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ALESSANDRO LA MONICA

Foglio di via e altri versi

alla memoria diGaetano Compagnino

Si tratta di stabilire prospettive in cui il mondo si dissesti,si estranei, riveli le sue fratture e le sue crepe,

come apparirà un giorno, deformato e manchevole,nella luce messianica. Ottenere

queste prospettive senza arbitrio e violenza,dal semplice contatto con gli oggetti,

questo, e questo soltanto, è il compito del pensiero.

T. W. Adorno, Minima moralia (153)

Foglio di via, prima raccolta poetica di Franco Fortini pubbli-cata nel 1946 da Einaudi, riunisce in tre sezioni diverse (Glianni, Elegie e Altri versi) alcune sue poesie scritte tra il ’38 eil ’45. Come spiega lo stesso autore nella ristampa del 1967,il titolo allude a quel documento che «nei trasferimenti ac-compagna il soldato isolato»:1 di qui la frequenza, in questiversi, dei motivi del passaggio (sovente in discesa) e della so-litudine del viandante. Se le poesie più antiche risalgono aun’epoca precedente allo scoppio dell’ultima guerra, la gran

1 F. Fortini, Prefazione a Foglio di via [1967], in Id., Tutte le poesie,a c. di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2014, cit., p. 64. Ci siamo servitianche di F. Fortini, Foglio di via, Torino, Einaudi, 19672.

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parte delle liriche appartiene – come si apprende dall’indicedel libro2 – agli anni ’43-’45, periodo in cui il poeta, dismes-sa l’uniforme da ufficiale in seguito all’armistizio dell’8 set-tembre ’43, varcò il confine e si rifugiò, come molti conna-zionali, in Svizzera.

Negli anni precedenti Fortini, che pure era stato influenza-to dall’ambiente ermetico fiorentino, se ne allontanò gradual-mente avvicinandosi alla figura, per lui a lungo esemplare, diGiacomo Noventa, poeta antiermetico e direttore della rivista“La Riforma letteraria”, in cui il giovane poeta fiorentinopubblicò i suoi primi lavori.

La consapevolezza della solitudine, ma anche l’orgoglio«d’una diversità e di una elezione segreta»,3 sono espressi inmolti versi di Foglio di via, raccolta che segnò sul piano let-terario il rifiuto della poetica ermetica e su quello politico ilrigetto dell’antifascismo “mentale”, come lo chiamò lo stessopoeta. È il concetto di decisione a dare senso agli scritti forti-niani di questo periodo e quindi anche ai versi di Foglio divia: «La parola che più mi stava dinanzi, in quei tempi, era:decidere»;4 «Bisogna soprattutto che l’intellettuale italianodecida».5

Lo si vede bene dal testo proemiale, E questo è il sonno, e-dera nera, nostra, in carattere corsivo come i testi che chiu-dono la seconda e terza sezione. La poesia, costituita da setteendecasillabi e un doppio settenario (v. 7), è divisa in tre stro-

2 Ivi, pp. 67-70. Le date non compaiono nell’Indice conclusivo di F.Fortini, Tutte le poesie, cit.

3 F. Fortini, I cani del Sinai, in Id., Saggi ed epigrammi, a c. e con unsaggio di L. Lenzini e uno scritto di R. Rossanda, Milano, Mondadori,Milano 2003, p. 415.

4 Ivi, p. 431.5 F. Fortini, Il silenzio d’Italia. II [1944], in Id., Saggi ed epigrammi,

cit., p. 1223. Vengono in mente i celebri versi di Avrei voluto sentirmi sca-bro ed essenziale in Ossi di seppia di Montale: «e forse / m’occorreva ilcoltello che recide, / la mente che decide e si determina» (vv. 17-9; c.n.).

fe: la prima, di quattro versi, è chiusa dal punto, mentre le al-tre, composte ciascuna da due versi, sono separate da unavirgo la, a indicare due momenti distinti appartenenti, però, aun’u nica fase:

E questo è il sonno, edera nera, nostraCorona: presto saremo beatiIn una madre inesistente, schiuseNel buio le labbra sfinite, sepolti.E quel che odi poi, non sai se ascoltiDa vie di neve in fuga un canto o un vento,O è in te e dilaga e parla la sorgenteCupa tua, l’onda vaga tua del niente.

La prima strofe ha al centro un «sonno» descritto con (o ac-compagnato da) immagini negative che richiamano la morte:«edera nera», «labbra sfinite», «sepolti». Tale sonno-morte èla condanna che tocca a chi non decide, a chi non risponde aun ineludibile richiamo, che è insieme quello della Storia equello di Dio. Ci aiutano a ricostruire il senso del componi-mento alcuni testi coevi, tra cui un’orazione, intitolata Un ser-mone a Basilea,6 che Fortini pronunciò in una chiesa valdesesvizzera nel 1944, e La persuasione e la rettorica diMichelstaedter,7 libro su cui Fortini aveva scritto un brevesaggio, rimasto incompiuto, già alla fine degli anni Trenta delNovecento.8 Le parole «edera nera, nostra / Corona», apposi-zioni di «sonno», alludono chiaramente alla corona poetica: ilsonno-contemplazione, pare voglia intendere Fortini (che au-tocriticamente scrive, con significativo enjambement: «nostra/ Corona»), è proprio dei poeti quanto l’edera, che qui, per

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6 F. Fortini, Un sermone a Basilea [1944], in Id., Saggi ed epigrammi,cit., pp. 1225-31.

7 Abbiamo utilizzato C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica,Milano, Adelphi, 19998.

8 F. Fortini, Su Michelstaedter [1938-39], in Id., Saggi ed epigrammi,cit., pp. 1199-1203.

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simboleggiare la morte, è nera (analogamente, nella poesiaPer una cintura perduta nel bosco, si legge: «dove annotta /Tra i veleni dell’acque nere l’edera»). Il risultato è una condi-zione di apparente beatitudine, un riposo arrivato dopo una fa-tica troppo grave, nel buio di «una madre inesistente». In unarticolo su “Italia libera” del 1946, in cui criticava l’indolenzadi quei connazionali che in nome delle bellezze artistiche tol-leravano le secolari miserie del loro paese, Fortini scriveva:

Forse, nei cuori, la donna che desideriamo ma non rico-nosciamo compagna è sempre una madre terribile e mor-tale, e a lei, indietro, capovolti nel buio, verso la morte delnon essere, ci respinge un’immagine. Per gli schiavi diquella immagine materna, l’azione è sempre una dolenteviolenza strappata all’amore. | Su quell’immagine di mor-te i padroni, i vicerè, i baroni, i cardinali hanno coltivatoqueste secolari stanchezze (c.n.).9

Poco più su Fortini aveva parlato «di quell’Italia che èMediterraneo, stanchezza funebre, disperazione di Contro -riforma» (c.n.): l’inazione è una morte del non essere («mor-te nella vita» direbbe Michelstaedter),10 una morte che è an-che regressione a uno stato prenatale («a lei [alla madre], in-dietro, capovolti nel buio»), in un ambiente ovattato, isolatodall’esterno, in cui «l’azione è sempre una dolente violenza».Bersaglio del poeta in questi versi è l’indecisione a cui si con-dannavano molti intellettuali i quali, di fronte al fascismo e al-la guerra, che pur respingevano nell’intimo, pensavano che

9 A citare quest’articolo, su segnalazione di L. Lenzini, è L. Daino,Un’interpretazione partigiana del passato. Elementi autobiografici e stra-tegie compositive in Foglio di via e altri versi di Franco Fortini, in“L’ospite ingrato”. Rivista online del Centro Studi Franco Fortini, dicem-bre 2009: http://lnx.ospiteingrato.org (già in “ACME”, LX, fasc. I, gen-naio-aprile 2007, pp. 209-47). L’articolo di Fortini è ripreso e rifuso, conqualche variante, in F. Fortini, Un giorno o l’altro, a c. di M. Marrucci eV. Tinacci, Macerata, Quodlibet, 2006, p. 13-5 (il brano citato è a p. 14).

10 C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, cit., pp. 81-2.

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nulla potesse mutare; scrivevano Fortini e Pampaloni nel1941 con parole simili:

Questo Assoluto, del quale i poeti non sarebbero che le in-carnazioni o le limitazioni, non può dar mai loro torto,non permette incertezze, proibisce ogni lotta come con-cessione mondana [c.n.]11

e a Carlo Bo, per il quale «la vita giudicata secondo un pro-gramma obbliga a un disordine, al disagio dei nostri atti, a u-na forma di idolatria di noi stessi»,12 i due giovani scrittori ri-spondevano: «il nostro “no” è di coloro che non depongono lapropria coscienza».13

La seconda parte del componimento, divisa in due coppiedi distici, confuta, tuttavia, la possibilità di isolamento e di pa-ce illusoria espressi nei primi quattro versi: pur nella «sepol-tura» di una comoda indolenza, giunge un richiamo che esigeascolto, dall’esterno (il «canto» o il «vento» dei vv. 5-6) o dal-l’interno (la sorgente parla «in te»: vv. 7-8). In questi versi sichiama in causa una prova del fuoco, un guardare in faccial’oscurità (il «buio» del v. 2) per uscirne, a rischio anche del-la vita: l’«onda vaga tua del niente» (v. 8). Nel 1994 Fortiniconcluderà l’ultima sezione di Composita solvantur – e dun-que la sua cinquantennale attività poetica – con una poesiache richiama il testo proemiale di Foglio di via. La poesia co-mincia così:14

11 F. Fortini – G. Pampaloni, Non siamo disposti, in “Lettere d’oggi”,5-6, giugno-luglio, 1941, ora in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, cit., p.1208.

12 Ibidem.13 Ibidem. Cfr. C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, cit., p.

84: «facendo la propria vita sempre più ricca di negazioni, crear sé ed ilmondo».

14 Vedi F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 561. Su questo componimen-to vedi il limpido saggio di F. Rappazzo, «E questo è il sonno...». Temi,montaggio, figuralità, in “L’ospite ingrato”. Rivista online del CentroStudi Franco Fortini, giugno 2009: http://lnx.ospiteingrato.org..

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«E questo è il sonno…» Come lo amavano, il niente,quelle giovani carni! Era il ‘domani’,era dell’’avvenire’ il disperato gesto…Al mio custode immaginario ancora osavopochi anni fa, fatuo vecchio, pregaredi risvegliarmi nella santa viva selva.

I versi della prima raccolta sono interpretati qui dall’auto-re come un’aspirazione, disperata ma tanto più necessaria, aun avvenire di vera libertà; un avvenire, tuttavia, che potevacomportare il sacrificio, il «niente», parola conclusiva dellapoesia di Foglio di via. Nella nota esplicativa finale diComposita solvantur, Fortini chiarisce i riferimenti implicitinella seconda terzina:

[…] «custode immaginario» è quello, di mutevole iden-tità, della poesia che qui s’intitola, appunto, Il custode.Una volta per sempre è titolo di una raccolta di versi del1963. La «selva» è quella del già ricordato canto delPurgatorio [XXVII: in realtà XXVIII].15

Accertato che la «santa viva selva» è la «selva antica» diPurgatorio XXVIII, cioè il Paradiso terrestre, notiamo comenel canto precedente, a cui Fortini rimanda per la poesia Il cu-stode, si trovino degli elementi utili per l’esegesi della poesiaproemiale di Foglio di via. In Purgatorio XXVII, infatti,Dante per continuare la sua ascesa deve attraversare la barrie-ra di fuoco, che oltre a rappresentare il castigo dei lussuriosi,riassume tutte le pene purgatoriali. Alla resistenza del poetadinanzi a quel pauroso ostacolo, Virgilio reagisce ammonen-do: «Or vedi, figlio: / tra Beatrice e te è questo muro» (vv. 35-6). Questo muro è, come si sa, il titolo di una raccolta poeticadello stesso Fortini, che in quella sede rimanda esplicitamen-te ai versi del Purgatorio. Più volte i critici16 si sono soffer-

15 Ivi, p. 582.16 Cfr. C. Calenda, Di alcune incidenze dantesche in Franco Fortini, in

Id., Appartenenze metriche ed esegesi. Dante, Cavalcanti, Guittone, Na -

mati sull’importanza di questa cantica dantesca per la poesiafortiniana: noi riteniamo che tale ispirazione agisca sin da Equesto è il sonno. “Varcare il muro” in questa poesia signifi-ca passare dall’inazione a un impegno che è insieme etico,politico, religioso e poetico. Ora, tale passaggio dalla con-templazione all’azione è al centro del citato canto delPurgatorio, dove Dante alla fine attraversa il fuoco, guidatodal canto dell’angelo: «Guidavaci una voce che cantava / dilà; e noi, attenti pur a lei, / venimmo fuor là ove si montava»(vv. 55-7). Stremati dalla salita, i due pellegrini si fermano e,fattosi buio, si mettono a giacere: «Sì ruminando e sì miran-do in quelle, / mi prese il sonno; il sonno che sovente, / anziche ’l fatto sia, sa le novelle» (91-3; c.n.). A Dante appare insogno Lia, simbolo della vita attiva, e per questo opposta allasorella Rachele, che rappresenta la vita contemplativa. Al mo-dello “materno”, quindi, che nella prima strofe della nostrapoesia implica sonno-inazione-silenzio-morte, il poeta oppo-ne nella seconda un modello “paterno” (e persino Paterno) se-gnato da un dover essere che comporta veglia-impegno-can-to-vita. Si può vedere questa opposizione anche come antite-si terra 17 (la «madre inesistente» in cui si è sepolti) vs acqua(la sorgente che parla, l’«onda» che dilaga dentro e montalia-namente riporta alla vita). Quanto al «sonno» esso è, certo, ilsonno del peccato che si trova nelle Scritture, ad esempioquello dei Proverbi: «Fino a quando, o pigro, giacerai?Quando ti desterai dal tuo sonno?» (6,9)18 e «Non amare il

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po li, Bibliopolis, 1995, pp. 145-53 e G. Magrini, Il nido del nido, in“Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia”, Università di Siena, vol. VI,1985, Olschki, Firenze, 1986, pp. 331-42; ricavo tali indicazioni biblio-grafiche da F. Rappazzo, «E questo è il sonno...». Temi, montaggio, figu-ralità, cit.

17 Si ripensi alla frase sugli intellettuali citata innanzi: «intellettualimolto terrestri e scettici» (c.n.).

18 Per il testo delle Scritture ci siamo serviti de La Sacra Bibbia, ossial’Antico e il Nuovo Testamento, versione riveduta sui testi originali daldott. G. Luzzi, Roma, Società Biblica Britannica e Forestiera; cfr. P.

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sonno, che tu non abbia a impoverire» (20, 13) o dei Salmi:«Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dor-mirà» (121, 4); ma esso potrebbe alludere anche a quello diPurgatorio XXVII, che prelude a un’esatta coscienza della di-cotomia azione-contemplazione. Per il «varco», però, ci vuo-le un richiamo, una voce che interpelli: «nessuno di noi puòuscir di se medesimo se altri non lo chiama […] All’originedi ogni purezza sta una purificazione, una prova del fuoco[…] La purezza dell’evangelo […] conosce la miseria e lefiamme del peccato, ma va al di là, va sempre al di là, quasiche il vento dello Spirito sempre vivo e sempre libero rinet-tasse appunto» (c.n.).19 Nella poesia tali richiami sono espres-si dal vento, dal canto e dalla sorgente che parla. Il vento, loabbiamo appena visto, potrebbe avere una valenza positiva,essere un elemento che purifica il circuito asfittico segnatodalla «sepoltura» dei versi precedenti, affine a quello, soprarichiamato, che rimena l’ondata della vita nel «reliquario» diIn limine, la poesia proemiale degli Ossi di seppia di Montale(opera con cui Foglio di via stabilisce più di un contatto); siveda anche E TU PREGALI, secondo movimento di Consigli delmorto (vv. 24-8):

E il vento, il fresco del vento,Il vento fresco dei boschiArrivi fino a te,

Jachia, Fortini: leggere e scrivere, Firenze, Marco Nardi Editore, 1993, p.22: «Non sono certo [che mio padre] conoscesse che cosa mi suggeriva dileggere e valutasse la forza implosiva di quei testi. Erano i due tomi de Ifratelli Karamazov e Martin Eden [...] e una Bibbia, rilegata in nero, nel-la versione cosiddetta riveduta [...] edita dalla Società Biblica Britannica& Forestiera».

19 F. Fortini, Un sermone a Basilea [1944], in Id., Saggi ed epigrammi,cit., pp. 1227-29. Per l’importanza della voce come spinta verso una pos-sibile rottura liberatrice vedi il verso 4 di Questo muro, testo compreso inL’ospite ingrato secondo, ora in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, cit., p.1086: «Una voce chiama di là dal muro».

Che ti rinfreschi il capo,Non marcisca il tuo capo.20

Il canto che guida nel buio, invece, che frequenta spesso iversi di Foglio di via, rimanda per lo più a una dimensionecollettiva: si veda Sonetto, vv. 12-13: «A coro alto scendiamo,le mani strette alle mani / E non vinti […]» e I cani del Sinai:«Li ho ascoltati [gli ebrei], in quei due inverni svizzeri: daicanti rituali che salivano dalle cantine d’un edificio trasfor-mato in sinagoga […] Ho cantato insieme a loro il giorno del-la liberazione di Parigi».21 Nella «sorgente che parla» (v. 7),infine, abbiamo individuato una dimensione “paterna”, vo-lontaristica, non lontana da quella che domina nel ciclo“Mediterraneo” degli Ossi di seppia (Fortini, tra l’altro, dedi-ca Foglio di via proprio al padre, Dino Lattes); si vedano iversi di E TU PREGALI: «E da uno [spiraglio] ti venga / Unasorgente d’acqua, / Ricordo di tuo padre» (vv. 8-10). Si legga,invece, questo brano di Un sermone a Basilea sulla natura an-che religiosa di questa voce interna:

Inquieto è il cuore nostro: il pensiero dell’Eterno, questonostro sconfinare al di là dei nostri limiti umani, questonostro migrare col pensiero e col desiderio, col rimorso e

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20 Vedi anche la poesia Dalla prigione pubblicata da Fortini nella rivi-sta svizzera «L’Avvenire dei lavoratori», diretta da Ignazio Silone (1 mag-gio 1944), vv. 1-2 e 9-12: «Dalla prigione intendo / il canto dei sentieri [...]quando i passi ed il canto / batteranno alle porte; / allora – falso incanto –/ la cella si aprirà» (vedila, con qualche variante e il titolo Da Emmanuel,in F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 759). Ma il vento non ha sempre que-sta valenza positiva; si veda Di Maiano, vv. 7-13: «[…] Pietà di noi nonfrena / Il vento che dall’alto / Affanna e serra in fitta ridda i gesti / Umanie sperderà / Come faville attimi gli anni, guerra / Alla esile gioia nostra, aquella / Ombra che a noi Amore educa breve».

21 F. Fortini, I cani del Sinai, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p. 427.Si veda anche la poesia Arte poetica [1948-50] di Poesia ed errore, vv. 9-12: «[...] il canto vero / è oltre il tuo sonno fondo / e i vertici bianchi delmondo / per altre pupille avvenire» (c.n.), in F. Fortini, Tutte le poesie, cit.,p. 96.

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colla speranza, nel giardino paradisiaco di un irrevocabi-le passato alla celeste Gerusalemme di un millenario fu-turo, non è forse il segno di una sovrumana Esigenza, diun geloso Amore che ci vuol suoi e ci strappa a noi stes-si, non è forse il volto medesimo del Signore che indaga icuori e le reni? Ma Adamo non resiste a quella voce; mala nostra stanchezza non ha ali per volare sempre; ed ec-co che l’uomo chiede una sosta, una vacanza di Dio:«storna da lui lo sguardo, sì ch’egli abbia un po’ di requie– e possa godere come un operaio la fine della sua gior-nata» (c.n.).22

Michelstaedter aveva scritto: «Il dolore parla»23 e Fortini:«E una voce strana e ignota parlerà entro di voi […] Udiretedistintamente alle vostre orecchie qualcosa mormorarvi: “Piùpresto, più presto! più presto!” […] Un Dio discende entro divoi» (c.n.).24E questo è il sonno, edera nera, nostra, pur in una tempo-

ralità astorica, esprime allora il rigetto di una concezione del-la cultura come dimensione autosufficiente, rinchiusa nella«cinta eburnea di mura di una intera città»25 e respinge la re-ligione del Dio nascosto, estraneo alle cose e agli uomini, perprofessare una fede che «è la croce della terra / Dov’è croce-fisso il figliuolo dell’uomo» (Varsavia 1939).

La poesia successiva, La città nemica (1939), inaugura lasezione Gli anni e continua il discorso della poesia liminareentro un orizzonte che è insieme storico e apocalittico. Non èun caso che l’eco profetica di questi versi ricordi la Comm -edia dantesca, in particolare l’Inferno: la città di Dite (Lu -

22 F. Fortini, Un sermone a Basilea [1944], in Id., Saggi ed epigrammi,cit., pp. 1226-27.

23 C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, cit., p. 85.24 F. Fortini, Su Michelstaedter, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p.

1200. 25 F. Fortini – G. Pampaloni, Non siamo disposti, in Id., Saggi ed epi-

grammi, p. 1207.

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cifero), potrebbe essere il modello della fortiniana «città ne-mica».26 Dobbiamo però rilevare che questa è anche una cittàrealmente esistente, Firenze, la quale per l’atteggiamento deisuoi abitanti (che, si può ipotizzare sulla scorta della poesiaprecedente, sono soprattutto gli uomini di cultura) assurge asimbolo di ignavia e pertanto, con Dante, diviene oggetto del-l’invettiva del poeta.

La città nemicaQuando ripeto le stradeChe mi videro confidente,Strade e mura della città nemica;E il sole si distruggeLungo le torri della città nemicaVerso la notte d’ansia;Quando nei volti vili della città nemicaLeggo la morte seconda,E tutto, anche ricordare, è invano;E «Tu chi sei?», mi dicono, «Tutto è inutile sempre»,Tutte le pietre della città nemica,Le pietre e il popolo della città nemica,Fossi allora così dentro l’arca di sassoD’una tua chiesa, in silenzio,E non soffrire questa luce duraDove cammino con un pugnale nel cuore.

La poesia è costituita da un unico, complesso periodo; laversificazione presenta diverse misure: accanto a versi più re-golari, come settenari, ottonari ed endecasillabi, preferisce unverso lungo, spesso formato da un quinario e un settenario

26 Formula quest’ipotesi M. d’Adamo, La città nemica e la Dite infer-nale. Commento a una poesia di Foglio di via, in “L’ospite ingrato”.Rivista online del Centro Studi Franco Fortini, giugno 2014: http://lnx.o-spiteingrato.org.

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(vv. 5, 11 e 12), che può arrivare anche a 14 sillabe (gli ales-sandrini dei vv. 7, 10 e 13). A compensare l’assenza di rime ilsintagma «città nemica» in posizione finale è ripetuto quattrovolte, una per ciascuna delle prime quattro strofe.

L’idea della ripetizione, del resto, espressa in tutto il libroattraverso le frequenti anafore, è evidente già nel verbo «ripe-to» del v. 1 e nella congiunzione temporale «quando», che quivale «tutte le volte che». Che la città nemica sia Firenze, si de-duce dalle dichiarazioni dello stesso autore; si vedano, oltre aI cani del Sinai: «era come se da quella consumazione una lu-ce di cenere fosse scesa su me, sulle muraglie di Firenze e lecolline, con i loro sorrisi irrigiditi… (c.n.),27 l’intervista pub-blicata nel volume collettaneo Per Franco Fortini: «Ho cova-to una lunga antipatia per Firenze, la mia città, proprio in no-me di Siena»28 e, soprattutto, la prima pagina della Lettera amio padre: «Quella città [Firenze] che per me è insostenibile,troppo esemplare e al tempo stesso avvilita, avvilita in orgo-glio», (c.n.) dove l’aggettivo «avvilita»29 è da mettere in con-nessione con «volti vili» del v. 7. Quando il poeta ripercorrele strade e costeggia le mura di Firenze, la «città nemica»,

27 F. Fortini, I cani del Sinai, in Id., Saggi ed epigrammi, cit., p. 433.Vedi anche la successiva Sestina a Firenze in Poesia ed errore, vv. 13-5:«e innanzi a voi negli inverni d’argento / volli eguagliare entro di me lepietre / essere asciutto scintillio di sale» e v. 23: «città amara» (vedi F.Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 122).

28 R. Barzanti, La dolcezza e il pugnale, in Per Franco Fortini.Contributi e testimonianze sulla sua poesia, a c. di C. Fini, Padova,Liviana Editrice, 1980, p. 191.

29 F. Fortini, Lettera a mio padre [1948], in Id., Saggi ed epigrammi,cit., p. 1265. Cfr. anche La storia inganna, in Una volta per sempre, vv. 1-2: «Guardo giovani donne, gradevoli, anche / felici di sangue, camminare.Non tutte già vili»: in F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 245. Ma si vedacome già Quasimodo in Davanti al simulacro d’Ilaria del Carretto [1942]scrivesse: «Remoti i morti e più ancora i vivi, / i miei compagni vili e ta-citurni» (c.n.). Si confronti anche, dello stesso poeta, la poesia Ai fratelliCervi: «In tutta la terra ridono uomini vili» (c.n.).

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luoghi che una volta lo videro leopardianamente30 «confiden-te», speranzoso, mentre il sole scompare d’improvviso, «si di-strugge»,31 per cedere il posto a una notte angosciosa,32 ognivolta egli riesce a leggere sui volti vili dei suoi concittadini33la condanna della «morte seconda», della dannazione eterna,per cui vien meno anche la funzione della memoria storica (c-fr. Canzone per bambina, v. 6-10: «Nel sonno della luce /Bianca delle vallate, / Si quietano le voci / delle cose passate,/Si quieta la memoria»). A proposito dell’espressione «morteseconda», che rimanda a Dante, Inf., I, 117: «ch’a la secondamorte ciascun grida» (ma anche alle Laudes creaturarum diFrancesco d’Assisi: «beati quelli ke trovarà ne le tue sanctis-sime voluntati, / ka la morte secunda no ’l farrà male»), LucaLenzini osserva acutamente che nella nota epistola dantescaScelestissimis florentinis (VI), che Fortini conosceva a me-moria, si parla dei fiorentini come abitanti di una seconda

30 L. Lenzini, Un’antica promessa. Studi su Fortini, Macerata,Quodlibet, 2013, p. 88.

31 Forse, con altro senso, Fortini si ricorda qui di Montale, La buferaed altro, La primavera hitleriana [1939, pubblicata nella rivista“Inventario” nel ’46], vv. 36-8: «il cieco sole che in te porti / si abbàcininell’Altro e si distrugga / in Lui, per tutti» (c.n.). Si veda, per la lettura inmanoscritto delle poesie di Montale, P. Jachia, Fortini. Leggere e scrive-re, cit., p. 29: «Non toglie che seguissi e conoscessi già una parte dellepoesie delle Occasioni prima ancora della loro comparsa in volume, che èdel 1939».

32 Torna il motivo negativo del buio, contrapposto a quello della lucesolare, presente anche nei versi delle contigue poesie Quando: «Quando cifiorirà nella luce del sole / Quel passo che in sonno si sogna» e Se so-gnando: «Se, sperando con te, dalle sere d’aprile verrà / La gioia delle e-stati fedeli / E un sole sui volti profondo».

33 Si veda il tono montaliano di queste parole di Fortini, vicine al sen-so dei versi che stiamo commentando: «Il presente non era che aria, stra-de, luci, voci: nulla» (I cani del Sinai, in F. Fortini, Saggi ed epigrammi,cit., p. 433); cfr. Ossi di seppia, Arsenio, vv. 52-5: «[…] e ancora / tuttoche ti riprende, strada portico / mura specchi ti figge in una sola / ghiac-ciata moltitudine di morti».

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Babilonia («alteri Babilonii»), che dovrebbero essere scossidal «terror secunde mortis». Attraverso Dante, quindi, Firenzeè trasfigurata da città terrena ad allegoria di una condizioneinfernale, mentre il poeta si scopre estraneo agli altri, i qualinon lo riconoscono: «“Tu chi sei?”, mi dicono “tutto è inutilesempre”». Vediamo qui condannata «l’illimitata superbia e lafredda indifferenza di una casta»34 tipica di «uomini moltoterrestri e scettici»; nei versi seguenti tale «delirio d’immobi-lità» viene rappresentato dalla fissità della pietra: non è un ca-so che le pietre saranno lacerate «senza pietà» nella poesia Aun’operaia milanese (v. 2) e che il segno di una possibile sal-vezza sia individuato, nella poesia Di Maiano (che più di uncontatto, come stiamo per vedere, stabilisce con La città ne-mica), nella «pena antica [che] geme / Dentro i macigni deiduomi potenti» (vv. 21-2). A questo punto la reazione dell’iopoetico ricorda quella di E questo è il sonno: egli cerca il si-lenzio, il buio, la sepoltura «dentro l’arca di sasso», ma, comenella poesia precedente, un richiamo è più forte del sonno-morte, l’io viene raggiunto, e con diversa postura, da quellaorizzontale dentro l’arca a quella verticale di chi incede, eglitrova la forza di «camminare» in una «luce dura»: «questa lu-ce dura / Dove cammino […]» (c.n.), allo stesso modo in cuiDante, per raggiungere Beatrice, deve procedere «dentro al’alvo / di questa fiamma» (Purg., XXVII, 25-6).

Una poesia che fa parte della meno agonistica sezioneElegie, la già citata Di Maiano, s’oppone dall’interno a talemomento apparentemente statico e si mette in dialogo con Lacittà nemica. Questi versi mettono in scena, infatti, il mo-mento dell’esilio, dell’abbandono della casa: la meta si lasciaa stento vedere, il passo che vi conduce è ancora invisibile.Leggiamo la seconda metà della poesia, cioè i vv. 14-28:

34 F. Fortini – G. Pampaloni, Non siamo disposti, in F. Fortini, Saggi edepigrammi, cit., p. 1207.

PARTE I ~ 1. Persona e professione: una dialettica trasformativa 119

[...]Altre promesse aveva autunno, entroChiusi giardini, acque opache, e un’ecoDi fonte da ninfèi d’edera. SempreParve e sparve un riposo, un alto e quietoRegno deluse dove un’ora esistereSenza rimorso. E presto ciò che avremoTanto amato dovremo abbandonare.Viene inverno: una pena antica gemeDentro i macigni dei duomi potenti.Forse è il segno promesso – e non pregareFelici i giorni vili, il sonno mortoChe ora grava la mia nemica città.Tutta la notte si dovrà vegliareSoli e vicini in ascoltoDel passo ancora lontano.

Le promesse dell’autunno prevedevano quieti riposi entrogiardini protetti,35 al suono di acque mormoranti in fontaneornate d’edera (e tuttavia sinistramente opache, come quelle,già citate, di Per una cintura perduta nel bosco: «tra i velenidell’acque nere / L’edera»). Ma le troppo fugaci apparizioni diun alto Regno non hanno rivelato (così si intende l’uso ano-malo del verbo «deludere»: deluse la nostra voglia di cono-scere) il luogo, che pure s’intravede, dove sarà possibile vive-re almeno un’ora senza rimorso. L’unica cosa nota è che pre-sto si dovrà lasciare quanto si ha di più caro (i familiari, gli a-mici, la propria casa).36 Nella seconda strofe troviamo molti e-

35 Fortini in Un sermone a Basilea (ora in Id., Saggi ed epigrammi, cit.,p. 1230) condanna le «morali di chi non vuol sporcarsi l’anima con il su-dore e il sangue dell’altrui e comune peccato e coltiva come il propriogiardino una purezza negativa e sterile» (c.n.).

36 Si legga un testo contemporaneo come Della Sihltal, in Versi primi edistanti (1937-1957), vv. 30-4: «Mai più torneranno per noi / Le vie che a-nimava l’alloro d’aprile / Sui prati le gracili vesti, i passi nel buio / Le not-ti celesti di glicine fiorentino»: vd. F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 756.

120 Come ci siamo allontanati

lementi già riscontrati ne La città nemica, a partire dal sintag-ma del titolo, già leggibile al v. 5, mentre la pena che «geme/ Dentro i macigni» ricorda «il patire dei sassi» di una poesiadi Ossi di seppia, Scendendo qualche volta (v. 22), e forse noncasualmente, dal momento che di quell’impietrato dolore sidice, due versi dopo, che «Forse è il segno promesso», con u-na riconoscibile espressione montaliana ripetuta con variazio-ni negli Ossi, ad esempio in Arsenio: «forse è il segno diun’altra orbita: tu seguilo» (v. 12; c.n.). Ma la notte si è ob-bligati alla veglia, in attesa del «passo» ancora lontano (cfr.Quando, v. 4: «quel passo che in sogno si sogna»). Passaggioverso cosa? Verso l’«alto e quieto / Regno» dove si può esi-stere senza rimorso, un «riposo» che ha i connotati del para-diso terrestre sulla cima della montagna purgatoriale (si notil’aggettivo «alto»). Spesso l’ambientazione di Foglio di via ècollinare non solo perché costituisce lo sfondo dell’azionepartigiana, ma anche perché rimanda, riteniamo, al giardinoedenico rappresentato nella seconda cantica della Commedia.Si sono già visti i richiami al Purgatorio dello stesso Fortininella nota esplicativa di Composita solvantur, richiami validianche per la raccolta del 1973, Questo muro. Per Foglio divia, inoltre, abbiamo proposto un legame tra la barriera di fuo-co di Purgatorio XXVII e la «luce dura / Dove cammino» deLa città nemica (vv. 15-6), come anche tra il sogno di Dante– in cui appare Lia, simbolo della vita attiva in opposizione aRachele – e il sonno della poesia d’apertura, in cui l’indolen-za-sepoltura è contestata dalla sorgente che parla e esorta alsacrificio, al disperato gesto dell’avvenire, secondo l’autoese-gesi dell’ultimo Fortini (di qui la nostalgia, nella poesia «Equesto è il sonno…» di Composita solvantur, per la «santa vi-va selva» dove il poeta, «fatuo vecchio» prega di essere ri-svegliato). Del resto l’allusione all’«alto Regno» di DiMaiano (che ricorda l’espressione «alta terra» usata da Danteper definire il Paradiso terrestre in Purg., XXVIII, 69) non re-sta isolata e trova conferma in un altro componimento, LA SE-

RA SI FA SERA (vv. 18-34), terza poesia del ciclo Consigli almorto:

Anche compariràDavanti a te il lupoPer metterti paura.Ma non prender pauraPrendilo per fratello.Perché il lupo conosceE l’ordine dei boschiE il senso dei sentieriE t’accompagneràPer la via più leggeraVerso un alto giardinoDove la luce è quieta.Il tuo posto è laggiù,Dove vivere è belloDov’è il campo di dalieLa collina dei giuochi.E laggiù c’è il tuo cuore. (c.n.)

Si noti qui la ripetizione degli aggettivi «alto» e «quieto»,che abbiamo già visto in Di Maiano, e il riferimento al «cam-po di dalie» che ricorda «la gran variazion d’i freschi mai» diPurg., XXVIII, 36, dove Matelda procede «cantando e sce-gliendo fior da fiore» (v. 40). L’incertezza sull’esatta colloca-zione di questo regno viene gradualmente meno se nella poe-sia successiva, Di Palestrina, leggiamo: «Vento di novembre/ Borgo nuvoloso / Questo nostro riposo / Ora lo riconosco»(vv. 5-8). Anche la repulsione per il buio, così centrale inFoglio di via, sembra ripetere l’impossibilità per le anime delPurgatorio di continuare l’ascesa dopo il tramonto («e andarsù di notte non si puote»: Purg., VII, 44); si veda ad esempioCanzone per bambina (vv. 24-30):

Il riposo è profondoIl ritorno è lontano.E quando ti ridestiTutto è notte sul mondo

ALESSANDRO LA MONICA ~ Foglio di via e altri versi 121

122 Come ci siamo allontanati

Non hai più compagniaNon c’è lume né viaE tu sei senz’aiuto…

o la già citata LA SERA SI FA SERA, vv. 1-2: «La sera si fa sera,/ Tu non avrai compagni».

Una discesa all’Ade, ma sempre da una collina, è invece lapoesia che dà il titolo all’intera raccolta e inaugura la terza econclusiva sezione, Altri versi (titolo anche di una sezione, laquarta, di Ossi di seppia).

Foglio di viaDunque nulla di nuovo da questa altezzaDove ancora un poco senza guardare si parlaE nei capelli il vento cala la sera.Dunque nessun cammino per discendereSe non questo del nord dove il sole non toccaE sono d’acqua i rami degli alberi.Dunque fra poco senza parole la bocca.E questa sera saremo in fondo alla valleDove le feste han spento tutte le lampade.Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

La poesia, divisa in tre terzine e un verso finale e scanditada martellanti anafore («Dunque» e «Dove» ripetuti rispetti-vamente tre e quattro volte), è, come in altri luoghi, un fati-coso viaggio alla ricerca dei compagni.37 Il poeta lascia «que-sta altezza» (cfr. Purg. XXVIII, vv.106-07: «in questa altezzach’è tutta disciolta / ne l’aere vivo») per scendere a valle, manon trova la via, anche perché il versante sul quale egli si tro-va assieme a pochi compagni, sempre più muti, non è espostoal sole; la sera, comunque, si approssima («E nei capelli ilvento cala la sera»: v. 3). Il senso di estraneità e disagio, e-spresso già nella prima terzina («senza guardare si parla») si

37 L’espressione è usata da Fortini in Il silenzio d’Italia. I, in Id., Saggied epigrammi, cit., p. 1212.

acuisce nel seguito della poesia: «nessun cammino per di-scendere», «il sole non tocca», «sono d’acqua i rami degli al-beri», «senza parole la bocca», «le feste han spento tutte lelampade», fino alla scoperta finale della disappartenenza, del-l’afasia propria e altrui. Si noti che la «folla che tace» ritorna,con le stesse parole, nella poesia seguente E guarderemo:

E guarderemo dei vetri ancora i fanali e gli scaliDi una stazione di notte dove una folla taceDi dormenti e di morti d’altri inverni.

Ma tale folla di dormienti-morti è quella a cui rischiava diappartenere lo stesso poeta in E questo è il sonno: «presto sa-remo beati / In una madre inesistente, schiuse / Nel buio lelabbra sfinite, sepolti»; è il «popolo» de La città nemica e la«folla di schiavi» di Oscuramento: «Sotto le coppe viola del-le lampade / Colme di condanna va una folla di schiavi». InFoglio di via la folla non riconosce il poeta perché egli ha su-perato il muro del rischio, la paura della morte: scoprire l’e-straneità degli altri significa anche, allora, scoprire la propriaestraneità al sé stesso di una volta. Il plurale, quindi, che per-corre tutta la poesia non comporta ancora un’azione corale,che, per quanto precaria, incontreremo solo in seguito. Per ilmomento, la ricerca del «cammino» e dei compagni subisceuno scacco.

«Cammino» è parola frequente negli Ossi di seppia, ad e-sempio in Incontro: «Prega per me / allora ch’io discenda al-tro cammino / che una via di città, / nell’aria persa, innanzi albrulichio / dei vivi» (vv. 49-53), ma si confronti soprattutto,per la situazione di impasse che segna i versi di Foglio di via,il VI movimento della sezione “Mediterraneo”:

Noi non sappiamo quale sortiremodomani, oscuro o lieto;forse il nostro camminoa non tócche radure ci addurràdove mormori eterna l’acqua di giovinezza;o sarà forse un discendere

LUIGI CAROSSO ~ Avanguardie e Surrealismo in Fortini123

124 Come ci siamo allontanati

fino al vallo estremonel buio, perso il ricordo del mattino. (c.n.)

Come sottolinea giustamente Paolo Jachia scrivendo a pro-posito di Foglio di via:38

Dal titolo, dall’accumularsi delle negazioni […] dal tonocomplessivo risulta evidente che siamo ancora nell’ambi-to di un’azione militare e di una Resistenza, ma il saporecomplessivo trascende il dato di contingenza e prende ilsapore di un evento ultratemporale, non extratemporale,ovvero di qualcosa che entra nell’eterno passando da unaconcreta dimensione storica.

È stato lo stesso poeta a definire questa poesia «una picco-la discesa all’Ade»,39 cioè una visita ai morti-vivi, che ancoranon decidono e pertanto non riconoscono il poeta, che s’èmesso alla ricerca di una vita autentica e di compagni per con-dividerla. Ma il «dato di contingenza» – come, se non erro,non è stato ancora rilevato – si basa su un episodio del suo e-spatrio in Svizzera, raccontato nelle ultime pagine de La guer-ra a Milano, opera di quegli anni pensata come testo indipen-dente, ma poi pubblicata nel dopoguerra con notevoli modifi-che in Sere in Valdossola. Fortini, come sappiamo, passò lafrontiera assieme al critico letterario Giancarlo Vigorelli, algiornalista Angelo Magliano e al pittore Giacinto Mondaini iquali, dopo aver varcato il confine, non si resero subito contodi trovarsi in Svizzera:40

38 P. Jachia, Franco Fortini. Un ritratto, Civitella Val di Chiana, Zona,2007, p. 50.

39 F. Fortini, Prefazione a Foglio di via, in Id., Tutte le poesie, cit., p.64.

40 Si veda l’eccellente ricostruzione di R. Broggini, “Svizzera rifugiodella libertà”. L’“esilio” inquieto di Franco Fortini (1943-1945), in“L’ospite ingrato”. Annuario del Centro Studi Franco Fortini, II, 1999, pp.121-67.

Cominciamo la discesa. Abbiamo una carta, ma così im-precisa, che è impossibile orientarci. […] Ci teniamo allargo dalla cantoniera. Si sale e si scende, si entra fra in-trichi di rami fitti e bagnati – la costa è a nord – si ruz-zola per i canaloni. E finalmente si perde la strada. Vienebuio. Ci fermiamo. Dove siamo? Ma qualche lume si ac-cende in direzione del lago e sembra vicinissimo. Ci sem-bra persino di udire delle voci. Poi i lumi si spengono.Seguitiamo a camminare, fino a perdere completamentela direzione. Camminiamo in silenzio, tastando il terrenocol piede, appoggiandoci l’uno all’altro, appendendoci airami […] Più tardi saprò che i miei compagni, dai qualimi sono allontanato per un errore di strada, hanno vedutoin lontananza fra gli alberi, degli uomini. Si son fermati,temendo guardie confinarie. Gli altri han fatto lo stesso.Poi uno dei nostri ha gridato:– Chi va là?– English! è stata la risposta. E son corsi gli uni incontroagli altri, ex prigionieri del “Dominions”.Ho perduto di vista i compagni. Non oso chiamarli e di-scendo da solo questa costa, che mi costringe a passaggialpinistici cui sono davvero poco avvezzo. Non so quantoho camminato. Finalmente sono sulle rive del lago. (c.n.)

Le corrispondenze sono inequivocabili e sono sottolineatedal corsivo. È interessante, però, che Fortini, nell’inserirequesto episodio del suo esilio all’interno della raccolta, modi-fichi il senso di quella finale solitudine, che non deriva, nellapoesia, dall’aver smarrito i compagni, ma dall’averli trovati e-stranei e muti.41

ALESSANDRO LA MONICA ~ Foglio di via e altri versi 125

41 Si veda anche come nel racconto de La guerra a Milano alla «follache tace» corrispondano probabilmente le «guardie confinarie», non «rico-nosciute» come tali dai fuorusciti, che si fermano e non aprono bocca finoal chi va là. Si legga un testo coevo Tomba di Vetulonia [1944] compresonella raccolta Versi primi e distanti (1937-1957), vv. 34-40: «Poi fu la not-te e i compagni / Urlarono fra le torce. / Nessuno è venuto a condurmi /Sopra la barca pallida / Che deve raccogliere i morti. / E sono sotto la ter-ra / Che grido senza più voce»: vedi F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 754.

126 Come ci siamo allontanati

L’azione collettiva sembra essere imminente, invece, ne Larosa sepolta:

La rosa sepoltaDove ricercheremo noi le corone di fioriLe musiche dei violini e le fiaccole delle sereDove saranno gli ori delle pupilleLe tenebre, le voci - quando traverso il piantoDiscenderanno i cavalieri di grigi mantelliSui prati senza colore, accennando. E di noiDietro quel trotto senza suono per le valliD’esilio irrevocabili, seguiranno le immagini.Ma il più distrutto destino è libertà.Odora eterna la rosa sepolta.Dove splendeva la nostra fedele letiziaAltri ritroverà le corone di fiori.

Il testo, diviso in sei distici di lunghi versi irregolari spes-so con forte cesura centrale, ha un andamento più fluido neiprimi otto, in cui ogni coppia di versi non è un’unità autono-ma, ma è legata al distico successivo dall’enjambement. Sonoi versi esitanti in cui il poeta si domanda che ne sarà dei fiori,delle musiche e degli amici che ora festeggiano quando arri-verà il momento di partire, di lasciare «ciò che avremo / Tantoamato» (Di Maiano) per seguire come «immagini», cioè qua-si come figure espropriate di sé, i «cavalieri di grigi mantel-li», cioè i partigiani, a un loro cenno. Si noti il complesso pe-riodo centrale (vv. 6-8) che vuole esprimere forse il faticoso i-tinerario al seguito di quei «cavalieri»: «e dietro il loro caval-care silenzioso [per effetto della neve?] le nostre immagini liseguiranno». A partire dal «Ma» del v. 9 non solo i distici, maquasi ogni singolo verso acquista indipendenza. Il dettato si fapiù assertivo, sentenzioso e ha la funzione di rispondere all’e-sitazione dei versi precedenti: in quel contesto storico ognidestino più distrutto, ogni individualità strappata a se stessa e

solidale con gli altri, è in realtà la più libera. Le corone di fioridel v. 1 sono tramutate nella rosa sepolta, simbolo di una pas -sione rivoluzionaria che supera le età e «odora eterna». Co menella successiva poesia Per una cintura perduta nel bosco,s’affaccia qui il tema dell’eredità: saranno altri a cogliere larosa, per così dire, non i contemporanei, a cui tocca solo disentirne il profumo. La vera libertà comporta la distruzionedel presente, ma anche, in certo modo, di se stessi,42 per otte-nere «Qualcosa comunque che non possiamo perdere / Anchese ogni altra cosa è perduta» (La gioia avvenire, vv. 9-10). Il«passo» che porta alla gioia avvenire è accidentato, diceFortini, comporta «un giusto dolore con radici di quercia» (Sesperando, v. 6), le pietre delle città saranno lacerate «senzapietà» e «Il nostro cuore non è più d’uomini» (Canto degli ul-timi partigiani, v. 12), perché «La scuola della gioia è pienadi pianto e sangue» (La gioia avvenire, v. 18).

L’ultima poesia che commenteremo, Sonetto, è di nuovo u-na discesa all’Ade e come la poesia liminare, esprime la ne-cessità di affrontare il buio, di guardare in faccia il male, peruscirne veramente vivi, non da soli, ma insieme.

Sonetto

Alcuni pregavano per la grazia di uncolpo ben centrato. Altri cantavano i canti di Israele...

(Dal diario di una dodicenne polacca, 1944).

Sempre dunque così gemeranno le porteDivaricate in pianto. Rotano eterni i fumiDei roghi e giù s’ingorga la coorteD’uomini scimmie, di femmine implumi.Con loro, amici! Sono questi i fiumiDa cui credemmo salvare la sorte.

ALESSANDRO LA MONICA ~ Foglio di via e altri versi 127

42 G. Ferroni-A. Cortellessa, I. Pantani, S. Tatti, Storia e testi della let-teratura italiana. Ricostruzione e sviluppo nel dopoguerra (1945-1968),Milano, Mondadori Università, 2005, p. 480.

128 Come ci siamo allontanati

Ma se le torce stridono e vacillano i lumiQualcuno dentro il buio canta più forte.Non la battaglia bianca d’arcangeli cristianiClama l’inno che tu alla notte rubiSempre più cieca; ma noi, gli ultimi, i vivi.A coro alto scendiamo, le mani strette alle maniE non vinti, le grotte vane: AnubiEnorme erra, testa di cane, ai trivi.

Questa è l’unica poesia della raccolta che appartenga a ungenere metrico codificato dalla tradizione. I versi, quando nonsono endecasillabi (la maggioranza), sono costituiti da ales-sandrini (vv. 1, 2, 7, 9); solo il v. 11 è un quinario più sette-nario, mentre quello seguente è un doppio settenario iperme-tro. L’epigrafe sembra rimandare all’alternativa fra culto a-scetico e fede in un Dio che è nel reale e spinge quindi ad a-gire. Anche qui, come in altre poesie, anzi in misura maggio-re, lo scenario è insieme storico e apocalittico. I primi dueversi sono infatti una citazione dal libro di Isaia (3, 26): «Leporte di Sion gemeranno e saranno in lutto». Il profeta si sca-glia contro Gerusalemme, città che si sarebbe allontanata daDio provocandone così il desiderio di vendetta. I versi forti-niani parlano di pianto, dell’eterno fumo dei roghi (probabileriferimento ai bombardamenti) e di una «coorte d’uominiscimmie» e di «femmine implumi» che «giù s’ingorga», s’af-fanna a precipitare. Il lessico rimanda a Montale: non solo«gorgo» e i suoi derivati sono molto diffusi negli Ossi di sep-pia, ad esempio in Delta, in senso figurato: «Quando il tempos’ingorga alle sue dighe», ma la «coorte d’uomini scimmie»non può non ricordare, anche foneticamente, le «orde d’uo-mini-capre» dell’Elegia di Pico Farnese nelle Occasioni (v.41).43 Si noti il termine composto che lega uomini e animali e

43 Cfr. anche i versi successi di Distici per materie plastiche, in Unavolta per sempre, vv. 1-3: «Neri scimmiotti astuti e vispi, poveri / piccoliservi portano i cadaveri / nei sacchi, delle collisioni» (in F. Fortini, Tutte

l’apostrofo in «d’uomini», oltre alla quasi-rima fra «coorte» e«orde», che hanno anche eguale posizione nel sintagma. Lestesse «femmine implumi» (v. 4; c.n.) sembrano derivare percontrasto dalle «donne barbute» della stessa poesia montalia-na (v. 33) e vogliono dire donne «senza capelli»: si veda al v.39 di quest’ultima poesia il «piumaggio della tua fronte»(c.n.). In questo scenario infernale i volti vili, si potrebbe direcon Fortini, di queste creature mostruose sono la faccia diGorgone della Storia, il «buio» a cui si credeva di poter sfug-gire. Il poeta invita allora gli amici ad attraversarlo, usandol’immagine dei «fiumi», analoga a quella del «muro» di fiam-me purgatoriale e già adoperata ad esempio in Strofe, vv. 1-2:«E il caro sorriso delle donne / Passate sui fiumi stranieri» ene LA SERA SI FA SERA (vv. 8-17):

La faina conosceE l’ordine dei fiumiE i fondali dei guadiE ti farà passareSenza che tu t’anneghiE poi ti condurràFino alle fonti freddePerché tu ti rinfreschiDai polsi fino ai gomitiDei brividi di morte.

Le «fonti fredde», immerso nelle quali il poeta potrà «rin-frescarsi» dei «brividi di morte», cioè dalla paura della «mor-te seconda», della dannazione eterna, non possono non ricor-dare l’abluzione nel fiume purgatoriale Lete con cui i pecca-tori cancellano la memoria del peccato (Purg., XXVIII, 121-33).

ALESSANDRO LA MONICA ~ Foglio di via e altri versi 129

le poesie, cit., p. 230) e Pronomi della stessa raccolta, vv. 2-3: «Via sci-vola in risposta / Egli, gatto-uomo o demone, in cortile» (in F. Fortini,Tutte le poesie, cit., p. 226).

130 Come ci siamo allontanati

44 Lo stesso tono ravvisiamo nella poesia coeva Polifemo, in Versi pri-mi e distanti (1937-1957), vv. 5-6: «Il mostro orbo / non avrà vittoria»: vd.F. Fortini, Tutte le poesie, cit., p. 777.

Ma torniamo a Sonetto. A intimorire gli amici non è solo laprofondità dei fiumi e l’aspetto delle strane creature del v. 4,ma anche il «buio»: il poeta allora li esorta al coraggio, e«Qualcuno dentro il buio canta più forte». Si sviluppa a parti-re da qui fino alla fine della poesia il motivo del canto (che a-vevamo già incontrato nella poesia d’apertura, E questo è ilsonno, vv. 5-6: «non sai se ascolti / […] un canto o un vento»)e della sua dimensione collettiva: «A coro alto scendiamo, lemani strette alle mani / E non vinti» (vv. 12-3). Abbiamo vi-sto sopra come la coralità del canto fosse espressa ne I canidel Sinai con non dissimili parole per ricordare alcuni episodidel suo esilio svizzero: «Li ho ascoltati [gli ebrei] in quei dueinverni svizzeri: dai canti rituali che salivano dalle cantined’un edificio trasformato in sinagoga […] Ho cantato insiemea loro il giorno della liberazione di Parigi», qui tanto più per-tinenti visto il riferimento dell’epigrafe, tratta dal diario di u-na bambina dodicenne polacca, ai canti d’Israele. Ma ciò cheimporta sottolineare è che quell’inno canta non la battaglia«bianca», ultraterrena ed extrastorica, degli arcangeli cristia-ni, ma la vicenda concreta degli «ultimi», degli uomini «vi-vi»: si ribadisce qui la fede in un Dio vicino, incarnato, pre-sente nell’agire storico, come aveva già fatto in Varsavia1939:

Noi non crediamo più agli dèi lontaniNé agli idoli e agli spettri che ci abitanoLa nostra fede è la croce della terraDov’è crocefisso il figliuolo dell’uomo (vv. 9-12).

I pellegrini, «non vinti», cantano tenendosi strette le maniper darsi coraggio e affrontare, in un paesaggio desolato (legrotte sono «vane») l’ultima e più grande minaccia, Anubi44«testa di cane», il dio dei morti, addetto all’imbalsamazione.

Guardare l’oscurità significa affrontare le nostre paure, comein quel brano de La persuasione e la rettorica, commentata daFortini, in cui Michelstaedter parla dei bambini che hannopaura del buio e provano un terrore ancora più grande di quel-lo degli adulti, poiché questi tendono a rimuovere la parte o-scura di sé, che emerge solo nel sogno notturno.

Nelle tregue delle loro imprese, dei loro piani, quando so-no soli, e da nessuna cosa di ciò che li attornia sono attrat-ti o a frugare, o a rubare, o a rompere, o a discorrere o atutte quelle altre loro occupazioni, si trovano con la picco-la mente a guardare l’oscurità. Le cose si sformano in a-spetti strani: occhi che guardano, orecchi che sentono,braccia che si tendono, un ghigno sarcastico e una minac-cia in tutte le cose. Si sentono sorvegliati da esseri terri-bilmente potenti, e che vogliono il loro male. […] Poi lavita s’incarica di stordirli; l’esser vivi si fa un’abitudine[…] il bambino si fa uomo – le ore degli spaventi sono ri-dotte al sordo continuo misurato dolore che stilla sotto atutte le cose. Ma quando per ragioni che non stanno in lo-ro, il lembo della trama si solleva, anche gli uomini cono-scono le spaventevoli soste. Li visitano i sogni nel sonno.45

I versi di Foglio di via intendono comunicare un’impa-zienza e una fede: la distanza che ci divide da essi è lungaquanto il «cammino» che ci porterà di nuovo a non aver piùpaura e a riconoscere negli altri noi stessi: «Arrivare a non a-ver più paura, questa è la meta ultima dell’uomo».46

ALESSANDRO LA MONICA ~ Foglio di via e altri versi 131

45 Ivi, p. 56-7.46 I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, in Id., Romanzi e racconti, a

c. di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 2005, vol. 1, p. 108.Cfr. F. Fortini, Foglio di via, Manifesti, vv. 5-8: «DUNQUE ORA BISO-GNA / NON ESSERE PIÙ SOLI / NON ASPETTARE PIÙ / NON AVERPIÙ PAURA».