Fisiologia e fisionomia della nazione. Il protagonismo e le 'storie' dei medici, in Annali della...

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Fisiologia e fisionomia della nazione: il protagonismo e le «storie» dei medici . Introduzione. Coloro che hanno praticato l’arte di curare in Italia tra Otto e Nove- cento, a diverso titolo e in diversi contesti istituzionali, si sono trovati in una situazione ambigua sul piano sociale e professionale 1 . Celebrati per le loro capacità di interpretare e lenire le sofferenze, hanno avuto nel- la realtà a che fare con una popolazione ancora soggetta a patologie ed endemie difficili da controllare, in una nazione giovane e povera, nella quale le differenze geografiche e le eredità preunitarie pesavano perfi- no piú di quanto facciano nel nostro presente 2 . La retorica del medico caritatevole, materialista ma dal cuore d’oro, scienziato «umanista», che è diffusa in tanta parte della nostra letteratura e che si radica nel- la tradizione di lungo periodo dell’assistenzialismo cattolico, non ren- de conto degli ostacoli e delle difficoltà incontrati nell’esercizio di una professione nei confronti della quale la società nel suo insieme nutriva anche sentimenti fortemente negativi, in uno spettro che va dall’invi- dia per l’esercizio di una professione remunerativa (quando lo era), alla diffidenza per chi era costretto a entrare quotidianamente in contatto con fenomeni corporei generalmente considerati disgustosi, alla cattiva reputazione di un gruppo professionale frequentemente accusato di inef- ficacia terapeutica, avidità, uso strumentale del proprio sapere; e questo in particolar modo in un periodo nel quale il contrasto fra gli avanza- 1 La bibliografia sulla medicina in Italia tra e secolo è troppo ampia per essere riassunta in poche righe. Si indicano qui alcuni lavori essenziali: i saggi sul periodo in . (a cura di), Malattia e medicina, Einaudi, Torino (Storia d’Italia. Annali, ), e in .., Sanità e società, voll., Casamassima, Udine -; . , Ospedali e società in età liberale, il Mulino, Bologna ; . , Alle radici della politica sanitaria in Italia. Società e salute da Crispi al fascismo, il Mulino, Bologna ; . , Le scienze biomediche, in . (a cura di), Una difficile modernità: tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia, -, Università degli studi di Pavia, Pavia , pp. -. 2 Per una visione d’insieme si vedano i saggi di argomento italiano in . . , . e . (a cura di), Health Care and Poor Relief in th and th -Century Southern Europe, Ashgate, Aldershot . 23_Conforti_599-622.indd 599 20/07/11 12.45

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!"#$" %&'(&#)$Fisiologia e fisionomia della nazione:il protagonismo e le «storie» dei medici

*. Introduzione.

Coloro che hanno praticato l’arte di curare in Italia tra Otto e Nove-cento, a diverso titolo e in diversi contesti istituzionali, si sono trovati in una situazione ambigua sul piano sociale e professionale1. Celebrati per le loro capacità di interpretare e lenire le sofferenze, hanno avuto nel-la realtà a che fare con una popolazione ancora soggetta a patologie ed endemie difficili da controllare, in una nazione giovane e povera, nella quale le differenze geografiche e le eredità preunitarie pesavano perfi-no piú di quanto facciano nel nostro presente2. La retorica del medico caritatevole, materialista ma dal cuore d’oro, scienziato «umanista», che è diffusa in tanta parte della nostra letteratura e che si radica nel-la tradizione di lungo periodo dell’assistenzialismo cattolico, non ren-de conto degli ostacoli e delle difficoltà incontrati nell’esercizio di una professione nei confronti della quale la società nel suo insieme nutriva anche sentimenti fortemente negativi, in uno spettro che va dall’invi-dia per l’esercizio di una professione remunerativa (quando lo era), alla diffidenza per chi era costretto a entrare quotidianamente in contatto con fenomeni corporei generalmente considerati disgustosi, alla cattiva reputazione di un gruppo professionale frequentemente accusato di inef-ficacia terapeutica, avidità, uso strumentale del proprio sapere; e questo in particolar modo in un periodo nel quale il contrasto fra gli avanza-

1 La bibliografia sulla medicina in Italia tra +$+ e ++ secolo è troppo ampia per essere riassunta in poche righe. Si indicano qui alcuni lavori essenziali: i saggi sul periodo in (. ,-.." /-#0)" (a cura di), Malattia e medicina, Einaudi, Torino *123 (Storia d’Italia. Annali, 4), e in "".55., Sanità e società, 6 voll., Casamassima, Udine *127-18; /. (#"9%"'$, Ospedali e società in età liberale, il Mulino, Bologna *11*; :. 5$%"#-..$, Alle radici della politica sanitaria in Italia. Società e salute da Crispi al fascismo, il Mulino, Bologna *114; %. /&:.$"'&, Le scienze biomediche, in ". %"9-.." (a cura di), Una difficile modernità: tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia, !"#$-!#%$, Università degli studi di Pavia, Pavia ;888, pp. ;64-27.

2 Per una visione d’insieme si vedano i saggi di argomento italiano in &. /. :#-.., ". %0''$':<"! e =. #&-%> (a cura di), Health Care and Poor Relief in !"th and !#th-Century Southern Europe, Ashgate, Aldershot ;886.

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menti della medicina scientifica e la realtà della cura, a livello locale e nazionale, poteva diventare stridente3.

La stessa formazione dei medici è stata soggetta dopo l’Unità a una storia tormentata, di riforme successive dirette anzitutto a unificare sul piano nazionale i curricoli delle scuole e delle università degli stati preu-nitari; e in seguito, ad aggiornarli tenendo conto delle novità proposte dall’evoluzione della pratica e della ricerca – tra le quali lo sviluppo delle cliniche e il moltiplicarsi delle «specialità», e l’accresciuta importanza dei laboratori e della strumentazione –, senza dimenticare però il pro-blema ricorrente della «pletora», della sovrabbondanza, di laureati4. I medici italiani vivevano infatti un paradosso: pur in un paese ancora per molti versi economicamente e socialmente arretrato, la proporzione tra medici e popolazione era – in media, dunque con notevoli differenze sul territorio – altissima, assai piú alta che in altri paesi europei5. Nono-stante il gran numero di medici condotti, le prospettive occupazionali restavano però scarse. Le riforme dell’età crispina introdussero dei cor-rettivi e modificarono profondamente le piú antiche, gloriose e decadu-te istituzioni mediche italiane, i grandi e piccoli ospedali la cui storia e strutture erano spesso plurisecolari, modificando insieme anche la men-talità «solidaristica» dei medici e dei pazienti, e consentendo l’avvio, pur contrastato, di un «mercato» della cura semipubblico e improntato ai nuovi valori della medicina tecnico-scientifica6. Allo stesso tempo, la fondazione di diverse associazioni di categoria segnava lo sviluppo di una nuova coscienza professionale: l’Associazione medica italiana è del *27;. L’ascesa professionale e politica dei medici può essere seguita an-che attraverso la loro partecipazione alle istituzioni rappresentative: la percentuale piú alta alla Camera prima del fascismo, tra il 6 e il 4 per cento, si ebbe tra la XXI e la XXIV legislatura, negli anni tra *188 e *1*17. Al Senato, di nomina regia, l’ascesa sociale dei medici è fotogra-

3 Un caso assai drammatico, estremo ma rappresentativo, di contrapposizione tra professione medica e classe politica da un lato, e popolazione dall’altro, si ebbe in occasione di una delle ultime epidemie di colera: (. !. 9'&?,-', Cholera in Barletta, !#!$, in «Past and Present», n. *@; (*11*), pp. 74-*8@.

4 ". .. (&#)$ !-99$'", Il sapere e la clinica: la formazione professionale del medico nell’Italia unita, Franco Angeli, Milano *112.

5 Nel *248 i medici erano 7 per *8 888 abitanti, come in Inghilterra, contro i ;,1* della Francia, i @,;* della Germania, i @,3* dell’Austria. I dati in /. (#"9%"'$, I medici dall’Unità al Fascismo, in !. !".")-9)" (a cura di), I professionisti, Einaudi, Torino *117 (Storia d’Italia. Annali, *8), pp. *36-21, a p. *34.

6 $,., Ospedali e società in età liberale cit.; cfr. anche $,., I medici dall’Unità al Fascismo cit., pp. *61 sgg., *24-21.

7 (. %"!!"#"'& e !. 9. /$#-))$, I professionisti in Parlamento (!"&!-!#'"), in !. !".")-9)" (a cura di), I professionisti cit., pp. 6@*-28, a p. 6@2.

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fata con ancora maggiore nettezza: il maggior numero giurò negli anni tra il *182 e il *1*@, con una punta di ben cinque nomine in quest’anno e nel *1*1, a conferma dell’eccezionale momento di affermazione rap-presentato per la categoria dalla prima guerra mondiale8.

La professione medica andò dunque acquisendo progressivamente potere, prestigio, e un rapporto privilegiato con i centri di decisione po-litica e militare, un elemento quest’ultimo non trascurabile. Se si spo-sta il fuoco sul modo in cui i medici hanno costruito la propria immagi-ne pubblica e il senso del proprio ruolo, anche di quello universitario e istituzionale, si è colpiti dal «debordare» della medicina verso altri ter-ritori disciplinari e intellettuali, in uno sforzo di occupazione di spazi e di saperi (soprattutto saperi che oggi definiremmo umanistici) che per quanto non limitato all’Italia, né al periodo qui preso in considerazione, colpisce per l’incommensurabilità con la situazione reale della medici-na e della sua pratica, assai piú arretrate e difficili di quanto fossero in altre realtà europee. A partire dalla metà dell’Ottocento figure maggio-ri di medici – fisiologi come Jacob Moleschott, «alienisti» come Cesa-re Lombroso, clinici e metodologi come Salvatore Tommasi o Augusto Murri – hanno declinato in vario modo l’interesse della medicina per ambiti disciplinari altri da quelli scientifici – dalla filosofia alla storia, all’antropologia, alla politica, alla letteratura, all’arte9. Una vera e pro-pria folla di loro colleghi ha prodotto, sugli stessi argomenti, scritti di varia natura – spesso liquidabili come di scarso valore; ma il loro stesso numero giustifica l’interesse per un fenomeno la cui diffusione è signi-ficativa. Per esemplificare la portata di questo processo, e per tentarne una definizione, si sono scelti qui, senza pretesa di completezza, alcuni casi rappresentativi utili a caratterizzare lo spostarsi dei professionisti della medicina verso altri territori disciplinari, scegliendo un punto di

8 I dati sono ricavati dal sito dell’Archivio storico del Senato della Repubblica, http://notes1.senato.it/Web/senregno.NSF/Liberali?OpenPage.

9 La maggior parte dei contributi critici ha analizzato i rapporti tra medicina e filosofia, soprattutto in età positivistica, come ad esempio in :. ."',0%%$, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (!"&$-!"#$), Olschki, Firenze *144; l’antropologia criminale e il dibattito «degenerazionista», e in particolare le teorie di Cesare Lombroso, su cui la raccolta recente a cura di 9. !&')".,& e /. )"//-#&, Cesare Lombroso cento anni dopo, Utet, Torino ;881; e naturalmente la partecipazione dei medici alla costruzione di teorie eugenetiche e della razza, che è in verità un’impresa «scientifica», ma con forti implicazioni di tipo antropologico e anche storico; per questi temi, si veda il contributo di (. %"99")", Verso l’«uomo nuovo»: il fascismo e l’eugenica «latina», in questo stesso volume, pp. *;1-67. Per un’immagine piú articolata dei rapporti fra medicina e vita pubblica in Italia cfr. almeno /. :0"#'$-#$, L’ammazzabambini. Legge e scienza in un processo di fine Ottocento, Einaudi, Torino *122; /. :&5&'$, Un pubblico per la scienza: la divulgazione scientifica nell’Italia in formazione, Carocci, Roma ;88;; 5. /. ="=$'$, Il caso Murri. Una storia italiana, il Mulino, Bologna ;883.

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osservazione molto specifico: quello dell’impegno dei medici nel campo della scrittura e della pratica della storia (intesa in senso ampio: storia della medicina, ma anche storia e preistoria, e archeologia, delle patolo-gie della nazione e dei suoi abitanti, e quindi anche storia della lettera-tura e «genere» della biografia). In molte di queste storie sono leggibili in filigrana autorappresentazioni, proposte di mutamento di status della professione, istanze politiche e culturali in senso lato.

Attraverso la lente, certo parziale e forse deformante, delle storie scritte dai medici si può seguire indirettamente la fortuna sociale e po-litica di un gruppo professionale la cui ascesa sociale e istituzionale ha implicato anche la definizione e il rafforzamento di un’identità scien-tifica nazionale per molti versi incerta, se non fragile. Nell’età che va dall’Unità all’«utopia igienista», alla Grande guerra e al fascismo, sen-za dimenticare il tardivo colonialismo italiano, i medici si sono infatti appropriati di un ruolo ambiguo, quello di tecnici ed esperti chiamati al capezzale della nazione, e di interpreti autorevoli, se non sempre auto-rizzati, dei suoi mali, dai piú antichi ai piú recenti10. Questa appropria-zione è stata in linea di principio favorita dalla classe politica, e natural-mente radicata in istanze reali e assai concrete. L’Italia sofferente era tutt’altro che una metafora ingegnosa, e l’impegno richiesto ai medici e ai responsabili della sanità pubblica enorme. Come è ben noto, nei de-cenni successivi all’Unità la malaria era endemica in tutto il paese; la pellagra caratterizzava le regioni di produzione del mais, e soprattutto il Veneto; il colera continuò a colpire ben oltre il passaggio del secolo11. Gli indici di mortalità, speranza di vita alla nascita, mortalità infantile erano tra i peggiori in Europa e non mutarono significativamente pri-ma degli anni *1*8-;812. Le condizioni di salute e l’accesso alla cura dei lavoratori e di gruppi «deboli» come le donne e i bambini erano in gran parte del paese ancora in una fase primitiva.

La tendenza a un’interpretazione ipertrofica del proprio ruolo intel-lettuale ha segnato, come si vedrà, anche gruppi e individui dediti a una ricerca scientificamente avanzata, tra i quali fisiologi (nel caso di Ange-lo Mosso) e malariologi (nel caso di Angelo Celli), spinti questi ultimi

10 %. /&:.$"'&, L’utopia igienista (!"($-!#)$), in (. ,-.." /-#0)" (a cura di), Malattia e medicina cit., pp. 621-7@*.

11 Sulla malaria cfr. :. %&#=-..$'$, Antimalarial strategies in Italy: scientific conflicts, institutional politics, in «Medicina nei Secoli», XVIII (;887), n. *, pp. 46-16; (. !. 9'&?,-', The Conquest of Malaria: Italy, !#$$-!#&), Yale University Press, New Haven ;887; sulla pellagra ". ,- =-#'"#,$, Il mal della rosa: denutrizione e pellagra nelle campagne italiane fra ’"$$ e ’#$$, Franco Angeli, Milano *123; sul colera -. )&:'&))$, Il mostro asiatico: storia del colera in Italia, Laterza, Roma-Bari ;888.

12 Cfr. !. =#-9%<$ e .. /&AA$ (a cura di), Salute, malattia e sopravvivenza in Italia fra ’"$$ e ’#$$, Forum, Udine ;884.

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– anche dalla latitanza o dal ritardo della classe politica – a farsi diret-tamente portatori di istanze di sanità pubblica e di conoscenza, prima ancora che di governo, del territorio. Peraltro, nel corso dei decenni la pretesa da parte dei medici – identificati spesso, acriticamente, con gli esponenti della cultura scientifica tout court – di interpretare fenome-ni sociali e individuali, e di scriverne storie, da un punto di vista con-cretamente corporeo, apertamente materialista o con forti implicazioni e radicamenti in ricerche e tesi scientifiche (o pseudoscientifiche), fu vissuta con progressivo fastidio dai professionisti dei saperi umanistici, a loro volta alla faticosa ricerca di un’affermazione e di una definizio-ne identitaria. Non fu solo la «bancarotta della scienza» e l’affermar-si dell’idealismo – cui, come si vedrà, la medicina, a differenza di altri saperi scientifici, seppe adattarsi piuttosto bene – a incarnare questo fastidio e a dargli parole e una veste intellettualmente agguerrite. Ma-lumori si erano accumulati anche prima dell’affermarsi dell’idealismo, anche se le «invasioni di campo» erano state almeno in parte accettate e fatte proprie, se non incoraggiate, da umanisti e letterati interessati alle questioni scientifiche e tecniche (come nel caso di Gabriele D’An-nunzio); e anche se non pochi di questi interventi avevano goduto di grande successo presso il pubblico.

I casi di cui qui si parlerà, sia pure solo per rapidi accenni, riguardano medici legali, clinici, igienisti, fisiologi, chirurghi, storici della medicina: specialità tutte in diverso modo implicate nel processo di trasformazio-ne della medicina scientifica nel periodo preso in considerazione. Non si affronterà invece la questione della storia della psichiatria e l’ampio tema della «degenerazione», né il costituirsi di un movimento eugene-tico e razzista, che pure restano una trama sottostante e un punto di ri-ferimento ineludibile per il tipo di problemi qui discussi.

;. I mali antichi della nuova Italia.

Il 1 gennaio *278 Alfonso Corradi (*2@@-*21;), nominato professo-re di patologia generale, pronunciava la prolusione all’anno accademico nell’aula magna dell’Università di Modena13. Come si conveniva al gene-re, l’orazione si poneva su un piano generale e metodologico, evocando in apertura le grandi figure di Bernardino Ramazzini e Francesco Torti,

13 ". %&##",$, Necessità d’un ordinamento e d’una dottrina in medicina, e del miglior modo di provvedervi, in «Annali Universali di Medicina», n. *4@ (*278), pp. @-*2; cfr. anche %. /&:.$"'&, Discorsi inaugurali nelle facoltà mediche italiane, !"('-!#)', in «Nuncius», IX (*113), n. *, pp. ;76-13.

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che avevano fatto lezione negli stessi luoghi, e proponendo un excursus storico che dimostrava la necessità del superamento dell’empirismo e del collezionismo di fatti, dell’osservazione per l’osservazione, a favore di un nuovo razionalismo sintetico. Il carattere congetturale della medici-na è per Corradi radicato nell’evoluzione storica di un sapere nato con l’uomo e che però, anche nel suo stadio piú primitivo, mostra la necessità di un’organizzazione razionale, di una «classazione» dei fatti: «fino là ove la medicina è piú rozza ed informe, il selvaggio cerca darsi ragione del nascere e procedere dei morbi»14. Tuttavia, avverte Corradi, la ne-cessità di principî razionali non rappresenta necessariamente una guida nel labirinto dei sistemi, che egli ricorda a partire dagli antichi per finire con i piú recenti, e individuando nei piú antichi una sintesi piú ampia perché meno incentrata su fenomeni reali, e nei piú recenti una sintesi invece «imperfetta e manchevole» proprio perché fondata su generaliz-zazioni indebite a partire da dati concreti ma limitati. In polemica con il riduzionismo di molti suoi contemporanei, egli rivendica lo studio delle tradizioni mediche, che non è un orpello inutile: «la scienza no-stra ha un patrimonio […] che impinguandosi le generazioni le une alle altre rimettono»15. Corradi ripropone qui la tesi della natura «duplice» dell’uomo e del reciproco influsso di fisico e morale, parlando di una forza vitale che per essere misteriosa e indefinibile non gli sembra però meno essenziale, e che è dato ritrovare in tutti i viventi; la malattia è per lui una manifestazione di questa stessa forza, che prende forme diverse:

poiché l’uomo varia nel tempo e nello spazio, anche i morbi non sono ovunque i medesimi, ed alcuni cessano ed altri insorgono o si mutano, presentando cosí una storia in cui lo stato degli uomini, la vita delle nazioni, la prosperità del popolo o le sue sventure sono profondamente impresse e indelebilmente dipinte16.

La nuova medicina italiana, «scienza eminentemente civile», deve dunque essere all’altezza del compito indicato da una «maschia» filoso-fia (contrapposta qui alla svenevole sensibilità incarnata nel brownismo) e dalle necessità della nazione in corso di faticosa costruzione. «Dalla medicina dipendono […] la conservazione e stabilità degli stati»; dalle malattie dominanti, la costituzione degli individui e dunque la salute po-litica17. L’importanza per Corradi della connessione istituita tra caratteri geografici e antropologici di una popolazione e le sue malattie è del resto

14 ". %&##",$, Necessità d’un ordinamento e d’una dottrina in medicina cit., p. 7.15 Ibid., p. *@.16 Ibid., p. *8. Sul vitalismo italiano cfr. ". ,$'$, Vita e organismo: le origini della fisiologia

sperimentale in Italia, Olschki, Firenze *11*. 17 ". %&##",$, Necessità d’un ordinamento e d’una dottrina in medicina cit., p. *4.

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evidente in tutte le sue opere, in particolare in quelle dedicate a patolo-gie specifiche. Si può ricordare un lavoro, dell’anno successivo alla pro-lusione di Modena, sulle affezioni scrofolotubercolari, dove una messe di notizie ricavate da opere erudite e storiche è piegata all’esigenza di dimostrare che anche le patologie hanno una geografia, e ancor piú una storia18. Questa era stata anche la convinzione di Francesco Puccinotti, che però – risentendo di un’impostazione di inizio secolo, ancora inter-na al dibattito «trasformista» – ne aveva ricercato l’origine e la genealo-gia primitiva19. Corradi invece ricava dalla storia lezioni per il presente, e in particolare ritiene che l’aumento delle malattie tubercolari non sia da attribuire all’aria né al suolo, ma piuttosto alla qualità del cibo e alla dieta delle popolazioni, e dunque – indirettamente – alla loro povertà20.

Era, questo di Corradi, molto piú di un proclama retorico o di un’ade-sione generica alle teorie nosografiche localiste: definiva una linea di ri-cerca che avrebbe portato a uno dei monumenti della storiografia medi-ca italiana di età positivistica, gli Annali delle epidemie occorse in Italia, pubblicati fra il *276 e il *21;, ma il cui progetto, risalente al *27*, fu presentato alla Società medica chirurgica di Bologna già nel *27@21. Bolognese di nascita e di formazione, Corradi aveva ricevuto a Mode-na il suo primo incarico universitario; si sarebbe in seguito spostato a Palermo, per radicarsi definitivamente a Pavia, dove fu professore di terapeutica generale, materia medica e farmacologia sperimentale, non-ché, dagli anni settanta, preside della facoltà medica e rettore dell’ate-neo. Presidente della Società italiana di igiene dalla sua fondazione nel *24@, il principale interesse della sua vita di studioso fu la storia del-la medicina, come avverte il «British Medical Journal», che lo ricorda per aver «combinato felicemente lo studio della storia con quello della medicina»22. Gli Annali riuniscono infatti, anno per anno, notizie non solo sulle epidemie, umane e animali, ma soprattutto su quella che nella medicina antica sarebbe stata definita «costituzione» della penisola: con-

18 $,., Come oggi le affezioni scrofolotubercolari siansi fatte piú comuni. Considerazioni storiche e mediche, in «Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», serie II, I (*27;), pp. 6@-*;6.

19 Si veda infra, p. 782.20 Corradi insiste anche sulla necessità di integrare lo studio delle malattie e delle epidemie con

quello delle attività agricole e industriali: $,., Come oggi le affezioni scrofolotubercolari siansi fatte piú comuni cit., p. 21, e concede comunque che gli stessi alimenti possano avere effetti diversi su costituzioni corporee, e dunque su popolazioni, diverse, come si dimostra dagli effetti diversi del caffè per Abissini e Cristiani (p. **4).

21 Corradi progettava una storia della medicina completa: cfr. .. !"AA&))$, Necrologia del prof. Alfonso Corradi, letta alla Società Medico-chirurgica di Bologna, Gamberini e Parmeggiani, Bologna *21@.

22 Obituary. Alfonso Corradi, in «British Medical Journal», II (*21;), p. *@68.

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dizioni climatiche, eventi geologici, avvenimenti umani e politici come guerre o rivolte, carestie e altre calamità, e perfino elementi, apparen-temente eterocliti, di mentalità e di vita materiale, come ad esempio i processi agli eretici o per stregoneria. In questo, si differenziano da altre opere europee del periodo, con le quali hanno in comune l’attenzione al-le malattie a diffusione infettivo-epidemica e l’impianto bibliografico23.

L’intento esplicito di Corradi, nel collezionare ed esaminare in or-dine strettamente cronologico i mali della nazione – passati e presen-ti – per farne una «mesta narrazione», è la speranza di scoprire, attra-verso una baconiana accumulazione di fatti, le affinità e i legami fra i morbi; di farne dunque istorie, nel senso che il termine aveva assunto in età moderna, e contribuire cosí a un’epidemiologia scientifica. Ma si deve sottolineare che le grandi scoperte della microbiologia europea, avvenute e diffuse durante l’arco lunghissimo della pubblicazione degli Annali, non sembrano averne turbato l’esposizione ordinata, o alterato in alcun modo la compagine, la cui impostazione è decisamente prebat-teriologica. In mancanza di un’eziopatogenesi «matura», nel senso in cui la vedono oggi gli storici, Corradi ricorre ancora a una connessione causale e a un modello di spiegazione della diffusione delle patologie di tipo, appunto, storico, incentrato su nozioni come la successione crono-logica e il reciproco rimpiazzarsi dei morbi: «nella scienza come nel vi-ver civile certi ordinamenti si formano non per radicarsi ma per dispor-re gli animi ad altri, che proposti per primi sarebbero incomportabili o incompresi»24. E non solo gli animi, evidentemente, ma anche i corpi. L’immagine dell’Italia che è presentata negli Annali risente fortemente di echi letterari e politici, e la principale responsabilità della diffusione delle malattie, e dunque delle difficoltà politiche e civili, è attribuita a cause esogene, in primis alle invasioni straniere: «la patria nostra fu corsa le tante volte da armati, e tante strane genti vi calarono per sete di domi-nio o di vendetta, che i morbi nati in siffatta guisa non furon pochi»25.

Colpisce negli Annali l’impressionante capacità di raccolta e lavoro su fonti, a stampa e manoscritte, e di archivio, spesso misconosciute o ignorate; in questo, la consultazione del lavoro di Corradi resta anco-ra oggi estremamente utile. Egli rivendica con forza l’importanza delle

23 <. <"-9-#, Bibliotheca Epidemiographica, sive Catalogus librorum de historia morborum, ex Libreria academica, Gryphisvaldiae *27;.

24 ". %&##",$, Recensione a 9. )&!!"9$, Considerazioni critiche sui salassi, Torino *261, in Bibliografia italiana delle scienze mediche… compilata dal prof. Brugnoli, vol. II, Tip. G. Monti, Bologna *261, pp. @32-7*, a p. @68.

25 $,., Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al !"'$, Gamberini e Parmeggiani, Bologna *276-13, 4 voll. e un Indice postumo, vol. I, Prefazione, p. 3.

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fonti storiche redatte da medici o da altre figure di curanti, ed è espli-cito fino al candore nella sua richiesta che alla medicina non siano posti limiti interpretativi o confini disciplinari:

sarebbe strana e tirannica pretensione che da noi medici si dovesse discorrere sol-tanto di catarri e di diarrea. Ma in niun luogo l’immobilità del Dio Termine può essere sí poco rispettata quanto in Medicina, la quale in certa guisa ha dominio uni-versale, tanto molteplici sono i suoi rapporti con tutti gli altri rami dello scibile; ed anche i piú rigidi difensori dei confini delle scienze possono, senza scrupolo d’of-fendere il loro puritanismo, far buon viso all’erudizione, se sobria ed appropriata26.

L’opera storica di Corradi – non limitata agli Annali, ma costituita da un gran numero di lavori sulla storia della medicina e in particolare sugli sviluppi dell’ostetricia e della farmacologia – può essere però let-ta anche alla luce dello sforzo di costruire una narrativa «nazionale» su questi argomenti, e sulla scienza in generale, che caratterizza il periodo pre- e postunitario, e che accompagna l’engagement di una parte notevo-le della classe medica nel Risorgimento27. Corradi non era certo isolato, come dimostra, tra l’altro, la Storia della medicina in Italia (*232) di Sal-vatore De Renzi (*288-*24;), dominata dalla necessità e dalla difficol-tà – anche stilistica – di integrare le narrative sugli sviluppi disciplinari e locali in un tessuto e in una prospettiva piú ampia, «italiana» a tutti gli effetti, in grado di discriminare tra apporti stranieri e autoctoni. De Renzi, il cui «vichismo» si manifesta anche in una specifica attenzione a una storia del sapere per cicli, propone una propria cronologia dell’italia-nità della medicina: «Nel +5$$ secolo cominciò quel periodo fatale in cui non piú si aveva un’Italia scientifica, ma soltanto Scienziati italiani»28, e affronta brevemente il tema della specificità dei contesti locali alla fi-ne della Storia, tirando le somme della sua trattazione e fornendo un bi-lancio schematico dello stato della medicina nelle diverse città e stati. Il caso di Napoli, che è quello di cui aveva cognizione diretta, è esemplare: la divergenza fra le notevoli potenzialità «naturali» della popolazione e del territorio, da un lato, e l’ottuso disinteresse delle classi dominanti, dall’altro, ha a suo parere frapposto un ostacolo insormontabile allo svi-

26 Ibid., p. 4.27 Si veda anche il contributo di !. =-#-))", La storiografia della scienza, in questo stesso

volume, pp. *8**[email protected] 9. ,- #-'A$, Storia della medicina in Italia, 6 voll., Tipografia del Filiatre Sebezio, Napoli *236-32,

vol. I, p. *. In De Renzi è costante, ad esempio, la polemica contro i «deliri» della iatrochimica, scienza franco-tedesca, a favore di una medicina italiana «galileiana», condotta more geometrico, e l’esaltazione di Giorgio Baglivi come «novello Ippocrate» galileiano, motivo comune anche a Francesco Puccinotti, che però ne fa un uso del tutto diverso. Cfr. .. =-..&'$, Sull’Ippocratismo di S. De Renzi e di F. Puccinotti e sul concorso alla cattedra del testo di Ippocrate e di Storia della Medicina dell’Università di Napoli nel !"%%, in «Episteme», VIII (*143), pp. *@;-34.

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luppo di un sapere medico all’altezza delle innovazioni del naturalismo rinascimentale e dei suoi sviluppi secenteschi29. La mancata riforma delle istituzioni (università e ospedali), la costrizione delle energie migliori in contesti, come quello dell’insegnamento informale, inadatti a promuove-re uno sviluppo scientifico significativo, sono ricondotte alla dominazio-ne straniera (qui spagnola) e alla frammentazione politica della penisola.

Problemi analoghi a quelli di Corradi e De Renzi, e specialmente l’interesse per l’igiene e per una medicina «politica» e civile, ma in una prospettiva diversa e con sviluppi per molti versi divergenti, si trovano nei lavori di Francesco Puccinotti (*413-*24;), marchigiano, professore a Pisa per quasi tutta la sua carriera, patriota, autore di opere di medicina legale e di patologia, ma anche di un’ampia Storia della medicina (*268-77). Si tratta di una storia molto filosofica e decisamente internaziona-le, piú vicina all’esempio di Spengler che a quello di De Renzi. Per non fare che un esempio, Puccinotti è contrario alla tesi, un cavallo di bat-taglia del rivendicazionismo «nazionalista», della precedenza di Andrea Cesalpino rispetto a William Harvey nella scoperta della circolazione del sangue30. Cesalpino gli appare una figura interessante, ma i suoi con-cetti sono confusi: la scoperta non può che essere attribuita all’inglese, che ha profittato degli avanzamenti filosofici di Francesco Bacone e di Galileo Galilei. Si tratta qui peraltro di un singolare Galilei empirista, riletto alla luce di Giambattista Vico e delle sue critiche a Descartes, e che avrebbe ritenuto che la ragione umana dovesse procedere «ad ogni passo in mezzo a due vigilantissime e inesorabili guardie, che sono la religione a destra, la matematica a sinistra»31. Puccinotti si era infatti avvicinato, nel corso degli anni, a una visione nella quale la religione e il cristianesimo avevano un gran peso. Se si paragonano i suoi lavori di giovinezza con quelli della maturità, si può constatare l’ampiezza della trasformazione del suo pensiero: era infatti partito da un forte interesse per i dibattiti «trasformisti», elaborando una singolare e affascinante tesi sulle origini delle malattie – da cercare in un «contagio archetipo primi-tivo» e nella sua coevoluzione con l’uomo nella storia32. I primi volumi della Storia della medicina di Puccinotti, sull’antichità e il Medioevo, fu-rono oggetto, nel *274, di una recensione molto dura di Corradi, che ne sottolineava l’eccessiva esaltazione del ruolo della religione nell’origine remota e tardoantica della medicina, con una netta sopravvalutazione

29 9. ,- #-'A$, Storia della medicina in Italia cit., vol. V, p. 13*.30 (. /0%%$'&))$, Storia della medicina, vol. III. L’età moderna, Giachetti, Prato *277, pp. 3@ sgg.31 Ibid., p. 4.32 $,., Dei contagi spontanei e delle potenze e mutazioni morbose credute atte a produrli ne’ corpi

umani, Stamperia di Pio Cipicchia, Roma *2;8.

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del ruolo dei Padri della Chiesa; e ne criticava l’impianto astrattamente metafisico nel delinearne le fasi di sviluppo33. È evidente che la polemi-ca di Corradi sul ruolo della religione e del cristianesimo nello sviluppo della medicina italiana all’epoca del monachesimo e della scuola di Sa-lerno nascondeva questioni ben piú attuali e cocenti.

L’amicizia con Giacomo Leopardi ha assicurato a Puccinotti – consul-tato, ancora giovane, dal poeta durante la redazione delle Operette morali, nelle quali la cultura medica e scientifica ha una parte essenziale – un po-sto permanente nel pantheon delle patrie lettere. Ma anche Corradi ebbe il suo momento di gloria «letteraria»: a commemorarlo dopo la morte, nel *21;, presso la Deputazione di Storia patria di Bologna di cui aveva lungamente fatto parte, fu chiamato Giosuè Carducci. Nel complesso, e nell’atmosfera «schierata» della fine del Risorgimento e dei primi an-ni dell’Unità, la deriva dei medici verso saperi altri era vissuta con par-tecipazione e senza eccessive preoccupazioni, facendo attenzione, sem-mai, alle posizioni politiche e alla questione del rapporto con la Chiesa.

@. Fine di secolo: preistoria, antropologia, primitivismo.

La preistoria è fra le scienze quella che segna meglio il tratto di unione fra le scienze naturali e quelle filosofiche e morali. I grandi progressi compiuti dall’archeo-logia in questi ultimi cinquant’anni mostrarono che anche la storia, la quale sembra-va la piú rigida e immutabile, segue la sorte di tutti gli altri rami delle scienze speri-mentali, perché si è ringiovanita e diede nuovi rampolli in campi prima inesplorati, studiando le prime tappe degli uomini che dallo stato selvaggio si avviavano alla ci-viltà. Mentre prima la storia si faceva quasi esclusivamente sui libri e consultando i documenti, ora cambiò indirizzo, e cogli scavi si avvicina meglio alle scienze na-turali, intente a raccogliere nuovi fatti e a perfezionare il metodo delle indagini34.

Sono parole di Angelo Mosso (*237-*1*8), uno dei piú illustri fisio-logi sperimentali italiani e una delle personalità scientifiche piú interes-santi della seconda metà dell’Ottocento35. Torinese, nato in una famiglia priva di mezzi, di lavoratori manuali, ma con una formazione scientifica di ottimo livello alla scuola di Moleschott e di Giulio Bizzozero, segui-ta da studi a Firenze, nel laboratorio di Moritz Schiff, e in Germania, nel *241 fu successore di Moleschott sulla cattedra torinese di fisiolo-gia quando questi fu chiamato a Roma. Negli anni tra il *228 e il *188

33 ". %&##",$, in «Annali Universali di Medicina», LIII (*274), n. ;8*, pp. *;*-4;.34 ". !&99&, Le origini della civiltà mediterranea (Preistoria II), Treves, Milano *1*8, p. ;.35 Su Mosso cfr. %. /&:.$"'&, Inquietudini della scienza positiva, in «Giornale critico della

filosofia italiana», LXI (*12;), n. ;, pp. ;84-;*.

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Mosso lavora alla fondazione di quella che un suo allievo – interessata-mente – definisce una psicologia sperimentale, uno studio delle possibili correlazioni tra attività psichica e «variazioni organiche»36. Di fatto, la fisiologia di Mosso si muoveva in una direzione innovativa, utilizzan-do sia la chimica à la Moleschott sia l’anatomia e l’istologia apprese in Germania alla scuola di Carl Ludwig, ma innovando tecniche e strumen-tazioni per ricerche sperimentali sulla fatica e lo sforzo – condotte in laboratorio anche ad alta quota, sulle Alpi – e sul sangue, in particolare sulla circolazione cerebrale e polmonare. Dopo circa un venticinquen-nio di lavoro, molto intenso e di frequente in condizioni estreme, gli fu diagnosticata una grave malattia spinale, che gli avrebbe impedito per sempre di frequentare laboratorio e biblioteca. Impedito cosí a prose-guire l’attività scientifica, nell’ultima fase della sua vita Mosso divenne il protagonista di una spettacolare riconversione delle sue energie intel-lettuali. Dal *183 senatore del Regno, trasferitosi a Roma alla ricerca di un clima piú mite, si interessò dapprima ai crani protostorici, e in segui-to piú in generale all’archeologia preistorica e protostorica, effettuando spedizioni e scavi in diversi luoghi del Mediterraneo: a Creta, dove era già attiva dal *223 quella che sarebbe divenuta in seguito la missione italiana di Federico Halbherr, delle cui scoperte divenne fortunato di-vulgatore, e nel Sud Italia, in particolare al Pulo di Molfetta in Puglia.

Il risultato dei lavori di quegli anni è contenuto in diversi saggi e sintetizzato in due volumi (ma avrebbero dovuto essere tre) pubblica-ti sotto il titolo comune di Preistoria fra il *184 e il *1*837. L’intento di Mosso, come ricordato nella prefazione al primo volume, dedicato a Creta e ai siti minoici da poco scoperti, è quello di aiutare a ricostrui-re le radici mediterranee della civiltà italiana, le cui origini sono ancora contraddittorie e confuse. La sua tesi, infatti, è che contrariamente a quanto affermato da altri storici e filologi, «la primitiva civiltà medi-terranea non ebbe origine dagli Indogermani», ma appunto da un co-mune sostrato autoctono, le cui tracce stavano emergendo negli scavi di Creta, e che Mosso sperava di scoprire anche in altre località, italiane e non38. Attraverso una serie di elementi che vanno dalla struttura fisica dei crani – e dei corpi, anche femminili: alla figura e all’abbigliamento delle donne cretesi come emergono dalle rappresentazioni figurative è

36 !. .. /")#$A$, in "".55., Angelo Mosso, la sua vita, le sue opere. In memoriam, Treves, Milano *1*;, pp. 4@-**6.

37 ". !&99&, Escursioni nel Mediterraneo e gli scavi di Creta (Preistoria I), Treves, Milano *184, e $,., Le origini della civiltà mediterranea cit.; i due volumi furono piú volte ristampati e tradotti in inglese e francese.

38 $,., Escursioni nel Mediterraneo cit., Prefazione.

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dedicato uno dei capitoli piú vivaci, e stravaganti, del libro39 – alla de-finizione del «genio artistico preellenico» e della sua mentalità, Mosso ricostruisce, con qualche approssimazione, una continuità che arriva fino all’età contemporanea e che fa appartenere l’Italia a uno spazio geopo-litico specifico, orientato a Sud, e che ha portato a Nord una civiltà già molto raffinata ed evoluta40. I resti umani scheletrici e quelli archeolo-gici sono, in questo senso, a suo parere, assai piú significativi di quelli linguistici, e lo portano a ipotizzare l’esistenza di una «razza mediter-ranea», che avrebbe cessato di evolversi (perché già matura?) restando stabile dall’antichità ai nostri giorni41.

È evidente che le teorie di Mosso risentono delle discussioni filologiche e degli storici dell’antichità, con alcuni dei quali, come Halbherr, ebbe rapporti diretti, interessandosi anche al giovane Gaetano De Sanctis42. Ma Mosso tiene conto anche, evidentemente, dell’elaborazione coeva di teorie della preistoria, specie nella cultura inglese postdarwiniana, in particolare da parte di John Lubbock, i cui testi sui primitivi erano stati rapidamente tradotti in italiano43. Lo sviluppo otto-novecentesco dell’antropologia italiana ha una storia specifica, impossibile da ricostru-ire in poche righe, che per piú versi si intreccia – ancora una volta, per la presenza di molti medici tra le file degli «antropologi» – con quella della medicina, con l’interesse per le condizioni assai arretrate, se non primitive, di una parte ampia della popolazione e con la questione piú ampia delle origini della civilizzazione44. Tra i maestri di Mosso, alme-no due – Moleschott e Schiff – si erano attivamente interessati all’an-tropologia. Quello che va sottolineato è però che Mosso presenta le sue teorie come significative per la comprensione dei problemi dell’Italia contemporanea. Un esempio è quello dell’emigrazione, di cui Mosso si era occupato da vicino, descrivendone con partecipazione gli effetti de-vastanti per i paesi del Sud, in Lucania, in Puglia e in Sicilia, visitati nel

39 Una delle caratteristiche che Mosso attribuisce alla razza mediterranea è la bellezza delle spalle femminili; il tema è anche nel racconto di -. ,- "!$%$9, Amore e ginnastica (*21;).

40 ". !&99&, Escursioni nel Mediterraneo cit., p. ;28. 41 $,., Le origini della civiltà mediterranea cit., cap. ++$5, La razza mediterranea, p. @;8: «La

dottrina dell’evoluzione non può applicarsi all’uomo della razza mediterranea». 42 Cfr. 9. "%%"!-, F. Halbherr e G. de Sanctis (nuove lettere dal carteggio De Sanctis !"#)-!#*)),

Istituto Italiano per la Storia Antica, Roma *127, pp. *@8, *@7, *38.43 B. .0==&%>, I tempi preistorici e l’origine dell’incivilimento, versione italiana di Michele Lessona,

con un capitolo intorno all’uomo preistorico in Italia del prof. Arturo Issel, Utet, Torino *246. 44 Sull’antropologia italiana, i suoi rapporti con la medicina e le sue discussioni e appropriazioni

delle teorie sulla preistoria, cfr. 9. /0%%$'$, Evoluzionismo e positivismo nell’antropologia italiana (!"&#-!#!!), in "".55., L’antropologia italiana. Un secolo di storia, Laterza, Roma-Bari *126, pp. 11-*32, e il saggio della stessa, A casa e fuori: etnografi, antropologi, viaggiatori, in questo stesso volume, pp. 634-43.

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corso delle campagne di scavo, e osservandone le conseguenze dramma-tiche durante una breve permanenza negli Stati Uniti45. La tendenza a emigrare, che nonostante i costi umani e le colpe della classe politica46 rappresenta per l’Italia, malthusianamente, una risorsa biologica essen-ziale per riparare ai danni della sovrappopolazione, è in realtà una delle caratteristiche della razza mediterranea, portata fin dall’antichità remo-ta agli spostamenti e ai traffici, come dimostra la storia del commercio marittimo nel Mediterraneo47.

Mosso aveva interessi molto ampi già prima della malattia e della «conversione» paleontologica e archeologica degli ultimi anni: era stato propagandista attivo della ginnastica come metodo educativo, divulga-tore di alto profilo – i suoi due libri su La paura e La fatica avrebbero dovuto essere accompagnati da altri sul sonno, sulla morte e sul vele-no48 – e amico di letterati, tra i quali Edmondo De Amicis, e di politici come Quintino Sella, nonché genero di Emilio Treves, uno dei maggio-ri editori dell’epoca, presso il quale pubblicò praticamente tutti i suoi scritti. Fieramente avverso al socialismo, che considerava un pericolo per la necessaria armonia sociale, era però estremamente sensibile, an-che in ragione delle proprie origini, ai problemi dei lavoratori; insom-ma un rappresentante di quella destra storica, illuminata e riformatri-ce, destinata ad avere complessivamente scarso peso nella vita politica italiana. Nonostante questi precedenti, la sua «digressione archeologi-ca» degli ultimi anni è ricordata dagli allievi e dai colleghi con un misto di ammirazione e apprensione, e con qualche presa di distanza. Mos-so stesso aveva insistito sul suo essere un semplice dilettante, anche se questa appare quasi una civetteria, dato che i risultati della sua nuova attività erano molto concreti e che egli non aveva rinunciato, secondo le sue abitudini scientifiche, e nonostante la malattia, a scavare con le proprie mani49. E se si era interessato a questioni di demarcazione, le aveva risolte nel senso della continuità: «Si discute invano ove comincia

45 ". !&99&, Vita moderna degli Italiani, Treves, Milano *187. Il libro è dedicato alla figlia, «perché impari a conoscere il suo paese e ad amare i poveri».

46 Ibid., p. **: «La legge politica colla quale impera la classe dirigente non è accessibile alle classi inferiori che stanno oppresse e come isolate dalla civiltà crescente della patria».

47 Ibid., p. 3;; cfr. anche p. 34: «In nessun popolo rimasero cosí profondamente impresse le traccie [sic] delle emigrazioni preistoriche quanto nel popolo latino». Si veda $,., Le origini della civiltà mediterranea cit., cap. $$$, per la teoria delle emigrazioni.

48 Cfr. 5. ",0%%&, Commemorazione all’Accademia dei Lincei, ) aprile !#!!, in Angelo Mosso, la sua vita, le sue opere cit., pp. @6-4;.

49 «L’eccitamento che danno gli scavi è il piú intenso che io abbia provato fino ad ora», in ". !&99&, Escursioni nel Mediterraneo cit., p. *4; e si veda la bella testimonianza della figlia Mimí Mosso, in "".55., Angelo Mosso, la sua vita, le sue opere cit., pp. ;8; sgg.

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la storia e se questa sia scienza o arte. Non mi accorsi di tali limiti nel-lo scrivere questo volume, e sono sicuro che trattando della preistoria, ragionerò come un uomo di scienza»50. Ma non tutti, evidentemente, erano d’accordo con questa soluzione irenica. Se Luigi Luciani insiste sull’ammirazione, ma ricordando che per gli scavi Mosso si era dovuto rivolgere agli «specialisti in materia», Vittorio Aducco prende sul serio il desiderio del fisiologo di dedicarsi alla ricerca di «documenti che par-lano dove tace ancora la storia», ma confina questa parte dell’impegno di Mosso in poche righe, laddove aveva dedicato ampio spazio alle sue ricerche ematologiche. La discussione piú analitica, anche questa non priva di sottili punte polemiche, viene però dalla penna di Mariano Luigi Patrizi (*277-*1@6), che appunto considera gli ultimi anni una «digres-sione» e, pur concedendo che i libri di Mosso sono stati i primi in cui sia tentata «una Storia naturale della Storia»51, traccia un’analogia ai limiti dell’irrisione con la vicenda di Giulio Ceradini, fisiologo a Genova, che si era «volto alle ricerche storiche e a ingegnosi progetti per evitare gli scontri ferroviari»52, ed era stato tra i piú convinti assertori della prio-rità cesalpiniana su Harvey.

Patrizi era in realtà piú propenso di Mosso – e di Ceradini – a coltiva-re liaisons dangereuses con i saperi umanistici. Allievo di Moleschott, con cui si era laureato a Roma e di cui aveva sposato la figlia, poi assistente di Mosso, ma vicino a Lombroso, aveva percorso intrepidamente la via delle «patografie», un genere, diffuso in Europa, di biografie «medi-che» e psichiatriche di personaggi celebri53. Le sue ricerche scientifiche si erano rivolte alla neurofisiologia, con lo studio del sonno, dell’atten-zione e della fatica, e nel suo caso, davvero, il tentativo era stato quello – da lui invece attribuito a Mosso – di individuare il nesso fra disposi-zioni organiche e caratteristiche psicologiche. Negli anni fra il *218 e la fine di secolo, in un’atmosfera ancora pervasa dalle teorie lombrosiane, i suoi libri e le sue conferenze pubbliche contribuirono non poco a dif-fondere presso il pubblico la moda di un’interpretazione in termini me-dici e fisiologici delle opere poetiche e artistiche. Il suo primo e princi-pale oggetto di studio fu Giacomo Leopardi, suo conterraneo, di cui nel *217 interpretò la poetica in termini strettamente organici e patologici, di disturbi neuropsicopatici e all’apparato uditivo, nonché di degene-razione familiare ed ereditaria, riprendendo alcuni dati della contesta-

50 ". !&99&, Le origini della civiltà mediterranea cit., p. 1.51 !. .. /")#$A$, in "".55., Angelo Mosso, la sua vita, le sue opere cit., p. **;.52 Ibid., p. 24. 53 Sul genere cfr. $. 9$#&)>$'", Diagnosing Literary Genius: a Cultural History of Psychiatry in

Russia, !""$-!#*$, Johns Hopkins University Press, Baltimore-London ;88;.

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ta biografia di Antonio Ranieri54. La reazione dei critici letterari fu mi-sta: apprezzato da Arturo Graf, fu duramente stroncato da Alessandro D’Ancona. Negli anni successivi, scrisse nella stessa chiave sui fratelli Goncourt, su Caravaggio, sul bandito Musolino e, negli anni trenta, su Lazzaro Spallanzani e Leon Battista Alberti, sempre con un buon suc-cesso di pubblico. Patrizi non si limitava, come si vede, alla creazione artistica, ma si interessava anche alla creatività in campo scientifico, e non si trattenne dall’applicare le sue categorizzazioni allo stesso Mosso, definendolo «un tipo motorio, oltreché sentimentale, di pensatore»55, e lanciandosi in una descrizione della sua fisionomia dopo la morte – un esercizio già tentato con Leopardi, di cui si gloriava di aver visto tra i primi, e misurato, la maschera mortuaria.

L’Italia di fine e inizio secolo assistette ad altri, scientificamente piú avvertiti, tentativi di medici e scienziati di utilizzare metodologie tratte dalla storia, o di realizzare in proprio ricostruzioni, allo scopo di illumi-nare fenomeni di lungo periodo e di diverso tipo, in vario modo connessi con le «patologie» di lungo periodo che, nonostante tutti gli sforzi messi in campo in trenta o quarant’anni di vita unitaria, non sembravano an-cora vicine alla risoluzione. Tra questi, si possono qui solo menzionare rapidamente due casi diversissimi: i lavori storici, a sfondo sociale, del malariologo Angelo Celli (*267-*1*3), deputato, impegnato nella reda-zione della legislazione antimalarica e nel miglioramento delle durissi-me condizioni di vita dei contadini delle paludi pontine, lavori confluiti piú tardi nella postuma Storia della malaria nell’agro romano, pubblicata nel *1;656; e quelli del medico e antropologo Ridolfo Livi (*267-*1;8), noto e stimato per le raccolte di dati antropometrici, ricavate dalla sua esperienza di medico militare, che fotografavano drammaticamente la situazione fisica della popolazione, e i cui scritti sulla schiavitú dome-stica e sulle ascendenze tartare o mongole di alcuni gruppi di discen-denti di schiavi in Italia, scritti anch’essi postumi, furono riuniti nel *1;257. In entrambi i casi, ricerche che erano venute a maturazione ai primi del secolo furono ripubblicate con altri intenti, e in un’atmosfe-ra culturale e politica profondamente mutata. Si era infatti scatenata la

54 !. .. /")#$A$, Saggio psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la sua famiglia, F.lli Bocca, Torino *217.

55 $,., in "".55., Angelo Mosso, la sua vita, le sue opere cit., p. 1*. 56 ". %-..$, Storia della malaria nell’agro romano: opera postuma, Societa anonima tipografica

«Leonardo da Vinci», Citta di Castello *1;6; cfr. anche $,., La malaria nella storia medievale di Roma, Società romana di Storia patria, Roma *1;@.

57 #. .$5$, La schiavitú domestica nei tempi di mezzo e nei moderni: ricerche storiche di un antro-pologo, Cedam, Padova *1;2.

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reazione contro quello che, nelle parole di Benedetto Croce, era stato il «fanatismo per le scienze naturali, e in particolare per la medicina […] accompagnato dagli inani sforzi di riplasmare su quel modello tutta la cultura»58. Croce scriveva nel *1@2, l’anno delle leggi razziali, e a quella data il nemico non era piú, evidentemente, il positivismo materialista, ma le teorie e le pratiche apertamente razziste che a suo parere ne ave-vano raccolto l’eredità. Eppure Mosso aveva già scritto, nel *18*, che «la scienza non ha trovato nulla che possa indicare la capacità maggiore di una razza per l’attività del pensiero, o la superiorità nella destrezza, o nella resistenza alla fatica»59.

3. Guerra, dopoguerra, fascismo: la «scuola neolatina».

La voce «Medicina» dell’Enciclopedia Italiana (*1@7) lascia ad altre voci l’esposizione dei contenuti scientifici, ed è praticamente tutta dedi-cata a una storia della disciplina, nei suoi sviluppi internazionali ma con particolare attenzione, per i tempi piú recenti, all’Italia; a firmarla è Ar-turo Castiglioni, professore incaricato di storia della medicina nella Regia Università di Padova. La conclude un capitolo sulla Medicina del secolo +,+ (secondo periodo) e del principio del secolo ++, che porta il sottotitolo Dalla concezione microbiologica al neoippocratismo60. Come si conviene al gene-re, e allo sforzo voluto da Giovanni Gentile di dotare l’Italia (fascista) di uno strumento di consultazione all’altezza dei tempi e del regime, il titolo condensa in poche parole quella che si vuole sia la principale innovazione italiana nel campo degli studi medici. La medicina dell’Ottocento, secondo questa periodizzazione, è stata dominata dalla microbiologia, scienza per definizione «tedesca»; nel Novecento, «e piú manifestamente dal secondo decennio», si afferma invece «l’importanza della disposizione individua-le, fattore mutabile che può essere studiato soltanto al letto del malato»61, superando cosí il materialismo, il determinismo e il meccanicismo della concezione microbiologica. Il compito del medico nel nuovo e moderno regime nazionale è duplice, rivolto all’individuo e alla collettività, quindi clinico-curativo e igienico-preventivo, ma anche sociale: «altro fatto ca-ratteristico della medicina moderna è il suo interferire in tutti i campi

58 =. %#&%-, La Storia come pensiero e come azione (*1@2), Bibliopolis, Napoli ;88;, p. *22.59 ". !&99&, La democrazia nella religione e nella scienza: studi sull’America, Treves, Milano

*18*, p. 2;.60 ". %"9)$:.$&'$, «Medicina», in Enciclopedia Italiana, vol. XXII, Istituto dell’Enciclopedia

Italiana, Roma *1@7, p. 4;;. 61 Ibid., p. 4;@.

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della vita individuale e sociale»62. Si sviluppano cosí nuove discipline: medicina scolastica, medicina professionale, statistica sanitaria, igiene marinara e industriale. Segue un’esaltazione delle conquiste fasciste nel campo della difesa dalle malattie, in particolare dalla tubercolosi, della protezione della maternità e infanzia, dell’assicurazione dei lavoratori e dei provvedimenti per la vecchiaia.

Nel fare la storia – per nomi e per scuole – della propria disciplina, e nel rappresentarla in forma ufficiale, Castiglioni ricostruisce la medici-na italiana tra Otto e Novecento con qualche libertà: ad esempio, se da un lato attribuisce la giusta importanza alla fisiologia, dall’altro annette la scuola dei malariologi – Ettore Marchiafava, Angelo Celli e Giovan-ni Battista Grassi, zoologo, che «portarono a compimento le ricerche sul parassita della malaria estivo-autunnale»63 – al campo dell’anatomia patologica, cosí che gli esponenti della «nordica» microbiologia resta-no tutti stranieri, con qualche eccezione; gli italiani tornano invece in prima fila nelle ricerche sui sieri e sull’anafilassi. La vera trionfatrice di questa gara disciplinare è la clinica, il culmine della «scuola neolati-na»: diffusa in tutta la penisola (a differenza delle altre discipline), il suo esponente di punta è considerato Achille De Giovanni, che fonda la scuola italiana di patologia costituzionale, e ha tra i suoi allievi Giacinto Viola e Nicola Pende, i quali conducono ricerche endocrinologiche e sul biotipo. Non si tratta affatto di questioni di dettaglio. Per Castiglioni, la clinica medica diventa in questo periodo il centro degli studi pratici, ed è «dominata attualmente da una concezione nettamente biologica e strettamente clinica, fedele alle antiche tradizioni greco-latine»64. Oltre alla clinica, restano da nominare la chirurgia (cui si concedono i grandi progressi ottocenteschi e recenti, ma rimandando alla voce specifica: piú che la consapevolezza di una specializzazione, una regressione verso una concezione ormai superata di separazione netta tra clinico e chirurgo), e ginecologia, ostetricia e pediatria, in omaggio agli sforzi compiuti dal regime fascista per presentarsi nella veste di protettore della maternità e dell’infanzia. Quanto all’igiene, dopo i trionfi ottocenteschi ormai va reinterpretata come igiene demografica: lotta contro le malattie epidemi-che ed endemiche, ma allo scopo del miglioramento della razza; si trat-ta di un’igiene di stato, che riprende il modello classico, greco-romano, nella consapevolezza che l’eugenica è l’orientamento cui tende la medi-cina sociale in tutto il mondo.

62 Ibid., p. 4;7.63 Ibid., p. 4;3.64 Ibid., p. 4;6.

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La voce sulla clinica, pubblicata qualche anno prima, e dovuta alla penna di Giacinto Viola – clinico a Palermo e poi a Bologna, direttore della sezione «Scienze mediche» dell’Enciclopedia Italiana, amico per-sonale di Gentile – si situa sulla stessa linea di legittimazione attraver-so la storia, e parecchia filosofia, di una specifica visione scientifica e disciplinare. Le cliniche furono le prime scienze dell’umanità, e Viola, alquanto sorprendentemente per i tempi, fa proprio il vecchio principio della maggiore nobiltà di ciò che è piú antico: «se v’ha cosa meraviglio-sa nella storia della medicina è l’ordine logico perfetto mantenutosi nel progresso medico»65. Nata in età classica, la clinica si occupa tendenzial-mente solo di individui, e dunque resta pur sempre una scienza imper-fetta, nella quale l’impressione sensoriale va corretta con la media delle esperienze precedenti e con il controllo strumentale. In Italia l’indiriz-zo individualistico nella medicina clinica è una riforma dovuta al genio di De Giovanni, ma si fa cenno alla «legge degli errori» di Viola stesso, che redige anche una breve voce specifica – in riferimento alle ricerche dell’allievo e collega Nicola Pende – sulla biotopologia umana66.

Nei primi decenni del secolo, in effetti, una parte dei clinici italiani aveva reagito ai successi dell’igiene e della microbiologia – sempre peral-tro in difficoltà in Italia, data la cronica carenza di strutture e di labora-tori67 – relegandola al ruolo di scienza «tedesca», dunque atavicamente nemica, e che avrebbe postulato un’anacronistica uniformità degli orga-nismi, cui la scuola italiana intendeva reagire attraverso la creazione di una teoria, il costituzionalismo, centrata sulle diatesi, costituzioni mor-fologiche ed endocrinologiche individuali. La biotipologia è infatti «la scienza che studia le varie categorie, o tipi, dell’individualità umana in un medesimo gruppo etnico, determinando per ciascuna di esse i carat-teri morfologici e funzionali che la distinguono dalle altre, nell’intento di conoscerne le predisposizioni morbose e le attitudini alle varie for-me di lavoro umano»68. Come è tristemente noto, il costituzionalismo e la biotipologia sfociarono nell’elaborazione di teorie apertamente raz-ziste69. Ma qui la clinica di Viola e Pende interessa anche per un’altra,

65 :. 5$&.", «Cliniche, scienze», in Enciclopedia Italiana, vol. X, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma *1@*, p. 784.

66 $,., «Biotipologia umana», ibid., vol. VII, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma *1@8, p. 62.

67 Si veda (. !. 9'&?,-', Cholera in Barletta, !#!$ cit., per un esempio che, pur venendo da un’area rurale e meridionale, è pur sempre significativo: a Barletta negli anni dieci non sarebbe stato possibile eseguire alcun esame batteriologico per riscontrare la presenza del vibrione del colera, ormai ben noto sul piano scientifico.

68 :. 5$&.", «Biotipologia umana» cit., p. 62.69 (. %"99")", Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Bollati Boringhieri, Torino ;887.

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ulteriore questione: per i teorici del costituzionalismo, la storia – una storia per piú versi ammaestrata, piegata alle esigenze della medicina – non era un orpello o un supporto, ma rappresentava una parte necessa-ria della legittimazione intellettuale del sapere medico. La clinica che si voleva latina, o almeno «mediterranea», ossia greco-latina, si fondava infatti sull’invenzione di una storia della medicina e della cultura ade-guate al suo status di nuova scienza nazionale italiana: richiedeva una vera e propria «invenzione della tradizione»70. È un triste paradosso che l’incarico di fornire questo sfondo e fondamento storico a una medicina clinica per piú versi ambigua sul piano scientifico, e ancor piú su quel-lo delle sue implicazioni sociali e politiche, sia stato assunto da Arturo Castiglioni (*243-*16@), probabilmente il piú brillante tra i molti stori-ci della medicina italiani degli anni che seguirono la prima guerra mon-diale. Ebreo, nato a Trieste, dunque suddito austroungarico, Castiglio-ni studiò a Vienna: la sua educazione gli offrí un’apertura cosmopolita insolita tra i medici e gli storici della medicina della sua generazione, e il contatto con personaggi di rilievo, fra cui Max Neuburger. Affascina-to dall’antropologia e dalla magia, da temi come l’inconscio (ammirava Sigmund Freud) e il primitivismo (si appassionò a The Golden Bough di James Frazer), Castiglioni sembrerebbe, per origini, appartenenza, for-mazione e statura, del tutto inadatto a fornire al costituzionalismo la profondità pseudostoricizzante di cui aveva bisogno.

Invece già nel *1;7, con un articolo sul Ritorno di Ippocrate, Casti-glioni si era segnalato per la sua partecipazione a una tradizione di lun-go periodo nella medicina europea e italiana, quella dell’attribuzione al «padre della medicina» della propria immagine dell’arte medica71. Il neoippocratismo o neoumoralismo proposto dallo storico era, in questo caso, esattamente coincidente con le esigenze dei propugnatori della co-stituzione individuale, e andava nella direzione di una svalutazione delle nozioni di Koch e Virchow a favore di una visione classicheggiante della medicina, incentrata sulla clinica anziché sulle indagini di laboratorio. Questa impostazione fu ribadita, nel corso degli anni trenta, in una serie di interventi nei quali Castiglioni si adoperava per ristabilire il primato di un metodo clinico di cui si dava per scontata l’antichità, e che non sarebbe mai del tutto venuto meno in Italia, istituendo una dubbia rela-zione tra le capacità artistiche e di intuizione dei popoli mediterranei e

70 Per una prospettiva internazionale sullo sviluppo «olistico», antibatteriologico e antiriduzionista in medicina nel periodo fra le due guerre mondiali cfr. %<. ."?#-'%- e :. ?-$9A (a cura di), Greater than the Parts. Holism in Biomedicine, !#)$-!#'$, Oxford University Press, New York - Oxford *112.

71 ". %"9)$:.$&'$, Il ritorno di Ippocrate, in $,., Il volto di Ippocrate. Istorie di medici e medicine d’altri tempi, Unitas, Milano *1;6, pp. @7@-21, a p. @22.

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le loro tradizioni diagnostiche. Sarebbe qui da rilevare l’eco delle teorie di Mosso, se non fosse che questi aveva piú volte ribadito l’insussisten-za scientifica di tipizzazioni individuali riconducibili a caratteristiche fisiche specifiche, che la sua scienza non era sospettabile di antipatie verso i risultati di laboratorio, e soprattutto che egli aveva identificato le caratteristiche «mediterranee» in una speciale propensione al lavo-ro e alla fatica prolungata, anziché all’intuizione artistica72. In ogni ca-so, Castiglioni riuscí nell’intento di partecipare a quella che riteneva la ricerca italiana (medica) di punta. I rapporti con Gentile, la partecipa-zione a riviste di storia della medicina legate a gruppi accademicamente influenti, perfino l’esibizione, in ambito storico, di un tiepido naziona-lismo, lontano comunque dagli eccessi delle «rivendicazioni nazionali», fecero sí che Castiglioni si distinguesse, e che ottenesse, senz’altro con il beneplacito di Viola, l’incarico di redigere le voci dell’Enciclopedia Ita-liana. Nel *1@4 ottenne l’insegnamento ufficiale di storia della medicina all’Università di Padova, un risultato importante sul piano personale e per la disciplina. Ma già l’anno successivo, in seguito alle leggi razziali, Castiglioni fu costretto a lasciare l’Italia, e – ormai anziano – riparò negli Stati Uniti, dove fu accolto da un altro storico della medicina in esilio, il tedesco Henry Sigerist, che aveva trapiantato a Baltimora la tradizione storico-medica tedesca. La parabola personale e l’esilio forzato di Casti-glioni segnarono, in una certa misura, uno dei punti piú bassi della di-sciplina cui il triestino aveva dedicato tante energie. A differenza della storia della scienza, la storia della medicina italiana non seppe accettare in pieno la propria vocazione storica, e restò presa nella trappola di un ambiguo internalismo, per molti versi apologetico.

Da questo punto di vista, è interessante rilevare come la medicina e la storia della medicina in Italia siano sopravvissute, meglio di altre di-scipline scientifiche, e meglio della storia delle scienze non mediche, alla fine dell’età positivistica, alla «bancarotta della scienza» e all’affermazio-ne dell’idealismo. Se questo fu in parte dovuto al fatto che la medicina fu in grado di presentarsi, specie in un paese cattolico, e nonostante la crescente professionalizzazione e tecnicizzazione, come una disciplina ancora per molti versi «umana», o «umanistica», aiutarono anche la for-za professionale e le relazioni politiche della classe medica, nonché la sua affermazione nel corso della prima guerra mondiale. Ma una parte del

72 Può essere interessante notare che nei primi decenni del Novecento Gaetano De Sanctis aveva riproposto, seguendo Julius Beloch, la centralità delle migrazioni indogermaniche nella formazione della cultura europea antica: cfr. ". !&!$:.$"'&, Gaetano De Sanctis, in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, vol. I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma *146, pp. *41-26, a p. *2;.

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favore del pubblico e della politica fu probabilmente anche dovuta alla capacità della medicina italiana di costruirsi una tradizione «nazionale», stavolta in senso apertamente e aggressivamente nazionalistico, tessendo una continuità, nei fatti inesistente (si pensi alla vocazione spiccatamente cosmopolita coltivata dalla medicina italiana di età moderna), tra glorie passate e presenti, attraverso una vera e propria «invenzione» di una tradizione classica che è in realtà assai recente, e comunque inesistente prima dei primi decenni del Novecento. Fu un classicismo di maniera, orientato alla propaganda piú che frutto di un’indagine storica rigoro-sa, ma pur sempre efficace sul piano della costruzione di un’immagine professionale moderna sí, ma con radici nobili perché antichissime. La storia della medicina italiana seppe tra l’altro muoversi con abilità, per-correndo, a partire dal *1** – cinquantenario del Regno e occasione di esposizioni nazionali con un forte carattere identitario – la via del ritro-vamento, del restauro, dell’esposizione e talvolta della commercializza-zione di oggetti appunto «antichi», autentici o falsi, riguardanti l’arte della cura73. La storia materiale dell’arte fu presentata al pubblico come narrativa nazionale e nazionalista, la testimonianza delle vicende di un sapere medico italiano trionfante, dai confini anche cronologicamente incerti, vagamente «medievale», o «rinascimentale», dimenticando vo-lentieri la questione, che aveva tanto preoccupato le generazioni prece-denti, dei mali reali, e ancora attuali, del paese. Naturalmente ci furono eccezioni, ma sembra questo il senso del costituirsi, e dell’affermarsi negli anni intorno alla prima guerra mondiale, di una lobby piuttosto variegata di storici della medicina – comprendente militari di carriera, industriali farmaceutici, medici ospedalieri, antiquari – che produsse varie forme di collezionismo semipubblico, la fondazione di musei piccoli e grandi, e la creazione di riviste, molte a carattere spiccatamente divulgativo, e si alimentò di legami all’interno del mondo militare, politico e accademico.

6. Conclusioni.

Negli ultimi anni la storiografia ha messo in luce i nessi che da sem-pre hanno stretto la medicina e la storia, riprendendo un suggerimento di Momigliano, che a proposito della Grecia antica – ma i suoi esem-pi arrivavano fino all’Ottocento, ad esempio ai rapporti fra Virchow e

73 Sull’insieme di questi problemi mi permetto di rinviare a !. %&'(&#)$, «Historia amabilis». La storia della medicina in Italia nel primo Novecento, in %. /&:.$"'& (a cura di), Scienze e storia nell’Italia del Novecento, Pisa University Press, Pisa ;884, pp. ;*6-@6.

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Schliemann – parlava di una comunanza di metodi e obiettivi: «l’approc-cio descrittivo, l’osservazione minuta di sequenze di eventi, la ricerca di cause naturali» (e aggiungeva che i medici sono portati dalla consuetudi-ne con il patologico all’osservazione del sano, «per ricrearsi»)74. Dall’uso della storia come deposito di fatti scientificamente significativi, nel ca-so di Corradi e dell’epidemiologia prebatteriologica, all’innamoramen-to per l’archeologia come disciplina storica passibile di un trattamento sperimentale concreto, analogo a quello utilizzato in laboratorio o sul campo dagli scienziati, come per Mosso, alla costruzione artificiale di una «falsa storia» (della medicina) come risposta alle esigenze poste da un gruppo di medici scientificamente discutibili e fortemente orientati in senso nazionalista, come per Castiglioni, la medicina italiana tra Ot-to e Novecento ha coltivato con costanza, se non sempre con rigore, la contiguità con i saperi storici, piegandoli di volta in volta alle proprie esigenze e alle proprie priorità.

Ma è evidente che le storie hanno avuto, da sempre, anche la fun-zione di definire e rafforzare le identità professionali. Nei casi che ab-biamo esaminato, attraverso la pratica e la scrittura di generi che vanno dall’erudizione antiquaria all’archeologia, dalla biografia, o patografia, alla storia della medicina, il medico si costruisce, in un’età di crescente spinta verso la tecnicizzazione, come nel passaggio tra Otto e Novecen-to, un’immagine di intellettuale che sa e può passare da pratiche vissute come parcellizzate, sporche, e perfino oltraggiose (i «catarri e le diarree» di cui parla Corradi), a un otium colto e signorile che evidentemente ri-spondeva ancora a esigenze profonde della borghesia intellettuale italia-na. L’eccezione, che è anche il grado piú alto di impegno sui due fronti, medico e storico, è rappresentata probabilmente da Mosso, che fattosi archeologo procede mettendo davvero le mani in pasta: «ripassavo con le dita ogni zolla, disfacendole finché non fossero in polvere», alla ricerca di frammenti di ceramica o di resti umani75. L’esempio di Mosso, come quello di Celli, illustra però, a contrario, un altro elemento comune alle storie dei medici italiani otto-novecenteschi: la debolezza, anche istitu-zionale, della medicina sperimentale, o scientifica, ancora immatura in Italia in troppi contesti (si pensi ad esempio alle difficoltà piú volte la-mentate nell’attrezzare laboratori, anche solo a scopo didattico). Anche nell’età del massimo trionfo positivista, il desiderio ricorrente dei me-

74 ". !&!$:.$"'&, La storia tra medicina e retorica, in $,., Tra storia e storicismo, Nistri-Lischi, Pisa *126, pp. **-@;, in particolare pp. *;-*@; cfr. per l’età moderna :. /&!")" e '. :. 9$#"$9$ (a cura di), Historia. Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, Mit Press, Cambridge Mass. ;886.

75 ". !&99&, Escursioni nel Mediterraneo cit., p. **.

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dici di presentarsi come detentori e praticanti attivi di una cultura ex-trascientifica, in grado di offrire un orizzonte di senso e di legittimità a lavori di laboratorio o di ospedale, denota la persistenza di una visione dell’uomo colto ancora profondamente intrisa di classicismo umanista: ma rimanda anche, inevitabilmente, alle incertezze identitarie e intel-lettuali di un gruppo di professionisti alla ricerca di una legittimazione sociale e culturale stabile.

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