I. Montis, “Analisi di Immagini telerilevate dell’area archeologica di Tell Afis (Siria)”,...

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1 Analisi di Immagini telerilevate dell’area archeologica di Tell Afis e proposte interpretative INDICE INTRODUZIONE................................................................................................... 3 1. TELL AFIS E IL JAZR ......................................................................................... 5 1.1 STORIA DELLE RICERCHE .................................................................... 5 1.2 SINTESI STORICO-ARCHEOLOGICA ..................................................... 7 1.3 CARATTERISTICHE GEOAMBIENTALI DELLAREA DI STUDIO............. 11 2. IL TELERILEVAMENTO IN ARCHEOLOGIA.....................................................14 2.1 IL TELERILEVAMENTO: DEFINIZIONE E PRINCIPI ............................. 14 2.2 APPLICAZIONI DI TELERILEVAMENTO IN AMBITO ARCHEOLOGICO 17 2.2.1 Telerilevamento e archeologia dagli anni 70’ agli anni 90’ ................... 18 2.2.2 La rivoluzione dei satelliti ad alta risoluzione spaziale e le connessioni con l’aerofotointerpretazione ...................................................... 20 2.2.3. L’uso di immagini Ikonos e Quickbird in archeologia......................... 25 2.3 TELERILEVAMENTO E GIS: LUSO DEI SISTEMI INFORMATIVI GEOGRAFICI IN ARCHEOLOGIA .............................................................. 30 3. OBIETTIVI E METODI DELLA RICERCA ...........................................................34 3.1 OBIETTIVI DELLO STUDIO ................................................................ 34 3.2 IL DATA SET ..................................................................................... 36 3.2.1 L’Immagine Quickbird ............................................................................ 36 3.2.2 L’Immagine Landsat ............................................................................... 38 3.2.3 Cartografia ................................................................................................ 39 3.3 METODOLOGIA IMPIEGATA ............................................................. 41 3.3.1 Analisi ed elaborazione delle immagini Quickbird............................... 41 3.3.2 Classificazione degli elementi individuati ............................................. 46 3.3.3 Il GIS: dall’elaborazione del Geodatabase al popolamento .................. 48 3.3.4 Il Modello digitale del terreno: costruzione e uso ................................. 52 4. ANALISI E SINTESI DEI RISULTATI .................................................................57 4.1 CATALOGO DELLE ANOMALIE E PROPOSTE INTERPRETATIVE ........... 57 4.1.1 Elementi di potenziale interesse Archeologico ...................................... 57 4.1.2 Elementi di interesse Geomorfologico e geoambientale ....................... 66 4.1.3 Tracce di incerta interpretazione............................................................. 81 4.2 REALIZZAZIONE DELLA CARTA TEMATICA ........................................ 82 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE .........................................................83 5.1 LA NECESSITÀ DI UNA VERIFICA SUL CAMPO..................................... 83 5.2 ELEMENTI OSSERVATI E POSSIBILI ELABORAZIONI DEI DATI............. 85 5.3 INTEGRAZIONE DEI DATI ACQUISITI CON ALTRE FONTI .................... 90

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Analisi di Immagini telerilevate dell’area archeologica di Tell Afis e proposte interpretative

INDICE INTRODUZIONE................................................................................................... 3 1. TELL AFIS E IL JAZR ......................................................................................... 5

1.1 STORIA DELLE RICERCHE .................................................................... 5 1.2 SINTESI STORICO-ARCHEOLOGICA ..................................................... 7 1.3 CARATTERISTICHE GEOAMBIENTALI DELL’AREA DI STUDIO............. 11

2. IL TELERILEVAMENTO IN ARCHEOLOGIA.....................................................14 2.1 IL TELERILEVAMENTO: DEFINIZIONE E PRINCIPI ............................. 14 2.2 APPLICAZIONI DI TELERILEVAMENTO IN AMBITO ARCHEOLOGICO 17

2.2.1 Telerilevamento e archeologia dagli anni 70’ agli anni 90’................... 18 2.2.2 La rivoluzione dei satelliti ad alta risoluzione spaziale e le connessioni con l’aerofotointerpretazione...................................................... 20 2.2.3. L’uso di immagini Ikonos e Quickbird in archeologia......................... 25

2.3 TELERILEVAMENTO E GIS: L’USO DEI SISTEMI INFORMATIVI GEOGRAFICI IN ARCHEOLOGIA .............................................................. 30

3. OBIETTIVI E METODI DELLA RICERCA ...........................................................34 3.1 OBIETTIVI DELLO STUDIO ................................................................ 34 3.2 IL DATA SET ..................................................................................... 36

3.2.1 L’Immagine Quickbird ............................................................................ 36 3.2.2 L’Immagine Landsat ............................................................................... 38 3.2.3 Cartografia ................................................................................................ 39

3.3 METODOLOGIA IMPIEGATA ............................................................. 41 3.3.1 Analisi ed elaborazione delle immagini Quickbird............................... 41 3.3.2 Classificazione degli elementi individuati ............................................. 46 3.3.3 Il GIS: dall’elaborazione del Geodatabase al popolamento.................. 48 3.3.4 Il Modello digitale del terreno: costruzione e uso ................................. 52

4. ANALISI E SINTESI DEI RISULTATI .................................................................57 4.1 CATALOGO DELLE ANOMALIE E PROPOSTE INTERPRETATIVE ........... 57

4.1.1 Elementi di potenziale interesse Archeologico...................................... 57 4.1.2 Elementi di interesse Geomorfologico e geoambientale....................... 66 4.1.3 Tracce di incerta interpretazione............................................................. 81

4.2 REALIZZAZIONE DELLA CARTA TEMATICA ........................................ 82 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE .........................................................83

5.1 LA NECESSITÀ DI UNA VERIFICA SUL CAMPO..................................... 83 5.2 ELEMENTI OSSERVATI E POSSIBILI ELABORAZIONI DEI DATI............. 85 5.3 INTEGRAZIONE DEI DATI ACQUISITI CON ALTRE FONTI .................... 90

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5.4 CONSIDERAZIONI FINALI.................................................................. 92 GLOSSARIO ........................................................................................................94 BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................108 TAVOLE ............................................................................................................115

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INTRODUZIONE Questo studio si propone di dare un contributo nuovo alle ricerche

su Tell Afis e il suo territorio, utilizzando una tecnica d’indagine non invasiva, il telerilevamento, tramite cui è possibile analizzare a distanza vaste porzioni di territorio in modo dettagliato. L’analisi di dettaglio che è possibile effettuare tramite il telerilevamento è oggi, grazie ai progressi tecnologici risalenti agli ultimissimi anni, del tutto idonea ad affrontare un’ampia gamma di problematiche relative alla ricerca archeologica.

Molto in breve dunque, la ricerca è focalizzata su un’area grossomodo quadrata delle dimensioni di circa 10x10 km, circostante il sito di Tell Afis, e corrispondente all’estensione dell’immagine satellitare Quickbird a nostra disposizione. Tramite l’analisi dettagliata di quest’ultima si intende individuare da un lato, tutte le possibili tracce ipoteticamente riferibili ad attività antropiche svoltesi nel passato e quindi di potenziale interesse archeologico, dall’altro tutte le discontinuità ed anomalie che possono essere utili per la caratterizzazione geomorfologica del territorio, anch’essa di fondamentale importanza nella ricostruzione del paesaggio antico.

Dopo un primo capitolo introduttivo dedicato alla storia degli studi e ad un inquadramento storico e archeologico del sito di Tell Afis, si è ritenuto opportuno dedicare il secondo capitolo al telerilevamento in generale e più nello specifico alle sue applicazioni in campo archeologico. Questo perchè nonostante i successi e il crescente numero di applicazioni di questi ultimi anni, si tratta ancora di un metodo relativamente nuovo in archeologia, i cui fondamenti teorici e metodologici sono in ambito archeologico, sconosciuti o quasi ai più.

Nel capitolo 3, si entra invece nel vivo della ricerca, con un’esposizione dettagliata degli obiettivi dello studio, delle caratteristiche di tutti i dati utilizzati e dei metodi utilizzati nel corso della ricerca. I primi sono rappresentati principalmente delle immagini satellitari e delle fonti cartografiche. Per quanto riguarda i metodi invece, oltre all’applicazione di tecniche di telerilevamento, tra le quali rientrano il trattamento e l’elaborazione delle immagini, ma anche i metodi di analisi visuale in parte derivati dalla fotointerpretazione, una parte importante è rappresentata dall’elaborazione di un GIS ad hoc in grado di contenere e rappresentare in modo efficace tutti i dati utilizzati nel corso dello studio, assolvendo la funzione di insostituibile supporto alle fasi di analisi ed elaborazione dei dati.

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Gli elementi di interesse individuati sono stati classificati in modo preliminare e vengono qui presentati sotto forma di catalogo, corredato da immagini che rappresentano nel modo più esauriente possibile i fenomeni osservati. Infine si propone una sintesi interpretativa dei risultati ottenuti, che sono stati rappresentati anche sotto forma di carta tematica, che viene qui allegata al lavoro.

Infine, sebbene tutti i termini tecnici siano stati spiegati nel testo si è ritenuto utile allegare un glossario, che permette una più agevole lettura e comprensione del lavoro anche ai non esperti in materia di telerilevamento e GIS.

Desidero ringraziare innanzitutto la Prof.ssa Stefania Mazzoni, per

aver avuto fiducia in me ed aver acconsentito all’acquisto dell’immagine satellitare Quickbird senza la quale sarebbe stato impossibile svolgere questa ricerca; e la Dott.ssa Susanna Melis, per aver seguito con interesse e disponibilità non comune tutte le fasi del lavoro, dandomi pareri, consigli e suggerimenti per me indispensabili.

La presente ricerca è stata svolta grazie ai software messi al disposizione dal Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena nell’ambito del master in “Geotecnologie per l’archeologia” al quale la sottoscritta ha partecipato nell’anno accademico 2006/07 , dunque ringrazio il CGT e in particolare il Dott. Riccardo Salvini e la Dott.ssa Giovanna Pizziolo.

Ringrazio infine il Dott. Paolo del Vesco, per avermi permesso di utilizzare alcuni dati relativi alle prospezioni nel Jazr, da me inseriti nel GIS.

Avvertenze

Tutte le immagini inserite nelle tavole sono orientate verso Nord.

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1. TELL AFIS E IL JAZR

1.1 STORIA DELLE RICERCHE1 Il sito di Tell Afis2, adiacente all’omonimo centro moderno, si trova

nella Siria nord-occidentale, nel distretto di Idlib, circa 50 km a sudovest di Aleppo. Qui il primo importante ritrovamento archeologico ebbe luogo nel 1903, quando un console francese rinvenne una stele, ora conservata al Louvre, inscritta in aramaico e databile all’inizio dell’VIII secolo a.C. La stele fu fatta incidere dal re Zakkur, che narra di aver liberato la città di Hazrek e di averla ricostruita. In seguito a tale ritrovamento Tell Afis fu identificata, pur con qualche incertezza, con Hazrek, capitale all’inizio dell’VIII secolo e in seguito (probabilmente attorno al 738) conquistata dagli Assiri.

I primi scavi archeologici furono condotti negli anni 70’ (per la precisione nel 1970, 1972 e 1978) dall’Università di Roma La Sapienza, sotto la direzione di P. Matthiae e interessarono la parte occidentale dell’acropoli, dove furono messi in luce i resti di un edificio pubblico monumentale risalente all’Età del Ferro, in cattivo stato di conservazione, che in base alla planimetria, solo parzialmente leggibile, fu ipoteticamente interpretato come un bit khilani, il tipo di palazzo cerimoniale diffuso nelle coeve capitali dei regni siro-anatolici3.

A partire dal 1986, le ricerche ripresero in modo sistematico con campagne annuali, sotto la direzione di S.Mazzoni e S.M.Cecchini, con la partecipazione di numerosi ricercatori e studenti provenienti dalle Università di Pisa, Bologna e Roma La Sapienza.

Le prime campagne ebbero come obiettivo principale la definizione della sequenza dell’Età del Ferro, e per questo si svolsero indagini nel settore meridionale della città bassa (area D), dove si rinvennero edifici abitativi databili nel corso dei secoli VIII e VII. Le ricerche sull’acropoli ripresero subito dopo, con l’apertura nel 1988, dell’area E sul pendio occidentale di questa. La trincea aperta con l’intenzione di indagare le fasi più antiche dell’insediamento, permise di mettere in luce, negli anni successivi, tra le altre cose, alcuni tratti delle fortificazioni dell’acropoli, relativi alle fasi del Medio Bronzo e del Tardo Calcolitico. Proprio la

1 In questo paragrafo si intende riassumere brevemente la storia delle ricerche condotte a Tell Afis e nel suo territorio. I risultati preliminari delle campagne sono pubblicati in Mazzoni 1987, Cecchini 1987, Mazzoni 1992, Mazzoni-Cecchini 1998, Tell Afis 1994, Tell Afis 1999, Tell Afis 2000-2001, Tell Afis 2002-2004. 2 Tav.I, fig. 1 e 2. 3 Matthiae 1979.

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scoperta di una fortificazione urbana così complessa già nel Tardo Calcolitico mostra l’importanza dell’insediamento in un’ epoca così antica e ha permesso di riconsiderare la problematica della formazione delle società complesse in Siria4. In questi stessi anni furono aperti anche i settori F, nell’area settentrionale delle mura della città bassa, e G, nella parte orientale dell’acropoli. In quest’ultimo settore si rinvenne una corte accuratamente pavimentata, delle dimensioni di 15x15 m, databile alla fine del Ferro II, che presenta caratteristiche architettoniche finora senza confronti.

Negli anni successivi furono di fondamentale importanza l’ampliamento delle indagini nell’area E, che permisero di mettere in luce edifici monumentali risalenti al Bronzo Tardo, come la cosiddetta Residenza e l’Edificio a Pilastri, caratterizzato appunto da un grande vano con una serie di pilastri monolitici, ma anche di indagare in modo più esaustivo le caratteristiche dell’abitato del Ferro I, mettendo in luce una serie di strutture domestiche di questo periodo. Le ricerche nell’area B, nell’area più settentrionale delle mura della città bassa, iniziate nel 1999, mettendo in luce un lungo tratto delle mura del Bronzo Medio, permisero di giungere ad un’importante conclusione: già nel Medio Bronzo la città si estendeva anche nella città bassa, mostrando con questo la sua notevole estensione, che già nel Bronzo Medio doveva avvicinarsi a quella raggiunta nell’Età del Ferro, epoca della sua massima importanza politica .

Tra le scoperte più interessanti degli anni successivi, c’è quella, effettuata nell’area E, relativa ad un’area artigianale per la lavorazione della ceramica, testimoniata dalla scoperta di diverse fornaci, e di aree adibite ad altre attività produttive, di cui è documentato l’uso nei periodi del Bronzo Antico IV e Bronzo Medio iniziale.

Nel 2000 riprendono le ricerche nell’area A, cioè nell’area, situata nella parte occidentale dell’acropoli che era stata interessata dai primi scavi compiuti negli 70’ da Matthiae. Gli edifici già scavati vengono quindi rimessi in luce e ripuliti, successivamente lo scavo dell’area viene ampliato verso ovest e si scende maggiormente in profondità. Poco più a est viene invece aperta l’area J, con l’obiettivo primario di indagare la presunta area di accesso alla cittadella. La natura cerimoniale e pubblica degli edifici che si trovavano in quest’area dell’acropoli, nonostante lo scarso stato di conservazione dovuto alle spoliazioni protrattesi per lungo tempo, è mostrata da vari elementi, primo tra tutti l’imponenza delle fondazioni in pietra di questi edifici, la scoperta nell’area J, di un’area

4 Mazzoni 1998, p.10.

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pavimentata a cielo aperto nella quale si trovava un podio, di indubbio carattere cerimoniale, e di uno stipite monolitico monumentale. Nell’area A, ancora ampliata verso sud contiguamente all’area J, è stata fatta negli ultimissimi anni una scoperta molto importante, rappresentata da diversi edifici cultuali databili complessivamente all’Età del Ferro e tutt’ora in corso di scavo, che confermano ulteriormente il carattere pubblico e monumentale di quest’area della cittadella nell’Età del Ferro.

Infine, lo scavo di diversi settori dell’area N, situata al limite orientale della cittadella, ha permesso di chiarire ulteriormente la complessa problematica delle mura, mettendo in luce ampie porzioni di fortificazioni risalenti al Bronzo Medio e al Ferro I, caratterizzate da differenti tecniche costruttive.

Nel corso degli anni, a partire dalla ripresa delle indagini nel 1985-1986 le campagne di scavo sul sito sono state affiancate dalle prospezioni sul territorio5, che interessano l’intera piana del Jazr, che si protende a nord di Afis, e nella quale si trovano diversi Tell6. Le prospezioni allo stesso tempo archeologiche e geoarcheologiche hanno diversi obiettivi, integrati fra loro. In primo luogo sono indirizzate alla raccolta di materiale archeologico effettuata principalmente nei Tell, allo scopo di definirne la sequenza e ricostruire l’urbanizzazione dell’intera zona nelle diverse epoche, definendo così l’assetto territoriale e il rapporto fra i siti in prospettiva diacronica. Le prospezioni geoarcheologiche sono invece finalizzate all’analisi dei caratteri geologici e geomorfologici principali dell’area, allo scopo di individuarne le risorse naturali e delineare le principali dinamiche di trasformazione, per giungere ad una ricostruzione del paesaggio antico che sia in grado di spiegare le scelte insediative e l’antropizzazione del territorio.

1.2 SINTESI STORICO-ARCHEOLOGICA Come si è visto nel paragrafo precedente, oltre vent’anni di ricerche

hanno permesso di delineare i tratti fondamentali della storia del sito di Tell Afis, e in questi ultimi anni anche di chiarire, seppur a grandi linee anche quella del suo territorio.

Una delle caratteristiche più importanti di Tell Afis è la continuità dell’insediamento, che copre un arco cronologico che va dal Calcolitico all’Età Persiana. La scoperta delle poderose mura megalitiche risalenti al Tardo Calcolitico, messe in luce nell’area E1, nel pendio occidentale

5 Relazioni preliminari sulle attività di survey in: Mazzoni 2000, Giannessi 2000, Boschian 2000, Mazzoni 2005, Melis 2005. 6 Tav.II.

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dell’acropoli, all’inizio degli anni 90’7, permette infatti di affermare che già in quest’epoca la complessità e l’importanza dell’insediamento sono notevoli. Questo significa che l’occupazione del sito, come tra l’altro è mostrato anche da alcuni ritrovamenti di ceramica residua, è da collocare molto più indietro nel tempo, probabilmente nel Tardo Neolitico8. I rinvenimenti più recenti effettuati nell’area N, in particolare la scoperta di ceramica databile al Tardo Calcolitico rinvenuta inglobata nel più tardo terrapieno risalente al Bronzo Medio, fanno inoltre ipotizzare che all’epoca della costruzione di queste prime mura, ma probabilmente anche prima, la parte centrale del Tell fosse già stata interamente occupata9.

Il periodo del Bronzo Antico ad Afis è meglio documentato nella sua fase finale (BA IV), piuttosto che nella prima parte (BA I-III). Tra i rinvenimenti relativi al Bronzo Antico IV ci sono alcuni ambienti a destinazione domestica, messi in luce nell’area E1, che si sovrapponevano alla cinta megalitica tardo-calcolitica10, e la scoperta, effettuata nell’area E3 in seguito alla rimozione dei resti delle fortificazioni del Bronzo Medio e dei vani adiacenti ad esse, di una vasta area artigianale destinata alla produzione di ceramica, nella quale sono state rinvenute diverse installazioni tra cui più fornaci11.

Il Bronzo Medio si configura invece come uno dei periodi di massima espansione urbanistica, testimoniata in primo luogo dalla costruzione di complesse fortificazioni, che in questa fase cingono sia l’acropoli, che la città bassa. Per quanto riguarda l’acropoli, fortificazioni databili al Bronzo Medio, sono infatti state messe in luce dapprima nell’area E1, lungo il pendio occidentale dell’acropoli, dove esse si sovrapponevano a quelle tardo-calcolitiche12; e in questi ultimi anni nell’area N2, sul versante opposto dell’acropoli, dove l’indagine ha mostrato la complessità delle opere di fortificazione, delle quali nel corso dello stesso Bronzo Medio sono identificabili varie fasi costruttive caratterizzate da diverse tecniche, che culminano nella realizzazione, alla fine del periodo (Bronzo Medio II), di un massiccio terrapieno (o rampart) nel quale vengono inglobati i resti delle mura delle fasi precedenti13.

7 Giannessi 1998, p.101-103. 8 Mazzoni 2005, p.6. 9 Cecchini 2005, p.79. 10 Giannessi 1998, pp.103-104; Merluzzi 1996; Giannessi 1996 11 Felli-Merluzzi 2005, pp.45-52. 12 Giannessi 1998, p.104, Felli 2000, pp.12-14. 13 Di Michele 2005, pp.82-85.

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Testimonianze delle mura che in questo stesso periodo cingevano la città bassa sono invece quelle rinvenute nell’area B, nella parte più settentrionale del Tell, dove è stato esposto per una lunghezza di circa 25 m, un muro in mattoni crudi dello spessore di 3,5 m14. A questo proposito è da notare come già in quest’epoca così antica le fortificazioni comprendano anche la città bassa, e l’insediamento raggiunga quindi una notevole estensione, forse di poco inferiore a quella che lo caratterizzerà nelle epoche successive.

Il Tardo Bronzo, in particolare nella sua fase finale, è documentato da alcuni importanti rinvenimenti effettuati nell’area E, tra i quali edifici monumentali come la Residenza e l’Edificio a pilastri15, caratterizzato dalla presenza di pilastri rettangolari in pietra allineati. Più a nord, sempre nell’area E, sono stati scavati alcuni ambienti con funzione abitativa e di stoccaggio di derrate, nei quali sono state rinvenute chiare tracce di incendio16, così come nella non lontana Residenza, che, databili alla fine del XIII secolo, documentano che il passaggio tra Tardo Bronzo e Ferro I fu in parte caratterizzato da distruzioni alle quali seguì un temporaneo abbandono.

La rioccupazione del sito e la sua ricostruzione accuratamente pianificata, databili attorno alla metà del XII secolo, mostrano tuttavia una notevole continuità con la fase precedente. Nel Ferro I vengono costruiti nuovi quartieri abitativi, dei quali quelli indagati nell’area E relativamente a più fasi costruttive, costituiscono la testimonianza più completa17. In questo stesso periodo viene anche ricostruita la cinta muraria dell’acropoli, indagata nell’area N118.

Se l’identificazione di Tell Afis con l’Hazrek della stele di Zakkur fosse corretta, il periodo di massima importanza politica della città dovrebbe coincidere con il Ferro II, ossia con l’età aramaica, quando essa assurge a capitale del regno sostituendo la città di Hamat. A quest’epoca e a quella immediatamente successiva appartengono i resti degli edifici monumentali, caratterizzati da fondazioni costruite con grandi blocchi di pietra ben squadrati messi in luce nell’area A19 e nell’adiacente area J20. Inoltre il recente ritrovamento di un frammento di stele con iscrizione in

14 Mazzoni 2000, pp.8-10; Repiccioli-Giannessi-Aletta 2002; 15 Venturi 2000, Venturi 2002. 16 Pedrazzi 2002, Pedrazzi 2005. 17 Per i rapporti preliminari delle ultime campagne di scavo: Venturi 2005, Pedrazzi 2005, Chiti 2005. 18 Affanni 2005. 19 D’Amore 2005, Soldi 2005. 20 Oggiano-Del Vesco-Melchiorri 2005

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aramaico21, databile alla fine del IX secolo, proveniente dall’area A, e la recentissima scoperta di più edifici cultuali, sempre in questa zona, sembra confermare sia il carattere pubblico e cerimoniale degli edifici che qui si trovavano, sia la loro appartenenza all’epoca aramaica, dati che rafforzano l’identificazione di Tell Afis con Hazrek22. A questa stessa epoca è databile anche l’enigmatica corte dell’area G, un monumento unico nel suo genere, databile alla fine del Ferro II, costituito da un’ampia corte di 15x15 m accuratamente pavimentata, infossata rispetto al piano di campagna relativo alla sua epoca, e realizzata tagliando per una profondità di circa 5 m i resti del precedente insediamento di Ferro I-Ferro II iniziale23.

L’abitato del Ferro II e III è invece stato indagato nell’area meridionale della città bassa, nell’area D, il cui scavo effettuato negli anni 80’ è stato fondamentale per la messa a punto della sequenza ceramica del Ferro II e III; e nell’area B2, dove sono stati indagati alcuni ambienti a destinazione domestica, il cui periodo d’uso corrisponde al Ferro II, i quali furono successivamente obliterati dalla costruzione della nuova cinta muraria della città bassa, in un’epoca compresa tra la fine del Ferro II e l’inizio del Ferro III24. Le fortificazioni della città bassa databili alla fase di Ferro II-III, sono state indagate estesamente nell’area B25: esse sono costituite da un muro rettilineo in mattoni, spesso circa 5m, senza fondazioni, che si imposta sulle precedenti fortificazioni risalenti al Bronzo Medio. Non è ancora chiaro tuttavia se queste mura devono essere attribuite alla fase aramaica del sito o piuttosto a quella neoassira26.

La fase finale del Ferro III, corrispondente all’epoca neoassira, e la successiva età persiana, sono invece meno documentate: i materiali databili a queste fasi infatti non sono associabili ad alcuna struttura. Questo è spiegabile con la concomitanza di vari fattori tra cui i più importanti sembrano essere costituiti dai processi di erosione a cui la superficie del Tell è stata esposta dopo l’abbandono del sito, che chiaramente hanno maggiormente colpito i livelli più recenti, e dalle spoliazioni, cominciate forse subito dopo l’abbandono e protrattesi per lungo tempo, e che anche in questo caso, hanno colpito i resti più recenti, ma non solo, come mostra in particolare lo stato in cui sono stati

21 Amadasi Guzzo 2005, pp. 21-23. 22 Mazzoni 2005, p.13. 23 Cecchini 2000, pp.19-22. 24 Virgilio 2005. 25 Per i rapporti preliminari sugli scavi delle fortificazioni del Ferro II-III nell’area B vedi: Mazzoni 2000, Mazzoni 2002, Virgilio 2002, Maggioli 2002, Virgilio 2005, Scigliuzzo 2005. 26 Cfr Mazzoni 2002, p.19 e Mazzoni 2005, p.13.

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rinvenuti gli edifici monumentali dell’acropoli e la presenza di materiale appartenente a varie epoche rinvenuto nei riempimenti delle enormi fosse di spoliazione.

1.3 CARATTERISTICHE GEOAMBIENTALI DELL’AREA DI STUDIO Tell Afis si trova nella zona meridionale della piana che nelle fonti

medievali è nota con il nome di Jazr27, una fertile pianura alluvionale delimitata da basse colline calcaree, nella quale la vegetazione naturale è praticamente assente. Il paesaggio è infatti oggi caratterizzato dalla presenza quasi esclusiva dei campi coltivati, interrotti solo dagli oliveti e da centri abitati di modeste dimensioni.

Da un punto di vista geologico, l’area a nord di Afis si caratterizza per la presenza di depositi del Quaternario, di calcari organogeni che delimitano la piana e affiorano all’interno di essa, e in misura minore soprattutto ad ovest di Afis, conglomerati, marne e arenarie del Terziario28.

Da un punto di vista geomorfologico29, la piana del Jazr è un’area fondamentalmente chiusa, caratterizzata da una zona più depressa nella parte centrale, colmata progressivamente per effetto dei depositi dei corsi d’acqua durante il Pleistocene30. I suoli31 sono costituiti principalmente da due tipi32: terre rosse di matrice fondamentalmente argillosa, originate dall’alterazione del substrato calcareo, ricche di ciottoli, la cui presenza è invece da mettere in relazione principalmente coi processi alluvionali e di versante33; e vertisuoli, cioè suoli argillosi con scarso scheletro, che si caratterizzano anche per la presenza di crepe da dissecamento e hanno uno spessore molto maggiore rispetto ai precedenti34. Entrambi questi tipi di suolo sono adatti all’agricoltura, ma i vertisuoli, che caratterizzano la parte più depressa della piana, sono adatti a tutti i tipi di colture ed anche ad un’agricoltura di tipo intensivo, mentre le terre rosse, situate in corrispondenza delle zone marginali della piana e dove il calcare è in prossimità della superficie, sono più adatte per coltivazioni come quella dell’olivo, anche se non è escluso il loro utilizzo per la coltivazione dei cerali.

27 Tav. II. 28 Tav.III, fig.2. 29 Vd. Carta geomorfologica: Tav.IV. 30 Melis 2005, p.15. 31 Vd. Carta dei suoli: Tav.V. 32 Boschian 2000, pp.52-53. 33 Tav.III, fig.1. 34 Tav. III, fig.3.

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Gli affioramenti calcarei interni alla piana, da molto tempo erosi dall’azione dei corsi d’acqua, formano oggi dei modestissimi rilievi isolati, con la roccia nuda che spesso affiora in superficie o è coperta da sottili strati di terra rossa. Il calcare che costituisce il substrato della piana, da sempre usato come materiale da costruzione, come si può vedere a Tell Afis ma anche nei resti, visibili in tutta la zona, di costruzioni tardo romane e bizantine, è ancora oggi estratto in diverse cave sparse sul territorio, alcune delle quali sono ben visibili nelle immagini satellitari Quickbird35.

L’idrografia è oggi costituita principalmente da wadi, ossia corsi d’acqua a regime stagionale, secchi per la maggiorparte del tempo, soggetti talvolta a piene spettacolari che ne modificano il letto; nel Jazr la maggiore o minore incisione degli wadi dipende dalle caratteristiche del terreno36.

Due importanti caratteristiche del terreno, ossia matrice argillosa e abbondanza di materiale ciottoloso, sono all’origine di due fenomeni tipici della zona. Dove la matrice è prevalente sugli inclusi ciottolosi, l’impermeabilità dell’argilla non permette il drenaggio dell’acqua, che quindi, in corrispondenza delle pioggie invernali scorre in superficie, lasciando solchi di ruscellamento anche profondi, visibili ad esempio nei versanti dei tell. In aree molto pianeggianti o leggermente depresse, l’acqua stagna invece in superficie e si assiste quindi alla formazione di temporanee zone paludose37. Dove al contrario il terreno è prevalentemente ciottoloso in superficie, l’acqua viene drenata e si formano falde sotterranee a poca profondità. In presenza di sorgenti scarse seppur presenti, l’acqua nella zona viene attinta principalmente da pozzi, poco profondi, che intercettano queste falde.

Tutte queste caratteristiche, terreno molto fertile e morfologia non accidentata, presenza di acqua, ecc. fanno della piana del Jazr un territorio ideale per lo sfruttamento agricolo, cominciato sicuramente in età molto antica. Le ricognizioni hanno messo in evidenza che la distribuzione dei siti sembra essere condizionato dalla necessità di praticare un’agricoltura intensiva per epoche così antiche: i siti si dispongono infatti preferibilmente ai margini della piana e all’interno di essa su alti morfologici dove affiora il substrato calcareo, cosa che da un lato permette di sfruttare al massimo i terreni più adatti all’agricoltura, dall’altro di porsi in posizione dominante sul territorio e inoltre su un

35 Ad esempio le anomalie 43 e 44, Tav.XX, fig.3. 36 Tav.III, figg. 5 e 6. 37 Tav.III, fig.4.

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terreno ben drenato che non è soggetto agli allagamenti frequenti invece nei terreni più argillosi38.

Riguardo allo sfruttamento antropico del territorio, sarebbe interessante riuscire a valutare in che misura esso ha contribuito, dal Neolitico in poi, alla trasformazione del paesaggio, e in particolare della copertura vegetale del territorio, forse favorendo, in concomitanza con il subentrare di un clima più secco, il prevalere dei processi erosivi attuali su quelli di accumulo39.

38 Boschian 2000, p.54. 39 Cfr Melis 2005, p.17.

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2. IL TELERILEVAMENTO IN ARCHEOLOGIA

2.1 IL TELERILEVAMENTO: DEFINIZIONE E PRINCIPI Esistono diverse definizioni di telerilevamento, tra le quali quella

più ampia, utile soprattutto ad inquadrare concettualmente la disciplina, considera tutto l’insieme degli strumenti e dei metodi che ci permettono di investigare un oggetto senza contatto fisico con esso. Comunemente tuttavia, quando si parla di telerilevamento si fa soprattutto riferimento ad un significato più ristretto del termine, che sebbene non escluda la definizione più ampia che abbiamo dato sopra, si riferisce più in particolare al mondo delle immagini satellitari e tutto ciò che concerne i metodi di acquisizione, elaborazione e soprattutto interpretazione di esse a fini scientifici in relazione ad un’ampia gamma di discipline, tra le quali, con sempre maggior possibilità d’applicazione, l’archeologia.

Il termine inglese remote sensing, sebbene sostanzialmente sinonimo di telerilevamento è invece più vicino alla prima definizione che abbiamo dato, ha cioè un’accezione più ampia rispetto al corrispondente italiano. Viene infatti comunemente utilizzato, oltre che per l’analisi di immagini da satellite, anche per le prospezioni geofisiche (prospezioni geoelettriche, magnetometriche e con uso di GPR) e per prospezioni aeree con strumenti quali ad esempio il LIDAR (Laser Imaging Detection and Ranging).

Tornando al significato più ristretto, quello utilizzato nel presente studio, il telerilevamento è un metodo di indagine fortemente interdisciplinare, poiché può essere utilizzato per acquisire una grande quantità di informazioni qualitativamente diversificate, in tutte le ricerche che hanno una connotazione spaziale. Il suo campo d’applicazione varia anche in relazione alle caratteristiche dei sensori, spesso progettati specificamente per determinati scopi, come ad esempio i satelliti metereologici, spaziando dagli studi sul clima e di monitoraggio delle condizioni della Terra, agli studi oceanografici, ad analisi ad una scala territoriale più ristretta, come gli studi sull’agricoltura, sulla biomassa, alle applicazioni in campo geologico, archeologico, ed altro ancora.

Molto sinteticamente, per spiegare su quali basi si fonda questo metodo di indagine, possiamo dire che le informazioni provenienti dalla superficie terrestre vengono registrate dai cosiddetti sensori, posti su satelliti in orbita attorno al nostro pianeta, e convertite poi in immagini digitali. Quello che il sensore registra in realtà è una grandezza fisica denominata radianza, che semplificando al massimo possiamo definire

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come l’insieme dell’energia elettromagnetica proveniente dalla Terra che il sensore è in grado di captare in base alle caratteristiche tecniche che lo contraddistinguono e ad altri fattori.

L’energia elettromagnetica infatti si propaga nella spazio sotto forma di onde sinusoidali che variano in lunghezza da frazioni di micron a pochi centimetri e che si trasmettono con una frequenza che è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda. Così come i nostri occhi sono fatti per captare solo le onde di lunghezza variabile da 0,4 a 1,7 micron, intervallo noto come “regione del visibile”40, così ogni sensore utilizzato nel telerilevamento è progettato specificamente per registrare informazioni provenienti da un determinato intervallo di lunghezze d’onda che può corrispondere o meno, in tutto o in parte, con quello visibile all’occhio umano.

Per capire quali siano le reali potenzialità informative di questi dati sono necessarie alcune brevi considerazioni sul rapporto tra gli oggetti a terra (qualsiasi corpo presente sulla superficie terrestre) e l’energia elettromagnetica. Per prima cosa, ogni corpo con temperatura superiore a 0°, è in grado di emettere energia elettromagnetica, ma cosa ancora più importante, esso riflette e/o assorbe, in proporzioni variabili per ogni corpo e strettamente dipendenti dalle caratteristiche fisiche di esso, l’energia elettromagnetica proveniente dal Sole. La capacità di un oggetto di riflettere la luce, detta riflettanza, è una grandezza fondamentale nel telerilevamento, in quanto l’energia registrata dal sensore è l’energia riflessa dalla superficie terrestre. La cosiddetta curva di riflettanza o firma spettrale (spectral signature) è un grafico, caratteristico di ogni oggetto, che rappresenta la variazione dei valori di riflettanza al variare della lunghezza d’onda41. Questo strumento è molto utile nell’analisi dei dati telerilevati, in quanto conoscendo l’andamento tipico di tale grafico per una determinata categoria di oggetti (sono presenti vere e proprie librerie di firme spettrali sia nei software specifici per l’elaborazione di immagini telerilevate che su internet), è possibile confrontarlo con le firme spettrali ricavate dalle immagini al fine di permettere un riconoscimento “spettrale” degli oggetti rappresentati dalle immagini. Questo è il procedimento utilizzato nelle classificazioni automatiche e semiautomatiche delle immagini e permette, ovviamente entro certi limiti, il riconoscimento degli elementi da analizzare anche quando non sia possibile adottare altri tipi di approccio, ad esempio basati sul

40 Vd. Schema in fig.1, Tav. VI. 41 Vd. Ad esempio le curve che rappresentano gli elementi più caratteristici dell’immagine Quickbird utilizzata nella presente ricerca: Tav.IX.

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riconoscimento formale, per l’inadeguatezza della risoluzione spaziale dei dati, cioè per la scarsità di dettaglio delle immagini. Da questo si capisce da un lato come queste procedure siano utili soprattutto in indagini a larga scala, e dall’altro come siano state fondamentali sino a poco tempo fa, prima dell’avvento dei satelliti commerciali ad alta risoluzione spaziale, che hanno in parte rivoluzionato il mondo del telerilevamento, inaugurando nuovi campi d’indagine e nuove procedure di analisi.

Come detto in precedenza i sensori registrano però la radianza, e non direttamente la riflettanza degli oggetti a terra, poichè entrano in gioco anche altri fattori, quali l’elevazione solare al momento della ripresa e la cosiddetta path radiance, ossia il fenomeno di riflessione dell’atmosfera che si somma all’energia proveniente dalla superficie terrestre. Per questo nel telerilevamento sono importantissime le procedure di elaborazione che permettono, in base alla conoscenza dei parametri di acquisizione dell’immagine e di procedimenti fondati su basi teoriche, di ricostruire a partire dall’immagine di radianza, la cosiddetta immagine di riflettanza.

Vediamo ora molto brevemente come si passa dall’energia elettromagnetica registrata dal sensore all’immagine digitale, ossia il dato che si presenta davanti ai nostri occhi quando ci accingiamo a compiere un’indagine scientifica utilizzando i metodi del telerilevamento. In un sensore pancromatico, l’energia captata viene quantificata numericamente, e convertita in un’ immagine digitale nella quale il valore numerico di ogni pixel (DN o digital number)viene associato ad un livello di grigio corrispondente al valore di radianza registrato in quel determinato punto. In un sensore multispettrale, il segnale viene scomposto in differenti bande (solitamente da 3 a 7, anche a seconda dell’intervallo di lughezze d’onda captato dal sensore) , corrispondenti a determinati intervalli di lunghezze d’onda. Associando uno dei tre colori della sintesi addittiva (rosso, verde e blu) ad ogni banda, possiamo ottenere varie combinazioni di immagini a colori, che saranno a colori naturali se le bande corrispondono effettivamente alle grandezze registrate nello spettro del visibile (da 0,4 a 0,7 micron, dal blu al rosso), mentre vengono chiamate immagini a falsi colori (false color compiste) se ai colori visibili all’occhio umano vengono associati, per poterli visualizzare, i valori registrati in regioni dello spettro elettromagnetico non visibili all’occhio umano, come ad esempio nel vicino infrarosso (NIR) o nell’infrarosso termico. Considerando che molti oggetti riflettono maggiormente a lunghezze d’onda non visibili all’occhio umano, questo si traduce concretamente nella possibilità di vedere in modo artificiale

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oggetti che non lo sarebbero altrimenti. Se risultano quindi abbastanza evidenti i vantaggi delle immagini multispettrali, bisogna considerare che le immagini pancromatiche, concentrando tutta l’energia in un unico canale, sono caratterizzate da una maggiore risoluzione spaziale, che si traduce per noi in una maggiore possibilità di distinguere gli oggetti in base alle loro caratteristiche formali.

Nel telerilevamento i vantaggi della multispettralità possono essere sommati a quelli della maggiore risoluzione spaziale grazie a specifici algoritmi di fusione (resolution merge) tra immagini pancromatiche e immagini multispettrali42. Queste procedure, come altre che permettono il filtraggio, il ricampionamento e/o la classificazione delle immagini in base a metodi matematici e statici, sono applicabili alle immagini digitali in quanto matrici di numeri, aspetto che le differenzia in modo sostanziale dalle tradizionali immagini analogiche43.

Un’altra caratteristica importante delle immagini telerilevate è la possibilità di essere georeferenziate, ossia di attribuire ad ogni pixel delle coordinate geografiche. Questo permette di collocare in modo preciso ogni elemento nello spazio geografico, e di utilizzare le immagini in sistemi GIS, nei quali il confronto con altre fonti di informazione come quelle cartografiche permette di utilizzare le immagini al massimo del potenziale informativo.

2.2 APPLICAZIONI DI TELERILEVAMENTO IN AMBITO ARCHEOLOGICO

Come si può intuire, il telerilevamento applicato alla ricerca archeologica è un metodo d’analisi relativamente recente e utilizzato fino a pochi anni fa limitatamente a studi a larga scala, per maggior parte dei casi non direttamente da archeologi ma piuttosto da geologi e geomorfologi. I motivi sono legati alle caratteristiche tecnologiche dei satelliti stessi, la cui risoluzione spaziale era insufficiente fino a poco tempo fa, a consentire di analizzare fenomeni di limitata entità spaziale quali sono appunto nella gran parte dei casi quelli archeologici. Da non sottovalutare anche la difficoltà di approccio ad una disciplina come il telerilevamento, da parte di studiosi di formazione umanistica, difficoltà che solo in questi ultimi anni si sta superando grazie alla maggiore diffusione dell’informatica in generale e quindi di strumenti software più accessibili dal punto di vista economico e più facili da utilizzare, e cosa

42 Questo aspetto verrà approfondito in seguito: par.3.3.1. 43 Per un’introduzione abbastanza aggiornata alla disciplina vd. Schowengerdt 1997. Per un’esposizione sintetica e chiara in lingua italiana vd. Salvini 2006.

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più importante, grazie ad una maggior apertura degli archeologi verso nuovi metodi di indagine dei quali la multidisciplinarità è la caratteristica più importante.

Vari sono i contributi che il telerilevamento può dare alla ricerca archeologica, tra i quali i più importanti sono quelli legati alla ricostruzione paleoambientale tramite l’analisi dei caratteri geomorfologici attuali e l’individuazione di tracce di assetti precedenti; all’individuazione di strutture antropiche di grandi dimensioni, come assi viari, canalizzazioni, antiche divisioni agrarie, grossi centri urbani; e ora grazie ai più recenti progressi tecnologici le indagini con dati telerilevati possono essere effettuate anche a scala di sito e comunque arrivare al riconoscimento di singole strutture archeologiche di dimensioni relativamente ridotte.

2.2.1 Telerilevamento e archeologia dagli anni 70’ agli anni 90’ Gli autori che hanno contribuito alla riflessione metodologica

sull’uso delle tecniche di telerilevamento in archeologia sono concordi nel sintetizzare la storia delle ricerche dividendola schematicamente in tre fasi storiche principali, segnate proprio dai progressi tecnici dei satelliti commerciali44. Nella breve esposizione che segue, si è scelto tuttavia, pur mantenendo la divisione nelle tre fasi che ormai potremmo definire “storiche”, di trattare a parte quella relativa agli ultimi anni, segnati da cambiamenti sostanziali sia relativamente al campo di applicazione della disciplina che delle metodologie adottate.

La prima fase, a partire dall’inizio degli anni 70’ alla metà degli anni 80’ è caratterizzata dai primi esperimenti, volti soprattutto alla ricostruzione dell’assetto territoriale passato di regioni ampie, in cui un aspetto spesso ricorrente è la ricostruzione delle caratteristiche idrografiche che il territorio in esame aveva in passato, possibile tramite l’individuazione di paleoalvei sulle immagini. In questo periodo l’analisi si svolge principalmente utilizzando delle stampe cartacee delle immagini, quindi in modo sostanzialmente analogico. Le immagini utilizzate sono quasi esclusivamente quelle registrate da sensori Landsat MSS, i primi della serie, caratterizzati da una risoluzione spaziale di 80m (ogni pixel sull’immagine corrisponde a 80m sul terreno) e da un sensore multispettrale a 4 bande, due nella regione del visibile (dal verde al rosso) e due nell’infrarosso vicino. Nonostante la risoluzione spaziale sia piuttosto bassa, gli elementi che hanno un forte contrasto o una dimensione lineare molto ampia possono essere distinti sull’immagine

44 Marcolongo-Barisano 2000, p.17; Campana-Pranzini 2001, p.15.

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anche se di dimensioni inferiori al pixel. Questa caratteristica è importante, in quanto proprio indagini volte al riconoscimento di elementi lineari quali strade, paleoalvei, schemi di centuriazione e canalizzazioni hanno rappresentato i primi casi di applicazione del telerilevamento all’ archeologia.

Una seconda fase può essere definita nel periodo compreso tra la metà degli anni 80’ e i primi anni 90’, quando entrano in funzione i satelliti Landasat 4 e 5, lanciati rispettivamente nel 1982 e 1984 (equipaggiati con sensori TM, progettati per la realizzazione di carte tematiche), e il satellite francese SPOT (1986). Il sensore TM dei nuovi satelliti della serie Landsat, permette di registrare immagini con una risoluzione al suolo di 30m, inoltre il segnale captato è scomposto in 7 bande, le prime tre per il visibile, la quarta per l’infrarosso vicino, la quinta e la settima per l’infrarosso medio e la sesta per l’infrarosso termico (così chiamato perchè comprende le onde emesse dai corpi in funzione della loro temperatura). Il satellite SPOT invece è dotato di un sensore multispettrale a tre canali, corrispondenti alle lunghezze d’onda del verde, rosso, e infrarosso vicino, con risoluzione spaziale di 20m, e di un sensore pancromatico con risoluzione di 10m.

Nello stesso periodo comincia anche la diffusione dei personal computer e dei software di elaborazione di immagini a prezzi relativamente contenuti, svolta di fondamentale importanza sia nel telerilevamento in generale che nella storia delle sue applicazioni in campo archeologico. Con l’aumento del dettaglio delle immagini e la diffusione dei nuovi strumenti di indagine, aumentano chiaramente anche le possibilità d’applicazione, e interessanti risultati sono stati ottenuti utilizzando in modo combinato immagini Landsat e Spot45. Se in generale, come nella fase precedente, le ricerche si rivolgono principalmente alla ricostruzione paleoambientale relativamente a contesti ampi, filone di ricerca strettamente legato alla geomorfologia, ora è possibile essere più precisi e riconoscere un maggior numero di elementi utili alla ricostruzione del quadro generale. Tuttavia come è stato più volte osservato46, il maggior contributo degli studi delle prime due fasi, è stato dato in aree scarsamente antropizzate, e/o difficilmente accessibili e spesso prive di copertura aerofotografica, ossia in regioni che presentano ottime condizioni di visibilità e per le quali i dati telerilevati rappresentavano quasi la sola fonte di informazione.

45 Per una breve rassegna, Campana 2004, p.2. 46 Ad esempio Campana 2004, p.3.

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La terza fase, che si fa iniziare coi primi anni 90’ ed è ancora in corso, è caratterizzata dall’introduzione dei satelliti ad altissima risoluzione spaziale (VHR), e dal drastico abbassamento dei prezzi, fattori che hanno permesso da un lato un ulteriore ampliamento delle potenzialità d’indagine del telerilevamento in campo archeologico, dall’altro una maggiore accessibilità dei dati e quindi un proliferare delle ricerche in questo campo, favorite anche dalla diffusione ormai capillare del computer e dalla maggiore accessibilità, anche ai non specialisti, dei software specifici. All’inizio di questo periodo cominciano a circolare le cosiddette immagini “declassificate” dei satelliti spia americani (KORONA) e russi (COSMOS). Queste immagini, registrate a fini militari dall’inizio degli anni 60’ ai primi anni 80’ sono caratterizzate da un’alta risoluzione spaziale, da 8m a 1 m, impressionante per l’epoca alla quale risalgono le acquisizioni. Un grosso limite sta però nel fatto che si tratta di riproduzioni cartacee, quindi assimilabili in tutto e per tutto alle tradizionali fotografie aree, che peraltro hanno un livello di dettaglio ben maggiore. Tali immagini sono quindi molto utili e tuttora utilizzate non di rado nell’indagine archeologica anche per il loro basso prezzo, ma principalmente in regioni del pianeta in cui non sia facile disporre di fotografie aeree tradizionali, come ad esempio in Medio Oriente e più in generale in Asia.

2.2.2 La rivoluzione dei satelliti ad alta risoluzione spaziale e le connessioni con l’aerofotointerpretazione

I satelliti che veramente hanno portato un drastico cambiamento nel rapporto tra telerilevamento e archeologia sono senza dubbio Ikonos II e Quickbird. Il primo, lanciato nel 1999 è dotato di un sensore pancromatico con risoluzione spaziale di 1 m e di uno multispettrale a 4 bande, tre nel visibile e una nel vicino infrarosso, con risoluzione spaziale di 4m. Quickbird, attivo dal 2001, è attualmente il satellite commerciale a risoluzione spaziale più elevata, con un sensore pancromatico che registra immagini alla risoluzione di 0,60 m per pixel, ed uno multispettrale (2,4 m per pixel) anch’esso dotato di 4 bande dal visibile al vicino infrarosso. Presto ci saranno ulteriori cambiamenti nel senso di un sempre maggior approfondimento del dettaglio delle ricerche, con il lancio, previsto per l’inizio del 2008, del satellite Geoeye con sensore pancromatico dotato di una risoluzione spaziale di 0,41m e multispettrale a 4 bande (visibile-infrarosso vicino) a 1,64m di risoluzione.

L’aumento del dettaglio delle immagini reso possibile dai satelliti di ultima generazione porta con se una serie di implicazioni fondamentali per la ricerca archeologica. Non solo infatti ora è possibile individuare

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nelle immagini satellitari elementi di piccole dimensioni come possono essere muri, resti di edifici monumentali, o l’estensione di un sito anche relativamente piccolo, ma i metodi di analisi visiva e interpretazione applicabili alle immagini, sono ormai molto simili a quelli delle foto aeree e possono trarre vantaggio dalla lunga tradizione di studi dell’aerofotointerpretazione archeologica per l’individuazione e l’interpretazione di tracce attribuibili a resti archeologici sepolti e in superficie.

La fotografia aerea comincia ad essere usata in campo archeologico molto presto, appena dopo la nascita della fotografia stessa, ed in Italia abbiamo uno dei primi esempi con le foto scattate da G.Boni su un pallone frenato di proprietà del Genio Militare per la documentazione degli scavi del Foro Romano nel 1899. Grandi sviluppi avvengono appena più tardi, con la nascita del volo aereo e le due guerre mondiali. Semplificando al massimo, possiamo dire che per esigenze belliche vengono effettuati una grande quantità di voli, sia in Europa che in Medio Oriente e Africa del Nord, e contestualmente viene acquisita una grande mole di documentazione fotografica. Non di rado sono i militari stessi che partecipano in prima persona a queste operazioni che si appassionano alle problematiche della fotointerpretazione archeologica, fornendo contributi di grande importanza non solo nel realizzare la documentazione, ma anche per quanto riguarda l’analisi di essa e la riflessione metodologica. Tra le due guerre, in Inghilterra a partire dagli anni 20’, gli studi di Crawford sono fondamentali nel gettare le basi sia pratiche che teoriche della disciplina, così come sono esposte nel primo manuale di fotointerpretazione archeologica “Air Photografy for Archeologists” da lui pubblicato nel 1929.

Dopo la seconda guerra mondiale, la disciplina riceve un nuovo impulso in tutta Europa, anche grazie al sorgere nei vari paesi di istituti e scuole specializzate47. Tra le scuole europee, quella inglese è senz’altro quella alla quale si devono i maggiori contributi. Gli ottimi risultati conseguiti dagli inglesi sono dovuti anche in parte alle caratteristiche ambientali nelle quali operano. La fotografia aerea, in particolare per quanto riguarda il suo uso finalizzato all’individuazione di tracce che documentino la presenza di siti archeologici sepolti è infatti un efficace metodo diagnostico soprattutto se applicato a territori pianeggianti o morfologie comunque poco accidentate, senza vegetazione o coperti da piante erbacee, come possono essere i campi coltivati o le aree a pascolo,

47 Per una sintetica e aggiornata esposizione della storia degli studi di fotointerpretazione archeologica vd. Ceraudo-Picarreta 2000, pp.73-87.

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perchè una vegetazione composta da arbusti o alberi può ridurre in modo proibitivo la visibilità delle tracce.

Tralasciando i numerosi altri aspetti che legano la fotografia aerea all’archeologia, tra i quali la fotogrammetria a fini di documentazione grafica è senz’altro uno dei più importanti, vediamo ora uno degli aspetti che è passato con successo dalla fotointerpretazione al telerilevamento, ossia l’individuazione ed interpretazione delle cosiddette tracce archeologiche. Limitando per il momento il discorso ai resti sepolti, si può dire che la loro presenza si ripercuote in qualche modo su ciò che li copre, generando in questo modo delle tracce a noi visibili. Questo fenomeno è noto come mediazione e ciò che noi vediamo non è l’oggetto archeologico, ma il mediatore. In base al mediatore e ai presunti modi di formazione, le tracce sono state classificate per la prima volta da Crawford48 in tipi che sono ormai universalmente utilizzati per la descrizione di questi fenomeni e di cui si parlerà brevemente. Le tracce da umidità (damp marks) sono quelle che si formano nei terreni in cui i resti sepolti alterino localmente la capacità del suolo di trattenere l’umidità, causando il ristagno di acqua in alcuni punti, una più rapida asciugatura in altri, fenomeno che si traduce in differenze cromatiche nel colore della terra, visibili dall’alto particolarmente dopo gli eventi piovosi, trascorso un certo periodo di tempo. Nelle tracce da vegetazione (crop marks) il mediatore è costituito invece dalla vegetazione che per un processo analogo al precedente cresce in modo diversificato in presenza di resti sepolti: le piante saranno meno rigogliose se sotto di esse a poca profondità c’è ad esempio la cresta di un muro o viceversa più rigogliose se una struttura sottostante in grado di trattenere l’umidità gli permetterà di avere più nutrimento rispetto a quelle circostanti. I crop marks sono in definitiva una conseguenza del diverso stadio di maturazione raggiunto dalle piante e sono quindi visibili solo in determinati periodi dell’anno, quelli caratterizzati appunto dalla germinazione e dalla prima fase di crescita. Le cosiddette tracce da alterazione nella composizione del terreno (soil sites) sono invece visibili per lo più nei campi appena arati, nei quali i lavori agricoli hanno portato alla luce, rimescolandoli, materiali archeologici sepolti a poca profondità, i quali alterano localmente la riflettanza del terreno, generando tracce che vengono percepite a seconda delle circostanze, come chiazze scure o chiare. Quando una struttura archeologica sepolta influenza invece l’andamento altimetrico della superficie, spesso in modo molto blando, abbiamo le tracce da microrilievo (note in inglese come shadows sites), le quali sono

48 Crawford 1929.

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percepibili principalmente facendo uso di tecniche stereoscopiche, sia analogiche, sia digitali; tali tracce comunque possono essere viste anche nel caso di riprese fotografiche oblique, in particolare con luce radente, o in ultima analisi verticali, laddove l’ombra sia in grado di evidenziare adeguatamente le variazioni altimetriche. Le tracce classificabili come “da anomalia” sono quelle nelle quali la presenza di resti archeologici sepolti condiziona l’ambiente circostante producendo un’anomalia che non è spiegabile con la logica dell’assetto attuale. Infine, tracce non necessariamente causate da resti sepolti, ma che comunque contribuiscono in qualche modo a documentare la situazione antica sono le tracce da sopravvivenza, percepibili laddove la situazione antica si è parzialmente conservata negli schemi e nell’assetto della situazione attuale49.

L’attribuzione di un’anomalia ad un elemento di carattere archeologico si basa in primo luogo su un’ analisi formale. Tralasciando gli esempi eclatanti come i casi in cui sono visibili con estrema chiarezza intere planimetrie di ville rurali, in generale le forme squadrate o rettilinee sono associabili con un certo margine di sicurezza ad attività antropica, così come quelle quasi perfettamente circolari.

Le tracce di cui si è appena parlato sono spesso ben identificabili anche sulle immagini satellitari ad alta risoluzione, che possono essere assimilate a riprese aeree verticali a media scala50. Inoltre i satelliti Quickbird e Ikonos sono dotati di più sensori che possono essere inclinati per riprendere la stessa scena da diversi punti di osservazione, cosa che permette di applicare a queste coppie di immagini tecniche di stereocopia digitale grazie alle quali è possibile oltre alla visualizzazione dell’immagine in 3d, anche la realizzazione di modelli digitali del terreno molto accurati.

Senza ancora eguagliare il dettaglio delle foto aeree tradizionali a grandissima scala, le immagini satellitari hanno però il vantaggio della multispettralità, che come si è visto è spesso determinante nella possibilità di distinguere e riconoscere oggetti precisi, e considerando quanto si è appena detto sulle tracce, queste possono essere

49 Per una sintetica esposizione dei vari tipi di tracce, vd. Picarreta-Ceraudo 2000, pp.101-128. per un’esposizione più dettagliata, specialmente dal punto di vista fisico dei fenomeni in questione vd. Schollar 1990, pp.33-77. 50 Ci si riferisce qui alla scala topografica. In Italia le scale topografiche vengono suddivise in quattro gruppi: grandissima scala, per i centri storici (1:500); grande scala, usata a livello comunale (1:1000 e 1:2.000); media scala, tipica delle carte regionali (1:5000 e 1:10000); piccola scala usata dall’Istituto Geografico Militare per la costruzione della cartografia nazionale italiana (1:25000, 1:50000, 1:100000 e 1:200000).

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maggiormente evidenziate su un’immagine satellitare rispetto ad una fotografia soprattutto quando i mediatori diano una risposta spettrale più elevata in regioni dello spettro elettromagnetico non visibili all’occhio umano. Questo è in particolare il caso della vegetazione, la cui firma spettrale è caratterizzata da un picco nel vicino infrarosso, che nella maggiorparte delle immagini satellitari corrisponde alla banda 4. I crop marks quindi sono teoricamente più visibili sulle immagini satellitari piuttosto che nelle foto aeree tradizionali, in pratica però molto dipende anche dall’entità della traccia e soprattutto dalla corrispondenza della data della ripresa con la fase di maturazione delle piante che maggiormente permette di distinguere la traccia.

Un altro vantaggio rispetto alle foto aeree tradizionali è costituito dalle infinite possibilità di elaborazione fornite dai moderni software, che permettono di ottenere dall’immagine di partenza innumerevoli immagini derivate utili per indagare di volta in volta un diverso aspetto o per evidenziare determinati particolari51. La stessa immagine satellitare ad alta risoluzione inoltre può essere utilizzata, senza ricorrere a complicate mosaicature, sia per indagini a scala territoriale, e comunque per avere una visione di insieme sia delle caratteristiche geomorfologiche che delle relazioni fra siti e fra siti e ambiente, senza quindi escludere le problematiche tradizionalmente associate al telerilevamento in archeologia, sia per ricerche di maggior dettaglio, atte ad individuare singoli siti e singole emergenze archeologiche sepolte o in superficie.

In questo senso vengono spesso attualmente utilizzate le immagini Ikonos e Quickbird, sia per una “ricognizione” sistematica di ampi territori, integrando l’analisi dei dati telerilevati ad una ricognizione a terra mirata alla verifica di quanto osservato sull’immagine, sia, al contrario, per verificare determinate ipotesi di lavoro, andando quindi alla ricerca di ben precise tracce.

Tuttavia, nonostante i vantaggi appena elencati, l’analisi delle immagini satellitari non può sostituire del tutto la fotointerpretazione, per svariati motivi. La scala di dettaglio raggiunta dalle riprese aeree a grandissima scala effettuate con voli a bassa quota è ancora molto superiore a quella delle immagini satellitari; in molti paesi è disponibile ed accessibile a prezzi relativamente bassi un’ottima copertura fotografica, comprendente sia immagini attuali che immagini storiche,

51 In realtà alcune tecniche di elaborazione digitale ed analisi statistica posso essere applicate, dopo opportuna digitalizzazione, anche alle fotografie aeree tradizionali. Per una trattazione dell’argomento, in gran parte superata per la rapida evoluzione delle tecnologie informatiche, ma comunque ancora valida per quanto riguarda le basi matematiche, vd. Schollar 1990, pp.132-206.

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che come abbiamo visto possono risalire addirittura all’inizio del 900’ e che sono una fonte di informazione importantissima per l’archeologo perchè testimoniano una situazione che, in particolar modo per quanto riguarda i paesi industrializzati, in molti casi è oggi radicalmente mutata. Inoltre la fotointerpretazione, sebbene sia un metodo d’indagine che per produrre buoni risultati richiede una certa esperienza, se si limita all’analisi visuale, è certamente per gli archeologi meno ostica da apprendere rispetto al telerilevamento.

Ma la rivoluzione digitale ha iniziato la sua inesorabile azione di cambiamento anche sulla fotografia aerea, con la recente comparsa di camere aeree digitali e dei sistemi di fotogrammetria diretta52. Le camere aeree digitali, apparse sul mercato nel 2003 con il modello ADS40 prodotto dalla Leica, infatti hanno molti punti in comune coi sensori montati sui satelliti, sia per quanto riguarda il sistema di acquisizione delle immagini, più vicino a quello di uno scanner che di una macchina fotografica tradizionale, sia per quanto riguarda la registrazione della radianza della scena che viene scomposta in vari canali tra cui, in alcuni modelli, quello relativo al vicino infrarosso. In un futuro prossimo quindi sarà la fotointerpretazione aerea a giovarsi dell’esperienza del telerilevamento, per quanto riguarda i metodi di analisi statistica ed elaborazione delle immagini. A quel punto il confine tra le due discipline sarà ancora più sottile di quanto non lo sia ora.

In definitiva, l’approccio di indagine più proficuo sembra essere quello integrato, che si giova dell’uso sia di foto aeree e immagini satellitari, che di ricognizioni a terra, approccio però non sempre praticabile per svariati motivi che vanno da quelli puramente economici a quelli legati alla reale indisponibilità di documentazione fotografica per il territorio in esame.

2.2.3. L’uso di immagini Ikonos e Quickbird in archeologia. Sempre più numerose sono in questi ultimissimi anni le ricerche

archeologiche condotte con l’ausilio di immagini Quickbird e Ikonos, molte delle quali sono state presentate al recente convegno dal titolo “From Space to Place, 2nd International Conference on Remote Sensing in

52 Per fotogrammetria diretta si intende un sistema che grazie alla presenza di un GPS integrato a sensori inerziali consente di restituire posizione velocità e assetto del velivolo al momento della presa. In tal modo si dispone di tutti i parametri di orientamento esterno dei fotogrammi, e non è necessaria l’applicazione del procedimento fotogrammetrico classico che prevede l’uso di punti controllo registrati a terra per orientare le immagini, tramite il procedimento matematico noto come triangolazione aerea.

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Archaeology”, organizzata dall’ITABC del CNR e tenutasi a Roma nel Dicembre 2006.

In questo paragrafo vedremo alcuni esempi di ricerche recenti, scelte ad esemplificare l’ampiezza dei campi di indagine che possono trovare un valido strumento di lavoro nelle immagini satellitari ad alta risoluzione spaziale.

In Italia molto importante è il lavoro svolto in questi ultimi anni dal LAP&T dell’Università di Siena, con sede a Grosseto, che a partire dal 2000 ha avviato un progetto53 per valutare le potenzialità delle immagini VHR nell’indagine finalizzata alla ricostruzione del paesaggio antico nel territorio toscano. Un aspetto interessante di questa ricerca è il confronto continuo con le altre fonti disponibili, prima di tutto la fotografia aerea, e le sistematiche ricognizioni condotte a terra al fine di verificare e affinare le conclusioni raggiunte con l’analisi delle immagini. Tale studio è stato svolto in un primo tempo con immagini multispettrali Ikonos, acquistate relativamente a due vaste aree campione. Sebbene sia stato constatato che la risoluzione di tali immagini sia ancora insufficiente per l’individuazione di molti elementi archeologici, e sia stato necessario affiancare all’immagine satellitare una ortofotocarta con risoluzione di 1m, l’immagine tuttavia ha permesso l’identificazione di alcune tracce non visibili nelle altre fonti disponibili. In un secondo momento (2002) sono state acquistate, relativamente ad altre aree campione, immagini Quickbird, sia pancromatiche che multispettrali, in modo da avere la possibilità di fondere le due immagini ottenendo un’immagine multispettrale con la risoluzione spaziale del dato pancromatico, superando così almeno in parte i problemi incontrati durante l’esperienza con le immagini Ikonos. L’esperienza nella sua globalità si è rivelata positiva, le caratteristiche maggiormente interessanti delle immagini satellitari vengono riconosciute, come ci si può aspettare, nella multispettralità e nella presenza del canale del vicino infrarosso.

Della stessa equipe è da citare il lavoro svolto sul sito test di Aiali54, tra Grosseto e Roselle. Il sito, interessato dalla presenza di una villa romana individuata tramite prospezione aerea è stato scelto come area test per la sperimentazione di varie tecniche di remote sensing, tra le quali oltre alla fotointerpretazione aerea e all’analisi di immagini telerilevate, molto importanti sono state le prospezioni geofisiche (magnetometriche e con uso di GPR ad alta risoluzione). Questo lavoro ha mostrato come sia importante un approccio integrato che faccia uso di

53 Campana 2004. 54 Campana e Alii 2006.

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varie tecniche di indagine, comprese ovviamente quelle tradizionali (ricognizione a terra e analisi della ceramica), sia perchè spesso è possibile confermare, o comunque rafforzare, le ipotesi formulate in base ai risultati ottenuti con un determinato metodo, sia perchè l’uso di ogni tecnica ha comunque fornito un contributo autonomo che costituisce in ogni caso un incremento della conoscenza sull’area di indagine.

Un contributo molto importante è quello dato da R.Lasaponara e N.Masini, del CNR di Potenza, autori in questi ultimi anni di vari studi su diversi siti dell’Italia Meridionale compiuti con l’ausilio di immagini Quickbird55. Interessante dal punto di vista metodologico è la valutazione, fatta dai due autori, delle potenzialità delle immagini Quickbird per l’identificazione di resti archeologici sepolti56. A questo proposito sono stati confrontati i risultati raggiunti in diversi siti test, scelti in quanto rappresentativi di diverse condizioni ambientali relativamente alle caratteristiche geologiche, al tipo di suolo e alla copertura superficiale, proprio per valutare in che misura i risultati possano essere influenzati da questi fattori. Il metodo utilizzato comprende l’analisi dell’immagine pancromatica e delle singole immagini multispettrali, l’uso di immagini ottenute dalla fusione del dato pancromatico con quello multispettrale e dell’indice di vegetazione normalizzato (NDVI), per l’individuazione delle tracce archeologiche. Una volta individuata la traccia viene analizzato l’istogramma di quest’ultima mettendolo a confronto con quello risultante dal terreno circostante, in modo da valutare quantitativamente la differenza spettrale. Infine le immagini vengono elaborate ulteriormente per evidenziare maggiormente le anomalie. Le conclusioni raggiunte dai due autori possono essere riassunte brevemente come segue: il canale corrispondente al rosso dà migliori risultati per l’individuazione di tracce archeologiche in terreni privi di vegetazione; in terreni con vegetazione arbustiva relativamente scarsa, è invece il vicino infrarosso ad evidenziare maggiormente la differenza spettrale tra le aeree interessate da resti sepolti e il terreno circostante; per quanto riguarda infine aree caratterizzate da vegetazione fitta, anche ad alto fusto, buoni risultati sono stati ottenuti applicando l’NDVI57 ed elaborando ulteriormente i

55 In particolare le indagini hanno riguardato il sito pluristratificato di Monte Irsi, in Basilicata (Lasaponara-Masini 2006a), il sito medievale di Jure Vetere, in Calabria (Lasaponara_Masini 2006b), e il sito greco di Metaponto, in Basilicata (Lasaponara-Masini 2006c). 56 Lasaponara-Masini 2006d 57 La differenza dell’indice di vegetazione normalizzato (NDVI) è rappresentato da un’immagine in scala di grigi ottenuta applicando la seguente formula Infrarosso-Rosso/Infrarosso+Rosso. In questa immagine, il contrasto tra alta riflettanza nel vicino

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risultati. I risultati di questo studio comparativo costituiscono un utile punto di riferimento per analisi future, anche se come si è visto non è possibile generalizzare troppo e individuare delle leggi assolute, in quanto oltre alle caratteristiche geoambientali e climatiche dell’area oggetto di studio, le potenzialità delle immagini satellitari nell’individuazione di tracce archeologiche dipendono in misura considerevole anche dalla natura e stato di conservazione dei resti sepolti.

Le ricerche nel sito di Jabali58, nello Yemen, compiute da un’equipe formata da studiosi francesi e yemeniti, e comprendenti sia studi archeologici che geoarcheologici nel territorio circostante il sito, importante per le sue risorse minerarie, già da molti anni si servono dell’uso di immagini telerilevate. Dapprima immagini Landsat e Spot sono state utili per la caratterizzazione geologica dell’area, integrando i dati telerilevati con le ricognizioni a terra. Infine la recente acquisizione dell’immagine Quickbird per uno studio più approfondito dell’area delle miniere, ha permesso di valutarne l’utilità anche per la realizzazione di una cartografia di dettaglio, nella quale è stato possibile inserire in modo preciso i singoli edifici antichi identificati. Inoltre l’immagine è stata utilizzata per drappeggiare il DEM dell’STRM (Shuttle Radar Topography Mission)59, permettendo così di ottenere il modello 3D del territorio in esame.

La ricerca condotta a Creta dall’Università di Melbourne60 ha invece l’obiettivo di ricostruire le vie di comunicazione tra gli insediamenti dell’Isola in epoca minoica, ricerca nella quale sono state utilizzate immagini Ikonos. L’analisi visuale dell’immagine unita anche alla classificazione supervisionata della stessa ha fornito buoni risultati in termini di individuazione di tracce presumibilmente archeologiche. Tuttavia, è stato possibile verificare con esiti positivi solo alcune delle tracce individuate, per vari motivi, tra i quali il ridotto tempo a disposizione, l’inaccessibilità di alcune aree, sia infine perchè spesso è difficile da terra identificare elementi come le strade antiche non

infrarosso e alto assorbimento nel rosso, caratteristico della vegetazione in salute, viene enfatizzato, evidenziando la vegetazione più sana rispetto a quella meno sana. 58 Deroin et Alii 2006. 59 I modelli digitali di elevazione generati dall’STRM sono gratuitamente disponibili su internet. La copertura comprende l’intero pianeta, la risoluzione è di circa 100 m. Questi DEM, considerando che sono disponibili gratuitamente e sono per così dire già pronti all’uso, sono quindi utilissimi in aree caratterizzate da rilievi montuosi e dislivelli comunque importanti, mentre l’insufficenza del dettaglio altimetrico li rende del tutto inutilizzabili relativamene a territori pianeggianti, come è appunto il caso della piana del Jazr. 60 Pavlidis-Fraser-Ogleby 2002

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pavimentate, che possono essere sicuramente percepiti meglio grazie alla visione d’insieme che le immagini satellitari e le foto aeree offrono.

Un esempio di ricerca a carattere regionale, finalizzata alla ricostruzione del paesaggio in particolare per quanto riguarda l’organizzazione e le infrastrutture agricole è quella svolta da E. T.Weller61, dell’Università del Colorado, relativa a due aree di circa 10x10 km caratterizzate dalla presenza di siti archeologici attribuibili alla civiltà Maya, e da una fitta foresta. Partendo dalla constatazione che il survey archeologico intensivo per grandi aree prevede notevoli risorse sia in termini di costi che di tempo, si utilizza il telerilevamento (immagini Landsat ETM+ e Ikonos), integrandolo a dati pregressi acquisiti in precedenti ricerche, per l’analisi di grandi aree, focalizzando l’eventuale verifica a terra solo in determinate aree, quelle dove in base all’analisi dei dati telerivati si sono identificati ipotetici siti. I risultati sono molto interessanti: a partire dai siti noti è stato possibile verificare che in presenza di resti archeologici la vegetazione ha un particolare comportamento spettrale (in sostanza appare più gialla), che è possibile sia quantificare che individuare visivamente utilizzando in particolare il canale infrarosso; a partire da questo assunto e dalla conoscenza delle caratteristiche dei bajos (paludi stagionali che in epoca maya erano bonificate e coltivate) associati ai siti è stato possibile identificare e localizzare numerosi probabili siti ancora ignoti.

Tuttavia, altri studi, come quelli condotti da alcuni ricercatori scandinavi sugli insediamenti preistorici in Norvegia62, mostrano che a volte i migliori risultati possono essere ottenuti in assenza di vegetazione. A questi studiosi si deve un diverso tipo di approccio, rispetto a quelli visti finora, basato sul rapporto tra telerilevamento e chimica. Essi osservano che i resti archeologici sepolti sono visibili nelle immagini satellitari in quanto modificano le proprietà chimiche del terreno, e di conseguenza le capacità riflessive di quest’ultimo. Pertanto con una caratterizzazione chimica dei suoli interessati dalla presenza di resti archeologici è possibile determinare la risposta spettrale tipica che dovrà essere cercata sull’immagine. A questo proposito, avendo ottenuto risultati incoraggianti applicando questo metodo, gli studiosi prospettano la possibilità di elaborare sistemi di classificazione semiautomatica per l’individuazione di siti sepolti.

Questi esempi mostrano come sia ampio il range delle potenzialità di indagine, ma anche la varietà degli approcci adottati dai diversi

61 Weller 2006. 62 Grøn et Alii 2006

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ricercatori che si sono serviti per i loro studi di immagini satellitari VHR. Come si può constatare la visibilità delle tracce archeologiche sulle immagini dipende dalla combinazione di molteplici fattori, tra i quali i più importanti sono le caratteristiche geologiche e ambientali del sito, uso del suolo attuale, presenza o meno di vegetazione, stagione della ripresa, e caratteristiche del sito sepolto: un abitato in pietra e mattoni sepolto a poca profondità ad esempio potrà influire sulla crescita della vegetazione, mentre la decomposizione dei materiali che formavano una capanna preistorica in materiale deperibile influirà certamente sulle proprietà chimiche del suolo in cui è sepolta.

In tutti i contributi emerge la sperimentalità del lavoro, alla ricerca di metodi di analisi che possano essere efficacemente applicati all’archeologia e di validi criteri di interpretazione e verifica, fatto per altro ben comprensibile se si considera da un lato il breve intervallo di tempo che intercorre da l’immissione sul mercato delle immagini ad alta risoluzione ad oggi, dall’altro la grande rivoluzione che esse rappresentano per il telerilevamento applicato all’archeologia, metodo d’analisi che sebbene non ampiamente diffuso aveva comunque ormai definito le proprie potenzialità e i propri campi d’applicazione, i quali oggi si trovano invece enormemente dilatati e in gran parte ancora da esplorare e definire.

2.3 TELERILEVAMENTO E GIS: L’USO DEI SISTEMI INFORMATIVI GEOGRAFICI IN ARCHEOLOGIA

Il telerilevamento, in archeologia così come in tutte le altre discipline, si integra spesso con i sistemi GIS. Gli strumenti messi a disposizione dai moderni programmi GIS infatti permettono di visualizzare le immagini telerilevate ponendole in continuo confronto con le altre fonti disponibili, in particolare quelle cartografiche, ma più in generale con tutto ciò che possa rappresentare il territorio oggetto di studio. Viceversa, i dati telerilevati costituiscono nella maggiorparte dei casi una delle fonti principali di informazione di un Sistema Informativo Geografico.

Un sistema GIS è uno spazio georeferenziato in cui è possibile inserire informazioni di tipo raster o vettoriale che rappresentano degli strati informativi o layer, caratterizzati dalla propria posizione geografica secondo il sistema di riferimento prescelto. I layer vettoriali possono avere un’origine esterna (altri GIS, software per l’elaborazione di

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immagini telerilevate, CAD) oppure essere digitalizzati direttamente dall’utente.

Una delle caratteristiche più importanti dei GIS è quella di interagire con i database relazionali, e il loro sviluppo si lega infatti proprio all’avvento di questo tipo di database, che permette di strutturare le informazioni riducendo al minimo la ridondanza dei dati e mettendo a disposizione dell’utente un efficace strumento di interrogazione dei dati. Con i software più recenti è possibile importare interi database realizzati con software specifico, o crearli direttamente in ambiente GIS (Geodatabase), cosa che permette di avere dati strutturati e caratterizzati spazialmente, che è possibile visualizzare, interrogare ed elaborare a proprio piacimento e in base alle esigenze della ricerca in un determinato momento, producendo così nuove informazioni. Un GIS quindi non è semplicemente uno strumento di visualizzazione e archiviazione dei dati, ma un vero e proprio sistema di ricerca63.

Se si pensa quindi all’archeologia in quanto disciplina spaziale, non è difficile immaginare quanto la ricerca archeologica può ottenere dall’utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici, non solo a livello di archeologia del paesaggio, ma anche a scala di sito. L’uso dei GIS in archeologia ha origine negli Stati Uniti all’inizio degli anni 80’, quando la distribuzione spaziale dei siti archeologici in un determinato territorio viene studiata da un punto di vista statistico considerando l’associazione con determinati parametri geoambientali. L’analisi statistica condotta con questo approccio permette l’elaborazione di modelli predittivi, che danno come risultato delle carte di probabilità, per l’individuazione di nuovi siti, utili sia a fini di ricerca che di tutela. A partire dagli anni 90’, anche grazie alla diffusione dei personal computer e dei software commerciali, si assiste ad un rapido sviluppo dei Sistemi GIS anche in Europa, sebbene con notevole ritardo e maggiori difficoltà rispetto a quanto accade negli Stati Uniti. In ambito mediterraneo ed in particolare in Italia l’uso dei GIS in archeologia si diffonde principalmente a partire dalla metà degli anni 90’ come strumento indispensabile in ricerche di archeologia del paesaggio volte alla ricostruzione diacronica del paesaggio antico. Parallelamente, l’uso dei GIS per l’elaborazione di carte del rischio archeologico e per la gestione e il monitoraggio del patrimonio antico si rivela fondamentale per le esigenze della tutela.

Normalmente in ambito archeologico si distinguono due tipi principali di GIS, quelli “territoriali”, relativi cioè a comprensori più o meno ampi, e quelli “intrasito” utilizzati per archiviare e gestire la

63 Forte 2002 p.42.

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documentazione di scavo. Questi ultimi, che restano abbastanza rari nonostante si stiano diffondendo maggiormente negli ultimi anni, permettono, soprattutto in fase di post elaborazione dei dati di scavo, la riproducibilità virtuale di tutte le fasi di scavo e la visualizzazione e comparazione di tutte le tipologie di dati, fondamentali per una corretta analisi e interpretazione finale, fatti che giustificano ampiamente lo sforzo metodologico in fase di rilievo e acquisizione dei dati sul campo, richiesto per l’implementazione del GIS64.

Per quanto riguarda invece i GIS territoriali, un aspetto fondamentale per la ricostruzione del paesaggio antico è la possibilità di condurre analisi spaziali, i cui risultati possono essere ulteriormente elaborati per ottenere i modelli predittivi a cui si è già accennato. Le analisi spaziali permettono di quantificare le relazioni spaziali tra gli elementi del paesaggio, consentendo di comprendere i rapporti tra i siti e le risorse del territorio e l’elaborazione di modelli interpretativi. Questo approccio deriva direttamente da quello, caratteristico degli ambienti americani e inglesi soprattutto negli anni 60’ e 70’ che mira all’individuazione di leggi e modelli che giustifichino e spieghino i fenomeni archeologici.

Tra le analisi spaziali, le più utilizzate e senza dubbio più utili per la comprensione e ricostruzione di un territorio, sono le analisi della distanza, della visibilità, del bacino di approvvigionamento (site catchment analysis) e dei costi, con riferimento alla percorrenza di determinate aree (cost surface). L’analisi della distanza, calcola semplicemente la distanza reciproca di determinati elementi: ad esempio la distanza dei siti archeologici di un comprensorio dalle risorse idriche, dalle vie di comunicazione naturali, da altre risorse economicamente importanti, dei siti maggiori da quelli minori e così via. Il risultato è una mappa che può rappresentare questo valore in vari modi, ad esempio con colori diversi. La valutazione di questo parametro è importante per comprendere le dinamiche insediative, specialmente in una valutazione diacronica del territorio in esame. Le analisi di visibilità, analizzano la visibilità da un dato punto tenendo conto delle caratteristiche morfologiche del terreno, cosa che richiede la disponibilità di un modello digitale del terreno. Questo permette di valutare la percezione che gli antichi avevano del territorio, i rapporti fra siti vicini, l’importanza strategica di un punto. La cost surface analysis, simula i costi, principalmente in termini di energia e tempo spesi, richiesti dagli spostamenti di persone nel territorio. Questo tipo di analisi, utile ad esempio per valutare la reale fruibilità di

64 Forte 2002, p.62.

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determinate risorse da parte degli abitanti di un sito, si serve ovviamente di parametri quali la distanza abbinata alla morfologia del territorio, tenendo conto dei quali si può calcolare un diverso costo ad esempio tra il percorso di andata e quello di ritorno se il terreno è caratterizzato da dislivelli. L’analisi del bacino di approvvigionamento (site catchment analysis), è un’analisi più complessa che si serve di numerosi parametri, tra i quali quelli risultanti dalle analisi appena viste, per analizzare il bacino di approvvigionamento di un sito e lo sfruttamento delle risorse nelle varie epoche, condizionato anche da fattori tecnologici e culturali.

Da questi esempi appare chiara l’utilità di questo tipo di analisi in archeologia, ma anche senza voler necessariamente quantificare ed elaborare statisticamente ogni dato, disporre di un GIS dell’area di studio permette di valutare questi aspetti anche ad un livello più intuitivo, interrogando il sistema per verificare ad esempio la verosimiglianza di una ipotesi di lavoro. Il GIS insomma è uno strumento versatile, che in qualunque momento può essere adattato alle nostre esigenze e fornire un validissimo supporto al ragionamento, permettendoci di avere tutti i dati sotto controllo e di visualizzarli e comprenderli nelle loro relazioni reciproche, sfruttando al massimo in questo modo la capacità informativa di ogni dato a nostra disposizione.

Infine, un breve accenno a quella che è la nuova frontiera del GIS archeologico, ossia la connessione tra GIS e archeologia cognitiva, in un sistema noto come mind GIS65. Questo approccio utilizza sistemi GIS con l’obiettivo di una ricostruzione del paesaggio così come veniva percepito dagli antichi, ossia che comprenda anche gli aspetti simbolici e antropologici. In questo contesto nasce il collegamento tra GIS e realtà virtuale, intesa come un sistema capace di riprodurre il paesaggio ricostruito nelle tre dimensioni permettendone l’esplorazione virtuale e restituendone la dimensione percettiva66.

65 Forte 2002, p.121. 66 Per un approfondimento di questa problematica vd. Forte 2002, pp.121-128;

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3. OBIETTIVI E METODI DELLA RICERCA

3.1 OBIETTIVI DELLO STUDIO Lo studio si propone di condurre un’analisi dettagliata del

territorio circostante Tell Afis tramite tecniche di telerilevamento applicate ad immagini satellitari, in particolare all’immagine Quickbird recentemente acquistata dalla Missione Acheologica di Tell Afis, la cui estensione (un quadrato irregolare di 103 kmq) coincide con l’area di studio. L’analisi visuale è stata quindi accompagnata dall’applicazione di metodi tipici del telerilevamento, quali la visualizzazione in diverse combinazioni di bande, e l’elaborazione delle immagini tramite filtri e metodi statistici. Si tratta quindi di un’analisi condotta dall’alto, relativamente ad un’area che è stata finora indagata dal basso, sia con le annuali campagne di scavo, che con campagne di survey condotte non sistematicamente.

Il punto di vista dall’alto, come è stato più volte sottolineato anche relativamente alla fotografia aerea67, permette infatti di vedere e comprendere elementi che dal basso non lo sarebbero, sia per la visione complessiva che esso permette, sia per la possibilità che esso offre di mettere nella giusta relazione spaziale elementi anche di notevoli dimensioni e siti a una certa distanza.

Nell’ambito delle ricerche dedicate a Tell Afis e al suo territorio, il presente studio intende quindi valutare se e in che modo l’uso del telerilevamento può contribuire all’incremento della conoscenza, mirando anche ad integrare, in una fase successiva, nel modo più proficuo possibile i dati ricavati dall’analisi delle immagini con quelli provenienti dalle altre indagini in corso. In questi ultimi anni infatti si sta assistendo ad una rapidissima evoluzione tecnologica che permette di poter utilizzare strumenti sempre più sofisticati a costi minori e da parte di un’utenza sempre più ampia. Questa situazione si è riflessa anche nella ricerca archeologica, che oggi opera in un contesto sempre più multidisciplinare. In questo senso il presente studio si pone anche come sperimentazione di un metodo, che nel caso di Tell Afis e il suo territorio, non era finora stato esplorato.

Premesso che il successo delle tecniche di telerilevamento applicate alla ricerca archeologica dipende da svariati fattori, tra i quali morfologia del terreno, uso e copertura del suolo, caratteristiche climatiche dell’area in esame, stagione in cui è stata acquisita l’immagine, conoscenza

67 Vd. Ad esempio Musson-Palmer-Campana 2005.

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pregressa del territorio e delle problematiche ad esso relative, appare chiaro che a partire da solide basi metodologiche e teoriche comuni a tutte le ricerche di telerilevamento, è necessario mettere a punto i metodi e i criteri della ricerca in modo da adattarli il più possibile al contesto in esame per sfruttare il più possibile le potenzialità informative dei dati di partenza. Da questo punto di vista, il lavoro fin qui svolto rappresenta il primo passo, dato che la validità dei criteri distintivi e interpretativi utilizzati e proposti non è ancora stata verificata sul campo.

Entrando più nel dettaglio uno degli obiettivi della ricerca è per prima cosa quello di analizzare gli elementi costitutivi del territorio, mettendo a punto criteri distintivi atti alla loro individuazione sulle immagini satellitari e proponendo quindi criteri interpretativi. Questo primo passo è necessario per lavorare a quello che è l’obiettivo principale della ricerca in questa prima fase, ossia da un lato l’individuazione di tracce che potrebbero essere legate alla presenza di resti archeologici68 o ad azioni antropiche svoltesi nel passato, dall’altro al riconoscimento di tutte le anomalie e discontinuità che possano essere d’aiuto nella comprensione dei caratteri geomorfologici dell’area in esame. Le tracce e le anomalie così individuate sono state classificate tipologicamente secondo i criteri che verranno esposti nel paragrafo 3.3.2, operazione che ha quindi portato alla creazione di un primo archivio di elementi potenzialmente interessanti su cui lavorare. A questo proposito è stato fondamentale il lavoro svolto in ambiente GIS, descritto dettagliatamente nel paragrafo 3.3.3, ossia la creazione di un database delle tracce e anomalie individuate, definite nei loro attributi formali e collocate nello spazio geografico. Il lavoro sul GIS, come si vedrà meglio in seguito, è stato comunque più ampio e importante anche per altri motivi, in primo luogo perchè il GIS, costituisce non solo un sistema in cui visualizzare e archiviare dati spaziali di diversa origine, ma anche un vero e proprio metodo di lavoro69.

I dati così ottenuti vengono qui proposti sotto forma di catalogo (paragrafo 4.1) in modo da rendere conto di tutto il lavoro analitico svolto, dando la possibilità a chi legge di farsi una propria idea personale. Più avanti si è invece proposta una sintesi dei risultati ottenuti che tenta una prima contestualizzazione dei dati e una lettura d’insieme degli stessi.

Riassumendo, è abbastanza chiaro che la validità dei risultati raggiunti da una ricerca di questo tipo potrà realmente essere valutata

68 I fenomeni relativi alla formazione delle cosiddette tracce, sono descritti nel paragrafo 2.2.2. 69 Cfr paragrafo 2.3.

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solo quando le conclusioni verranno verificate sul terreno. Per ora quindi ci si è limitati ad estrarre la maggior quantità di dati possibile dall’analisi delle immagini, a cercare delle chiavi di lettura dei fenomeni osservati e a proporre, ove possibile, un’interpretazione ipotetica.

Non bisogna infine dimenticare che l’obiettivo finale sia del lavoro fin qui svolto che dei suoi sviluppi futuri, è quello di giungere, dopo la fase analitica, ad una sintesi contestuale di tutti i dati che contribuisca alla comprensione degli aspetti organizzativi, sociali ed economici del territorio di Afis secondo una lettura diacronica.

3.2 IL DATA SET

3.2.1 L’Immagine Quickbird Il satellite Quickbird, lanciato alla fine del 2001, è oggi molto

popolare grazie all’accordo stipulato dalla Digital Globe, proprietaria del satellite, con Google, in base al quale alcune delle immagini di archivio registrate dal satellite sono visibili in rete con il software gratuito Google Earth. Qui di seguito vengono riportate le caratteristiche tecniche del satellite.

L’orbita è polare ed eliosincrona, posta a 450 km di altezza, la risoluzione temporale (lo spazio che intercorre tra due passaggi successivi del satellite nello stesso punto) varia da 1,5 a 4 giorni. Nel modo pancromatico la risoluzione a terra è di 61 cm al nadir, mentre la radiazione misurata si concentra in un unica banda compresa tra 0,45 e i 0,90 micron, corrispondenti al visibile e al vicino infrarosso. Il modo multispettrale ha una risoluzione di 2,44 m, mentre la radiazione misurata è divisa in quattro bande così ripartite:

banda 1 (blu) 0,45-0,52 micron banda 2 (verde) 0,52-0,60 micron banda 3 (rosso) 0,63-0,69 micron banda 4 (vicino infrarosso) 0,76-0,90 micron. La risoluzione radiometrica è di 11 bits per pixel, corrispondenti a

2048 livelli di grigio per ogni banda. Tramite algoritmi di fusione, che verranno descritti più

dettagliatamente in seguito, è possibile fondere l’immagine pancromatica e la multispettrale, ottenendo un’immagine a colori ma con una definizione di poco inferiore a quella dell’immagine pancromatica (circa 70 cm).

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L’immagine utilizzata nel presente lavoro70 è un’immagine d’archivio71, acquisita il 1 Settembre 2004 alle ore 8:22 (ID 101001000337FD00), il subset72 acquistato ha una forma grossomodo quadrata e un’estensione di 103 KM² . L’intento era di scegliere una porzione di territorio di circa 10x10 km, con Afis al centro, ma dato che nella parte meridionale dell’immagine così ricavata ricadeva quasi interamente il centro urbano di Saraqeb, si è scelto di spostare il centro dell’immagine a nord rispetto ad Afis.

Tra le varie opzioni si è scelto di acquistare sia l’immagine pancromatica che la multispettrale, in modo da avere sia la possibilità di analizzarle singolarmente sia di procedere autonomamente alla fusione, valutando i risultati ottenuti con diversi algoritmi.

Tra le varie opzioni d’acquisto disponibili per i prodotti d’archivio, è stata scelta l’opzione “standard ortho ready”, l’immagine cioè ci è stata fornita già georeferenziata, corretta radiometricamente e ortorettificata con un DEM a quota costante, rappresentata dalla media dei valori altimetrici dell’area, che è pari a 354 m sul livello del mare. Con questa opzione è possibile, disponendo di un DEM adeguatamente dettagliato, procedere ad una nuova ortorettifica, ottenendo buoni risultati. La necessità di questa elaborazione nasce dal fatto che le immagini ad alta risoluzione spaziale, così come le foto aeree, presentano delle distorsioni geometriche che riguardano in particolare gli elementi sviluppati in senso verticale e che creano problemi soprattutto per quanto riguarda aree caratterizzate da una morfologia accidentata e dislivelli consistenti. Nel nostro caso, trattandosi di un’area al contrario piuttosto pianeggiante e con un dislivello minimo, le distorsioni sono praticamente impercettibili, per cui è stato possibile utilizzare l’immagine così come fornitaci dal rivenditore.

Per elaborare l’immagine e l’analisi autoptica è stato utilizzato il software Leica Erdas Imagine 8.7, che rappresenta uno standard per l’elaborazione e l’analisi di immagini satellitari. L’elaborazione e l’analisi dell’immagine Quickbird rappresentano le fasi centrali del presente

70 Tav. VII. 71 Le immagini Quickbird possono essere acquistate o scegliendole tra le immagini d’archivio, nel caso ci siano delle immagini che corrispondono all’area di interesse, oppure ordinando delle nuove acquisizioni, opzione che consente entro determinati limiti di scegliere anche il periodo della ripresa. La seconda opzione è chiaramente molto più costosa della prima. Nel caso della nostra area di interesse, era disponibile una sola immagine d’archivio, datata 1 Settembre 2004. 72 Il subset corrisponde ad una parte dell’intera scena ritagliata secondo le coordinate fornite dall’utente al momento dell’ordine.

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lavoro, per cui i procedimenti applicati e i risultati ottenuti saranno descritti più in dettaglio in seguito.

3.2.2 L’Immagine Landsat L’immagine Landsat utilizzata in questo studio73, scaricata

gratuitamente dal sito dell’USGS è stata registrata dal sensore Landsat ETM+ il 22 Giugno 2000.

Il satellite Landsat 7, ultimo della serie Landsat, lanciato nel 1999, ha un’orbita eliosincrona posta a 705 km dalla superficie terrestre e un periodo di rivisitazione di 16 giorni. Il sensore ETM+ (Enhanced Thematic Mapper plus) acquisisce immagini sia pancromatiche, con risoluzione a terra di 15 m e radiazione elettromagnetica compresa tra 0,52 e 0,9 micron, corrispondenti alle regioni del verde, rosso e infrarosso vicino; sia multispettrali, in questo caso la risoluzione spaziale è pari a 30 m, mentre la radiazione elettromagnetica misurata è ripartita in 7 bande nel seguente modo:

banda 1 (blu): 0,45-0,51 micron banda 2 (verde): 0,52-0,6 micron banda 3 (rosso): 0,63-0,69 micron banda 4 (vicino infrarosso) 0,775-0,9 micron banda 5 (infrarosso medio) 1,550-1,750 micron banda 6 (infrarosso termico) 10,40-12,50 micron (con risoluzione spaziale di 60 m) banda 7 (infrarosso medio)2,090-2,350 micron La risoluzione radiometrica è di 8 bit per pixel, corrispondenti a 256

livelli di grigio. Anche in questo caso è possibile fondere l’immagine pancromatica

con la multispettrale, ottenendo un’immagine a 8 bit e 7 bande multispettrali con una risoluzione al suolo di 15 m.

L’immagine è stata scaricata dalla rete in 9 file separati in formato tif, dei quali uno per ogni banda multispettrale, ad eccezione della banda 6 (due bande), più uno per la pancromatica. Il territorio rappresentato ha un’estensione di 185 km per lato, corrispondente all‘intera scena registrata dal sensore.

Tutti i file sono stati prima importati nel formato img, formato proprietario della Erdas, per permettere una più agevole e rapida elaborazione con il software Erdas Imagine, poi i file corrispondenti alle bande dell’immagine multispettrale sono stati uniti in un’unica immagine

73 Tav. II.

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utilizzando la funzione layer stack74, e in seguito dall’immagine così ottenuta è stato ritagliato un subset corrispondente all’area del Jazr75. Un subset con la medesima estensione del precedente, in termini di area rappresentata, è stato ricavato anche dall’immagine pancromatica. I due subset sono poi stati fusi utilizzando il metodo delle componenti principali (PCA). L’immagine multispettrale con 15 m di risoluzione ottenuta in tal modo è stata utile per contestualizzare la ricerca, focalizzata nell’area circostante il sito di Tell Afis, collocandola nell’area fisiografica di appartenenza, la piana alluvionale del Jazr.

Inoltre il maggior range spettrale dell’immagine Landsat rispetto a quella Quickbird può essere utile nell’analisi, a una scala inferiore di dettaglio, di fenomeni maggiormente visibili nelle bande dell’infrarosso medio e termico.

3.2.3 Cartografia Nell’ambito della ricerca si è potuto fare riferimento a tre differenti

fonti cartografiche per quanto riguarda la topografia dell’area di studio. Cominciando dalla fonte più vecchia dal punto di vista

cronologico, si tratta della carta topografica in scala 1:50000 realizzata dai francesi all’inizio degli anni 40’. L’area di studio è quasi interamente compresa nel foglio NI 37 XIX 4d Saraqeb, mentre la porzione più a ovest è compresa nel foglio NI 37 XIX 4c Idlib. Schematicamente le caratteristiche della carta sono le seguenti:

Sistema di riferimento cartografico: Levant Proiezione: Conica conforme di Lambert Ellissoide: ellissoide Clarke 1880 IGN Datum: Deir ez Zor Essendo la carta realizzata in un sistema di riferimento non più

utilizzato, è stato necessario riproiettarla nel sistema di riferimento UTM, zona 37 N, datum WGS84, scelto come sistema di riferimento in questa ricerca, al fine di importarla in ambiente GIS e rendere i dati confrontabili direttamente sia con le immagini satellitari che con le altre fonti cartografiche. La georeferenziazione di questa carta si è svolta quindi in differenti fasi. Prima di tutto la carta, digitalizzata in formato tif, è stata georeferenziata in base alle coordinate dei vartici, nel suo sistema di riferimento originale. Per la georeferenziazione è stato utilizzato il Software ArcGis desktop 9.1. In seguito è stata riproiettata tramite la

74 Questa funzione permette di “montare” in unica immagine multibanda i file relativi alle bande spettrali separate, così come acquisite dal sensore. 75 Tav. II.

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funzione Project raster manegement76 nel sistema UTM 37 N WGS 84. Sovrapponendo la carta all’immagine satellitare Quickbird emerge che la carta ha un errore di circa 100 m sia lungo l’asse x che lungo l’asse y77. Considerato che la buona sovrapponibilità tra i diversi layer è un requisito fondamentale per lavorare in ambiente GIS, tale errore è stato considerato inaccettabile. Per correggere questo aspetto in modo da ottenere un risultato soddisfacente è stata effettuata una nuova rettifica, ossia una trasformazione che prevede il ricampionamento dell’immagine in base a dei punti di coordinate note chiamati GCP (ground control point). Tali punti possono essere ricavati in diversi modi, il più rigoroso dei quali prevede l’acquisizione dei punti con GPS differenziale in corrispondenza di punti che si presume (o si sa per certo) siano ben riconoscibili sull’immagine da rettificare. Nel nostro caso, non disponendo di tale strumentazione, è stato adottato un metodo meno rigoso ma soddisfacente per i nostri scopi, che utilizza come sorgente di coordinate un’altra immagine georeferenziata della quale si assume la correttezza in termini di coordinate. Utilizziamo quindi a questo scopo le due immagini satellitari di cui disponiamo, cioè l’immagine Landsat, che copre tutta l’area rappresentata dalla carta, e l’immagine Quick, che ci permette di avere una precisione maggiore nell’area specifica di interesse. Si individuano quindi dei punti omologhi chiaramente riconoscibili sia sulla carta che sulle immagini satellitari e il risultato è pienamente soddisfacente in termini di sovrapponibilità delle immagini alla cartografia.

Le caratteristiche che contraddistinguono queste carte e che sono utili alla nostra ricerca possono essere riassunte nell’accuratezza dei dettagli, nel fatto che siano scritte in francese, coi toponimi quindi traslitterati (dettaglio di non poco conto per chi non conosce l’arabo) e nel valore documentario di cartografia storica che esse hanno: essendo state redatte 64 anni fa in base a fotografie aeree scattate negli anni 30’, esse rappresentano un territorio in parte radicalmente mutato (tra gli elementi più importanti che sono cambiati in modo considerevole vi sono la dimensione degli abitati, le strade, la conversione di alcune aree agricole, l’idrografia) e possono quindi essere molto utili per identificare e/o confrontare le ipotetiche forme relitte eventualmente individuate sulle immagini satellitari. Anche se la scala 1:50000 non è chiaramente molto adatta ad un’analisi di dettaglio come quella che può essere condotta

76 Questa funzione permette di riproiettare un’immagine georeferenziata in nuovo sistema di riferimento cartografico, ottenendo una nuova immagine georeferenziata nel sistema prescelto. 77 In altre parole un oggetto che nella carta si trova in un punto, non si trova nell’immagine nello stesso punto ma a circa 100 m di distanza.

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utilizzando l’immagine Quickbird, che può essere visualizzata in modo perfettamente nitido anche ad una scala 1:2000, le proprietà summenzionate fanno di questa carta uno strumento comunque utile alla ricerca.

Le stesse considerazioni sulla scala sono valide per la carta siriana, sempre in scala 1:50000. Questa carta, risalente al 1983, e le cui caratteristiche tecniche non ci sono note, risulta utile particolarmente perchè è la fonte cartografica più aggiornata di cui disponiamo, anche se il territorio ha subito comunque dei cambiamenti negli ultimi 25 anni. Inoltre il fatto che sia a colori agevola la lettura degli elementi morfologici e in particolare dell’idrografia. In questo caso la carta è stata georeferenziata con ArcGis direttamente nel sistema UTM 37 N WGS 84, col metodo dei punti omologhi descritto sopra, utilizzando tutte le fonti disponibili tra cui la carta francese degli anni 40’.

Infine c’è la carta siriana in scala 1:25000, il dettaglio cartografico più elevato di cui disponiamo, la carta risale al 1975 e anche in questo caso le caratteristiche tecniche non ci sono note78. La carta è stata scansionata con uno scanner A4 a partire da fotocopie in formato A3, per un totale di otto parti. Le singole parti sono state georeferenziate singolarmente, utilizzando il metodo dei punti omologhi e come fonte di coordinate l’immagine satellitare Quickbird e la cartografia siriana al 50000 per le parti non coperte dall’immagine satellitare, dunque direttamente nel sistema di riferimento cartografico UTM 37 N WGS84. In seguito i singoli file sono stati mosaicati con il Mosaic Tool di Erdas Imagine 8.7 per ricostruire la carta originaria in un unica immagine. Il risultato non è pienamente soddisfacente ma comunque accettabile considerando il numero dei files da mosaicare e le deformazioni dei files iniziali dovute alle operazioni di fotocopiatura e scansione.

La caratteristica più interessante della carta è la minuziosa descrizione dell’altimetria, con curve di livello direttrici a 5 m ed ausiliarie a 2,5 di equidistanza, e numerosi punti quotati. Da questa base è stato possibile ricavare il modello digitale del terreno (vedi paragrafo 3.3.4), ottenuto per elaborazione di tutte le curve di livello e i punti quotati precedentemente digitalizzati su layer vettoriale.

3.3 METODOLOGIA IMPIEGATA

3.3.1 Analisi ed elaborazione delle immagini Quickbird

78 La carta è stata fotocopiata per gentile concessione della Cartoteca dell’IFAPO a Damasco. Le informazioni sulle caratteristiche tecniche della carta non sono state divulgate in quanto “confidenziali”.

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Le immagini Quickbird a nostra disposizione, come visto nel paragrafo 3.2.1 sono state acquisite il 1 Settembre 2004. Nell’accingersi ad affrontare l’analisi di un’immagine satellitare è molto importante considerare i caratteri di stagionalità della stessa, dato che le caratteristiche di riflettanza del terreno e/o della sua copertura possono variare in modo anche radicale in relazione alla stagione. La miglior condizione possibile per un’analisi di dati telerilevati prevede infatti la multitemporalità dei dati, cioè il poter disporre contemporaneamente di immagini riprese in stagioni differenti. Dato che questo purtroppo non è il nostro caso, bisogna comunque tener conto, nell’osservare l’immagine, che a Settembre il terreno è particolarmente secco dopo la stagione estiva e prima delle piogge autunnali e che molti campi sono arati. Questo significa che la possibilità di individuare tracce da umidità e crop marks è notevolmente ridotta. Tuttavia analisi svolte in condizioni di assenza di vegetazione mostrano come in determinati casi questa situazione favorisca la visibilità di determinate tracce79. Ad esempio i letti asciutti di alcuni wadi, che nell’immagine appaiono altamente riflettenti per via dei ciottoli che li caratterizzano80.

Prima di entrare nel dettaglio delle analisi svolte sulle immagini vediamo quindi quali sono gli elementi ricorrenti che caratterizzano l’area di studio e come questi sono rappresentati nelle immagini a nostra disposizione nei diversi color composite. Trattandosi di un territorio a vocazione agricola, la vegetazione naturale è molto rara e comunque limitata a qualche cespuglio ed erbe spontanee nei terreni incolti o a riposo.

Le aree coltivate, per quanto riguarda ciò che appare dalle immagini, in altre parole in base alle loro caratteristiche spettrali, possono essere classificate in tre tipi principali. Il primo tipo (Tav.VIII, fig.1; Tav. IX, fig. IV) è rappresentato dai campi che a Settembre sono arati, come ad esempio il grano; questi campi osservando le immagini multispettrali a colori naturali (CC 321) sono marroni, nel FCC 432 appaiono verde scuro e nel FCC 421 sono tra il verde scuro, il grigio e il blu. La curva di riflettanza dei campi arati elaborata in base ai dati multispettrali dell’immagine Quickbird mostra valori medio-bassi quasi costanti nell’intervallo di lunghezze d’onda corrispondenti alle bande del verde rosso e vicino infrarosso, più bassi nella banda del blu. Il secondo tipo (Tav.VIII, fig. 2) è costituito dai campi che a Settembre sono invece verdi, come ad esempio quelli di cotone, e che a colori naturali appaiono di un

79 Cfr. Grøn et Alii 2006, p.144. 80 Vd. Ad esempio Tav.IX figg. 1 e 2.

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verde intenso, mentre nei FCC 432 e 421 sono facilmente riconoscibili per il colore rosso acceso, dovuto all’alta riflettanza nell’infrarosso (banda 4) tipica della vegetazione in salute81. La curva di riflettanza è infatti quella tipica della vegetazione: nel visibile la massima riflettanza si ha nel verde, mentre il massimo assorbimento è nel rosso; nell’infrarosso vicino si ha invece il picco massimo di valori. Il terzo tipo (Tav.VIII, fig.3; Tav.IX, fig.5) è stato individuato in quei campi che mostrano valori di riflettanza relativamente alti in tutte le bande: la curva sale bruscamente dal blu al verde, rimane fissa per tutte le lunghezze d’onda corrispondenti al verde e ricomincia a salire in modo continuo dal rosso all’infrarosso dove sono registrati i valori più alti. I valori alti in tutte le bande sono all’origine del colore prevalentemente bianco che questi campi assumono in tutti i color composite. L’alta riflettanza di questi terreni è probabilmente da attribuire a vegetazione secca, come ad esempio residui di mietitura, in campi non ancora arati o a riposo; è noto infatti che le foglie secche, non essendo più in grado di assorbire acqua e luce, perchè ormai prive di clorofilla, sono molto riflettenti a tutte le lunghezze d’onda.

Una categoria a parte è costituita dagli oliveti (Tav.VIII, fig. 4), molto ben riconoscibili sulle immagini per l’inconfondibile tessitura definita dalle chiome degli olivi disposte in modo regolare. Com’è ovvio, le chiome appaiono verdi visualizzando l’immagine a colori naturali, rosse nei FCC 432 e 421.

Tra gli elementi relativi alla geomorfologia, i calcari affioranti (tav. XIX-XXII) sono ben distinguibili sull’immagine per il colore bianco o tendente al bianco con il quale appaiono, dovuto all’alta riflettanza, con valori pressoché costanti in tutte le bande esclusa quella del blu. Più articolato è il discorso per quanto riguarda i corpi idrici, che come già visto sono nella maggior parte dei casi wadi cioè corsi d’acqua a regime stagionale. All’inizio di Settembre quindi la maggior parte dei letti sono secchi, e in questo caso i corsi possono essere riconoscibili o per il colore più scuro rispetto al terreno circostante, dovuto ad una maggiore umidità, o al contrario per il colore chiaro, quando è il letto è completamente secco ed è costituito da ciottoli caratterizzati da alta riflettanza (Tav.IX, figg. 1 e 2). Quando invece l’alveo non è asciutto è ben identificabile sia per l’erba spontanea che cresce lungo il corso del wadi, che viene enfatizzata dal rosso che essa assume nei FCC che visualizzano

81 La vegetazione sana, o in altre parole verde, si caratterizza per essere molto assorbente nella regione del visibile e in particolare nell’intervallo di lunghezze d’onda corrispondente al rosso, perchè l’assorbimento della luce in queste regioni dello spettro è necessario ai processi di fotosintesi clorofilliana. Al contrario, è molto riflettente nell’infrarosso vicino. Per questo associando la banda del rosso al canale dell’infrarosso, la vegetazione appare rossa.

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la banda 4 nel canale del rosso, sia dal contrasto tra l’erba e il colore dell’acqua (Tav. IX fig.3). L’acqua è caratterizzata da valori di riflettanza bassi a tutte le lunghezze d’onda, ma i valori più bassi si hanno nel rosso e soprattutto nell’infrarosso, quindi a colori naturali essa appare blu scuro, tendente al verde o al giallo in relazione alla minore o maggiore torbidità; mentre in FCC 421 essa appare per lo più blu scuro e infine col 432 il colore diventa blu scuro tendente al nero.

Infine le aree urbanizzate (Tav. IX, fig. 6) si distinguono anche in questo caso per l’alta riflettanza e per la tessitura più o meno regolare: gli agglomerati urbani appaiono bianco-grigi a colori naturali, mentre nei FCC 421 e con maggior enfasi nel 432 sono tra il grigio e il bianco-ciano inframmezzati da piccole chiazze rosse che rappresentano la vegetazione dei giardini domestici.

La fig.1 di Tav.X mostra un confronto tra le curve di riflettanza ricavate nell’immagine multispettrale per alcuni degli elementi più significativi descritti sopra.

Per concludere si ribadisce ancora una volta che i criteri identificativi qui seguiti non stati suffragati da verifiche a terra, per cui le conclusioni raggiunte sono da intendere per il momento solo come proposte di identificazione.

Le immagini Quickbird pancromatica e multispettrale sono state elaborate utilizzando il software Leica Erdas Imagine. La prima fase del processo di elaborazione è costituita dalla semplice osservazione autoptica delle due immagini, osservate separatamente ma contemporaneamente grazie alla funzione geolink, che permette appunto di stabilire un collegamento geografico tra due o più immagini, e di osservare quindi la stessa area geografica, nello stesso momento, su immagini diverse. Questa osservazione ci ha permesso di identificare le prime anomalie e di osservare attentamente le immagini nella loro forma originale prima di sottoporle ad elaborazione.

La seconda fase consiste nella fusione delle due immagini (resolution merge), cosa che ha permesso di disporre di un’unica immagine multispettrale a quattro bande, con risoluzione spaziale di 0,59 cm. La fig. 2 di Tav.X mostra il confronto tra immagine pancromatica, immagine multispettrale e immagine fusa, per una piccola area campione.

La fusione delle immagini è un problema complesso perchè con questa operazione si rischia di alterarne fortemente il contenuto spettrale e quindi la capacità informativa. Esistono diversi metodi ed occorre quindi valutare il migliore in relazione alle caratteristiche delle immagini da fondere e alle necessità della ricerca. Relativamente a questa

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problematica, un recente contributo di R.Lasaponara e N.Masini82 analizza i principali metodi di fusione adottati per le immagini ad alta risoluzione e confronta i risultati ottenuti in base alla maggiore o minore possibilità di distinzione di elementi archeologici nelle immagini ottenute applicando i diversi metodi. I due autori mostrano come non ci sia un metodo decisamente migliore degli altri, ma piuttosto come i diversi metodi permettano di ottenere risultati tra loro differenti in relazione a determinate bande. Di conseguenza la scelta deve essere fatta tenendo conto soprattutto delle caratteristiche di copertura del suolo dell’area in esame.

Il metodo di fusione utilizzato nel presente studio è quello basato sulle componenti principali (PC), il quale permette di ottenere un’immagine che mantiene i valori multispettrali molto vicini a quelli originali. L’analisi delle PC è un metodo di miglioramento spettrale che consiste nel ridistribuire le informazioni presenti nell’immagine multispettrale originale in diverse componenti artificiali, delle quali le prime contengono la maggior parte dell’informazione, in modo da eliminare la naturale correlazione presente nelle bande originali. Nel procedimento di fusione adottato, viene calcolata la prima componente principale (PC1) dell’immagine multispettrale, si determinano i valori minimo e massimo e poi viene rimossa. I valori della PC1 così calcolati serviranno a ricampionare l’immagine pancromatica, in modo che questa vada poi a sostituire la PC1 nell’immagine multispettrale. Infine si applica la trasformazione inversa che permette di tornare ai valori multispettrali delle bande di partenza. Questo metodo si basa sull’assunzione che la PC1 sia spettralmente equivalente all’immagine pancromatica, ed è già stato utilizzato con successo in ricerche di carattere archeologico con uso di immagini Quickbird83. Nel nostro caso è stato selezionato proprio per la fedeltà in termini spettrali che esso garantisce rispetto alle immagini originali.

L’immagine fusa così ottenuta è stata quindi a sua volta analizzata autopticamente, utilizzando di volta in volta diverse combinazioni di bande, principalmente 432 e 421 e diversi metodi di miglioramento del contrasto (soprattutto standard deviation stretch, equalizzazione dell’istogramma). Contemporaneamente, ogni volta che è stata osservata un’anomalia o una possibile traccia, questa viene osservata in ambiente GIS, dove è possibile confrontarla con le altre fonti disponibili, in particolare con la cartografia e con le informazioni altimetriche da questa

82 Lasaponara-Masini 2006e. 83 Vd. Ad esempio Georgoula et Alii 2004.

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desunte, operazione che chiaramente permette di avere un quadro più completo al fine di verificare il reale interesse della traccia e di avanzare un’interpretazione ipotetica della stessa.

Questa prima fase di analisi ha permesso di identificare numerose tracce e anomalie, alcune delle quali, di notevole estensione, definiscono delle vere e proprie aree di interesse, tra le quali ovviamente la più importante è quella rappresentata dall’area di Tell Afis.

Per ogni area di interesse sono poi stati ritagliati dei subset, a partire dalle immagini originali, in modo da poter elaborare separatamente le parti dell’immagine relative alle diverse tracce, al fine di trovare, quando necessario per ognuna di esse l’elaborazione più adatta a definirla ed evidenziarla. Questo è indispensabile in quanto sia i procedimenti di miglioramento del contrasto che le elaborazioni basate sulla statistica, trattano l’immagine dal punto di vista numerico, ossia in base al valore numerico dei suoi pixel, per cui solo disponendo di un’area relativamente omogenea la singola anomalia si differenzierà in modo statisticamente significativo dal contesto circostante e potrà essere così evidenziata84. Infine ogni traccia così definita viene classificata secondo i criteri esposti più avanti (paragrafo 3.3.2), digitalizzata in ambiente GIS ed inserita così nel geodatabase appositamente realizzato per questo studio (paragrafo 3.3.3).

3.3.2 Classificazione degli elementi individuati Gli elementi che sono più o meno chiaramente distinguibili sulle

immagini satellitari e che rivestono un potenziale interesse ai fini della ricerca, sono fondamentalmente relativi a presunti resti archeologici sepolti o ad attività antropiche del passato, oppure sono potenzialmente interessanti per la caratterizzazione geomorfologica dell’area, fondamentale per la ricostruzione del paesaggio antico e per la comprensione dell’organizzazione del territorio nell’antichità.

Da questa breve premessa emerge quindi che gli elementi di cui si parla sono di natura piuttosto eterogenea e nella maggior parte dei casi difficilmente definibili e interpretabili. Del resto una seppur embrionale e certamente non definitiva classificazione è necessaria da un punto vista strettamente pratico, poichè i dati relativi all’ubicazione e forma di questi elementi sono stati digitalizzati in ambiente GIS ed è sembrato quindi utile, associare una diversa simbologia a ciò che ai nostri occhi riveste un

84 Un modo di procedere analogo è adottato nell’analisi di immagini Ikonos descritta in Campana 2004.

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diverso significato, pur con tutta l’incertezza che un’operazione di questo tipo comporta.

Nella ricerca di un criterio valido di distinzione, ma che soprattutto risultasse utile ai fini di un’elaborazione dei dati si è scelto di adottare un criterio interpretativo, definendo delle macrocategorie in base all’interpretazione che dai dati disponibili sembra la più verosimile. Secondo quanto è stato affermato sopra, i dati ricavati dall’analisi delle immagini satellitari, potrebbero essere divisi in due gruppi, a seconda che essi siano riferibili alla sfera antropica o a quella geomorfologica. Questa divisione, valida dal punto di vista concettuale, e utilizzata nel catalogo per esigenze di chiarezza espositiva, non è stata però formalizzata a livello di geodatabase e di simbologia sul GIS, dove le tracce e le anomalie sono tutte inserite nella feature class lineare “dati telerilevati”, mentre la classe corrisponde al campo “tipo”. A questo campo sono stati assegnati dei valori predefiniti, uno per ogni classe, e ad ogni valore è associata una simbologia(Tav.X, fig.3). Le classi quindi sono state così definite:

Dati di interesse geomorfologico 1. Anomalie del terreno – Si tratta di anomalie chiaramente distinguibili in aree che presentano caratteristiche omogenee per quanto riguarda le caratteristiche spettrali e la tessitura. Nei casi più frequenti esse sono rappresentate da presunti affioramenti calcarei, da accumuli di ciottolame o dalle cosiddette “tracce da umidità”. 2. Idrografia attuale – Corrisponde al reticolo idrografico attuale, compresi i letti asciutti degli wadi, così come è distinguibile sulle immagini satellitari. A questa classe sono state assegnate le tracce la cui interpretazione è abbastanza chiara o per le caratteristiche del corpo idrico e/o per la sua presenza sullo stesso percorso o poco distante in una delle fonti cartografiche. 3. Tracce di presunta idrografia – Questa classe è stata assegnata alle tracce che sembrano attribuibili a corpi idrici, o a comunque a presenza di acqua anche non in superficie, ma la cui interpretazione è molto meno certa rispetto alla classe precedente.

Tracce di attività antropica 4. Tracce di possibili strutture – Si tratta di tracce che per forma, dimensioni e talvolta ubicazione, potrebbero in via ipotetica essere attribuite a strutture sepolte, quindi di potenziale interesse archeologico. 5. Tracce di presunta viabilità – Si tratta di tracce lineari più o meno ben definite e continue, che possono essere attribuite a strade non più in uso. A questo proposito è da notare come sia praticamente impossibile capire

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se e quando queste tracce sono attribuibili a resti antichi o recenti. Da un confronto tra cartografia e immagini satellitari è stato infatti notato come alcune strade di campagna, ben visibili sulle carte, siano praticamente scomparse secondo quanto è possibile vedere sulle immagini. 6. Tracce di presunte divisioni agrarie – Sono state inserite in questa classe le tracce di forma geometrica regolare che non corrispondono all’andamento dei campi attuali né all’organizzazione del territorio in senso più ampio per l’incompatibilità con la presenza ad esempio di strade, edifici ed altre infrastrutture. 7. Tracce di incerta interpretazione – Sotto questa categoria, com’è ovvio sono state inserite tutte quelle tracce che sono potenzialmente interessanti ai fini dello studio, ma che non rientrano in nessuna delle categorie precedenti e per le quali è impossibile formulare un’interpretazione.

3.3.3 Il GIS: dall’elaborazione del Geodatabase al popolamento Un Geodatabase è un database nel quale è possibile archiviare,

editare e interrogare dati spaziali e informazioni geografiche. In un geodatabase i dati spaziali sono immagazzinati come gli altri tipi di dati (ad esempio informazioni testuali), ma ad essi sono associati attributi che ne definiscono le caratteristiche spaziali ed il sistema di riferimento geografico. In un progetto GIS i vantaggi che derivano dall’inserimento dei dati in un geodatabase piuttosto che in file autonomi sono vari, tra i più importanti ci sono la centralizzazione dei dati, che permette un accesso più rapido e sicuro, maggiori possibilità di interrogazione e di svolgere analisi complesse, e la possibilità di stabilire regole nell’immissione dei dati, che verificate tramite funzioni di validazione prevengono l’inserimento di valori errati.

Per il presente studio è stato utilizzato il software ArcGis Desktop 9.1. con il quale è stato elaborato un Personal Geodatabase destinato a contenere tutti i dati vettoriali. Il primo passo è stato quindi la definizione delle necessità a cui il Geodatabase avrebbe dovuto rispondere, che possono essere così riassunte: contenere in modo adeguatamente organizzato i dati ricavati dall’analisi delle immagini satellitari; immagazzinare tutti i dati ricavabili dalla cartografia (fisici e antropici) utili a comprendere l’organizzazione del territorio, le trasformazioni più recenti, e agevolare l’interpretazione delle immagini satellitari; archiviare in forma facilmente consultabile i dati geomorfologici di campagna (rilevamento effettuato nel 2006 dalla Dott.ssa Melis85) relativi ad una porzione dell’area di studio; immagazzinare e riorganizzare alcuni dei

85 Ringrazio la Dott.ssa Melis per avermi messo a disposizione questi dati.

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dati già precedentemente digitalizzati in formato shape e utili al presente lavoro: coordinate dei siti di interesse archeologico e informazioni sui suoli (rilevamento effettuato dal Dott. Boschian)86.

I dati da inserire sono quindi eterogenei sia dal punto di vista del loro significato, essendo presenti dati che possono essere ricondotti alla sfera dell’attività antropica, e a quella geoambientale, sia dal punto di vista delle fonti utilizzate (cartografia, immagini satellitari, dati provenienti da ricerche precedenti), sia dal punto di vista dell’affidabilità (è evidente che i dati provenienti da fonti cartografiche siano maggiormente affidabili rispetto ai dati telerilevati che costituiscono però il fulcro della ricerca).

Dal punto di vista concettuale, è sembrato utile adottare una suddivisione dei dati in macrocategorie, così definite: dati telerilevati, antropizzazione, elementi naturali, geomorfologia. Tuttavia, nello strutturare il geodatabase bisogna tener conto del fatto che in un database relazionale l’informazione deve essere scomposta il più possibile in unità elementari, cosa fondamentale per eliminare ogni tipo di ridondanza dei dati ed evitare ogni ambiguità, rendendo così più facile sia l’immissione dei dati stessi che le successive interrogazioni ed elaborazioni. Per questi motivi non è consigliabile strutturare le informazioni in senso gerarchico, dunque in fase di creazione del geodatabase è stato utilizzato un unico feature data set, che contiene tutte le feature class, cioè gli elementi informativi, che sono così caratterizzati da un sistema di riferimento spaziale comune.

Una delle caratteristiche più importanti delle feature class è che devono essere definite a livello spaziale come linee, punti o poligoni, per cui deve essere scelta la forma geometricamente più adatta a rappresentare ogni informazione. Nel nostro caso tutte le informazioni da digitalizzare in forma vettoriale sono rappresentate dalle seguenti feature class87:

Dati telerilevati (linee). I dati telerilevati sono stati digitalizzati come elementi lineari, cercando di seguire in modo più preciso possibile la traccia così come visualizzata nell’immagine satellitare. Ad ogni traccia è stato assegnato un valore specifico nel campo “tipo”, secondo i criteri esposti nel paragrafo 3.3.2.

86 Ringrazio il Dott. Del Vesco per avermi autorizzato ad utilizzare questi dati. 87 La Fig.4 di Tav. X mostra in forma grafica come la struttura del geodatabase appare all’interno del progetto ArcMap.

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Antropizzazione Viabilità (linee). La viabilità principale e secondaria è stata digitalizzata in base alla cartografia siriana 1:25000. Centri abitati moderni (punti). I centri abitati moderni sono stati indicati semplicemente come dei punti, collocati grosso modo al centro dell’abitato, con indicazione del toponimo. Siti archeologici (punti). Anche i siti sono indicati come punti. Oltre ai siti maggiori sono stati indicati i punti di interesse individuati durante le campagne di ricognizione degli anni precedenti. Questa feature è stata importata da un preesistente shapefile. Scavo (linee). La feature class che rappresenta i limiti delle aree di scavo a Tell Afis è stata importata dal file CAD aggiornato alla fine della campagna del 2007. Area di studio (poligoni). Per motivi pratici si è ritenuto utile digitalizzare un poligono che delimita l’area di studio, corrispondente ai limiti delle immagini Quickbird.

Elementi naturali Idrografia (linee). L’idrografia è stata digitalizzata in base alle fonti cartografiche, dando un valore e quindi una simbologia diversa, alle informazioni desunte rispettivamente dalla carta degli anni 40’, da quella degli anni 70’ e da quella degli anni 80’. Le differenze riscontrate hanno permesso di valutare le variazioni dell’idrografia nell’arco di più di 40 anni. Isoipse (linee). Le isoipse sono state digitalizzate in base alla carta siriana 1:25000. Nella tabella è stato inserito un campo in cui immettere i valori di quota, che serviranno poi ad elaborare il modello digitale del terreno. Punti quotati (punti). Anche i punti quotati sono stati desunti dalla carta in scala 1:25000 e sono stati utilizzati per elaborare il DTM. Pedologia (poligoni). Questa feature è stata importata da un preesistente shapefile, al quale sono stati cambiati, per maggior chiarezza, i nomi di alcuni campi. Le informazioni sulla pedologia comprendono un’area più estesa rispetto all’area di studio, che tuttavia non comprendono pienamente, essendoci una lacuna nell’angolo sud-orientale.

Geomorfologia Geomorfologia - aree rilevate (poligoni). Le informazioni sulla geomorfologia sono state suddivise in base alle caratteristiche geometriche della rappresentazione relativa. In questa feature sono

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pertanto state inserite quelle aree, che possono essere rappresentate da un poligono, nelle quali durante i rilievi sul campo sono state individuate caratteristiche significative dal punto di vista geomorfologico. Geomorfologia - elementi lineari (linee). In questa feature sono stati inseriti i fenomeni geomorfologici a prevalente sviluppo lineare, come i corsi d’acqua, i fenomeni di ruscellamento, le rotture di pendio. Stop (punti). Si tratta di punti in cui durante il rilievo geomorfologico sono state annotate informazioni.

Una volta stabilita la struttura del Geodatabase, si procede alla

creazione vera e propria tramite il software ArcCatalog. All’interno del geodatabase vengono stabiliti i domini, cioè degli insiemi di valori predefiniti che possono essere assegnati ai campi delle tabelle del database. I domini impostati per questo studio sono i seuenti: dati telerilevati, geomorfologia aree, geomorfologia elementi lineari, idrografia, viabilità.

Una seconda fase consiste nella creazione del feature data set, cioè una sorta di contenitore che raggruppa delle feature class caratterizzate da un medesimo sstema di riferimento spaziale, e nell’impostazione dei relativi parametri. Come sistema di riferimento cartografico è stato scelto il sistema UTM, zona 37 N, datum WGS 84. Solitamente in un progetto GIS si utilizza il sistema cartografico locale, ma nel nostro caso, dato che delle tre carte disponibili, due sono redatte in un sistema non noto, mentre la terza in uno ormai obsoleto, si è preferito utilizzare il sistema UTM e il datum WGS84, che ha la caratteristica di essere geocentrico, quindi ugualmente valido in tutto il mondo, ed è per questo utilizzato quasi sempre per la georeferenziazione delle immagini satellitari. Altri parametri da impostare sono i domini X e Y, cioè il range di valori che possono assumere le coordinate, e la precisione88 , cioè il rapporto tra la scala del lavoro e la scala dei dati.

All’interno del feature data set vengono quindi create le feature class, secondo i criteri visti sopra, impostando i relativi campi e agganciando ad alcuni di essi i valori di dominio.

Ora il geodatabase è pronto per l’immissione dei dati, fase che nel gergo tecnico è chiamata popolamento e che nel nostro caso avviene tramite l’interfaccia del software ArcMap. Un progetto ArcMap permette di visualizzare, editare ed interrogare dati geografici caratterizzati dal medesimo sistema di riferimento spaziale. Tutti i dati sono rappresentati

88 I valori impostati sono i seguenti: X/Y domain: minX = 250000; minY = 3500000; maxX = 214998364,5; maxY= 218248364,5 ; precision = 10.

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sotto forma di layer vettoriali o raster, sovrapposti in base alle scelte dell’utente. Sul medesimo progetto vengono quindi caricate le carte topografiche, le immagini satellitari Quickbird e Landsat e i dati vettoriali presenti nel geodatabase. A questo punto, per rendere la visualizzazione più razionale e rendere così più semplice ed efficiente l’immissione dei dati e le fasi di ricerca vera e propria i layer vengono raggruppati nelle seguenti macrocategorie: dati telerilevati, area di studio, antropizzazione, elementi naturali, geomorfologia appunti di campagna, cartografia, immagini satellitari89. Infine vengono elaborate e salvate le simbologie relative ai campi con valore predefinito. L’ultima fase è quella del popolamento vero e proprio, che consiste nel digitalizzare manualmente sui layer vettoriali le informazioni desunte da cartografia, immagini satellitari e altre fonti, secondo i criteri visti sopra.

3.3.4 Il Modello digitale del terreno: costruzione e uso Il modello digitale del terreno o DTM (digital terrain model) è un file

raster o vettoriale, georeferenziato, che descrive le caratteristiche altimetriche dell’area di interesse. Esistono molteplici tipi di DTM e DEM90, che si distinguono sia in base alla struttura dei dati, vettoriali e raster, a maglia triangolare (tin) o a maglia quadrata (grid e lattice), sia in base all’origine dei dati: da cartografia, da rilievo topografico, da rilievo aerofotogrammetrico, o da una combinazione di dati di diversa origine. Infine un’ultima caratteristica che distingue tra loro i DTM è il livello di elaborazione subita dai dati di partenza: diverse procedure di interpolazione nella produzione del modello possono enfatizzare o meno certe caratteristiche morfologiche del terreno in esame, dare un risultato più realistico e/o più fedele ai dati di partenza. Non è questa la sede adatta a descrivere in modo approfondito le differenze tra le varie tipologie di DEM e le svariate possibilità offerte dai diverse modelli di dati e dalle innumerevoli procedure di interpolazione, ci si limiterà quindi a descrivere in modo dettagliato le procedure utilizzate per l’elaborazione di un modello digitale del terreno dell’area di studio, e il suo uso nell’ambito della presente ricerca.

Nel nostro caso sono stati elaborati due diversi DTM, uno relativo all’intera area di studio coperta dall’immagine satellitare Quickbird e un altro relativo alla sola area di Tell Afis. Questo modo di procedere è stato

89 Tav.X, fig.4. 90 Il DEM, digital elevation model, corrisponde al modello di elevazione del terreno, dunque comprende oltre al terreno anche gli oggetti, sia antropici (edifici e infrastrutture) che naturali (ad esempio i boschi) che stanno sulla superficie del terreno. Tipicamente i DEM sono ottenuti da procedimenti fotogrammetrici che fanno uso di coppie stereoscopiche di fotografie aeree.

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dettato dalla natura dei dati di partenza in nostro possesso, che sono caratterizzati da diversi gradi di dettaglio: per il territorio rappresentato dall’immagine satellitare infatti, l’unica fonte di dati altimetrici disponibile e utilizzabile per la costruzione di un DTM è rappresentata dalla carta siriana in scala 1:25000, avendo quelle in scala 1:50000 un livello di dettaglio troppo basso, almeno in relazione agli scopi della ricerca; mentre per l’area di Tell Afis è disponibile il rilievo topografico in formato CAD con curve di livello con equidistanza pari a 1 m, che ha chiaramente consentito, limitatamente a quest’area di elaborare un DTM relativamente dettagliato. Vediamo dunque in breve il procedimento seguito per l’elaborazione dei due modelli.

Elaborazione del DTM dell’area di studio: TIN e GRID Come già accennato, è stata utilizzata la carta siriana in scala

1:25000, caratterizzata da curve di livello con equidistanza di 5 m e curve ausiliarie a 2,5 m, e una buona quantità di punti quotati.

Il metodo adottato consiste nella digitalizzazione manuale, su layer vettoriale in ambiente GIS, di tutte le curve di livello e i punti quotati, immettendo i valori di quota in uno specifico campo. Sucessivamente a quest’operazione è stata utilizzata una funzione specifica del software ArcGis, “create tin from feature”, che a partire appunto da feature dotate di dati altimetrici, crea un TIN (triangular irregular network). Il TIN è uno dei modelli dati più comuni e di più semplice elaborazione per la rappresentazione di un DTM e in molti casi, come nel nostro, costituisce il primo passo per l’elaborazione di modelli più complessi. Un TIN è un modello vettoriale costituito da una rete a maglia triangolare, nella quale le informazioni altimetriche corrispondono ai valori di quota dei vertici dei triangoli. La maglia viene costruita in base ai dati altimetrici di input: ogni punto di altimetria nota viene utilizzato come mass point e va a costituire il vertice di un triangolo. Per rendere il modello più fedele al territorio rappresentato possono essere introdotti elementi lineari privi di quota, che possono essere utilizzati come break lines (che a seconda dell’intensità della discontinuità che si vuole rappresentare possono essere soft oppure hard), cioè per rappresentare punti in cui l’andamento del rilievo presenta delle interruzioni più o meno brusche. Questo modello ha il vantaggio di interpolare solo minimamente i dati di origine, e principalmente in aree caratterizzate da una bassa densità di punti, tuttavia il risultato sarà un modello spigoloso e di aspetto poco naturale, ed è questa la principale ragione per la quale sulla base del TIN si effettuano ulteriori elaborazioni, volte ad ottenere un modello a maglia regolare (GRID o Lattice).

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Elaborato quindi il TIN91 in base alle curve di livello e ai punti quotati della carta 1:25000, utilizzati come mass point, si passa utilizzando la specifica funzione di ArcGis, all’elaborazione del modello GRID92. Il GRID è un file raster, in cui ogni pixel è dotato di coordinate x, y, e z, e nel quale i valori di quota vengono assegnati ad ogni pixel in base ad algoritmi di interpolazione. Come è facile intuire il modello GRID è più rigido rispetto al TIN, dovendo rispettare la regolarità della maglia quadrata, tuttavia produce un modello più omogeneo che permette di avere un risultato più realistico soprattutto nella visualizzazione tridimensionale del modello.

Nell’elaborazione del GRID viene scelto l’algoritmo di interpolazione neirest neighbour (prossimo più vicino), che calcola i valori di quota per ogni pixel in base al punto quotato più vicino ad esso. La dimensione del pixel viene fissata a 2,5 m, perchè nonostante i dati di partenza non consentano di ottenere realmente una tale accuratezza relativamente all’altimetria, pixel più piccoli sono più vicini alla risoluzione dell’immagine satellitare che si intende sovrapporre al DTM nella visualizzazione tridimensionale, e dunque in questo modo è possibile ottenere una migliore visualizzazione della stessa.

La tavola XII mostra un esempio di come il TIN e il GRID ottenuti possano essere visualizzati in 2D, associando diversi colori ai diversi valori di quota. Chiaramente non essendo possibile associare un colore diverso ad ogni singolo valore di quota, i valori devono essere raggruppati fra loro in classi, problema di non sempre facile soluzione che può essere risolto utilizzando diversi metodi statistici, alcuni dei quali sono direttamente applicabili tramite il software ArcGIS. Nel nostro caso si è scelto il metodo di classificazione noto come natural breaks, basato sulla tecnica di ottimizzazione di Jenks, che tenendo conto delle discontinuità più significative presenti nei dati, permette di ottenere classi che rispecchiano i raggruppamenti naturali di valori che li caratterizzano. Il numero delle classi, definito dall’utente, è stato nel nostro caso fissato a 15, in modo che la rappresentazione sia in grado di rendere in modo più dettagliato la morfologia del terreno anche se questa è caratterizzata da dislivelli minimi. In entrambi i casi sono state scelte delle rampe di colore che rappresentano la variazione di quota in modo graduale: dal marrone chiaro al rosa per quanto riguarda il TIN, dal marrone al verde per il GRID.

91 Tav. XI, fig.1. 92 Tav. XI, fig.2.

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Dalle figure in Tav. XI si può notare come nella rappresentazione 2D il TIN sia forse più efficace, malgrado la spigolosità del modello, a rendere l’idea della tridimensionalità. In entrambe le figure è evidente come esse siano in grado di rappresentare efficacemente a livello percettivo la morfologia del territorio, mettendone in evidenza gli aspetti caratteristici: l’ampia depressione al centro della piana e i modesti rilievi, dove si trovano gli attuali insediamenti e i siti archeologici.

La visualizzazione tridimensionale del modello Il così detto drappeggio (o draping) consiste nel visualizzare

un’immagine raster, che può essere ad esempio una carta, un’immagine satellitare o una fotografia aerea, sovrapposta al DTM, in modo da ottenere un vero e proprio modello tridimensionale dell’area di studio, che può essere esplorato a proprio piacimento. Nel nostro caso è stato utilizzato il software ArcScene per creare l’intero modello dell’area di studio e dei modelli ridotti che permettessero di osservare le maggiori anomalie in 3D. Il risultato è visibile in Tav. XIV, fig.1.

Questa possibilità è stata d’aiuto nell’interpretazione dell’immagine, poiché permette di analizzare gli elementi di interesse da un punto di vista diverso rispetto a quello dall’alto e di comprenderne meglio le caratteristiche morfologiche, anche se per una valutazione realistica dei così detti microrilievi, che spesso sono associati agli elementi archeologici, occorrerebbe in realtà un DTM dotato di una precisione molto maggiore. Si può quindi dire che sebbene il modello ottenuto sia comunque utile, il dettaglio altimetrico della carta 1:25000 non è sufficiente per ottenere un modello veramente realistico dell’area di studio, tale da permettere di osservare anche le anomalie di piccole dimensioni. Inoltre bisogna osservare che essendo l’area di studio caratterizzata da una morfologia sostanzialmente piana, con dislivelli ridottissimi, sarebbe necessario un dettaglio molto elevato per poter apprezzare queste minime variazioni nelle tre dimensioni.

Il DTM di Tell Afis: TIN, GRID e visualizzazione 3D Per quanto riguarda invece il DTM relativo all’area di Tell Afis, le

curve di livello erano già disponibili in formato CAD, quindi direttamente importabili su ArcGis. Prima di procedere con questa operazione tuttavia, essendo i file CAD non georeferenziati, è stato necessario assegnare le coordinate corrette al file da importare. Questo è stato fatto utilizzando come punto di riferimento lo spigolo di un piccolo edificio rettangolare situato a ovest del Tell, sulla strada di accesso a quest’ultimo che lo taglia da ovest a est. Essendo tale edificio ben

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riconoscibile sia nell’immagine che nel rilievo topografico, è stato sufficiente prendere le coordinate di uno dei suoi spigoli dall’immagine satellitare georeferenziata e assegnarle al corrispondente spigolo nel rilievo CAD, trasformando allo stesso tempo tutte le coordinate xy degli elementi rappresentati nel rilievo. A questo punto sono stati importati dal file CAD solo gli elementi di interesse, ossia le curve di livello, le strade e gli edifici moderni, e infine i limiti delle aree di scavo, aggiornati alla fine della campagna del 2007. Dopo aver assegnato il corretto riferimento geografico a questi elementi, è stato possibile visualizzarli all’interno del GIS e sovrapporli agli altri layers..

Sucessivamente, seguendo il procedimento già descritto a proposito del DTM dell’intera area di studio sono stati elaborati prima il TIN e poi il GRID dell’area di Tell Afis. La tavola XII mostra il risultato di queste elaborazioni: anche in questo caso è stato scelto il metodo natural breaks per rappresentare i valori di quota in diverse classi.

La visualizzazione 3D del modello, realizzata con ArcScene con la tecnica del drappeggio descritta sopra, è visibile in tav. XIII, figg.1-2. In questo caso l’equidistanza delle curve di livello, pari a 1m, ha permesso di ottenere un risultato molto più accurato e del precedente e di conseguenza più utile alla ricerca, anche se limitatamente all’area di Tell Afis.

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4. ANALISI E SINTESI DEI RISULTATI In questo capitolo i risultati della ricerca verranno illustrati prima

in modo analitico, in un “catalogo delle tracce” che descrive in modo dettagliato ogni traccia di presunto interesse archeologico o geomorfologico individuata sulle immagini satellitari, le elaborazioni condotte su queste allo scopo di metterne maggiormente in risalto la forma, e quando possibile l’interpretazione ipotetica. Successivamente i dati saranno rappresentati in forma grafica tramite l’elaborazione di una carta tematica, di cui si suggerisce la lettura allo scopo di giungere ad una sintesi interpretativa generale dei dati rappresentati.

Infine si cercherà di sintetizzare tutti i dati raccolti, integrandoli nel quadro generale delle informazioni già note dalle precedenti ricerche su Tell Afis e il suo territorio.

4.1 CATALOGO DELLE ANOMALIE E PROPOSTE INTERPRETATIVE All’interno del catalogo le tracce di presunta attività antropica, le

anomalie del terreno e gli attuali caratteri dell’idrografia individuati sono stati suddivisi in base alla classe loro assegnata secondo i criteri discussi nel paragrafo 3.3.2. Inoltre per rendere più chiara l’esposizione e più semplice la consultazione è sembrato utile adottare un ulteriore suddivisione, secondo la quale le tracce sono state raggruppate in “Elementi di potenziale interesse archeologico”, “Elementi di interesse geomorfologico e geoambientale” e “Tracce incerte”. Per ogni elemento individuato viene fornita ubicazione, descrizione e interpretazione ipotetica, mentre le elaborazioni specifiche sulle immagini sono state effettuate solo quando necessarie per migliorare la visibilità delle tracce, e vengono pertanto descritte in dettaglio solo in questo caso.

Si ricorda ancora una volta che ogni conclusione raggiunta e proposta avanzata, così come anche l’attribuzione degli elementi catalogati alle classi sopraesposte è puramente ipotetica, almeno fino a che non si compiranno le opportune verifiche a terra.

4.1.1 Elementi di potenziale interesse Archeologico Tracce di Possibili strutture e altri elementi antropici

N° Traccia: 1 (tav.XV, figg 1-2) Località: Tell Afis Descrizione: traccia curvilinea determinata dalla forma dei campi.

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Interpretazione: La traccia n° 1, segue l’andamento della curva di livello dei 350 m, e corrisponde alla forma disegnata dai confini meridionali dei campi che si estendono in senso nord-sud a partire dalla strada di accesso ad Afis, che corre in senso est-ovest. Questo limite corrisponde molto verosimilmente ai limiti meridionali della città bassa, è noto infatti che spesso i campi mantengono anche per molti secoli forme che in origine erano condizionate da precisi fattori antropici o ambientali, anche dopo che questi vengono a mancare. Inoltre il disfacimento delle strutture della città bassa ha creato un rialzo del terreno, che seppur modesto può avere influenzato la forma dei campi. N° Traccia: 2 (tav.XV, figg 1-2) Località: Tell Afis Descrizione: Limiti del sito di Tell Afis nel lato a nord-ovest. Interpretazione: La traccia segna il limite inferiore della scarpata, molto ben visibile sull’immagine, che corrisponde alle mura che anticamente cingevano l’insediamento. N° Traccia: 3 e 4 (tav.XV, figg 1-2; tav.2, fig.1) Località: Tell Afis Descrizione: Tracce lineari che formano angoli retti, situate sul piano della città bassa, ad ovest dell’acropoli a ridosso del dislivello costituito da quella che sembra essere la parte più occidentale della cinta muraria. Interpretazione: Le tracce 3 e 4 sono caratterizzate da una forma squadrata e regolare e da una posizione reciproca che potrebbe indicare una connessione. Le caratteristiche formali indicano una probabile origine antropica, e forse l’associazione a strutture che condizionano la situazione in superficie. Elaborazioni sulle immagini: Per rendere la traccia più leggibile, è stato effettuato un subset dell’area di interesse nelle due immagini originali pancromatica e multispettrale. Si è poi proceduto a fondere le due immagini così ottenute. Il risultato della fusione è stato prima migliorato dal punto di vista della luminosità e contrasto, poi è stata effettuata l’equalizzazione dell’istogramma e infine è stato applicato un filtro 3X3 edge enhance. N° Traccia: 5 e 6 (tav.XV, figg 1-2; tav.2, fig.1) Località: Tell Afis Descrizione: Tracce scure di forma circolare, ubicate sul piano della città bassa a ovest sotto l’acropoli, a circa 20 m l’una dall’altra.

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Interpretazione: La caratteristica più evidente di queste tracce è il colore scuro dell’interno, che può essere attribuito a una differenza di umidità rispetto al terreno circostante, oppure a una differenza più superficiale dovuta all’assenza di paglia secca che invece caratterizza il terreno circostante. Anche in questo caso tuttavia l’assenza di paglia potrebbe indicare che il campo in quest’area è coltivato in modo differente, come sembra indicare anche l’andamento, presso il limite est della traccia 5, delle linee corrispondenti ai filari della coltivazione, che sembrano essere condizionate dalla presenza di rialzo del terreno. L’attribuzione di queste tracce alla classe strutture non è avvalorata da caratteristiche formali, ma l’ubicazione, subito sotto l’acropoli, la rende comunque probabile. Elaborazioni sulle immagini: Per rendere la traccia più leggibile, è stato effettuato un subset dell’area di interesse nelle due immagini originali pancromatica e multispettrale. Si è poi proceduto a fondere le due immagini così ottenute. Il risultato della fusione è stato prima migliorato dal punto di vista della luminosità e contrasto, poi è stata effettuata l’equalizzazione dell’istogramma e infine è stato applicato un filtro 3X3 edge enhance.

N° Traccia: 7 (tav.XV, figg 1-2; tav.2, fig.1) Località: Tell Afis Descrizione: Traccia lineare formata da una linea più spessa, lunga circa 20 m e larga 2, connessa ad angolo retto alle estremità con due linee più sottili. Interpretazione: La traccia 7 si distingue dal terreno circostante per il colore leggermente più scuro. Il fatto che essa non segua l’andamento delle curve di livello del pendio attuale, fa escludere una sua attribuzione ad effetti di ombra dovuti al dislivello. La forma regolare e lo spessore costante della linea principale potrebbero far ipotizzare un’identificazione con una struttura muraria. Da notare inoltre che subito a sud della traccia il terreno assume un colore leggermente diverso, che potrebbe essere dovuto, se l’interpretazione come struttura muraria fosse corretta, ad un diverso riempimento e/o a un’azione di separazione di bacini stratigrafici svolta dalla struttura. Il fenomeno è stato evidenziato tramite l’analisi delle componenti principali, visualizzate nel color composite 121. Elaborazioni sulle immagini: Miglioramento del contrasto e luminosità, filtro sharpen. Calacolo e visualizzazione delle Componenti Principali. N° Traccia: 8 (tav.XV, figg 1-2; tav.XVI, fig.1) Località: Tell Afis

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Descrizione: Traccia lineare formata da una linea più spessa, lunga circa 12 m, connessa ad angolo retto all’estremità orientale con una linea più sottile. Interpretazione: Anche in questo caso la traccia si distingue circostante per il colore leggermente più scuro, che potrebbe essere attribuito ad un ristagno di umidità. La forma della linea principale potrebbe far ipotizzare un’identificazione con una struttura muraria, che in tal caso potrebbe forse avere connessioni con la traccia 7, anche se la vicinanza con l’area di scarico della terra di scavo impone una certa cautela, perchè il terreno potrebbe essere stato alterato in superficie dal passaggio ripetuto. Elaborazioni sulle immagini: Miglioramento del contrasto e luminosità, filtro sharpen.

N° Traccia: 9 e 10 (tav.XVI, fig. 2) Località: 1 km a sud-ovest di Rhabet Khalaf Descrizione: Si tratta di due tracce di forma rettangolare, con orientamento nord-sud, delle dimensioni rispettivamente di 38x17 m e 23x17, distanziate tra loro circa 30 m. Si distiguono rispetto al campo dove si trovano per il colore scuro. Interpretazione: Queste due tracce presentano colore più scuro rispetto al campo dove si trovano, indicando quindi una probabile differenza di umidità in corrispondenza di esse. Se come sembra il terreno è coperto di paglia, il fatto che tale copertura non sia presente o comunque sia più rada in corrispondenza delle tracce, potrebbe significare che qui le piante sono cresciute meno, o addirittura sono state piantate in modo diverso, per la presenza di ostacoli costituiti da oggetti sepolti appena sotto la superficie, come potrebbero essere i resti di strutture murarie. Elaborazioni sulle immagini: standard deviation stretch con valore 1. N° Traccia: 11 (tav.XVI, fig.3) Località: Tell Kratine Descrizione: Traccia rettangolare di 20X25 m circa, tagliata in due da una strada moderna che attraversa il campo in cui si trova. La traccia è evidenziata dalla crescita anomala della vegetazione in corrispondenza di essa. Interpretazione: La forma rettangolare e le dimensioni suggeriscono che possa trattarsi di strutture sepolte, che condizionano la crescita della vegetazione in corrispondenza di esse, formando un crop mark. Elaborazioni sulle immagini: equalizzazione dell’istogramma.

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N° Traccia: 12 (tav.XVI, fig.3) Località: Tell Kratine Descrizione: Traccia grossomodo quadrata di 25X25 m circa, messa in evidenza dalla presenza di vegetazione all’interno di essa. Interpretazione: La traccia si trova a circa 20 m di distanza dalla n°11. La vegetazione al suo interno indica probabilmente la presenza di un campo coltivato, tuttavia essa sembra leggermente depressa rispetto al terreno adiacente, come indicano i bordi, molto ben visibili, che sembrano formare delle ombre. Se questa lettura è corretta, la forma dell’attuale campo sembrerebbe quindi condizionata dalla preesistente morfologia del terreno, che a sua volta potrebbe risentire della presenza di strutture a poca prondità. Elaborazioni sulle immagini: equalizzazione dell’istogramma.

N° Traccia: 13 (tav.XVI, fig.4) Località: 1, 3 km a sud di Maaret el Oulia Descrizione: Traccia rettilinea lunga 31 m, di colore bianco. Interpretazione: Data l’apparente presenza di materiale lapideo in quantità nelle vicinanze, e di muretti che delimitano i campi e gli oliveti nella zona, la traccia sembra potersi interpretare come relativa ai resti di un muretto. Elaborazioni sulle immagini: Regolazione luminosità e contrasto. N° Traccia: 14 (tav.XVI, fig.4) Località: 1, 3 km a sud di Maaret el Oulia Descrizione: Traccia rettangolare delle dimensioni di circa 13x31 m, che si distingue dal terreno per il colore più scuro. Interpretazione: Relativamente alla forma e alle dimensioni la traccia potrebbe essere interpretabile come una struttura antropica, forse i resti di un recinto o di un’edificio. Tuttavia trovandosi nel deposito alluvionale del wadi, potrebbe anche semplicemente trattarsi di solchi di ruscellamento. Elaborazioni sulle immagini: Regolazione luminosità e contrasto. N° Traccia: 15 (tav. XVI, fig.5) Ubicazione: 500 m a sudovest di Kheurbet Teissar. Descrizione: Traccia regolare di forma rettangolare e dimensioni 17x31 m, definita da crescita anomala della vegetazione. Interpretazione: Questa traccia si trova ai margini di un campo che si caratterizza per la presenza di una vegetazione bassa e piuttosto rada, forse erba spontanea. Risulta definita in modo molto netto da un

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perimetro formato da piante relativamente alte, di cui è visibile anche l’ombra. Se non si tratta di una traccia moderna dovuta a piante piantate intenzionalmente lungo questo perimetro regolare, la si potrebbe interpretare come una struttura presente in superficie, i cui resti sono ricoperti da vegetazione, o come una crescita anomala dovuta a una maggiore umidità nel sottosuolo forse causata da qualche attività o resto antropico. N° Traccia: 16 (tav. XVII, fig.1) Ubicazione: 1km circa a nordest di Tell Mohallak. Descrizione: Traccia regolare di forma rettangolare e dimensioni 79x40 m, definita dal colore scuro dovuto alla mancanza di vegetazione secca che caratterizza il campo in cui si trova. Interpretazione: La traccia è molto ben definita ed è chiaramente riconducibile ad azione antropica. Potrebbe trattarsi di un’azione molto recente, con la quale si è tracciata questa forma asportando la parte più superficiale della copertura del terreno, che sembra costituita da vegetazione secca; oppure potrebbe trattarsi di una struttura sepolta che condiziona ciò che avviene in superficie. Da notare anche che nello spazio interno definito dalla traccia si trova una anomalia di colore chiaro e forma irregolare, non interpretabile.

N° Traccia: 17 (tav. XVII, fig.2) Ubicazione: 1,2 km a sudovest di Tell Mohallak Descrizione: Traccia ovale chiara rispetto al terreno ma non omogenea, di lunghezza massima di circa 20 m. Interpretazione: La traccia, di difficile interpretazione, sembra un’infrastruttura in muratura legata alle abitazioni poco distanti. Elaborazioni

Tracce di presunte divisioni agrarie N° Traccia: 18 (tav.XVII, fig.3) Località: Maaret el Oulia Descrizione: Traccia continua estesa per circa 86 ettari, costituita da un reticolo regolare a maglia rettangolare, formato da rettangoli di 100x200 m, distanziati fra loro da circa 12 metri. La traccia è definita in parte da piccoli oggetti bianchi molto riflettenti, di forma che quando meglio distinguibili appare squadrata, che quindi potrebbero essere blocchi di pietra; in parte da tracce scure, che nel caso in cui sia corretta la lettura

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precedente potrebbero rappresentare zone in cui queste sono state asportate, lasciando però una traccia nel terreno; in parte da sottili linee chiare, forse blocchi più piccoli o solchi nel terreno che fanno emergere il substrato calareo sottostante; in parte da assenza di vegetazione. L’area interessata dal fenomeno è delimitata a nord dalla strada che va da Saraqeb a Maaret el Oulia, a sud-est dal corso dello wadi el Aaqeib, e a ovest dalla strada per Troumbé. Interpretazione: L’interpretazione di questa traccia si presta a numerose considerazioni. Salta subito agli occhi la regolarità e la precisione, che non lascia dubbi circa l’attribuzione ad attività antropica. Il fatto che essa sia perfettamente visibile in un area che attualmente non sembra interessata da coltivazioni, mentre si perda completamente, in modo brusco, al di là dei limiti imposti dalla viabilità odierna e dall’idrografia, dove si trovano aree coltivate, sembra suggerire una sua estraneità al paesaggio attuale. Questo suggerisce che la traccia sia antica, e l’interpretazione più probabile è che essa sia la testimonianza di antiche divisioni agrarie, forse definite da bassi muretti a secco o file di blocchi di pietra alcuni dei quali sono probabilmente ancora in posto. Elaborazioni sulle immagini: Filtro 3x3 edge enhance.

N° Traccia: 19 (tav. XVII, fig.4) Ubicazione: Maaret el Oulia Descrizione: Traccia lineare rettilinea della lunghezza di 323 m, contraddistinta dal colore bianco. Interpretazione: La traccia sembra costituita da blocchi di pietra bianchi, che probabilmente formavano un muretto oggi conservato molto parzialmente. La traccia potrebbe essere in collegamento con la traccia 18. Elaborazioni

Tracce di viabilità N° Traccia: 20 (tav.XVIII, figg. 1-2) Località: Saraqeb Descrizione: Traccia formata da due linee parallele, poste a circa 70 m di distanza l’una dall’altra, che disegnano una curva regolare e che sono congiunte nel lato est da una linea retta che le interseca entrambe ad angolo retto. Interpretazione: Questa traccia fa parte di un gruppo molto articolato che comprende le tracce 20-25 individuate alla periferia nord-orientale dell’abitato di Saraqeb e si distinguono per il colore molto più chiaro

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rispetto al terreno. Questo gruppo di tracce appartiene senza dubbio ad uno stesso contesto e vanno per ciò interpretate come un unico fenomeno. Tuttavia la necessità di una descrizione analitica ha fatto ritenere opportuno trattarle separatamente, suggerendo le connessioni tra l’una e l’altra e rimandando alle considerazioni finali un’interpretazione e una lettura globali. Tornando alla traccia 20, considerando la forma regolare ed elaborata del disegno, la traccia può essere attribuita senza troppi dubbi ad attività antropica, mentre il fatto che la sua geometria non abbia nessuna connessione con l’andamento attuale dei campi e degli altri elementi del paesaggio odierno è un indizio a favore della sua possibile antichità. Le tracce di questo gruppo trovano buoni riscontri a livello formale con l’impianto viario urbano di diverse città tra cui la vicina Idlib (tav. XVIII, fig.4) e Bosra (tav.XVIII, fig. 3), che è infatti circondata da un sistema di strade ad anelli concentrici di forma poligonale, molte delle quali utilizzate ancora oggi e alcune delle quali ricalcate da moderne strade asfaltate, intersecate ortogonalmente da strade che portano verso il centro della città. Molto interessante è che anche nel caso di Bosra la distanza tra le strade parallele concentriche è, proprio come a Saraqeb, di circa 70 m. Data quindi l’evidente analogia, sembra abbastanza sicura l’identificazione delle tracce di Saraqeb con i resti del sistema stradale urbano, probabilmente di età romana o bizantina. Elaborazioni sulle immagini: Le tracce sono perfettamente visibili, per cui è stato semplicemente applicato uno standard deviation stretch con valore 1,5 per aumentare il contrasto tra la luminosità delle tracce e il terreno circostante.

N° Traccia: 21 (tav.XVIII, figg. 1-2) Località: Saraqeb Descrizione: Traccia formata da due linee parallele, poste a circa 70 m di distanza l’una dall’altra, che formano una curva nella parte più meridionale dell’immagine, e sono intersecate entrambe da una linea retta con andamento nord-est sud-ovest che le interseca a 90 gradi. Nella parte superiore, prima dell’intersezione con la strada moderna che corre irregolarmente in senso est-ovest, la traccia è evidenziata dal colore molto più chiaro rispetto al terreno, mentre a sud della strada la linea esterna è visibile per il colore rosso acceso che assume in un campo verde (FCC 432), mentre la linea interna è ancora percepibile per i condizionamenti subiti dalla forma di due campi ad essa adiacenti, i quali oggi sono recintati da muri e al cui interno sorgono delle case.

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Interpretazione: Le analogie tra questa traccia e la n°20 sono evidenti: le linee principali sono in entrambi i casi perfettamente parallele e distanziate di circa 60 m, inoltre il prolungamento ideale dell’estremità orientale della traccia 20 è a sua volta parallelo alle linee principali della traccia 21. Di conseguenza sono valide tutte le considerazioni fatte per la traccia precedente. Si tratterebbe in questo caso, nel sistema ad anelli concentrici, di un anello più interno. N° Traccia: 22 (tav.XVIII, figg. 1-2) Località: Saraqeb Descrizione: Traccia formata da due linee parallele, poste a circa 70 m di distanza l’una dall’altra, con andamento est-ovest, intersecate ortogonalmente da una linea che corre in senso nord-sud. Interpretazione: Anche in questo caso sono valide le considerazioni precedentemente esposte. Verosimilmente le strade rappresentate da questa traccia si connettevano, formando una curva con quelle della traccia 21. Da notare anche che il prolungamento ideale delle due linee verso ovest, coincide con due strade ancora in uso sulle quali oggi sorgono delle case. N° Traccia: 23 (tav.XVIII, figg. 1-2) Località: Saraqeb Descrizione: La continuità di questa traccia è interrotta da una strada moderna. E’ formata da una linea con andamento est-ovest parallela alle linea esterna della traccia 22 e da questa distante poco più di 70 m; e da una linea più breve con andamento nordovest-sudest. Interpretazione: La traccia 23 rappresenta nello schema viario ad anelli concentrici individuato l’anello più interno che è oggi visibile.

N° Traccia: 24 (tav.XVIII, figg. 1-2) Località: Saraqeb Descrizione: La traccia è formata da una serie di linee, più chiare rispetto al terreno circostante, disposte ortogonalmente ad intervalli regolari, secondo uno schema che seppur con qualche lacuna risulta nel complesso leggibile e in accordo con gli orientamenti e le dimensioni delle tracce precedenti. Interpretazione: Verosimilmente le linee di questa traccia sono interpretabili come la scansione regolare di isolati che caratterizzava la pianta della città antica, ancora in parte ricalcata dalle case attuali. N° Traccia: 25 (tav.XVIII, figg. 1-2)

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Località: Saraqeb Descrizione: Si tratta di due linee rette parallele distanziate fra loro 35 m, con orientamento nord-sud, il cui prolungamento ideale si connette perfettamente con due delle linee della traccia 24. Interpretazione: Le due linee si connettono perfettamente allo schema complessivo disegnato dalle altre tracce, collegando quelle più esterne rappresentate dalla n°11, a quelle più interne della n°16. N° Traccia: 26 (tav.XVII, fig.5) Località: Saraqeb Descrizione: Traccia lineare rettilinea che si estende a nordest di Saraqeb, per più di 2 km in direzione nordovest-sud-est. Interpretazione: La traccia si distingue in tutta la sua estensione per il colore chiaro, dovuto alla riflettanza maggiore rispetto al terreno circostante, fenomeno maggiormente accentuato in alcuni segmenti piuttosto che in altri. La traccia sembra chiaramente attribuibile a una strada non più in uso, come sembra mostrare il fatto che essa non corrisponde in nessun punto alla geometria attuale dei campi. Tuttavia è quasi impossibile pronunciarsi sull’epoca a cui attribuire questa traccia: da un lato essa non è segnata in alcune delle fonti cartografiche disponibili, dall’altro il suo orientamento non si accorda con le tracce 21-25, identificate come relative alla viabilità urbana. Elaborazioni sulle immagini: filtro adattativo di Wallis, standard deviation stretch.

4.1.2 Elementi di interesse Geomorfologico e geoambientale Anomalie del terreno

N° Anomalia: 27, 28, 29 (tav.XIX, figg. 1-4) Località: Bir el Mohallaq Descrizione: Si tratta di tre distinte anomalie che si trovano nell’area in cui è ubicato il sito archeologico di Tell Mohallaq, sulla sommità del tell. L’anomalia 24 delimita l’estremità orientale del tell ed ha una forma irregolare caratterizzata da due estremità circolari unite da una parte più stretta. La anomalia 25, comprende tutta l’estremità occidentale della sommità del tell e ha forma ovale; all’estremità sud-occidentale si trova un oggetto circolare di circa 8m di diametro, che potrebbe essere identificato con una cisterna, ubicato al centro di un piccolo rialzo circolare quasi perfettamente coincidente con la curva di livello dei 340. La anomalia 26, al centro tra le tracce 1 e 2 è di più modeste dimensioni

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ed è caratterizzata da una forma quasi perfettamente circolare. Tutte e tre le anomalie si differenziano rispetto al territorio circostante per il colore chiaro, quasi bianco, dovuto all’alta riflettanza del calcare a tutte le lunghezze d’onda. Elaborazioni sulle immagini: Essendo le anomalie particolarmente chiare, è stato semplicemente applicato un filtro 3X3 edge enhancement per il miglioramento del contrasto. Nel FCC 432 è stato possibile identificare la presunta cisterna, caratterizzata da forma circolare e diametro complessivo di circa 18 m. Il bordo, che nell’immagine appare bianco, sembra costituito da roccia calcarea esposta, e a giudicare da un effetto di ombra appena percepibile è abbastanza in rilievo rispetto alla parte interna, che misura circa 8 m di diametro ed è riempita probabilmente di acqua torbida, come mostra la curva di riflettanza che presenta i valori più alti nel verde e nel rosso. Interpretazione: Le tre anomalie sono quasi sicuramente relative ad un affioramento calcareo che costituisce la collina. Una prova di ciò sembra costituita dalla presunta cisterna, scavata nella roccia forse in antico. Il sito archeologico di Mohallaq si trova quindi in un’area naturalmente in rilievo rispetto al territorio circostante. N° Anomalia: 30, 31, 32, 33 (tav.XIX, fig.1 e 3) Ubicazione: Tell Mohallak. Descrizione: Si tratta di quattro anomalie di colore scuro, localizzate all’estremità meridionale del Tell. Interpretazione: Le anomalie, due grossomodo rettilinee e una circolare si differenziano per il colore scuro all’interno di un’area che al contrario si distingue per il colore chiaro. Se si interpreta quest’ultima, come è stato proposto, come traccia relativa al substrato calcareo, le anomalie scure potrebbero essere relative a dei riempimenti delle irregolarità della roccia sottostante. Elaborazioni: Filtro 3x3 edge enhance, regolazione luminosità e contrasto.

N° Anomalia: 34, 35, 36, 37 (tav.XIX, fig. 5) Località: 500 m circa a sud di Tell Hasmi Descrizione: Si tratta di quattro tracce di forma ovale, di dimensioni comprese tra i 16 m di diametro e i 30 circa. Anche in questo caso le tracce si differenziano rispetto al territorio circostante per il colore bianco. Elaborazioni sulle immagini: Per enfatizzare le tracce il contrasto dell’immagine è stato regolato con l’equalizzazione dell’istogramma, cioè con la ridistribuzione dei valori dei pixel nell’intero range disponibile.

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Interpretazione: Le quattro tracce sembrano poter essere identificate con degli affioramenti calcarei in superficie. N° Anomalia: 38 (tav.XIX, fig. 5) Località: 500 m circa a sud di Tell Hasmi Descrizione: Si tratta di una anomalia di colore più chiaro rispetto al terreno circostante, con forma ad U e lunghezza di circa 1100 m. Elaborazioni sulle immagini: Equalizzazione dell’istogramma. Interpretazione: Questa anomalia sembra attribuibile ad un affioramento calcareo che delimita e costituisce la base di una modesta collinetta. N° Anomalia: 39 (tav.XIX, fig. 6) Località: 600 circa a sud-ovest di Tell Hasmi Descrizione: Si tratta di una anomalia di colore più chiaro rispetto al terreno circostante, di forma ovale con diametro maggiore di circa 450 m. Elaborazioni sulle immagini: Equalizzazione dell’istogramma. Interpretazione: La anomalia potrebbe essere attribuita alla presenza di una grande quantità di ciottoli calcarei in superficie . N° Anomalia: 40 (tav.XX, fig. 1) Località: Tell Hasmi Descrizione: Anomalia di colore bianco che delimita il perimetro del Tell e corrisponde all’andamento delle curve di livello. Elaborazioni sulle immagini:Filtro Edge enhance. Interpretazione: La anomalia sembra corrispondere a un grosso affioramento calcareo superficiale che delimita il rialzo naturale su cui sorge il Tell. N° Anomalia: 41 (tav.XX, fig.2) Località: 1,1 km a nord di Tell el Hasmi Descrizione: Anomalia chiara di forma allungata (lunghezza circa 620 m in senso longitudinale) in corrispondenza di un piccolo rialzo del terreno. Interpretazione: La anomalia sembra essere relativa ad un affioramento probabilmente calcareo in rilievo rispetto al terreno circostante.

N° Anomalia: 42 (tav.XX, fig.2) Località: 1,1 km a nordovest di Tell el Hasmi Descrizione: Anomalia chiara di forma allungata di circa 230 m di lunghezza. Interpretazione: La anomalia sembra essere relativa al substrato roccioso parzialmente affiorante in superficie.

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N° Anomalia: 43 e 44 (tav.XX, fig.3) Località: 1,5 km a nord-ovest di Bir el Mohallaq Descrizione: Le tracce hanno colore bianco e forma rettangolare. La n°43 ha il lato più lungo di 80 m circa, mentre la n° 44, più stretta, misura di circa 110 m in senso longitudinale. Interpretazione: Le due tracce sembrano essere attribuibili a due cave di calcare di modeste dimensioni, come mostrano la regolarità delle pareti e l’effetto di ombra che indica la profondità dello scavo. N° Anomalia: 45, 46, 47, 48 (tav.XX, fig.4) Località: Sabil Ard es Stouh Descrizione: Tracce chiare di forma irregolare e notevoli dimensioni. Elaborazioni sulle immagini:Filtro Edge enhance. Interpretazione: Le tracce sembrano attribuibili ad affioramenti calcarei superficiali, o a presenza di ciottoli staccatisi dal substrato per effetto dei lavori di aratura che li portano in superficie; oppure possono essere interpretate come croste calcaree superficiali originate dalla forte evaporazione caratteristica del periodo estivo. N° Anomalia: 49-58 (tav.XX, fig.5) Località: pressi di Ed Douair Descrizione: Tracce chiare di forma irregolare e notevoli dimensioni. Elaborazioni sulle immagini:Applicazione della tecnica di miglioramento del contrasto standard deviation stretch (val.1). Interpretazione: Le tracce sembrano attribuibili ad affioramenti calcarei che in alcuni casi, come sembra indicare l’andamento delle curve di livello, costituiscono dei leggeri rialzi del terreno. N° Anomalia: 59, 60 (tav.XXI, fig.1) Località: 1,5 km a sud di Ed Douair Descrizione: Tracce chiare di forma irregolare e notevoli dimensioni. Elaborazioni sulle immagini:Applicazione della tecnica di miglioramento del contrasto standard deviation stretch (val.1). Interpretazione: Probabili tracce di affioramenti calcarei, ai lati della concavità nella quale scorre il wadi el Mourhr, che seguono l’andamento delle curve di livello. N° Anomalia: 61-67 (tav.XXI, fig.2) Località: Saraqeb

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Descrizione: Tracce chiare di forma irregolare e notevoli dimensioni, che seguono in parte l’andamento delle curve di livello. Elaborazioni sulle immagini:Applicazione della tecnica di miglioramento del contrasto standard deviation stretch (val.1). Interpretazione: Probabili tracce di affioramenti calcarei, a nord-ovest di Saraqeb. L’andamento delle curve di livello evidenzia che in corrispondenza di alcune di queste tracce si riscontrano dei modesti aumenti di quota. N° Anomalia: 68 (tav.XXI, fig.3) Località: Saraqeb Descrizione: Anomalia di forma subquadrangolare delle dimensioni approssimative di 130x100 m, situata a nordest della periferia del centro urbano. Interpretazione: La anomalia corrisponde probabilmente a un affioramento superficiale, leggermente in rilievo, forse utilizzato come cava. N° Anomalia: 69, 70, 71 (tav.XXI, fig.4) Località: Tra Afis e Bjarez Descrizione: Serie di tracce caratterizzate da riflettanza maggiore rispetto al terreno, caratterizzano l’area tra Afis e Bjarez. Interpretazione: Queste tracce corrispondono all’andamento delle curve di livello e possono quindi essere interpretate come relative al substrato calcareo che costituisce qui dei modestissimi rilievi. La anomalia 69, di forma allungata, rappresenta la parte più a nordest della base calcarea su cui sorge il piccolo centro abitato di Bjarez, dove la ricognizione effettuata in questa zona nel 2006 dalla Dott.ssa Melis ha permesso di constatare la presenza di conglomerati calcarei. Fra la anomalia 69 e la 70, si trova una vallecola scavata dal corso di uno wadi a regime stagionale. La anomalia 70 corrisponde invece a una collinetta di forma subcircolare, sulla quale oggi sorge un oliveto, che in base alle indagini sul campo può essere descritta come di matrice fondamentalmente argillosa, caratterizzata dalla presenza di ciottoli calcarei, ai quali forse si devono le caratteristiche di riflettanza che la fanno risaltare nell’immagine. Caratteristiche analoghe sembra avere la 63. Anche queste due tracce sono separate da un modesto avallamento che stagionalmente ospita il letto di uno wadi. Elaborazioni sulle immagini: standard deviation stretch (val.1,5).

N° Anomalia: 72 e 73 (tav.XXI, fig.5) Località: Maaret el Oulia

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Descrizione: Tracce di colore più chiaro del terreno circostante, poco fuori dal villaggio in direzione nordest. La anomalia 64, meno evidente ma più estesa, è lunga circa 380 m, mentre la 65, di colore bianco, ha forma semicircolare, con una lunghezza massima di circa 100 m, e sembra tagliata da due campi che la intersecano a nordovest e a sudest. Interpretazione: Le tracce si trovano nella parte più bassa della collinetta calcarea su cui sorge il piccolo villaggio di Maaret el Oulia. Nel villaggio, e nei dintorni di esso il calcare affiora spesso in superficie, quindi è ragionevole pensare che si tratti di affioramenti dello stesso tipo. Tuttavia le tracce sembrano essere state notevolmente alterate dai lavori agricoli, come è chiaro in particolare nel caso della anomalia 72, la cui forma è stata parzialmente “cancellata” laddove gli attuali limiti seguono quelli dei campi confinanti. Potrebbe trattarsi quindi di affioramenti di calcare particolarmente friabile che viene progressivamente frantumato dai lavori di aratura fino a scomparire quasi del tutto, oppure di concentrazioni superficiali di ciottoli, considerando anche il vicino letto di un wadi, che vengono smossi e rimescolati. Elaborazioni sulle immagini: standard deviation stretch (val.1,5). N° Anomalia: 74 e 75 (tav.XXI, fig.5) Località: Maaret el Oulia Descrizione: Tracce di colore più chiaro del terreno circostante, poco fuori dal villaggio in direzione nordest. Interpretazione: Anche per queste tracce, distanti circa 500 m dalle precedenti, valgono le considerazioni precedentemente esposte, sulla possibilità che possa trattarsi di affioramenti superficiali di calcari disgregati dalle arature. N° Anomalia: 76 e 77 (tav.XXII, fig.1) Località: 1 km a sud di Maaret el Oulia Descrizione: Tracce irregolari di colore chiaro e tessitura disomogenea. Interpretazione: Nel caso di queste tracce, è ipotizzabile corrispondano a degli accumuli di ciottoli calcarei, presenti in superficie e forse spostati intenzionalmente ai confini del campo, delimitati da muretti probabilmente in pietra. Potrebbe anche trattarsi di materiale calcareo originatosi dagli scassi effettuati dalle arature.

N° Anomalia: 78 (tav.XVI, fig.4) Località: 1,3 km a sud di Maaret el Oulia Descrizione: Anomalia irregolare di colore chiaro e tessitura disomogenea.

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Interpretazione: L’anomalia si trova in corrispondenza di un’ampia ansa dello wadi El Aaqeib, precisamente a circa 70 metri di distanza dall’attuale letto del wadi, in corrispondenza di quello che sembra essere il letto precedente. Probabilmente l’anomalia può essere quindi interpretata come il deposito ciottoloso accumulato dal wadi in corrispondenza dell’ansa. N° Anomalia: 79-82 (tav.XXII, fig.3) Località: 1,7 km a sudest di Maaret el Oulia Descrizione: Tracce di forma irregolare, colore chiaro rispetto al terreno, estese diverse centinaia di metri. Interpretazione: Queste tracce potrebbero essere relative al substrato calcareo affiorante quasi in superficie. Molto simili a quelle riscontrate nei dintorni di Ed Douair. N° Anomalia: 83 (tav.XXII, fig.2) Località: 1,8 km a ovest di Saraqeb Descrizione: Anomalia di forma ovale e colore bianco, del diametro massimo di circa 60 m. Interpretazione: L’anomalia, situata all’interno di una depressione di forma quadrangolare, forse di origine artificiale, ben evidenziata dall’ombra, sembra essere interpretabile come una piccola cava di calcare. N° Anomalia: 84 e 85 (tav. XXIII, fig.1) Ubicazione: 500 m a sudest di Talihiye Descrizione: Tracce scure di forma irregolare delle dimensioni massime di circa 50m . Interpretazione: Queste due tracce che si caratterizzano per il colore scuro sembrano potersi interpretare come tracce da umidità, in corrispondenza delle quali il terreno sembra leggermento depresso. Elaborazioni N° Anomalia: 86 e 87 (tav. XXIII, fig.2) Ubicazione: 500 m a sudest di Talihiye Descrizione: Si tratta di due anomalie di forma subcircolare, la prima del diametro di circa 25m, la seconda più piccola del diametro di circa 18 m. Si caratterizzano, all’interno di un campo arato, per il colore più chiaro Interpretazione: Queste anomalie sembrano relative ad un fenomeno superficiale quale ad esempio la presenza di ciottoli. N° Anomalia: 88 e 89 (tav. XXIII, fig.3)

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Ubicazione: Afis Descrizione: L’anomalia 88 si distingue per il colore chiaro rispetto al terreno, è formata da una linea irregolarmente definita che sembra formare degli angoli netti. L’anomalia 89, anch’essa di colore chiaro è caratterizzata da forma circolare delle dimensioni di circa 56 m di diametro. Interpretazione: Per quanto riguarda la 88, il colore e la forma indefinita della linea, che a tratti si perde, potrebbe indicare la presenza di ciottoli o di affioramenti calcarei superficiali. La 89 sembra invece riconducibile con più certezza ad un affioramento di tipo calcareo, visto che al suo interno si trova anche una sorta di vasca colma d’acqua, che probabilmente trae alimentazione da un pozzo scavato nel calcare. N° Anomalia: 90 e 91 (tav. XV, figg.1-2) Ubicazione: Tell Afis Descrizione: Anomalie scure di forma irregolare, di cui la maggiore, di forma grossomodo ovale allungata ha la lunghezza massima di circa 80m, mentre la seconda, più scura e di forma circolare ha un diametro di circa 18 m. Interpretazione: Queste due anomalie che si caratterizzano per il colore scuro sembrano potersi interpretare come tracce dovute a una maggior umidità del terreno. N° Anomalia: 92 (tav. XV, figg.1 e 2) Ubicazione: Tell Afis Descrizione: Anomalia di forma irregolare caratterizzata dal colore chiaro rispetto al terreno. Interpretazione: L’anomalia si estende nella città bassa, nei pressi dell’area B. Il colore chiaro potrebbe essere dovuto ad alterazioni della superficie dovute al passaggio ripetuto legato ai lavori di scavo, all’accumulo di materiale dovuto forse allo scarico di terra proveniente dallo scavo o di un’alterazione del terreno relativo ad altre cause.

N° Anomalia: 93 (tav. XV, figg.1 e 2) Ubicazione: Tell Afis Descrizione: Anomalia di forma irregolare grossomodo ovale, delle dimensioni di circa 20 m di diametro, caratterizzata dal colore scuro. Interpretazione: L’anomalia si trova all’etremità meridionale dell’area di accesso all’acropoli, subito a destra della strada. La forma irregolare e il colore scuro potrebbero farla interpretare o come un’anomalia dovuta a

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un ristagno di umidità, o come una depressione del terreno caratterizzata da differenze nella composizione rispetto all’area circostante. N° Anomalia: 94 (tav. XXIII, fig.4) Ubicazione: 350 a ovest di Tell Afis Descrizione: Anomalia di forma irregolare delle dimensioni massime di circa 20m, che si caratterizza per il colore chiaro. Interpretazione: L’anomalia potrebbe essere interpretata con la presenza in superficie di materiale ciottoloso originario del substrato calcareo. Elaborazioni N° Anomalia: 95 e 96 (tav. XXIII, fig.4) Ubicazione: 350 a ovest di Tell Afis Descrizione: Le due anomalie, molto simili fra loro hanno forma irregolare e si distinguono per il colore chiaro e la presenza di piccoli elementi di colore scuro disposti in modo casuale. Interpretazione: Anche in questo il colore chiaro potrebbe essere associato a ciottolame presente in superficie, mentre gli elementi scuri potrebbe essere interpretati come residui di qualcosa che è stato bruciato. Elaborazioni N° Anomalia: 97 (tav. XXIII, fig.5) Ubicazione: Periferia sudest di Afis Descrizione: Anomalia lineare con andamento quasi a zig-zag che si distingue per il colore scuro. Interpretazione: L’anomalia potrebbe essere interpretata con la presenza di umidità nel terreno ed essere così collegata alla traccia del vicino wadi, visibile poco più a est. Elaborazioni N° Anomalia: 98, 99, 100, 101 (tav. XXIII, fig.6) Ubicazione: 1,5 km a nordovest di Bjarez. Descrizione: Serie di anomalie di forma grossomodo ovale, delle quali la maggiore ha un diametro massimo di circa 20 m sembra caratterizzata da una depressione e dalla presenza di erba al suo interno. Le altre, di dimensioni simili fra loro (diametro massimo di circa 10 m) sono invece caratterizzate dal colore più scuro e anch’esse sembrano leggermente depresse rispetto al terreno adiacente. Interpretazione: Queste anomalie, in particolare per la disposizione delle tre più piccole sembrano poter essere riconducibili ad azione antropica. Esse sembrano caratterizzate da una leggera depressione, quindi sono

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forse da associare a qualche attività di scavo difficilmente interpretabile, oppure a una differenza nelle caratteristiche del terreno originata da qualche altro tipo di azione antropica che qui si è svolta. Da notare che la presenza di vegetazione all’interno dell’anomlia più grande è sicuramente associata ad una maggiore umidità del terreno in corrispondenza di essa.

Idrografia Attuale93

N° Traccia: 102 (tav. XXII, fig.4) Ubicazione: 1,5 km circa a nordovest di Bir el Mohallaq. Descrizione: Il letto del wadi è asciutto al momento in cui è stata acquisita l’immagine, tuttavia la traccia ad esso relativa è molto ben identificabile per una lunghezza di circa 1,5 km. La direzione di scorrimento è da sudovest a nordest. La traccia si differenzia dal terreno per essere in alcuni tratti più scura, laddove probabilmente un ristagno di umidità rende il terreno più assorbente rispetto alla luce, a tratti più chiara, forse dove il letto è caratterizzato dalla presenza di ciottoli, più riflettenti del terreno. In alcuni tratti il letto sembra essere incassato, come sembrano indicare gli effetti di ombra visibili sull’immagine, mentre in generale le sponde sembrano essere piuttosto dolci. In aree molto circoscritte la maggior umidità del terreno ha favorito la crescita di erbe spontanee e il letto è quindi ben visibile per l’alta riflettanza in banda 4, questo è visibile in particolare nell’ultimo tratto, che sembra essere stato incanalato artificialmente, e che si conclude in una zona che la ricchezza di vegetazione indica essere particolarmente umida. Il wadi è indicato nelle carte siriane degli anni 70’ e 80’, con un percorso che si discosta dalla traccia attuale rispettivamente circa 25 ma nord e a sud, differenza che sembra attribuibile più a un fattore di errore dovuto alla scala che non ad un reale spostamento. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma, regolazione luminosità. N° Traccia: 103, 104 (tav. XXIV, fig.1) Ubicazione: 750 m circa ad ovest di Tell Afis. Nome: wadi Tah el Baidar (traccia 77)

93 Come visto nel paragrafo 3.3.2, in questo tipo sono stati inseriti i corpi idrici la cui identificazione è abbastanza certa principalmente per la loro presenza almeno in una delle fonti cartografiche. Rispetto a queste tuttavia l’immagine satellitare è in grado di dirci con precisione il percorso attuale del fiume o wadi, e quindi di valutare l’entità di eventuali variazioni. In assenza di altre fonti sulla toponomastica, i nomi dei wadi sono stati indicati solo quando presenti sulla cartografia francese degli anni 40’.

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Descrizione: Le tracce corrispondono a due letti di wadi, secchi alla data dell’acquisizione, che si congiungono a 750 m ad ovest di Tell Afis. La traccia più lunga, la 77, corrisponde al corso del wadi Tah el Baidar e può essere seguita sull’immagine per circa 2km, mentre la 76 per circa 400 m. La direzione di scorrimento è sudovest-nordest. Entrambe le tracce si evidenziano per il colore leggermente più chiaro del terreno, che potrebbe essere dovuto alla presenza di ciottoli nel latto del wadi. Il letto non sembra essere inciso in nessun punto dallo scorrere dell’acqua e le sponde sono quasi impercettibili. Il wadi è presente in tutte le fonti cartografiche, il percorso segnalato nelle carte che presentano comunque delle differenze, comincia circa 2 km più a sud di quello visibile nell’immagine e registrato come traccia 77 solo una parte è distinguibile nell’immagine e viene indicato come tracce 78 e 79. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma, filtro 3x3 edge enhance.

N° Traccia: 105 e 106 (tav. XXIV, fig.2) Ubicazione: 600 m a sudest di Bjarez. Nome: wadi Tah el Baidar (traccia 77) Descrizione: Come già visto in precedenza, il corso dello wadi, così come registrato nelle fonti cartografiche non è interamente distinguibile sull’immagine. Altri due frammenti, della parte più a sud del tracciato del wadi sono rappresentati dalle tracce 78 e 79. Queste si distinguono meno rispetto alle precedenti e sono definite solo da un lieve alone poco più chiaro del terreno, nel caso della 78, da un cambiamento di colore del terreno, che si fa più scuro ad est del wadi, nel caso della 79. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma. N° Traccia: 107 e 108 (tav. XXIV, fig.3) Ubicazione: 600 m in linea d’aria ad ovest di Bjarez Descrizione: La traccia 107 corrisponde a uno wadi il cui percorso è visibile sull’immagine per circa 3,5 km, la traccia 108 è invece visibile per 500 prima di congiungersi con la 107. La direzione di scorrimento è sudovest-nordest. Il letto dello wadi è molto ben distinguibile lungo tutto il percorso, per il colore chiaro, per gli effetti d’ombra dovuti all’altezza delle sponde e in alcuni punti per la vegetazione cresciuta spontaneamente grazie alla maggiore umidità. Partendo da sud, il letto dello wadi che nell’immagine sembra completamente asciutto, passa tra gli olivi e sembra, a giudicare agli effetti d’ombra, particolarmente incassato. Oltre la strada Saraqeb-Sarmine esso prosegue in direzione nordest e il letto sembra sempre abbastanza inciso, mentre nel tratto

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comprendente l’ultimo chilometro verso nord le sponde sembrano farsi gradualmente più basse fino a scomparire quasi del tutto, e la traccia continua ad essere distinguibile solo in base al colore più chiaro del terreno. L’intero percorso visibile sull’immagine è riportato su tutte le fonti cartografiche disponibili, senza differenze significative per quanto riguarda le carte degli anni 70’ e 80’, con maggiori differenze rispetto invece alla carta degli anni 40’. N° Traccia: 109 (tav. XXIV, fig.3) Ubicazione: 300 m in linea d’aria a nordovest di Bjarez Descrizione: La traccia 80 corrisponde a un tratto di uno wadi, segnato anche nelle fonti cartografiche, il cui percorso è visibile sull’immagine per circa 530 m. N° Traccia: 110 (tav. XXIV, fig.3) Ubicazione: 2,5 km in linea d’aria a nordovest di Tell Afis Descrizione: Il wadi (o forse si tratta di un canale artificiale) indicato come traccia 82 scorre da ovest a nordest ed è visibile relativamente alla parte del percorso che rientra nell’immagine, ossia per 2,5 km dal limite ovest, fino alla fine del percorso stesso quando lo wadi o canale termina in una sorta vasca artificiale di forma rettangolare (tav. 8, fig.4) in cui si raccolgono le acque. Ne tratto iniziale, il letto sembra più incassato mentre successivamente le sponde si fanno più dolci. Lungo tutto il percorso è visibile la crescita di erba spontanea che indica molta umidità e in alcuni punti è chiaramente visibile l’acqua. Questo corso d’acqua non è segnato in nessuna delle carte a nostra disposizione, sembra quindi trattarsi di un fenomeno recente, o forse di una canalizzazione artificiale. N° Traccia: 111 (tav. XXIV, fig.3) Ubicazione: 1,8 km a nordovest di Bjarez Descrizione: La traccia, definita da colore chiaro e cambiamenti del colore del terreno, sembra relativa al letto asciutto di uno wadi, con direzione di scorrimento sudovest-nordest. La lunghezza del tratto visibile è di circa 900 m. Questa traccia corrisponde a uno wadi segnato in tutte le carte, tuttavia, il tratto più a nordest non è distinguibile nell’immagine. N° Traccia: 112 (tav. XXV, fig.1) Ubicazione: Circa 130 m a nord di Maaret el Oulia. Descrizione: Anche in questo caso la traccia, visibile per circa 880 m, è distinguibile per il colore chiaro e sembra essere relativa al letto asciutto

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di uno wadi, le cui sponde non sembrano essere ben definite. La direzione di scorrimento dell’acqua è sempre da nordovest a sudest. Lo wadi è presente nelle carte siriane degli anni 70’ e 80’, nelle quali prosegue verso nordest oltre il tratto visibile nell’immagine per poi congiungersi con il corso d’acqua che nella carta degli anni 40’ viene indicato con il nome di wadi es Sous. Elaborazioni: standard deviation stretch (val 1,5). N° Traccia: 113 (tav. XXV, figg.3-4) Ubicazione: Attraversa l’area coperta dall’immagine da ovest a est, passando circa 1 km a nord di Saraqeb. Descrizione: La traccia 113 corrisponde al corso dello wadi che, nella carta degli anni 40’, è indicato prima come wadi el Aaqeib, successivamente come Ouasta, e infine come wadi el Mourhr. Il letto dello wadi è ben visibile sull’immagine lungo tutto tratto compreso entro i suoi limiti, che corrisponde a 11,5 km. La direzione di scorrimento è nel primo tratto sudovest-nordest, per poi piegare verso est e infine, nell’ultima parte, verso sud-est. Partendo da est, il primo tratto, asciutto al momenti di acquisizione dell’immagine, è caratterizzato da un percorso tortuoso definito dalla presenza di due meandri, le sponde sembrano ben definite, anche se il letto non sembra molto inciso. Lungo questo tratto è possibile notare che la forma dei campi e terreni adiacenti è fortemente condizionata dal percorso dello wadi, indizio che permette di valutare la continuità nel tempo di questo elemento del paesaggio. Ai lati del meandro maggiore è anche possibile vedere delle tracce che possono essere attribuite ai sedimenti trasportati dal corso d’acqua e qui accumulati. Proseguendo verso nordest il percorso si fa più lineare, e anche in questo tratto, il fatto che esso delimiti una serie di oliveti rispetto agli altri campi è un chiaro segno della continuità nel tempo del percorso del wadi. Dopo l’incrocio con la strada Saraqeb-Sarmine, il corso del wadi devia verso est e prosegue formando piccole anse, fino ad arrivare all’incrocio con l’altra strada che da Saraqeb si dirige verso nord. Successivamente, prosegue verso est, e anche in questo tratto i campi sono delimitati dalla presenza del corso d’acqua. Poco dopo, la presenza fitta di erba spontanea ai lati del letto e di acqua chiaramente distinguibile sull’immagine indicano che in questo trattoe fino al limite est dell’immagine il wadi non è asciutto. Il percorso prosegue sempre con piccole anse, e dopo aver oltrepassato l’autostrada devia verso sudest. Elaborazioni: standard deviation stretch (val 1,5). N° Traccia: 114 (tav. XXV, fig.2)

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Ubicazione: La parte visibile sull’immagine comincia nel limite meridionale di questa, circa 1 km a est di Saraqeb. Descrizione: La traccia 86 è relativa a un tratto del corso dello wadi Hajji Khalil, visibile sull’immagine per circa 2,5 km. La direzione di scorrimento è sudovest-nordest. Anche in questo caso il letto è ben visibile grazie a una traccia chiara, probabilmente dovuta alla presenza di ciottoli in sua corrispondenza. In alcuni tratti il letto sembra leggermente inciso. Questo wadi è presente con lievi differenze su tutte le carte, il tracciato corrisponde abbastanza bene con quello visibile sull’immagine eccetto per la parte finale, dove esso confluisce nel wadi el Mourhr, che non è individuabile con precisione sull’immagine, forse per una possibilità variabilità dell’ultimo tratto. Elaborazioni: standard deviation stretch (val 1,5).

N° Traccia: 115 (tav. XXVI, fig.1) Ubicazione: Periferia est di Afis. Descrizione: La traccia, rettilinea e lunga circa 430 m corrisponde ad un tratto di uno wadi ben più lungo che compare nella cartografia siriana degli anni 70’ e 80’. N° Traccia: 116 (tav. XXVI, fig.2) Ubicazione: 1,2 km circa a sudest di Afis. Descrizione: La traccia 116 si distingue per il differente colore del terreno che risulta essere più chiaro; tuttavia presenta alcune discontinuità. Può essere identificata come un tratto di uno wadi presente nelle carte siriane degli anni 70 e 80’, che riportano un percorso più lungo, ma non leggibile nell’immagine. La lunghezza della parte visibile è di circa 550 m. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma. N° Traccia: 117 (tav. XXVI, fig.6) Ubicazione: 1 km circa a sud di Maaret el Oulia. Descrizione: traccia con andamento nordovest-sudest distinguibile per il colore più chiaro rispetto al terreno circostante. Si congiunge all’estremità sudest allo wadi el Aaqeib. E’ segnata nelle carta siriane degli 70’ e 80’. Elaborazioni N° Traccia: 118 (tav. XXVII, fig.1) Ubicazione:1km circa ad ovest di Saraqeb. Descrizione: traccia con andamento sudovest-nordest distinguibile per il colore più chiaro rispetto al terreno circostante, per una lunghezza di

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circa 340m. Il wadi è segnato nelle carta siriane degli 70’ e 80’, dove prosegue in direzione nordest fino al suo congiungimento con il Ouasta. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma.

Idrografia presunta N° Traccia: 119-128 (tav. XXVI, fig.3) Ubicazione: 1,2 km a nordovest di Tell Kratine. Descrizione: Le tracce 89-99 sembrano riconducibili, seppur con qualche discontinuità, ad un unico elemento lineare, che si estende per circa 5 km a nordovest di Tell Kratine. Le tracce relative a questo elemento sono state delineate in base a differenze nel colore del terreno, confini anomali di campi e crescita differenziata della vegetazione. L’assenza di questo elemento in tutte le fonti cartografiche disponibili, così come il suo andamento rispetto alle curve di livello, fa ritenere abbastanza improbabile l’identificazione con un wadi. L’area circoscritta dalla traccia sembra essere caratterizzata dalla quasi assenza di pendenza e da una maggiore umidità rispetto alle aree adiacenti. L’umidità può essere dedotta dal colore rosso molto scuro che tutta questa zona assume in banda 4 in un FCC 432 o 421: i terreni umidi com’è noto assorbono più che riflettere la luce. La traccia si potrebbe interpretare come il limite di una zona particolarmente umida che per questo motivo ha condizionato i confini dei campi, o forse come una falda acquifera che scorre a poca profondità dalla superficie. Elaborazioni: Equalizzazione dell’istogramma. N° Traccia: 129-130 (tav. XXVI, fig.4) Ubicazione: Tell Afis. Descrizione: Queste due tracce, nonostante siano nettamente distinte nondimeno appaiono in stretta connessione. La prima è una traccia lineare, appena curvilinea lunga circa 75 m, caratterizzata dal fatto di essere nettamente più chiara rispetto al terreno in cui si trova, che è un campo arato. La traccia 130, che sembra in qualche modo collegata alla precedente nonostante si trovi oltre la strada, invece è un’area che si trova adiacente alla scarpata delle mura del Tell, e che si caratterizza, a differenza del campo in cui si trova, per la presenza di erba spontanea, che indica sicuramente maggiore umidità. Anche in questo caso si potrebbe pensare alla presenza di acqua a poca profondità. Un’ipotesi suggestiva potrebbe essere quella che ricollega questo fenomeno alla presenza di un fossato adiacente alle mura.

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N° Traccia: 131 (tav. XXVI, fig.5) Ubicazione: 1 km a nordovest di Afis. Descrizione: Questa traccia è stata delineata in base a cambiamenti di colore e crescita di vegetazioni anomali, per un’estensione lineare di circa 350 m. Anche in questo caso si potrebbe pensare alla presenza di acqua a poca profondità. N° Traccia: 132 (tav. XXVII, fig.2) Ubicazione: Tell Afis, 30 m a nord dei limiti settentrionali del Tell. Descrizione: Questa traccia, è formata da un alone scuro di forma allungata di circa 60 m di lunghezza, alla base del quale si trova un’area caratterizzata dalla presenza di vegetazione e sembra, di acqua. Sembra quindi di poter interpretare l’alone scuro come una traccia da umidità causata da una probabile falda aquifera, che affiora in corrispondenza del punto dove si trova l’acqua.

4.1.3 Tracce di incerta interpretazione

N° Traccia: 133 (tav. XXVII, fig.4) Ubicazione: 1,2 km circa a nordest di Tell Mohallak Descrizione: Traccia lineare rettilinea con andamento sudovest-nordest e lunghezza di circa 460 m. Interpretazione: La traccia, definita da una linea chiara sottile e continua, sembra attribuibile ad attività antropica, ma anche in questo caso è molto probabile che si tratti di un’opera moderna, come ad esempio un canale artificiale o una tubatura. Presso la linea sono in alcuni casi osservabili delle tracce scure, forse dovute a umidità. Elaborazioni: Standard deviation stretch val. 1,5. N° Traccia: 134, 135, 136 (tav. XXVII, fig.3) Ubicazione: Talihiye Descrizione: Serie di tracce lineari composte da più linee rette disposte ortogonalmente. Interpretazione: Queste tracce si trovano in un campo coltivato con vegetazione verde al momento dell’acquisizione dell’immagine. Esse sono evidenziate dal colore più scuro, dovuto, sembra a ristagno di umidità in corrispondenza di esse. Il parallelismo delle tracce con andamento est-ovest con il bordo attuale del campo potrebbe essere un indizio della non antichità di queste tracce, che in tal caso andrebbero messe in relazione con le attuali coltivazioni.

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4.2 REALIZZAZIONE DELLA CARTA TEMATICA Dopo la presentazione analitica dei dati, viene qui proposta una

loro sintesi attraverso la visione d’insieme offerta dallo loro rappresentazione in una carta tematica. La carta, realizzata con il software ArcMap, mostra come le tracce e le anomalie osservate sono disposte nel territorio e la loro relazione reciproca.

La simbologia scelta a rappresentare i dati telerilevati è la stessa utilizzata nel GIS, sono poi stati rappresentati i siti archeologici più importanti e quelli individuati durante le prospezioni; la morfologia del territorio è stata descritta con curve di livello, e punti quotati, ricavati dalla carta siriana in scala 1:25000; infine sono stati indicati i centri urbani moderni allo scopo di fornire un’ulteriore dato orientativo. Nello sfondo è rappresentata l’immagine Quickbird ottenuta tramite il processo di fusione. Infine si è ritenuto opportuno riportare il reticolo chilometrico del sistema UTM, utilizzato nel GIS e per la carta.

La scala scelta è 1:25000, che se non consente di apprezzare al meglio i fenomeni di dimensioni più ridotte, permette tuttavia una visione d’insieme di tutti i dati osservati. Sono state quindi realizzate due carte in formato A3, allegate al presente lavoro, una che rappresenta la metà sud del territorio compreso nell’estensione dell’immagine, in cui si trova Tell Afis, e una seconda, che rappresenta invece l’area più a nord.

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5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE Come già osservato più volte nel corso del presente studio, una

ricerca come quella che qui si è tentata non può allo stato attuale raggiungere delle vere e proprie conclusioni ma l’intero studio si pone piuttosto come il primo passo di una ricerca più complessa, che si auspica di compiere in un futuro prossimo, e che contempla in primo luogo la verifica dei dati sul terreno e la loro rielaborazione in base ai risultati ottenuti, nonché l’integrazione dei dati acquisiti con altre fonti, quali ad esempio la fotografia aerea.

Per questo motivo conclusioni e prospettive future appaiono strettamente legate fra loro, e in questo capitolo si cercherà di vedere come i risultati raggiunti potrebbero essere sviluppati in futuro e costituire la base per ulteriori approfondimenti.

5.1 LA NECESSITÀ DI UNA VERIFICA SUL CAMPO Più volte, nel corso della ricerca si è affermato che i dati qui

presentati sono del tutto preliminari e che la verifica sul campo delle acquisizioni rappresenta il primo doveroso passo da compiere nella prospettiva di affinare e sviluppare l’analisi. Vediamo qui esattamente che cosa intendiamo con “verifica sul campo” e in che modo essa si rivela indispensabile ad una prosecuzione della ricerca.

Innanzi tutto bisogna dire che il telerilevamento, in tutte le sue forme, non può prescindere dalle cosiddette verità a terra (ground truth), che consistono in una campionatura, effettuata sul campo, degli elementi di copertura e uso del suolo94, che vengono localizzati con l’ausilio di un GPS. Questi dati, opportunamente trasferiti su GIS e visualizzati sulle immagini satellitari di cui si dispone, permettono di disporre di chiavi di lettura certe del territorio in esame, che possono essere utilizzate con un buon margine di sicurezza per l’interpretazione degli elementi che presentano le stesse caratteristiche spettrali. Questo principio, tipico del telerilevamento, è ben applicabile per quanto riguarda i caratteri geologici o dell’uso e/o copertura del suolo dell’area in esame, ma è

94 Con “copertura del suolo” (land cover) si intende una caratterizzazione dell’area in esame basata sulle caratteristiche fisiche di ciò che sta sopra la superficie indagata, ad esempio vegetazione, suolo nudo, superficie asfaltata ecc.; mentre con “uso del suolo” si intende una caratterizzazione dello stesso da un punto di vista antropico, con categorie come area coltivata, pascolo, area urbana, area industriale ecc. Sebbene sia abbastanza chiara la distinzione, tuttavia le due definizioni vengono spesso confuse e usate come sinonimi. Nel telerilevamento questi concetti sono importanti perchè sono alla base dei sistemi di classificazione utilizzati per classificare le immagini e produrre da esse carte tematiche.

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chiaramente applicabile con maggior difficoltà per quanto riguarda gli elementi di presunta natura archeologica.

Nel nostro caso tuttavia si ritiene che una campagna di verifica, mirata sia alla verifica delle interpretazioni qui proposte, traccia per traccia, che alla contemporanea acquisizione delle rispettive verità a terra, sia utile per molteplici ragioni. In primo luogo grazie ad essa sarà possibile verificare le proposte interpretative qui avanzate, valutando quindi il grado di attendibilità di una ricerca condotta senza disporre di questi indispensabili dati di confronto. Nel caso che le conclusioni risultino relativamente attendibili, avere a disposizione un tale data set permetterà comunque di colmare le lacune e di affinare, con un grado più avanzato di dettaglio e una maggiore consapevolezza, i criteri distintivi adottati. Al contrario, se la verifica dovesse smentire in modo consistente le interpretazioni qui proposte, la raccolta delle verità a terra servirà ad elaborare nuovi criteri e una nuova analisi delle tracce visibili sulle immagini telerilevate. Inoltre una campionatura accurata di verità a terra svolta a Tell Afis e negli altri siti noti e un successivo riesame delle immagini permetterebbe anche in questo caso di definire con maggior precisione che cosa realmente è distinguibile sulle immagini e quindi di elaborare più solidi criteri interpretativi finalizzati specificamente all’individuazione di elementi archeologici nell’area in esame.

Una campionatura accurata delle caratteristiche spettrali degli elementi costitutivi del territorio, permetterebbe inoltre di effettuare una classificazione semiautomatica dell’immagine, cioè una classificazione svolta dal computer a partire da precisi dati di input inseriti dall’utente. Quest’operazione è in grado di produrre una mappa tematica del territorio in esame, in altre parole una rappresentazione di quest’ultimo secondo le classi interpretative definite dall’utente. Se i dati di partenza sono adeguatamente precisi e dettagliati, il risultato finale dell’elaborazione può arrivare a rappresentare anche elementi di interesse che erano sfuggiti all’analisi visuale. Chiaramente se manca la premessa della qualità dei dati di partenza, il risultato potrebbe essere troppo grossolano e quindi non rappresentativo dell’area di studio, almeno per quanto riguarda una scala di dettaglio come quella della nostra ricerca, ed è per questo che nel nostro caso si è preferito per il momento non procedere alla classificazione delle immagini, riservandola alla prossima fase del lavoro.

La verifica dei dati sul terreno e la campionatura delle verità a terra può essere condotta sistematicamente con l’uso di un computer palmare dotato GPS, sul quale caricare, tramite il software ArcPad, il sistema GIS, completo di carte e immagini, elaborato nel corso del presente studio. In

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questo modo sarà possibile in ogni momento visualizzare la nostra posizione all’interno del sistema ed essere così sicuri di trovarci esattamente nei punti di interesse dove sono state registrate le anomalie. In questo modo è inoltre possibile aggiornare in tempo reale le informazioni presenti nel geodatabase con i dati acquisiti sul campo e inserire nuovi punti di interesse nelle aree che appaiono rappresentative per la campionatura degli elementi costitutivi del territorio. Tutto questo si traduce in una maggior rapidità e precisione nella registrazione dei dati, in un minor rischio di fraintendimenti e dimenticanze dovuti alla post-elaborazione e di conseguenza in una maggiore efficienza generale nelle attività di prospezione sul campo.

I dati così acquisiti e inseriti nel sistema, saranno quindi già pronti per essere elaborati, cosa che, come è stato detto sopra, permetterà di valutare il grado di verosimiglianza delle conclusioni raggiunte e di affinare i criteri di distinzione e interpretazione, al fine di migliorare i risultati ottenuti e rielaborarli ampliandone notevolmente il potenziale informativo.

5.2 ELEMENTI OSSERVATI E POSSIBILI ELABORAZIONI DEI DATI Ribadito ancora una volta il carattere di provvisorietà delle

interpretazioni proposte, vediamo in breve che cosa è emerso dall’analisi fin qui condotta.

Cominciando dai dati di natura archeologica, diverse tracce sono state individuate, come era prevedibile, a Tell Afis. Tuttavia queste tracce, nonostante non ci sia da sbagliare sull’interesse archeologico del luogo, sono molto meno chiare e definite di quelle individuate in altre zone. Questa apparente contraddizione può essere spiegata dalla concomitanza di diversi fattori. Innanzi tutto la terra nell’area del Tell è molto compatta ed omogenea, soprattutto nell’area dell’acropoli, che non viene utilizzata per le coltivazioni, che smuovono la terra, e che è praticamente priva di vegetazione se si esclude qualche cespuglio. Qui, il terreno, caratterizzato da una matrice argillosa e ulteriormente compattato dalla pioggia è caratterizzato da uno strato superficiale molto compatto che raramente viene in qualche modo alterato dalla presenza, seppur diffusa praticamente ovunque, di strutture sepolte. Se a ciò si aggiunge che la maggior parte delle strutture murarie sono a Tell Afis in mattoni crudi, si capisce ancora di più come scarsa sia la possibilità che si verifichino i fenomeni di mediazione grazie ai quali poter individuare in superficie tracce di qualcosa che sta sotto di essa. Nella città bassa, la situazione è differente perchè quasi tutta l’area, ad eccezione del lato settentrionale, è

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coltivata. Tuttavia in questo caso la stagione non è dalla nostra parte, tutti i campi infatti sono arati o ancora coperti dai residui della mietitura, cosa che non permette di valutare se si verifichi il fenomeno delle tracce da vegetazione e che rende più leggibili le tracce da umidità, che infatti sono state osservate in vari casi.

Venendo alle tracce individuate, quelle lineari, o con forme geometriche regolari, come quelle individuate nell’area ovest della città bassa e nell’area meridionale dell’acropoli (tav.2, fig.1), possono con un certo grado di verosimiglianza essere riferite a strutture sepolte.

Altre tracce, meglio visibili, sono di forma irregolare e sono state distinte principalmente in base a cambiamenti delle caratteristiche cromatiche del terreno. Tale fenomeno infatti, nel caso di terreni nudi come quelli in esame, può essere dovuto a una differenza di umidità, che a sua volta può essere originata dalla presenza di strutture che, possono causare un ristagno di umidità che altera localmente le capacità di riflessione del terreno95. Inoltre le strutture, nel caso determinino un bacino stratigrafico chiuso potrebbero essere caratterizzate da un riempimento le cui caratteristiche fisico-chimiche, e quindi spettrali, si differenzierebbero dal terreno circostante, causando così l’apparizione delle tracce96. Probabili tracce da umidità, nel nostro caso sono state osservate nella città bassa, a nord e a nordovest dell’area D2 (tracce 90 e 91, tav.XV, figg.1-2), e con minor certezza, sempre nella città bassa a ridosso del pendio occidentale dell’acropoli, dove appaiono due tracce circolari di colore scuro delle quali una sembra essere leggermente in rilievo rispetto all’area circostante (tracce 5 e 6, tav.XV, figg.1-2; tav.XVI, fig.1); mentre al contrario la traccia 130 (tav.XV, figg.1-2) a ridosso del lato esterno delle mura della città bassa a nordovest è una traccia da umidità che si evidenzia per la presenza di erba spontanea e per la quale, vista la sua posizione è stata suggerita un’interpretazione, molto ipotetica, come traccia relativa ad un fossato presso le mura. Infine l’ultima traccia distinta in base al colore del terreno è quella individuata nei pressi dell’area B, dove il terreno risulta essere più chiaro (traccia 92, tav.XV, figg.1-2), fenomeno che potrebbe essere interpretato con la vicinanza del cantiere di scavo e quindi con un’alterazione superficiale del terreno dovuta sia al passaggio ripetuto che a una parziale dispersione di terra e materiale di scarico proveniente dallo scavo.

Per quanto riguarda invece gli altri due Tell presenti nella nostra area di studio definita dall’estensione delle immagini Quick Bird, ossia

95 Cfr Par. 2.2.2. 96 Tale fenomeno è stato osservato relativamente alla traccia 7, Tav.XV, figg. 1-2.

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Tell el Hasmi e Tell el Mohallak, rispettivamente a circa 4 km e a circa 5,5 km a nordovest di Tell Afis, non è invece stato possibile identificare con la sola fonte rappresentata dall’immagine, alcun elemento di presunto carattere archeologico, nonostante le ricerche di superficie effettuate in questi due siti abbiano restituito frammenti di ceramica e altri reperti riferibili ad un ampio lasso di tempo97. Tuttavia un dato interessante emerso dall’analisi dell’immagine satellitare, relativamente ad entrambi i siti, è il fatto che questi tell sorgano su degli affioramenti calcarei, quindi naturalmente in rilievo rispetto al territorio circostante, dato che conferma le conclusioni dell’analisi geomorfologica. Questo è senz’altro importante per comprendere le scelte insediative antiche rispetto al territorio in esame, in questo senso la scelta di insediarsi in aree caratterizzate da affioramenti naturali di calcari potrebbe essere spiegata, oltre che col fatto di porsi in una posizione di rilievo rispetto al territorio, protetta dai frequenti allagamenti che invece caratterizzano le aree più depresse della piana, anche con la possibilità di approvvigionamento idrico tramite lo scavo di pozzi e cisterne nel calcare, e infine con la necessità di sfruttare più intensamente i terreni più adatti all’agricoltura. Il fatto che proprio Tell Afis non sembri seguire tale regola potrebbe essere spiegato, oltre che ovviamente con la non assoluta validità del postulato, anche con l’imponenza del deposito artificiale che caratterizza il sito e che potrebbe bene aver obliterato la morfologia naturale del terreno e quindi anche l’eventuale presenza di calcari affioranti.

Tracce di tutt’altro tipo, sono invece quelle di presunta viabilità urbana che sono state individuate alla periferia nord di Saraqeb (Tav. XVIII), il cui schema appare tipico delle città tardo-antiche in Siria e che però non è stato in questo caso mantenuto nella città moderna. Subito ad est di queste tracce si osserva quella che è stata interpretata come un’altra traccia di viabilità, con andamento rettilineo da nordovest a sudest (tav.XVII, fig.5). Se l’interpretazione sembra plausibile, tuttavia è impossibile dire quanto questa traccia possa essere antica: infatti il confronto tra immagine satellitare e cartografia ha mostrato che strade segnate nella carta degli anni 80’ sono praticamente scomparse e non rintracciabili nell’immagine. Si deve comunque osservare che in questi casi si tratta sempre di strade bianche che passano tra i campi e che probabilmente non sono rimaste in uso abbastanza a lungo da creare una reale modificazione del terreno, che invece sarebbe ben visibile nell’immagine ad alta risoluzione, come mostra il fatto che nel campo del telerilevamento applicato all’archeologia le strade antiche sono un

97 Per una sintesi vd. Mazzoni 2005, pp. 5-14.

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oggetto di indagine molto frequente98. Detto questo, a favore dell’antichità della strada in questione è la sua estraneità alla geometria attuale della disposizione dei campi, cosa che porta a ritenere più logico riferirla ad un momento in cui vigeva una diversa organizzazione del territorio.

Infine un’altra traccia di chiara origine antropica è quella individuata a sudest di Maaret el Oulia (traccia 18, tav.XVII, fig.3), che è stata interpretata come una possibile testimonianza di divisioni agrarie del passato. Questa traccia, di notevole estensione, si caratterizza per la precisione del disegno geometrico, mentre fisicamente essa sembra costituita, almeno nella parte meglio conservata, da blocchi di pietra allineati e/o bassi muretti; al contrario in altre zone sono visibili dei punti neri che potrebbero rappresentare aree in cui i blocchi sono stati asportati, lasciando un avallamento nel terreno, e infine è riconoscibile anche dalla presenza di semplici e sottili linee nel terreno, probabilmente anch’esse da interpretare come aree spoliate.

Venendo invece alle anomalie del terreno, registrate perchè ritenute utili alla caratterizzazione geomorfologica del territorio, vi sono in primo luogo i presunti affioramenti calcarei. E’ questa una categoria che comprende tracce eterogenee per forma e dimensioni. Il criterio distintivo che si è adottato è basato sulla considerazione della natura calcarea del substrato roccioso, che sull’immagine si traduce in valori di alta riflettanza, e di conseguenza in un colore chiaro, a volte bianco o quasi bianco. Si è consapevoli tuttavia del fatto che probabilmente alcune delle tracce inserite in questa categoria possono essere spiegate con altri fenomeni quali locali variazioni chimiche e mineralogiche dei suoli legate all’azione dell’acqua piovana o il semplice dislivello che a volte può generare fenomeni ottici di riflessione che possono trarre in inganno. A questo proposito la campagna di verifica si rivelerà senz’altro fondamentale per affinare i criteri distintivi in questo senso. Nella medesima categoria di anomalie del terreno rientrano le presunte tracce da umidità, distinte in base al colore più scuro che esse assumono rispetto all’area circostante, dovuto al fatto che l’acqua in genere presenta bassi valori di riflettanza, che scendono ancora di più nella regione dell’infrarosso vicino.

Infine le tracce relative al reticolo idrografico, anche se i letti degli wadi che lo costituiscono erano, al momento dell’acquisizione dell’immagine, quasi tutti secchi, sono nella maggior parte dei casi relativamente chiare e ben individuabili ed inoltre per esse è stato

98 Per citare qualche esempio: Georgoula et Alii 2004; Pavlidis-Fraser-Ogleby 2002.

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possibile usufruire dell’ausilio della cartografia, nonostante le differenze, spesso notevoli, tra la situazione cartografata e quella attuale. Queste differenze sono importanti per valutare in che modo e in quale lasso di tempo gli elementi del paesaggio possono essere modificati dall’azione erosiva dell’idrografia e quindi anche per la possibilità di ricostruire la situazione antica. A questo proposito si ricorda come l’approvvigionamento idrico, essenziale per qualsiasi comunità umana, sia uno dei fattori che maggiormente condizionano le scelte insediative delle comunità e come di conseguenza, per comprendere l’organizzazione antropica del territorio sia importante ricostruire la situazione passata in relazione alla disponibilità di tale risorsa.

Gli elementi evidenziati dal presente lavoro possono essere messi in relazione tra loro proprio con l’obiettivo di contribuire alla riflessione finalizzata alla ricostruzione del paesaggio antico. Importante è ad esempio il rapporto tra corsi d’acqua, affioramenti rocciosi, forma dei campi e disposizione delle infrastrutture antropiche. Spesso si può notare che il letto di uno wadi si trova tra due tracce che sono state identificate come possibili affioramenti, e questo può essere interpretato con l’azione erosiva del corso d’acqua nei confronti della roccia: in corrispondenza del letto si crea una depressione che viene in parte colmata dai sedimenti del corso d’acqua stesso, mentre ai lati di esso la roccia che non viene erosa crea dei modesti rilievi isolati. Un processo di questo tipo può essere ipotizzato per gli affioramenti calcarei che si trovano subito ad ovest di Tell Afis (anomalie 69-71 e wadi 103-104; Tav.XXI, fig.4)

La forma dei campi è un altro elemento importantissimo nell’analisi del territorio finalizzata alla ricostruzione del paesaggio. I campi infatti sono un elemento piuttosto conservativo in un paesaggio antropizzato. La loro forma inizialmente può essere condizionata da elementi quali corsi d’acqua, strade, edifici, divisioni agrarie, e poi può rimanere invariata nel corso dei secoli anche se vengono a mancare le condizioni iniziali che l’hanno determinata. Nel caso dei corsi d’acqua quindi se la forma dei campi o gli oliveti ne seguono il corso anche quando quest’ultimo assume conformazioni bizzarre, significa che esso è da molto tempo un elemento costante del paesaggio.

Ne consegue quindi che una riflessione più approfondita su questi aspetti, condotta anche con l’ausilio dei nuovi dati acquisiti sul campo, produrrà dei risultati sicuramente interessanti per quanto riguarda la ricostruzione del paesaggio.

Un risultato sicuramente utile del presente lavoro è poi rappresentato dalle carte tematiche, che permettono di sintetizzare i dati acquisiti e possono quindi essere utilizzate per approfondire la riflessione

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delle tematiche affrontate. A questo proposito tra i possibili sviluppi del lavoro, possiamo includere l’elaborazione di nuove carte che integrino i dati già in nostro possesso con quelli acquisiti sul terreno.

5.3 INTEGRAZIONE DEI DATI ACQUISITI CON ALTRE FONTI All’inizio si è parlato di una integrazione dei dati ricavati

dall’immagine satellitare con altre fonti, come la fotografia aerea. Infatti spesso è proprio dall’integrazione tra telerilevamento e fotointerpretazione che la ricerca archeologica trae il massimo profitto, anche se chiaramente le possibilità di ottenere risultati positivi sono condizionati da vari fattori, tra i quali scala, tipologia (verticale o obliqua) stagionalità e datazione delle foto.

Disponendo di immagini ad alta risoluzione come quelle utilizzate nel corso di questa ricerca il confronto con le foto aeree non è tanto utile per aggiungere dettaglio a ciò che si può osservare con l’analisi visuale delle immagini satellitari, a meno che non si posseggano foto a grandissima scala, ma piuttosto per tutta una serie di altri motivi, che passeremo in rassegna brevemente.

Le foto aeree verticali hanno il grande vantaggio di essere scattate in sequenza, in quella che nel linguaggio tecnico è chiamata strisciata. In una strisciata, ogni coppia di fotogrammi adiacenti costituisce una coppia stereoscopica, ossia una coppia di fotogrammi che può essere osservata in stereoscopia, o con un normale stereoscopio, oppure tramite i moderni sistemi di fotogrammetria digitale99. La visione stereoscopica spesso si rivela di grande aiuto all’archeologo perchè consente di individuare anomalie nell’andamento del rilievo, come le cosiddette tracce da microrilievo che spesso sono associate a elementi archeologici. La fotogrammetria digitale, oggi alla portata anche di un’utenza non specialistica, permette tra l’altro di produrre, dalle foto aeree di partenza, ortofoto che possono essere utilizzate per la produzione di ortofotocarte a grande scala. Inoltre ancora più importante è la possibilità che i moderni software di fotogrammetria offrono di elaborare un DEM a partire da due o più fotogrammi, che devono essere orientati relativamente fra loro e in modo assoluto rispetto ad un sistema di riferimento cartografico. Nel nostro caso quindi, il disporre di un DEM elaborato con tecniche fotogrammetriche, che abbia una precisione adeguata a rappresentare il

99 La visione stereoscopica è possibile anche con le immagini satellitari, tra cui quelle Quickbird e Ikonos. Tuttavia, l’acquisto di coppie stereoscopiche di immagini satellitari ad alta risoluzione è ancora molto oneroso per quanto riguarda i costi, e quindi inaccessibile alla maggior parte dei progetti di ricerca archeologica.

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dettaglio delle immagini satellitari di cui disponiamo, significherebbe avere uno strumento molto più preciso rispetto al DTM ricavato dalla cartografia al 25000, che ci consentirebbe quindi di osservare le anomalie nelle tre dimensioni, cosa che spesso si rivela di grandissimo aiuto nell’interpretazione, e di individuare le tracce da microrilievo.

Nel caso le fotografie aeree siano relativamente antiche, la loro importanza consiste nel fatto che esse possono rappresentare una situazione che oggi è in gran parte mutata, e costituire quindi una documentazione storica. Non sono rari infatti i siti archeologici e le tracce del tutto scomparse negli ultimi decenni, ma ben visibili nelle fotografie aeree più vecchie.

Per quanto riguarda le fotografie oblique, esse sono utili in archeologia sia per la bassa quota di volo e quindi per il grande dettaglio, ma soprattutto per il punto di vista che le differenzia sia dalle immagini satellitari che dalle foto verticali, e che è in grado, con le giuste condizioni di illuminazione di mettere in evidenza la micromorfologia del terreno. Oggi tra l’altro vi sono software, come ad esempio AirPhoto, che sono in grado di raddrizzare e georeferenziare queste foto nonostante le gravi distorsioni geometriche di cui sono affette, permettendo così di poter utilizzare questo tipo di immagini all’interno di un sistema GIS.

Molte ricerche hanno mostrato i vantaggi che derivano dall’uso integrato di telerilevamento e fotointerpretazione per lo studio del medesimo territorio. Per fare solo pochi esempi, spesso si è verificato che una traccia sia visibile solo sulle immagini telerilevate o viceversa solo sulle foto aeree100, fenomeno che può dipendere da diversi fattori, come la differenza di stagione, la differenza cronologica (se le foto aeree sono molto vecchie), l’invisibilità di alcune tracce nella regione del visibile (e quindi la conseguente possibilità di distinguerle solo in immagini che rappresentino anche altre regioni dello spettro elettromagnetico). Spesso tuttavia ed è questa la cosa più importante, una traccia può essere meglio interpretata proprio per il diverso modo in cui appare nelle diverse fonti a disposizione. Sembra quindi chiaro che integrare i due metodi di indagine comporti in ogni caso un incremento delle potenzialità informative delle singole fonti, che in questo senso sono complementari, fornendo ognuna un’informazione originale e autonoma.

Un’altra possibilità di migliorare considerevolmente i risultati acquisiti sarebbe quella di poter disporre di una nuova immagine satellitare ad alta risoluzione acquisita in una stagione differente rispetto a quella attualmente in nostro possesso, come la primavera o l’inverno.

100 Vd. ad esempio Campana 2004.

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Nel telerilevamento classico infatti la multitemporalità è un requisito indispensabile a molte ricerche: in particolare nella classificazione delle immagini il confronto estate/inverno permette di definire le caratteristiche della copertura vegetale del suolo con minor rischio di fraintendimenti. Anche se non è questo il nostro caso, disporre delle due immagini di stagioni diverse, ci consentirebbe comunque di avere un quadro più completo del territorio in esame ed è molto probabile che tracce appena percettibili nell’immagine estiva siano invece più in evidenza in quella primaverile o viceversa, dato che le diverse condizioni di umidità e di copertura vegetale dovute alla differenza di stagione possono influenzare in misura notevole il comportamento degli elementi a terra. Riosservare quindi le anomalie già individuate in un’immagine acquisita in Primavera, permetterebbe quindi senza dubbio una migliore comprensione e un’interpretazione più affidabile delle stesse proprio per la complementarità delle informazioni relative all’estate e alla primavera.

5.4 CONSIDERAZIONI FINALI Per concludere, al termine di quello che, come si è già detto,

costituisce solo il primo passo verso una ricerca più ampia, che si pone come obiettivi principali quello di individuare nuovi elementi archeologici e di contribuire alla ricostruzione del paesaggio antico, si può tentare un primo bilancio dei risultati ottenuti.

Per prima cosa appare chiaro che le immagini satellitari utilizzate nel presente studio hanno molteplici potenzialità informative che in futuro potranno essere sfruttate in modo più approfondito con l’ausilio di nuovi dati, primi fra tutti quelli acquisiti sul campo. Tuttavia anche ora è possibile affermare che sono stati individuati numerosi elementi di interesse su cui indagare ulteriormente, che sono stati raccolti nuovi dati per una caratterizzazione del territorio, che le prime elaborazioni dei dati presentate sotto forma di carte tematiche costituiscono degli utili strumenti per le indagini future.

In secondo luogo, il lavoro fin qui compiuto è stato utile anche per mettere in pratica dei metodi d’analisi che precedentemente non erano stati utilizzati nelle ricerche su Tell Afis e il suo territorio. Infatti se la ricerca era orientata all’uso delle immagini da satellite per l’individuazione di elementi di potenziale interesse per la ricerca, la gestione dell’intero dataset su GIS si è rivelata fondamentale per sfruttare al massimo le informazioni acquisite, permettendo il confronto costante con le fonti cartografiche, la registrazione dei nuovi dati acquisiti all’interno del geodatabase, l’elaborazione del modello digitale del

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terreno, e una consultazione rapida ed efficiente di tutti dati. In questo senso, nella prossima fase della ricerca, quando la riflessione sarà più matura, i dati potranno essere elaborati in modo più complesso, ricavando nuove informazioni grazie alle possibilità di combinare i dati già inseriti e di effettuare analisi spaziali.

Infine, se tanto lavoro deve ancora essere svolto il bilancio può comunque essere considerato positivo e senz’altro di stimolo per la prosecuzione delle indagini in tal senso e per l’approfondimento nell’uso degli strumenti qui utilizzati.

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GLOSSARIO Algoritmo di fusione (resolution merge)

Gli algoritmi di fusione permettono di “fondere” due immagini che rappresentano la stessa area e che si distinguono per la risoluzione spaziale e spettrale: l’immagine pancromatica a più alta risoluzione spaziale viene “fusa” con la corrispondente immagine multispettrale, che si compone di più bande, relativamente a diversi intervalli di lunghezza d’onda captati dal satellite. In questo modo è possibile ottenere una nuova immagine multispettrale con risoluzione spaziale pari o di poco inferiore a quella dell’immagine pancromatica. Esistono numerosi algoritmi di fusione, i più comuni sono quelli basati sul metodo delle componenti principali (PCA) e sulla trasformazione IHS.

Analisi spaziali Elaborazioni che possono essere effettuate in ambiente GIS tra vari elementi spazialmente connotati, allo scopo di costruire modelli predittivi e interpretativi.

Banda Nel telerilevamento con questo termine si intende uno spazio in cui le informazioni radiometriche registrate dai sensori relativamente a precisi intervalli dello spettro elettromagnetico vengono codificate numericamente e quindi rappresentate attraverso un’immagine digitale.

Classificazione delle immagini

Nel telerilevamento è un procedimento attraverso il quale un’immagine satellitare viene interpretata tramite il riconoscimento di elementi che vengono raggrppati in classi determinate in base alle caratteristiche spettrali.

Color composite Nel telerilevamento è un’immagine a colori visualizzata assegnando uno dei tre colori della sintesi addittiva (rosso, verde, blu) ad ognuna delle bande dell’immagine che si

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vuole visualizzare. Il false color composite (FCC) è una combinazione ottenuta utilizzando uno o più dei tre colori per visualizzare dati registrati in regioni dello spettro elettromagnetico invisibili all’occhio umano, anche in combinazione con dati registrati nella regione del visibile. Ad esempio con un FCC 432 si visualizza la banda 4 (che solitamente corrisponde all’infrarosso vicino) nel rosso, la banda 3 (che solitamente corrisponde al rosso) nel verde, e la banda 2 (che solitamente corrisponde al verde) nel blu.

Componenti principali (Principal Components)

E’ una tecnica tramite cui a partire da un’immagine multispettrale vengono create delle bande fittizie decorrelate. In altre parole è un procedimento matematico che serve a diminuire la naturale ridondanza dei dati nelle bande originali, tramite la redistribuzione dei valori radiometrici in bande artificiali delle quali le prime tre contengono la maggiorparte dell’informazione mentre le restanti sono da considerare piuttosto come rumore.

Copertura del suolo (land cover)

Con questa dicitura si intende una caratterizzazione dell’area in esame basata sulle caratteristiche fisiche di ciò che sta sopra la superficie indagata, ad esempio vegetazione, suolo nudo, superficie asfaltata. Questo concetto è molto utilizzato nel telerilevamento, in particolare nelle classificazioni delle immagini finalizzate alla produzione di carte tematiche.

Correzioni radiometriche Elaborazioni con le quali le immagini vengono corrette dagli elementi di disturbo che mascherano il reale contenuto radiometrico dell’immagine, come ad esempio la perdita di contrasto che si verifica per il fenomeno di riflessione dell’atmosfera, o effetti dovuti al malfunzionamento del sensore.

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Curva di riflettanza/firma spettrale

La cosiddetta curva di riflettanza o firma spettrale (spectral signature) è un grafico, caratteristico di ogni oggetto, che rappresenta la variazione dei valori di riflettanza al variare della lunghezza d’onda

Dati raster Dati che rappresentano immagini suddivise in righe e colonne a formare una griglia regolare i cui elementi, di forma quadrata (pixel) rappresentano un’informazione numerica alla quale, per poterla visualizzare viene associato un valore di luminosità.

Dati vettoriali Dati grafici che vengono archiviati dal computer in base alle coordinate cartesiane dei punti e delle linee che li compongono.

Datum In un sistema di riferimento cartografico il Datum rappresenta una combinazione di diverse informazioni necessarie alla definizione del sistema stesso, in particolare l’Ellissoide di riferimento e la proiezione.

DEM (digital elevation model)

Il DEM, modello digitale di elevazione è un file, solitamente in formato raster, che descrive le caratteristiche altimetriche di una determinata area, tenendo conto anche di ciò che fisicamente sta sulla superficie, come ad esempio edifici, infrastrutture, vegetazione arborea ecc. Tipicamente i DEM si realizzano con procedure fotogrammetriche che utilizzano coppie stereoscopiche di fotografie aeree.

DGPS (differential GPS) Vd. GPS DN (digital number) In un immagine satellitare è un numero,

associato ad ogni pixel, che esprime il valore di radianza registrato dal satellite in un determinato punto e in un determinato intervallo di lunghezze d’onda. Il valore numerico dei pixel, rappresentato dai DN viene rappresentato con una scala di livelli di grigio.

Dominio Drappeggio (draping) Operazione tramite cui un’immagine

geoeferenziata (foto aerea, immagine

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satellitare, carta) viene sovrapposta ad un modello digitale del terreno, in modo da realizzare un modello tridimensionale dell’area di studio.

DTM (digital terrain model)

E’ un modello digitale del terreno che rappresenta le caratteristiche altimetriche di una determinata area, relativamente al terreno e non a ciò che sta sopra di esso (sia naturale che artificiale). Può essere ricavato ad esempio dalla digitalizzazione delle curve di livello di una carta topografica. Può essere raster o vettoriale.

Ellissoide In geodesia, un ellissoide di riferimento è modello matematico che approssima il geoide, cioè il modello fisico che meglio rappresenta la reale forma della Terra. Gli ellissoidi sono usati come superficie di riferimento per definire una rete geodetica in base a cui definire le coordinate degli oggetti sulla superficie terrestre.

Energia elettromagnetica E’ una forma di energia che si propaga nello spazio attraverso onde sinusoidali costituite da un campo magnetico e uno elettrico che oscillano perpendicolarmente fra loro. Un’onda elettromagnetica è caratterizzata da due grandezze inversamente proporzionali tra loro: la lunghezza d’onda (λ) e la frequenza (ν).

Equalizzazione dell’istogramma

Metodo di miglioramento radiometrico delle immagini che consiste nel ridistribuire i valori di DN dei pixel nell’intero intervallo di valori disponibile (es. 0-255 in un’immagine a 8 bit) tenendo conto della loro frequenza e densità, in modo da contrastare maggiormente le parti dell’immagine dove i valori sono maggiormente concentrati.

FCC (False color composite)

Vd. Color composite e Immagine a falsi colori.

Fenomeno di mediazione Fenomeno tramite il quale qualcosa che sta sotto la superficie del terreno è visibile in base al comportamento anomalo degli

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elementi che stanno sopra la superficie. Questo fenomeno è meglio osservabile dall’alto, quindi tipicamente attraverso fotografie o immagini satellitari.

Firma spettrale Vd. Curva di riflettanza. Fotografia aerea obliqua Una fotografia aerea obliqua è caratterizzata

da un angolo di inclinazione compreso tra 5° e 85°. Questo provoca una distorsione geometrica di grande entità, che rende questo tipo di foto inutilizzabili per scopi aerofotogrammetrici.

Fotografia aerea verticale Una fotografia aerea si definisce verticale o planimetrica quando l’asse ottico della camera è perpendicolare alla superficie da rappresentare. L’angolo di inclinazione, formato dall’asse ottico e dalla perpendicolare al terreno, non deve superare i 5°. Le distorsioni geometriche minime le rendono adatte ad applicazioni fotogrammetriche.

Fotogrammetria Disciplina che comprende l’insieme delle teorie geometriche e delle procedure tecniche che consentono di effettuare il rilievo di oggetti ricavando informazioni metriche da immagini fotografiche.

Fotogrammetria diretta Sistema di ripresa aerofotografico che grazie alla presenza di un GPS integrato a sensori inerziali consente di restituire posizione velocità e assetto del velivolo al momento della presa. In tal modo si dispone di tutti i parametri di orientamento esterno dei fotogrammi, e non è necessaria l’applicazione del procedimento fotogrammetrico classico che prevede l’uso di punti controllo registrati a terra per orientare le immagini, tramite il procedimento matematico noto come triangolazione aerea.

Fotomosaico Mosaico di immagini georeferenziate, unite in base alle coordinate, assolute o relative delle aree che rappresentano.

GCP (ground control Punti di coordinate note, in genere ricavati da

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point) rilievo topografico, che vengono utilizzati per varie operazioni tra cui la correzione geometrica delle immagini satellitari, l’orientamento delle foto aeree, la realizzazione di modelli altimetrici del terreno.

Geodatabase Il Geodatabase è un database spaziale, ossia un database contenente dati che rappresentano informazioni di tipo geografico. Tramite un modello di dati specializzato consente la gestione di elementi vettoriali, immagini raster, topologie, reti e così via.

Geomorfologia Disciplina che studia la morfologia della Terra, cioè la forma del territorio, la sua origine ed evoluzione, con particolare attenzione ai rapporti tra la morfologia del terreno, le sue caratteristiche litologiche e pedologiche e gli agenti che lo hanno modellato. La Geomorfologia studia inoltre la storia e la dinamica del territorio al fine di prevederne le possibili trasformazioni ma anche, nel caso delle sue applicazioni in campo archeologico, di ricostruire la situazione passata.

Georeferenziazione Procedura tramite cui vengono assegnate coordinate geografiche (o cartografiche) e un preciso sistema di riferimento geografico (o cartografico) a dati raster o vettoriali che rappresentano una determinata area. La georeferenziazione avviene in base a punti di coordinate note (GCP) ben riconoscibili nelle immagini, oppure nel caso di immagini che rappresentino carte geografiche, direttamente assegnando le coordinate leggibili sulla carta ai rispettivi pixel.

GIS (Geographical Information System)

Sistema informativo computerizzato che permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazioni derivanti da dati geografici (geo-referenziati).

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GPS (Global positioning system)

Sistema di rilevamento al suolo di coordinate geografiche che fa uso di un ricevitore dotato di un software in grado di calcolare la propria posizione in base alla posizione reciproca di diversi satelliti (minimo 3). Il sistema di satelliti è di proprietà del governo degli Stati Uniti ed è gestito dal ministero della difesa statunitense.

GRID Formato di rappresentazione di modelli digitali del terreno e di elevazione. Il GRID è un file raster georeferenziato in cui ad ogni pixel corrisponde un valore di quota.

Ikonos II Satellite ad alta risoluzione spaziale di proprietà della Space Imaging, lanciato in orbita nel 1999. E’ dotato di quattro bande, tre nel visibile e una nel vicino infrarosso, con risoluzione spaziale di 4 m; e di un sensore pancromatico, dotato di risoluzione spaziale di 1 m.

Immagine a colori naturali

Nel telerilevamento un’immagine a colori naturali è ottenuta tramite l’assegnazione dei colori rosso, verde e blu alle bande che corrispondono al segnale effettivamente registrato dal sensore nelle lunghezze d’onda corrispondenti al rosso, verde e blu.

Immagine a falsi colori Nel telerilevamento è un’immagine ottenuta assegnando i colori rosso, verde e blu a bande corrispondenti a lunghezze d’onda non visibili all’occhio umano, oppure visibili ma non corrispondenti nella realtà al colore assegnato: ad esempio nel FCC 432, la banda 4 (che solitamente corrisponde all’infrarosso vicino) è visualizzata in rosso, la banda 3 (che solitamente corrisponde al rosso) è visualizzata in verde, mentre la banda 2 (che corrisponde al verde) è visualizzata in blu.

Immagine di radianza Nel telerilevamento è un’immagine in cui il valore dei pixel corrisponde al valore di radianza registrato dal sensore, corretto dalle alterazioni dovute all’influenza atmosferica. Il valore di radianza registrato dal sensore

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dipende oltre che dalle caratteristiche di riflettanza degli oggetti ripresi, anche dall’irradianza solare al momento della presa, cioè dalla quantità di energia solare che arriva alla superficie terrestre in funzione dell’elevazione solare e della distanza Sole-Terra.

Immagine di riflettanza Nel telerilevamento, è un’immagine in cui il valore dei pixel corrisponde all’effettivo valore di riflettanza degli oggetti rappresentati. Tramite questa immagine è possibile ricostruire le firme spettrali degli oggetti indagati. Si ottiene elaborando l’immagine originale registrata dal sensore tenendo conto dell’influenza atmosferica e di altri parametri quali l’elevazione solare al momento della presa.

NDVI (Normalized Difference Vegetation Index)

La differenza dell’indice di vegetazione normalizzato si ottiene applicando la seguente formula alle due bande che in un’immagine corrispondono al rosso e all’infrarosso: IR-R/IR+R. Quest’operazione consente di ottenere una nuova immagine in scala di grigi in cui il contrasto tra alta riflettanza nel vicino infrarosso e alto assorbimento nel rosso, caratteristici della vegetazione in salute, viene enfatizzato, evidenziando la vegetazione più sana rispetto a quella meno sana.

Infrarosso termico Regione dello spettro elettromagnetico corrispondente ad un intervallo di lunghezze d’onda comprese tra i 5 e i 50 micron. E’ così chiamato perchè l’energia che viene trasmessa a queste lunghezze d’onda è quella emessa dalla superficie terrestre in funzione della temperatura.

Infrarosso vicino (NIR) Regione dello spettro elettromagnetico corrispondente ad un intervallo di lunghezze d’onda comprese tra i 0,7 e gli 1,3 micron. Nel telerilevamento è importante perchè l’alta riflettanza della vegetazione a queste

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lunghezze d’onda permette di discriminare facilmente i vari tipi di vegetazione.

Istogramma In relazione ad un’immagine digitale, un istogramma rappresenta in ascissa i valori dei pixel e in ordinata il numero dei pixel. Con questo grafico è possibile valutare la distribuzione dei valori dei pixel nell’immagine e calcolare i parametri statistici di base: media, varianza, deviazione standard.

Lattice Modello dati per la rappresentazione di modelli digitali del terreno e di elevazione. E’ costituito da una griglia regolare a maglia quadrata in cui ad ogni vertice è attribuito un valore di quota.

Lidar (Laser Imaging Detection and Ranging)

E’ una tecnica di remote sensing che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser. La distanza dell'oggetto è determinata misurando il tempo trascorso fra l'emissione dell'impulso e la ricezione del segnale retrodiffuso. Solitamente i LIDAR sono aviotrasportati, il loro uso permette di ottenere un modello tridimensionale della superficie molto preciso.

Modello predittivo In ambiente GIS è un modello, ottenuto tramite tecniche di analisi spaziale, finalizzato alla interpretazione del territorio, tramite cui è possibile ipotizzare la presenza e l’ubicazione di determinati elementi. In archeologia i modelli predittivi sono finalizzati principalmente alla ricostruzione del paesaggio relativamente allo sfruttamento antropico del territorio e alle scelte insediative; e all’elaborazione di carte del rischio archeologico.

Mosaicatura Vd. Fotomosaico. Natural breaks E’ un metodo di classificazione basato sulla

tecnica di ottimizzazione di Jenks, che tenendo conto delle discontinuità più significative presenti nei dati, permette di

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ottenere classi che rispecchiano i raggruppamenti naturali di valori che li caratterizzano. E’ particolarmente adatta a rappresentare dati che non sono distribuiti uniformemente.

NIR (Near infrared) Vd. Infrarosso vicino. Ortorettifica Procedimento con il quale un’immagine

satellitare o una foto aerea verticale viene corretta dalle distorsioni geometriche. Sono necessari dei punti di controllo (GCP), un modello di elevazione dettagliato, e infine la conoscenza dei parametri del volo al momento della presa.

Path radiance Fenomeno di riflessione dell’atmosfera che il cui effetto, in un’immagine ripresa da satellite, si somma all’energia proveniente dalla superficie terrestre, causando una diminuzione del contrasto.

Pixel (Picture element) E’ l’elemento minimo di un’immagine raster. Proiezione cartografica E’ un’applicazione complessa di funzioni

matematiche che consentono di rappresentare su di un piano (con coordinate cartesiane) la superficie sferica della Terra.

Quickbird Satellite di proprietà della Digital Globe, lanciato in orbita nel 2001 è attualmente il satellite dotato di risoluzione spaziale più alta: 0,60 cm in modalità pancromatica, 2,44 in modalità multispettrale. E’ dotato di quattro bande, che registrano una radiazione compresa nelle lunghezze d’onda del Visibile e dell’ Infrarosso Vicino.

Radianza radianza, che semplificando al massimo possiamo definire come l’insieme dell’energia elettromagnetica proveniente dalla Terra che il sensore è in grado di captare in base alle caratteristiche tecniche che lo contraddistinguono e ad altri fattori.

Remote Sensing Sostanzialmente sinonimo di telerilevamento (vd.) il termine inglese ha però un’accezione più ampia, comprendendo tutte le tecniche di indagine svolte a distanza e senza contatto

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fisico con l’oggetto indagato, come ad esempio le prospezioni geofisiche.

Riflettanza La riflettanza o coefficiente di riflessività, è la capacità di un oggetto di riflettere la luce. Dipende dalle caratteristiche fisiche dell’oggetto e dalla lunghezza d’onda della radiazione luminosa che lo colpisce. Un oggetto infatti può assorbire la luce a determinate lunghezze d’onda e rifletterla a lunghezze d’onda diverse: la vegetazione ad esempio assorbe molto nel visibile, mentre è altamente riflettente nell’infrarosso.

Risoluzione radiometrica In un immagine satellitare definisce il numero di intervalli in cui l’intensità del segnale registrato dal sensore viene scomposto per essere rappresentato nell’immagine digitale, associando un tono di grigio ad ogni intervallo.

Risoluzione spaziale/a terra

In un’immagine digitale la risoluzione spaziale corrisponde alla dimensione dell’oggetto più piccolo che può essere distinto dal sensore. Questa grandezza corrisponde con la dimensione rappresentata da un pixel nell’immagine. Ad esempio una risoluzione spaziale di 1 m significa che un pixel nell’immagine corrisponde ad 1 m nella realtà, per cui oggetti più piccoli non sono distinguibili ma vengono fusi in un unico pixel.

Risoluzione temporale La risoluzione temporale (o tempo di rivisitazione) di un satellite per l’acquisizione di immagini è il tempo che intercorre tra due passaggi successivi del satellite sullo stesso punto.

Satelliti ad altissima risoluzione spaziale (VHR)

I satelliti VHR (very high resolution) sono caratterizzati da un’alta risoluzione spaziale che va dai pochi metri ai 60 cm per pixel del satellite Quickbird.

Sensore Nell’ambito del telerilevamento con questo termine si intendono gli strumenti di rilievo che si distinguono in apparati di misura e

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apparati per la ripresa delle immagini, tra i quali quelli montati su satelliti.

Sistema informativo geografico

Vd. GIS

Spettro elettromagnetico Schematizzazione dell’energia elettromagnetica in funzione della lughezza d’onda, espressa in micron. Nello spettro elettromagnetico, lo spettro visibile (o regione del visibile) corrisponde ad un intervallo di lunghezze d’onda comprese tra 0,4 e 0,7 micron.

Subset E’ un’immagine ottenuta ritagliando un’area di interesse da un’immagine più grande.

Telerilevamento Scienza che studia fenomeni relativi alla superficie terrestre a distanza, senza contatto fisico con l’oggetto indagato. In italiano il significato più specifico del termine si riferisce in particolare agli studi effettuati tramite l’analisi di immagini satellitari, che mostrano il comportamento degli oggetti presenti sulla superficie terrestre, in relazione alla capacità che essi hanno di riflettere la luce.

TIN (Triangular Irregular network)

Il TIN è un modello dati in formato vettoriale per la rappresentazione di DEM o DTM. E’ formato da una maglia irregolare costituita da triangoli, che viene costruita congiungendo i punti quotati di input in modo che ogni punto noto costituisca il vertice di un triangolo.

Tracce da microrilievo Quando una struttura archeologica sepolta influenza invece l’andamento altimetrico della superficie, spesso in modo molto blando, abbiamo le tracce da microrilievo (note in inglese come shadows sites), le quali sono percepibili principalmente facendo uso di tecniche stereoscopiche, sia analogiche, sia digitali; tali tracce comunque possono essere viste anche nel caso di riprese fotografiche oblique, in particolare con luce radente

Tracce da umidità Le tracce da umidità (damp marks) sono

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quelle che si formano nei terreni in cui i resti sepolti alterino localmente la capacità del suolo di trattenere l’umidità, causando il ristagno di acqua in alcuni punti, una più rapida asciugatura in altri, fenomeno che si traduce in differenze cromatiche nel colore della terra, visibili dall’alto particolarmente dopo gli eventi piovosi, trascorso un certo periodo di tempo

Tracce da vegetazione Nelle tracce da vegetazione (crop marks) il mediatore è costituito invece dalla vegetazione che per un processo analogo al precedente cresce in modo diversificato in presenza di resti sepolti: le piante saranno meno rigogliose se sotto di esse a poca profondità c’è ad esempio la cresta di un muro o viceversa più rigogliose se una struttura sottostante in grado di trattenere l’umidità gli permetterà di avere più nutrimento rispetto a quelle circostanti. I crop marks sono in definitiva una conseguenza del diverso stadio di maturazione raggiunto dalle piante e sono quindi visibili solo in determinati periodi dell’anno, quelli caratterizzati appunto dalla germinazione e dalla prima fase di crescita

Uso del suolo Con questa dicitura si intende una caratterizzazione del suolo elaborata da un punto di vista antropico, con categorie come area coltivata, pascolo, area urbana, area industriale. Questo concetto è importante nel telerilevamento in relazione alle procedure di classificazione delle immagini volte ad ottenere carte tematiche.

UTM (Universal Transverse of Mercator)

Proiezione derivata dalla proiezione di Mercatore. Il sistema di riferimento cartografico UTM, basato sull’ellissoide internazionale di Hayford, suddivide la superficie terrestre in 60 zone.

WGS84 (World Geodetic System

Costituisce un modello matematico della Terra da un punto di vista geometrico,

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1984) geodetico e gravitazionale, costruito sulla base delle misure e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili al 1984. Il datum globale WGS84 ha la caratteristica di essere geocentrico, quindi valido allo stesso modo in tutto il mondo.

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