Editoria e università

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Corso di laurea magistrale in Lettere moderne EDITORIA E UNIVERSITÀ Relatore: Chiar.mo Prof. Alberto Valerio Cadioli Correlatore: Chiar.mo Prof. Paolo Borsa Laureando: MARCO FUMAGALLI matr. 842420 ANNO ACCADEMICO 2013/2014 1

Transcript of Editoria e università

Corso di laurea magistrale in Lettere moderne

EDITORIA E UNIVERSITÀ

Relatore:Chiar.mo Prof. Alberto Valerio Cadioli

Correlatore:Chiar.mo Prof. Paolo Borsa

Laureando: MARCO FUMAGALLImatr. 842420

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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Indice

Introduzione .......................................................................................... 3

La comunicazione e lʼeditoria scientifica

1. Caratteri della comunicazione scientifica. Elementi di criticità dei modelli “chiusi” e con mediatore esterno al circuito scientifico .............. 52. Lʼaccesso aperto ............................................................................... 9

Lʼeditoria universitaria in Italia

1. Pubblicazione, capitale simbolico, legittimazione ........................... 222. La proprietà del sapere e lʼaccesso ................................................ 273. Tra proprietà commerciale e accesso aperto .................................. 344. Lʼeditoria commerciale di servizio allʼuniversità. La casa editrice Unicopli ................................................................................................ 395. Lʼaccesso aperto in università: archivi, la university press, il caso di Firenze ................................................................................................. 556. Tra accesso aperto e ragioni commerciali: il caso di Ledizioni ....... 79

Conclusioni .......................................................................................... 89

Bibliografia e sitografia ........................................................................ 91

Appendici

1. The Budapest Open Access Initiative ............................................. 942. Bethesda Statement on Open Access Publishing ........................... 983. Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities .................................................................................. 1054. Intervista a Gianfranco Fioretta - Unicopli ..................................... 1085. Intervista al prof. Giovanni Mari, presidente di Firenze University Press .................................................................................................. 1166. Intervista a Nicola Cavalli - Ledizioni ............................................ 121

2

Introduzione

Lʼeditoria scientifica – al cui interno si collocano gli attori e i prodotti del lavoro editoriale che, provvisoriamente e genericamente, qui si definisce di servizio allʼattività universitaria – è una «filiera autonoma nellʼuniverso editoriale».1 Lo è in misura maggiore rispetto ad altri settori dellʼeditoria di varia, pure particolarmente specializzati e individuati per tipologia di produzione e per destinatari, come i settori scolastico e religioso. Il segmento editoriale che in questo lavoro si considera deve la propria natura separata appunto allʼattributo di scientificità dei suoi contenuti e prodotti, strettamente legato, in rapporto di reciproca dipendenza, a un secondo carattere peculiare, quello di un «ciclo di vita editoriale ad anello – osserva Giuseppe Vitiello –, che ha origine nelle università e nei laboratori di ricerca e ad essi ritorna, avendo spesso come cliente unico, in particolare per lʼeditoria in lingua inglese, la biblioteca».2

Lʼautonomia di questa filiera non dipende dunque tanto da una differenza, rispetto al resto dellʼeditoria, relativa al ruolo degli editori scientifici, almeno quelli commerciali. Infatti, ancora secondo Vitiello, rimangono intatte, per lʼeditore scientifico, le funzioni tradizionali riassunte in: «1) scoprire autori, temi e formule editoriali; 2) assicurare e finanziare la fabbricazione delle opere; 3) impegnarsi a diffonderle e a distribuirle; 4) promuovere il fondo editoriale; 5) avere lʼobbligo di realizzare dei profitti».3 Funzioni, queste, che si possono considerare come quelle fondamentali dellʼeditore. E di editoria in senso pieno dunque si parla, affrontando i temi e i problemi del settore scientifico e universitario. Assunto, questʼultimo, che tornerà utile in seguito, nella discussione relativa alle prospettive aperte per questo settore, difendendo la necessità di una funzione di mediazione editoriale.

Il dato più caratteristico rimane dunque quello della circolarità della filiera dellʼeditoria scientifica. Ed è questo un fatto di primaria importanza: filtrare attraverso di esso – come si intende fare qui – la discussione dei

3

1 Giuseppe Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, in «Biblioteche oggi», giugno 2003, p. 38.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

caratteri e soprattutto dei problemi e delle prospettive dellʼeditoria di servizio allʼattività universitaria potrebbe consentire una migliore illuminazione di queste questioni, prima individualmente e poi nel loro complesso.

In primo luogo, si considereranno qui alcuni elementi del più ampio campo della comunicazione scientifica. In esso – specialmente assunto nella sua estensione internazionale – si osservano gli elementi problematici e le tensioni che generano lʼavvio del dibattito sulla proprietà dei contenuti e sulle esperienze dellʼaccesso aperto.

Mentre, per un verso, lʼeditoria italiana di servizio allʼuniversità, sembra confinata in unʼarea più riposta di questo campo, dallʼaltro – nelle pagine successive di questo lavoro – si osserverà come proprio da questi stimoli sorgano anche allʼinterno dei confini nazionali intenzioni originali, da cui sono scaturite e scaturiscono esperienze editoriali innovative; esse, affiancate ad altre più tradizionali, compongono il quadro dellʼeditoria universitaria che si vorrà infine comporre, attraverso alcuni casi esemplari. Con lʼobiettivo, infine, di ricavare alcune considerazioni sulle prospettive di questo particolare settore editoriale.

4

La comunicazione e lʼeditoria scientifica

1. Caratteri della comunicazione scientifica. Elementi di criticità dei modelli “chiusi” e con mediatore esterno al circuito scientifico.

Lʼeditoria di servizio allʼattività universitaria si inscrive nel settore della comunicazione scientifica, che Anna Maria Tammaro definisce come il risultato dei «vari modi in cui avviene lo scambio di informazioni tra gli studiosi». Si osserva, per inciso, come lʼimpiego della parola ʻscambioʼ interno a una comunità possa chiarire il carattere di circolarità della filiera editoriale scientifica indicato in premessa. In termini concreti, questo settore della comunicazione «include quindi la produzione e diffusione delle pubblicazioni delle istituzioni di ricerca, la comunicazione informale tra studiosi (che si dice formino gli invisible colleges), la discussione ai convegni e ai seminari, lʼaccesso allʼinformazione attraverso la ricerca in cataloghi di biblioteche, banche dati e in altri strumenti di comunicazione in rete».4

In misura maggiore rispetto ad altri settori, nel campo del sapere scientifico la comunicazione non è da considerarsi momento secondario o accessorio dellʼattività di creazione della conoscenza, ma un fatto a essa sostanzialmente interno. La comunicazione, qui, «è il fattore in base al quale si può parlare di risultati scientifici condivisi, oltre la mera “illuminazione” o esperienza privata». Poiché infatti il «carattere pubblico del metodo scientifico» e la «necessaria condivisione di paradigmi e teorie entro la comunità scientifica» sono alla base della produzione del sapere scientifico, il suo processo di avanzamento può avvenire in «un sistema aperto di trasmissione e comunicazione di conoscenza».5 È, infine, la circolazione delle acquisizioni contenutistiche e soprattutto metodologiche a consentire lo sviluppo del lavoro e del sapere scientifico.

5

4 Anna Maria Tammaro, Nuove prospettive per la comunicazione scientifica. Lʼesperienza delle Firenze University Press, in «Biblioteche oggi», maggio 2001, p. 22.

5 Adriana Valente, Daniela Luzi, Comunicazione di conoscenza esplicita e tacita nel contesto scientifico, in A. Valente (a c. di), Trasmissione dʼélite o accesso alle conoscenze? Percorsi e contesti della documentazione e comunicazione scientifica, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 163.

Da questa premessa, dunque, si ricava lʼidea della necessità della comunicazione scientifica come condizione cruciale per lo sviluppo della scienza stessa, e non, appunto, come momento secondario, estraneo allʼofficina dellʼattività scientifica, e al limite riguardante solo la veicolazione dei suoi prodotti verso un pubblico a essa esterno, per quanto vicino. Ciò, in aggiunta al concetto di circolarità sopra indicato, potrebbe dunque consentire lʼapertura di una prima riflessione problematica, intorno allʼesternalizzazione del lavoro di comunicazione da parte dei soggetti produttori di sapere scientifico: riflessione attorno alla quale ruoterà una parte del discorso più propriamente dedicato allʼeditoria universitaria.

Questi fatti, per giunta, non pertengono solo al livello dei risultati effettivi, per così dire finali, della ricerca. Valente e Luzi insistono sulla differenza tra i concetti di conoscenza esplicita e tacita, «basata sui differenti tipi di attenzione rivolti a percepire i dettagli nellʼambito del processo conoscitivo». In particolare:

Noi possiamo cogliere questi dettagli in maniera non comprensiva, focalizzando

la nostra attenzione sul dettaglio isolato, separato. Questo è lʼapproccio focale,

tipico della conoscenza esplicita. Ma noi possiamo anche essere consapevoli di

questi dettagli in maniera comprensiva, cogliendo la loro partecipazione ad

unʼentità più ampia. La nostra attenzione si rivolge oltre questi dettagli, allʼentità

che questi contribuiscono a comporre. Questo differente tipo di attenzione è tipico

della conoscenza tacita.6

La conoscenza scientifica si rivela dunque oggetto tendenzialmente più complesso e articolato rispetto a un contenuto tradizionalmente inteso come prodotto finito di unʼattività produttrice. La questione dei canali e dei veicoli di questa forma di comunicazione si rivela dunque cruciale, non solo in funzione della pubblicazione dei risultati della ricerca, ma appunto

66 Ivi, p. 164.

in rapporto al migliore svolgimento dellʼattività scientifica nel suo complesso.7

Per il percorso che si intende qui tracciare, il discorso potrebbe essere declinato nei termini di comunicazione scientifica, tra diffusione di contenuti e accesso ai contenuti:

Il concetto di diffusione fa perno sulla trasmissione lineare di informazione, e si

accorda con unʼesigenza di specializzazione. Trasmissione è uno dei significati di

comunicazione. Lʼinteresse nella diffusione/trasmissione implica il proposito di

raggiungere particolari soggetti o profili di utente, nel nostro caso lettori ed autori

entro una comunità scientifica.

Il concetto di accesso presta maggiore rilievo alla comunicazione in quanto

condivisione di risultati, e fa riferimento non tanto allʼinteresse di un membro della

comunità scientifica di indirizzare il suo lavoro agli altri componenti, quanto alla

possibilità che un individuo interno od esterno ad una particolare comunità

scientifica sia parte attiva nel processo di creazione e sviluppo delle conoscenze e,

conseguentemente, di controllo e verifica.8

Occorre dunque considerare sulla base di queste premesse il quadro di quella particolare area dellʼeditoria, quella scientifica, che media e veicola i prodotti della ricerca e in generale dellʼavanzamento della scienza.

Giuseppe Vitiello individua «sostanzialmente» sei tipologie di «prodotti della comunicazione scientifica» (con lʼimportante specificazione di «scritta», fino a oggi più tipicamente oggetto della mediazione editoriale): «innanzitutto la monografia e il periodico, e poi gli atti dei congressi, le tesi, i rapporti di ricerca e, in alcune discipline come la fisica, i preprint (oggi completamente soppiantati dagli e-print)».9 E «sebbene nel campo delle scienze umane e sociali la monografia rappresenti spesso il momento culminante della carriera di un universitario, il periodico è il

7

7 In questo senso ancora Valente e Luzi introducono una discussione (come si vedrà, poi ampiamente svolta e parzialmente verificata anche attraverso le innovazioni introdotte negli anni successivi alla pubblicazione che si cita) sul possibile ruolo della rete telematica come mezzo di diffusione dellʼuna e dellʼaltra forma di conoscenza: cfr. ivi, pp. 164-166.

8 A. Valente, Trasmissione ed accesso alle pubblicazioni scientifiche: evoluzione storica di teorie e pratiche, in Id. (a c. di), Trasmissione dʼélite o accesso alle conoscenze?, cit., p. 30.

9 G. Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, cit., p. 38.

supporto più significativo del segmento STM [Scientifico, tecnico e medico], sia per tempestività di diffusione, sia per incidenza sul mercato della comunicazione scientifica».10

Per ciascuna di queste tipologie di prodotto, occorrerebbe (e più avanti occorrerà) descrivere le scelte compiute dai diversi marchi editoriali, indicare gli aspetti tecnici legati alla loro produzione e diffusione, ragionare sulle prospettive offerte dai diversi canali (con lʼormai fondamentale dualismo carta stampata - supporto digitale) di lavoro editoriale. Ma lʼargomento principe a proposito della comunicazione scientifica – che anzi raccoglie in sé e poi modifica la riflessione su questi ultimi elementi, e in cui si condensano gli elementi problematici contenuti nelle linee teoriche sin qui esposte – riguarda quello che potrebbe essere definito come il problema delle «delle barriere erette in nome della proprietà intellettuale».11

È il tema, oggi ineludibile e stimolante, sollevato dal «movimento dellʼ“accesso aperto” nellʼeditoria e delle iniziative di varie istituzioni, pubbliche o non-profit, volte a contrastare lʼegemonia delle multinazionali del sapere nel sistema di comunicazione scientifica».12 Il principio alla base di questa linea, in cui sono trasparenti gli elementi di interesse sociale e politico, è quello della sottrazione alle leggi del mercato dei frutti della ricerca scientifica, per garantire, appunto attraverso lʼaccesso aperto, il principio delle «pari opportunità nelle aree dellʼeducazione e della formazione»: «che cosa rivendicano i promotori del movimento? La necessità di una vasta, capillare e accessibile ricezione dei risultati della ricerca “consolidata” attraverso la sua diffusione gratuita o a prezzi equi».13

8

10 Ivi, p. 39.

11 Così si fa anche in ivi, p. 37.

12 Ibidem.

13 Ivi, pp. 37, 38.

2. Lʼaccesso aperto

«Per accesso aperto alla letteratura scientifica si intende un sistema editoriale fondato su Internet che mira ad abbattere le barriere economiche, giuridiche e tecnologiche».14 Da un lato, lʼaccesso aperto restituisce allʼ«autore la possibilità di pubblicare e ripubblicare in più sedi editoriali e luoghi digitali (archivi istituzionali e disciplinari) la propria opera e dunque estendendo la propria libertà scientifica».15 Dallʼaltro, lʼobiettivo è quello dellʼaccesso libero alle pubblicazioni scientifiche e culturali, da parte di studiosi e ricercatori, richiudendo in maniera virtuosa il cerchio della comunicazione scientifica.

Le radici di questa linea di riflessione, naturalmente, affondano nei fenomeni di diffusione e consolidamento dei mezzi informatici degli ultimi decenni del Novecento:

Negli Stati Uniti si comincia a parlare di archivi aperti sin dagli anni Novanta:

collezioni a libero accesso ospitate nei server di università o istituti raccolgono i

risultati delle ricerche in corso o concluse. Nel 1991 Paul Ginsparg apre agli

studiosi di tutto il mondo il server in cui sono depositati pre-print relativi alla fisica e

alla matematica [il riferimento è allʼarchivio disciplinare arXiv, sviluppato presso il

Los Alamos National Laboratory]; nel 1994 Stevan Harnad propone

lʼautoarchiviazione di contenuti: si comincia così a distinguere gli archivi

istituzionali, promossi e gestiti da enti interessati a rendere pubblici i risultati della

ricerca, da quelli disciplinari, afferenti appunto a singole discipline.16

Ancora alla fine degli anni Novanta, risalgono i primi frutti tecnologici e formali dellʼiniziativa.

Nellʼottobre 1999 nasce lʼOAI, Open Archive Initiative, che crea le basi

tecnologiche indispensabili per il movimento dellʼaccesso aperto: lʼutilizzo

dellʼOpen Archives Metadata Harvesting Protocol (protocollo MHP, più

9

14 Roberto Caso, La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, 2014, p. 5. http://eprints.biblio.unitn.it/4257/1/LawTech_RP_18_Caso.pdf.

15 Ivi, p. 32.

16 Giulia Caldara, Mercato e tendenze dellʼeditoria universitaria nellʼultimo decennio, in corso di pubblicazione in L'officina dei libri 2014, Milano, Unicopli.

comunemente detto OAI) permette la ricerca simultanea in più depositi, rendendo

le collezioni elettroniche interoperabili tra loro.17

Il movimento consolida le proprie ragioni teoriche in tre grandi dichiarazioni fondative. La prima è quella di Budapest, del 2002.18

An old tradition and a new technology have converged to make possible an

unprecedented public good. The old tradition is the willingness of scientists and

scholars to publish the fruits of their research in scholarly journals without payment,

for the sake of inquiry and knowledge. The new technology is the internet. The

public good they make possible is the world-wide electronic distribution of the peer-

reviewed journal literature and completely free and unrestricted access to it by all

scientists, scholars, teachers, students, and other curious minds. Removing access

barriers to this literature will accelerate research, enrich education, share the

learning of the rich with the poor and the poor with the rich, make this literature as

useful as it can be, and lay the foundation for uniting humanity in a common

intellectual conversation and quest for knowledge.

Sulla base di una chiara intenzione politica, come emerge dalla fine di questo frammento, la dichiarazione indica la via della rimozione di quelle che definisce «barriere dʼaccesso» alla letteratura scientifica. Questa apertura mira allʼ«accelerazione della ricerca» e allʼarricchimento dellʼeducazione. Questi propositi sembrano incontrare, e fornire una risposta, ai primi elementi problematici sopra individuati: quelli di una circolazione altrimenti interrotta, o appunto rallentata, del sapere scientifico, che invece dovrebbe autoalimentarsi, nutrendo e consentendo lʼattività di ricerca (interessante tuttavia il riferimento, oltre che a «scientists, scholars, teachers, students», anche a «other curious minds», che suggerisce unʼidea anche di diffusione a più largo raggio di un sapere che rimanga patrimonio pubblico). In primo piano, infine, il riferimento al mezzo elettronico e alle sue potenzialità.

Ancora nel merito della comunicazione scientifica, delle sue peculiarità e delle sue esigenze, nella dichiarazione di Budapest si sostiene che:

10

17 Ibidem.

18 Il testo è leggibile in http://www.budapestopenaccessinitiative.org/read. Lo si riporta in appendice.

open access is economically feasible, [...] it gives readers extraordinary power

to find and make use of relevant literature, and [...] it gives authors and their works

vast and measurable new visibility, readership, and impact.

Visibilità e impatto, come noto, sono tra i fattori cruciali della comunicazione scientifica e (come poi si dirà) accademica; essi da un lato potrebbero godere di grandi benefici dal ricorso allʼaccesso aperto, ma dallʼaltro sono oggi paradossalmente un freno, come si vedrà, alla sua affermazione.

Evidenti, infine, anche le implicazioni economiche:

While  the peer-reviewed journal literature should be accessible online without

cost to readers, it is not costless to produce. However, experiments show that the

overall costs of providing open access to this literature are far lower than the costs

of traditional forms of dissemination. With such an opportunity to save money and

expand the scope of dissemination at the same time, there is today a strong

incentive for professional associations, universities, libraries, foundations, and

others to embrace open access as a means of advancing their missions. Achieving

open access will require new cost recovery models and financing mechanisms, but

the significantly lower overall cost of dissemination is a reason to be confident that

the goal is attainable and not merely preferable or utopian.

Dopo Budapest, unʼaltra tappa nella fondazione dei principi del movimento dellʼaccesso aperto è stata segnata dalla dichiarazione di Bethesda.19 In primo piano, ancora, lʼesigenza di favorire una più rapida e fluida circolazione del sapere scientifico, con vantaggi – ancora per vie delle premesse teoriche sopra discusse –20 per lo sviluppo della ricerca.

The purpose of this document is to stimulate discussion within the biomedical

research community on how to proceed, as rapidly as possible, to the widely held

goal of providing open access to the primary scientific literature. Our goal was to

agree on significant, concrete steps that all relevant parties —the organizations

that foster and support scientific research, the scientists that generate the research

results, the publishers who facilitate the peer-review and distribution of results of

11

19 http://legacy.earlham.edu/~peters/fos/bethesda.htm e in appendice.

20 Nella dichiarazione esplicitamente si afferma: «We recognize that publishing is a fundamental part of the research process, and the costs of publishing are a fundamental cost of doing research».

the research, and the scientists, librarians and other who depend on access to this

knowledge— can take to promote the rapid and efficient transition to open access

publishing.

A questo scopo, lʼindicazione è per pubblicazioni aperte, accessibili e reperibili attraverso lʼimpiego di formati standard (argomento su cui si tornerà in seguito) e riconoscibili:

An Open Access Publication is one that meets the following two conditions:

1. The author(s) and copyright holder(s) grant(s) to all users a free, irrevocable,

worldwide, perpetual right of access to, and a license to copy, use, distribute,

transmit and display the work publicly and to make and distribute derivative

works, in any digital medium for any responsible purpose, subject to proper

attribution of authorship, as well as the right to make small numbers of printed

copies for their personal use.

2. A complete version of the work and all supplemental materials, including a

copy of the permission as stated above, in a suitable standard electronic format

is deposited immediately upon initial publication in at least one online repository

that is supported by an academic institution, scholarly society, government

agency, or other well-established organization that seeks to enable open

access, unrestricted distribution, interoperability, and long-term archiving (for the

biomedical sciences, PubMed Central is such a repository).

La dichiarazione di Berlino21 segna la terza, e più aggiornata, messa a punto teorica del movimento dellʼaccesso aperto.

For the first time ever, the Internet now offers the chance to constitute a global

and interactive representation of human knowledge, including cultural heritage and

the guarantee of worldwide access.

Alla base, si riafferma unʼintenzione etica e politica:

Our mission of disseminating knowledge is only half complete if the information

is not made widely and readily available to society. New possibilities of knowledge

dissemination not only through the classical form but also and increasingly through

the open access paradigm via the Internet have to be supported. We define open

access as a comprehensive source of human knowledge and cultural heritage that

has been approved by the scientific community.

1221 http://openaccess.mpg.de/286432/Berlin-Declaration e in appendice.

In order to realize the vision of a global and accessible representation of

knowledge, the future Web has to be sustainable, interactive, and transparent.

Content and software tools must be openly accessible and compatible.

Così, nella dichiarazione di Berlino, si definisce una pubblicazione ad accesso aperto:

Open access contributions must satisfy two conditions:

1. The author(s) and right holder(s) of such contributions grant(s) to all users a

free, irrevocable, worldwide, right of access to, and a license to copy, use,

distribute, transmit and display the work publicly and to make and distribute

derivative works, in any digital medium for any responsible purpose, subject to

proper attribution of authorship (community standards, will continue to provide

the mechanism for enforcement of proper attribution and responsible use of the

published work, as they do now), as well as the right to make small numbers of

printed copies for their personal use.

2. A complete version of the work and all supplemental materials, including a

copy of the permission as stated above, in an appropriate standard electronic

format is deposited (and thus published) in at least one online repository using

suitable technical standards (such as the Open Archive definitions) that is

supported and maintained by an academic institution, scholarly society,

government agency, or other well-established organization that seeks to enable

open access, unrestricted distribution, inter operability, and long-term archiving.

Caso osserva che:

In base a questa nozione, il cuore giuridico dellʼaccesso aperto è costituito dalla

concessione di alcuni fondamentali facoltà del diritto dʼautore al pubblico mediante

contratto, cioè tramite licenza di autorizzazione gratuita, irrevocabile e universale. Il

fascio dei diritti economici più rilevanti riguarda il formato digitale e consiste nel

diritto di riproduzione, utilizzo, distribuzione, trasmissione, esibizione in pubblico

nonché nel diritto di produzione e distribuzione di opere derivate. La concessione

dellʼautorizzazione è subordinata al rispetto del diritto di paternità. È altresì

concesso il diritto di riprodurre una quantità limitata di copie stampate per uso

personale.22

Lo sviluppo di una prospettiva giuridica nei confronti del tema dellʼaccesso aperto sembra un fatto fondamentale, per affrancare le idee

1322 R. Caso, La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, cit., pp. 9-10.

fondamentali del movimento da una pura rivendicazione, con quale aspetto utopico, e farne una base per rinnovare la riflessione sulla comunicazione scientifica e, come poi si vedrà, sullʼeditoria universitaria, tra limiti e rigidità obiettivamente da superare, ed esigenze di fondo da salvaguardare. Prima tra tutte, quella della riconoscibilità (da cui dipende la possibilità di corretta conservazione e durata), per evitare di fare decadere il concetto di apertura in una babelica accumulazione di materiali alla fine indistinguibili:

Nella Dichiarazione di Berlino lʼinterazione tra regole giuridiche e regole

tecnologiche è centrale. Imprescindibile risulta il ricorso agli archivi che rispondano

a standard tecnici adeguati e che abbiano come finalità, tra lʼaltro, lʼinteroperabiltà

e la conservazione a lungo termine. La Dichiarazione di Berlino non indica uno

standard, ma nel nominare a titolo esemplificativo gli Open Archives allude allo

standard Open Archives Initiative (OAI) Protocol for Metadata Harvesting (PMH)

nato nel 2001 allo scopo di rendere interoperabili gli archivi.23

Da qui la necessità di unʼapprofondita riflessione sulle norme e sulle modalità di applicazione delle linee teoriche impostate nelle dichiarazioni. Tra i frutti, ad esempio, la nota distinzione tra una gold road allʼaccesso aperto (la pubblicazione di periodici scientifici ad accesso aperto) e una green road (pubblicazione o autoarchiviazione su repertori ad accesso aperto di prodotti già referati).24

Precisazioni teoriche e giuridiche che hanno portato lʼaccesso aperto allʼattenzione degli organi istituzionali. Ci si limita qui a citare il caso dellʼUnione Europea:

la Commissione UE ha sviluppato a partire dal 2006 unʼarticolata politica a

favore dellʼapertura applicandola ai propri programmi di ricerca (FP7 e Horizon

2020) e chiedendo agli Stati membri di attuare precise misure a favore dellʼOA

(gold e green) e degli open data.25

14

23 Ivi, p.10.

24 Su questi argomenti, e sulle applicazioni in diversi paesi, si veda ancora la dettagliata esposizione di Caso in La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, cit.

25 Ivi, p. 24.

Recente la ricezione di questi principi nel corpo legislativo italiano.26 Ciò nonostante non mancano le resistenze:

Non è solo una parte dellʼeditoria (non tutta!) a guardare con diffidenza

allʼaccesso aperto, ma è soprattutto una porzione (consistente) del mondo

scientifico a essere pervicacemente attaccata al sistema tradizionale di

pubblicazione.27

In larga parte, dunque, lʼapplicazione – opportunamente normata – dei principi dellʼaccesso aperto è ancora da rubricare almeno tra i lavori in corso del mondo scientifico italiano.

Le implicazioni teoriche e legislative, dʼaltra parte, procedono in rapporto di reciproca influenza con lo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche impiegate dalla comunicazione, e quindi, a sua volta, dallʼeditoria scientifica. Mentre da un lato i prodotti della comunicazione scientifica sopra citati, se considerati nellʼottica dellʼeditoria maggiore e di più lungo corso, rimandano allʼidea di oggetti più tradizionalmente codificati,28 dallʼaltro lato la linea dellʼaccesso aperto approfondisce le possibilità offerte dal veicolo digitale, ad esempio nella costituzione di archivi, come poi si vedrà; questi, in alcuni casi cresciuti fino alle dimensioni di depositi mondiali di pubblicazioni elettroniche, sono tra i prodotti più importanti delle direzioni di lavoro intraprese negli ultimi anni.

Mentre, da un lato, si è visto il movimento dellʼacceso aperto essere oggi in pieno sviluppo, dallʼaltro non mancano dunque dubbi, talvolta

15

26 Cfr. ivi da p. 26.

27 Ivi, p. 29.

28 Ciò però non significa un ritardo dellʼeditoria commerciale rispetto ai “nuovi” promotori dellʼaccesso aperto. Lo stesso Vitellio specifica che «il circuito commerciale dellʼeditoria STM (Scientifica, tecnica e medica) trova spesso nella sua stessa complessità uno stimolo di innovazione; gli editori contro cui il movimento per lʼaccesso aperto indirizza la sua battaglia rappresentano unʼimprenditoria estremamente abile e lungimirante, che ha saputo sfruttare al meglio il vantaggio tecnologico e applicarlo in modelli di business esemplari, vivi ancor oggi nonostante il crollo della “nuova” economia e la caduta in borsa dei titoli tecnologici. Se è in crisi il modello di comunicazione scientifica, non lo è certamente il suo mercato, dove sembra trionfare il mito schumpeteriano dellʼimprenditore che primeggia nellʼinnovazione – di prodotti, metodi di produzione, stili organizzativi, nuovi mercati e fonti di approvvigionamento» (G. Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, cit., p. 38).

resistenze, o infine proposte di percorsi nel mercato dellʼeditoria scientifica che non sposano la causa dellʼaccesso aperto.

In unʼanalisi – risalente a una decina di anni fa – Giuseppe Vitellio tentava una sorta di embrionale sistematizzazione storica del fenomeno dellʼaccesso aperto, in rapporto al mercato editoriale e allʼattività delle biblioteche; se ne traggono alcuni elementi che danno lʼidea delle origini del quadro attuale dellʼeditoria scientifica e universitaria, specialmente italiana, di cui si parlerà in seguito. Fin da subito, si crea una divaricazione tra le ragioni di mercato e quelle di un libero accesso al patrimonio della conoscenza:

Mentre gli editori29 coglievano le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e

modificavano drasticamente linea di prodotti, concetti organizzativi, modelli di

business e schemi tariffari procedendo inoltre alla digitalizzazione della quasi

totalità delle loro pubblicazioni, la comunità di ricerca vedeva in Internet lʼoccasione

storica per ripensare su nuove basi il paradigma della comunicazione scientifica e

sovvertire i “fondamentali” del suo mercato.

Si intravvedono, neppure troppo velate, le ragioni politiche sopra dette:

Con la parola dʼordine “restituiamo la scienza agli scienziati”, i sostenitori del

modello alternativo denunciavano i limiti del sistema corrente: un flusso di

produzione farraginoso, che dilatava oltremisura i tempi di pubblicazione; un

sistema di peer-reviewing poco affidabile; il finanziamento assicurato in toto dalla

comunità di ricerca, sia nella fase di produzione (sovvenzione della ricerca) che in

quella della distribuzione (acquisti delle biblioteche universitarie).30 Queste

recriminazioni erano accompagnate da una preoccupazione politica e un calcolo

economico. Da un lato, lʼintegrazione verticale tra fornitori di contenuto e

distributori così come la concentrazione della proprietà dei marchi in pochi gruppi

16

29 Si precisa che qui, Vitellio, fa riferimento ai grandi gruppi editoriali internazionali, mediatori di enormi patrimoni contenutistici. Unʼidea di questi attori del mercato editoriali si ricava dallo stesso articolo di Vitellio che si sta qui citando, in particolare alle pp. 43-46. Una concezioni di editoria parzialmente lontana da quella praticata in Italia. Lo stesso studioso indica che la produzione scientifica italiana, «ancorché ricca di contributi, rimane inevitabilmente periferica rispetto al flusso di scoperte che ogni giorno vengono disseminate dalle meglio dotate infrastrutture editoriali di altri paesi». Egli non rinunci però a indicare le potenzialità positive offerte in questo senso dal movimento degli archivi aperti (ivi, p. 38).

30 Si osservi qui, per inciso, fino a che punto il dato della circolarità della comunicazione, e quindi dellʼeditoria scientifica, si riveli problematico e fecondo di riflessioni.

ispiravano il timore di un “mondo nuovo” scientifico dove, come accade per la

produzione della ricerca, anche la diffusione dei suoi risultati rischiava di essere

asservita unicamente a interessi commerciali. [...] Il calcolo economico era fondato

invece sulla presunzione che una pubblicazione elettronica dovesse essere

necessariamente meno costosa di quella a stampa.31

Forte dei primi incoraggianti risultati,32 il «movimento si sviluppava su tre fronti – tecnologico, editoriale e politico-istituzionale – con lʼobiettivo di fare avanzare risolutamente la catena di comunicazione scientifica verso un ulteriore grado di disintermediazione, assumendo in proprio la funzione editoriale e comunicando direttamente con i loro utenti».33 Ad esempio, lʼautoarchiviazione delle opere, eseguita dagli autori stessi in depositi liberamente accessibili, ha ricevuto grande impulso dalla creazione del lʼOpen Archives Metadata Harvesting Protocol (MHP), che agevola le ricerche degli utenti degli archivi di e-print. Non sono, accanto a ciò, mancate esperienze di periodici ad accesso aperto, concepiti in concorrenza con quelli commerciali.

I consensi diretti a questo fenomeno sono stati ampi. Ciò nonostante, osserva Vitiello, in consonanza con quanto scritto da Caso, «la comunità accademica permane nelle sue vecchie abitudini e non si sono ancora verificate le sperate migrazioni in massa verso lʼuniverso ad accesso aperto».34 È troppo alto, infatti, lʼinteresse dei produttori di contenuti scientifici, a pubblicare su riviste prestigiose, anche in termini di Impact

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31 G. Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, cit., pp. 46-47.

32 Si pensi ancora, nel campo della fisica, al citato caso di ArXiv, il deposito di e-print legato al centro di ricerca di Los Alamos.

33 Ivi, p. 47.

34 Ivi, p. 48.

Factor.35 «Dʼaltra parte – conclude Vitiello –, malgrado gli innegabili successi, i limiti del movimento alternativo rimangono evidenti. Dopo un quinquennio di sperimentazioni, manca ancora una massa critica di contenuto inserito nella comunicazione scientifica “ufficiale”, selezionata e valutata dallʼImpact Factor e dai servizi di abstracting e indexing».36 Il campo, dunque, è aperto agli sviluppi in corso.37

18

35 Utile in questo senso lʼosservazione di Roberto Caso, che anticipa alcuni elementi della prossima riflessione sullʼeditoria universitaria in Italia: «La posizione di forza [dei grandi editoria commerciali] dipende innanzitutto da ragioni che attengono al sistema di valutazione delle pubblicazioni scientifiche. Gli scienziati vogliono pubblicare solo nelle sedi editoriali di “maggior prestigio”, le biblioteche non possono acquistare tutte le pubblicazioni e devono concentrare i propri investimenti solo su quelle con reputazione più elevata. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle aree scientifiche che fanno uso di periodici e di indici bibliometrici (come lʼImpact Factor), ma riguarda anche i settori, operanti nellʼarea delle scienze umane e sociali, che non adoperano la bibliometria. Queste caratteristiche del mercato si saldano allʼesclusività del diritto dʼautore sulle pubblicazioni. Il titolare del diritto dʼautore cede – generalmente: senza previa negoziazione – in esclusiva i diritti patrimoniali allʼeditore che li commercializza. Una volta effettuata la cessione dei diritti, lʼautore non può ripubblicare lʼopera presso altre sedi editoriali senza lʼautorizzazione dellʼeditore. Lʼinterazione tra valutazione e diritto dʼautore eleva barriere allʼentrata del mercato alimentando il potere oligopolistico in capo a un numero limitato di editori. Tale interazione genera una serie di problemi, il più evidente dei quali è la crescita esponenziale del prezzo dei periodici scientifici (c.d. serial crisis) determinatasi negli ultimi decenni. In buona sostanza, la spesa per lʼacquisto dei periodici scientifici è divenuta sempre meno sostenibile per le istituzioni di ricerca, mentre i profitti dei grandi gruppi editoriali crescono progressivamente» (Roberto Caso, La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, cit., pp. 2-3).

36 G. Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, cit., p. 48.

37 «Riuscirà il movimento, con la sua filosofia volontaristica, comunitaria e di condivisione delle risorse, con attori che viaggiano a diverse velocità senza una politica unitaria e con finanziamenti irregolari, a tenere in futuro il passo e a influenzare la catena di comunicazione commerciale, mossa dal profitto, dallʼefficacia provata di un modello di business e da una visione imprenditoriale globalizzante? Le posizioni divergono: cʼè chi si propone di scardinare il modello commerciale, attaccandolo frontalmente attraverso lʼofferta in libero accesso, e cʼè chi invece ritiene che lʼimpostazione commerciale sia sostanzialmente sana, ma che vadano raddrizzate alcune delle sue storture (in particolare, lʼaumento dei prezzi delle riviste e lʼassolutizzazione dellʼImpact Factor come strumento di valutazione del contenuto e di controllo della qualità)» (Ibidem).

Lʼeditoria universitaria in Italia

Lʼeditoria scientifica vive dunque ancora questo tempo di possibilità: alcune già battute, alcune esplicitamente rifiutate, altre non adeguatamente esplorate e sfruttate. E lʼeditoria legata alla ricerca e alla didattica universitarie, specialmente in Italia, costituisce un osservatorio particolarmente interessante di questi fenomeni.

Parlando di università e di canali di pubblicazione rivolti al mondo accademico, occorre naturalmente tenere in conto lʼesistenza – in queste istituzioni – di una seconda area di attività, accanto a quella della ricerca scientifica: quella della didattica. Rispetto al discorso sin qui condotto, è dunque ora necessario dare per intesa la presenza di un nuovo attore in questo campo della comunicazione editoriale: lo studente, in posizione di fruitore, o acquirente (allʼinterno di una logica commerciale). Pur essendo evidente la differenza di ruolo, assunto nel discorso che qui si conduce, da parte dei ricercatori (fruitori dei prodotti della conoscenza, ma in funzione di un loro ruolo di produttori della conoscenza stessa) da un lato, e dallʼaltro da parte degli studenti (fruitori dei prodotti della conoscenza per unʼesigenza formativa propria, non necessariamente intesa in funzione di un ruolo attivo nella produzione di altro sapere),38 tutto ciò non sembra contravvenire al principio della circolarità della comunicazione scientifica, anche in ambito universitario, sopra descritto. Essendo di certo quella didattica una ragione interna allʼistituzione universitaria, sembra – almeno in linea teorica – possibile confermare la rappresentazione della comunicazione scientifica nei termini di: un sapere prodotto dalla comunità scientifica universitaria, ceduto a un attore (con funzione di mediatore

19

38 In realtà, la produzione delle tesi di laurea e di dottorato costituisce un patrimonio potenziale ed enorme di sapere e di informazioni, sovente nei termini di esplorazioni preliminari di aree altrimenti poco mappate. Un patrimonio che, a buon diritto, dovrebbe essere considerato come uno dei frutti almeno quantitativamente principali – le disomogeneità qualitative potrebbero dʼaltra parte essere ovviate con una corretta intesa, da parte degli eventuali fruitori, dei caratteri di provvisorietà e dei limiti propri della forma testuale tesi – della produzione scientifica legata alla didattica universitaria. Per questo, come si vedrà, le possibilità di archiviazione e messa in rete offerte dagli archivi istituzionali digitali, sembrano suggerire interessanti opportunità nei termini della conservazione, e soprattutto dellʼaccesso, a tale patrimonio.

editoriale) esterno (spesso di natura commerciale), destinato ad essere riacquistato da fruitori impegnati (per il proprio percorso di studi) allʼinterno o almeno in rapporto diretto con lʼistituzione produttrice originaria. Confermata la rappresentazione del quadro generale, sembra dunque possibile confermare gli eventuali elementi di criticità precedentemente indicati. In rapporto alla didattica, meno legati al corretto processo delle ricerca scientifica, e più inerenti a temi come lʼaccessibilità e il pieno esercizio dellʼattività di diffusione culturale propria dellʼuniversità, soprattutto in quanto istituzione pubblica.

Ciò detto, unʼosservazione preliminare (per ora direttamente assunta dal campo delle impressioni), che si vorrebbe tenere sullo sfondo del discorso come punto problematico, per approdare infine a una sua possibile chiave di lettura. Uno studente recentemente o ultimamente laureato avrà una buona nozione degli e-book e delle loro caratteristiche; conoscerà, almeno superficialmente, lʼesistenza di archivi istituzionali dei prodotti della ricerca; avrà però compiuto ampia parte del proprio percorso di studi impiegando prodotti passati attraverso la mediazione del mercato editoriale tradizionale.

Rivolgere ora lo sguardo più direttamente allʼeditoria universitaria, comporta dunque ripartire dal tema della circolarità della comunicazione scientifica. Il primo anello della «comunicazione editoriale universitaria» – secondo lʼespressione di Vitiello – è «lʼautore, e più in particolare il ricercatore inquadrato in una struttura, università o altro organismo, la quale finanzia, orienta e sostiene le sue ricerche. Si tratta del primo, ma anche dellʼultimo anello, giacché lʼautore, nelle sue vesti di ricercatore, docente, relatore e intellettuale, orienta o influenza le scelte di lettura degli studenti».39 Per altro verso, il discorso potrebbe essere impostato nei termini di circolazione di contenuti editoriali allʼinterno di una comunità: la letteratura scientifica di ambito universitario è un «tipo di prodotto culturale

20

39 G. Vitiello, Lʼeditoria universitaria in Italia. La mobile frontiera tra iniziative private e intervento pubblico, diritto dʼautore e accesso aperto, in «Biblioteche oggi», aprile 2005, p. 35.

che si rivolge a un pubblico di lettori ridotto, a unʼélite, spesso a una comunità di cui, lʼautore stesso, fa parte».40

Con ciò, si ripresentano qui gli elementi problematici sopra individuati: il tema dellʼopportunità di passare, per questa forma di mediazione, attraverso attori esterni di natura mercantile; e lʼesistenza, forse più tipica delle forme di comunicazione circolari o interne a un ambiente circoscritto, di elementi impliciti (si è fatto sopra riferimento al concetto di conoscenza tacita), ma non per questo meno rilevanti.

21

40 Barbara Bechelloni, Università di carta. Lʼeditoria accademica nella società della conoscenza, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 86.

1. Pubblicazione, capitale simbolico, legittimazione

Bechelloni suggerisce infatti che «la letteratura scientifica non ha solo uno scopo di comunicazione, ma prima di tutto di testimonianza. Il fatto stesso che la pubblicazione viene stampata, comprata e messa in circolazione, anche se in un micro-contesto, è un elemento a volte più importante della quantità effettiva dei lettori di tale pubblicazione».41 Nel mondo universitario, in particolare, questo concetto assume particolare importanza, nei termini di riconoscimento. La studiosa propone dunque lʼapplicazione del concetto di campo, elaborato da Pierre Bourdieu, allʼeditoria.42 Nellʼeditoria accademica, dunque, il capitale simbolico associato a una pubblicazione è elemento di primaria importanza,43 che deve essere tenuto in considerazione anche per studiare e interpretare le scelte compiute in questa particolare area della mediazione editoriale. Bechelloni dà unʼidea – con uno sguardo a uno scenario di respiro ancora internazionale –44 del processo e, appunto, delle sue implicazioni:

il potere simbolico, soprattutto nellʼambito dellʼeditoria accademica, non deriva

esclusivamente dal volume degli affari e quindi da elementi di carattere economico.

In questo campo uno degli elementi più importanti è la “qualità” della lista, del

catalogo delle pubblicazioni in specifiche aree, certificata principalmente dalla

qualità e dalla notorietà degli autori e dei libri. Intuitivo sottolineare che un editore

deve cercare di pubblicare, per aumentare il suo capitale simbolico, autori che

hanno già ottenuto importanti riconoscimenti in campo accademico. Altro capitale

simbolico può venire di riflesso dalle istituzioni alle quali fanno riferimento.45

Guadagnato per questa via da parte dellʼattore editoriale, questa forma di capitale è a sua volta oggetto di interesse da parte degli autori: «alcune di queste case editrici hanno una sufficiente quantità di capitale simbolico

22

41 Ivi, p. 88.

42 Cfr. ivi, p. 136, laddove si indica lʼesistenza e le caratteristiche dei capitali economico, umano, simbolico e intellettuale.

43 Ivi, p. 138.

44 Citare i casi della Oxford e della Cambridge University Press dà la misura dellʼidea di prestigio che regola il meccanismo che qui si descrive.

45 Ivi, p. 150.

da consentir loro di lottare per ottenere autori e contenuti di successo».46 E da farne una sede desiderata da parte di molti altri studiosi, in cerca non solo di un veicolo di comunicazione dei loro prodotti, ma pure di un attributo di legittimazione.47

Questo meccanismo, notoriamente e tradizionalmente tipico dellʼattività accademica,48 è così illustrato da Vitiello. Egli, operata unʼopportuna distinzione tra il settore delle scienze pure/dure e quello delle scienze pure/morbide (a cui corrispondono atteggiamenti in parte diversi anche rispetto alla comunicazione scientifica e quindi alla pubblicazione dei risultati delle ricerche),49 spiega che «la carriera del ricercatore scientifico trova un momento dʼelezione nella scelta della rivista in cui pubblicare il lavoro di ricerca». A questo punto, il discorso di Vitiello tocca lʼelemento della ricerca di legittimazione, da parte del ricercatore, come sopra indicato:

Il suo atteggiamento può essere “passivo”, se la scelta è orientata verso una

rivista che gode al momento del massimo Impact Factor, “attivamente analitico”, se

invece tiene in considerazione i trend futuri dellʼIF della rivista, e

“prospettiva” (tesa, cioè, verso un traguardo di carriera), se si indirizza verso riviste

estremamente specializzate in cui può esprimere con compiutezza il proprio

pensiero e, dunque, avere maggiori speranze di essere citato in futuro. I ricercatori

si comporterebbero insomma come piccoli risparmiatori, che investono il proprio

capitale di conoscenze nelle risorse azionarie delle citazioni (“monete della

scienza”, come le ha definite Merton).

Si vede bene, dunque, come la pratica del pubblicare – e della scelta di una sede editoriale – si carichi in questʼambito (e se non soltanto in esso, qui almeno in maniera molto più profonda) di funzioni ulteriori rispetto alla solo esigenza comunicativa.

23

46 Ibidem.

47 «Continua ad essere rilevante il fatto che la pubblicazione delle ricerche svolge due funzioni fondamentali: quella di diffusione e quella di certificazione» (ivi, p. 155).

48 «Tante mutazioni non hanno però alterato le pratiche autoriali (lʼhabitus, direbbe Bourdieu) delle “tribù” accademiche dimoranti nelle università» (G. Vitiello, Lʼeditoria universitaria in Italia, cit., p. 35).

49 Cfr. ivi, pp. 35-36.

Fenomeno, ancora secondo Vitiello, altrettanto visibile nel campo delle scienze umane.

La “biodiversità” del ricercatore nelle scienze umane e sociali si esprime invece

nel ruolo chiave assegnato al caposcuola nella selezione dei temi di ricerca e nella

valutazione dei giovani studiosi. Il capitale proprio di questa tipologia di homo

academicus è sbilanciato verso il simbolico e il culturale, ancor più che verso

lʼeconomico e il sociale, tanto più che per molto tempo e, in una certa misura

ancora oggi, le facoltà umanistiche sono state viste come depositarie di valori

ideali degni di essere trasmessi alle generazioni future.50

Un fatto questo che ha implicazioni immediatamente riconducibili alla storia e alla cultura editoriali.

Particolarmente in Italia, lʼeditoria universitaria in scienze umane e sociali ha

rappresentato nel ventennio 1970-1990 lʼindicatore più rappresentativo

dellʼavanzare, o del regredire, di questa o quella scuola accademica, di questo o

quel raggruppamento disciplinare, e del loro posizionamento allʼinterno

dellʼuniversità. Pubblicare unʼopera presso un editore come Feltrinelli, che nel 1969

affermava che ogni proposta editoriale doveva essere “costantemente terroristica”,

era in qualche modo fare una scelta di campo: un saggista Einaudi, Il Saggiatore o

Guaraldi esprimeva unʼidentità universitaria e una comunità di valori diversa da

quelle di cui si faceva portatore un saggista Garzanti, Astrolabio, o Vita e Pensiero.

Editoria e università vivevano in simbiosi e in tale identità culturale di riferimento

assurta a sistema non era chiaro se fosse la prima a mimare la seconda, o

viceversa.

Una funzione, quella di cui era ed è rivestito, più o meno esplicitamente dallʼatto del pubblicare, che ha avuto e continua ad avere aspetti di primaria importanza.

In Italia, la tardiva apparizione del dottorato di ricerca – istituito nel 1980, ma

diffuso in tutte le facoltà solo verso la fine del decennio – faceva sì che lʼeditoria

periodica venisse a essere, suo malgrado, il luogo di selezione privilegiato delle

future generazioni di ricercatori, al di fuori di ogni logica istituzionale. La laurea e la

pubblicazione di alcuni articoli erano titoli sufficienti per accedere alla carriera

universitaria, a condizione che questi fossero apparsi nella rivista organo di una

scuola egemone di pensiero. Insomma, il responsabile scientifico, nonché

2450 Le citazioni sono da ivi, p. 36.

caposcuola universitario, sta alle scienze umane e sociali come lʼImpact Factor sta

alle riviste internazionali scientifiche, mediche e tecniche.51

Riprendendo il filo dellʼargomentazione, si conferma dunque, anche sulla base di tutto ciò, il fatto che le pubblicazioni accademiche veicolano dunque, insieme al prodotto stesso della ricerca, elementi immateriali legati alle pratiche stesse del mondo universitario e al suo sistema di valori. Questo fatto, unito alle precedenti considerazioni attorno alla comunicazione dei contenuti scientifici come momento stesso del processo di avanzamento degli studi, sembra dunque riproporre, intensificato, il quesito attorno alle ragioni e allʼeffettiva funzionalità dellʼesternalizzazione – da parte di università e di centri di ricerca – della funzione editoriale, incrociando in questo modo a ragioni che sono parte integrante dellʼattività scientifica e accademica, una nuova e – in teoria – altra, quella economica, propria degli attori commerciali del mercato editoriale.

In Italia, per giunta, il quadro dellʼattività editoriale legata al mondo universitario è piuttosto composito. Bechelloni propone un sistema in cui si affiancano tipologie di attori diverse.52 Ci sono gli editori di alta cultura (esemplari i casi di Einaudi e di Laterza), diventati col tempo editori universitari, attraverso lo sviluppo di settori e cataloghi ad hoc in specifiche aree disciplinari. Cʼè poi la galassia dei piccoli o microeditori, finanziati in diverso modo dalle università, la cui funzione editoriale di scelta e selezione passa prevalentemente attraverso lʼuniversità, spesso in via informale. Infine esistono – secondo Bechelloni – editori propriamente universitari: è i l caso delle “University Press allʼitaliana” (come la Firenze University Press), o di editori ibridi (come Il Mulino, editore commerciale votato a unʼattività di diffusione culturale senza fini di lucro).

Giuseppe Vitiello propone a sua volta uno schema delle «case articolate secondo i seguenti profili di imprese»:

25

51 Ivi, p. 37.

52 B. Bechelloni, Università di carta. Lʼeditoria accademica nella società della conoscenza, cit., p. 150.

– unicamente universitaria (ad es. CLUEB, il Mulino);

– mista di testi e di manuali (Cortina, Hoepli ecc.);

– settoriale (Giuffré, CEDAM ecc.);

– editoria universitaria non di vocazione, ma di fatto (Laterza, Einaudi ecc.);

– stretta correlazione tra mercato universitario e formazione professionale (Il

Pensiero scientifico, Masson ecc.).53

Al di là dei possibili criteri di mappatura, si ricava lʼidea di un settore editoriale, in primo luogo, intrecciato con il mercato che, genericamente, definiremo qui di varia: i nomi di Einaudi e Laterza appartengo allʼeditoria (di cultura) tradizionale. In seconda battuta, si potrebbe osservare come il concorso di un grande numero di piccoli attori commerciali – accanto ad alcuni vantaggi e allo sfruttamento di peculiari competenze, come poi si dirà – possa determinare una sorta di dispersione, di parcellizzazione per molti luoghi esterni, per quanto contigui, alla comunità scientifica, di quelle componenti immateriali (il concorso al dibattito scientifico di ogni comunicazione, lʼattributo di legittimazione dei lavori pubblicati) che invece sono o dovrebbero essere – secondo il detto principio della circolarità – funzioni e parti integranti dellʼattività scientifica stessa e dei suoi attori, prime tra tutti le università.

2653 G. Vitiello, Lʼeditoria universitaria in Italia, cit., p. 38.

2. La proprietà del sapere e lʼaccesso

Questo problema andrà – nellʼanalisi delle tipologie editoriali di ambito universitario – considerato tenendo sullo sfondo la più profonda considerazione se, infine, «la conoscenza – questo prodotto così particolare, la cui proprietà distintiva è trasformare saperi e retaggi di saperi in nuovi saperi – sia davvero un bene pubblico».54 La questione, come in parte si è visto, non è soltanto di natura ideale, ma funzionale: il sapere è un bene non escludibile, non rivale, cumulativo.55

Perché possa generare quelle che in economia vengono definite “esternalità

positive”, occorre che la conoscenza sia libera, accessibile a tutti e in modo

illimitato. La rapidità e lʼuniversalità della sua distribuzione facilita il coordinamento

tra gli agenti, diminuisce i rischi di duplicazione dei progetti di ricerca e accresce le

possibilità di scoperte e di invenzioni ulteriori. La circolazione di un bene non rivale

è ottimale quando questo ha natura pubblica: il principio democratico delle pari

opportunità di accesso elimina automaticamente gli agenti inefficienti e permette

che ciascuno realizzi, a suo modo e nelle condizioni più favorevoli, le sistemazioni

più produttive di accumulazione e di combinazioni di conoscenze.56

Attraverso queste considerazioni, si ritorna dunque al dibattito relativo allʼaccesso aperto dei contenuti scientifici. Detto delle ragioni teoriche, politiche e di opportunità funzionale, avviando ora più direttamente la discussione relativa allʼeditoria universitaria, un riferimento andrà fatto alle questioni economiche legate a questʼarea della comunicazione editoriale.

Il problema del costo delle pubblicazioni scientifiche è noto e, da alcuni, fatto oggetto di dettagliata argomentazione. Claudio Giunta solleva il problema, con particolare riferimento alle riviste accademiche, di quanto i prodotti editoriali costino «oggi alla mia università».

27

54 Ivi, p. 34.

55 «La scienza economica riconosce a questo bene, tanto diverso da ogni altra merce, tre caratteristiche. Primo, la conoscenza è un bene non escludibile: una volta che è stata diffusa, tutti possono appropriarsene e sfruttarla a proprio vantaggio (se naturalmente sono in grado di saperla interpretare). Secondo, è un bene non rivale: un beneficiario può cederla ad altri senza perderne lʼuso per averla trasmessa, più beneficiari possono utilizzarla contemporaneamente senza che nessuno ne sia privato. Infine, è un bene cumulativo: un capitale di conoscenza si moltiplica in modo progressivo e, assortendosi in più modi, produce nuove conoscenze» (Ibidem).

56 Ibidem.

Perché dico che questo è il prezzo pagato «oggi dalla mia università» e non

parlo di me o di un altro privato cittadino? Perché – lo chiarisco, caso mai queste

pagine cadessero sotto gli occhi di qualcuno che non è del mestiere – è

ragionevole pensare che ben pochi «privati cittadini» comprino una rivista come

«Studi novecenteschi» o come, per citare altri titoli di altri editori, «Studi di filologia

italiana» o «Studi bizantini»: si tratta di riviste scientifiche, nelle quali cioè vengono

pubblicati saggi scritti da studiosi, cose ad uso interno dellʼaccademia, e che

lʼaccademia, quindi, compra. Lʼaccademia, cioè lʼuniversità: sono riviste che si

trovano esposte nelle biblioteche delle università, o in poche altre biblioteche in

poche altre città italiane.57

Il problema del costo è dunque strettamente intrecciato agli altri sin qui sollevati (si osservi lʼespressione «cose ad uso interno dellʼaccademia»), con tutte le implicazioni teoriche legate alla comunicazione editoriale accademica come parte integrante del processo di avanzamento della conoscenza e dellʼattività accademica stessa. Una questione, dunque, quella economica, che influenza da vicino le possibilità di accesso al patrimonio delle conoscenze.58

Il discorso sui prezzi delle riviste e sui loro aumenti condotto da Giunta si fa quasi paradossale, in rapporto al concetto di sapere come bene pubblico poco sopra indicato:

Questi prezzi e questi aumenti di prezzo non hanno alcuna giustificazione se li

si confronta con quelli delle altre riviste di settore. E vorrei aggiungere – dato che

la cultura accademica dopotutto non appartiene a un continente diverso rispetto a

quello della cultura extra-accademica – che il confronto diventa imbarazzante,

umiliante, se confrontiamo i prezzi di queste riviste con quelli delle riviste-riviste,

quelle che si possono trovare in una buona edicola internazionale o a cui è

possibile (come «Privati», non come «Enti») abbonarsi.59

28

57 Claudio Giunta, Quanto (ci) costa lʼeditoria accademica? Sei mesi dopo, in «La Rivista dei Libri», febbraio 2010; e in www.claudiogiunta.it da cui si cita.

58 «Per tutte queste ragioni – ma in sostanza per una ragione sola: i soldi – la biblioteca dellʼuniversità di Trento ha dovuto disdire alcuni degli abbonamenti alle riviste pubblicate dallʼeditore Fabrizio Serra. È un peccato» (ivi).

59 Ivi.

Il cortocircuito delineato da Giunta è evidente: un bene, un sapere, che – a differenza di altre tipologie di contenuti editoriali – nasce pubblico, compie questo giro largo attraverso il mercato editoriale, per ritornare, in teoria, a disposizione degli studiosi, delle biblioteche e delle università.60 Tammaro ne parla come di un vero e proprio «circolo vizioso», di:

– università che paga il ricercatore e supporta la sua ricerca;

– copyright delle pubblicazioni gratuitamente concesso allʼeditore;

– biblioteche universitarie che di nuovo pagano le pubblicazioni prodotte dalle

università.61

Anche Roberto Caso mette in luce la natura di «paradosso», dal punto di vista economico, di questi caratteri del modello di comunicazione tradizionale:

Lo scienziato non è un autore come un altro. È mosso dallʼincentivo di

accrescere la propria reputazione e non da prospettive di guadagno economico

generato dal mercato dei diritti dʼautore. Il rilievo è confermato dal fatto che lʼautore

scientifico raramente percepisce guadagni dalla commercializzazione della propria

opera. Forme di compenso come la corresponsione di royalties sono previste solo

per alcuni generi letterari: ad es. manualistica, trattatistica e opere divulgative.

A questo primo paradosso se ne aggiunge un secondo. Dalla prospettiva

dellʼautore il sistema si discosta dalle altre forme di editoria. La maggior parte delle

ricerche è finanziate con fondi pubblici. I fondi servono per coprire i costi di

creazione della pubblicazione (in questi devono essere ricompresi anche i costi

legati al referaggio che generalmente viene prestato gratuitamente dagli

scienziati). I diritti dʼautore sulla pubblicazione vengono ceduti gratuitamente in

esclusiva allʼeditore. I diritti di accesso e uso vengono poi acquistati sempre con

fondi pubblici dalle istituzioni di ricerca tramite le proprie biblioteche. In buona

sostanza, lo stato paga due volte lo stesso bene.62

29

60 Riflettendo sulla proliferazione di riviste e testate, lo stesso Giunta nota che alcune «le finanzia lʼeditore, che può contare su un congruo numero di abbonamenti sicuri, quelli delle biblioteche universitarie» (ivi).

61 A.M. Tammaro, Qualità della comunicazione scientifica. 1: Gli inganni dellʼimpact factor e lʼalternativa della biblioteca digitale, in «Biblioteche oggi», settembre 2001, p. 104.

62 R. Caso, La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, cit., p. 2.

E in questo scenario, secondo Giunta, «lʼeditore, dal canto suo, fa il suo mestiere, e cioè tenta di massimizzare i profitti».63 Dunque – e proprio perché siamo ancora allʼinterno di un cortocircuito evidente tra ruoli e ragioni dei soggetti coinvolti – «i primi responsabili – quelli che dovrebbero verificare e, in caso di necessità, intervenire – sono comʼè ovvio, e come risulta dalla loro stessa qualifica, i «direttori responsabili» delle riviste».

Essi sono ovviamente responsabili del contenuto della rivista, della sua qualità

scientifica; ma anche il prezzo a cui la rivista viene venduta è affar loro: non

possono ignorare, infatti, che anche la ʻdisinteressataʼ produzione scientifica ha un

costo, e che questo costo è sostenuto dalle università, cioè per lo più dallo Stato, e

che se tanti soldi vengono spesi per le riviste ne resteranno pochi per tutte le altre

voci di spesa a cui unʼuniversità deve far fronte: dallʼacquisto dei libri al

finanziamento delle borse di dottorato, alle assunzioni di ricercatori e docenti. Non

si può dire che «ci pensa lʼeditore», bisogna che ci pensi prima di tutto chi ha

lʼonore e lʼonere della direzione.64

Alla luce di tutto ciò, Giunta auspica dunque una possibilità di cambiamento:

Solo che le cose potrebbero davvero cambiare, anche indipendentemente dalla

virtù (o meglio, dalla non virtù) dei «direttori responsabili» e degli altri studiosi.

Perché le riviste accademiche rappresentano, se non sbaglio, lʼultimo settore della

vita umana in cui qualcuno (uno studioso) dà qualcosa a qualcun altro (un editore)

perché costui possa venderlo, e farci dei soldi, senza che una lira finisca nelle

tasche del prestatore dʼopera, cioè appunto dello studioso. Il quale studioso,

naturalmente, non si accorge di questa sperequazione, o non gliene importa,

perché alla sua sussistenza ci pensa lʼuniversità, cioè lo Stato, cioè i contribuenti:

la ricompensa per il suo lavoro la riceve più tardi, mediatamente, e chi gliela

garantisce non è lo stesso soggetto che ricava profitti dalla sua scienza.65

La via individuata da Giunta è dunque quella, qui già presa in considerazione, della rete e dellʼaccesso aperto. Un passaggio non

30

63 C. Giunta, Quanto (ci) costa lʼeditoria accademica?, cit.

64 Ivi.

65 Ivi.

automatico,66 ma che appunto suggerisce interessanti possibilità e prospettive.

Ma internet sta semplificando tutto: fare una rivista online non è difficile. Ce ne

sono già, e ce ne saranno sempre di più in futuro, e tutti gli studiosi dovrebbero

orientarsi in questa direzione, per esempio cominciando a pubblicare anche i propri

contributi sulle riviste online, e non solo quelli dei loro studenti. Si chiama open

access: tutto disponibile a tutti, e tutto gratis. Alcune università, come il MIT, hanno

cominciato a chiedere ai loro docenti di mettere in rete, nel sito del loro

dipartimento, i loro articoli, liberamente scaricabili. Perché non fare lo stesso da

noi? E poi ci sono i siti personali. Io ne ho uno, lʼho aperto la scorsa primavera: ci

ho messo i miei vecchi articoli, non soggetti a copyright, e ci metterò i prossimi,

perché tutti possano leggerli. Io non ci guadagno nulla, salvo una specie di

inebriante micro-popolarità (un poʼ più di un migliaio di visite al mese, qualche

complimento, qualche insulto), e gli studenti e i lettori non spendono nulla. Questo

non vuol dire che le riviste, di carta o non di carta, devono sparire. Vuol dire che,

almeno finché le pagano i contribuenti, per meritare di vivere devono avere dei

prezzi ragionevoli.

La questione del costo delle pubblicazioni accademiche – che Giunta affronta polemicamente, mettendo ad ogni modo così in luce lʼoggettiva tortuosità di queste forme di comunicazione scientifica – potrebbe dunque essere assunta come elemento in cui si raccordano tutti gli elementi problematici sin qui indicati: quelli legati allʼattività scientifica che, delegando la comunicazione dei propri risultati ad attori mercantili, finisce con renderne meno fluido lʼaccesso, che pure è parte integrante e nutrimento dello stesso fare scientifico.

Esplicita è in questo senso lʼanalisi di Anna Maria Tammaro, nel suo discorso di critica al criterio dellʼImpact factor (che, peraltro, ritiene anche

31

66 «La possibilità di disfarsi della carta, di pubblicare online, avrebbe dovuto – così si sperava – abbattere i costi delle riviste accademiche. Una rivista accademica, si diceva, è il frutto del lavoro degli studiosi, che per questo lavoro non ricevono, dagli editori, alcun compenso: tolte le spese di stampa, tolte le spese di distribuzione, non resterà niente che giustifichi un prezzo che sia più che simbolico. È successo esattamente il contrario. È successo che due o tre grandi editori oligopolisti hanno raggruppato le centinaia di riviste di cui posseggono il marchio in pacchetti non spacchettabili (ci si può, sì, abbonare a una o a dieci riviste del pacchetto: ma il costo finisce per essere superiore a quello dellʼintero pacchetto) e hanno deciso, decidono ogni anno di alzare i prezzi in percentuali molto, molto superiori a quella dellʼinflazione. [...] il problema riguarda tutti, umanisti, giuristi, economisti, eccetera: perché chi ha il marchio decide il prezzo, e il prezzo può lievitare a suo piacimento. Non decide il mercato, decide lʼeditore» (ivi).

responsabile del fenomeno della lievitazione dei prezzi di alcune pubblicazioni, con le conseguenze quasi paradossali sopra esposte):67

Lʼimpatto delle pubblicazioni scientifiche non va confuso con lʼimpact factor:

lʼimpatto non è limitato al sistema delle citazioni. Lʼimpatto che vuole lʼautore è che

ogni possibile interessato ai risultati di ricerca esposti nella sua pubblicazione

abbia la possibilità, nel tempo più breve possibile, di venire a conoscenza

dellʼesistenza della pubblicazione, di potervi accedere e di usarla, semmai

aggiungendo un contributo, in uno scambio proficuo di idee e conoscenze.68

Mentre Tammaro avvia una riflessione sulle potenzialità delle pubblicazioni ad accesso aperto, trae – a proposito delle riflessione che si sta qui conducendo – una conclusione quasi paradossale:

Nellʼattuale modello economico usato dagli editori commerciali, questi, pur

evoluti tecnologicamente, non sono in grado di dare una soluzione accettabile per

gli autori al problema dellʼimpatto. Come conseguenza, si potrebbe arrivare a dire

che le riviste con maggiore impact factor (IF) e notoriamente più costose, avranno

tendenzialmente minore impatto di riviste liberamente accessibili.69

Ora, dunque, «per gli autori è chiaro, in questa transizione, che lʼimpatto non è basato sui soli contenuti, bensì sui servizi di accesso»70 al proprio lavoro, e alla possibilità di una rete di richiami con altri prodotti della ricerca. Se ne trae dunque che «la valutazione di impatto non

32

67 La studiosa ritiene che il «circolo vizioso» di cui si è detto abbia «tra i principali responsabili proprio questo indicatore: lʼimpact factor, che ha quindi un costo incalcolabile per le università e le istituzioni di ricerca italiane» (A.M. Tammaro, Qualità della comunicazione scientifica. 1: Gli inganni dellʼimpact factor e lʼalternativa della biblioteca digitale, cit. p. 104).

68 Un obiettivo, questo, che – secondo Tammaro – il canale dellʼeditoria universitaria così come era, e in parte ancora è, organizzato, non può raggiungere: «che la tradizionale comunicazione scientifica sia in crisi, è noto a tutti. Il sistema, pur funzionante, ha due grossi difetti: richiede troppo tempo e costa troppo. Quindi le pubblicazioni non sono accessibili velocemente e neppure facilmente; bisogna invece aspettare svariati mesi prima di poter pubblicare un articolo e superare molteplici ostacoli prima di riuscire ad usarlo. [...] I tempi lunghi incidono sui costi. Il prezzo delle pubblicazioni scientifiche, che hanno sempre una limitata diffusione commerciale, è molto alto e negli ultimi anni ha subito un aumento incontrollabile, fino ad arrivare allʼinterruzione degli abbonamenti da parte delle biblioteche e dei privati e ad un notevole calo degli acquisti» (ivi, p. 106).

69 A.M. Tammaro, Qualità della comunicazione scientifica. 2: Lʼalternativa allʼImpact Factor, in «Biblioteche oggi», ottobre 2001, p. 75.

70 Ivi, p. 77.

dovrebbe essere basata su dove è pubblicato un articolo ma sullʼarticolo stesso visibile nella rete dei collegamenti e censito dagli esperti».71

Questa retrocessione dellʼimportanza della sede non va assunta, ad ogni modo, come il suggerimento di una tendenza alla pubblicazione attraverso canali da un lato rapidi e (forse illusoriamente) visibili, ma indiscriminati a livello della selezione dei contenuti. La stessa Tammaro spiega qui – e, si vedrà tra breve, altrove – che:

La qualità delle pubblicazioni scientifiche è tuttavia legata al giudizio degli

esperti (peer review) e non allʼimpatto. Gli archivi di e-print generano una

confusione che va chiarita: lʼautopubblicazione non significa vanity press, cioè

pubblicazione senza controllo di qualità. Gli archivi di e-print sono biblioteche

digitali che raccolgono e organizzano per lʼaccesso lavori di ricerca di qualità

controllata da esperti. Sono gli stessi autori che depositano i loro lavori, a cercare il

controllo di qualità, che è essenziale alla certificazione della pubblicazione.72

Un fatto, quello della selezione – e quindi infine del ripristino di una funzione di mediazione editoriale anche nellʼeventuale approdo e nuovo forme di accesso aperto ai contenuti scientifici – non a caso centrale nel dibattito aperto e tuttʼaltro che lineare73 intorno alle vie da percorre per il migliore sviluppo dellʼeditoria accademica.

33

71 Ivi, p. 78.

72 Ivi, p. 76.

73 Non sembra infatti bastare un atteggiamento di tipo reattivo di fronte ai problemi elencati. Ad esempio, mette in guarda Vitiello, «un prezzo positivo è condizione necessaria per lʼallocazione di risorse utili alla creazione di nuova conoscenza, ma solo un prezzo nullo ne garantisce lʼutilizzo efficiente, una volta che è stata prodotta» (G. Vitiello, Lʼeditoria universitaria in Italia, cit., p. 34).

3. Tra proprietà commerciale e accesso aperto

La percezione delle criticità e la consapevolezza delle necessità di confrontarsi con le prospettive aperte dallo sviluppo tecnologico (e dalle novità legislative),74 sono fatti assodati per tutti gli attori del mercato editoriale. Mirka Giacoletto Papas, in veste di presidente del gruppo accademico-professionale in Associazione Italiana Editori, descrive nei termini di una scommessa i tentativi in corso da parte di molti editori italiani:

In virtù di una progressiva estensione della digitalizzazione, tutti gli editori

hanno cominciato ad investire in questa direzione, senza però essere in grado di

prevederne il ritorno in termini di tempo e denaro. È una scommessa che stiamo

facendo sul futuro, anche perché è diverso lavorare i contenuti in digitale; cambierà

il modo di apprendere dello studente, di insegnamento del docente e di

elaborazione e strutturazione dei contenuti da parte dellʼeditore.

Gli spazi che si aprono in termini di rinnovamento delle possibilità di accesso ai contenuti editoriali sono dunque concepiti necessariamente come territorio di lavoro ed esplorazione. Senza rinunciare – naturalmente, secondo lʼottica di chi parla per conto di AIE – al ruolo dellʼeditore:

Il nostro obiettivo principale è difendere il ruolo dellʼeditore riaffermandone la

funzione di intermediazione culturale anche attraverso unʼintensificazione delle

relazioni con gli interlocutori istituzionali.

È interessante osservare come Giacoletto Papas faccia esplicito riferimento al ruolo dellʼeditore, e alla sua funzione di intermediazione culturale; elementi, questi, che sembrano particolarmente importanti, e di cui si farà in seguito ancora riferimento trattando dei casi di sperimentazione dellʼaccesso aperto. Rimane invece sullo sfondo la questione – che qui si intende come problematica – del sostanziale

34

74 Il recente processo di riforma dellʼuniversità «ha portato – oltre alla necessità di rivedere il prodotto editoriale e i timing produttivi – la proliferazione dei corsi e la riduzione delle tirature» (Ilaria Barbisan, Il mondo accademico, in «Giornale della libreria», XI - 2010, p. 56).

passaggio di proprietà del sapere a un attore commerciale esterno allʼambito scientifico, per poi però in esso tornare per ragioni di ricerca o di didattica.75 Ma, per la rappresentante AIE, le ragioni legate al primo punto della sua riflessione sopravanzano questo secondo aspetto. Parlando dunque dellʼazione dellʼeditore, aggiunge:

Discorso ben diverso da quello dellʼOpen Access: molti ne parlano come

democrazia culturale ma si dimenticano che non si può eliminare il ruolo

dellʼeditore e non si può non riconoscere il diritto dʼautore.76

Su un versante, almeno apparentemente, opposto si colloca chi, invece, vede nellʼaccesso aperto e nel mantenimento del carattere pubblico del sapere gli strumenti per risolvere le criticità, in primo luogo teoriche, della comunicazione editoriale in ambito scientifico e accademico.

Lʼeditoria elettronica scientifica non è un problema esclusivamente tecnologico,

ma vanno risolti con consapevolezza alcuni problemi politici (come riprendere il

controllo del copyright ora ceduto agli editori commerciali), culturali (migliorare la

comunicazione, correggere comportamenti culturali di isolamento e non

cooperazione) e organizzativi (favorire una nuova economia dellʼinformazione,

organizzare le university press): questi quattro fattori – la tecnologia, la volontà

politica, il cambiamento culturale, la riorganizzazione – sono tutti egualmente

importanti.77

Le intenzioni – così riassunte da Anna Maria Tammaro – riguardano dunque la radice della concezione di comunicazione scientifica. La studiosa, illustrando i caratteri dellʼesperienza di Firenze University Press, imputa «alle università e associazioni scientifiche», esplicitamente,

35

75 Un fatto, questo, che costringe dunque anche ad esternalizzare, o almeno a trattare in rapporto appunto ad attori commerciali esterni, funzioni proprie delle istituzioni scientifiche: «i temi a cui stiamo dedicando particolare attenzione – prosegue il discorso di Giacoletto Papas – sono: la valutazione delle pubblicazioni scientifiche (in questo periodo sono in fase di definizione da parte dellʼAnvur i parametri per stabilire la scientificità delle pubblicazioni), il rispetto del diritto dʼautore e lʼapplicazione delle nuove tecnologie».

76 I. Barbisan, Editoria universitaria e University press. Interviste a Mirka Giacoletto Papas e Luigi Migliaccio, in «Giornale della libreria», XI - 2010, p. 54.

77 A.M. Tammaro, Nuove prospettive per la comunicazione scientifica, cit., pp. 22-23.

«lʼerrore di delegare allʼesterno un fattore di cruciale importanza come il controllo del copyright». Tammaro motiva questo giudizio ripartendo dal punto fondamentale per cui:

È compito istituzionale di ogni università quello di contribuire alla distribuzione

più ampia possibile dei lavori di ricerca prodotti al suo interno e che sono ritenuti

degni di essere conosciuti da tutti gli studiosi; eppure questo compito le università

– attraverso la cessione gratuita del copyright – lo hanno affidato con leggerezza

agli editori commerciali, fino a perderne il controllo.

Il riferimento alla «distribuzione» come «compito istituzionale» richiama il concetto per cui la comunicazione dei prodotti scientifici – allʼinterno della comunità degli studiosi e, in ambito universitario, verso gli studenti – non è momento secondario della prassi scientifica, ma suo aspetto costitutivo, così come lo è delle istituzioni culturali citate. Le conseguenze, secondo Tammaro, non sono indifferenti (e anche qui si vedono, mettendo in rapporto queste riflessioni a quelle citate di Claudio Giunta):

Lʼaumento dei prezzi delle pubblicazioni scientifiche, come anche le limitazioni

allʼuso libero delle stesse pubblicazioni regolate dalla recente legge sul diritto

dʼautore, evidenziano quali possano essere le conseguenze della perdita del

copyright.

Limitata lʼaccessibilità, si inceppa il meccanismo della comunicazione scientifica, a detrimento dellʼattività scientifica stessa e didattica. Lʼauspicio del mantenimento della proprietà dei prodotti della ricerca, da parte dei soggetti istituzionali produttori, sarebbe dunque – secondo la tesi di Tammaro – il presupposto per il ripensamento della comunicazione editoriale universitaria.

Editoriale, si è detto. Perché – e questo punto sembra di fondamentale importanza – il distacco dalla modalità commerciale di distribuzione non dovrebbe comportare la perdita di una prospettiva editoriale, e anzi da questa dovrebbe partire. Fin dal principio, infatti, Tammaro parla di «compito istituzionale di ogni università» in riferimento alla «distribuzione» dei prodotti «ritenuti degni di essere conosciuti». Si affaccia dunque unʼidea di mediazione, qui nei termini della selezione, di natura

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tipicamente editoriale (aprendo, si osserva per inciso, lʼinteressante prospettiva di una sorta di secondo grado – dopo il primo, legato allʼattività scientifica e produttrice del sapere – di responsabilità, da parte dellʼistituzione universitaria, a riguardo appunto della propria produzione scientifica). Così, Tammaro, osserva che, in effetti:

Il problema non è tuttavia limitato a riprendersi il copyright, che pure è di

fondamentale importanza in questa fase per la politica dei prezzi, ma è centrato

sulla mancanza di un servizio editoriale a disposizione degli autori dellʼuniversità,

che li assista nellʼintero ciclo di vita dellʼinformazione scientifica.

Non si tratta, dunque, secondo Tammaro, di sopprimere la funzione editoriale – per altro verso già difesa da Giacoletto Papas –, quanto piuttosto di rilanciarla, interna alle istituzioni scientifiche; con criteri, dunque, più adeguati alla particolare natura della comunicazione scientifica.

I docenti, senza questo servizio interno allʼateneo, sono danneggiati da una

lunga serie di ostacoli presenti nella tradizionale editoria a stampa, come ad

esempio: le limitazioni alla lunghezza delle pubblicazioni, i ritardi del ciclo

editoriale, la mancanza di obiettività della peer-review, lʼassenza dei sistemi di

citazioni, lʼaumento dei costi delle pubblicazioni e i tagli agli abbonamenti da parte

delle biblioteche che questo provoca. La conseguenza di tali ostacoli è la limitata

circolazione delle loro idee e dei risultati della ricerca.

Tutto ciò, con la conseguenza, infine, di limitare circolarmente lʼavanzamento stesso della ricerca.

Il punto non è dunque, secondo Tammaro, quello di rinunciare alla mediazione editoriale. Quanto, piuttosto, quello di rilanciarne la funzione più propria, una volta rimossa la criticità dellʼesternalizzazione della proprietà del sapere dai suoi centri insieme produttori e fruitori:

Che il comportamento degli editori commerciali sia diverso da quello degli

editori accademici (università e associazioni scientifiche) credo sia chiaro ad

ognuno. Il motivo di questa differenza di comportamento sta nel fatto che gli editori

commerciali hanno come scopo il profitto, in qualsiasi scenario – tradizionale o

elettronico che sia – mentre gli editori accademici hanno come scopo la diffusione

più ampia possibile della comunicazione scientifica.37

In questo così ampio ventaglio di possibilità si muovono, dunque, il dibattito e le prospettive dellʼeditoria universitaria; in quadro in cui i canali dellʼaccesso aperto si affiancano e, con ogni probabilità, anche influenzano, lʼarticolazione più tradizionale ma di fatto ancora presente di questo campo editoriale, sopra descritta da Vitiello e Becchelloni.

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4. Lʼeditoria commerciale di servizio allʼuniversità. La casa editrice Unicopli

Mentre altrove la storia di unʼeditoria di natura squisitamente universitaria ha già alle spalle una lunga tradizione (si pensi al caso delle University Press anglosassoni), in Italia lʼavvio di rapporti diretti, da cui dipende la situazione attuale, tra editoria e università si rintraccia in anni più recenti. Più lunga (e forse motivo di questo ritardo) è la tradizione di edizioni destinate (anche) allʼuniversità fatte dagli editori di cultura maggiori.78 La storia dellʼeditoria di varia italiana è dʼaltra parte costellata di rapporti tra case editrici e studiosi, a possibile indizio di una situazione che ha rallentato, o almeno ritardato, lʼidea di unʼeditoria concepita con una logica di servizio al mondo universitario.

Nel dare conto di uno sviluppo collocato «dagli anni Sessanta a oggi», Marzio Zanantoni tratteggia un quadro del ruolo di quellʼeditoria che si potrebbe definire di servizio allʼattività universitaria.79 Egli spiega che «potremmo utilizzare – quali termini di partenza e di arrivo – i due prodotti tipici di due fasi editoriali spesso alternative, talvolta invece ancora complementari: il prodotto “dispensa” e il prodotto “libro”».80 Il punto di vista di Zanantoni, direttore editoriale della casa editrice milanese Unicopli, è quello dunque di chi opera in questʼarea di mercato secondo una logica di imprenditoria editoriale. Se ne ricava dunque unʼinteressante

39

78 Tra le casistiche considerate, non si considera specificamente quella, appunto, dei prodotti della ricerca scientifica pubblicati nei cataloghi di saggistica delle case editrice di cultura maggiori. Ci si limita a osservare che, dalla prospettiva attraverso cui si sta qui conducendo il discorso, questo caso sarebbe quello in cui più evidenti si palesano le criticità di una esternalizzazione, da parte del mondo scientifico, della propria funzione di comunicazione interna. Per quanto lʼapprodo di un testo scientifico presso la grande editoria garantisca da un lato visibilità e prestigio maggiori rispetto a quelli ricavabili presso una marchio (commerciale) di vocazione universitaria, dallʼaltro implica il pieno adeguamento dellʼopera e della sua circolazione a un modello di mercato lontano dalle esigenze così peculiari della comunicazione scientifica in senso stretto.

79 Siamo allʼinterno della casistica proposta da Bechelloni e sopra citata, dei «piccoli o microeditori, finanziati in diverso modo dalle università e la cui funzione editoriale di scelta e selezione passa prevalentemente attraverso lʼuniversità, spesso in via informale» (B. Bechelloni, Università di carta, cit., p. 160).

80 Marzio Zanantoni, Dalle dispense ai manuali, in «Tirature ʼ96». Comicità, umorismo, satira, parodia: la voglia di ridere degli italiani, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, Baldini e Castoldi, 1996, pp. 173-174.

analisi delle diverse strategie attraverso le quali un editore può svolgere questa funzione.

Il riferimento alla stampa delle “dispense” suggerisce lʼidea di una mediazione editoriale passiva:

Da un punto di vista editoriale, il prodotto «dispensa» si connotava di

caratteristiche ben note: attesa passiva dei tempi del docente; testi esclusivamente

mirati alla singola e specifica cattedra a cui il docente apparteneva, quindi un

mercato assolutamente locale; bassissime tirature (100/300 copie); veste

tipografica elementare; lavorazioni editoriali ridotte al minimo o pressoché nulle.81

Interessante osservare lʼappunto critico dellʼeditore, rivolto ai docenti, a proposito dei tempi di lavoro; lo stesso problema sollevato, a parti inverse, dagli studiosi che hanno segnalato i limiti di una comunicazione scientifica che passi attraverso circuiti commerciali. Al di là dei possibili elementi incidentali o di inefficienza, se ne potrebbe trarre lʼidea di una discrepanza – in termini di organizzazione temporale – tra le ragioni della didattica e quelle della produzione di oggetti editoriali (poi in vendita presso librerie) destinati a svolgere una funzione di servizio rispetto alla didattica stessa. Una discrepanza che potrebbe essere risolta dalle possibilità di disintermediazione – che qui si intende sempre a riguardo degli aspetti commerciali e di produzione materiale, mai a riguardo di una funzione, in fondo sempre editoriale, di selezione e anche di lavorazione dei contenuti – offerte da un eventuale strumento digitale fornito dalle università stesse (possibilità che, per inciso, per i materiali di supporto alla didattica, come le “dispense”, si ritiene particolarmente opportuna, proprio per un

4081 Ivi, p. 174.

completo funzionamento e un vantaggio in termini di accesso dellʼattività didattica offerta dalle università).82

Lo stesso discorso di Zanantoni insiste sui caratteri e sulle funzioni della mediazione editoriale.

Ciò che era completamente assente, da parte di tutte le componenti del

triangolo docenti-editore-studenti, era la valutazione editoriale di quanto pubblicato.

Con conseguenze importanti a livello della percezione dei prodotti e della stessa comunicazione scientifica:

i docenti consideravano quella loro attività editoriale come un primissimo

momento di sistemazione di lavori comunque da sviluppare e ripubblicare presso

case editrici più rinomate, oppure come la più semplice soluzione di una serie di

«intoppi» che case editrici maggiori procuravano: difficoltà di reperimento di un

interlocutore stabile, scomodità di luoghi e di tempi, formalità contrattuali, scarse

possibilità di seguire meglio il lavoro ecc.

Ancora più rilevanti le conseguenze, di questa modalità passiva di lavoro da parte degli editori, a livello della ricezione.

Gli studenti, assegnando a qualunque di tali pubblicazioni la qualifica di

«dispensa», aiutati in questo da unʼindistinta e grigia confezione di ogni testo,

erano del tutto alieni dal rintracciarci una qualità scientifica che andasse oltre la

pura ripetizione di quanto ascoltato in aula. Infine, la stessa casa editrice guardava

a quelle pubblicazioni senza scorgervi potenzialità tali da sollecitare forme editoriali

più accurate e longeve.

41

82 Immaginare unʼattività editoriale di servizio di questa natura, organizzata da parte dellʼistituzione universitaria stessa, potrebbe anche produrre altri tipi di vantaggi: si pensi, dal punto di vista materiale, alla possibilità di uniformazione di testi e materiali secondo formati standard, con caratteri di qualità e di riconoscibilità ricondotti alla stessa università. Stesso discorso potrebbe valere per la produzione materiale (cartacea o digitale che sia) delle tesi di laurea e di dottorato degli studenti. La redazione di questi oggetti (a tutti gli effetti, una volta inquadrate le loro peculiarità, prodotti della ricerca e della didattica universitaria) secondo criteri redazionali uniformi e di qualità, garantiti (la parte della funzione editoriale legata alla selezione e al controllo dei contenuti, invece, sarebbe già assolta da parte dei docenti relatori e correlatori delle tesi) da un servizio universitario (magari fornito a prezzi calmierati e comunque più vantaggiosi di quelli imposti dai professionisti commerciali), potrebbe essere un passo verso la piena considerazione di questa particolare tipologia di oggetti come prodotti scientifici.

Per quanto legate a un particolare tempo e ambito dellʼeditoria di servizio alla didattica universitaria, queste osservazioni devono valere come conferma della necessità – dʼaltra parte già ampiamente emersa dalle parole di Tammaro – delle conservazione, anche negli eventuali canali digitali e aperti a cui potrebbe essere demandata la veicolazione di simili contenuti, di una funzione di garanzia e, appunto, mediazione, che consegni ai contenuti lʼidentità di prodotti della ricerca e della didattica universitaria, e consente ad essi di esistere e durare in quanto tali.

Senza di ciò, si riproporrebbero i problemi dellʼeditoria (senza funzione di mediazione) di servizio del passato:

Lʼinsieme di queste caratteristiche contraddistingueva una struttura editoriale di

servizio che potremmo definire «parassitaria» e che dura grosso modo un

ventennio: dagli inizi degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta.83

Da tutto ciò la necessità, secondo la spiegazione di Zanantoni, di una svolta, legata a una nuova concezione del rapporto tra editoria e università:

Da quel momento inizia unʼaltra storia che, seppure caratterizzata da

mutamenti spesso bruschi, ha seguito sostanzialmente, per molti operatori del

settore, un orientamento generalizzato: quello di trasformare la casa editrice

universitaria in unʼazienda per cui lʼuniversità era ed è luogo di produzione

culturale con il quale interagire in termini sempre più attivi, di sollecitazione

progettuale e, nello stesso tempo, mercato di consumo – e di consumatori – del

prodotto editoriale. Questo ha voluto dire, imprenditorialmente, attrezzarsi con

categorie mentali e aziendali adeguate e nuove: distribuzione, promozione,

mutamenti quantitativi e qualitativi dei soggetti produttori e dei consumatori ecc.:

insomma, ragionare sul e con il mercato dellʼuniversità nella sua dimensione

complessiva e nazionale.84

Si coglie una chiara direzione in senso evolutivo, dal punto di vista del lavoro editoriale, recuperato e assunto in tutte le sue funzioni, e non solo in quella – troppo riduttiva – di stampatore e distributore. Dal punto di vista del soggetto produttore del sapere, in questo caso lʼuniversità, queste

42

83 Le citazioni sono stratte da Ibidem.

84 Ivi, p. 174-175.

parole proprio dellʼeditore (invece) richiamano ancora quel fatto problematico – il «circolo vizioso», secondo Tammaro – per cui «lʼuniversità era ed è luogo di produzione culturale» e, dopo il passaggio di questi prodotti per un operatore commerciale, «mercato di consumo – e di consumatori – del prodotto editoriale».85

Occorre sottolineare, come fa lo stesso Marzio Zanantoni, che – in questo quadro – sono spesso gli stessi docenti e ricercatori a partecipare attivamente a questo canale di comunicazione editoriale e alla sua evoluzione:

va sottolineato che furono (e sono) anche gli stessi docenti a imporre, per così

dire, un altro tipo di prodotto editoriale. Voglio dire che, nei diversi momenti di

sviluppo di una casa editrice, autori o direttori di collane non avrebbero collaborato

e non collaborerebbero oggi anche a piccole-medie case editrici universitarie se

queste non avessero accettato e non avessero continuato ad accentuare unʼaltra –

e direi quasi opposta – idea di servizio.

È lʼidea di un servizio svolto attraverso la messa in campo di tutta la gamma delle funzioni della mediazione editoriale.

Questo salto è avvenuto, confermandosi nel tempo, quando si sono saldate due

volontà: la volontà del docente di essere autore di un progetto editoriale (sia esso

un singolo libro o unʼintera collana) dentro e insieme a quella casa editrice che lo

aveva seguito e talvolta fatto conoscere sin dallʼinizio; e la volontà dellʼeditore di

investire sugli autori e sui progetti, con tutto ciò che questo comporta in termini di

confezione editoriale, promozione, distribuzione, correttezza contrattuale.

È una concezione di servizio non più parassitario, ma attivo, con caratteristiche

ormai mutate: elaborazione preventiva con il docente del prodotto-libro;

costruzione del suo contenuto affinché il testo possa assumere caratteri tali da

esser proposti allʼuniversità nella sua dimensione nazionale; confezione più

accurata del prodotto; tirature più elevate, seppure nella fascia medio-bassa ecc.86

Secondo la propria ottica, Zanantoni promuove questo modello; anche rispetto al rilievo di sue criticità e alla proposta – già in anni abbastanza lontani – di non esternalizzare la comunicazione scientifica, grazie

43

85 Ivi, p. 175.

86 La citazioni sono da ivi, pp. 175-176.

allʼerogazione di finanziamenti finalizzati alla costituzione di strutture universitarie adeguate.87 Zanantoni ne fa una questione in cui la linea editoriale è in rapporto ai bilanci:

il «peso» delle scelte strategiche è tuttʼaltro che indifferente: una cosa è avere

un buon catalogo di testi adottati in più università e per più anni, dunque un

soddisfacente livello di venduto da distributore; altra cosa è invece fondare in

misura preponderante il proprio fatturato su finanziamenti e contributi che hanno lo

svantaggio di essere assai poco facilmente prevedibili e continuativi e di

«obbligare» lʼeditore a uno scarsissimo controllo-qualità del suo prodotto.88

Zanantoni, da editore in senso imprenditoriale, correttamente richiama alla necessità della solidità aziendale come presupposto al migliore esercizio della mediazione editoriale, con criteri di qualità e durata. Al di là del merito degli elementi toccati in queste frasi, ciò che interessa mettere in luce è la rivendicazione, da parte di Zanantoni, ancora della funzione di mediazione editoriale («controllo-qualità del suo prodotto»); a suo giudizio, per così dire, possibile solo da parte di un editore, imprenditore di una solida impresa editoriale in senso tradizionale. Ciò (con una qualche sintonia con quanto ravvisato nella parole di Giacoletto Papas) prevaricherebbe le eventuali criticità di un passaggio università-mercato-università. Nei fatti, e guardando a possibilità di comunicazione scientifica alternativa che possano risolvere tali criticità, si potrebbe fare derivare dallʼanalisi di Zanantoni ancora il monito a non abbandonare, insieme a una filiera di tipo commerciale, un solido impianto di mediazione editoriale del nuovo canale.

Proprio il caso della milanese Unicopli ben si presta per sondare questo settore dellʼambito dellʼeditoria universitaria, che si è definito come quello di piccoli e medi editori che operano in una logica di servizio rispetto al mondo accademico. Questo concetto è, significativamente, indicato esplicitamente dalla casa editrice nel proprio profilo di presentazione:

44

87 Zanantoni, in ivi alle pp. 176 e 177, si riferisce a un articolo del docente e studioso Gennaro Barbarisi, pubblicato nellʼagosto del 1994 in «Il Sole 24 ore».

88 Ivi, p. 178.

Le Edizioni Unicopli nascono alla fine degli anni Settanta caratterizzandosi

inizialmente come attività editoriale al servizio delle Università milanesi.

Un legame diretto, quello con lʼistituzione universitaria e scientifica, sancito dalle molte collaborazioni di accademici:

Soprattutto nell'ambito umanistico, alla casa editrice si affiancano, in qualità di

autori e consulenti, alcuni dei più importanti studiosi di discipline quali la geografia,

la linguistica, gli studi musicali, la filosofia, l'economia.

Il caso di Unicopli, e la sua storia, ricalcano il percorso nellʼarticolo di Marzio Zanantoni: irrobustitasi negli anni, la casa ha progressivamente precisato una propria linea editoriale autonoma, rapportandosi con il mondo scientifico in maniera più attiva: «negli ultimi anni poi, ha ampliato ulteriormente la sua produzione saggistica [...]. Sta inoltre dedicandosi con maggiore slancio ad una produzione di varia dedicata soprattutto all'attualità storico-sociale».89

Le origini della casa editrice milanese affondano nelle esperienze di cooperative librarie universitarie della seconda metà degli anni Sessanta: la CUEM presso lʼUniversità degli Studi, la CEB presso lʼUniversità Bocconi, poi la CUESP (presso la Facoltà di Scienze Politiche dellʼUniversità degli Studi) e la CUECS (con base presso Città Studi); da queste, a cui poi si aggiunge nel tempo un insieme variabile di altre esperienze simili, nel 1975 nasce il consorzio Unicopli. Che univa dunque soggetti diversi, ma uniti dalla matrice comune della militanza politica allʼinterno dei movimenti studenteschi. Era dunque, anche questo, un fatto di partecipazione alla vita universitaria. E ciò rende difficile ricondurre lʼesperienza di Unicopli, nella sua fase iniziale, a un modello commerciale in senso pieno. Riferendosi al discusso schema di circolazione dei contenuti scientifici (o legati alla didattica) universitari, si potrebbe affermare che in questa fase sia proprio una delle sue componenti – quella degli studenti, che fin qui, e poi ancora in seguito, si è considerata in veste di destinataria della comunicazione scientifica – a sopperire con la propria iniziativa a un bisogno percepito e non soddisfatto dal canale

45

89 Le citazioni sono tratte dal profilo della casa editrice Unicopli: http://www.edizioniunicopli.it/Profilo.html.

editoriale tradizionale da un lato, e dallʼistituzione universitaria dallʼaltro. Poi, con riferimento alla fase successiva della sua storia, quando Unicopli avrà assunto i caratteri di impresa editoriale, la si considera soggetto di natura commerciale mediatore ed esterno sia allʼistituzione produttrice sia alla comunità dei produttori/fruitori del sapere scientifico.

Ritornando alle origini di Unicopli, accanto alla funzioni legate alle attività delle librerie, fin da subito si apre una prima attività di produzione in proprio di testi. Si tratta – come ricorda Gianfranco Fioretta –90 delle dispense per i corsi universitari. Erano, dunque, di prodotti editoriali di servizio, stampati in veste dimessa e in maniera semiartigianale:

Cʼera una mitica tipografia, a Rozzano, con un vecchio signore che sembrava

avesse il ballo di San Vito, però quando si avvicinava a registrare la macchina si

ritrovava fermo e preciso. La macchina era una Rotaprint: la matrice non era su

carta, come per il ciclostile, ma era in metallo; ma dal punto di vista del

funzionamento la Rotaprint procedeva come un grande ciclostile.

Lʼiniziale attenzione al prodotto dispensa conferma dunque la logica di servizio, in maniera quasi simbiotica, allʼattività didattica delle università cittadine con cui Unicopli avvia il proprio lavoro. Interessante è però la riflessione che Fioretta dedica a questa tipologia di pubblicazione. Inevitabile è la percezione di questo prodotto come di una stampa provvisoria, per un uso solo contingente («quella che poteva essere considerata la produzione “fast food”»); a cominciare dallʼaspetto materiale: «la dispensa aveva anche tutte le caratteristiche tecniche di un qualcosa di provvisorio». Ma, dice Fioretta, «dal punto di vista editoriale, lo si può vedere forse anche come la prima “edizione” di qualcosa che potrebbe potenzialmente diventare un lavoro maturo». Attraverso alcuni esempi proprio legati allʼesperienza CUEM - Unicopli, egli rivendica una maggiore dignità per queste pubblicazioni.

Pubblicavano anche testi come Scienza e realismo di Geymonat, che è entrato

dopo pochi anni nella collana scientifica di Feltrinelli: la prima edizione era stata di

46

90 Le informazioni e le citazioni qui riportate sono tratte dallʼintervista a Gianfranco Fioretta (Milano, dicembre 2013) riportata in appendice.

CUEM.91 Che ha pubblicato anche un libro bellissimo come Arte e rivoluzione.92

Per fare un altro esempio, Marcello Cesa-Bianchi pubblicò sempre con CUEM

Lezioni di Psicologia.93 Erano dunque libri importanti, seppure con una forma,

chiamiamola così, di prima tiratura provvisoria.

Una forma che, però, già in questa fase non significa necessariamente mancanza delle dovuta cura preparatoria:

ricordo, ad esempio, i lavori su Sartre di Fergnani,94 che sembrava fosse lʼunico

ad aver scandagliato Sartre nellʼassoluto profondo, quindi non con la

banalizzazione intorno al problema dellʼesistenzialismo... E a proposito di questo

autore, io mi ricordo, nel lavoro di redazione, le centinaia di correzioni che

intendeva operare in corso dʼopera; a volte lo maledicevo, perché si arrivava in

quarte bozze. Un lavoro levigato, dunque, ed era una dispensa.

Ciò che qui si trae, rispetto a una riflessione sul modello dellʼeditoria di servizio allʼattività didattica universitaria, è lʼelemento della presenza – almeno in embrione –, anche in questa tipologia di materiali, di quei contenuti oggetto della comunicazione scientifica. Un fatto che, interpretato in maniera accorta, consente a una casa editrice come Unicopli di concepire una modalità di servizio allʼattività universitaria in senso attivo, sviluppando una compiuta identità editoriale. Nel 1985, infatti, nascono le Edizioni Unicopli. Dal punto di vista giuridico, il marchio è indipendente rispetto alla società di distribuzione, che prosegue intanto la propria attività su scala nazionale.

La produzione editoriale di Unicopli, evolutasi e articolatasi nel corso degli anni, è soprattutto interna allʼarea umanistica: letteratura, storia, filosofia, geografia, architettura; da sempre, inoltre, è caratteristica della casa milanese lʼattenzione per le discipline psico-pedagogiche e per lʼarea

47

91 Il libro compare in Opac sbn già con lʼindicazione editoriale Unicopli: Ludovico Geymonat, Scienza e realismo, Milano, Unicopli, 1976.

92 Arte e rivoluzione: documenti delle avanguardie tedesche e sovietiche. 1918-1932, a cura di Piergiorgio Dragone, Antonello Negri, Marco Rosci, Milano, Cuem, 1973.

93 Marcello Cesa-Bianchi, Lezioni di psicologia, Milano, Cuem, 1965.

94 Il ricordo può andare, in particolare, a Franco Fergnani, Dialettica, materialismo, teoria degli insiemi pratici nel più recente pensiero di Sartre. Con la traduzione di alcune parti di J.P. Sartre: l'idiot de la famille Gustave Flaubert de 1821 a 1857, Milano, Cuem, 1975.

della scienza economica. L ʼelenco delle collane dà un ʼ idea sufficientemente circostanziata delle linee di interesse della casa.

ELENCO DELLE COLLANE95

1. Testi e Studi2. Prospettive3. 100 libri / 100 fiori4. Mappe dellʼImmaginario5. Materiali di Estetica6. Biblioteca di Cultura Filosofica7. Incroci8. Life/Live9. La Bottega del Fumetto10. Occasioni11. Oggetti ritrovati12. Le Città Letterarie13. Modernistica. Saggi di Cultura Letteraria14. LʼEuropa del Libro. Editoria e Cultura in Età Moderna e Contemporanea15. Atlante16. Parole allo Specchio17. A Tre Voci18. Gerione/Incroci Danteschi19. Maratone20. Collana di Linguistica Storica e Descrittiva21. Lettere Moderne22. LIMC. Studi sulle letterature e sulle culture inglesi contemporanee23. Biblioteca di Anglistica24. em-early modern. Studi di Storia Europea Protomoderna25. Lo scudo dʼAchille26. Percorsi del Novecento27. Biblioteca di Storia Contemporanea

48

95 Lʼelenco è quello contenuto nel catalogo della casa editrice di giugno 2013, il più recente disponibile.

28. Questioni di Storia Contemporanea29. Archivio del Lavoro30. Storia dʼEuropa nel XX secolo31. Centro per gli Studi di Politica Estera e Opinione Pubblica32. Centro Interuniversitario di Studi e Ricerche Storico-militari33. Dipartimento di Studi Storici - Università di Venezia34. Studi di Storia35. Storia del Novecento36. Annali di Storia Pavese37. Storia Lombarda38. Materiali di Storia Ecclesiastica Lombarda39. Fonti e Materiali di Storia Lombarda40. Documenti di Storia Lombarda41. Studi e Ricerche sul Territorio42. Biblioteca Africana43. Terra dʼAfrica44. Biblioteca di Studi Antropologici45. Dipartimento di Progettazione dellʼArchitettura - Politecnico di Milano46. Stathme47. Il Disegno di Architettura48. Teoria, Storia e Tecniche della Conservazione49. Lavori in corso50. Ex Cathedra51. Quaderni di Critica52. Le Stanze. Documenti di Architettura53. Il Progetto Urbano e di Paesaggio54. Collana di Architettura e Urbanistica55. Teorie Educative e Processi Formativi56. Quaderni di Pedagogia Critica57. Le Frontiere della Formazione58. Storia Sociale dellʼEducazione59. Laboratori della Memoria60. Educazione tra Adulti61. Condizione Adulta e Processi Formativi

49

62. Psicologia dello Sviluppo Sociale e Clinico63. Minori64. Minori/Università65. Disagio, Minori, Soggettività66. SocialMente67. CulturalMente68. Rappresentazioni Sociali e Comunicazioni: Media e Società69. Mentore. Le Nuove Frontiere dellʼEducazione70. Generazioni71. Leggerescrivere72. Coup de Théâtre/Percorsi della Formazione73. Chiaroscuri74. Collana dellʼAssessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Milano 75. Collana dellʼOsservatorio Permanente sulle Famiglie del Comune di Reggio Emilia76. Strumenti per una Didattica Rinnovata77. Formazione e Territorio78. Manuali79. Collana di Psicologia, Psichiatria e Scienze della Formazione80. Quaderni di Musica/Realtà81. Materiali universitari82. La Circolazione dei Modelli Giuridici83. Contaminazioni. Strumenti per la Comunicazione84. Ludologica. Videogames dʼAutore85. Comunicazione e Società86. Scienze Economiche e Finanziarie87. Pianificazione e Controllo88. Collana di Scienze89. Fuori collana90. Quaderni di Filosofia - Università di Urbino91. Centro Studi Tommaso Gallarati Scotti92. Studi e ricerche della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna93. Filo di perle

50

La casa editrice Unicopli, fedele alla propria origine e alla propria vocazione primaria di servizio al mondo scientifico e accademico, ha negli anni lavorato sulla base di solidi e duratura rapporti diretti con questo mondo, e con studiosi e docenti, instaurando collaborazioni feconde. È un fatto esplicitamente indicato da Fioretta, quando riflette sulla presenza di Marzio Zanantoni alla direzione editoriale:

La direzione editoriale ha negli anni assunto la propria identità, e alla fine dei

passaggi di testimone è ora affidata a Marzio Zanantoni. Egli – venendo

direttamente dallʼambiente umanistico, della filosofia – ha anche approfondito

principalmente questi aspetti, queste tematiche, questi rapporti che lui aveva.

Diciamo che le Edizioni Unicopli hanno sempre avuto un riferimento prevalente a

via Festa del Perdono.

Si avvia dunque quel circuito descritto dallo stesso Zanantoni nella pagine sopra citate: una casa editrice che intercetta attivamente i bisogni in termini di comunicazione editoriale del mondo universitario, e che sollecita iniziative e progetti. Soprattutto alcuni dei progetti editoriali (e questa definizione rimanda dunque allʼidea dellʼaffrancamento da un legame di tipo passivo o simbiotico con le università) di Unicopli sono chiaramente identificati con le linee di studio in corso in dipartimenti o presso gruppi di ricerca. Il fatto stesso che alcune collane siano definite “di dipartimento” o “di facoltà” lo rivela in maniera emblematica. Sono dunque queste istituzioni, insieme con lʼeditore, a individuare i titoli (spesso frutti del loro lavoro interno) da inserire in questi progetti. Non mancano tuttavia collane concepite dalla direzione editoriale, che si avvale di comitati scientifici per la garanzia della qualità delle opere selezionate e pubblicate.

Lʼesistenza di questi rapporti stretti e duraturi sembra garantita da unʼimmagine di affidabilità – e infine di prestigio – conquistata dalla casa nel corso degli anni. È un fenomeno ancora descritto da Gianfranco Fioretta:

La casa editrice secondo me ha acquisito molta dignità, tale da essere magari

ambita da parte di qualche autore per essere pubblicato o per entrare in certe

51

collane; perché questo fatto gli avrebbe fatto gioco, fatto da traino, gli avrebbe

giovato in termini di immagine e prestigio.96

Oltre ad osservare in primo piano lʼelemento del capitale simbolico precedentemente discusso, e così importante nelle dinamiche accademiche, si trae dunque come questo riconoscimento da parte dei membri della comunità scientifica sia la migliore garanzia per lʼavvio di collaborazioni e progetti importanti e, appunto, di prestigio:

quel fenomeno per cui erano i docenti a venire in libreria, erano i docenti a

venire in casa editrice, erano i docenti a proporti di essere direttori di collana. Ad

esempio, la collana di geografia è nata perché Giacomo Corna Pellegrini ha detto:

«Facciamo una collana di geografia», perché cʼera una sintonia abbastanza

profonda, che non necessariamente era sintonia di natura politica al cento per

cento. Questa poteva esistere nel caso di Geymonat; ma nel caso di altri autori e

studiosi, era proprio il fatto che guardavano con interesse alla possibilità di usare

Unicopli come veicolo per fare un certo tipo di percorso culturale proprio.

Un percorso secondo il quale casa editrice e studioso concepiscono un progetto di cui sono, nei rispettivi ruoli, protagonisti:

Cito ancora Corna Pellegrini: egli, presidente della Società dei Geografi Italiani,

pubblicava per mezzo mondo. Però la collana di Unicopli la viveva proprio come

sua, anche per contattare altri autori. Quindi direi che cʼè stata una fase in cui

erano gli autori a correre dietro alla casa editrice.

Su queste basi si creano rapporti – un tempo tradizionali, e ultimamente in estinzione presso la grande editoria – di fedeltà tra casa editrice e autori o curatori di collane:

Un tipo di rapporto che poi, come dicevo, si è consolidato nel tempo con coloro

con cui cʼera maggiore sintonia. Per fare un altro esempio citerei Felice Perussia

che ha pubblicato due anni fa un libro bellissimo, e che è stato molto apprezzato,

52

96 Nota Fioretta che – forse in conseguenza dellʼaffermarsi del marchio come sede per pubblicazioni di sicura qualità – nel lavoro di Unicopli, progressivamente, «quella che poteva essere considerata la produzione “fast food”, cioè la dispensa veloce, la prima bozza di lavoro che poteva o meno trasformarsi in una pubblicazione – che pure era stata una produzione parallela nei primi anni di vita – è rimasta forse in modo un poʼ conflittuale in capo alle singole librerie».

sullʼipnosi…97 Bene si era formato in Filosofia, e studiava psicologia in Statale; e

ha fatto le primissime pubblicazioni proprio con noi. Poi è andato a Torino, è

diventato preside della facoltà di Psicologia e non ci ha mai abbandonato, fino a

fare appunto un “tomone” così sullʼipnosi ancora da Unicopli.

Dal punto di vista contrattuale, Unicopli stipula con le istituzioni accordi di carattere generale, legati allʼimpianto del progetto, alla sua dimensione, alla quantità delle opere per anno, e ai caratteri paratestuali dei libri. In seguito, sono stipulati i contratti con gli autori. Di rilievo, per il discorso che si sta qui conducendo, lʼaspetto economico: è prassi consolidata che i dipartimenti o i docenti investano una parte dei fondi per la ricerca nella pubblicazione di alcuni dei suoi prodotti.

Il caso di Unicopli, che qui si assume ad esempio di un modello di editoria commerciale di servizio allʼuniversità, si rivela dunque sostanzialmente funzionante, come testimoniato dalla durata e dalla ricchezza della storia del marchio, e del buon riconoscimento di cui gode nello stesso ambito scientifico. Le ragioni di questi elementi positivi sembrano per la maggior parte da ricondurre alla solidità e alla fecondità dei rapporti che intercorrono tra la casa (specie nella persona del suo direttore editoriale Zanantoni) e gli studiosi, i docenti, e le istituzioni universitarie, specialmente milanesi e su tutte lʼUniversità degli Studi. Rapporti che si affiancano a una piena consapevolezza delle dinamiche interne al mondo accademico: valore dei gruppi o delle “scuole” di ricerca, tendenze in corso, e pure le oggettive esigenze di dare sbocco editoriale e visibilità ai lavori dei ricercatori, soprattutto giovani.

Se da un lato tutto ciò fa di Unicopli un caso positivo, dallʼaltro potrebbe anche confermare il dubbio sullʼopportunità teorica, da parte delle università, di esternalizzare questa parte (la comunicazione) del proprio lavoro scientifico. Perché il rapporto tra editoria commerciale e istituzione culturale funzioni (rispondendo positivamente alle finalità primarie, materiali e non, della comunicazione scientifica precedentemente analizzate), infatti, occorre che la casa, e la sua guida, si collochino in una prospettiva sostanzialmente interna allʼistituzione stessa. Dovendo poi – dalla propria posizione, correttamente – salvaguardare lʼimpianto

5397 Felice Perussia, Manuale di ipnosi, Milano, Unicopli, 2011.

commerciale della propria impresa. Ciò significa – nei modi che si sono visti –, per lʼuniversità o il singolo docente, un investimento di risorse; per privarsi del proprio prodotto scientifico, e poi doverlo riacquistare secondo modalità – per quanto favorevoli – pur sempre di natura commerciale.

È la ricomparsa del «vizio» segnalato da Tammaro. Che riapre la questione della conservazione pubblica della proprietà del sapere, chiudendo così il circuito della comunicazione scientifica.

54

5. Lʼaccesso aperto in università: archivi, la University press, il caso di Firenze

Per quanto, come già anticipato, in Italia le forme più consolidate di comunicazione e di editoria universitaria abbiamo ancora una larga parte, i semi dei dibattiti intorno alle possibilità del digitale e allʼaccesso aperto hanno dato e stanno dando primi frutti interessanti.

Il 4 novembre del 2004 molte università hanno sottoscritto la Dichiarazione di Messina,98 aderendo al recente documento berlinese. Molti atenei hanno archivi istituzionali, secondo lo standard OAI-PMH. Non sono poi mancate iniziative volte a confermare questa direzione di lavoro; si può citare ad esempio il Position statement sull'accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica in Italia, firmato da CRUI, CNR e altri enti di ricerca italiani.99 Le premesse richiamano molti dei concetti sin qui analizzati:

La circolazione ad accesso aperto dei risultati della ricerca, in particolare di

quelli finanziati con fondi pubblici, riveste un ruolo prioritario per il progresso

scientifico, economico, sociale e culturale di ogni paese. L'accesso aperto

consente di migliorare l'intero ciclo dell'informazione scientifica e in tale modo

contribuisce a: razionalizzare i processi e gli investimenti della ricerca, accrescere

la qualità dei risultati, diffondere la conoscenza scientifica anche tra i non addetti ai

lavori, valorizzare il ruolo degli enti di ricerca e delle università favorendo un

rapporto trasparente e diretto tra comunità scientifica e cittadinanza.

Per promuovere la realizzazione di iniziative cooperative per l'open access e

per favorire lo sviluppo di una specifica normativa italiana, il 21 marzo 2013, i

55

98 Lʼoccasione è stata data dal convegno “Gli atenei italiani per l'Open Access: verso l'accesso aperto alla letteratura di ricerca” (Università degli Studi di Messina, 4-5 novembre 2004). Le intenzioni di promozione dellʼaccesso aperto erano dichiarate: «la Commissione CRUI per le Biblioteche di Ateneo, in collaborazione con lʼUniversità degli Studi di Messina, intende promuovere la diffusione delle pubblicazioni Open Access nel sistema universitario italiano al fine di diffondere i benefici che derivano dal ricorso a forme di editoria elettronica ad accesso aperto». Nel corso della cerimonia del 4 novembre hanno aderito alla Dichiarazione di Berlino le seguenti università (in ordine alfabetico per località): Bologna, Brescia, Calabria, Firenze, Foggia, Genova, Insubria, Lecce, Messina, Milano, Milano Bicocca, Milano Politecnico, Milano Vita-Salute San Raffaele, Modena, Molise, Napoli Federico II, Napoli L'Orientale, Napoli Partenope, Padova, Palermo, Parma, Piemonte Orientale, Roma LUMSA, Roma Tor Vergata, Roma III, Siena, Torino, Trieste, Trieste SISSA, Tuscia, Venezia IUAV, oltre all'Istituto Italiano di Medicina Sociale di Roma. Cfr. http://www.aepic.it/conf/Messina041/index981f.html.

99 http://www.cnr.it/sitocnr/Iservizi/Biblioteche/PositionAccessoAperto.html

Presidenti di CRUI, CNR, ENEA, INFN, INGV e ISS hanno firmato un "Position

statement" sull'accesso aperto ai risultati della ricerca in Italia.

Visto tutto ciò:

La CRUI e gli Enti Pubblici di Ricerca italiani, consapevoli dei benefici

dell'accesso aperto per la ricerca nazionale, in termini di visibilità, promozione ed

internazionalizzazione, si impegnano a svolgere attività coordinate per

l'affermazione dell'accesso aperto:

- incoraggiando l'istituzione di archivi aperti e di altre infrastrutture

tecnologiche , che consentano l'accesso, la preservazione e la disseminazione di

pubblicazioni e dati, grazie al rispetto degli standard internazionali di

interoperabilità, sia a livello nazionale che globale, anche attraverso l'utilizzo del

portale OpenAIRE o di altre soluzioni che saranno sviluppate nella European

Research Area (ERA), per dare maggiore visibilità alla ricerca europea;

- incoraggiando i propri ricercatori a rendere disponibili i risultati di ricerca

(pubblicazioni e dati) attraverso prodotti editoriali ad accesso aperto e mediante il

loro deposito in archivi istituzionali e disciplinari. l risultati di ricerca, depositati in

archivi aperti, nella versione post-print e/o nella versione pubblicata, dovrebbero

essere resi accessibili nel minor tempo possibile e, comunque, con un periodo di

embargo non superiore ai 12 mesi;

- contribuendo alla realizzazione effettiva dei principi dell'Open Access,

attraverso l'adozione presso i propri enti di policy e regolamenti istituzionali che

richiedano ai ricercatori il deposito nei propri archivi istituzionali e, qualora questi

ultimi non esistano, in archivi istituzionali di altri enti o in archivi disciplinari ad

accesso aperto di pubblicazioni e dati derivati dalle proprie ricerche;

- adoperandosi presso gli organi di governo nazionale affinché anche in Italia,

così come in altri Stati membri dell'Unione Europea, sia lanciata e sostenuta a

livello governativo una strategia nazionale sull'accesso aperto, che faccia leva su

precise e puntuali policy e normative.

Impegni di questo tipo presupporrebbero la necessità di interventi ai vari livelli del lavoro scientifico e della sua diffusione. Ne propone alcuni Roberto Caso:

Quali sarebbero i più urgenti passi da muovere? Si può provare a immaginarli

nella direzione della via verde:

a) dotare la legge italiana sul diritto dʼautore di un diritto inderogabile di

ripubblicazione svincolato – a differenza dal modello tedesco - dal presupposto

della natura pubblica del finanziamento alla ricerca;56

b) inserire lʼaccesso aperto nel processo di anagrafe e valutazione della ricerca

nonché nei processi di reclutamento e di avanzamento delle carriere di

università e istituti di ricerca;

c) porre nei bandi ministeriali di finanziamento lʼobbligo di pubblicazione in

accesso aperto in archivi istituzionali;

d) regolamentare a livello di istituzione finanziata gli obblighi di deposito e

pubblicazione sugli archivi OA rendendoli compatibili con il diritto dʼautore;

e) attuare la Raccomandazione UE con riferimento allo sviluppo e

incoraggiamento di riconoscimenti in termini di carriera ai ricercatori che

sposano la cultura della scienza aperta nonché di nuovi indicatori e criteri che

valorizzino le caratteristiche delle pubblicazioni in accesso aperto;

f) elaborare una politica di apertura dei dati scientifici;

g) elaborare una politica di controllo e conservazione delle pubblicazioni e dei

dati scientifici che sia basata sul decentramento e sulla ridondanza, investendo

risorse per garantire che siano anche soggetti pubblici ad avere il controllo

fisico dati (intesi in senso ampio) digitali e per evitare per converso che siano

solo soggetti privati a disporre del medesimo controllo.

Si tratta di avere la volontà politica di metter mano alle norme formali, non

dimenticando però che il definitivo successo dellʼOA passa attraverso un

mutamento radicale della comunità scientifica e accademica, un mutamento che è

prima di tutto etico e investe le norme informali che governano la ricerca. In altri

termini occorre guardare allʼOpen Access come a un tassello fondamentale

dellʼOpen Science intesa come un nuovo modo di fare ricerca e trasmissione della

conoscenza scientifica basato su maggiore democraticità, trasparenza,

interdisciplinarità e partecipazione della società.100

Su queste basi normative e teoriche, dunque, molte università hanno avviato la messa in opera di canali propri di comunicazione e pubblicazione dei risultati della ricerca. Occorre fin da subito registrare – in attesa di valutare gli esiti di questa direzione di lavoro – il fatto che, in questo modo, sembra teoricamente risolto uno dei principali elementi di criticità fin qui individuati: lʼesternalizzazione, presso attori commerciali, della comunicazione dal processo di produzione scientifica, di cui pure esso è parte integrante e motore di avanzamento. A livello pratico, il ricorso allʼaccesso aperto attraverso filiere interne, da parte di università e istituti di ricerca, sana il «circolo vizioso» del doppio o persino del triplo pagamento dei prodotti della conoscenza.

57100 R. Caso, La via legislativa allʼOpen Access: prospettive comparate, cit., pp. 35-37.

Primo strumento, quello degli archivi istituzionali, in cui le università e gli istituti di ricerca convogliano e, attraverso lʼimpiego di formati standard, indicizzano la produzione scientifica interna. Migliore esempio, tra gli archivi istituzionali italiani, lʼarchivio AIR - Archivio Istituzionale della Ricerca dellʼUniversità degli Studi di Milano.101

AIR nasce nel 2006 con lo scopo di raccogliere, documentare e conservare le

informazioni sulla produzione scientifica dell'Università degli Studi di Milano e

costituisce di fatto l'Anagrafe della ricerca dell'Ateneo. I dati presenti nell'archivio102

sono esposti pubblicamente sul web e indicizzati da motori di ricerca sia generici

sia specialistici del mondo Open Access. AIR funge quindi da "vetrina" dell'attività

scientifica svolta dall'Ateneo. Dove possibile, ai dati bibliografici è associato anche

il testo completo dei lavori di ricerca, rendendo così più evidente e significativa la

presenza dell'archivio (e dell'Ateneo) sul web. Dal novembre 2010 tutte le tesi di

dottorato sono obbligatoriamente presenti in AIR.

La prima, per quanto scontata, osservazione è relativa al carattere fortemente istituzionale di un archivio come AIR: «da marzo 2009, il Senato Accademico ha individuato nellʼarchivio lʼunico punto di raccolta dei dati sulla produzione scientifica dellʼAteneo, per migliorarne la visibilità e lʼimpatto a livello nazionale e internazionale».

Il Senato Accademico ha deliberato di qualificare ufficialmente lʼinfrastruttura

informativa AIR quale archivio istituzionale dei prodotti della ricerca dellʼUniversità

degli Studi di Milano, definendone caratteristiche-finalità, contenuti, attori, uso dei

dati. Il repository AIR sarà pertanto lʼunico punto di raccolta della produzione

scientifica dell'Ateneo e avrà lo scopo precipuo di massimizzarne la visibilità [...].

Le esigenze istituzionali per cui sono utilizzate tali registrazioni (richieste di

finanziamento, relazione annuale delle strutture, valutazione locale e nazionale

della ricerca) richiedono che lʼArchivio sia completo. Per questo motivo

58

101 «Nella classifica The Ranking Web of World repositories per l'anno 2013, AIR si è classificato in posizione 130, su circa 1.500 archivi istituzionali in tutto il mondo, e risulta essere il primo archivio italiano. Gli archivi sono stati valutati in base alla loro dimensione, alla loro visibilità (quantità di link entranti), alla quantità di full-text presenti, e alla quantità di articoli indicizzati da Google Scholar nel periodo dei cinque anni precedenti (2008-2012)». Questa informazione, come le altre relative ad AIR, sono tratte da http://air.unimi.it/.

102 «AIR è l'anagrafe della ricerca dell'Università degli Studi di Milano. Registra la produzione scientifica dell'Ateneo a partire dal 2004».

lʼinserimento è da considerarsi obbligatorio e deve possibilmente essere effettuato

entro un mese dalla pubblicazione del prodotto, in modo da mantenere lʼArchivio

sempre aggiornato.103

In questo modo, lʼuniversità – autonomamente dotatasi di una struttura adeguata – si occupa di raccogliere e conservare le informazioni relative alla propria produzione scientifica. Ciò significa recuperare almeno la funzione di mappatura e di comunicazione («“vetrina” dell'attività scientifica svolta dall'Ateneo») del quadro complessivo dei risultati dellʼattività che è identitaria dellʼente; quadro che – nellʼassenza di un simile strumento, in un regime di completa esternalizzazione della comunicazione dei propri prodotti scientifici – rimarrebbe sostanzialmente polverizzato e disperso tra i cataloghi degli editori commerciali. Si potrebbe considerare questo primo livello delle funzioni di AIR come preliminare al discorso sulla comunicazione dei contenuti della ricerca scientifica; un passaggio che ad ogni modo sembra particolarmente utile per consentire allʼistituzione di riappropriarsi, almeno, dellʼimmagine complessiva della propria produzione.

Un recupero del “controllo”, dei metadati e degli eventuali dati relativi alla produzione scientifica dellʼente pubblico, con risvolti inerenti alle ragioni politiche sopra indicate:

Metadata Policy per lʼaccesso alle informazioni che descrivono le registrazioni

nell'archivio:

1. Chiunque può accedere gratuitamente ai metadati delle registrazioni presenti

nellʼarchivio.

2. I metadati delle registrazioni possono essere liberamente riutilizzati per fini

non di lucro. Si esclude una loro utilizzazione per il perseguimento di un

qualsiasi vantaggio economico privato.

Data Policy per lʼaccesso al full-text delle registrazioni nell'archivio:

1. Chiunque può accedere gratuitamente al full-text delle registrazioni presenti

nellʼarchivio, in accordo con le scelte degli autori e con le politiche degli editori.

2. Copie delle pubblicazioni possono essere: A) riprodotte, esibite, eseguite,

fornite a terze parti in qualsiasi formato; B) liberamente utilizzate per fini non di

lucro, studio o ricerca personali, e fini educativi; ammesso che: A) vengano

59103 Estratto della delibera del Senato accademico del 20 marzo 2009.

indicati titolo, autori, e ogni altro dettaglio bibliografico della registrazione

utilizzata; B) venga fornito il link alla pagina originale contenente i metadati della

registrazione utilizzata; C) i contenuti non possono essere modificati in alcun

modo.

3. I full-text delle registrazioni non possono essere usati per fini commerciali

senza unʼautorizzazione formale da parte degli autori.

AIR garantisce inoltre i propri contenuti in termini di standardizzazione e di riconoscibilità, e di conseguenza di reperibilità e di visibilità:

Content Policy per lʼidentificazione dei dati presenti nellʼarchivio.

1. AIR è un archivio istituzionale contenente prodotti della ricerca.

2. Esso contiene le seguenti tipologie di materiale: articoli su periodico;

traduzioni di articoli su periodico; contributi in volume; traduzioni di contributi in

volume; interventi a convegno non pubblicati; volumi; traduzioni di volumi;

curatele di volumi; relazioni interne o rapporti di ricerca; norme e brevetti;

mappe; applicazioni e prodotti multimediali; curatele di applicazioni e prodotti

multimediali; edizioni critiche, edizioni o traduzioni commentate, commenti

scientifici; attività (direzione di una collana, partecipazione al comitato scientifico

di un periodico); tesi di dottorato.

3. Per ciascuna registrazione, vengono indicati: la data di pubblicazione; la

versione del full-text eventualmente allegato (bozza, manoscritto inviato

allʼeditore, versione accettata dallʼeditore, versione pubblicata dallʼeditore); la

tipologia di revisione (esperti anonimi, esperti non anonimi, comitato scientifico,

nessuno); lo stato di pubblicazione (pubblicato, ePub ahead of print).

Allʼinterno del circuito del lavoro scientifico questa tipologia di mappatura e indicizzazione offre dunque vantaggi in termini di visibilità e di facilitazione delle ricerche bibliografiche (si è sopra citata lʼesposizione sul web dei dati di AIR, e la loro indicizzazione da parte di «motori di ricerca sia generici sia specialistici del mondo Open Access»).

Elementi, questi, a cui si aggiunge quello della durata.

Preservation Policy per il mantenimento, l'aggiornamento e l'eventuale

eliminazione dei dati da AIR.

1. Le registrazioni presenti in AIR verranno mantenute in archivio

indefinitamente.

2. AIR cercherà di garantire una continua accessibilità ai dati in esso contenuti.

60

3. Se necessario, i dati presenti in AIR verranno migrati verso nuovi formati più

aggiornati.

4. AIR effettua regolari backup di tutti i dati presenti nell'archivio.

5. Le registrazioni non vengono normalmente eliminate da AIR.

6. Il ritiro di una registrazione da AIR può essere motivato dalle seguenti cause:

plagio o comprovata violazione di copyright; comprovate violazioni di natura

legale; sicurezza nazionale; falsificazione della ricerca.

7. Le registrazioni ritirate non verranno comunque cancellate, ma non saranno

più pubblicamente visibili.

8. L'handle identificativo e la URL di ciascuna registrazione in AIR verranno

mantenuti indefinitamente.

9. È possibile richiedere di effettuare modifiche o aggiornamenti sulle

registrazioni già pubblicate in AIR.

10. Lʼhandle identificativo e la URL di ciascuna registrazione in AIR punteranno

sempre alla loro versione più aggiornata.

11. Nel caso in cui AIR dovesse essere chiuso, tutti i dati presenti nellʼarchivio

verranno trasferiti in altro archivio idoneo.

Unʼattenzione, quella alla durata e alla conservazione, che sembra particolarmente interessante, dato che questi caratteri sono talvolta elementi ancora problematici delle piattaforme web.

Detto dellʼopportunità di raccogliere ed esporre, da parte dellʼistituzione universitaria, i metadati della propria produzione scientifica, si potrebbe considerare come un secondo e più avanzato livello di servizio la possibilità di inserire in AIR anche i testi completi e i dati dei lavori di ricerca.104 A questo proposito, interessante lʼobbligatorietà della pubblicazione su AIR delle tesi di dottorato: in questo modo – e in linea con alcune delle prese di posizione teoriche sin qui citate – il frutto “istituzionale” di un investimento pubblico sulla ricerca e la formazione degli studiosi, rimane a disposizione della stessa comunità scientifica;

61

104 Il sito di AIR specifica: «Dal punto di vista legale, tutto ciò che viene reso pubblico è una pubblicazione. Ai fini della valutazione e della ricerca, invece, al momento valgono come pubblicazioni solo quelle opere che hanno superato il processo di peer review, che siano state accettate da una rivista peer reviewed o da un editore». È questo il segno più forte del fatto che un archivio come AIR non possa essere considerato come uno strumento editoriale, mancando la prima e fondamentale funzione della mediazione editoriale, quella della selezione e, relativamente al campo scientifico, della valutazione. Ancora a questo proposito, si precisa: «I documenti depositati in AIR sono tutelati dalla legge sul Diritto dʼautore (L. 633/1941 e successive modifiche). Lʼautore conserva tutti i diritti morali ed economici sul proprio lavoro, sempre che questi ultimi non siano stati ceduti a un editore».

garantendo in ogni caso allʼautore lʼopportuna visibilità di questo lavoro, dichiaratamente organizzato secondo i caratteri richiesti dalla sede didattica, ma comunque frutto di una prima attività di ricerca.

Il sito di AIR, inoltre, segnala altre funzioni dellʼarchivio:

Nel corso degli anni l'archivio [...] ha aumentato le sue finalità. Attualmente i dati

presenti vengono inviati quotidianamente al sito docente del MIUR; sono utilizzati

dallʼAmministrazione centrale per la valutazione delle strutture di ricerca e delle

scuole di dottorato e per i processi di assegnazione dei fondi; sono usati per la

redazione delle relazioni annuali dei dipartimenti e per campagne di valutazione

promosse da singoli dipartimenti o facoltà; possono alimentare i siti web dei

dipartimenti o le pagine personali dei ricercatori; possono essere esportati dai

ricercatori in vari formati, per esempio per lʼinclusione nei propri CV.

Anche in questo caso, si potrebbero commentare queste informazioni nel senso di un recupero interno allʼistituzione degli elementi di comunicazione necessari per attività che sono sempre parte delle proprie ragioni istituzionali. Si elimina dunque il passaggio di esternalizzazione, attraverso editori esterni da cui poi, in ogni caso, si dovrebbero ricavare i dati per assolvere alle funzioni qui citate. Almeno in via teorica, ciò sembra ancora ridurre gli elementi di criticità che hanno dato avvio a questa indagine.

Accanto alla nascita e alla diffusione degli archivi istituzionali, si è assistito nel corso degli ultimi anni a esperimenti di impianto, da parte delle università, di attività editoriali più propriamente dette, interne

62

allʼistituzione: sono le university press, sorte in atenei italiani.105 Il caso maggiore è probabilmente quello fiorentino, che qui si assume come esemplare.

Anna Maria Tammaro – studiosa direttamente coinvolta nel progetto della Firenze University Press (FUP) – dà conto delle ragioni per cui, anche in Italia, si è ritenuto di esplorare questa via.

Lʼeditoria elettronica scientifica non è un problema esclusivamente tecnologico,

ma vanno risolti con consapevolezza alcuni problemi politici (come riprendere il

controllo del copyright ora ceduto agli editori commerciali), culturali (migliorare la

comunicazione, correggere comportamenti culturali di isolamento e non

cooperazione) e organizzativi (favorire una nuova economia dellʼinformazione,

organizzare le university press): questi quattro fattori – la tecnologia, la volontà

politica, il cambiamento culturale, la riorganizzazione – sono tutti egualmente

importanti.106

Sollecitato da ragioni economiche,107 il progetto di FUP è dunque avviato nel 2000 dallʼistituzione universitaria, «sulla base di un progetto

63

105 Per quanto, appunto, non manchino esperienze e progetti di notevole interesse in questʼambito, la via delle university press in Italia appare complessivamente in ritardo rispetto al contesto internazionale. Ne parla Giovanni Mari, presidente di Firenze University Press: «La cultura dellʼuniverity press è poco diffusa, e si è almeno introdotta tardivamente, in Italia. Per la verità, questa cultura è persino meno diffusa rispetto a quanto si possa ritenere considerando le esperienze di university press comunque attive. Il ritardo italiano della cultura dellʼuniversity press si sposa bene col ritardo complessivo dellʼeditoria italiana; si osserva infatti una molto debole capacità di porre sul mercato straniero i risultati della ricerca italiana. Questo non tanto per via della barriera linguistica, quanto piuttosto per la frammentarietà del nostro mondo editoriale. Si pensi, invece, allʼesempio contrario del caso portoghese: questa editoria lavora in una logica di associazione tra i marchi di tutti paesi di lingua portoghese; è una risposta intelligente allo strapotere dellʼeditoria angloamericana, che oggi ha sostanzialmente il monopolio dellʼeditoria scientifica» (intervista al prof. Giovanni Mari, presidente di Firenze University Press, Firenze - Milano, sabato 31 maggio 2014, in appendice, e da cui si cita in queste pagine).

106 A.M. Tammaro, Nuove prospettive per la comunicazione scientifica. Lʼesperienza delle Firenze University Press, cit., pp. 22-23.

107 «Lʼidea, nellʼesperienza fiorentina, è nata nellʼambito del Coordinamento biblioteche, come soluzione strategica alla spirale dei prezzi delle pubblicazioni scientifiche (in particolare dei periodici) e dopo aver sperimentato che soluzioni – pure ottime in sé – come quelle degli acquisti consortili, non possono essere completamente soddisfacenti nel lungo periodo» (ivi, p. 23). Il concetto è ribadito da Giovanni Mari: «Questa esperienza nasce come costola del sistema della biblioteche, con lo scopo primario e dichiarato di promuovere la politica dellʼaccesso aperto. In generale, è un fatto abbastanza tipico che le esperienze di university press siano nate in Italia nel contesto delle biblioteche di ateneo: sono gli operatori che hanno con più sensibilità avvertito il peso del monopolio angloamericano dellʼeditoria scientifica, soprattutto in rapporto ai pacchetti di riviste».

predisposto dal Coordinamento biblioteche e approvato dal Consiglio di amministrazione dellʼUniversità di Firenze».108

Al centro, secondo Tammaro, è il ripristino del possesso del copyright della propria produzione scientifica da parte delle università, affinché possano compiere completamente la propria funzione istituzionale:

È compito istituzionale di ogni università quello di contribuire alla distribuzione

più ampia possibile dei lavori di ricerca prodotti al suo interno e che sono ritenuti

degni di essere conosciuti da tutti gli studiosi.109

Si sottolinea qui la nuova indicazione del fatto che il lavoro di «distribuzione» sarebbe da considerarsi compito «istituzionale», quindi né secondario né tantomeno accessorio, dellʼuniversità.110 Interessante anche la precisazione intorno ai lavori di ricerca «ritenuti degni di essere conosciuti». È, questa forma di selezione, una delle funzioni più tipiche della mediazione editoriale, come già osservato, anche nei termini di una rivendicazione di ruolo da parte dellʼeditoria commerciale di servizio. È dunque significativo cogliere la possibilità di considerare anche questo atto come interno, proprio, appunto «istituzionale», dellʼuniversità e della propria attività di produzione scientifica. Una funzione, dunque, quella della selezione, che non andrebbe – e in ogni caso non deve andare – perduta, nel caso di esperienze di comunicazione direttamente gestite dai soggetti produttori e, in chiusura del cerchio, fruitori del sapere scientifico: «lʼuniversity press si vede dunque come come strumento di autonomizzazione rispetto alle logiche di mercato» sintetizza Giovanni Mari.111

Questi fatti, ritiene Tammaro, davano il senso della mancanza di «un servizio editoriale a disposizione degli autori dellʼuniversità, che li assista

64

108 Ibidem.

109 Ibidem.

110 «Eppure questo compito le università – attraverso la cessione gratuita del copyright – lo hanno affidato con leggerezza agli editori commerciali, fino a perderne il controllo. Lʼaumento dei prezzi delle pubblicazioni scientifiche, come anche le limitazioni allʼuso libero delle stesse pubblicazioni regolate dalla recente legge sul diritto dʼautore, evidenziano quali possano essere le conseguenze della perdita del copyright» (Ibidem).

111 Intervista a G. Mari, cit.

nellʼintero ciclo di vita dellʼinformazione scientifica».112 I limiti di questa situazione sono noti; al fondo, non si vede tanto unʼinefficienza da parte dellʼeditoria commerciale, quanto una diversa prospettiva di lavoro:

Che il comportamento degli editori commerciali sia diverso da quello degli

editori accademici (università e associazioni scientifiche) credo sia chiaro ad

ognuno. Il motivo di questa differenza di comportamento sta nel fatto che gli editori

commerciali hanno come scopo il profitto, in qualsiasi scenario – tradizionale o

elettronico che sia – mentre gli editori accademici hanno come scopo la diffusione

più ampia possibile della comunicazione scientifica.113

Se questa osservazione appare scontata, più interessanti ai fini del discorso di argomento editoriale che si sta qui conducendo sono alcuni suoi corollari, relativi proprio al merito alle strategie editoriali messe in campo dalle due diverse tipologie di operatori:

gli editori commerciali sono concentrati sulla pubblicazione, finché cʼè un

interesse economico a mantenerla; invece gli editori accademici sono concentrati

sugli studiosi, autori e lettori (che partecipano a una comunità con interessi

simili).114

Da ciò, si diramano due differenti indirizzi operativi:

Lʼeditore commerciale concentra quindi i suoi sforzi sulla produzione del

documento, e ha interesse al suo mantenimento fino a quando cʼè qualcuno

interessato allʼacquisto della pubblicazione. Lʼeditore accademico invece concentra

i suoi sforzi sulla comunicazione tra studiosi, gestendo lʼintero ciclo di vita

dellʼinformazione digitale, iniziando dalla creazione dellʼinformazione scientifica fino

allʼaccesso ad essa, inclusa la sua registrazione e preservazione permanente (per

la comunicazione ai posteri).115

Con ciò si torna alle radici teoriche del ragionamento qui condotto. Le criticità legate allʼesternalizzazione, rispetto al circuito scientifico, della

65

112 A.M. Tammaro, Nuove prospettive per la comunicazione scientifica. Lʼesperienza delle Firenze University Press, cit., p. 23.

113 Ibidem.

114 Ibidem.

115 Ibidem.

funzione di comunicazione, non pertengono tanto (o almeno non solo) a ragioni di inefficienza pratica o a criteri di standard qualitativi; quanto piuttosto alla diversità delle ragioni che regolano lʼattività dei due soggetti eventualmente collaboratori. La ricerca scientifica si muove, nel suo farsi, secondo linee e modalità differenti da quelle di altre forme di produzione culturale (che hanno il loro naturale sbocco nella comunicazione a un pubblico “esterno”, attraverso la mediazione editoriale); e sembra per ciò vantaggioso che la sua diffusione sia garantita in ragione di tali modalità, nei termini di accesso e di preservazione (a prescindere dallʼopportunità commerciale). Ancora più esplicito Giovanni Mari, nel rivendicare la vicinanza tra Firenze University Press e ateneo da un lato, e tra progetto editoriale e ruolo istituzionale dellʼuniversità dallʼaltro:

Concepiamo unʼuniversity press molto connessa alla ricerca degli atenei.

Pensiamo a una casa editrice che possa produrre servizi di innovazione per la

didattica, conservando una struttura che operi senza finalità di lucro e punti molto

sullʼaccesso aperto, che per noi è uno dei grandi obiettivi della società della

conoscenza. Il nostro modello di university press è molto vicino alle strutture

dellʼuniversità, in una logica di reciproca crescita, anche in rapporto alla stessa

innovazione tecnologica. Per fare un esempio, intendiamo lavorare in stretto

contatto con i dipartimenti di ingegneria e di informatica: lʼe-book, oggi, non è un

prodotto adatto alla ricerca, cʼè da lavorare. Penso anche, infine, alla possibilità di

rapporti dellʼuniversity press con la scuola, magari attraverso la fornitura di servizi

di e-learning.116

Criteri ed esigenze, quelli dellʼavanzamento della ricerca scientifica, che possono incontrasi in maniera feconda proprio con le possibilità offerte dal digitale, verso cui il progetto di FUP subito si rivolge.117 Tammaro, a sua volta, suggerisce alcune prospettive:

Molte nuove possibilità di servizi innovativi si prospettano, tuttavia, basate sulla

comunicazione con comunità scientifiche virtuali che si avvantaggiano

66

116 Intervista a G. Mari, cit.

117 «Tornando al modello dellʼuniversity presso, bisogna chiarire che, in fondo, si tratta di una declinazione di una politica editoriale tradizionale, che comprende sia fini commerciali, sia lʼapplicazione della tecnologia. Ciò significa oggi, in sostanza, lʼopportuna utilizzazione del web e delle sue potenzialità. Non a caso dunque Firenze University Press nasce nel 2000, quando in Italia comincia a essere diffusa la cultura digitale» (Ibidem).

dellʼinterattività del supporto digitale. In particolare alcune discussioni avviate

nellʼambito del comitato editoriale hanno suggerito la possibilità di:

- anticipare il dialogo tra autore e lettore ad una fase anteriore alla

pubblicazione, la fase della prima idea del lavoro e del suo primo deposito come

preprint;118

- rendere la fase della peer-review e del ricevimento di commenti sullʼopera

completamente automatizzata, via web;

- rendere possibile attivare in modo automatico i collegamenti ad altre opere e

aggiornare le citazioni al loro cambio di indirizzo;

- applicare le tecnologie del commercio elettronico a supporto di una

sperimentazione anche economica della comunicazione scientifica;

- fornire servizi di aggiornamento automatico ai lettori (sistemi di

disseminazione selettiva dellʼinformazione);

- sostituire lʼimpact factor con altre misurazioni statistiche più oggettive.119

Su queste premesse e con queste prospettive nasce dunque la Firenze University Press, con Decreto Rettorale n. 232 del 15 maggio 2003. «Nell'anno seguente FUP viene trasformata in Centro Editoriale di Ateneo, rafforzando la sua posizione all'interno della Università di Firenze».120

Oggi, una delle più interessanti del panorama delle consorelle university press sorte in Italia, la FUP descrive così la propria azione:

67

118 Interessante, per quanto la riflessione su questo punto abbisogni di ulteriori sviluppi, questo stimolo. Attraverso il quale, si potrebbe scorgere una nuova e interessante modalità di lavoro su quei prodotti provvisori, che Fioretta descriveva come le pionieristiche dispense di Unicopli: «Un autore deve poter avere la possibilità di cominciare a formulare alcuni abbozzi di un futuro lavoro (libro, articolo o dispensa), ad esempio allʼinizio dellʼanno accademico. Successivamente può sviluppare le prime idee, strutturandole in diverse linee e cominciare a discuterne con i colleghi e con i collaboratori. A seconda dellʼargomento e del tempo a disposizione, può passare del tempo per le ricerche preliminari e per lo sviluppo di un piano chiaro per la pubblicazione. La prima idea della ricerca può quindi cominciare presto ma il lavoro successivo, comprese le interruzioni, può durare a lungo. Durante questo periodo, nello status di preprint, o come banca dati, il documento può essere depositato in un server dellʼuniversità, identificato da un identificatore univoco, descritto dai metadata e dalla classificazione che lʼautore stesso o il gruppo di lavoro della Firenze University Press gli attribuisce. In questa fase iniziale il documento viene gestito con adeguate garanzie di sicurezza e reso visibile secondo le scelte dellʼautore. Tali archivi locali devono poter partecipare al flusso della comunicazione di comunità virtuali già attive sul web, oppure consentire una didattica innovativa che coinvolge gli studenti nella realizzazione delle pubblicazioni. Serve quindi la realizzazione di forum e portali, oltre che la condivisione di protocolli di rete utilizzati dalle comunità scientifiche» (A.M. Tammaro, Nuove prospettive per la comunicazione scientifica. Lʼesperienza delle Firenze University Press, cit., p. 25). Una volta arrivato a maturazione, il lavoro seguirà la normale trafila editoriale.

119 Ivi, p. 24.

120 Questa e le seguenti notizie, dove non diversamente segnalato, sono tratte da http://www.fupress.com/.

pubblica i risultati della ricerca scientifica, condotti primariamente dall'Università

degli Studi di Firenze ma anche dalla comunità scientifica nazionale, per diffonderli

nel circuito della comunicazione accademica a livello nazionale e internazionale.

Qui, si evidenzia il richiamo allʼormai noto elemento del «circuito», per cui lʼassunzione interna della comunicazione sembra la via più adeguata:

La FUP, casa editrice dellʼUniversità di Firenze, pubblica e diffonde i risultati più

avanzati della ricerca scientifica. È un importante attore del processo di

produzione, diffusione e conservazione del sapere scientifico e dialoga con la

comunità scientifica internazionale così come con le diverse istituzioni culturali

deputate allʼespansione e conservazione del sapere.

Gli strumenti tecnologici impiegati sono intesi come condizione dirimente per il perseguimento degli obiettivi istituzionali della casa.

FUP pone al centro di ogni fase del processo editoriale la tecnologia digitale e

lʼimpiego del Web. Le pubblicazioni vengono prima di tutto realizzate in formato

elettronico, avendo come primo luogo di distribuzione proprio la Rete.

La loro piena garanzia come vera e propria pubblicazione per tutti i fini

scientifici e accademici viene garantita tramite il deposito legale volontario di una

versione elettronica non modificabile presso la Biblioteca Nazionale Centrale di

Firenze.

Al criterio della massima maneggevolezza dei contenuti, non si oppone dunque quello – altrettanto importante – della conservazione e della durata. Così come già osservato a proposito di accesso aperto, che infatti è una delle vie percorse da FUP.

Le condizioni di accesso allʼedizione digitale (in formato PDF) vengono stabilite,

per ogni singola opera, insieme agli autori, ricercando lʼequilibrio tra i principi

dellʼOpen Access e la salvaguardia dei loro diritti e del loro lavoro. In particolare, le

strategie proposte da FUP sono le seguenti:

- Anteprima gratuita - in modalità di sola lettura - di tutte le sezioni dellʼopera,

con la possibilità di stampare le sezioni di presentazione, prefazione o

introduzione, rendendo in questo modo possibile la conoscenza dei contenuti.

68

- Download gratuito o a pagamento della versione elettronica o dellʼintera opera

o di singole parti.

- Allʼinterno degli accordi di gestione del diritto dʼautore, FUP permette

all'autore di diffondere una versione elettronica delle proprie opere in archivi

aperti istituzionali e disciplinari senza scopi commerciali.

Infine, a ogni pubblicazione in digitale possono essere assegnate chiavi di

accesso temporanee per consentirne ogni tipo di impiego, sempre nel rispetto del

diritto dʼautore.

Infine «allʼedizione elettronica è possibile affiancare la pubblicazione di una versione cartacea, realizzata tramite tecnologie digitali che permettono di calibrare la tiratura sullʼeffettiva esigenza didattica o di mercato. In questo modo si ottiene anche un considerevole contenimento dei costi di pubblicazione».

Interessanti anche i dati legati alla distribuzione: accanto alla pubblicazione sul sito della casa editrice, e alla filiera più tradizionale per i volumi cartacei, FUB agisce attraverso:

Inserimento in banche dati bibliografiche

Ogni pubblicazione FUP viene inserita nelle seguenti banche dati:

- nel proprio sito Web e catalogo;

- nei cataloghi dei propri distributori;

- nel catalogo dei libri in commercio: Alice e Internet Bookshop Italia;

- in Ulrichʼs Periodicals Directory per i periodici;

- in altri repertori e strumenti sul Web: Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP) e

DOAJ.

Integrazione con la biblioteca digitale

- OPAC di Ateneo (Online Public Access Catalogue);

- Catalogo dei periodici elettronici di Ateneo;

- OPAC SBN (OPAC Servizio Bibliotecario Nazionale);

- ACNP (Catalogo Italiano dei Periodici).

Accesso Aperto

Seguendo le direttive per lʼOpen Access, i documenti inseriti in Archivio E-Prints

sono ricercabili tramite i seguenti servizi:

- PLEIADI (servizi italiani);

- OAISTER (servizi internazionali);

- DOAJ (riviste ad accesso aperto).

69

Sembra fondamentale – e pienamente corretto – in questo quadro, il ricorso agli standard identificativi («le riviste possono anche ricevere, oltre allʼassegnazione di un identificatore ISSN, un identificatore DOI a garanzia della stabilità della risorsa elettronica in rete e del suo commercio»), e alla pubblicazione (o allʼinserimento dei dati relativi alle pubblicazioni) in portali di ricerca e interconnessione di contenuti.

Altrettanto riconducibile a una funzione di mediazione editoriale – Giovanni Mari ne parla come di «un forte profilo identitario»–,121 il processo di certificazione della qualità scientifica delle opere pubblicate:

Le proposte di pubblicazione sono presentate allʼattenzione del Consiglio

editoriale della FUP tramite il Direttore editoriale della casa editrice che ne fa una

prima valutazione editoriale, tecnico editoriale ed economica. Il Consiglio editoriale

della FUP [...] delibera sullʼopera dando parere favorevole alla pubblicazione,

ovvero rifiutandola, ovvero chiedendo allʼautore una revisione della stessa.

Le proposte di pubblicazione possono essere presentate al Consiglio editoriale

della FUP direttamente dallʼAutore, ovvero da un Consiglio scientifico riconosciuto

e quindi afferente al Catalogo FUP.

Le proposte dei singoli autori sono sottoposte a doppio referaggio (affidato ad un

membro del Consiglio editoriale e ad uno studioso esterno) .

Le opere proposte dai Comitati scientifici afferenti al Catalogo FUP devono essere

accompagnate dal parere di due referee: uno interno e uno esterno al Comitato

proponente . Il Consiglio editoriale della FUP resta comunque depositario del

parere favorevole definitivo, riservandosi una propria analisi della proposta di

pubblicazione.

In questo modo, spiega Giovanni Mari, «Firenze University Press fa una forte mediazione editoriale. Con la consapevolezza di contribuire alla qualità scientifica della produzione di ateneo».122

70

121 Intevista a G. Mari, cit.

122 Ancora a proposito della mediazione, e in particolare della funzione di selezione attuata dalla casa editrice, Mari ne parla come un elemento anche distintivo di Firenze University Press nei confronti di alcuni operatori commerciali che regolano la propria attività soprattutto sullʼelemento economico: «Qualcuno di questi operatori, poi, era solito pubblicare senza referaggio. E dunque, per le esperienze come Firenze University Press, lʼintroduzione del referaggio è stata un vantaggio, togliendo la concorrenza di chi pubblicava solo perché a fronte del pagamento dei costi a monte» (Ibidem).

Come avviene per ogni casa editrice, il catalogo di FUP è il luogo in cui la linea editoriale e le scelte strategiche si declinano. Lʼelenco delle collane offre la possibilità di alcune osservazioni.

Atti: la collezione raccoglie le edizioni di atti di convegni, una delle forme più importanti nella diffusione dei risultati e delle tendenze della ricerca scientifica.

Atti delle «Settimane di Studi» e altri Convegni: la collana pubblica gli atti della «Settimane di Studi» dell'Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini». L'Istituto fondato nel 1967 su iniziativa di Federigo Melis, immediatamente raccolta da Fernand Braudel e da un importante gruppo di studiosi, è una delle massime istituzioni internazionali operanti nel campo della storia economica dell'età preindustriale (XIII-XVIII secolo).

Biblioteca delle professioni: i volumi della collana, curati da professionisti e studiosi, forniscono fondamentali strumenti conoscitivi per orientarsi e operare nel mondo delle professioni.

Biblioteca di storia: la collana di saggi dedicata alle trame della storia e alle sue narrazioni.

Biblioteca di Studi di Filologia Moderna. Direttore: Beatrice Töttössy. (Indicati il Coordinamento editoriale e il Comitato scientifico internazionale.

Biblioteca di Studi Slavistici: la collana, fondata per iniziativa dell'Associazione italiana degli slavisti (AIS), in sinergia con il periodico scientifico «Studi Slavistici», offre una panoramica dei risultati più avanzati della ricerca su temi attinenti alle discipline slavistiche.

Biblioteca scientifica universale – BSU: monografie d'ampio respiro sui saperi e i temi centrali nel dibattito culturale.

Carte, Studi e Opere – Centro Trentin di VeneziaCataloghi e collezioni: cataloghi e collezioni scientifiche raccolti e

pubblicati in volumi che lasciano ampio spazio alla testimonianza iconografica di importanti reperti della cultura di ogni tempo.

Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo San Miniato: la collana ospita gli atti dei Convegni internazionali biennali e degli

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incontri straordinari organizzati dalla Fondazione Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato.

Edizioni dellʼIstituto Papirologico «G. Vitelli»: la collana si propone di accogliere lʼedizione di testi su papiro dellʼantichità greca, romana e bizantina, nonché volumi di studi e approfondimenti su tematiche particolari nel vasto campo della papirologia letteraria e documentaria. Le Edizioni dellʼIstituto Papirologico «G. Vitelli» intendono proseguire una più che secolare tradizione, iniziata dalla Società Italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto (1908-1927) e proseguita poi dallʼIstituto Papirologico «G. Vitelli». LʼIstituto, costituito in seno allʼUniversità di Firenze nel 1928, presenta dal 1939 nella sua denominazione ufficiale il nome di Girolamo Vitelli suo primo direttore e iniziatore degli studi papirologici in Italia.

Electronica: la collana Electronica valorizza i progetti editoriali che sviluppano idee al servizio dellʼinnovazione digitale coniugata alla divulgazione scientifica, sfruttando al meglio le potenzialità del Web e degli strumenti digitali per la produzione, diffusione e conservazione dei contenuti. Electronica offre un ventaglio variegato di risorse scientifiche concepite e realizzate come pubblicazioni elettroniche, nella forma di siti web, cd-rom, database on-line, software.

Fonti storiche e letterarie – Edizioni cartacee e digitali: la collana raccoglie le pubblicazione di edizioni critiche e commentate di fonti storiche e letterarie, fondi e archivi librari, con modalità di edizione capaci di ibridare le tradizionali pubblicazioni cartacee con gli strumenti più innovativi dell'editoria digitale.

La medicina della complessitàLectio Magistralis: la collana delle lectio magistralis dell'Università

di Firenze e dei suoi Dipartimenti.Manuali – Biomedica: pubblicazioni rivolte alla didattica

universitaria in linea con la tipologia dei nuovi esami universitari, completezza e chiarezza espositiva ne costituiscono le caratteristiche distintive. La collana è articolata in cinque aree: biomedica, scienze, scienze sociali, scienze tecnologiche, umanistica.

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Manuali – Scienze: pubblicazioni rivolte alla didattica universitaria in linea con la tipologia dei nuovi esami universitari, completezza e chiarezza espositiva ne costituiscono le caratteristiche distintive. La collana è articolata in cinque aree: biomedica, scienze, scienze sociali, scienze tecnologiche, umanistica.

Manuali – Scienze Sociali: pubblicazioni rivolte alla didattica universitaria in linea con la tipologia dei nuovi esami universitari, completezza e chiarezza espositiva ne costituiscono le caratteristiche distintive. La collana è articolata in cinque aree: biomedica, scienze, scienze sociali, scienze tecnologiche, umanistica.

Manuali – Scienze Tecnologiche: pubblicazioni rivolte alla didattica universitaria in linea con la tipologia dei nuovi esami universitari, completezza e chiarezza espositiva ne costituiscono le caratteristiche distintive. La collana è articolata in cinque aree: biomedica, scienze, scienze sociali, scienze tecnologiche, umanistica.

Manuali – Umanistica: pubblicazioni rivolte alla didattica universitaria in linea con la tipologia dei nuovi esami universitari, completezza e chiarezza espositiva ne costituiscono le caratteristiche distintive. La collana è articolata in cinque aree: biomedica, scienze, scienze sociali, scienze tecnologiche, umanistica.

Mater.iali: la Collana di volumi Mater.iali, diretta da Francesca Vannozzi, a cura del Centro servizi CUTVAP (Tutela e Valorizzazione dell'Antico Patrimonio scientifico) dellʼUniversità di Siena, è uno strumento di divulgazione della conoscenza dei beni culturali scientifici, studiati e catalogati dal Centro stesso. Le sue pubblicazioni forniscono informazioni precise sulla consistenza delle collezioni catalogate, utili alla loro tutela, e un quadro delle relazioni di contesto che legano un bene ad altri, indispensabile per la valorizzazione e per lo studio della storia della medicina e delle scienze.

Moderna/Comparata: la collana, che si propone lo studio e la pubblicazione di testi di e su la modernità letteraria (cataloghi,

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corrispondenze, edizioni, commenti, proposte interpretative, discussioni teoriche) prosegue unʼormai decennale attività avviata dalla sezione Moderna (diretta da Anna Dolfi) della Biblioteca digitale del Dipartimento di Italianistica dellʼUniversità di Firenze.

Pluriverso – Quaderni della Biblioteca del Polo Universitario di Prato: la collana interdisciplinare Pluriverso vuole rendere pubblici i contenuti di iniziative, eventi, conferenze realizzati con il contributo della Biblioteca, a testimonianza dell'attività scientifica realizzata presso la Sede universitaria di Prato.

Premio Cesare Alfieri «Cum Laude»: la serie raccoglie le pubblicazioni vincitrici del Premio Cesare Alfieri «Cum Laude» istituito dalla Scuola di Scienze politiche “Cesare Alfieri”.

Premio Ricerca «Città di Firenze»: la collana raccoglie le pubblicazioni vincitrici del Premio ricerca «Città di Firenze», istituito dall'Assessorato Università, Ricerca, Politiche giovanili del Comune di Firenze in collaborazione con lʼUniversità degli studi di Firenze e la Firenze University Press. Il premio intende promuovere e sostenere lʼattività di ricerca di giovani studiosi nel campo delle scienze umane e sociali favorendone la più ampia diffusione anche attraverso la pubblicazione in accesso aperto.

Premio Tesi di Dottorato: la serie raccoglie le pubblicazioni vincitrici del “Premio Tesi di Dottorato”, istituito dalla Firenze University Press a partire dal 2007 per premiare le eccellenze fra le tesi di dottorato discusse nell'Ateneo di Firenze. Il premio prevede la pubblicazione in edizione cartacea e digitale di cinque tesi, una per ogni area in cui è suddivisa l'attività di ricerca (Biomedica, Scienze Sociali, Scientifica, Tecnologica, Umanistica), e ulteriori due tesi scelte dalla Commissione giudicatrice all'interno delle aree più eterogenee.

Proceedings e report: la collezione fornisce uno strumento agile, immediato e multiformato, per agevolare lo scambio di informazioni fra le comunità scientifiche.

Reti Medievali E-Book: la collana, nata dalla collaborazione con Reti Medievali: iniziative on line per gli studi medievistici – la prima iniziativa italiana di pubblicazione integrata e multiformato di studi di

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argomento medievistico –, ne raccoglie gli studi monografici e le curatele a tema.

Scuole di dottorato: la collana è destinata a dare spazio alle ricerche maggiormente significative sviluppate da giovani studiosi nell'ambito dell'attività delle Scuole di dottorato e dei Dottorati di ricerca dell'Ateneo di Firenze e di altri Atenei.

Strumenti per la didattica e la ricerca: la collana annovera fra i suoi titoli le pubblicazioni più a diretto contatto con la ricerca e la didattica universitaria, fornendo al contempo testi agili per la didattica caratterizzante e spazi editoriali per i risultati più avanzati della ricerca specialistica.

Studi e saggi: Architettura e storia dell'arte, Cultural studies, Diritto, Economia, Filosofia, Letteratura, filologia e linguistica, Politica, Psicologia, Sociologia, Storia e sociologia della scienza, Studi di bioetica sono le sezioni della collana di saggi della Firenze University Press.

Territori: la collana sviluppa in senso multidisciplinare i temi del governo e del progetto del territorio messi a punto dalla «scuola territorialista italiana». L'approccio al progetto urbano e territoriale, alla pianificazione paesaggistica e ambientale, alla gestione di strumenti ordinativi del territorio, è declinato secondo le teorie dello sviluppo locale autosostenibile incentrato sulla valorizzazione dei luoghi e delle peculiarità identitarie dei loro patrimoni.

Lʼelenco delle collane, oltre a fornire il quadro degli interessi compresi in FUP e le sue dimensioni, permette di comprendere i vari livelli di servizio prestati da questo istituto editoriale interno allʼuniversità stessa. Accanto a una più vasta produzione di opere, prodotti interni o esterni allʼuniversità fiorentina, ad ogni modo più autonomi rispetto allʼateneo a cui FUP fa capo, spicca la linea dei prodotti concepiti al servizio della didattica. La «Biblioteca delle professioni» (che sembra appunto rispondere alle esigenze appunto di professionalizzazione degli studenti), e specialmente le collane dei «Manuali», dimostrano la stretta correlazione, allʼinterno dellʼambiente universitario, tra ricerca e didattica precedentemente discussa. È dunque anche questo settore di

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comunicazione editoriale una parte integrante dellʼattività istituzionale dellʼente universitario (a maggior ragione se pubblico). Ugualmente riconducibili a una logica di servizio “interno” allʼateneo di riferimento (o ad altri che si servano del canale di FUP) le collane come quelle di atti di convegni, o le «Premio Tesi di Dottorato» e «Scuole di dottorato», sbocco di attività istituzionali universitarie; a tal proposito, infine la collana «Lectio Magistralis» sembra rappresentare in maniera particolarmente significativa lʼappartenenza a unʼunica istanza comunicativa dellʼente delle esigenze editoriali, di rappresentanza istituzionale, e di diffusione dei valori scientifici, che unʼesperienza come FUP dovrebbe, in linea teorica, potere assolvere, senza incorrere nei «circoli viziosi» o nei paradossi procedurali sopra evidenziati.

A livello delle ragioni e dei caratteri progettuali dellʼattività editoriale, il modello della university press rappresentato dalla FUP sembra dunque quello più in linea con gli elementi teorici che guidano questa riflessione. Rimane aperto il tema della sua sostenibilità, nel quadro delle croniche difficoltà materiali del mondo della ricerca e dellʼuniversità. Per questo, FUP ha scelto di ibridare il proprio modello editoriale:

Firenze University Press promuove lʼaccesso aperto sostenibile. E lo fa, in una

logica di sostentamento aziendale, attraverso lʼattività di commercializzazione altri

testi. Oggi contiamo circa 250 titoli in accesso aperto, sui 750 in catalogo.

Pubblichiamo sia opere da subito in accesso aperto, sia alcune a cui è applicato un

embargo di dodici mesi in media (che è comunque un compromesso avanzato). Le

riviste sono in gran parte open access, mentre alcune sono disponibili in

abbonamento.

Lʼattività open access (che presenta sia costi di fabbricazione sia costi di

gestione) di Firenze University Press è dunque sostenuta dallʼattività commerciale:

è quasi un modello di onlus, per via del fatto che reinvestiamo in servizi open

access le entrate dellʼattività commerciale, operando complessivamente senza

finalità di lucro.123

Il modello, per quanto riguarda la sopravvivenza di FUP, funziona:

Il risultato è un bilancio in equilibrio, a prescindere dai finanziamenti

dellʼuniversità (che pure ci sono, importanti ma non in proporzioni decisive per la

76123 Intervista a G. Mari, cit., da cui si traggono anche le citazioni seguenti.

vita del marchio). Anche il personale (ad oggi, purtroppo, precario: e questa è una

criticità) è dipendente della casa, e solo una figura professionale è universitaria. Il

bilancio produce dunque degli utili, e lʼattività si attesta sul centinaio di opere

pubblicate annualmente, oltre alle trentasette riviste attive.

Mentre a livello del puro sostentamento economico (fatto salvo per lʼelemento critico dellʼimpossibilità dio stabilizzare i lavoratori impiegati) la sostenibilità è stata, fino ad ora, garantita, a livello dellʼorganizzazione aziendale e dei suoi spazi di evoluzione, emergono alcuni elementi problematici:

Più nello specifico della “macchina aziendale”, Firenze University Press ha due

bilanci: uno redatto secondo i criteri di un ente pubblico, lʼaltro secondo criteri

economici, di impresa. Lʼobiettivo, per la buona salute della casa editrice, è

naturalmente lʼequilibrio del bilancio economico. Oggi – ed è questa la ragione

della doppia anima – siamo una struttura interna allʼateneo, come un dipartimento.

Il nostro obiettivo, però, è quello di uscire da questa condizione, smettendo di

essere una struttura completamente interna allʼuniversità. La ragione di questa

scelta sta nel fatto che il carattere di ente pubblico determina ritardi e limiti,

soprattutto per lʼattività commerciale (anche per le più piccole entrate o per le più

piccole necessità in uscita, dobbiamo ricorrere agli strumenti più rigidi delle fatture

e dei bandi). Un bilancio in equilibrio, indipendentemente dai contributi universitari,

è dunque premesse indispensabile per fare questo passaggio, e rendere Firenze

University Press sostanzialmente una società partecipata, secondo una forma

molto più agile.

Un passaggio evolutivo sembra dunque necessario, ma, spiega Mari, gli ostacoli sono tanti:

Ora, per Firenze University Press, si prospetta la necessità di un passaggio

delicato, in parte già indicato. Siamo troppo grandi per rimanere completamente

interni allʼuniversità, ma contemporaneamente non riusciamo a trovare strade che

ci diano rapporti con altri atenei per uscire e diventare un soggetto nazionale.

Questo è il nodo, che sembra di difficile scioglimento.

Per garantire la giusta forza propulsiva al progetto delle university press, occorrerebbe estenderne il raggio di influenza a livello nazionale, in una logica di rete e di orizzonte comune tra gli atenei italiani:

77

Occorre ripensare lʼesperienza di university press a livello più ampio, uscendo

dai particolarismi di ogni attore. Con lo scopo di promuovere sistematicamente la

golden road allʼopen access, finalizzata alla diffusione della conoscenza. Bisogna

uscire dal singolo ateneo (e già ora, per la verità, noi pubblichiamo il 40% di titoli

derivati dalla produzione scientifica di altri atenei).

La direzione del mondo della ricerca, però, è tuttʼaltro che univoca:

Ne parlo però come di un percorso faticoso e incerto. Dʼaltra parte, la forza

delle university press italiane è ancora modesta. I motivi che spingono ancora molti

studiosi a pubblicare presso editori commerciali sono vari. Penso, in alcuni casi,

alla forza del logo di grandi editori e alla fiducia che si ripone nella sua oggettiva

maggiore visibilità e forza di penetrazione; per non parlare dellʼeffettiva possibilità

di alcune grandi case di fornire migliori servizi ai propri autori. A volte, però, gli

studiosi e autori si rivolgono a case editrici piccole, o ad aziende a cui –

sostanzialmente – non si richiedono servizi; in questi casi i motivi sembrano

risiedere nei rapporti ormai cristallizzati negli anni, che rimangono in piedi e

resistono alle innovazioni di cui si è detto. Per la verità, oggi mi sembra che questi

rapporti stiano venendo un poʼ meno, e che soprattutto vengano meno i legami di

autori ed enti con con piccole case editrici che vivono di provvigioni e commissioni

pubbliche, senza poi fornire i servizi (il tipico caso dei libro pubblicato che rimane in

magazzino).

La situazione è oggi fluida, e renderebbe necessari i passaggi che si sono

indicati. Qualche dubbio rimane sulla capacità del contesto di percepire queste

necessità e le potenzialità che si aprirebbero.

Mentre dunque, da un lato, il modello dellʼuniversity press sembra rispondere positivamente, come detto, alle peculiari esigenze individuate per via teorica per la comunicazione scientifica e accademica (e, insieme, si rivela di non impossibile sostenibilità economica), dallʼaltro lato, invece, i caratteri normativi degli enti pubblici e soprattutto la scarsa confidenza che il mondo scientifico italiano rivelerebbe nei confronti di unʼidea di circolazione pubblica e ad accesso aperto della conoscenza, rendono questa via ancora precaria nelle sue prospettive di sviluppo.

78

6. Tra accesso aperto e ragioni commerciali: il caso di Ledizioni

Pur alla luce delle indicate resistenze e difficoltà incontrate da un modello di comunicazione editoriale in accesso aperto, autonomamente organizzato e gestito dalle stesse istituzioni di ricerca, ciò che emerge dal discorso sin qui condotto è in ogni caso lʼormai necessaria esigenza di approfondire la riflessione sulla comunicazione scientifica; non dando più per scontato il modello di unʼeditoria commerciale tradizionale, cogliendo le innegabili prospettive aperte dellʼimpiego del digitale, e assumendo (o per una ragione etica, o per lʼacclarata insostenibilità economica delle modalità tradizionali) alcuni aspetti della logica dellʼaccesso aperto.

Per questo nel panorama editoriale universitario italiano si sono affacciate, o oggi operano stabilmente, esperienze con un carattere che si potrebbe definire sperimentale, e che – unendo elementi dei modelli sin qui considerati – si sono date identità meritevoli di approfondimento.

Si considera qui il modello della milanese Ledizioni. Lʼesperienza – il cui progetto editoriale tende allʼibridazione di una logica di servizio al mondo universitario con il massiccio impiego dei canali dellʼaccesso aperto – rivela una grande disponibilità allʼindagine e alla pratica dei più aggiornati strumenti, con lʼobiettivo dichiarato di perseguire una modalità di lavoro che, almeno in parte, sciolga di rimuovere i nodi problematici comunque presenti nel servizio offerto al mondo della ricerca dallʼeditoria tradizionale.

Curiosamente, il marchio Ledizioni ha una derivazione antica, dalla libreria LEDI (Libreria Editrice Italiana), fondata a Milano nel 1935 da Ingo Weihs. Dopo i traumi della guerra, lʼazienda riprende la propria attività come libreria commissionaria, specializzata nellʼimportazione dei libri soprattutto dallʼarea germanica. La casa editrice universitaria Ledizioni nasce nel 2007, ad opera di Eleonora Weihs e di Nicola e Lorenzo Cavalli, figlia e nipoti del fondatore.124 La specializzazione nel settore universitario derive da una duplice ragione: in primo luogo – spiega Nicola Cavalli – «è lo sbocco naturale dellʼazienda, perché questo è sempre stato, diciamo

79

124 «Ricominciamo a fare edizioni con il marchio Ledizioni, che rimane proprietà della libreria LEDI dalla fine del 2008 fino al 2011, quando Ledizioni diventa invece una s.r.l. a parte. Oggi dunque convivono le due aziende: libreria LEDI e casa editrice Ledizioni. Di fatto libreria LEDI è ora uno dei distributori della casa editrice» (intervista a Nicola Cavalli, Milano, 21 maggio 2014; in appendice).

prosaicamente, il nostro mercato, il nostro ambiente, e la nostra rete di relazioni è sempre stata in questo mondo»; è la via, come sopra osservato, più solidamente tradizionale su cui procedono i rapporti tra mondo della produzione scientifica ed editoria, in Italia. In secondo luogo, la vocazione universitaria dellʼimpresa, prosegue lʼeditore, «è per me prosecuzione coerente di un percorso personale di studio e di interessi. Declinati specialmente verso i temi della comunicazione scientifica attraverso gli strumenti digitali e lʼaccesso aperto»;125 con questo, dunque, si spiega la costante e consapevole attenzione della casa editrice verso i modelli di pubblicazione più moderni e alternativi ai tradizionali canali commerciali. Fin dalla storia aziendale, dunque, Ledizioni rivela un interessante intreccio di caratteri: da un lato, una forte consapevolezza “storica” del ruolo dellʼeditore e della sua funzione di mediatore, dallʼaltro, un atteggiamento che si potrebbe definire “di ricerca”, condotto da una prospettiva in grado di assecondare quella dei produttori stessi della conoscenza.

Nella presentazione che Ledizioni fa di se stessa sul sito web della casa editrice,126 si sottolinea:

La casa editrice riprende lʼattività editoriale della LEDI interrotta nel dopoguerra

e si propone di pubblicare saggistica scientifica di alta qualità, di ristampare opere

esaurite o fuori catalogo, di pubblicare su diverse piattaforme in digitale, in formato

e-pub, mobi ed in diverse modalità per le piattaforme mobili, siano Apple, Android o

altre.

In generale si propone lo sfruttamento delle possibilità del print on demand e

dellʼeditoria digitale.

Con un riferimento immediato alla scelta caratterizzante per la via dellʼaccesso aperto:

80

125 Nicola Cavalli ha conseguito il dottorato di ricerca in Società dellʼInformazione presso lʼUniversità degli Studi di Milano Bicocca, con una tesi dal titolo Editoria scientifica: la transizione al digitale. Università, biblioteche e case editrici di fronte ad un sistema in evoluzione (a.a. 2005/2006).

126 www.ledizioni.it

LʼOA propone nuovi modelli di editoria, principalmente accademica e scientifica,

con lʼobiettivo di rendere lʼinformazione scientifica accessibile gratuitamente a tutti.

[Indicazione della Green e della Gold road]

Ledizioni vuole aiutare gli autori ed i lettori perseguendo entrambe le strategie,

per mettere le basi per nuovi modelli di editoria professionale, accademica e

scientifica.

Lo stesso Nicola Cavalli indica questa scelta come fondante dellʼidentità della propria casa editrice:

Non ho paura a mischiare i due piani, quello aziendale e quello più

propriamente legato a unʼidea di cultura. La nostra scelta di pubblicare in open

access è prima di tutto una scelta, per dirla in maniera un poʼ iperbolica,

ideologica. Insomma... Una scelta politica: crediamo sia giusto che il sapere circoli

il più liberamente possibile. Con la rete questo è possibile, quindi ci sembra

opportuno sostenere questo modello di circolazione del sapere.127

Una scelta, in ogni caso, che sembra necessaria anche da una prospettiva aziendale:

Questa direzione di Ledizioni si interseca anche con aspetti di tipo più

economico e commerciale. Con lʼavvento delle nuove tecnologie, infatti, il

panorama della comunicazione è stato molto rivoluzionato, è stato trasformato, ha

subito grandi scosse. Quindi si deve partire dallʼassunto che non si riuscirà a fare

le cose come si facevano prima. Resistere, parafrasando Walter Siti, non serve a

nulla. Ed è questa una considerazione molto pragmatica, non ideologica; piuttosto

è unʼanalisi credo abbastanza lucida (e, a mio modo di vedere, persino abbastanza

scontata e banale) di ciò che sta succedendo nel panorama dei media. Quindi

anche dalla prospettiva aziendale si parte dallʼassunto che bisogna cambiare

qualcosa. Se poi uniamo questo fatto alla convinzione che lʼopen access sia

comunque una scelta da perseguire, possiamo approdare a un progetto che tenti

di mettere insieme le due cose.

Dati questi assunti di partenza, Ledizioni ha identificato un proprio spazio nel mercato dellʼeditoria universitaria:

La considerazione (che faccio da una prospettiva non di studioso, ma

aziendale) è: aziende come la libreria LEDI esistono, e sono sempre esistite, per

81127 Intervista a Nicola Cavalli, cit., da cui si cita anche in seguito.

una fondamentale inefficienza dellʼattività di distribuzione da parte di queste case

editrici universitarie [tradizionali]; perché, fondamentalmente, a molte o ad alcune

di queste non interessa distribuire i propri volumi, ciò non interessa venderli,

ovviamente perché sono pagati alla fonte. [...] Da questa analisi è venuta lʼidea che

sarebbe stato possibile innovare questo settore dellʼeditoria con un carattere di

servizio dellʼuniversità; sarebbe stato possibile innovarla e offrire servizi migliori

che rendessero possibile una migliore comunicazione editoriale, cioè che

giustificassero il ruolo della casa editrice nellʼambito della comunicazione

scientifica, della comunicazione universitaria. Perché, a nostro parere, negli anni,

ci sarà sempre meno spazio per attori che non portano nessun beneficio al sistema

e agli altri attori della filiera. Quindi lʼidea è stata quella di fare una casa editrice

che si inserisse nel panorama della comunicazione scientifica, però avendo

effettivamente un ruolo, cioè svolgendo un ruolo utile, dando valore al sistema. E

questo in prima istanza vuol dire, ad esempio, pubblicare in open access, quando

la pubblicazione è in qualche modo finanziata a monte da parte dellʼuniversità; ciò

rende anche necessario un lavoro per portare a conoscenza degli autori, delle

università, questa possibilità, molto spesso ignorata.

Queste considerazioni inducono a inserire – allʼinterno del quadro che si cerca di tracciare in queste pagine – Ledizioni in una posizione terza e parzialmente alternativa ai due modelli sin qui descritti. Anche per il caso di Ledizioni, di azienda commerciale si tratta, con una forte vocazione editoriale ereditata dai modelli novecenteschi. La dichiarata – e consapevole – volontà di porsi in una logica di servizio allʼuniversità, assumendosi «un ruolo nellʼambito della comunicazione scientifica, della comunicazione universitaria» si potrebbe interpretare come lʼimpegno – se non ad assumere completamente – almeno a comprendere e ad assecondare le funzioni peculiari della comunicazione scientifica di cui, fin dallʼinizio si è detto. Il passaggio dei prodotti della ricerca attraverso la mediazione di Ledizioni, dunque, è da considerarsi ancora come una forma di esternalizzazione, una parte delle cui criticità sarebbero però superate per via dellʼatteggiamento qui descritto. E che si esprime, in primo luogo, attraverso la scelta e la promozione diretta dellʼaccesso aperto.

In seconda battuta, inserirsi nella maniera che noi abbiamo scelto sul mercato,

significa, dal punto di vista strettamente aziendale, essere una casa editrice che

sia veramente di servizio allʼuniversità, quindi passare da unʼottica di prodotto a 82

unʼottica di servizio. Le case editrici universitarie commerciali tradizionali sono

appunto case editrici che di fatto vivono offrendo servizi al mondo dellʼuniversità.

Però ragionano in unʼottica di prodotto: cioè puntare a vendere il prodotto libro,

vendere tot copie di una tiratura di stampa. Noi invece ci poniamo in unʼottica di

servizio in senso più proprio. Noi non puntiamo a vendere tot copie di un titolo,

punto e basta. Vendiamo, se vengono richiesti, i servizi di impaginazione, di ricerca

iconografica, di creazione della copertina, eventualmente di stampa della copia

cartacea, di conversione in ePub; insomma, una serie di servizi che, se

interessata, lʼuniversità può acquistare. Se invece ci viene consegnato il libro

pronto da stampare, senza che necessiti di nessuno dei servizi, e questo passa la

revisione scientifica – che rimane un punto importante – noi lo pubblichiamo senza

costi per lʼautore o per lʼuniversità. Lʼottica del servizio, secondo me, è unʼidea, un

set di concetti che funziona bene; in realtà il ruolo dellʼeditore è quello del portinaio,

cioè del filtro. Quindi parte del valore che si dà al sistema è quello di essere un

soggetto terzo che in qualche modo si impegna a certificare la qualità di quello che

viene pubblicato nel suo catalogo.

Ledizioni, dunque, tende a soddisfare le proprie esigenze economiche di azienda commerciale sul piano dei servizi “tecnici” offerti legati alla pubblicazione. Si inserisce invece, in maniera che si potrebbe definire non perturbativa, o almeno a basso impatto, nel circolo della comunicazione scientifica e nei suoi equilibri.

Lʼaccenno, infine, alla funzione di filtro, rimanda alla necessità della conservazione di una chiara funzione di mediazione editoriale. Che, in ogni caso e in ogni modello, si rivela un punto irrinunciabile; e che qui Nicola Cavalli afferma essere più compiutamente assolta da un «soggetto terzo» certificatore, esterno allo stretto circuito della circolazione scientifica. Unʼosservazione che – in un certo senso – non sembra necessariamente in contraddizione con il concetto di university press, laddove questʼultima, come nel caso di Firenze University Press, affidi questa funzione a comitati di certificatori interni ed esterni allʼaccademia.

Lʼindice delle collane (proposto sul sito web di Ledizioni per “collane disciplinari”, qui indicate con [ ], in cui sono contenuti i singoli titoli o sono comprese collane o riviste) dà lʼidea del quadro di attività in cui si concretizza il progetto editoriale.

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[Antropologia] Antropologia, rivista semestrale.[Biologia][Diritto] Copyleft Italy. Dike.[Filosofia] Giornale di metafisica.[Ingegneria][Letteratura] Di/Segni. Digital classics. La ragione critica.

Letteraria Reprints. Medioevi sez. Novissima. Narrazioni.[Libri e Biblioteche] Editoria: passato, presente e futuro. Jlis.[Management] Marketing?. Strumenti per manager. Studi

Organizzativi e dell'Innovazione.[Manuali][Matematica] Mathematical Sciences.[Società] Città, Società e Governo. Tecnologia e Società. Quaderni

del Master in Immigrazione, Genere, Modelli Familiari e Strategie di Integrazione.

[Sociologia] Diritto e Realtà. Sociologia dell'educazione. Teoria sociologica. Interventi. Sociologia Reprint.

[Storia] Studi Storici. Storica Reprints.[Teatro] Teatro Interculturale/intercultural Theatre.[Varia] Fai da tech. Stellaria.

Si nota, tra le diramazioni del catalogo, lʼofferta in digitale di testi classici (in [Letteratura], «Digital Classics»: i grandi classici in formato ePub), lʼinteresse per le prospettive delle discipline (in [Libri e Biblioteche], «Editoria: passato, presente e futuro»128) e per lʼaggiornamento tecnologico, e alcuni progetti più direttamente legati alla didattica accademica.129 Ciò che sembra poi particolarmente interessante è la presenza nel catalogo di Ledizioni di pubblicazioni, collane, o riviste dal

84

128 «La collana si propone di affrontare i diversi temi del settore editoriale, con lʼintento di essere trasversale ai diversi attori della filiera, per poter interessare editori, biblioteche, librai e gli studiosi del libro, della lettura e delle sue evoluzioni digitali. Quali saranno gli sviluppi prevedibili nel futuro con il crescente utilizzo delle nuove tecnologie, da quelle di stampa ai nuovi supporti digitali e di lettura fino alle innovazioni web, mobile, del social networking? Uno sguardo storico, ma proiettato al futuro, può dare le chiavi di lettura per comprendere lʼintricata evoluzione del settore editoriale».

129 «[Manuali]: la Collana Disciplinare Manuali dellʼArea Scienze Sociali si pone lo scopo di pubblicare materiali per la didattica universitaria  e raccoglie le pubblicazioni valutate dal Comitato Redazionale e Scientifico di Ledizioni».

carattere fortemente istituzionale, espressione di dipartimenti, facoltà o centri di ricerca. È il caso di «Dike. Rivista di storia del diritto greco ed ellenistico»: «la rivista, diretta da Eva Cantarella e Alberto Maffi, è pubblicata con il contributo e sotto gli auspici del Dipartimento di Diritto privato e Storia del Diritto dellʼUniversità degli Studi di Milano»; è inoltre pubblicata on line sul sito dellʼUniversità degli Studi di Milano. Lo stesso profilo è riconoscibile in «Biblioteca di Carte Romanze», legata allʼomonimo periodico e anchʼessa espressione della comunità scientifica universitaria milanese. Infine, il passaggio a Ledizioni di «ACME – Annali della Facoltà di Studi Umanistici dellʼUniversità degli Studi di Milano» completa questo quadro. Lo stesso Nicola Cavalli definisce «un vero passaggio lʼacquisizione della rivista». Sembra questa unʼaltra declinazione dellʼintenzione editoriale, sopra discussa, di entrare nel circuito della conoscenza e contribuire alla sua fluidità, attraverso la fornitura di servizi, resi necessari dalle contingenze storiche o dal mutato orizzonte di concezione della diffusione dei prodotti della ricerca.130 Lʼesito finale, cioè la possibilità per il lettore di accedere liberamente attraverso il sito istituzionale dellʼuniversità alla rivista (che a sua volta mantiene il proprio carattere fortemente identitario e, appunto, istituzionale, rimandando agli autori i noti elementi della legittimazione e dellʼ“appartenenza” a una comunità di studiosi), pur essendo mediato dallʼesternalizzazione del servizio a Ledizioni, non sembra tuttavia discostarsi molto dallʼidea di una pubblicazione e diffusione “in proprio” e soprattutto aperta da parte dellʼuniversità dei prodotti della ricerca. Se in via teorica le criticità ravvisate allʼinizio del discorso sulla comunicazione scientifica non sono del tutto risolte, almeno appaiono piuttosto attenuate.

85

130 «Nel 2013 le trasformazioni profonde del sistema universitario italiano hanno avuto ricadute anche sulla fisionomia di ACME. La rivista è ora emanazione dei cinque Dipartimenti dellʼarea umanistica dellʼUniversità degli studi di Milano: Beni Culturali e Ambientali; Filosofia; Lingue e Letterature Straniere; Studi Letterari, Filologici e Linguistici; Studi Storici. ACME ha scelto di essere una rivista on line, ospitata sulla piattaforma riviste.unimi.it. A partire dal 2014 la cadenza, storicamente quadrimestrale, sarà semestrale. Questa rivista è pubblicata con una licenza Creative Commons».

La via, per così dire, ibrida, seguita da Ledizioni – in attesa di conoscere gli sviluppi delle esperienze di university press italiane – 131 sembra dunque promettente. Ciò nonostante, nel quadro dellʼeditoria italiana, questo modello appare ancora come una novità:

Tornando però al punto centrale dellʼattività editoriale universitaria, non posso

fare a meno di proporre una riflessione più generale su questo settore dellʼeditoria

italiana. Vedo, in alcuni casi, poca consapevolezza, poca cultura, nel senso di poca

cultura specifica sul settore e sui media a esso collegati. È un poʼ il vizio

dellʼeditore accademico, del piccolo editore accademico, che magari è un esperto

di letteratura italiana, però non è tanto un esperto di editoria. Può apparire

unʼosservazione un poʼ bizzarra; ma si pensi allʼoggettivo timore di molti colleghi

editori verso lʼopen access: secondo me è solo frutto di una mancanza di

conoscenza approfondita delle dinamiche del sistema, del modello. Perché, in

realtà, noi otteniamo grande beneficio dal pubblicare in open access. Otteniamo

dati di scaricamento, di consultazione dei libri che mettiamo in open access che

sarebbero altrimenti impensabili se la casa editrice operasse attraverso la filiera

tradizionale. Non trascuro poi le questioni economiche, ma per una piccola casa

editrice fare circolare il proprio marchio è comunque un beneficio.132

A giudicare dallʼesperienza di Ledizioni, così come da quella di Firenze University Press, la scelta di un modello editoriale che si affidi al digitale e alla pratica dellʼaccesso aperto come più adeguata alle esigenze della comunicazione scientifica, non significa il venire meno del ruolo, per quanto necessariamente ripensato, dellʼeditore, e della sua fondamentale identità di mediatore:

Lavorare nel contesto della smaterializzazione è potenzialmente il modo di

tornare a farti editore. Poi, ed è un peccato, cʼè anche chi lo interpreta nel senso di

unʼabdicare allʼuso superficiale del mezzo a discapito della propria identità

editoriale. Noi crediamo fortemente che il futuro e i possibili buoni risultati si

86

131 In aggiunta a quanto sopra detto a proposito di Firenze University Press, lo stesso Cavalli osserva: «credo che – per come oggi è configurata lʼuniversità italiana – per i privati sia più semplice offrire dei servizi più efficienti, più efficaci, più competitivi anche a livello di costi, rispetto a una soluzione internalizzata da parte degli atenei. Per queste due ragioni credo che la strada sia quella di soggetti commerciali che si occupino di queste due cose. Poi in teoria non è impossibile che ci sia una university press che svolga in modo efficace, efficiente, economico il proprio lavoro, e che svolga anche una certificazione della qualità ben fatta; quindi in teoria non è che sia impossibile, però praticamente non la vedo così semplice» (Intervista a Nicola Cavalli, cit.).

132 Ibidem.

baseranno ancora sulla qualità del marchio, sulla qualità della linea della casa, sul

valore del catalogo.133

Ancora secondo lʼeditore, la stessa comunità scientifica non pare mostrare lʼadeguata reattività di fronte a questi fenomeni alle loro potenzialità.

Una certa attenzione [da parte del mondo accademico] si sta in realtà

evolvendo nel corso degli anni; ma – ed è un poʼ triste da constatare – lʼuniversità

italiana tende ad evolvere per cause esterne. In questi ultimi anni sono stati,

purtroppo, il taglio dei fondi e la crisi economica a portare i docenti, gli

amministrativi, e in generale il mondo dellʼuniversità, al confronto necessario con

una serie di questioni e di problemi. E allora, in alcuni casi, si stanno vedendo delle

innovazioni, delle scelte diverse, come tutti i provvedimenti e le indicazioni in

materia di accesso aperto. Cosa che prima, motu proprio, non avveniva: si pensi

infatti che di open access, in Italia, si parla da almeno dieci anni, se ci riferiamo alla

Dichiarazione di Messina. Eppure, considerando i dati delle mie ricerche

sullʼargomento (e mi riferisco al 2005), ne deriva che allora il 90% dei docenti non

sapeva che cosa fosse lʼopen access. Solo negli ultimi due anni, dunque, si è

iniziato ad avere una maggiore consapevolezza, perché ci sono state leggi – quindi

imposte da fuori al mondo dellʼuniversità – che hanno costretto tutti a prendere

coscienza delle criticità e delle prospettive positive offerte dellʼaccesso aperto.

Oppure, altro fattore esterno, per giunta negativo, è intervenuto il taglio dei

finanziamenti, che ha costretto i responsabili di molte collane, di molte iniziative

editoriali finanziate dallʼuniversità a ripensare il rapporto con il proprio editore

tradizionale; e talvolta ci si è accorti che, per anni, gli editori hanno offerto prodotti

a costi spropositati.134

Lʼelemento positivo – e infine coerente alle ragioni politiche in cui risiede una parte dei motivi della ricerca delle nuove vie di comunicazione scientifica – è quello della conservazione del possesso, da parte dei ricercatori, dei prodotti del proprio lavoro, evitando che la loro proprietà finisca esternalizzata rispetto al circuito della conoscenza:

un punto fermo del nostro lavoro, è lʼapplicazione delle licenze Creative

Commons; si va così un poʼ oltre al semplice discorso relativo allʼopen access. Noi

87

133 Ibidem.

134 Ibidem.

tendiamo a stabilire rapporti molto liberi con gli autori: essi firmano con noi contratti

di edizione, che sarebbe più corretto definire contratti di licenza. Noi acquistiamo o

comunque otteniamo, da loro, la licenza di produrre e commercializzare lʼopera a

stampa ed eventualmente in versioni elettroniche stabilite. Ledizioni ha il diritto di

diffondere in open access il lavoro, e di vendere eventualmente la copia a stampa

o quantʼaltro: è infatti la nostra direzione più tipica, quella legata a una doppia

edizione, cioè unʼedizione elettronica gratuita in open access e unʼedizione invece

a stampa a pagamento, ovviamente. Però i diritti dʼautore rimangono agli autori, ed

essi sono liberi di archiviare il preprint e archiviare il postprint in archivi ad accesso

aperto; infine, possono anche pubblicare il proprio lavoro con un altro editore. Noi,

infatti, non pensiamo che sia necessario bloccare dietro a un contratto il rapporto

fiduciario che andiamo a creare con gli autori.135

88

135 Il margine di libertà lasciato agli autori comprende dunque anche lʼeventuale scelta di entrare in un secondo tempo nel mercato editoriale, alla ricerca di un trattamento economico, e soprattutto di una visibilità maggiori; questo, però, una volta salvaguardata la logica della diffusione per canali accessibili secondo le logiche di cui si sta discutendo: «Siamo consapevoli – e questo lo possiamo fare e lo facciamo perché siamo una piccola casa editrice – che se, per fare un esempio, un nostro libro ricevesse attenzioni da parte di un grande editore come Einaudi, sarebbe del tutto naturale che lʼautore voglia cogliere questa occasione. In realtà, per ora crediamo che gli editori maggiori non facciano unʼoperazione del genere, perché non hanno ancora la coscienza, la prontezza di fare unʼoperazione del genere; però noi saremmo disposti a farlo. Io sarei sinceramente felice per il mio autore se – fatto uscire il libro da noi – poi venisse pubblicato da unʼEinaudi» (Ibidem).

Conclusioni

Il modello di Ledizioni, che come si è visto miscela caratteri dei diversi modelli qui considerati, consente una considerazione conclusiva. Per quanto, vista lʼattualità della materia, suscettibile di aggiornamenti e variazioni in base allʼevoluzione normativa e delle stesse esperienze in corso.

In primo luogo – al di là di una prospettiva più propriamente politica (secondo la quale, ad ogni modo, il carattere pubblico del sapere sembra un elemento irrinunciabile) – è la natura stessa del lavoro di ricerca scientifica (che ha nei propri prodotti un esito, e insieme il nutrimento e i materiali per i successivi avanzamenti) a indurre a considerare la pratica di esternalizzazione presso un soggetto terzo della funzione di comunicazione un fatto problematico. In particolare, quanto la natura commerciale di questo soggetto aggiunga, o sostituisca, le pur legittime ragioni mercantili a quelle proprie, appunto, dellʼattività di ricerca. Con una perdita di valore materiale e immateriale per i produttori e i fruitori (spesso sovrapponibili) dei contenuti.

Se per queste ragioni, dunque, la via dellʼaccesso aperto sembra da un lato preferibile, a discapito di modelli editoriali più tradizionali, dallʼaltro lato da questi sembra necessario ereditare alcuni caratteri e richiami: su tutti quelli dellʼidentità editoriale, e della funzione di mediazione. Specialmente a livello della selezione dei contenuti della comunicazione, e del conferimento a loro di caratteri di riconoscibilità e durata, tipici delle pubblicazioni tradizionali, e ancora necessari per evitare la dispersione delle opere in un flusso indistinto e, alla fine, poco utile.

È quanto, dʼaltra parte, mostra di avere inteso Firenze University Press, il cui modello – per la propria duplice natura di marchio editoriale e di attore interno allʼistituzione e al mondo dellʼattività scientifica – sembra meglio risolvere, a livello teorico, le criticità sempre ravvisate altrove. Lʼistituzione deputata alla produzione del sapere e alla sua diffusione, si occupa dunque in prima persona dellʼassolvimento di tale compito, primario e inerente alle ragioni della propria stessa attività.

Sul piano pratico, però, come emerge dalle spiegazioni di Giovanni Mari, altre difficoltà di ordine pratico e amministrativo mettono in

89

discussione lʼefficienza di tale modello, e di conseguenza lʼefficacia del suo servizio di comunicazione (sarebbe interessante, in ogni caso, proseguire negli sforzi in atto, lavorando magari sul quadro normativo per mettere gli atenei nelle condizioni di dare effettivamente seguito alle dichiarazioni e alle indicazioni nazionali e sovranazionali sulla libertà della circolazione del sapere). Per questo – allo stato attuale – il modello ibrido, qui considerato nellʼesperienza di Ledizioni, sembra oggi offrire migliori prospettive, specialmente in termini di praticabilità. Non si evita dunque la fase di esternalizzazione, da parte del circuito scientifico, di una parte della propria funzione di comunicazione; ma questa “cessione” a un soggetto commerciale è soprattutto legata alla parte dei servizi di produzione dellʼedizione, e – come chiarito poco sopra da Cavalli – non al ben più cruciale elemento della proprietà del sapere.

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Giuseppe Vitiello, La comunicazione scientifica e il suo mercato, in «Biblioteche oggi», giugno 2003.

G. Vitiello, Lʼeditoria universitaria in Italia. La mobile frontiera tra iniziative private e intervento pubblico, diritto dʼautore e accesso aperto, in «Biblioteche oggi», aprile 2005.

Marzio Zanantoni, Dalle dispense ai manuali, in «Tirature ʼ96». Comicità, umorismo, satira, parodia: la voglia di ridere degli italiani, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, Baldini e Castoldi, 1996.

Siti delle case editrici fatte oggetto di analisi:Edizioni Unicopli: http://www.edizioniunicopli.it/Profilo.htmlFirenze University Press: www.fupress.comLedizioni: www.ledizioni.it

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Appendici

1. The Budapest Open Access Initiative136

An old tradition and a new technology have converged to make possible an unprecedented public good. The old tradition is the willingness of scientists and scholars to publish the fruits of their research in scholarly journals without payment, for the sake of inquiry and knowledge. The new technology is the internet. The public good they make possible is the world-wide electronic distribution of the peer-reviewed journal literature and completely free and unrestricted access to it by all scientists, scholars, teachers, students, and other curious minds. Removing access barriers to this literature will accelerate research, enrich education, share the learning of the rich with the poor and the poor with the rich, make this literature as useful as it can be, and lay the foundation for uniting humanity in a common intellectual conversation and quest for knowledge.

For various reasons, this kind of free and unrestricted online availability, which we will call open access, has so far been limited to small portions of the journal literature. But even in these limited collections, many different initiatives have shown that open access is economically feasible, that it gives readers extraordinary power to find and make use of relevant literature, and that it gives authors and their works vast and measurable new visibility, readership, and impact. To secure these benefits for all, we call on all interested institutions and individuals to help open up access to the rest of this literature and remove the barriers, especially the price barriers, that stand in the way. The more who join the effort to advance this cause, the sooner we will all enjoy the benefits of open access.

The literature that should be freely accessible online is that which scholars give to the world without expectation of payment. Primarily, this category encompasses their peer-reviewed journal articles, but it also includes any unreviewed preprints that they might wish to put online for comment or to alert colleagues to important research findings. There are

94136 http://www.budapestopenaccessinitiative.org/read

many degrees and kinds of wider and easier access to this literature. By "open access" to this literature, we mean its free availability on the public internet, permitting any users to read, download, copy, distribute, print, search, or link to the full texts of these articles, crawl them for indexing, pass them as data to software, or use them for any other lawful purpose, without financial, legal, or technical barriers other than those inseparable from gaining access to the internet itself. The only constraint on reproduction and distribution, and the only role for copyright in this domain, should be to give authors control over the integrity of their work and the right to be properly acknowledged and cited.

While  the peer-reviewed journal literature should be accessible online without cost to readers, it is not costless to produce. However, experiments show that the overall costs of providing open access to this literature are far lower than the costs of traditional forms of dissemination. With such an opportunity to save money and expand the scope of dissemination at the same time, there is today a strong incentive for professional associations, universities, libraries, foundations, and others to embrace open access as a means of advancing their missions. Achieving open access will require new cost recovery models and financing mechanisms, but the significantly lower overall cost of dissemination is a reason to be confident that the goal is attainable and not merely preferable or utopian.

To achieve open access to scholarly journal literature, we recommend two complementary strategies. 

I.  Self-Archiving: First, scholars need the tools and assistance to deposit their refereed journal articles in open electronic archives, a practice commonly called, self-archiving. When these archives conform to standards created by the Open Archives Initiative, then search engines and other tools can treat the separate archives as one. Users then need not know which archives exist or where they are located in order to find and make use of their contents.

II. Open-access Journals: Second, scholars need the means to launch a new generation of journals committed to open access, and to help existing journals that elect to make the transition to open access. Because journal articles should be disseminated as widely as possible, these new

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journals will no longer invoke copyright to restrict access to and use of the material they publish. Instead they will use copyright and other tools to ensure permanent open access to all the articles they publish. Because price is a barrier to access, these new journals will not charge subscription or access fees, and will turn to other methods for covering their expenses. There are many alternative sources of funds for this purpose, including the foundations and governments that fund research, the universities and laboratories that employ researchers, endowments set up by discipline or institution, friends of the cause of open access, profits from the sale of add-ons to the basic texts, funds freed up by the demise or cancellation of journals charging traditional subscription or access fees, or even contributions from the researchers themselves. There is no need to favor one of these solutions over the others for all disciplines or nations, and no need to stop looking for other, creative alternatives.

Open access to peer-reviewed journal literature is the goal. Self-archiving (I.) and a new generation of open-access journals (II.) are the ways to attain this goal. They are not only direct and effective means to this end, they are within the reach of scholars themselves, immediately, and need not wait on changes brought about by markets or legislation. While we endorse the two strategies just outlined, we also encourage experimentation with further ways to make the transition from the present methods of dissemination to open access. Flexibility, experimentation, and adaptation to local circumstances are the best ways to assure that progress in diverse settings will be rapid, secure, and long-lived.

The Open Society Institute, the foundation network founded by philanthropist George Soros, is committed to providing initial help and funding to realize this goal. It will use its resources and influence to extend and promote institutional self-archiving, to launch new open-access journals, and to help an open-access journal system become economically self-sustaining. While the Open Society Institute's commitment and resources are substantial, this initiative is very much in need of other organizations to lend their effort and resources.

We invite governments, universities, libraries, journal editors, publishers, foundations, learned societies, professional associations, and

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individual scholars who share our vision to join us in the task of removing the barriers to open access and building a future in which research and education in every part of the world are that much more free to flourish.

February 14, 2002Budapest, Hungary

Leslie Chan: Bioline InternationalDarius Cuplinskas: Director, Information Program, Open Society InstituteMichael Eisen: Public Library of ScienceFred  Friend:  Director Scholarly Communication,  University College LondonYana Genova: Next Page FoundationJean-Claude Guédon: University of MontrealMelissa Hagemann: Program Officer, Information Program, Open Society InstituteStevan  Harnad:  Professor of Cognitive Science,  University of Southampton, Universite du Quebec a MontrealRick  Johnson:  Director,  Scholarly Publishing and Academic Resources Coalition (SPARC)Rima Kupryte: Open Society InstituteManfredi La Manna: Electronic Society for Social Scientists István Rév: Open Society Institute, Open Society ArchivesMonika Segbert: eIFL Project consultant Sidnei de Souza: Informatics Director at CRIA, Bioline InternationalPeter Suber: Professor of Philosophy, Earlham College & The Free Online Scholarship NewsletterJan Velterop: Publisher, BioMed Central

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2. Bethesda Statement on Open Access Publishing137

Released June 20, 2003

Summary of the April 11, 2003, Meeting on Open Access PublishingThe following statements of principle were drafted during a one-day

meeting held on April 11, 2003 at the headquarters of the Howard Hughes Medical Institute in Chevy Chase, Maryland. The purpose of this document is to stimulate discussion within the biomedical research community on how to proceed, as rapidly as possible, to the widely held goal of providing open access to the primary scientific literature. Our goal was to agree on significant, concrete steps that all relevant parties —the organizations that foster and support scientific research, the scientists that generate the research results, the publishers who facilitate the peer-review and distribution of results of the research, and the scientists, librarians and other who depend on access to this knowledge— can take to promote the rapid and efficient transition to open access publishing.

A list of the attendees is given following the statements of principle; they participated as individuals and not necessarily as representatives of their institutions. Thus, this statement, while reflecting the group consensus, should not be interpreted as carrying the unqualified endorsement of each participant or any position by their institutions.

Our intention is to reconvene an expanded group in a few months to draft a final set of principles that we will then seek to have formally endorsed by funding agencies, scientific societies, publishers, librarians, research institutions and individual scientists as the accepted standard for publication of peer-reviewed reports of original research in the biomedical sciences.

The document is divided into four sections: The first is a working definition of open access publication. This is followed by the reports of three working groups.

Definition of Open Access Publication

98137 http://legacy.earlham.edu/~peters/fos/bethesda.htm

An Open Access Publication[1] is one that meets the following two conditions:

1. The author(s) and copyright holder(s) grant(s) to all users a free, irrevocable, worldwide, perpetual right of access to, and a license to copy, use, distribute, transmit and display the work publicly and to make and distribute derivative works, in any digital medium for any responsible purpose, subject to proper attribution of authorship[2], as well as the right to make small numbers of printed copies for their personal use. 2. A complete version of the work and all supplemental materials, including a copy of the permission as stated above, in a suitable standard electronic format is deposited immediately upon initial publication in at least one online repository that is supported by an academic institution, scholarly society, government agency, or other well-established organization that seeks to enable open access, unrestricted distribution, interoperability, and long-term archiving (for the biomedical sciences, PubMed Central is such a repository).

Notes:1. Open access is a property of individual works, not necessarily journals or publishers.2. Community standards, rather than copyright law, will continue to provide the mechanism for enforcement of proper attribution and responsible use of the published work, as they do now.

Statement of the Institutions and Funding Agencies Working GroupOur organizations sponsor and nurture scientific research to promote

the creation and dissemination of new ideas and knowledge for the public benefit. We recognize that publication of results is an essential part of scientific research and the costs of publication are part of the cost of doing research. We already expect that our faculty and grantees share their ideas and discoveries through publication. This mission is only half-completed if the work is not made as widely available and as useful to society as possible. The Internet has fundamentally changed the practical

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and economic realities of distributing published scientific knowledge and makes possible substantially increased access.

To realize the benefits of this change requires a corresponding fundamental change in our policies regarding publication by our grantees and faculty:

1. We encourage our faculty/grant recipients to publish their work according to the principles of the open access model, to maximize the access and benefit to scientists, scholars and the public throughout the world.2. We realize that moving to open and free access, though probably decreasing total costs, may displace some costs to the individual researcher through page charges, or to publishers through decreased revenues, and we pledge to help defray these costs. To this end we agree to help fund the necessary expenses of publication under the open access model of individual papers in peer-reviewed journals (subject to reasonable limits based on market conditions and services provided).3. We reaffirm the principle that only the intrinsic merit of the work, and not the title of the journal in which a candidateʼs work is published, will be considered in appointments, promotions, merit awards or grants.4. We will regard a record of open access publication as evidence of service to the community, in evaluation of applications for faculty appointments, promotions and grants.

We adopt these policies in the expectation that the publishers of scientific works share our desire to maximize public benefit from scientific knowledge and will view these new policies as they are intended —an opportunity to work together for the benefit of the scientific community and the public.

Statement of the Libraries & Publishers Working GroupWe believe that open access will be an essential component of

scientific publishing in the future and that works reporting the results of current scientific research should be as openly accessible and freely

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useable as possible. Libraries and publishers should make every effort to hasten this transition in a fashion that does not disrupt the orderly dissemination of scientific information.

Libraries propose to:

1. Develop and support mechanisms to make the transition to open access publishing and to provide examples of these mechanisms to the community.2. In our education and outreach activities, give high priority to teaching our users about the benefits of open access publishing and open access journals.3. List and highlight open access journals in our catalogs and other relevant databases.

Journal publishers propose to:

1. Commit to providing an open access option for any research article published in any of the journals they publish.2. Declare a specific timetable for transition of journals to open access models.3. Work with other publishers of open access works and interested parties to develop tools for authors and publishers to facilitate publication of manuscripts in standard electronic formats suitable for archival storage and efficient searching.4. Ensure that open access models requiring author fees lower barriers to researchers at demonstrated financial disadvantage, particularly those from developing countries.

Statement of Scientists and Scientific Societies Working GroupScientific research is an interdependent process whereby each

experiment is informed by the results of others. The scientists who perform research and the professional societies that represent them have a great interest in ensuring that research results are disseminated as immediately, broadly and effectively as possible. Electronic publication of research

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results offers the opportunity and the obligation to share research results, ideas and discoveries freely with the scientific community and the public.

Therefore:

1. We endorse the principles of the open access model.2. We recognize that publishing is a fundamental part of the research process, and the costs of publishing are a fundamental cost of doing research.3. Scientific societies agree to affirm their strong support for the open access model and their commitment to ultimately achieve open access for all the works they publish. They will share information on the steps they are taking to achieve open access with the community they serve and with others who might benefit from their experience.4. Scientists agree to manifest their support for open access by selectively publishing in, reviewing for and editing for open access journals and journals that are effectively making the transition to open access.5. Scientists agree to advocate changes in promotion and tenure evaluation in order to recognize the community contribution of open access publishing and to recognize the intrinsic merit of individual articles without regard to the titles of the journals in which they appear. 6. Scientists and societies agree that education is an indispensable part of achieving open access, and commit to educate their colleagues, members and the public about the importance of open access and why they support it.

List of ParticipantsDr. Patrick O. Brown

Howard Hughes Medical Institute

Stanford University School of Medicine, and

Public Library of Science

Ms. Diane Cabell

Associate Director

The Berkman Center for Internet & Society

  at Harvard Law School102

Dr. Aravinda Chakravarti

Director, McKusick-Nathans Institute of

  Genetic Medicine at Johns Hopkins

  University, and

Editor, Genome Research

Dr. Barbara Cohen

Senior Editor

Public Library of Science

Dr. Tony Delamothe

BMJ Publishing Group

United Kingdom

Dr. Michael Eisen

Lawrence Berkeley National Lab

University of California Berkeley, and

Public Library of Science

Dr. Les Grivell

Programme Manager

European Molecular Biology Organization

Germany

Prof. Jean-Claude Guédon

Professor of Comparative Literature,

University of Montreal, and

Member of the Information Sub-Board,

  Open Society Institute

Dr. R. Scott Hawley

Genetics Society of America

Mr. Richard K. Johnson

Enterprise Director

SPARC (Scholarly Publishing and Academic

  Resources Coalition)

Dr. Marc W. Kirschner

Harvard Medical School

Dr. David Lipman

Director, NCBI

National Library of Medicine

National Institutes of Health

Mr. Arnold P. Lutzker

Lutzker & Lutzker, LLP

Outside Counsel for Open Society Institute

103

Ms. Elizabeth Marincola

Executive Director

The American Society for Cell Biology

Dr. Richard J. Roberts

New England Biolabs

Dr. Gerald M. Rubin

Vice President and Director, Janelia Farm

  Research Campus

Howard Hughes Medical Institute

Prof. Robert Schloegl

Chair, Task Force on Electronic Publishing

Max-Planck-Gesellschaft, Germany

Dr. Vivian Siegel

Executive Editor

Public Library of Science

Dr. Anthony D. So

Health Equity Division

The Rockefeller Foundation

Dr. Peter Suber

Professor of Philosophy, Earlham College

Open Access Project Director, Public Knowledge

Senior Researcher, SPARC

Dr. Harold E. Varmus

President, Memorial Sloan-Kettering Cancer Center

Chair, Board of Directors, Public Library of Science

Mr. Jan Velterop

Publisher

BioMed Central

United Kingdom

Dr. Mark J. Walport

Director Designate

The Wellcome Trust

United Kingdom

Ms. Linda Watson

Director

Claude Moore Health Sciences Library

University of Virginia Health System

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3. Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities138

The Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities of 22 October 2003 was written in English. It is one of the milestones of the Open Access movement. The wording of the English version shall prevail.

PrefaceThe Internet has fundamentally changed the practical and economic

realities of distributing scientific knowledge and cultural heritage. For the first time ever, the Internet now offers the chance to constitute a global and interactive representation of human knowledge, including cultural heritage and the guarantee of worldwide access.

We, the undersigned, feel obliged to address the challenges of the Internet as an emerging functional medium for distributing knowledge. Obviously, these developments will be able to significantly modify the nature of scientific publishing as well as the existing system of quality assurance.

In accordance with the spirit of the Declaration of the Budapest Open Acess Initiative, the ECHO Charter and the Bethesda Statement on Open Access Publishing, we have drafted the Berlin Declaration to promote the Internet as a functional instrument for a global scientific knowledge base and human reflection and to specify measures which research policy makers, research institutions, funding agencies, libraries, archives and museums need to consider.

GoalsOur mission of disseminating knowledge is only half complete if the

information is not made widely and readily available to society. New possibilities of knowledge dissemination not only through the classical form but also and increasingly through the open access paradigm via the Internet have to be supported. We define open access as a

105138 http://openaccess.mpg.de/286432/Berlin-Declaration

comprehensive source of human knowledge and cultural heritage that has been approved by the scientific community.

In order to realize the vision of a global and accessible representation of knowledge, the future Web has to be sustainable, interactive, and transparent. Content and software tools must be openly accessible and compatible.

Definition of an Open Access ContributionEstablishing open access as a worthwhile procedure ideally requires

the active commitment of each and every individual producer of scientific knowledge and holder of cultural heritage. Open access contributions include original scientific research results, raw data and metadata, source materials, digital representations of pictorial and graphical materials and scholarly multimedia material.

1. Open access contributions must satisfy two conditions:The author(s) and right holder(s) of such contributions grant(s) to all users a free, irrevocable, worldwide, right of access to, and a license to copy, use, distribute, transmit and display the work publicly and to make and distribute derivative works, in any digital medium for any responsible purpose, subject to proper attribution of authorship (community standards, will continue to provide the mechanism for enforcement of proper attribution and responsible use of the published work, as they do now), as well as the right to make small numbers of printed copies for their personal use.2. A complete version of the work and all supplemental materials, including a copy of the permission as stated above, in an appropriate standard electronic format is deposited (and thus published) in at least one online repository using suitable technical standards (such as the Open Archive definitions) that is supported and maintained by an academic institution, scholarly society, government agency, or other well-established organization that seeks to enable open access, unrestricted distribution, inter operability, and long-term archiving.

Supporting the Transition to the Electronic Open Access Paradigm

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Our organizations are interested in the further promotion of the new open access paradigm to gain the most benefit for science and society. Therefore, we intend to make progress by

- encouraging our researchers/grant recipients to publish their work according to the principles of the open access paradigm.

- encouraging the holders of cultural heritage to support open access by providing their resources on the Internet.

- developing means and ways to evaluate open access contributions and online-journals in order to maintain the standards of quality assurance and good scientific practice.

- advocating that open access publication be recognized in promotion and tenure evaluation.

- advocating the intrinsic merit of contributions to an open access infrastructure by software tool development, content provision, metadata creation, or the publication of individual articles.

We realize that the process of moving to open access changes the dissemination of knowledge with respect to legal and financial aspects. Our organizations aim to find solutions that support further development of the existing legal and financial frameworks in order to facilitate optimal use and access.

Signing InstructionsGovernments, universities, research institutions, funding agencies,

foundations, libraries, museums, archives, learned societies and professional associations who share the vision expressed in the Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities are therefore invited to join the signatories that have already signed the Declaration.

ContactProf. Dr. Peter GrussPräsident der Max Planck GesellschaftHofgartenstraße 8D-80539 MünchenDeutschland

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4. Intervista a Gianfranco Fioretta - Unicopli139

Ripercorriamo le origini e la storia delle Edizioni Unicopli.

La Edizioni Unicopli come ragione sociale, come casa editrice con una sua configurazione autonoma, è successiva alla nascita della Unicopli come consorzio delle librerie universitarie: Unicopli significa “unione delle cooperative librarie”.

Il materiale editoriale preesistente era fondamentalmente collocato in quelle che allora [alla fine degli anni Sessanta] erano le due librerie universitarie più importanti, che poi sono confluite a costituire Unicopli: la CUEM dellʼUniversità Statale e la CEB dellʼUniversità Bocconi. La CUEM è durata fino a tempi recentissimi, e ha avuto i noti esiti tragici, un anno e mezzo fa. Invece la CEB ha avuto una soluzione, chiamiamola così, negativa, se si vuole chiamare negativa la chiusura. Ma per altri motivi: progressivamente lʼUniversità Bocconi aveva deciso di espellere la cooperativa – che era a suo tempo interna, prima in locali dellʼuniversità, poi in locali del pensionato Bocconi – perché aveva in mente una sua strategia, che poi si è evidenziata con la costituzione dellʼEgea, la casa editrice della Bocconi, quasi fosse una “Bocconi university press” (a cui poi, in un tempo molto successivo, è seguita addirittura la costituzione e la costruzione della libreria, che è in via Sarfatti).

Esistevano dunque queste due librerie, che afferivano in qualche modo al movimento studentesco, e che in parte avevano soppiantato una struttura preesistente in Università Statale, che era filiazione della UNURI, cioè delle vecchie rappresentanze studentesche – sostanzialmente un parlamentino dei partiti applicato alla realtà universitaria – che aveva come “appendice” la pubblicazione delle classiche dispense, a quel tempo addirittura ciclostilate.

Un lavoro, dunque, di taglio ampiamente politico.

Il movimento studentesco subentra, ovviamente, alle rappresentanze storiche in un modo un poʼ garibaldino, e – come attività dʼappendice – la

108139 Intervista realizzata a Milano, dicembre 2013.

CUEM diventa la libreria che continua soprattutto il vecchio servizio di dispense. Tratta però anche libri di varia cultura: dʼaltra parte in quegli anni, da Einaudi in giù, nascevano case editrici di movimento (ricordo ad esempio Mazzotta, oppure Savelli), che avevano un taglio non solo strettamente legato alle materie umanistiche, ma anche politico.

Il carattere politico “condiva” un poʼ tutte le espressioni di azione di quegli anni. Questo non vuole affatto dire che, allora, gli elementi di contenuto non esistessero, o fossero secondari. Basterebbe citare persone, docenti come Ludovico Geymonat o Mario Dal Pra, di Storia della filosofia, per fugare qualunque dubbio intorno a studi superficiali o esami facile; così come sono da annullare i dubbi intorno a pubblicazioni di scarso valore. Io, per sostenere un esame con Ludovico Geymonat, ho dovuto prima provvedere a preparare lʼesame di Analisi I a Fisica. Al di là degli aneddoti, è un fatto rilevante per il nostro discorso. Cʼè la mitologia, rispetto a quegli anni, di una certa superficialità culturale: lʼidea che non si studiava, del trenta politico, o del ventotto politico... Ci potevano anche essere quegli aspetti, ma sugli insegnamenti fondamentali cʼera molta attenzione. Andare ad esempio alle lezioni di Dal Pra permetteva bene di accorgersene, con aspetti molto belli: alle 8.00, 8.30 – in unʼaula che poteva essere la 101 o la 201 – cʼerano già studenti in silenzio che aspettava che arrivasse il docente. E questo è il contesto in cui si inquadra il nostro argomento.

Dunque esistevano le librerie CUEM in Statale, e CEB in Bocconi.

Erano soprattutto attive queste due realtà. Che, inoltre, pubblicavano. Si trattava di prodotti che potevano sembrare – e in parte effettivamente erano – “dispense”. Ma pubblicavano anche testi come Scienza e realismo di Geymonat, che è entrato dopo pochi anni nella collana scientifica di Feltrinelli: la prima edizione era stata di CUEM.140 Che ha pubblicato anche un libro bellissimo come Arte e rivoluzione.141 Per fare un altro esempio, Marcello Cesa-Bianchi pubblicò sempre con CUEM Lezioni di

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140 Il libro compare in Opac sbn già con lʼindicazione editoriale Unicopli: Ludovico Geymonat, Scienza e realismo, Milano, Unicopli, 1976.

141 Arte e rivoluzione: documenti delle avanguardie tedesche e sovietiche. 1918-1932, a cura di Piergiorgio Dragone, Antonello Negri, Marco Rosci, Milano, Cuem, 1973.

Psicologia.142 Erano dunque libri importanti, seppure con una forma, chiamiamola così, di prima tiratura provvisoria.

A proposito di forma, come si lavorava dal punto di vista tecnico?

Cʼera una mitica tipografia, a Rozzano, con un vecchio signore che sembrava avesse il ballo di San Vito, però quando si avvicinava a registrare la macchina si ritrovava fermo e preciso. La macchina era una Rotaprint: la matrice non era su carta, come per il ciclostile, ma era in metallo; ma dal punto di vista del funzionamento la Rotaprint procedeva come un grande ciclostile.

Lì si stampavano i libri di CUEM E CEB: si è detto che le due realtà erano, in qualche modo, connesse; ma ciascuno pubblicava le sue cose: quindi la CEB stampava i testi della Bocconi e la CUEM aveva come riferimento la Statale.

Proseguiamo nel tracciare la storia di Unicopli.

Come detto in precedenza, le radici sono nel lavoro delle librerie universitarie. Siamo nella seconda metà degli anni Sessanta, e le attività di CUEM e CEB poco alla volta si innestano e proseguono una parte del lavoro della vecchia UNURI.

Io frequentavo lʼambiente di CUEM dal 1969, e ho cominciato a lavorarvi nel novembre del 1973. Poi CUEM, trasformata in cooperativa, ha proseguito la sua strada fino ai tempi recentissimi. Nel frattempo, lʼesperienza si è andata consolidando. Tra il 1973 e il 1975 – anno di costituzione della Unicopli come consorzio, esistevano dunque i due filoni produttivi, che producevano col marchio CUEM e col marchio CEB. Contemporaneamente nasceva in via Conservatorio, al 7, la CUESP: la facoltà di Scienze Politiche era stata spostata, scorporata da Giurisprudenza, e nasceva come facoltà autonoma e alla fine del ʼ73 si apriva anche la libreria, appunto in via Conservatorio. E ancora in via Mangiagalli – presso quello che era stato uno spazio per lo studio degli studenti – vedeva la luce la CUECS, la cooperativa universitaria di Città Studi, che faceva prevalentemente r i fer imento a Medicina. Separatamente, esistevano già la CLUP al Politecnico e la CLUED a

110142 Marcello Cesa-Bianchi, Lezioni di psicologia, Milano, Cuem, 1965.

Fisica in via Celoria; queste però, anche per dissapori politici, avevano altri riferimenti. Con unʼespressione che oggi potrebbe suonare desueta, era una questione di attriti tra gruppuscoli della galassia della sinistra extraparlamentare: così era e non cʼera, tra le esperienze posizionate su fronti diversi, proprio nessuna intersezione da nessun punto di vista.

Quindi, in tempi rapidi, le librerie da due sono diventate quattro. Poi cʼè stata una gemmazione, al di fuori della realtà milanese, che ha portato per un breve periodo ad avere circa una decina di cooperative librarie, prevalentemente in Lombardia: come a Monza, Cremona, Bergamo, addirittura Sondrio, Brescia. Sono tutte esperienze che sono durate cinque, sei anni, forse dieci Brescia; e quella che è durata più a lungo è stata quella di Urbino, che si chiamava CUEU. Aveva dei buonissimi rapporti con lʼallora rettore Carlo Bo, che poi insegnava anche qui.

Questo era dunque il quadro, e sostanzialmente le quattro librerie CUEM, CEB, CUESP e CUECS sono quelle fondanti il consorzio Unicopli, che nasce nel 1975. Ha prima una sede, chiamiamola così, in locali dellʼuniversità, in piazza SantʼAlessandro; poi si trasferisce in via Carlo Torre, che è sul Naviglio. Già in piazza SantʼAlessandro cʼera unʼattività editoriale unificata. Con la presenza di personale che faceva la composizione, con delle mitiche macchine Olivetti che avevano la testina rotante. La produzione era comune, pur non esistendo ancora le Edizioni Unicopli: si andava ancora avanti con i marchi singoli e distinti delle librerie. La formalizzazione della nascita avviene nel 1985.

Un momento di svolta nella storia dellʼattività editoriale.

Una svolta che avrebbe comportato la separazione tra Edizioni e cooperative librarie: Unicopli era diventata appunto il consorzio che movimentava i libri per tutti quanti, e si era trasferita in via Ruggero Bonghi.

Da ricordare anche unʼesperienza di filiazione che si chiamava ESU, Edizioni Scolastiche Unicopli. Comprendeva la di terzi, ex redattori della Garzanti (per questo ESU era una S.p.a., mentre Unicopli rimaneva S.r.l.), e ha prodotto testi scolastici. Libri di stenografia, libri di dattilografia, libri di conversazione tedesca, di italiano, diciamo, di supporto allʼapprendimento della lingua italiana: adesso si potrebbero definire libri per stranieri o per

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studenti con bisogni educativi speciali, e anche allora erano per i ragazzi in difficoltà. ESU ha fatto, a suo tempo, anche titoli abbastanza importanti, riconosciuti e di alta tiratura; infatti poi, quando si decise di sciogliere la ESU, tutti i titoli furono venduti a buon prezzo e sono ancora oggi in buona parte – per lo meno i loro autori – nel catalogo della Zanichelli.

Intanto Unicopli ha proseguito il proprio itinerario.

Dopo la separazione delle attività, personalmente, soprattutto negli ultimi dieci anni, ho vissuto la casa editrice un poʼ dallʼesterno. Lʼambito di attività di Unicopli grossista era molto pesante: eravamo arrivati a fare undici milioni di euro, con diciotto persone impiegate. Facevamo da colonna di sostegno allʼattività della casa editrice. La quale si è sempre barcamenata su valori interessanti, ma non confrontabili con quelli dellʼattività commerciale

Ad ogni modo, progressivamente la casa editrice si è consolidata sui filoni che sono caratteristici ancora oggi. La direzione editoriale ha negli anni assunto la propria identità, e alla fine dei passaggi di testimone è ora affidata a Marzio Zanantoni. Egli – venendo direttamente dallʼambiente umanistico, della filosofia – ha anche approfondito principalmente questi aspetti, queste tematiche, questi rapporti che lui aveva. Diciamo che le Edizioni Unicopli hanno sempre avuto un riferimento prevalente a via Festa del Perdono.

La casa editrice, questa è una mia notazione un poʼ particolare, secondo me ha acquisito molta dignità, tale da essere magari ambita da parte di qualche autore per essere pubblicato o per entrare in certe collane; perché questo fatto gli avrebbe fatto gioco, fatto da traino, gli avrebbe giovato in termini di immagine e prestigio. Per fare un esempio, per un autore, entrare nelle collana di Pedagogia di Massa era una benedizione, era come avere lo spadone appoggiato sulla spalla come in una sorta di investitura.

Anche per questo fatto – questo è più un pettegolezzo che non altro – quella che poteva essere considerata la produzione “fast food”, cioè la dispensa veloce, la prima bozza di lavoro che poteva o meno trasformarsi in una pubblicazione – che pure era stata una produzione parallela nei primi anni di vita – è rimasta forse in modo un poʼ conflittuale in capo alle

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singole librerie. Io preferisco considerarli come materiali di uso immediato, ma con occasioni di qualità: il citato Scienza e Realismo era nato in quel modo. Poi, naturalmente, in questʼarea di produzione ci sono cose che possono essere ritenute banali. Ma io ricordo, ad esempio, i lavori su Sartre di Fergnani,143 che sembrava fosse lʼunico ad aver scandagliato Sartre nellʼassoluto profondo, quindi non con la banalizzazione intorno al problema dellʼesistenzialismo... E a proposito di questo autore, io mi ricordo, nel lavoro di redazione, le centinaia di correzioni che intendeva operare in corso dʼopera; a volte lo maledicevo, perché si arrivava in quarte bozze. Un lavoro levigato, dunque, ed era una dispensa.

Probabilmente cʼè un problema di interpretazione comune quando si parla della dispensa, perché spesso la si concepisce come un prodotto libro di serie B; invece è un prodotto diverso, con funzioni e caratteri diversi.

Sì, diciamo che è uno strumento. Oppure, dal punto di vista editoriale, lo si può vedere forse anche come la prima “edizione” di qualcosa che potrebbe potenzialmente diventare un lavoro maturo. E è ovvio che la dispensa aveva anche tutte le caratteristiche tecniche di un qualcosa di provvisorio: ad esempio era in brossura, non è mai successo che la dispensa fosse legata a filo.

E, ripeto, negli ultimi sette, otto anni – forse in pendant con il fatto della, chiamiamola così, istituzionalizzazione di questo mondo editoriale – si era forse un poʼ perso questo aspetto della produzione, che veniva comunque mantenuto per opera delle librerie. E adesso, anche per le vicende della CUEM, è stato in parte reincorporato.

Torniamo sullʼelemento dei rapporti tra casa editrice e studiosi.

Cʼera nei decenni scorsi, soprattutto negli anni ʼ70, quella che potremmo chiamare unʼegemonia culturale di Unicopli. Forse è unʼespressione un poʼ troppo tronfia, ma voglio intendere quel fenomeno per cui erano i docenti a venire in libreria, erano i docenti a venire in casa

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143 Il ricordo può andare, in particolare, a Franco Fergnani, Dialettica, materialismo, teoria degli insiemi pratici nel più recente pensiero di Sartre. Con la traduzione di alcune parti di J.P. Sartre: l'idiot de la famille Gustave Flaubert de 1821 a 1857, Milano, Cuem, 1975.

editrice, erano i docenti a proporti di essere direttori di collana. Ad esempio, la collana di geografia è nata perché Giacomo Corna Pellegrini ha detto: «Facciamo una collana di geografia», perché cʼera una sintonia abbastanza profonda, che non necessariamente era sintonia di natura politica al cento per cento. Questa poteva esistere nel caso di Geymonat; ma nel caso di altri autori e studiosi, era proprio il fatto che guardavano con interesse alla possibilità di usare Unicopli come veicolo lì per fare un certo tipo di percorso culturale proprio.

Cito ancora Corna Pellegrini: egli, presidente della Società dei Geografi Italiani, pubblicava per mezzo mondo. Però la collana di Unicopli la viveva proprio come sua, anche per contattare altri autori. Quindi direi che cʼè stata una fase in cui erano gli autori a correre dietro alla casa editrice. Un tipo di rapporto che poi, come dicevo, si è consolidato nel tempo con coloro con cui cʼera maggiore sintonia. Per fare un altro esempio citerei Felice Perussia che ha pubblicato due anni fa un libro bellissimo, e che è stato molto apprezzato, sullʼipnosi…144 Bene si era formato in Filosofia, e studiava psicologia in Statale; e ha fatto le primissime pubblicazioni proprio con noi. Poi è andato a Torino, è diventato preside della facoltà di Psicologia e non ci ha mai abbandonato, fino a fare appunto un “tomone” così sullʼipnosi ancora da Unicopli.

Verrebbe da dire che in questo particolare, chiamiamolo così, ambiente editoriale di Unicopli si è conservata una modalità nei rapporti con gli editori e i collaboratori che nellʼeditoria maggiore era più tipico nel passato.

Direi di sì. Credo che, ancora oggi, ci siano autori che ambiscono ad entrare nel catalogo, e da ciò nascono poi legami. Lo posso testimoniare direttamente, attraverso un fatto apparentemente secondario. Mi occupo di rappresentare il marchio alle fiere librarie, e quelli sono luoghi dʼincontro, con docenti, studiosi, autori... Pochi giorni fa ero alla fiera romana Più libri, più liberi. Lì, tanto per fare un esempio, è arrivata Isabella Vincentini, aveva pubblicato con Unicopli, ormai qualche anno fa, un libro

114144 Felice Perussia, Manuale di ipnosi, Milano, Unicopli, 2011.

dedicato ad Atene, nella collana «Le città letterarie».145 Ci siamo trattenuti a lungo a discutere. E si consideri che, nel mio ruolo, io risulto per lei colui che veicola e distribuisce i libri: non lʼho seguita nella fase redazionale, o in altro. Eppure mi individua come rappresentante del marchio... Sì, ci sono allora aspetti di legame tra autore ed editore che si sono mantenuti nel tempo.

115145 Isabella Vincentini, Atene. Tra i muscoli dei ciclopi, Milano, Unicopli, 2002.

5. Intervista al prof. Giovanni Mari, presidente di Firenze University Press146

La cultura dellʼuniverity press è poco diffusa, e si è almeno introdotta tardivamente, in Italia. Per la verità, questa cultura è persino meno diffusa rispetto a quanto si possa ritenere considerando le esperienze di university press comunque attive.

Il ritardo italiano della cultura dellʼuniversity press si sposa bene col ritardo complessivo dellʼeditoria italiana; si osserva infatti una molto debole capacità di porre sul mercato straniero i risultati della ricerca italiana. Questo non tanto per via della barriera linguistica, quanto piuttosto per la frammentarietà del nostro mondo editoriale. Si pensi, invece, allʼesempio contrario del caso portoghese: questa editoria lavora in una logica di associazione tra i marchi di tutti paesi di lingua portoghese; è una risposta intelligente allo strapotere dellʼeditoria angloamericana, che oggi ha sostanzialmente il monopolio dellʼeditoria scientifica.

Tornando al modello dellʼuniversity presso, bisogna chiarire che, in fondo, si tratta di una declinazione di una politica editoriale tradizionale, che comprende sia fini commerciali, sia lʼapplicazione della tecnologia. Ciò significa oggi, in sostanza, lʼopportuna utilizzazione del web e delle sue potenzialità.

Non a caso dunque Firenze University Press nasce nel 2000, quando in Italia comincia a essere diffusa la cultura digitale. Questa esperienza nasce come costola del sistema della biblioteche, con lo scopo primario e dichiarato di promuovere la politica dellʼaccesso aperto. In generale, è un fatto abbastanza tipico che le esperienze di university press siano nate in Italia nel contesto delle biblioteche di ateneo: sono gli operatori che hanno con più sensibilità avvertito il peso del monopolio angloamericano dellʼeditoria scientifica, soprattutto in rapporto ai pacchetti di riviste.

116146 Intervista realizzata via web, Firenze - Milano, sabato 31 maggio 2014.

L ʼuniversity press si vede dunque come come strumento di autonomizzazione rispetto alle logiche di mercato. Per inciso, occorre in ogni caso dire che tutto ciò non ha intaccato la posizione dominante della grande industria editoriale angloamericana, che anzi dal 2000 può dirsi rafforzata. La stessa politica dellʼacceso aperto è stata quasi assorbita dallʼeditoria commerciale: questi operatori lʼhanno individuata come come ulteriore possibilità di successo commerciale; allʼeditore, infatti, non interessa tanto il costo della pubblicazione per lʼutente finale (che con lʼaccesso aperto è abbattuto), quanto la somma che riesce a farsi pagare a monte della pubblicazione.

Firenze University Press promuove lʼaccesso aperto sostenibile. E lo fa, in una logica di sostentamento aziendale, attraverso lʼattività di commercializzazione altri testi. Oggi contiamo circa 250 titoli in accesso aperto, sui 750 in catalogo. Pubblichiamo sia opere da subito in accesso aperto, sia alcune a cui è applicato un embargo di dodici mesi in media (che è comunque un compromesso avanzato). Le riviste sono in gran parte open access, mentre alcune sono disponibili in abbonamento.

Lʼattività open access (che presenta sia costi di fabbricazione sia costi di gestione) di Firenze University Press è dunque sostenuta dallʼattività commerciale: è quasi un modello di onlus, per via del fatto che reinvestiamo in servizi open access le entrate dellʼattività commerciale, operando complessivamente senza finalità di lucro. Il risultato è un bilancio in equilibrio, a prescindere dai finanziamenti dellʼuniversità (che pure ci sono, importanti ma non in proporzioni decisive per la vita del marchio). Anche il personale (ad oggi, purtroppo, precario: e questa è una criticità) è dipendente della casa, e solo una figura professionale è universitaria. Il bilancio produce dunque degli utili, e lʼattività si attesta sul centinaio di opere pubblicate annualmente, oltre alle trentasette riviste attive.

Più nello specifico della “macchina aziendale”, Firenze University Press ha due bilanci: uno redatto secondo i criteri di un ente pubblico, lʼaltro secondo criteri economici, di impresa. Lʼobiettivo, per la buona salute della

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casa editrice, è naturalmente lʼequilibrio del bilancio economico. Oggi – ed è questa la ragione della doppia anima – siamo una struttura interna allʼateneo, come un dipartimento. Il nostro obiettivo, però, è quello di uscire da questa condizione, smettendo di essere una struttura completamente interna allʼuniversità. La ragione di questa scelta sta nel fatto che il carattere di ente pubblico determina ritardi e limiti, soprattutto per lʼattività commerciale (anche per le più piccole entrate o per le più piccole necessità in uscita, dobbiamo ricorrere agli strumenti più rigidi delle fatture e dei bandi). Un bilancio in equilibrio, indipendentemente dai contributi universitari, è dunque premesse indispensabile per fare questo passaggio, e rendere Firenze University Press sostanzialmente una società partecipata, secondo una forma molto più agile.

Tornando alle ragioni del progetto di Firenze University Press, lʼidea di fondo è quella non rifare una casa editrice tradizionale. Dicevo che ormai molte university press hanno i lineamenti della grande editoria, e si pensi alla Oxford; ma il modello che abbiamo in mente noi è più avanzato, ad esempio di una Oxford University Press, a livello di concezione, di cultura della comunicazione editoriale.

Concepiamo unʼuniversity press molto connessa alla ricerca degli atenei. Pensiamo a una casa editrice che possa produrre servizi di innovazione per la didattica, conservando una struttura che operi senza finalità di lucro e punti molto sullʼaccesso aperto, che per noi è uno dei grandi obiettivi della società della conoscenza. Il nostro modello di university press è molto vicino alle strutture dellʼuniversità, in una logica di reciproca crescita, anche in rapporto alla stessa innovazione tecnologica. Per fare un esempio, intendiamo lavorare in stretto contatto con i dipartimenti di ingegneria e di informatica: lʼe-book, oggi, non è un prodotto adatto alla ricerca, cʼè da lavorare. Penso anche, infine, alla possibilità di rapporti dellʼuniversity press con la scuola, magari attraverso la fornitura di servizi di e-learning.

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Elemento irrinunciabile, in questo ventaglio di possibilità, il mantenimento di un forte profilo identitario, di una chiara mediazione editoriale.

Gli organi direttivi Firenze University Press, infatti, si dividono in Consiglio di gestione e Consiglio editoriale. Il primo è lʼorgano che definisce gli obiettivi e le politiche d'investimento della casa, con la pianificazione strategica ed economica delle attività e dei servizi. Il Consiglio editoriale, invece, è appunto lʼorgano che definisce il sistema di valutazione per la certificazione della qualità e svolge le attività di referaggio e di consulenza scientifica, a garanzia della qualità delle opere pubblicate dalla Firenze University Press. Il Consiglio editoriale, in sostanza, propone la selezione dei titoli, attraverso il referaggio svolta da quarantadue comitati scientifici (questo passaggio può inoltre contare su valutatori interni ed esterni, a garanzia con un livello sufficientemente alto di qualità); la mano passa poi al Consiglio di gestione, che valuta se le proposte siano sostenibile economicamente.

In questo modo Firenze University Press fa una forte mediazione editoriale. Con la consapevolezza di contribuire alla qualità scientifica della produzione di ateneo.

Ora, per Firenze University Press, si prospetta la necessità di un passaggio delicato, in parte già indicato. Siamo troppo grandi per rimanere completamente interni allʼuniversità, ma contemporaneamente non riusciamo a trovare strade che ci diano rapporti con altri atenei per uscire e diventare un soggetto nazionale. Questo è il nodo, che sembra di difficile scioglimento. Occorre ripensare lʼesperienza di university press a livello più ampio, uscendo dai particolarismi di ogni attore. Con lo scopo di promuovere sistematicamente la golden road allʼopen access, finalizzata alla diffusione della conoscenza. Bisogna uscire dal singolo ateneo (e già ora, per la verità, noi pubblichiamo il 40% di titoli derivati dalla produzione scientifica di altri atenei).

Ne parlo però come di un percorso faticoso e incerto. Dʼaltra parte, la forza delle university press italiane è ancora modesta. I motivi che

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spingono ancora molti studiosi a pubblicare presso editori commerciali sono vari. Penso, in alcuni casi, alla forza del logo di grandi editori e alla fiducia che si ripone nella sua oggettiva maggiore visibilità e forza di penetrazione; per non parlare dellʼeffettiva possibilità di alcune grandi case di fornire migliori servizi ai propri autori. A volte, però, gli studiosi e autori si rivolgono a case editrici piccole, o ad aziende a cui – sostanzialmente – non si richiedono servizi; in questi casi i motivi sembrano risiedere nei rapporti ormai cristallizzati negli anni, che rimangono in piedi e resistono alle innovazioni di cui si è detto. Per la verità, oggi mi sembra che questi rapporti stiano venendo un poʼ meno, e che soprattutto vengano meno i legami di autori ed enti con con piccole case editrici che vivono di provvigioni e commissioni pubbliche, senza poi fornire i servizi (il tipico caso dei libro pubblicato che rimane in magazzino). Qualcuno di questi operatori, poi, era solito pubblicare senza referaggio. E dunque, per le esperienze come Firenze University Press, lʼintroduzione del referaggio è stata un vantaggio, togliendo la concorrenza di chi pubblicava solo perché a fronte del pagamento dei costi a monte.

La situazione è oggi fluida, e renderebbe necessari i passaggi che si sono indicati. Qualche dubbio rimane sulla capacità del contesto di percepire queste necessità e le potenzialità che si aprirebbero.

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6. Intervista a Nicola Cavalli - Ledizioni147

La storia di Ledizioni risale fino alla prima metà del Novecento, allʼesperienza della Libreria Ledi – Libreria Editrice DʼItalia – fondata da Ingo Weihs nel 1935; su questa si è innestata lʼattività editoriale nel 2008.

Cavalli: Lʼazienda nasce nel 1935, appunto fondata da mio nonno Ingo Weihs come LEDI, cioè Libreria Editrice DʼItalia, quindi nel solco della tradizione ottocentesca, e poi di inizio Novecento, delle librerie editrici. Era infatti una libreria tradizionale, aperta al pubblico, che però faceva anche edizioni.

Il marchio è rimasto lo stesso, e risulta ancora attuale: era molto moderno per lʼepoca.

Cavalli: Sicuramente, ed è infatti rimasto invariato dal 1935 a ora. La libreria aveva la sua sede di fronte alla Camera del Lavoro. Durante le guerra mio nonno – che era un esule austriaco, un poʼ bizzarramente rifugiatosi in Italia per scappare dal regime nazista –, tornando da un viaggio allʼestero, trova la libreria bombardata. Quindi chiude quella sede, e riapre qualche anno dopo lʼazienda soltanto come libreria commissionaria. E abbandona lʼattività editoriale: che quindi è stata in realtà molto breve, 1935 allʼinizio della guerra. Riapre dunque solo come libreria commissionaria, cioè come importatore di libri dallʼestero. Essendo di nascita austriaca, aveva quindi molti rapporti con il mondo germanico: diventa uno dei primi importatori di edizioni, anche difficili da trovare, nei campi delle scienze umane e poi sociali. Lʼattività della libreria continua ancora oggi, specializzandosi nella fornitura biblioteche, sia pur tra le mille difficoltà del settore, che è molto mutato. Dopo lʼesperienza di mio nonno, lʼazienda viene gestita da mia madre, Eleonora Weihs, per più di trentʼanni, fino a quando entriamo noi in azienda: prima mio fratello, poi io, oramai una decina di anni fa. Maturiamo unʼottica di differenziazione delle attività aziendali, e decidiamo di riaprire lʼattività editoriale, anche per via delle crescenti difficoltà del settore del commercio librario. Quindi

121147 Intervista realizzata a Milano, 21 maggio 2014.

ricominciamo a fare edizioni con il marchio Ledizioni, che rimane proprietà della libreria LEDI dalla fine del 2008 fino al 2011, quando Ledizioni diventa invece una s.r.l. a parte. Oggi dunque convivono le due aziende: libreria LEDI e casa editrice Ledizioni. Di fatto libreria LEDI è ora uno dei distributori della casa editrice. Lʼattività editoriale nasce dunque da questa storia, da queste radici: in qualche modo è una nuova attività, però con una base consolidata, anche a livello di rapporti con il mondo universitario che vengono da tre generazioni.

Perciò al riavvio dellʼattività editoriale la via universitaria è stata, per voi, lo sbocco naturale?

Cavalli: Da un lato è lo sbocco naturale dellʼazienda, perché questo è sempre stato, diciamo prosaicamente, il nostro mercato, il nostro ambiente, e la nostra rete di relazioni è sempre stata in questo mondo. Dallʼaltro lato, la via dellʼeditoria universitaria è per me prosecuzione coerente di un percorso personale di studio e di interessi. Declinati specialmente verso i temi della comunicazione scientifica attraverso gli strumenti digitali e lʼaccesso aperto.

Visti gli anni di questi studi (2005/2006), li si potrebbe considerare in un certo senso pionieristici. Dʼaltra parte ancora oggi è faticosa lʼaffermazione di questi canali.

Cavalli: A novembre è in programma un convegno per celebrare il decennale della Dichiarazione di Messina, e fare il punto sulla situazione dellʼacceso aperto in Italia. E appunto sembra davvero necessario fare una riflessione su quanto si sia effettivamente riuscito a fare in questi dieci anni.

Lʼattività di Ledizioni, dunque, risente di questi stimoli e di questi miei interessi. Non ho paura a mischiare i due piani, quello aziendale e quello più propriamente legato a unʼidea di cultura. La nostra scelta di pubblicare in open access è prima di tutto una scelta, per dirla in maniera un poʼ iperbolica, ideologica. Insomma... Una scelta politica: crediamo sia giusto che il sapere circoli il più liberamente possibile. Con la rete questo è possibile, quindi ci sembra opportuno sostenere questo modello di circolazione del sapere. Dallʼaltro lato, questa direzione di Ledizioni si

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interseca anche con aspetti di tipo più economico e commerciale. Con lʼavvento delle nuove tecnologie, infatti, il panorama della comunicazione è stato molto rivoluzionato, è stato trasformato, ha subito grandi scosse. Quindi si deve partire dallʼassunto che non si riuscirà a fare le cose come si facevano prima. Resistere, parafrasando Walter Siti, non serve a nulla. Ed è questa una considerazione molto pragmatica, non ideologica; piuttosto è unʼanalisi credo abbastanza lucida (e, a mio modo di vedere, persino abbastanza scontata e banale) di ciò che sta succedendo nel panorama dei media. Quindi anche dalla prospettiva aziendale si parte dallʼassunto che bisogna cambiare qualcosa. Se poi uniamo questo fatto alla convinzione che lʼopen access sia comunque una scelta da perseguire, possiamo approdare a un progetto che tenti di mettere insieme le due cose.

A ciò si aggiunge lʼesito di unʼosservazione un poʼ più attenta dellʼambito dellʼeditoria di servizio allʼuniversità. La prima considerazione (che faccio da una prospettiva non di studioso, ma aziendale) è: aziende come la libreria LEDI esistono, e sono sempre esistite, per una fondamentale inefficienza dellʼattività di distribuzione da parte di queste case editrici universitarie; perché, fondamentalmente, a molte o ad alcune di queste non interessa distribuire i propri volumi, ciò non interessa venderli, ovviamente perché sono pagati alla fonte. Adesso che sono editore da un poʼ – e mettendomi nei panni di questi colleghi – capisco che è perfettamente comprensibile questo atteggiamento, anche se profondamente sbagliato, perché va contro quella che è una delle ragioni di esistere della casa editrice, del ruolo dellʼeditore nellʼecosistema della comunicazione, compresa quella scientifica. Da questa analisi è venuta lʼidea che sarebbe stato possibile innovare questo settore dellʼeditoria con un carattere di servizio dellʼuniversità; sarebbe stato possibile innovarla e offrire servizi migliori che rendessero possibile una migliore comunicazione editoriale, cioè che giustificassero il ruolo della casa editrice nellʼambito della comunicazione scientifica, della comunicazione universitaria. Perché, a nostro parere, negli anni, ci sarà sempre meno spazio per attori che non portano nessun beneficio al sistema e agli altri attori della filiera. Quindi lʼidea è stata quella di fare una casa editrice che

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si inserisse nel panorama della comunicazione scientifica, però avendo effettivamente un ruolo, cioè svolgendo un ruolo utile, dando valore al sistema. E questo in prima istanza vuol dire, ad esempio, pubblicare in open access, quando la pubblicazione è in qualche modo finanziata a monte da parte dellʼuniversità; ciò rende anche necessario un lavoro per portare a conoscenza degli autori, delle università, questa possibilità, molto spesso ignorata. In seconda battuta, inserirsi nella maniera che noi abbiamo scelto sul mercato, significa, dal punto di vista strettamente aziendale, essere una casa editrice che sia veramente di servizio allʼuniversità, quindi passare da unʼottica di prodotto a unʼottica di servizio. Le case editrici universitarie commerciali tradizionali sono appunto case editrici che di fatto vivono offrendo servizi al mondo dellʼuniversità. Però ragionano in unʼottica di prodotto: cioè puntare a vendere il prodotto libro, vendere tot copie di una tiratura di stampa. Noi invece ci poniamo in unʼottica di servizio in senso più proprio. Noi non puntiamo a vendere tot copie di un titolo, punto e basta. Vendiamo, se vengono richiesti, i servizi di impaginazione, di ricerca iconografica, di creazione della copertina, eventualmente di stampa della copia cartacea, di conversione in ePub; insomma, una serie di servizi che, se interessata, lʼuniversità può acquistare. Se invece ci viene consegnato il libro pronto da stampare, senza che necessiti di nessuno dei servizi, e questo passa la revisione scientifica – che rimane un punto importante – noi lo pubblichiamo senza costi per lʼautore o per lʼuniversità. Lʼottica del servizio, secondo me, è unʼidea, un set di concetti che funziona bene; in realtà il ruolo dellʼeditore è quello del portinaio, cioè del filtro. Quindi parte del valore che si dà al sistema è quello di essere un soggetto terzo che in qualche modo si impegna a certificare la qualità di quello che viene pubblicato nel suo catalogo. Quindi questo lavoro, questa funzione di selezione, noi continuiamo a farlo; il che ha voluto dire, talvolta, che dolorosamente si sono rifiutate pubblicazioni, che pur potevano avere un finanziamento, insomma potevano rappresentare del lavoro per noi. Però crediamo che questo sia uno dei punti irrinunciabili per offrire un valore al sistema.

Se ne ricava lʼidea di una fortissima salvaguardia della funzione di mediazione editoriale; anche e, a maggior ragione, in rapporto alla scelta

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di operare in un contesto di smaterializzazione del prodotto editoriale. Proprio qui, lʼeditore recupera fortemente la propria funzione in questi termini di selezione e mediazione, e di garanzia di una durata della vita di ciò che viene pubblicato, affinché non si disperda nel flusso della comunicazione.

Cavalli: Questo è infatti il punto centrale della nostra logica di servizio allʼuniversità e la sistema di circolazione culturale in cui ci inseriamo. Ledizioni poi non fa solo questo. Abbiamo lʼambizione di coltivare, accanto alla linea del servizio alle pubblicazioni accademiche, un tipo di editoria di cultura, di saggistica più tradizionale, non solo rivolta allʼuniversità, ma che abbia un carattere più divulgativo, tipico della grande tradizione dellʼeditoria di cultura italiana. Ovviamente, non avendo magnati, né fondazioni o banche alle spalle o altri tipi di finanziatori, finanziamo queste iniziative con i proventi dellʼattività di servizio. Per questo motivo Ledizioni presta i propri servizi anche fuori dal proprio marchio, quindi lavoriamo anche per altri editori come service editoriali.

Tornando però al punto centrale dellʼattività editoriale universitaria, non posso fare a meno di proporre una riflessione più generale su questo settore dellʼeditoria italiana. Vedo, in alcuni casi, poca consapevolezza, poca cultura, nel senso di poca cultura specifica sul settore e sui media a esso collegati. È un poʼ il vizio dellʼeditore accademico, del piccolo editore accademico, che magari è un esperto di letteratura italiana, però non è tanto un esperto di editoria. Può apparire unʼosservazione un poʼ bizzarra; ma si pensi allʼoggettivo timore di molti colleghi editori verso lʼopen access: secondo me è solo frutto di una mancanza di conoscenza approfondita delle dinamiche del sistema, del modello. Perché, in realtà, noi otteniamo grande beneficio dal pubblicare in open access. Otteniamo dati di scaricamento, di consultazione dei libri che mettiamo in open access che sarebbero altrimenti impensabili se la casa editrice operasse attraverso la filiera tradizionale. Non trascuro poi le questioni economiche, ma per una piccola casa editrice fare circolare il proprio marchio è comunque un beneficio.

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Lʼidea è quella che muoversi per questi nuovi canali non significhi rinunciare o mettere in discussione la propria natura di editore. Invece, troppo spesso, lʼavvicinamento agli strumenti tecnologici è concepito come inseguimento di esperienze prive di mediazione editoriale, perdendo lʼoccasione di differenziarsi sulla base della propria identità.

Cavalli: Infatti. Lavorare nel contesto della smaterializzazione è potenzialmente il modo di tornare a farti editore. Poi, ed è un peccato, cʼè anche chi lo interpreta nel senso di unʼabdicare allʼuso superficiale del mezzo a discapito della propria identità editoriale. Noi crediamo fortemente che il futuro e i possibili buoni risultati si baseranno ancora sulla qualità del marchio, sulla qualità della linea della casa, sul valore del catalogo.

Tutto ciò che si è detto, rivela la prospettiva dellʼeditore. Invece, come lʼambito accademico sta guardando a tutti questi fenomeni?

Cavalli: In maniera direi abbastanza indolente. Una certa attenzione si sta in realtà evolvendo nel corso degli anni; ma – ed è un poʼ triste da constatare – lʼuniversità italiana tende ad evolvere per cause esterne. In questi ultimi anni sono stati, purtroppo, il taglio dei fondi e la crisi economica a portare i docenti, gli amministrativi, e in generale il mondo dellʼuniversità, al confronto necessario con una serie di questioni e di problemi. E allora, in alcuni casi, si stanno vedendo delle innovazioni, delle scelte diverse, come tutti i provvedimenti e le indicazioni in materia di accesso aperto. Cosa che prima, motu proprio, non avveniva: si pensi infatti che di open access, in Italia, si parla da almeno dieci anni, se ci riferiamo alla Dichiarazione di Messina. Eppure, considerando i dati delle mie ricerche sullʼargomento (e mi riferisco al 2005), ne deriva che allora il 90% dei docenti non sapeva che cosa fosse lʼopen access. Solo negli ultimi due anni, dunque, si è iniziato ad avere una maggiore consapevolezza, perché ci sono state leggi – quindi imposte da fuori al mondo dellʼuniversità – che hanno costretto tutti a prendere coscienza delle criticità e delle prospettive positive offerte dellʼaccesso aperto. Oppure, altro fattore esterno, per giunta negativo, è intervenuto il taglio dei finanziamenti, che ha costretto i responsabili di molte collane, di molte

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iniziative editoriali finanziate dallʼuniversità a ripensare il rapporto con il proprio editore tradizionale; e talvolta ci si è accorti che, per anni, gli editori hanno offerto prodotti a costi spropositati.

Forse questa dinamica finisce per alimentare ancora la diffidenza verso una via come quella dellʼaccesso aperto. Il fatto di doverla accettare come una sorta di necessità, quasi di ripiego, anziché averla scelta, coltivata, e approfondita al meglio per tempo. Così, insomma, non si considerano gli effettivi caratteri di valore dei nuovi canali: visibilità, facilitazione della circolazione del sapere, risoluzione dei problemi politici ed etici legati alla cessione commerciale di un sapere di natura pubblica.

Cavalli: Sono tutti punti e prospettive importanti. Non a caso un punto fermo del nostro lavoro, è lʼapplicazione delle licenze Creative Commons; si va così un poʼ oltre al semplice discorso relativo allʼopen access. Noi tendiamo a stabilire rapporti molto liberi con gli autori: essi firmano con noi contratti di edizione, che sarebbe più corretto definire contratti di licenza. Noi acquistiamo o comunque otteniamo, da loro, la licenza di produrre e commercializzare lʼopera a stampa ed eventualmente in versioni elettroniche stabilite. Ledizioni ha il diritto di diffondere in open access il lavoro, e di vendere eventualmente la copia a stampa o quantʼaltro: è infatti la nostra direzione più tipica, quella legata a una doppia edizione, cioè unʼedizione elettronica gratuita in open access e unʼedizione invece a stampa a pagamento, ovviamente. Però i diritti dʼautore rimangono agli autori, ed essi sono liberi di archiviare il preprint e archiviare il postprint in archivi ad accesso aperto; infine, possono anche pubblicare il proprio lavoro con un altro editore. Noi, infatti, non pensiamo che sia necessario bloccare dietro a un contratto il rapporto fiduciario che andiamo a creare con gli autori. Siamo consapevoli – e questo lo possiamo fare e lo facciamo perché siamo una piccola casa editrice – che se, per fare un esempio, un nostro libro ricevesse attenzioni da parte di un grande editore come Einaudi, sarebbe del tutto naturale che lʼautore voglia cogliere questa occasione. In realtà, per ora crediamo che gli editori maggiori non facciano unʼoperazione del genere, perché non hanno ancora la coscienza, la prontezza di fare unʼoperazione del genere; però noi

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saremmo disposti a farlo. Io sarei sinceramente felice per il mio autore se – fatto uscire il libro da noi – poi venisse pubblicato da unʼEinaudi.

Il quadro è dunque chiaro. Così come si comprende quanto la posizione di Ledizioni si collochi in un territorio poco battuto, tra quello dellʼeditoria di servizio e quello del mondo dellʼaccesso aperto, fuori da una logica puramente commerciale.

Cavalli: Sì, si tratta di una situazione stimolante e con molti aspetti da sviluppare. Anche perché – lo vorrei precisare – la scarsa reattività non è elemento onnipresente nellʼambiente universitario. Abbiamo contatti – penso ad alcuni studiosi della stessa Università degli Studi di Milano – con cui collaboriamo da anni, direi da “tempi non sospetti”, perché cʼera qualcuno che capiva queste cose. Il gruppo è ristretto, ma ci sono persone che hanno creduto fin da subito alle ragioni di sviluppo, anche in senso etico, dellʼaccesso aperto e del digitale.

Ledizioni, infatti, ora è lʼeditore di prodotti e progetti dal profilo decisamente istituzionale, come riviste e collana di enti e centri di studio. Luoghi editoriali in cui lʼattività di ricerca e accademica realizza una parte importante delle proprie funzioni: da quella primaria della diffusione, a dinamiche di legittimazione e visibilità.

Cavalli: Sì. Per noi è stata un vero passaggio lʼacquisizione della rivista «ACME» dellʼUniversità degli Studi.

Complessivamente, deriva lʼimmagine di un modello di editoria funzionante. La scelta dellʼaccesso aperto risolve, a livello teorico, le criticità legate allʼesternalizzazione da parte dellʼuniversità della funzione di comunicazione; la costruzione di unʼidentità della casa, sotto il segno della selezione e della qualità, garantisce la persistenza di una forte e irrinunciabile mediazione editoriale; la strategia aziendale segnala un carattere di sostenibilità. Potrebbe essere questa soluzione, diciamo ibrida, intermedia tra comunicazione tutta interna allo spazio pubblico e mediazione commerciale, a rappresentare la prospettiva più credibile per lʼeditoria accademica?

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Cavalli: Noi crediamo di essere una casa editrice sufficientemente piccola, sufficientemente snella per poter anche cambiar direzione, cioè non è che lo schema sin qui dato sia una scelta irrinunciabile. Al momento, tuttavia, crediamo che questa sia la strada che dà maggiori garanzie per il futuro, quindi riteniamo che in qualche modo si andrà verso questa direzione. Puntiamo sullʼaccesso aperto, per le ragioni etiche sopra esposte. Ma, allo stesso tempo, credo sia opportuno andare verso questa direzione, in cui ci siano soggetti terzi rispetto allʼuniversità a fare questo lavoro. Lo dico pensando alle university press, che tali non sono. Questo anche per ragioni tattiche, oltre che sistemiche. Le ragioni sistemiche pertengono il fatto che la certificazione della qualità delle pubblicazioni deve essere fatta da un soggetto terzo rispetto a chi la produce, nel senso che altrimenti cʼè un conflitto di interessi evidente. Dallʼaltro lato, dal punto di vista tattico e operativo, credo che – per come oggi è configurata lʼuniversità italiana – per i privati sia più semplice offrire dei servizi più efficienti, più efficaci, più competitivi anche a livello di costi, rispetto a una soluzione internalizzata da parte degli atenei. Per queste due ragioni credo che la strada sia quella di soggetti commerciali che si occupino di queste due cose. Poi in teoria non è impossibile che ci sia una university press che svolga in modo efficace, efficiente, economico il proprio lavoro, e che svolga anche una certificazione della qualità ben fatta; quindi in teoria non è che sia impossibile, però praticamente non la vedo così semplice.

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