento può applicarsi al caso opposto: tabacco e alcolici, adesempio, possono essere definiti “demerit goods”, tali da giustificare una tas-sazione suntuaria che disincentivi il loro consumo. Tanto i “merit goods”quanto i “demerit goods” introducono in sostanza deroghe ai principi fonda-mentali di una economia di mercato.

Anche nel 1959 Musgrave ribadisce come il settore più ragguardevole percomprendere la logica dei beni meritori sia quello dell’educazione. In questoambito la distorsione del sistema delle preferenze individuali può dar luogoa scelte non ottimali dal punto di vista del benessere collettivo. “I vantaggidell’istruzione sono più evidenti per coloro che sono informati che per colo-ro che non lo sono” (Musgrave 1959: 180), generando in tal modo disugua-glianze di opportunità tra gli individui appartenenti a famiglie con diversostatus socio-economico e culturale. Secondo alcuni interpreti, questa affer-mazione conterrebbe in verità l’unico senso ammissibile del concetto di benemeritorio, da circoscrivere al caso di informazioni incomplete. nel momentoin cui le informazioni fossero complete, l’educazione tornerebbe a funziona-re secondo la logica dei beni “normali”, da allocare tramite il mercato (Weste McKee 1983: 1117). Musgrave non appare altrettanto fiducioso sulla pos-sibilità di rimuovere le asimmetrie informative dal lato della domanda diistruzione. Anche se si tratta di un bene che potrebbe tranquillamente essereofferto dal settore privato, Musgrave ritiene che la sua natura meritoria giu-stifichi “l’obbligatorietà nell’allocazione delle risorse per l’istruzione”,demandando al pubblico il compito di farvi fronte. Bisogni come l’educazio-ne sono insomma “considerati così meritori che si provvede alla loro soddi-sfazione con il bilancio pubblico, in aggiunta a quanto è fornito dal mercatoe acquistato da acquirenti privati”6.

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5 “The satisfaction of merit wants, by its very nature, involves interference with consumer preferences”.“In the situations now considered [merit goods], such interference is not accidental but the very purposeof public policy” (Musgrave, R. e P. Musgrave 1980: 85; Ver Eecke 2003: 704).6 Musgrave (1959: 179). Per una discussione critica del concetto di “bene meritorio” nell’ambito del set-tore educativo, si veda West e McKee (1983). I due autori rivalutano l’approccio del capitale umano, basa-to sul sistema delle preferenze individuali, ritenendolo un modello teorico più robusto e più efficace perspiegare la dinamica educativa dell’ultimo secolo e mezzo.

Da questa concezione dei beni meritori scaturiscono problemi analitici dinotevole rilievo, ma sui quali non ci soffermeremo in queste pagine.concluderemo invece il paragrafo discutendo le implicazioni normative evalutative che scaturiscono dalla logica dei beni meritori. nell’introdurre unaderoga all’individualismo metodologico sottostante il meccanismo di alloca-zione dei beni pubblici e privati, Musgrave allarga lo sguardo al sistema divalori, di fatto il giudice di ultima istanza riguardo ai bisogni che possono omeno essere classificati come meritori. Ma ogni sistema di valori, dal qualederivare la legittimità di interferire nel sistema delle preferenze individuali,rimanda necessariamente a una dimensione “etica” e “socio-istituzionale”(cfr. Ver Eecke 1998). come giustificare allora questo allargamento dei com-piti della scienza economica e l’interferenza nel sistema delle preferenzeindividuali?

Musgrave riconosce espressamente la cornice normativa entro cui è inse-rito il problema dei “merit goods”. Il discorso riguarda ciò che una “buonasocietà” dovrebbe fare in quei settori ritenuti strategici come appunto quellodell’istruzione. Musgrave articola il proprio ragionamento avvalendosi diuno schema concettuale proposto dall’economista tedesco Gerhard colm.Questi aveva distinto due tipologie di preferenze: quelle che un individuoesprime allorché “è spinto dal proprio interesse e si occupa dei propri biso-gni” e quelle che lo riguardano in quanto cittadino e che egli esprime attra-verso la partecipazione politica. Queste ultime sono “condizionate dalla suaconcezione di una buona società”, con conseguenze notevoli sui compitiassegnati al bilancio pubblico. Musgrave accoglie pienamente la distinzionesuggerita da colm e conviene sull’orizzonte “etico-politico” della propriaanalisi. Spese come quelle per “la difesa, l’istruzione e il sostengo delle atti-vità artistiche” rientrano in una logica diversa da quella dell’interesse perso-nale. Le preferenze che un individuo manifesterebbe sul mercato come sog-getto economico sono diverse da quelle che egli manifesterebbe come sog-getto politico (Musgrave 1959: 181). In questo caso entra in gioco il suosistema di valori, radicato nella comunità di appartenenza:

“Le sue scelte possono essere determinate da ciò che egli considera un impe-gno verso i valori culturali della sua comunità e della sua concezione di unabuona società, piuttosto che dal suo schema di preferenze individuali basatosull’interesse personale a cui si affida nelle quotidiane scelte di consumo nelmercato” (Musgrave 1959: 183)7.

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7 L’importanza della “comunità” come luogo in cui è sedimentato il sistema di valori che legittima i benimeritori è ribadito anche in Musgrave (1987: 186-187): “I valori comunitari possono quindi essere all’o-rigine di beni di merito o di demerito. […] Gli individui, in quanto membri di una comunità, sono dispo-sti ad accettare certi valori o preferenze comunitarie, anche se il loro punto di vista personale non coinci-de con essi”.

La fornitura di “beni meritori” si giustifica insomma solo includendo unadimensione normativa e una prospettiva d’indagine non circoscritta alla purascelta personale. non sorprende che i concetti di Musgrave abbiamo alimen-tato un lungo e contrastato dibattito, non ancora esaurito, nel quale sonoemersi giudizi discordanti sulla valenza conoscitiva dei “merit goods”.Alcuni studiosi sono arrivati a contestarne in modo esplicito la legittimitàscientifica8; altri, pur ravvisando le potenzialità conoscitive, ne hanno inparte travisato il significato9; mentre altri ancora hanno invece insistito sullanecessità di uscire dagli steccati della scienza economica, rivalutando l’ideaoriginaria secondo cui la dimensione morale è del tutto fondamentale nelladefinizione dei “merit goods”10.

Musgrave stesso ha preso una posizione ampiamente favorevole a que-st’ultima interpretazione. Anche nei suoi ultimi scritti, pur riconoscendo l’am-bivalenza dei suoi concetti, ha insistito sul loro fondamento etico-normativo:

“I know that [merit goods] are a controversial topic, and I have changed myview of them over time. I like to think of them relative to the individuals placein society, not as an isolated person but as a member of this community. Assuch he might support certain public services because they are part of thecommunity’s cultural heritage rather than a response to his private prefer-ences” (Buchanan and Musgrave 1999: 95; case 2008: 354).

I concetti di “merit wants” e “merit goods” sui quali ci siamo finora sof-fermati potrebbero apparire estranei alla questione del merito e della merito-crazia. Essi comportano un giudizio su alcune tipologie di bisogni e di benipiù che sulle capacità e sui meriti degli individui. Riteniamo invece che essirientrino a pieno titolo nel nostro discorso, non solo per la contiguità tempo-rale con i lavori di Hayek e Young che andremo a presentare nei prossimiparagrafi. Vi sono almeno tre ragioni che qui anticipiamo ma sulle quali ritor-neremo nel quarto paragrafo. Innanzitutto per il fatto che Musgrave coni il

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8 L’attacco più deciso in questa direzione è venuto da McLure (1968). Egli ritiene che i giudizi di valore,se non sono manifesti nelle scelte individuali che i soggetti compiono nel mercato, sono irrilevanti per l’e-conomista. E James M. Buchanan ha sostenuto di non avere mai compreso il concetto di “merit goods”(Buchanan e Musgrave 1999: 84)9 cfr. Head (1966; 1969), tra i primi a discutere i concetti di “merit wants” e “merit goods”, ma introdu-cendo alcuni fraintendimenti del pensiero di Musgravie. Head ritiene infatti che l’intervento dell’autoritàpubblica per “correggere” le preferenze dei consumatori, nel caso appunto dei “merit wants”, avvieneallorché “incertezza” e “imperfetta informazione” impediscono ai soggetti economici di operare in modorazionale.10 “Perhaps one of the gains from introducing the discussion of ‘merit wants’ is that it calls for a broade-ning of the public economics discourse to embrace political science, social philosophy and ethics, subjectsthat can more easily be bypassed in an economic analysis of the private sector based on consumer sove-reignty” (P. Musgrave 2008: 345). Sulla dimensione etica e socio-istituzionalista del concetto di “meritgood”, cfr. soprattutto Van Eecke (1998; 2003). Per una lettura utilitaristica, cfr. Mann (2006).

concetto di “merit goods” alludendo espressamente a un processo allocativobasato su criteri non di mercato che comporta il problema di legittimare inter-venti esterni nella vita economica. Inoltre, perché anche i beni meritori diMusgrave, come qualsiasi discussione sul merito e la meritocrazia, rimanda-no a un orizzonte valutativo. Infine perché Musgrave stesso insiste sull’edu-cazione come esempio più ragguardevole di bene meritorio, anche se la suaanalisi non riguarda tanto il problema dei meriti individuali ritenuti idonei peraccedere all’educazione quanto il valore sociale attribuito al sistema educati-vo nel suo complesso. Si potrebbe dire, traducendo nelle categorie dell’eco-nomia dell’educazione, che Musgrave discute la questione del “merito” dallato dell’offerta di istruzione, mentre più spesso il problema del merito vienecircoscritto al lato della domanda. I due lati sono concettualmente separati,ma la questione del merito, pur con tutte le sue ambiguità, è di rilievo perentrambi i versanti.

2. Merito, educazione e uguaglianza di opportunità: la criticadi Friedrich Hayek

In The Constitution of Liberty Friedrick Hayek (1960: 734) scrive chequalsiasi comunità dovrebbe avere interesse a fare in modo che la scienza siaconcessa “a chi non ha un incentivo per cercarla da sé o motivazione a farequalche sacrificio per acquisirla. Queste ragioni si impongono particolar-mente nel caso dei bambini, ma alcune di esse sono altrettanto importanti pergli adulti”. Hayek riconosce espressamente in questo brano la possibilità chele preferenze individuali sottostimino l’utilità di un bene particolare comel’educazione, ponendosi apparentemente in continuità con il tipo di argo-mentazione che ha portato Musgrave a coniare il concetto di “merit goods”.Hayek, tuttavia, prospetta per questo problema una soluzione assai diversa:in primo luogo, pur riconoscendo il dovere dello Stato di allocare parte dellesue risorse al settore dell’istruzione, non ritiene necessario che lo Stato sisostituisca al mercato nella fornitura di tale servizio; in secondo luogo, col-loca il problema dell’educazione in una riflessione molto più ampia, in cui laquestione del “merito” come criterio allocativo viene espressamente rigetta-ta (sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda).

Per quanto riguarda il primo punto, è sufficiente richiamare la nota avver-sione di Hayek per l’educazione pubblica. A suo parere, qualora il settoreeducativo fosse accentrato nelle mani dello Stato, nulla potrebbe impedireche la formazione venga fagocitata degli interessi dei gruppi dominanti delmomento. Si dichiara pertanto favorevole a un modello quale quello propo-sto da Milton Friedman dei buoni-scuola da erogare alle famiglie, poi liberedi scegliere all’interno di un mercato scolastico privatistico (Hayek 1960:741). Il secondo punto invece tocca da vicino proprio la questione del meri-to come criterio allocativo. Quella di Hayek è a tutt’oggi una delle più radi-

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cali critiche del concetto di merito, che investe indirettamente la stessa pro-spettiva avanzata da Musgrave.

come noto, nel secondo dopoguerra Hayek ha dirottato la sua riflessionesu un terreno molto più ampio di quello economico in senso stretto.Muovendo da una prospettiva di filosofia politica e sociale, Hayek elaborauna teoria dell’ordine spontaneo di mercato molto diversa da quella basatasul concetto di equilibrio economico. In questo contesto prende corpo la suacritica all’egualitarismo e in genere alle rivendicazioni politiche basate sulconcetto di “giustizia sociale”, uno dei temi caratterizzanti soprattutto laseconda parte della sua lunga carriera intellettuale.

The Constituion of Liberty, pubblicato nel 1960, rappresenta una tappafondamentale di questo percorso. Hayek dedica molto spazio alla questionedel “merito”, chiedendosi quale ruolo svolga all’interno di una “società libe-ra”. Il problema viene affrontato in due fondamentali capitoli, il settimo, daltitolo “Uguaglianza, valore e merito”, e il penultimo, intitolato “Istruzionepubblica e ricerca scientifica”. In questi capitoli l’economista austriaco mettea fuoco l’ambiguità tanto del concetto di merito quanto dell’ideale di ugua-glianza di opportunità, due nozioni spesso ritenute complementari11.

Il ragionamento di Hayek si snoda attorno all’idea che la rivendicazionedel merito sia una delle forme in cui è stata storicamente declinata l’aspira-zione alla giustizia sociale. Secondo Hayek, dietro ogni ideale di “giustiziasociale” opera una sorta di mente ordinatrice che ambisce a definire i criteriattraverso cui allocare beni, reputazione e potere tra i membri di una società.Anche l’idea che la distribuzione dovrebbe rispettare il principio del meritoincarna una logica costruttivista del tutto simile. Ma all’interno di un’econo-mia di mercato è privo di significato riferirsi alla giustizia o ingiustizia delladistribuzione del reddito o della ricchezza. Il funzionamento del mercato sibasa sul rispetto di astratte regole di condotta (come ad esempio il rispettodella proprietà) incompatibile con qualsiasi schema distributivo definito danorme ordinatrici. Il “tentativo di stabilire le retribuzioni in base al meritoporterebbe, in ultima analisi, alla distruzione dell’ordine del mercato”(Barotta 1999: 29).

Storicamente, secondo Hayek, sono state soprattutto alcune tradizionisocialiste a rivendicare forme di giustizia sociale basate sul merito (in quan-to criterio distributivo antagonista al criterio della “nascita”). Tuttavia, anchemolte correnti della tradizione liberale sono state attratte dall’idea che in unaeconomia di mercato si dovrebbero rimuovere gli ostacoli che impedisconouna corrispondenza tra “merito” e posizione sociale. La critica di Hayek ènaturalmente rivolta in via prioritaria contro le istanze socialiste, ma egli arri-va ad assumere una concezione controcorrente all’interno della stessa tradi-

11 Per un approfondimento della critica liberale alle nozioni di merito e uguali opportunità, si veda Barrotta(1999).

zione liberale. Hayek contesta in generale qualsiasi tentativo “di imporredeliberatamente alla società un dato modello distributivo”; e anche quellobasato sul “merito individuale” – ancorché espresso in un orizzonte “libera-le” – rientra in questa categoria di “ordine deliberato” (1960: 211). La criticadi Hayek nei confronti del merito come principio allocativo non deriva dun-que esclusivamente dalla sua avversione per il socialismo, ma anche dalla suainsofferenza per taluni orientamenti del tutto interni alla tradizione del libe-ralismo: egli ritiene, in particolare, che molti “liberali” abbiano dato troppocredito all’ideale dell’uguaglianza di opportunità, ritenendolo viatico per lavalorizzazione del merito all’interno di una società di mercato.

L’ideale dell’uguaglianza di opportunità è alimentato soprattutto dal con-vincimento che la posizione sociale degli individui sia dovuta, più che alleloro capacità, all’ambiente in cui sono cresciuti. come scrive Hayek (1960:209-210), “oggi è di moda minimizzare l’importanza delle differenze conge-nite esistenti tra gli uomini e attribuire tutte le differenze importanti all’in-fluenza dell’ambiente”. Ma il fatto che gli individui abbiano differenti oppor-tunità ambientali, o diverse capacità innate, non ha nulla a che vedere con l’i-dea di “merito morale”. Gli individui hanno “differenze innate di capacità”dovute alla “natura”, mentre altre differenze derivano dall’ambiente e dall’e-ducazione ricevuta. Hayek ritiene che “né le une né le altre” possano esserevalutate con l’ottica del “merito morale” (Hayek 1960: 213).

Hayek rifiuta pertanto il principio secondo cui la posizione sociale di unindividuo sia moralmente legittima e conforme al criterio del merito soloquando non ci sono state circostanze ambientali che l’hanno favorita.Secondo l’economista austriaco, anche l’avere attitudini o predisposizioniparticolari si potrebbe leggere come un vantaggio immeritato, del tutto ana-logo a quello di una persona nata e vissuta in un ambiente sociale favorevo-le. Hayek arriva dunque a esprimere tutto il proprio scetticismo sull’idea chesi possa far corrispondere la posizione sociale degli individui al loro merito.

“L’appropriata risposta è: in un sistema liberale, non è bene (né si può) farcorrispondere in genere le ricompense materiali a quel che gli uomini ricono-scono come un merito; ed è caratteristica essenziale di un società libera che laposizione di un individuo non dipenda necessariamente dalle opinioni dei suoisimili sui meriti da lui acquisiti” (Hayek 1960: 220-221).

In un’economia di mercato, le persone sono remunerate in virtù del valo-re attributo ai loro servizi, non in virtù dei loro meriti personali. Il mercato,in questo senso, non è ritenuto un meccanismo allocativo che valorizza il“merito”. Il mercato tiene conto esclusivamente del valore che gli individuiassegnano ai beni e ai servizi. Ma appunto “valore” non è sinonimo di “meri-to”. Questa distinzione è fondamentale agli occhi di Hayek (1960: 221). Visono opportunità di mercato che alcuni individui riescono a cogliere e quin-

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di a valorizzare. Ma non necessariamente questo è legato a particolari capa-cità o attitudini. Anche la fortuna svolge un ruolo di tutto rilievo. Le remu-nerazioni seguono talvolta dinamiche assolutamente capricciose e casuali,come quando particolari beni o servizi subiscono repentini mutamenti delladomanda (Pennington 2007). Il mercato è altrettanto insensibile a un’altracomponente solitamente associata al merito, cioè lo sforzo. come scriveHayek (1960: 225), “i premi che una società libera offre per i risultati conse-guiti servono a dire a chi lotta per essi quali sforzi valga la pena di fare.Tuttavia, gli stessi premi andranno a chiunque produca gli stessi risultati,senza tener conto dello sforzo”.

Per rafforzare il proprio giudizio sull’incompatibilità tra criterio del meri-to e meccanismo di mercato Hayek procede con l’analisi dei diversi fattoriche influenzano il posto che ogni individuo occupa nella gerarchia sociale edeconomica. nell’ambito dell’economia dell’educazione la questione vienesolitamente affrontata ponendo il problema dell’influenza del backgroundfamiliare sui risultati scolastici e sulla capacità di reddito degli individui(checchi 2006). Hayek si muove su una linea del tutto simile, introducendoi “tre fattori” ritenuti “più rilevanti” per spiegare la relazione tra posizioneiniziale e posizione di arrivo degli agenti economici: “la famiglia, l’ereditàpatrimoniale e l’istruzione” (Hayek 1960: 213). ogni persona eredita innan-zitutto uno stock genetico dal quale dipendono, oltre il suo aspetto, il suotalento e le sue abilità; eredita inoltre una ricchezza patrimoniale molto varia-bile; ed eredita una serie di prerogative sociali dovute al contesto familiare diappartenenza che possono facilitare o meno i suoi risultati economici. A tuttoquesto, vanno sommate le opportunità educative, anch’esse condizionate dalbackground familiare. Questi fattori sono ritenuti responsabili della condi-zione di vantaggio, o di svantaggio, di ciascun individuo. Ad essi si ascrivesolitamente la colpa di alterare le regole del gioco, istituendo disegualiopportunità: infatti “contro la disuguaglianza ingenerata da essi è particolar-mente diretta la critica” (Hayek 1960: 213). Hayek è viceversa convinto chequeste disuguali opportunità facciano parte delle regole del gioco e abbianoanche effetti desiderabili per la società.

1) Il fatto che alcuni individui possano trarre vantaggi dall’essere nati indeterminate famiglie non è secondo Hayek motivo di riprovazione. Vi sonoqualità “utili per la società” che raramente vengono acquisite in una solagenerazione ma che al contrario maturano lentamente nell’ambito di stabilitradizioni familiari. Se si volessero annullare i vantaggi acquisiti di genera-zione in generazione con l’intento di pareggiare le opportunità degli indivi-dui si produrrebbe un danno per la società12.

12 “Quale ragione può esserci per credere che una qualità desiderabile in una persona abbia per la societàmeno valore se deriva da una tradizione familiare piuttosto che da altra fonte? […] ciò posto, sarebbe illo-

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2) Parimenti, si ritiene che l’eredità patrimoniale conferisca “ad alcuniindividui vantaggi immeritati”. Hayek ribatte contro questa accusa accen-nando solo brevemente al fatto che qualsiasi limitazione della successioneereditaria potrebbe avere effetti distorsivi sul risparmio e sul processo diaccumulazione. Egli intende rimanere sul piano dei principi, chiedendosiespressamente se sia giusto o meno che le persone trasmettano “ai figli o adaltri quei beni materiali che provocheranno una sostanziale disuguaglianza”.Hayek ritiene al riguardo che qualsiasi meccanismo alternativo sarebbe enor-memente più costoso e meno efficiente, provocando “uno sperpero di risorsee molto maggiori ingiustizie di quelle create dall’ereditarietà dei beni”(Hayek 1960: 216).

3) “Benché sia stata per un certo tempo la più criticata fonte di disugua-glianza, oggi, probabilmente, la successione ereditaria non lo è più. La conte-stazione degli egualitari tende a concentrarsi sull’iniqua distribuzione dei van-taggi dovuti alle differenze di istruzione” (Hayek 1960: 217). Questo è l’esi-to dei mutamenti avvenuti nell’idea di uguaglianza. L’ideale liberale classico,che si era affermato a metà del XIX secolo, era quello contenuto nella frase“la carrière ouverte aux talents” (1960: 218). Esso implicava la rimozionedegli ostacoli formali, cioè di quelle barriere giuridiche che impedivano l’ac-cesso a certe posizioni sociali. Hayek ritiene che il principio della carrieraaperta ai talenti (la pari opportunità formale) sia stato stravolto, trasforman-dolo nell’idea di uguaglianza dei punti di partenza13. La leva utilizzata per rea-lizzare questo obiettivo è stata l’educazione pubblica, che si è ritenuto neces-sario estendere a tutti. Da ciò sono tuttavia scaturiti dilemmi di difficile solu-zione: “Se accettiamo le ragioni d’ordine generale a favore dell’istruzioneobbligatoria, rimangono pur sempre importanti interrogativi. come si deveprovvedere all’istruzione? Quanta se ne deve fornire a tutti? come vanno pre-scelti coloro a cui se ne deve dare di più e a spese di chi?” (Hayek 1960: 736).

Questi interrogativi vengono affrontati nel penultimo capitolo di TheConstitution of Liberty, dove Hayek arriva a rovesciare l’assunto che l’edu-cazione dovrebbe avere il compito di eguagliare le opportunità degli indivi-dui. Fin dalle prime battute di questo capitolo la posizione di Hayek è del

gico negare che una società si procurerà probabilmente un’élite migliore se l’ascesa non sarà limitata a unagenerazione, se deliberatamente non si faranno partire tutti gli uomini dallo stesso livello e se non si pri-veranno i bambini della possibilità di beneficiare di una educazione migliore e dell’ambiente materiale chei loro genitori hanno la possibilità di procurar loro” (Hayek 1960: 215).13 “L’idea che fosse data a tutti la possibilità di tentare è stata in gran parte soppiantata da quella diame-tralmente opposta secondo cui tutti devono avere la possibilità di partire da un medesimo punto e avere lemedesime prospettive. ciò significa in realtà che lo Stato, invece di assicurare a tutti le medesime condi-zioni, dovrebbe mirare a controllare tutte le circostanze rilevanti per le prospettive di un particolare indi-viduo e ad adattarle alle sue capacità, in modo da garantirgli le stesse prospettive di tutti gli altri” (Hayek1960: 218).

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tutto esplicita: “la possibilità di un’istruzione al massimo avanzata” è benevenga concessa “a chi probabilmente trarrà dall’occasione maggior profitto”.Un obiettivo quindi molto diverso da quello di chi ritiene che attraverso il“controllo pubblico dall’istruzione” lo Stato debba proporsi di “uguagliare leprospettive di tutti” (Hayek 1960: 745).

Superata la soglia della formazione di base, l’istruzione deve essere asso-lutamente selettiva. non può essere somministrata a tutti in modo indifferen-ziato. Questo comporta due ordini di problemi. Il primo è che coloro i qualiriceveranno questa maggiore istruzione, normalmente non pagata da lorostessi, avranno in questo modo un vantaggio14; il secondo riguarda la sele-zione stessa degli individui che si ritiene più capaci e quindi degni di riceve-re maggiore istruzione.

Dal primo punto di vista, Hayek tende a ribadire che non vi è alcuna cor-rispondenza tra l’essere prescelti come destinatari di una educazione supe-riore e il merito. Sottolinea anzi che questo contribuisce ad acuire la discre-panza tra posizione sociale e merito.

“coloro che nell’interesse generale più “meritano” una educazione seconda-ria non sono necessariamente gli stessi che con sforzo e sacrificio si sono gua-dagnati un merito soggettivo maggiore. La capacità naturale e le doti innatesono “vantaggi ingiusti” tanto quanto è il caso a determinare l’ambiente in cuisi nasce; e limitare i vantaggi di un’istruzione superiore a chi possiamo confiducia prevedere ne trarrà il maggior profitto necessariamente aumenta, piut-tosto che diminuire, il divario tra lo status economico e il merito soggettivo”(Hayek 1960: 747).

Dal secondo punto di vista la critica di Hayek è rivolta contro l’ambizio-ne di poter misurare oggettivamente le capacità o l’intelligenza degli indivi-dui attraverso test psicologici come quello dell’IQ. L’economista austriacoregistra una fiducia sempre più diffusa in tali tipi di test. A essi viene attri-buito il compito di individuare con obiettività scientifica gli individui piùcapaci già in tenera età, in modo da annullare il vantaggio derivante dall’am-biente familiare. Questo permetterebbe al “merito” – inteso appunto comeintelligenza e capacità – di diventare il criterio allocativo preminente nell’al-locazione delle posizioni sociali. Hayek non ritiene affatto che questo siaauspicabile. Innanzitutto si dimostra alquanto scettico sul fondamento scien-tifico dei test psicologici. Il tentativo di svelare il mistero dell’intelligenzatramite una sua quantificazione rimane per Hayeke una chimera. Questo

14 “Dobbiamo accettare il fatto che, poiché di regola qualcun altro dovrà pagare per l’educazione, chi nebeneficia usufruirà così di un vantaggio ‘non guadagnato’” (Hayek 1960: 745).

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toglie ogni fondamento all’idea che l’IQ sia una misura oggettiva del meritodegli individui. Anche questa strada, ribadisce pertanto Hayek, non è unasoluzione al problema di come “adeguare le remunerazioni al merito”.

Ma contro questa visione, Hayek svolge anche un altro tipo di ragiona-mento, basato sull’ipotesi che i criteri di selezione basati sull’IQ riescano allafine a imporsi nella società. La sua critica a questo punto prescinde del fon-damento di tali test. Si chiede invece quanto sia allettante una organizzazio-ne sociale in cui il merito, personificato dall’IQ, si sia imposto come criterioallocativo. Egli esprime apertamente la propria avversione per una tale formadi società, ritenendo che l’uso intensivo dei test darebbe luogo a “un ordinesociale” molto poco attraente.

“L’insistere sull’esigenza che l’istruzione debba esser impartita solo a giova-ni di provata capacità produce una situazione in cui tutta la popolazione sitrova ad essere classificata in base a qualche prova oggettiva e in cui preva-le, in tutto e per tutto, un sistema di opinioni su quali siano le persone quali-ficate a ottenere i benefici di un’istruzione superiore. ne deriva una gradua-toria ufficiale, che ha in cima il genio patentato e gli idioti patentati alla base;una gerarchia resa ancor peggiore dalla presunzione di esprimere il “merito”e che determina l’accesso a opportunità nelle quali il valore può mostrarsi”(Hayek 1960: 749).

Questo giudizio perentorio viene formulato da Hayek nel capitolo sull’e-ducazione, ma dopo averlo anticipato, nelle sue linee essenziali, anche nelcapitolo dedicato al “merito”. Vale la pena riportare per esteso anche que-st’altro brano, dato che entrambi riprendono nelle corrispondenti note unfugace richiamo alla “meritocrazia” di Michael Young, autore sul quale cisoffermeremo nel prossimo paragrafo. nel capitolo sul merito Hayek non sol-tanto descrive la società meritocratica come poco attraente, ma arriva a qua-lificarla come un ordine sociale “intollerabile”.

“Se in esso si partisse dal presupposto generale che un alto reddito costituiscela prova del merito e un basso reddito il contrario, e universalmente vi si rite-nesse che la posizione e la remunerazione corrispondono al merito, e unicastrada aperta per il successo fosse l’approvazione della propria condotta daparte della maggioranza dei propri simili, la società sarebbe molto probabil-mente più insopportabile per chi non ha successo di quanto lo è quando siriconosce francamente che tra merito e risultato non esiste una necessaria con-nessione” (Hayek 1960: 228-229).

Hayek conduce in sostanza una delle critiche più devastanti all’idea che ilmerito possa diventare un criterio allocativo. Egli mette apertamente indiscussione l’aspirazione di poter giudicare se e quanto la posizione socio-

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economica di un individuo sia “meritata”15. Hayek evidenza i molteplici fat-tori dai quali dipende la posizione sociale degli individui – dalla famiglia allecapacità, dall’educazione all’eredità – ma per sottolineare che nessuno diquesti può essere annullato in modo da valorizzare esclusivamente il “meri-to”. Egli ritiene in particolare impossibile discernere il “merito” individualedalle condizioni ambientali, ritenendo impraticabili tutte le soluzioni propo-ste, siano esse liberali, socialiste o tecnocratiche. Questo spinge Hayek a pun-tare al cuore di una delle maggiori aspirazioni delle democrazie moderne, l’u-guaglianza di opportunità, ideale definito “lodevole” ma “letteralmenteimpossibile da realizzare” (Hayek 1960: 747).

3. La società meritocratica di Michael Young

come abbiamo anticipato, sia nel capitolo sul merito, sia in quello sull’e-ducazione di The Constitution of Liberty, Hayek menziona fugacementeun’opera da poco pubblicata di Michael Young, The Rise of Meritocracy.Riconosce di averne una conoscenza indiretta, ma è significativo che richia-mi questo testo a supporto della sua critica al principio del merito come cri-terio allocativo. Indubbiamente vi sono alcuni punti di convergenza traHayek e Young, che tuttavia assumono un preciso significato solo all’internodelle rispettive filosofie sociali, che si collocano in orizzonti assai diversi.

Fin dal momento della sua apparizione, The Rise of Meritocracy è in effet-ti frequentemente oggetto di incomprensioni e fraintendimenti, un destinoche perdura ancora oggi. A ciò ha contribuito soprattutto il modello espositi-vo scelto da Young per argomentare le proprie tesi, che si è tradotto in unlibro assolutamente atipico. The Rise of Meritocracy appartiene a pieno tito-lo alla tradizione letteraria delle “distopie”, un filone che vanta nomi comeEdward Bellamy, Aldous Huxley o George orwell. A differenza delle operedi questi autori, il libro di Young non è tuttavia entrato nell’olimpo dei testiletterari, ma il fatto di presentarsi come una finzione letteraria non ha facili-tato la sua ricezione nelle scienze sociali (Barker 2006: 44). A cinquant’annidalla sua pubblicazione possiamo comunque dire che esso sia diventato unodei più influenti testi di filosofia sociale, in linea con quelli che erano gli stes-si intendimenti dell’autore.

Prima della pubblicazione di The Rise of Meritocracy Young aveva gua-dagnato una notevole fama come esponente del Labour Party inglese (a lui sideve il Manifesto del 1945). Dopo la laurea alla London School of

15 “Decidere del merito presuppone che possiamo giudicare se gli individui hanno sfruttato le loro possi-bilità come avrebbero dovuto e quanta forza di volontà o di abnegazione sia loro costato; presupponeanche che sappiamo distinguere tra quanta parte del loro successo sia dovuta a circostanze che dipende-vano da loro e quanta invece sia da esse indipendente” (Hayek 1960: 223).

Economics, aveva comunque mantenuto contatti anche con l’accademia,intervenendo soprattutto su riviste di pedagogia. L’educazione è sempre statouno dei suoi maggiori interessi, come del resto rivela il titolo esteso della suaopera più famosa: The Rise of Meritocracy 1870-2033. An Essay onEducation and Equality.

La peculiarità del libro sta tutta nell’orizzonte temporale dell’indagine,che si proietta nel terzo decennio del XXI secolo per ricostruire la storia dellasocietà inglese degli ultimi centocinquanta anni. L’Inghilterra si suppone siaormai diventata una perfetta meritocrazia, e la storia mette a fuoco i fattisalienti che hanno permesso l’avvento di questo modello di organizzazionesociale. Autore del libro è un fittizio Michael Young, aspirante Ph.D. inSociologia, la cui tesi di dottorato viene pubblicata nel 2034. La tesi si pro-pone di spiegare perché l’Inghilterra meritocratica del XXI secolo sia attra-versata da pericolose agitazioni sociali che ne stanno minando le fondamenta.

come è stato giustamente osservato, il libro è per molti versi una satira ecome tale deve essere letto. Ma nello stesso tempo è un libro che va presomolto sul serio. non a caso esso è diventato un fondamentale testo sociolo-gico e politico su cui si stanno esercitando numerosi interpreti. Le difficoltàmaggiori derivano dal fatto che la storia raccontata da Young è per metà unastoria “vera” della società inglese e per l’altra metà una storia immaginaria16.Per qualcuno, questo starebbe a significare che sono due i Young che parla-no nel libro: il Young fittizio, favorevole alla meritocrazia, e il Young reale,avverso alla meritocrazia. Questo sdoppiamento della personalità dell’autorenon facilita l’interpretazione di questo testo. come leggere allora The Rise ofMeritocracy?

nostro punto di partenza è quello di considerare la società meritocraticadescritta da Young come un “ideal tipo” weberiano. Egli individua alcunedinamiche in atto nelle società occidentali del secolo scorso, le isola e su diesse costruisce la propria immagine della meritocrazia. La società del 2033immaginata da Young è appunto una società in cui tali dinamiche si sonocompletamente dispiegate producendo un modello puro di società meritocra-tica. A nostro parere, le dinamiche storiche, politiche e sociali che Youngritiene fondamentali sono sostanzialmente quattro.

1. Il lento ma inesorabile declino dei criteri ascrittivi nell’allocazionedelle posizioni sociali. Young scrive in una della società più classiste dellastoria, l’Inghilterra appunto, nella quale nel 1958 perdurano ancora meccani-smi ereditari nell’acquisizione del potere e della ricchezza (soprattutto tra iceti della vecchia aristocrazia terriera). Young immagina che sotto la sferzadella concorrenza internazionale l’Inghilterra sia stata costretta ad abbando-

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16 Recentemente l’opera di Young è stata appunto definita una “social science fiction” (Donovan 2006:62) o anche “un capolavoro di fantascienza sociale” (Goldthorpe e Jackson 2008: 31).

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nare completamente queste convenzioni sociali, lasciando libero spazio aicriteri acquisitivi. “Il pericolo di venir ‘sopraffatti nella competizione mon-diale’ era così reale e venne così vigorosamente messo in risalto nella secon-da metà del secolo, e tanto pressante era la necessità di subordinare tutto ilresto alle esigenze della produzione, che […] la famiglia fu strappata all’ab-braccio feudale” (Young 1958: 48). Sono dunque ragioni di efficienza chespingono nella direzione di una società basata esclusivamente sul contrattoanziché sullo status, dove appunto diminuiscono le sacche del privilegio eco-nomico-sociale di taluni individui.

2. Il crescente apprezzamento per l’ideale dell’uguaglianza di opportu-nità. È questa una dinamica politica e sociale che spinge verso la radicaliz-zazione nella condanna dei meccanismi ascrittivi, e sulla quale vanno con-vergendo alcune frange della tradizione liberale e soprattutto correnti semprepiù vaste della tradizione socialista. L’uguaglianza di opportunità di cui parlaYoung è però qualcosa di molto diverso dell’uguaglianza formale: è l’idealedell’uguaglianza sostanziale dei punti di partenza, ossia il principio in virtùdel quale la ricchezza alla nascita di ogni individuo dovrebbe essere egua-gliata il più possibile. nella propria finzione, Young immagina appunto chequesto ideale si sia completamente affermato, dando luogo a un sistema eco-nomico caratterizzato da forti imposte patrimoniali e, soprattutto, consistentitasse sulle successioni ereditarie (1958; 77, 136). Queste riforme appaiono aYoung pregiudiziali per realizzare una società in cui il merito degli individuidiventi il criterio allocativo preminente. La convergenza di tradizione libera-le e tradizione socialista sarebbe dovuta al fatto che la prima accoglie un prin-cipio egalitario nelle proprie premesse, limitato appunto alle condizioni dipartenza, mentre la seconda rinuncia a perseguire ideali egualitari sul frontedei risultati.

3. Ruolo strategico dell’educazione. L’uguaglianza di opportunità riguar-da non solo le risorse materiali ma anche quelle immateriali. Il sapere, laconoscenza e l’educazione ne sono le componenti fondamentali. La storiaraccontata da Young segue da vicino le vicende (reali e fittizie) della pro-gressiva espansione dell’istruzione pubblica, su cui si innesta il dilemma traistruzione universale e selezione in base al merito. Su questo punto si scon-trano due diverse concezioni dell’uguaglianza di opportunità. I cosiddetti“socialisti di sinistra” sostenevano “che tutti […] dovevano frequentare lestesse scuole e ricevere la stessa educazione” (Young 1958: 54). Per qualchetempo questo principio ebbe notevole risonanza, ma venne poi sopraffatto,dopo gli anni Settanta del secolo scorso, da una concezione diversa dell’u-guaglianza di opportunità, che venne accolta anche dai socialisti cosiddetti“realisti”. Gli individui non sono una tabula rasa a cui il sistema educativo sirivolge in modo indifferenziato. Se così fosse, quanto ciascuno individuopotrebbe ricavare dall’educazione dipenderebbe quasi esclusivamente dalproprio sforzo. Si afferma invece prepotentemente l’idea che il merito sia

uguale a “sforzo più intelligenza”, intesa quest’ultima come un’entità distri-buita in modo molto diseguale tra le persone. Soprattutto, si fa strada l’ideache l’intelligenza sia qualcosa di congenito a ciascun individuo, quindi unpotenziale che richiede percorsi differenziati per essere messa a frutto inmodo efficiente. Il sistema educativo pubblico subisce pertanto una lenta tra-sformazione fino al sua completo stravolgimento. La valorizzazione delmerito si attua indirizzando i più capaci verso percorsi educativi adeguati allaloro maggiore intelligenza.

4. Si afferma definitivamente l’idea che l’intelligenza sia un’entità misu-rabile attraverso test psicologici. Questa dinamica sta alla base del muta-mento intervenuto nel sistema educativo appena descritto. Dopo decenni dicontroversie, gli psicologi e gli studiosi della società arrivano a conveniresulla natura innata dell’intelligenza e sul suo fondamento genetico. L’IQdiventa la misura accreditata di questa intelligenza. La valorizzazione delmerito cessa in questo modo di essere un processo ex post, ma diviene un pro-cesso che si svolge ex ante. L’élite è selezionata fin dall’inizio sulla basedell’IQ, dal quale dipende l’accesso a percorsi differenziati di istruzione17. Ilposto occupato da ciascun individuo nella gerarchia sociale è così prestabili-to fin dalla nascita. “L’assioma del pensiero moderno è che gli individui sonoineguali; e da esso discende il precetto morale che si debba dare a ciascunouna posizione nella vita proporzionata alla sua capacità” (Young 1958: 123).Questo comporta l’abbandono degli ideali egualitari, proprio in nome dell’u-guaglianza di opportunità18.

Il lento dispiegarsi di queste dinamiche culmina dunque nel XXI secolocon l’avvento della meritocrazia, neologismo introdotto per la prima volta daYoung appunto per qualificare un ipotetico modello di società in cui il meritoè divenuto l’unico e universale criterio allocativo. Prerogativa essenziale diquesta forma di governo è di essere retta dalla parte “intelligente” della popo-lazione, presentandosi quindi come modello alternativo sia alla democraziadel governo del popolo, sia all’aristocrazia del sangue sia alla plutocrazia deiricchi19. Quali sono dunque le caratteristiche salienti dell’Inghilterra del 2034

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17 “Il successo di queste riforme fu reso possibile dalla sempre maggiore efficienza dei metodi di selezio-ne. Quanto sarebbe stato vano isolare delle scuole superiori senza avere i mezzi per identificare gli eletti![…] Ma quanto più largamente si riconobbe che le scuole migliori dovevano essere riservate ai più intel-ligenti, tanto maggiore si fece la pressione sugli psicologici scola statistici perché migliorassero le lorotecniche. […] come si dovevano scegliere i migliori? […] L’alto quoziente di intelligenza fu assunto comela qualifica principale per l’ammissione all’élite” (Young 1958: 81).18 “Gli uomini dopotutto si distinguono […] per l’ineguaglianza delle loro doti. Una volta che tutti i genî stia-no nell’élite, e tutti gli stupidi tra i lavoratori, quali significato può avere l’eguaglianza?” (Young 1958: 122).19 Il fittizio Young scrive che l’origine dell’espressione “meritocrazia”, come quella del suo corrispettivo“uguaglianza di opportunità”, sia “ancora oggi oscura. Sembra che fosse diventata d’uso comune neglianni sessanta del secolo scorso nelle piccole riviste legate al partito laburista, e che abbia raggiunto unadiffusione generale molto più tardi” (Young 1958: 35).

che il fittizio Michael Young, aspirante sociologo, deve mettere a fuoco al finedi comprendere i motivi del malcontento sociale?

L’aspetto più notevole, come anticipato, è la ferrea programmazione delsistema educativo. Sulla base dell’IQ, misurato da test che si ritiene abbianoraggiunto l’assoluta obiettività scientifica, vengono selezionati fin dall’infan-zia le persone più adatte a ricoprire i diversi ruoli sociali. Il primo e fonda-mentale discrimine è tra quelli destinati a formare la classe dirigente da unaparte e tecnici e lavoratori dall’altra. Il meccanismo dei test assicura che laselezione dei primi sia indipendente dalle condizioni ambientali, dal nepoti-smo o dal denaro.

La schiera di eletti così selezionata riceve una appropriata istruzione ed èautomaticamente destinata a diventare l’élite di questa utopica società. Il lorostatus economico è nettamente superiore a quello del resto della popolazione:la società meritocratica è una società fortemente stratificata, ma la gerarchiaè legittimata e accettata “a tutti i livelli della società” dal fatto di avere a fon-damento “il principio del merito” (Young 1958: 130).

nei gradini più bassi della gerarchia sociale c’è totale rassegnazione. Tragli individui c’è la consapevolezza che il loro status deriva dal basso IQ. Unaquota considerevole di questi individui è destinata a svolgere i lavori dome-stici nelle famiglie delle élite, producendo un fenomeno che si può chiamaredi “ridomesticazione” della società” e che Young traduce con l’espressione“di nuovo personale di servizio”20.

Per diversi anni la meritocrazia appare come una società pacificata, senzaconflitti, dove ognuno accetta di buon grado il posto nella gerarchia socialecommisurato al proprio IQ. “La distribuzione delle ricompense è diventatasempre più ineguale, eppure c’è meno conflitto di prima” (Young 1958: 157).All’origine dei conflitti del passato c’era principalmente il fatto che moltiindividui erano collocati in classi sociali non corrispondenti alle loro capa-cità. Quando questa ingiustizia venne sanata, “con una riforma della struttu-ra delle retribuzione che è stata tra le più efficaci del nostro tempo, [...] laconcordia subentrò alla concordia; e nel merito si riconobbe il principio chedoveva guidare tanto la riforma economica come quella scolastica” (1958:166). La diseguaglianza, pertanto, non veniva più percepita come immoraleappunto perché fondata sui presupposti del merito e dell’uguaglianza diopportunità.

La lotta contro i privilegi ereditari nell’acquisizione delle posizioni socia-li era stata il motivo dominante del lungo processo di evoluzione verso la

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20 Fin dalla fine del XX secolo, “circa un terzo dell’intera popolazione adulta non era più occupabile nel-l’economia normale. La complessità della civiltà aveva sopravanzato queste persone; a causa della man-canza di intelligenza esse non erano in grado di trovare una nicchia nella normale struttura occupaziona-le. […] che cosa si doveva fare di loro? c’era una sola risposta possibile. […] [Questi individui] erano ingrado di far fronte ad una sola richiesta: quella di personale di servizio” (Young 1958: 127).

meritocrazia. Ma per uno strano scherzo del destino l’ereditarietà si stavaprendendo una inattesa rivincita. Molti scienziati che studiavano il “modo ditrasmissione della capacità intellettuale” avevano dimostrato “che l’intelli-genza dei bambini può, in ultima analisi, esser dedotta con sicurezza dall’in-telligenza dei loro ascendenti” (Young 1958: 184). Una volta che la merito-crazia e l’uguaglianza di opportunità avessero completato la loro missione,portando i più meritevoli nelle file delle élite, si sarebbe potuto ristabilire ilprincipio ereditario. Impercettibilmente stava ricomparendo sulla scena uncriterio ascrittivo. L’ereditarietà dell’intelligenza stava dunque compiendouna rivoluzione copernicana: la società meritocratica si stava apprestando adassumere i tratti di una aristocrazia sotto mentite spoglie. Da qui il parados-so di una mobilità sociale inseguita come una chimera che si traduce in unanuova forma di società cristallizzata in caste impermeabili.

L’élite si avvia a diventare ereditaria; i principi dell’ereditarietà e delmerito tendono a fondersi. Quella trasformazione fondamentale per la qualesono occorsi più di due secoli è ormai quasi perfezionata (Young 1958: 181).

Questo è il primo motivo di inquietudine che attraversa l’Inghilterra meri-tocratica del 203321. Ma ve ne sono altri ancora più preoccupanti. Tra le pie-ghe di questa utopica società avevano cominciato a farsi strada idee discor-danti con i principi meritocratici. A patrocinare questa rivolta intellettualeerano stati soprattutto alcuni vecchi rappresentanti del partito laburista, rima-sti affezionati ai valori egualitari delle origini. Ai loro occhi, la traduzionedell’idea di uguaglianza di opportunità in un modello sociale che aveva gene-rato una nuova forma di aristocrazia era stato un tradimento22. Questo grup-po di dissidenti aveva trovato un prezioso alleato nel movimento femminista,all’interno del quale vi erano anche molte donne appartenenti alla élite. Ledonne avevano cominciato a intravedere profonde contraddizioni nei princi-pi meritocratici, che avevano acuito il dissidio tra le loro aspirazioni sociali eil loro istinto materno. In un contesto in cui si erano di fatto imposti convin-cimenti eugenetici, il loro ruolo materno era stato sottomesso alle esigenzeriproduttive delle élite. Molte donne avevano pertanto cominciato ad avver-sare “quei criteri di giudizio, legati al successo, con i quali gli uomini si valu-tano reciprocamente” (Young 1958: 178). Questa loro protesta aveva trovatouna sponda nei vecchi laburisti. Da questa alleanza era scaturito un movi-mento politico, chiamato “populista”, che si riconobbe nel cosiddetto

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21 “Il solo accennare alla prospettiva che il principio ereditario venga restaurato, dopo due secoli di lotteper distruggerlo, equivale ad un attacco al centro vitale del nostro sistema di valori” (Young 1958: 189).22 “I socialisti ottennero il premio dell’eguaglianza delle opportunità predicando l’eguaglianza; e questo,mentre durò la battaglia, non diede luogo ad alcun inconveniente. Ma dopo che l’eguaglianza delle oppor-tunità era diventata realtà, la predicazione dell’eguaglianza non solo era superflua, ma sembrava fattaapposta per annullare proprio la conquista della quale i laburisti potevano prendersi gran parte del credi-to” (Young 1958: 133; cfr. anche 154).

“Manifesto di chelsea”, un documento di rivendicazione politica redatto nel2009 che inizialmente non aveva suscitato “molto interesse nel pubblico” mache dopo due decenni cominciava invece ad avere molta influenza.

Il Manifesto è pervaso da un egualitarismo sentimentale e romantico, for-temente contrastante con la rigida stratificazione sociale imperniata sul prin-cipio meritocratico. Esso rigetta l’idea che si possa istituire un ordinamentodelle persone sulla base delle loro capacità o della loro intelligenza. Vi è l’a-nelito a una società senza classi, dove il riconoscimento sociale cessa di esse-re ancorato a una metrica unilaterale quale quella dell’IQ23. Ma, soprattutto,il Manifesto rilancia una versione arcaica dell’uguaglianza di opportunità,che cessa di essere un criterio selettivo per riproporsi come strumento diemancipazione sociale:

“Gli autori del Manifesto hanno cercato di dare un nuovo significato all’u-guaglianza delle opportunità. Questa, hanno affermato, non deve significareeguali opportunità di salire lungo la scala sociale, ma eguali opportunità pertutte le persone, a prescindere dalla loro “intelligenza”, di sviluppare le virtùe i talenti di cui sono dotate, tutte le loro capacità di apprezzare la bellezza ela profondità dell’esperienza umana, tutte le loro facoltà di vivere una vitapiena” (Young 1958: 175).

come si vede, nel Manifesto vi erano echi del giovane Marx, in partico-lare dei Manoscritti economici-filosofici del 1944, oltre a richiami alla tradi-zione del socialismo fabiano24. Traspariva poi una concezione pedagogicaanti-produttivistica la quale avversava la sottomissione dell’istruzione alleesigenze dell’economia.

“Il bambino, ogni bambino, è un individuo prezioso, e non soltanto un poten-ziale funzionario della società. Le scuole non debbono limitarsi a fornire indi-vidui idonei a svolgere le mansioni considerate importanti in un particolaremomento, ma debbono dedicarsi a incoraggiare lo sviluppo di tutte le qualità

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23 “La società senza classi sarà quella che avrà in sé e agirà secondo una pluralità di valori. Giacché se noivalutassimo le persone non solo per la loro intelligenza e cultura, per la loro occupazione e il loro potere,ma anche per la loro bontà e il loro coraggio, per la loro fantasia e sensibilità, la loro amorevolezza e gene-rosità, le classi non potrebbero più esistere. chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superio-re al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, che il funzionario statale straordinariamente capace aguadagnare premi è superiore al camionista capace a far crescere rose? La società senza classi sarà anchela società tollerante, in cui le differenze individuali verranno attivamente incoraggiate e non solo passiva-mente tollerate, in cui finalmente verrà dato il suo pieno significato alla dignità dell’uomo. ogni essereumano avrà quindi eguali opportunità non di salire nel mondo alla luce di una qualche misura matemati-ca, ma di sviluppare le sue particolari capacità per vivere una vita ricca” (Young 1958: 174).24 Marris (2006: 16) ritiene tuttavia che sia Matthew Arnold, più che Marx, la fonte del “Manifesto dichelsea”.

umane, siano o non siano queste del tipo richiesto da un mondo scientifico.Alle arti e alle abilità manuali deve esser dato altrettanto risalto che alla scien-za e alla tecnologia” (Young 1958: 175).

L’aspirazione dei populisti era infine quella di restaurare un sistema edu-cativo basato sul principio dell’istruzione universale, abbandonando i per-corsi differenziati e i criteri selettivi di accesso.

“Il manifesto chiedeva l’abolizione della gerarchia delle scuole e la restaura-zione delle scuole a indirizzo unico. Queste ultime, a suo avviso, dovrebberodisporre di un numero di buoni insegnanti tale da consentire che tutti i ragaz-zi siano seguiti e stimolati individualmente. In tal modo essi potrebbero svi-lupparsi secondo il proprio ritmo fino a raggiungere il massimo delle loro pos-sibilità. Le scuole non segregherebbero i simili, ma mischierebbero i dissimi-li; promuovendo la diversità entro l’unità, insegnerebbero il rispetto per quel-le infinite differenze umane che non sono certo gli ultimi valori del genereumano. Le scuole non considererebbero i bambini come formati una volta persempre dalla natura, ma come una combinazione di facoltà che possono esse-re coltivate mediante l’educazione” (Young 1958: 175-176).

Per il fittizio sociologo Michael Young, che scrive nel 2034, il “Manifestodi chelsea” è decisivo per capire le turbolenze sociali dell’Inghilterra meri-tocratica. Attorno ad esso si coagula il movimento di “ribelli” che sta acqui-sendo sempre maggiore consenso. Per il maggio 2034 è previsto un grandesciopero generale che metterà alla prova la forza di questo movimento for-mato da tecnici, vecchi laburisti e femministe. Per il fittizio autore di TheRise of Meritocracy è venuto il momento di formulare alcune ipotesi sullapossibilità che il movimento populista possa scardinare l’ordinamento socia-le basato sulla meritocrazia. Secondo il giovane sociologo, nonostante leaspirazioni dei populisti, non vi saranno grandi sommovimenti sociali.Magari ancora qualche sciopero, alcune richieste che potrebbero essereaccolte, ma nessuna rivoluzione. Le agitazioni sociali andranno scemando,senza che vengano intaccati i principi meritocratici. Il libro termina tuttaviacon un colpo di scena, cioè con la morte del fittizio Michael Young, avvenu-ta durante i tumulti del grande sciopero generale del maggio 2034, comuni-cata con una nota editoriale posta alla fine del volume25.

Questo è il racconto immaginario che Young ci propone per descrivere la

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25 “Poiché l’autore di questo saggio è stato ucciso anch’egli a Peterloo, gli editori, con rincrescimento, nonhanno potuto sottoporgli le bozze del manoscritto per quelle correzioni che forse avrebbe voluto appor-targli prima della pubblicazione. Il testo, anche nella sua ultima parte, è stato lasciato esattamente comeegli lo scrisse. I fallimenti della sociologia sono illuminanti quanto i suoi successi” (Young 1958: 193).

genesi, l’affermazione e forse la capitolazione della meritocrazia. Il proble-ma è capire quale sia la sua concezione di questo modello di organizzazionesociale. Vi sono pochi dubbi sul fatto che questa venga presentata come unadistopia, a dispetto del fatto che il fittizio Michael Young che scrive il librosia totalmente pervaso dai valori meritocratici. Per il vero Young la prospet-tiva di una meritocrazia compiutamente realizzata prende le sembianze di unsogno angoscioso26. L’uguaglianza di opportunità portata alle sue estremeconseguenze ha prodotto una nuova forma di aristocrazia dell’intelletto abase ereditaria. L’anelito per una perfetta mobilità sociale si è ritorto controla stessa meritocrazia, finendo per ingessarla in un sistema di caste totalmen-te impermeabili tra loro. E per i negletti di questa società non vi è neppure lospiraglio consolatorio di ricondurre a cause esterne o ambientali le ragioni delproprio umile status. Questa inquietante figurazione della meritocrazia acco-muna Young ad Hayek, come dimostrano i segni di apprezzamento per loscrittore inglese che troviamo in The Constitution of Liberty. Ma le conver-genze finiscono qui, perché se è vero che entrambi critichino aspramente lameritocrazia, è pure vero che lo fanno muovendo da antitetici orizzonti poli-tici. È difficile non pensare che il “Manifesto di chelsea” rifletta in largaparte i convincimenti dello stesso Young, che sono tuttavia poco o nulla com-patibili con l’immagine della società libera prospettata da Hayek. Per entram-bi il merito è un concetto ambiguo, forse addirittura da estromettere daldiscorso politico; ma per Young, a differenza di Hayek, l’eguaglianza rimaneun ideale sociale irrinunciabile.

4. Considerazioni conclusive: merito, mercato e istruzione

I tre autori sui quali ci siamo soffermati appaiono molto diversi tra loro.Essi appartengono a tradizioni di ricerca non facilmente sovrapponibili, nona caso caratterizzati da stili argomentativi che stanno agli antipodi. Dalle loroteorie scaturiscono prospettive differenti di guardare al problema del meritocome criterio allocativo. nonostante queste radicali differenze cercheremo inqueste considerazioni conclusive di svolgere un discorso di sintesi sulla pos-sibilità di intendere il merito come principio ordinatore della società. A nostroparere, l’ambivalenza semantica, la necessità di ricorrere a valutazioni etico-normative e la difficile compatibilità con il mercato sono i principali aspettiche accomunano le riflessioni sul merito di Musgrave, Hayek e Young.

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26 come ricordano Goldthorpe e Jackson (2008, 32-33), l’ironia della storia ha voluto che pochi anni dopola pubblicazione del libro il concetto di meritocrazia abbia cominciato ad assumere una connotazione posi-tiva, contro quelli che erano gli intendimenti di Young. “Questo rapido mutamento del contenuto del con-cetto è da attribuirsi, a quanto pare, a un gruppo di intellettuali americani, la cui posizione potrebbe esse-re definita ‘liberal della guerra fredda’, tra i quali il più influente è probabilmente stato Daniel Bell”(Goldthorpe e Jackson 2008: 32-33; Bell 1972).

Dal punto di vista semantico, innanzitutto, è necessario sottolineare l’in-determinatezza di questo concetto. In nessuno dei tre autori qui presi in con-siderazione è possibile rintracciare un significato “oggettivo”. Il merito affio-ra nelle rispettive teorie come un concetto sfuggente, non ancora assodato edifficilmente traducibile in una definizione scientifica. Musgrave e Hayekhanno espressamente richiamato la necessità di riferirsi a criteri valutativi onormativi per riempire di contenuto tale concetto. Mentre Young, che inveceè ricorso a un’apparente definizione obiettiva (merito inteso come “sforzo piùintelligenza”), l’ha fatto proprio per mostrare l’arbitrarietà di tale formula. Visono insomma elementi sufficienti per confermare, come recentemente riba-dito anche da Sen, l’indeterminatezza dei concetti di merito e meritocrazia,che rimandano a un sistema di valori e di opinioni soggettive per essere riem-piti di significato27.

L’ambiguità del concetto di merito si allarga ulteriormente se visto in rap-porto al mercato. Fino a che punto si può parlare del processo di mercatocome di un meccanismo allocativo che valorizza il merito? Anche in questocaso è possibile una risposta unitaria. Se pure in forme diverse, tutti e tre gliautori negano in modo risoluto che il merito, qualunque definizione di essosi voglia dare, sia in qualche forma legato ai meccanismi di mercato. Il piùesplicito in questa direzione è naturalmente Hayek. nella sua teoria troviamouno degli attacchi più devastanti all’idea che il merito possa diventare un cri-terio distributivo. La sua critica è principalmente rivolta a chi vorrebbe sosti-tuire l’ordine spontaneo generato dal mercato con un ordine deliberato basa-to su un qualsivoglia criterio di giustizia. Ma è da sottolineare il fatto cheanche la rivendicazione del merito rientri a suo parere entro la tipologia del-l’ordine deliberato. Il mercato è infatti ritenuto un meccanismo allocativo deltutto impersonale e indifferente al “merito” degli individui, per molti versiaddirittura incompatibile con esso. Se pure con finalità completamente diver-se, la prospettiva di Musgrave appare abbastanza simile. Egli introduce ilconcetto di merito proprio per qualificare quei bisogni – e i corrispondentibeni – che il mercato non riesce a valorizzare. Mentre per quanto riguardaYoung, è del tutto evidente come la sua meritocrazia sia alla fine una societànella quale il riconoscimento del merito non passa per il mercato. I tre auto-ri propongono in sostanza un’immagine del merito come un principio realiz-zabile solo da una “mano visibile” più che dalla “mano invisibile”. L’ideaparadossale che una organizzazione sociale di tipo socialista avrebbe mag-

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27 “Meritocracy, and more generally the practice of rewarding merit, is essentially underdefined, and wecannot be sure about its content – and thus about the claims regarding its ‘justice’ – until some further spe-cifications are made (concerning, in particular, the objectives to be pursued, in term of which merit is tobe, ultimately, judged). The merit of actions – and (derivatively) that of persons performing actions – can-not be judged independent of the way we understand the nature of a good (or an acceptable) society” (Sen2000: 5-6).

giori potenzialità nel mettere in pratica il criterio del merito non è forse deltutto peregrina per gli autori qui discussi28.

Un ulteriore elemento rafforza questa conclusione. Il mercato è del tuttoindifferente alla pre-condizione essenziale di ogni meritocrazia, l’assenza dicorrelazione tra posizione sociale e origine familiare.

“There is no meritocracy prior to establishment of equal opportunity. Thisshould act as a precondition to any discussion of meritocracy. As long as thefamily and class background have an influence on a person’s outcome, thedistribution of social goods are not distributed entirely on merit. In its ideal,it is only after these factors are eliminated that the distribution of goods andpositions can be based on merit” (Longoria 2008: 4).

Il concetto di merito è in sostanza molto esigente. Preso alla lettera com-porta un rovesciamento di molti istituti che reggono le società di mercato, apartire dalla trasmissione patrimoniale intergenerazionale. Un motivo in piùper un uso più parsimonioso di questo concetto, a meno di accoglierne la filo-sofia sociale che esso incarna. Proprio l’orizzonte della filosofia sociale per-mette di concludere con alcune osservazioni riguardanti l’educazione.

Hayek non ha esitazioni nel prendere le distanze dall’idea che il sistemaeducativo sia uno strumento per eguagliare le opportunità degli individui erendere possibile la corrispondenza tra merito e posizione sociale. Pur con-cedendo che lo Stato debba farsi carico di una parte delle spese, egli rifiuta laprospettiva di un sistema educativo prevalentemente pubblico. Anche in que-sto ambito dovrebbe essere il mercato il giudice supremo, lasciando la libertàai soggetti di scegliere quantità e qualità dell’istruzione. Poiché è impossibi-le, oltre certi livelli d’istruzione, concedere a tutti questa opportunità di scel-ta, vi saranno per forza criteri di ammissione selettivi. Hayek è però scetticosulla possibilità di avvalersi del merito per questa selezione: senza ipocrisie,riconosce pertanto che l’educazione – come del resto l’eredità genetica, l’e-redità patrimoniale e in genere la famiglia – sono fattori che concedono “van-taggi” a qualcuno indipendentemente dal suo merito.

La spettrale descrizione della società meritocratica del XXI secolo propo-sta da Young offre a Hayek ulteriori elementi di supporto per questa tesi. Lefinalità di Young sono tuttavia profondamente diverse da quelle di Hayek.Young propone una visione disincantata e disillusa della meritocrazia non persmantellare ma per ribadire il valore dell’uguaglianza di opportunità. Egliavversa soltanto il travisamento subito da questo ideale. La convergenza di

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28 Willetts (2006: 239) ha recentemente ricordato la provocatoria affermazione di John Goldhorpe secon-do cui “if you want an example of a society that efficiently matches ability with occupation, using the stateto do so, then the model is probably the postwar Soviet Union”.

due tradizioni antitetiche come quella socialista e quella che si richiama all’e-redità di Francis Galton ha trasformato l’idea di uguaglianza di opportunitàin un sistema rigidamente selettivo, arrivando a inficiare in modo irrimedia-bile il fine dell’educazione. Essa è diventata strumentale al processo di sele-zione delle élite, abbandonando ogni sua aspirazione emancipatoria. PerYoung questo rimaneva invece il fine fondamentale dell’educazione, a pre-scindere da ogni considerazione sul merito degli individui.

L’indirizzo di ricerca avviato da Musgrave sembrerebbe estraneo a questoordine di problemi. Egli introduce il concetto di merito non con riferimentoalle capacità delle persone ma ai bisogni ritenuti meritevoli. Ma l’archetipodi tale tipo di bisogni è appunto ritenuto l’istruzione, e la disputa tra Hayek eYoung si gioca non tanto sulla prospettiva di una improbabile società meri-tocratica quanto sulla scelta di considerare o meno l’istruzione universalecome un bisogno meritorio. A cinquant’anni di distanza da questi dibattiti, èdavvero un’ironia della storia che la meritocrazia abbia guadagnato così tantoconsenso proprio nel momento in cui ne va perdendo l’istruzione come benemeritorio.

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Studi e Note di Economia, Anno XVI, n. 2-2011228