E. Tatasciore, Giovanni e Maria Pascoli nel “Commiato” di d’Annunzio, «Annali di Studi...

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ENRICO TATASCIORE GIOVANNI E MARIA PASCOLI NEL COMMIATO DI D'ANNUNZIO1 Nella sera di Castelvecchio II commiato, l'ode che D'Annunzio pubblica sul «Marzocco» del 15 novembre 1903 e quindi a conclusione di Alcyoné2, si chiude con un "invio" piuttosto lungo, tanto da costituire parte a sé rispetto al resto del componimento3. Il destinatario è Giovanni Pascoli, ma al suo fianco compare, a un certo punto, la sorella Maria, che vive con lui a Castelvecchio (w. 113-148 e 189-192): Ode, innanzi ch'io parta per l'esilio, risali il Sarchio, ascendi la collina ove l'ultimo figlio di Vergilio, prole divina, 1 Queste pagine completano una serie di saggi che in vario modo coinvolgono // commiato: E. TATASCIORE, Dal falasco al piombino (1): D'Annunzio, II commiato, w. 41-52, «Soglie», XII, 2010, 2, pp. 44-59; Dal falasco al piombino (2): D'Annunzio, II commiato, w. 41-52, «Soglie», XII, 2010, 3, pp. 10-33; D'Annunzio e Pascoli: poesia fra i libri di ornitologia, «Rivista pascoliana», XXIII, 2011, pp. 109-145; Alla scuola della cantatrice. La prima saffica di Solon tra Alcyoné e i Poemi conviviali, in Giovanni Pascoli a un secolo dalla sua scomparsa, a cura di R. Aymone, Avelline, Edizioni Sine- stesie, 2013, pp. 421-453. 2 G. D'ANNUNZIO, Elettra - Alcione, Milano, Treves, 1904 (ma dicembre 1903). La forma del titolo Alcyoné compare a partire dall'edizione del 1931. 3 Sul «Marzocco» il testo del Commiato è diviso in due parti, contrassegnate «I» e «II». Nelle stampe in volume (ma non in quella del '31), «lo stacco è marcato da iniziale capitale», come segnala Gibellini in apparato al testo (dato nella lezione di G. D'ANNUN- ZIO, Laudi del cielo del mare della terra degli eroi, Roma, L'Oleandro, 1934) nell'edizione critica da cui si cita: G. D'ANNUNZIO, Alcyoné, ed. critica a cura di P. Gibellini, Milano, Mondadori, 1988. Il testo non presenta varianti di rilievo ai fini del nostro discorso. — 77 —

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ENRICO TATASCIORE

GIOVANNI E MARIA PASCOLINEL COMMIATO DI D'ANNUNZIO1

Nella sera di Castelvecchio

II commiato, l'ode che D'Annunzio pubblica sul «Marzocco» del 15novembre 1903 e quindi a conclusione di Alcyoné2, si chiude conun "invio" piuttosto lungo, tanto da costituire parte a sé rispetto alresto del componimento3. Il destinatario è Giovanni Pascoli, ma alsuo fianco compare, a un certo punto, la sorella Maria, che vive conlui a Castelvecchio (w. 113-148 e 189-192):

Ode, innanzi ch'io parta per l'esilio,risali il Sarchio, ascendi la collinaove l'ultimo figlio di Vergilio,prole divina,

1 Queste pagine completano una serie di saggi che in vario modo coinvolgono //commiato: E. TATASCIORE, Dal falasco al piombino (1): D'Annunzio, II commiato, w.41-52, «Soglie», XII, 2010, 2, pp. 44-59; Dal falasco al piombino (2): D'Annunzio, IIcommiato, w. 41-52, «Soglie», XII, 2010, 3, pp. 10-33; D'Annunzio e Pascoli: poesia frai libri di ornitologia, «Rivista pascoliana», XXIII, 2011, pp. 109-145; Alla scuola dellacantatrice. La prima saffica di Solon tra Alcyoné e i Poemi conviviali, in GiovanniPascoli a un secolo dalla sua scomparsa, a cura di R. Aymone, Avelline, Edizioni Sine-stesie, 2013, pp. 421-453.

2 G. D'ANNUNZIO, Elettra - Alcione, Milano, Treves, 1904 (ma dicembre 1903). Laforma del titolo Alcyoné compare a partire dall'edizione del 1931.

3 Sul «Marzocco» il testo del Commiato è diviso in due parti, contrassegnate «I» e«II». Nelle stampe in volume (ma non in quella del '31), «lo stacco è marcato da inizialecapitale», come segnala Gibellini in apparato al testo (dato nella lezione di G. D'ANNUN-ZIO, Laudi del cielo del mare della terra degli eroi, Roma, L'Oleandro, 1934) nell'edizionecritica da cui si cita: G. D'ANNUNZIO, Alcyoné, ed. critica a cura di P. Gibellini, Milano,Mondadori, 1988. Il testo non presenta varianti di rilievo ai fini del nostro discorso.

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quei che intende i linguaggi degli alati,strida di falchi, pianti di colombe,ch'eguale offre il cor candido ai rinatifiori e alle tombe,

quei che fiso guatare osò nel cèsioocchio e nel nero l'aquila di Fellae udì nova cantar sul vento etèsio,Saffo la bella,

il figlio di Vergilio ad un cipressotacito siede, e non t'aspetta. Vola!Te non reca la femmina d'Eresso,ma va pur sola;

che ben t'accoglierà nella man largaei che forse era intento al suono alterno

I dei licci o all'ape o all'alta ora di Bargao al verso eterno.

i1 Forse il libro del suo divin parente| sarà con lui, su' suoi ginocchi (ei coglie\a il trifoglio aruspice virente| di quattro foglie

|| e ne fa segno nel volume intonso,| dove Tìtiro canta? o dove Enea| pe' meati del monte ode il responso| . della Cumea?)

? Forse la suora dalle chiome lisce,I se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardii e chiuda nel forziere il lin che aulisceI di spicanardi,|

I sarà con lui, trista perché concilio| vide folto di rondini su gronda.i E tu gli parla: «Figlio di Vergilio,| ecco la fronda.

Ode, così gli parla. Ed alla suora,

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che vedrai di dolcezza lacrimare,da' l'ultimo ch'io colsi in su l'auroragiglio del mare.

È il tramonto. Giovanni Pascoli siede «sotto un cipresso», «inten-to al suono alterno / dei licci o all'ape o all'alta ora di Barga / o alverso eterno». «L'ultimo figlio di Vergilio» legge «forse», «ora», proprioil suo autore4.

C'è una dimensione narrativa, romanzesca in questo quadrod'ambiente che d'improvviso, con la comparsa di Maria Pasco-li al fianco del fratello, si fa piccolo-borghese5. Immaginiamo chele nostre strofe rappresentino davvero la scena di un romanzo.Giovanni è lì, sotto il cipresso, al tramonto. Contempla. Ha consé il "suo" Virgilio. L'avrà raggiunto - «forse», ci dice sapientemen-te il narratore: l'avverbio ribadito conferisce, paradossalmente, piùverosimiglianza alla scena - l'avrà raggiunto la sorella dopo i lavoridomestici: e insieme li trova l'ode, giunta d'oltre Pania in omaggioal poeta di Castelvecchio.

Dal suo «cantuccio», nell'Ora di Barga dei Canti di Castelvecchio,Giovanni rispondeva al tocco del campanile, che attraversa la vallet-ta della Corsonna (w. 7-12):

Tu dici, È l'ora, tu dici, È tardi,voce che cadi blanda dal ciclo.Ma un poco ancora lascia che guardil'albero, il ragno, l'ape, lo stelo,cose ch'han molti secoli o un annoo un'ora, e quelle nubi che vanno6.

4 Riceve così significato specifico il sintagma «verso eterno»: sarà l'esametro virgi-liano, cui Pascoli è «intento», e non più, come si può pensare sulle prime, il suonoeterno della natura o la poesia, in sé "eterna", nella cui composizione Giovanni sarebbeintento. L'aggettivo «intento» assume, di conseguenza, accezione uniformemente passi-va: assorto nell'ascolto dei licci, dell'ora di Barga, dell'ape (o, in questo caso, nella vistadel piccolo insetto, come nell'Ora di Barga?), nella lettura o (forse meglio) nell'ascoltointcriore del «verso eterno».

5 M. SANTAGATA, Per l'opposta balza. La cavalla storna e II commiato dell'Mcyone,Milano, Garzanti, 2002.

6 Cito il testo dei Canti nella lezione della princeps (marzo 1903): cfr. G. PASCOLI,Canti di Castelvecchio, edizione critica a cura di N. Ebani, Bologna, La Nuova Italia,2001.

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È una delle tante poesie cui il Commiato fa eco, nella secondaparte, con esperto procedimento allusivo. L'allusione, più o menoscoperta, è sempre determinata. Tracce di un testo si diffondonoin più punti dell'ode, oppure si mescolano e condensano con altrememorie, non senza preziose variazioni. L'ora di Barga riecheg-gia ad esempio ben undici versi più giù rispetto alla citazione piùscoperta Gl'ape [...] l'alta ora di Barga»), là dove Maria ripone i ferri«ora ch'è tardk «Tu dici, È l'ora, tu dici, È tardi...», iniziava la strofaappena letta. Ancora - per fare un caso di addensamento di luoghi"allusi" - i versi:

quei che intende i linguaggi degli alati,strida di falchi, pianti di colombe,[...I

il figlio di Vergilio ad un cipressotacito siede [...]

rispondono non solo a Passeri a sera (w. 1-5):

l'uomo che intende gli uccelli, i grididei falchi, i pianti delle colombe,ciò che le cincie dicono ai nidi,e il chiù, che vuole più dalle tombe;

siede a un cipresso [...]

ma anche, più segretamente, all'Hammerless Gun, attraversoquell'incipit di verso, «tacito siede», che richiama la situazione dell'ioUrico del poemetto, anche qui intento ad ascoltare «i linguaggi deglialati» (w. 74 e 82-86):

[...] Mi siedo sopra il greppo.[...IIn tanto, tra le canne, tra la stipa,sento un brusire ed uno squittinire,

che dico? un parlottare piano piano.Ma sì, parlano a me, che dalla ripatacito ascolto, il mento su la mano.

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Poco prima il protagonista del poemetto ha chiamato questoluogo, da lui solitariamente raggiunto, «il mio luogo alto e segreto»(v. 55): luogo di contemplazione dunque, molto vicino al «cantuc-cio» de L'ora di Barga7.

I Canti di Castelvecchio sono alla base, è evidente, dell'omaggiodel Commiato. Il libro è uscito da poco: un'edizione nel marzo del1903, una seconda, accresciuta di un glossario dei termini garfa-gnini, pochi mesi dopo, in agosto. L'opera era stata promessa ailettori dallo stesso Pascoli, sin dal 1897, nella prefazione ai Poemetti.Rivolto a Maria, egli scrive in quelle pagine: «Aspettando i "Canti diCastelvecchio" e i "Canti di San Mauro", il presente e il passato, laconsolazione e il rimpianto [...] leggi, o Maria, anzi rileggi questipoemetti»8. La seconda edizione del libro, del 1900, riprende inva-riata quella prefazione, rinnovando di fatto la promessa e risveglian-do il senso d'attesa. Si ricorderà di sfuggita che a quella promessasi riferisce Montale in un articolo certo meno conosciuto del suosaggio pascoliano maggiore La fortuna del Pascoli, quando scrive,in una cronaca del '56, che il borgo natale dove si celebrano le festedel centenario, «con le sue case basse intonacate di fresco, e oggipavesate, non suggerisce affatto l'idea di ciò che potevano diventarequei canti di San Mauro che, poi, il poeta non scrisse, o scrisse conaltro titolo», aggiungendo che «bisognerebbe ricreare il silenzio e ildeserto intomo alla casa che fu di Ruggero Pascoli [...] per tuffarsi inun'autentica Stimmung pascoliana»9.

Ora i Canti, il libro destinato a proseguire le Myrìcae - arbu-sta iuvant humilesque myricae ribadisce il motto - sanciscono laconquista di Castelvecchio come dimora del poeta, nido di ricordi

7 A tale addensamento di valori simbolici attorno al "luogo" sembra da riferire lascelta dell'aggettivo «alta» nel verso di D'Annunzio, lealtà ora di Barga»: alta spiritual-mente, come non semplicemente elevato in altitudine è il «luogo» dell'Hammerless Gun,«alto e segreto».

8 G. PASCOLI, Poemetti, Firenze, Paggi, 1897, p. MI, passo che rimarrà inalterato nelcorso delle edizioni, come quasi tutta la prefazione che resta ad aprire il libro anchequando l'edizione del 1904, Primipoemetti, ne stabilirà la forma definitiva: cfr. G. PASCO-LI, Primi poemetti, ed. critica a cura di F. Nassi, Bologna, Patron, 2011. Fra i libri diPascoli al Vittoriale si conservano una copia dei Poemetti 1897 e due dei Poemetti 1900(G. PASCOLI, Poemetti, Milano-Palermo, Sandron, 1900): cfr. il Carteggio Pascoli-D'An-nunzio, a cura di E. Torchio, Bologna, Patron, 2008, p. 109.

9 E. MONTALE, Feste intomo alla casa di San Mauro dove nacque Pascoli cent'annifa,«Corriere della Sera», 13 maggio 1956, ora in ID., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, acura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, II, pp. 1948-1951.

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o orto di dolore che produce il nuovo frutto di poesia. È naturalequindi che D'Annunzio, il cui dominio poetico si estende in Alcyo-ne per una mitizzata Versilia, invii a Castelvecchio l'ode di salutopensata per chiudere il libro. L'esperienza della sua poesia, lo intu-iva, si delimita e si rileva meglio attraverso il confronto con l'altraimportante vicenda poetica di quegli anni, quella di Pascoli, e conquel suo libro di maggior novità (e successo), i Canti di Castelvec-chio. Si rilegga tutta la prima parte del Commiato. D'Annunzio staabbandonando un mondo che ha posseduto (w. 17-28):

Potess'io sostenerti nella mano,terra di Luni, come un vaso etrusco!In te amo il divin marmo apuano,l'umile rusco;

amo la tua materia prometèa,la sabbia delle tue selve aromali,l'aquila dei tuoi picchi, la ninfeade' tuoi canali.

Potesse l'arte mia, da Val di Serchioa Val di Magra e per le Pànie al Varae al golfo, tutta stringerti in un cerchiocon l'alpe a gara!10

La seconda metà del Commiato si proietta, ora, "fuori": fuoridell'area geografica alcionia e del suo universo simbolico, fuoridel dominio dell'io lirico, fuori, se possibile, degli stessi confini dellibro, se nel testo è fatto spazio a un altro poeta coi frammenti deisuoi libri. C'è stato modo, in altra sede11, di approfondire il ruolodi Giovanni in questa seconda parte: la sua figura accentra qui nonsolo lacerti testuali, ma motivi ideologici e memorie di una comunemilitanza estetica risalente agli anni del «Convito». Ma il Commiatosi rivolge, abbiamo visto, anche alla sorella Maria. Nella finzionepoetica, l'ode "raggiunge" lei come Giovanni. In quel momento,fratello e sorella diventano a tutti gli effetti personaggi.

10 Sul tema dell'abbandono della terra di Alcyone cfr. E. TATASCIORE, Dal falasco alpiombino (1) cit. e Dal falasco al piombino (2) cit.

11 Cfr. E. TATASCIORE, Alla scuola della cantatricecil., cui si può aggiungere F. NASSI,Pascoli, D'Annunzio e i classici: tappe di un confronto, in Giovanni Pascoli a un secolodalla sua scomparsa cit., pp. 297-331 (in particolare le pp. 306-320).

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Defle immagini: una coppia simbolica nel Commiato

Tetto ha potere forte di significazione nel Commiato e nulla è lascia-ao al caso. Va detto che noi siamo troppo abituati a vederli accanto,Giovanni e Maria, sotto quel cipresso. Dobbiamo chiederci, risa-lendo indietro oltre l'immaginario consueto - pensiamo, non dicoad oggi, ma ai tempi di Serra, che chiudeva il suo Pascoli citandoproprio il Commiato - dobbiamo chiederci secondo quali ragionie a quale scopo un poeta che in quel novembre del 1903 volesseosnaggiare Pascoli potesse, o dovesse, evocare al suo fianco la sorel-la Maria. Chiederci cioè quali relazioni di senso D'Annunzio colgae traduca in immagine; e se il nucleo simbolico rappresentato dallacoppia di fratelli (nella determinata sede di Castelvecchio, per giun-ta), fosse sua invenzione o già esistesse, implicito o esplicito, nellecose fin lì prodotte da Pascoli.

Certo è che a quel nucleo simbolico D'Annunzio dava, col ritrat-to del Commiato che solo in apparenza è un'istantanea, definitiva-mente e prepotentemente corso. Rileggiamo i versi in cui Maria siaffianca a Giovanni (133-146):

Forse il libro del suo divin parentesarà con lui, su' suoi ginocchi (ei coglieora il trifoglio aruspice virentedi quattro foglie

e ne fa segno nel volume intonso,dove Titiro canta? o dove Eneape' meati del monte ode il responsodella Cumea?)

Forse la suora dalle chiome lisce,se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardie chiuda nel forziere il lin che auliscedi spicanardi,

sarà con lui, trista perché conciliovide folto di rondini su gronda.

È una fotografia i cui contorni sono effusi non per opera deltempo, come spesso accade nei ritratti d'epoca, ma per l'alonesimbolico di cui il poeta ha voluto circondare le figure. Il ritratto di

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Giovanni e Maria nei versi del Commiato possiede, in effetti, questavirtù: "crea" l'immagine, le conferisce evidenza e persino attendibili-tà storica, facendoci dimenticare che i due personaggi lì rappresen-tati non sono il Giovanni e la Maria reali. In questo, il romanziereda una mano al poeta: nella lunghissima coda d'invio che formala seconda parte dell'ode, D'Annunzio non solo si rivolge alla suastessa opera, affidandole la «ghirlanda» da recare a Castelvecchio,ma le fa anche pronunciare, in forma di discorso diretto, parolerivolte a Pascoli. Se le istruzioni per il viaggio rientrano nel canonedelT'Invio" («risali il Serchio, ascendi la collina»), è nelk debordantelunghezza del messaggio, e nella prosopopea dell'ode, che questaseconda parte perde la sua natura di appendice e si costituisce difatto come testo indipendente. Sono 80 versi che si vengono adaggiungere ai precedenti 112.

Quando l'ode si fa avanti e Giovanni l'accoglie «nella man larga»,il lettore ha già visto formarsi l'immagine del destinatario. D'Annun-zio infatti, nell'anticipare l'incontro richiamando, in tre strofe, Passe-ri a sera, The Hammerless Gun, Solon e Alexandros, non ha sempli-cemente "citato" dalle poesie di Pascoli, ma da quelle ha trasportatonel Commiato situazioni e pose. Così questa figura di poeta fattadelle sue stesse poesie la vediamo sedere assorta sotto un cipresso,intenta ai suoni lontani o all'ape vicina, la vediamo tendere la «manlarga»; e quindi farsi ancora più nitida nei particolari che prendonorilievo: il «libro» di Virgilio «su' suoi ginocchi», il quadrifoglio fra lepagine del libro.

Osserviamo meglio i versi relativi al «volume intonso» di Virgilio.Il «parente», Virgilio, è detto «divino», e non si poteva trovare iunctu-ra più usata: ma il suo è concretamente «un libro», che Giovannitiene «su' suoi ginocchi». Questo «volume» in cui legge è detto «inton-so»: la parola immerge l'oggetto in un'aura di purezza, ma material-mente abbiamo davanti proprio l'oggetto, il libro cui Pascoli è statoil primo a rifilare i bordi (mi sembra questa Pinterpretazione piùcoerente). Su questo registro d'un realismo sottoposto a immediataproiezione simbolica si può continuare. Il libro raccoglie, a quantosembra, gli Opera di Virgilio, se sfogliandolo si trovano le Bucoli-che come VEneide. Ugualmente, i luoghi citati (l'ecloga prima e iresponsa Sibyllaé) sono anche precise pagine del volume, e fra quel-le Pascoli chiude il quadrifoglio, P«aruspice virente». Siamo per unattimo accanto a Titiro nell'ecloga prima, o con Enea nell'antro dellaSibilla, ma siamo anche, a questo punto, con Pascoli: col gesto di

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cogliere il quadrifoglio, d'inserirlo nel libro come segno di quella oquell'altra pagina, egli è diventato, nel Commiato, un personaggio.

Lo splendido volume del «divin parente», il quadrifoglio aruspi-cino; Titiro che è figura, per tradizione, di Virgilio, e, insiemedi Pascoli (seduto non sub tegmine fagi, ma «a un cipresso»); la«Cumea» (Cymaea Sibytta, Verg. Aen., VI, 98) che per le bocchedell'antro da i suoi responsi (.aditus centum, ostia, centum; / underuunt totidem voces, responsa Sibyllae, Verg. Aen., VI, w. 43-44):non è casuale questa serie di richiami, se si ricorda che dalle Buco-liche vengono i motti che Pascoli andava apponendo ai suoi libri, eche il libro VI dell'Ertetele, al centro del commento virgiliano di Epos(1897), rappresentava il referente più immediato dell'immagine diun Pascoli "poeta dei morti"12. In questa sfera numinosa vediamoappressarsi Maria, malinconica vestale di un rito quotidiano:

Forse la suora dalle chiome lisce,se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardie chiuda nel forziere il lin che auliscedi spicanardi

sarà con lui, trista perché conciliovide folto di rondini su gronda.

La coppia di strofe, simmetrica alla precedente («Forse il libro[...] sarà con lui», «Forse la suora [...] sarà con lui»), deve ancoraqualcosa all'arte del romanziere. Anche qui l'avverbio «forse», cheammorbidisce il dettato, non crea dubbio, ma anzi, legato al futurodi supposizione e al nesso ipotetico-temporale («se [...] ora ch'ètardi»), accresce la verosimiglianza dell'immagine. Sono «lisce» le«chiome» di Maria (anche se sarà la rima a evocare il determinan-te), e oggetti scivolano tra le sue mani: i «ferri», il lino che riponenel «forziere». È «trista», e ci è detto perché: «concilio / vide folto dirondini su gronda»: altra immagine, che si addensa in quell'aggettivo«folto» messo in rilievo dall'iperbato prolungato nel suono di «rondi-ni» e «gronda».

12 Di Epos (G. PASCOLI, Epos, Livorno, Giusti, 1897, da cui sono tratte le citazionidell'Eneide) Pascoli donò a D'Annunzio una copia tuttora conservata al Vittoriale (cfr.Carteggio cit., p. 109). D'Annunzio lo ringraziò con queste parole: «Grazie del libro insi-gne. Mai bellezze di antica poesia furono illuminate da un rivelatore più alto» (lettera del16 febbraio 1897: Carteggio cit., p. 143).

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Ì ENRICO TATASCIORE|j} Ma ci possiamo chiedere: saranno queste immagini di MariaI anche parole, come parole di Giovanni erano quelle che davanoI voce al suo ritratto? Anch'ella infatti «compone», come ricorda Pasco-li li nelle annotazioni ai Canti di Castelvecchio pubblicando tre sue| prove, due sonetti e un'ode saffica (.L'alba del malato, Rimpianto,| Dopo il ritorno'). A lei appartengono le poesie firmate Sibylla sul1 «Marzocco», e fra quelle sono le tre che i lettori della rivista trova-| no in appendice ai Canti. Niente di più naturale, quindi, che allaI «Cumea» si affianchi, nel Commiato, la Sibilla di Castelvecchio.| Sulle poesie di Maria-Sibylla occorrerà tornare. Restiamo intanto\l significato di questo ritratto familiare nel Commiato. Dalla presen-| za di Maria nell'ode non si ricava soltanto il nudo fatto biografico: ilI fatto cioè che nel 1903 il connubio dei due fratelli fosse cosa tanto

nota da poter essere "cantata" nell'ode finale diAlcyone. Val la penainvece di risalire, dall'immagine offertaci da D'Annunzio, a ciò chenell'opera di Pascoli, e non solo nella sua biografia, la giustifica.

[ Archeologia di un'immagine

| II ritratto in versi della seconda parte del Commiato non è certo un1 profilo critico, ma alla critica offre non pochi elementi di riflessione,I scelti e coordinati in relazioni che rispecchiano nodi significativi| della poesia di Pascoli. Il riuso di materiali pascoliani, tratto costi-li nativo della seconda parte del Commiato, colloca il lettore imme-f diatamente fra i testi, gli permette cioè di esplorare quelle relazioniI direttamente nell'opera del poeta oggetto di allusione. Decifrare il{ tessuto allusivo dell'ode significherà allora operare su due dominij diversi di poesia, irriducibili l'uno all'altro eppure complementari,j come insegnano le analisi di Santagata e di Garboli13. Attraverso

il Commiato le differenze e le somiglianze risaltano, e il dominiopoetico di Pascoli si affianca a quello di D'Annunzio, evocato nonsolo dall'insistito gioco allusivo, ma anche, e in maniera più condi-zionante sul piano di una "società delle lettere" e del suo immagina-rio, dalla rappresentazione in cui il testo costringe la figura biografi-ca di Pascoli e parte della sua stessa opera.

13 M. SANTAGATA, Per l'opposta balza cit.; C. GARBOLI, introduzione ai Canti di Castel-vecchio in G. PASCOLI, Poesie e prose scelte, a cura di C. Garboli, Milano, Mondadori, 2002,II, pp. 691-696.

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Ribadiamo che non si tratta semplicemente di portare alloscoperto citazioni nascoste, sebbene a fondamento di tutto siaproprio l'operazione di rintracciare fra le opere di Pascoli l'originedella lettera del testo. Il Commiato ci fa intuire ad esempio la strettaparentela di situazione poetica fra il «greppo» di Thè HammerlessGun e il «cantuccio» dell'Ora di Barga14. O offre la testimonianzaeccellente di un Pascoli "poeta dei Conviviali" quando il libro deiPoemi è ancora soltanto un annuncio (sarà stampato l'anno dopo,nell'agosto del 1904): un Pascoli che, visto con gli occhi di D'An-minzio (e dunque con quelli del pubblico dell'epoca), è ancoraTantico compagno di battaglie del «Convito» nella lotta contro l'im-barbarimento dell'arte e della società - e non ancora, dunque, ilpoeta del grande disegno storico pagano-cristiano dei Conviviali,che all'epoca del Commiato D'Annunzio non poteva conoscere15.

Se insomma D'Annunzio mette in primo piano non il solo Pasco-li, ma la coppia Giovanni-Maria, lo fa a ragion veduta. Come vedre-mo, il procedere stesso della poesia pascoliana, il suo svelarsi inpubblico fra i Poemetti e i Canti di Castelvecchio invitavano a quelritratto a due.

Alcuni indizi sono davvero palesi. La comprimarietà di Mariacon Giovanni è stabilita - e sembrava già allora una volta per tutte- nei Poemetti, nella prefazione in cui Giovanni si rivolge alla «dolcesorella». Si esprime qui, sul piano estetico, la situazione di un iopoetante in cerca di complicità con l'ascoltatore, quasi una costantedell'atteggiamento poetico pascoliano qui distillata nella sua formapiù pura, poiché la forma di maggior vicinanza, speculare e simme-trica, dell'altro a sé, è - almeno per Pascoli - il rapporto fratello-sorella (il caso più esemplare è forse quello dei Gemelli). Peraltro,

14 Quanto all'accostamento fra Passeri a sera e The Hammerless Gun, suggerito daD'Annunzio nella giustapposizione delle tessere testuali, si può trovare un corrispettivonella critica più recente: «Con Passeri a sera ci imbattiamo di nuovo nel protagonista diThè Hammerless Cun», scrive Francesca Latini nel cappello introduttivo a Passeri a sera,in G. PASCOLI, Myricae, Canti di Castelvecchio, a cura di I. Ciani e F, Latini, introduzionedi G. Bàrberi Squarotti, Torino, Utet, 2002, p. 757.

15 Si citano spesso, accanto alle strofe in cui il Commiato evoca Alexandros e «Saffola bella», i Poemi conviviali. Ma all'epoca D'Annunzio sapeva soltanto che il libro era inpreparazione, come lo informava Pascoli stesso (lettera del 5 settembre 1903: Carteggiocit., p. 150). E di fatto i 'conviviali' la cui citazione diretta o indiretta entra nel Commiatosono solo quelli del «Convito» (cui Pascoli fa riferimento nella lettera), non altri già editiche pure D'Annunzio conosceva (Sileno ad esempio). Per tutto ciò rimando ancora a E.TATASCIORE, Alla scuola detta contatrice cit., pp. 423-434.

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nella prefazione ai Poemetti i due fratelli si mostrano in un luogopreciso, la casa di Castelvecchio: il presente dal quale si guarda ilpassato, il qui di dove si ricorda l'altrove. È il rapporto fondativo perla poesia, di ciò che è (ciò che si è) con ciò che non è più (ciò chenon si è più): «II ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo».Ma si noti, rileggendo tutto il passo (un concentrato della poeticapascoliana), l'importanza del ruolo di Maria:

Ricordiamo, o Maria: ricordiamo. Il ricordo è delfatto come una pittura: pittura bella, se impressabene in anima buona, anche se di cose non belle. Ilricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo.Quindi noi di poesia ne abbiamo a dovizia. Potròsignificarla altrui? Aspettando i «Canti di Castel-vecchio» e i «Canti di San Mauro», il presente e ilpassato, la consolazione e il rimpianto, aspettandoquesti canti che echeggiano già così soave nellenostre due anime sole: leggi, o Maria, anzi rileggiquesti poemetti. E leggeteli voi, anime candide, cuili affido. Leggeteli candidamente16.

Alle soglie del libro - il secondo che Pascoli pubblicava dopoMyrìcae - Maria partecipa dunque dell'universo poetico del fratellopersine delle sue formulazioni estetiche, medianice e compagna delpoeta al momento di varcare quella soglia per uscire in pubblico.I Poemetti sono in questo senso proiezione della casa nuova, delrecuperato nido, che apre ora le sue imposte e più tardi spargerà,i nuovi «canti» di cui Maria è la prima uditrice («echeggiano già cosìsoave nelle nostre due anime sole»).

La prefazione ai Poemetti conquista un posto stabile nell'immagi-nario di D'Annunzio. Non ne mancano echi nel Commiato, dove la«dolce sorella», la «dolce Maria» (incipit ed explicit della prefazione:«Maria, dolce sorella...», «dolce Maria [....] eccomi a te di nuovo»), èla «suora» che l'ode vedrà «di dolcezza lacrimare»17. Ancora, il Pascolidal «cor candido» del Commiato è lo stesso che raccomandava i suoiPoemetti virginibuspuerìsque: a fanciulli nell'anima: «E leggeteli voi,

16 G. PASCOLI, Poemetti cit, pp. MI-JOII.17 L'elazione stilistica ha, come spesso, l'avallo carducciano: «Voi dolce suora le rose

chiamano» (Odi barbare, Saluto d'autunno, v. 6).

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anime candide, cui li affido. Leggeteli candidamente». Tanto questaprosa suggestiona D'Annunzio, da essere ripresa con preziosa testu-ra di citazioni nello scritto in morte di Pascoli, la Contemplazionedella morte, che non a caso esordisce con immagine di Maria chechiude gli occhi del defunto, «ella che è virile in pietà come Caterinada Siena"18.

Alla promessa formulata in quella prefazione rispondono, nel1903, i Canti di Castelvecchio, conclusi dalla gelosa "raccolta nellaraccolta" che è il Ritorno a San Mauro, quanto affiora cioè, del maicomposto libro dei «Canti di San Mauro». Un ponte è così gettatofra i Canti e i Poemetti. D'altra parte, se è vero che tanto il mottoquanto la prefazione ai Canti di Castelvecchio sono simmetrici aquelli di Myricae (libro dedicato al padre, come i Canti alla madre),non ha minor valore di raccordo la nota posta a chiusura dei Canti,che trasporta di nuovo nell'atmosfera domestica su cui si aprivanoi Poemetti, di un presente operoso, dimesso, lieto a tratti o dolce-mente malinconico. E anche qui, nella nota, al fianco di Giovannicompare Maria. Non solo: non più semplice ascoltatrice e sua primaconfidente, Pascoli vuole che della sorella il lettore conosca «qual-che canto», poiché anch'ella «compone». Tutto il passo merita diessere riletto:

«La mia malattia»! Cara Maria che mi fu veramentesorella di carità! A lei è consacrato il ciclo (se cosìposso chiamarlo) delì'Avemaria (da XL a XLV). Enon dispiaccia al lettore conoscere di lei qualchecanto, che appunto a quel ciclo si riferisce. Essacompone (lo dico perché la gente non si faccia di leiun'idea non rispondente alla realtà) tra una faccen-da e l'altra per casa. Vorrei anzi che il lettore cono-scesse (che pretesa!) un mio piccolo inno su lei, cheè in «Miei Pensieri di varia Umanità» pubblicati testéin Messina dal mio buon Vincenzo Muglia. Eccointanto i suoi «nulla» dopo i miei «nulla».

18 G. D'ANNUNZIO, Contemplazione della morte, Milano, Mondadori, 1995, p. 11:nella stessa pagina la prima delle citazioni dalla prefazione pascoliana. Dai passi segnatiin verde su una delle due copie dei Poemetti (Milano-Palermo, Sandron, 1900) conser-vate al Vittoriale (passi registrati in Carteggio cit., p. 169) sembra di poter desumere chefosse questo il volume usato per la stesura della Contemplazione.

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Seguono le tre poesie di Maria, tre «canti», come Pascoli chia-ma i suoi. Prima però di cercare se qualcosa di queste liriche diMaria passi nel Commiato, proviamo a seguire gli indizi forniti daPascoli: il fine è quello di render palese il maggior numero possibiledi "sollecitazioni" relative a Maria, tali cioè da farla assumere, connaturale rispondenza all'universo poetico pascoliano, a comprima-ria di un ritratto come quello del Commiato.

Le è «consacrato» un «ciclo», anzitutto, che Pascoli chiama «deU'̂ 4-vemaria». Sono, come è indicato fra parentesi, i componimenti dalXL al XLV dei Canti: indicazione che sarà eliminata a partire dallaterza edizione (1905), venendo meno la stessa numerazione deicomponimenti nell'indice. D'Annunzio, è ovvio, leggeva nell'estate-autunno del 1903 la prima o la seconda edizione, forse entrambe. Aldi là dell'indicazione di servizio deferita alla parentesi, è comunquela parola Avemaria a identificare il «ciclo», posta com'è a chiudere laprima e l'ultima delle sei poesie, In viaggio e II sogno della vergine.Le altre quattro sono Maria, La mia malattia, Un ricordo, II nido di"/arlotti".

In Maria, specialmente, riconosciamo la sorella «dalle chiomelisce» del Commiato, che nell'ora crepuscolare siede «trista» accantoal fratello e che l'ode vedrà «di dolcezza lacrimare»:

Ti splende su l'umile testala sera d'autunno, Maria!Ti vedo sorridere mestatra i tocchi d'un'avemaria:sorride il tuo gracile viso;né trova, il tuo dolce sorriso,nessuno19.

Altra "legittimazione" al ritratto dannunziano viene da La miamalattia. Qui Maria, che «quelle sere» - i due abitavano a Messina- suole pregare al guanciale del fratello «con le sue dolci parole>(w. 11-13), quando Giovanni ammala, per non disturbarlo («avevaalta la febbre»), ancora dice quelle preghiere, «ma da sé, ma ebbre

19 Si aggiunga Sorella di Myricae (in volume dalla quarta edizione), che porta ladedica «a Maria»: «la mesta sorella» (v. 2), che «serba nel pallido viso [...] per quando egli[il fratello] parte il sorriso, / le lagrime per il ritomo» (w. 9, 11-12), «cuce: nell'ombraromita / non s'ode che l'ago e l'anello: / ecco, l'ago fra le agili dita / ripete, Stia caldo,sia bello!» (w. 17-20).

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/ di pianto». Scena veramente privata e domestica: eppure assuntaa motivo di "canto", addirittura in terzina dantesca. La mia malattiaoffre così una sorta di consenso preventivo alla rappresentazione, inregime poetico, di una situazione a tutti gli effetti biografica.

Certo alla Maria del Commiato manca quel balenio di sorrisoche Pascoli le riconosce pur fra tanta mestizia: «Maria, col viso /tutt'ombra, dove un mio levar di ciglia / gettava sempre un lampodi sorriso» (La mia malattia, w. 4-6). È ben più che una sfumatura,è una componente fondamentale della situazione lirica (si rileggaquella prima strofa di Maria) inesorabilmente legata a un destino dioscuramento: dialettica che il Commiato in qualche modo deprime,consegnando al lettore - a tutto danno di Pascoli - un'immaginestatica e monocorde di quel motivo lirico che pure addita.

Allo stesso modo una rassegnata leggerezza percorre a onda-te quel «piccolo inno» su Maria che in realtà proprio su lei non è:La poesia al poeta s'intitolava, in redazione manoscritta, il primocanto del fanciullo nel Fanciullino, A te né le gemme né gli ori...,l'unico testo che, nei Miei Pensieri di varia Umanità, possa corri-spondere all'indicazione di Pascoli. Prima di raggiungere la cupariva dell'esistenza - il destino di morte e annullamento dell'uomo- quella leggerezza non mai veramente felice di «palpito nuovo» cheè la poesia tocca anche la figura della giovane donna di casa. E ilfanciullino così dice al poeta:

Non hai che dal ciglio ti penda,né paggio né florida ancella;ma lieta, ma grata sfaccendaper te la tua dolce sorella;che cinge il grembiule, e sorride;lo scinge e s'asside

con te... E per letto di morte,che a tutti è sì duro e sì grave,che cosa ti serbo, sai tu?Oh! rose per letto di morte,cadute dal pruno: il soavedolore che fu!

Sono le ultime due strofe delP«inno», congiunte dall'enjambe-ment in una successione tematica che ricorda Ida e Maria in Myri-cae, dove alle «mani d'oro» delle sorelle Giovanni chiedeva:

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or m'apprestate quel che già chiedevofunebre panno, o tenui mani d'oro,però che i morti chiamano e ch'io devoesser con loro.

Ma non sia di raso stridulo, non siadi puro amianto; sia di que' sinceriteli...

Il «piccolo inno su lei» di cui parla Pascoli nella nota è dunquequesto primo canto del Fanciullino20. Non tutto dedicato a Maria,come si scopre andando a verificare la curiosa indicazione, macomunque a lei legato attraverso quella strofa, l'«inno» sareb-be, trasportato fra i Canti di Castelvecchio, un aereo omaggio alsogno lucido e dimesso di vita domestica che a tratti vi si scorge. Sequest'inno condivide, nel metro, «il ritmo feriale [...] dei novenari diCastelvecchio», se con esso «siamo lontani dai metri delle Myricae»21,è anche vero che non manca di affiorarvi memoria delle Myricae, eproprio in relazione a Maria (ma anche in relazione al «radicchio /non senza la sua salvastrella» della seconda strofa, che ci riportano al«radicchio e pimpinella» di O vano sogno nell'intima passeggiata)22.

La costellazione di testi al cui centro è Maria si fa sempre più variaed estesa, portandoci dai Canti al Fanciullino, ai Poemetti, alle Myri-

20 E come inno, di matrice pindarico-oraziana, lo descrive Garboli, ricordando chele «due serie triadiche (strofe antistrofe epodo)» erano, nella versione del «Marzocco»(Pensieri sull'arte poetica, 1897), «contrassegnate A e B» (G. PASCOLI, Poesie e prose sceltecit., I, p. 1184). Noi abbiamo riportato la redazione dei Miei Pensieri di varia Umanitàcitata da Pascoli nella nota e da poco uscita all'epoca della prima edizione dei Canti(è dunque, anche, un invito al lettore ad acquistare il libro): G. PASCOLI, Miei Pensieri divaria Umanità, Messina, Muglia, 1903 (la prefazione è datata 31 dicembre 1902). Il volu-me è presente nella biblioteca del Vittoriale (cfr. Carteggio cit., p. 170). Si fa riferimentoall'edizione critica del Fanciullino, che del resto mette a testo la lezione dell'edizioneMuglia: G. PASCOLI, // Fanciullino, a cura e con apparato critico di R. Terreni, Bologna,Alice, 2006.

21 C. GARBOU, in G. PASCOLI, Poesie e prose scelte, I cit., p. 118522 Non sarà quindi da trascurare quanto segnala Piero Pieri, che questo inno «appa-

re vicino alla poetica pascoliana degli esordi». Cfr. P. PIERI, Classicismo e Simbolismo.Pascoli, Omero e il superfanciullino, in ID., // violino d'Orfeo. Metamorfosi e dissimula-zione del classicismo, Bologna, Pendragon, 2000, pp. 169-301, p. 293. Sulla scorta delleindicazioni di Pieri si noterà ancora in Ida e Maria, nelle strofe citate, il motivo dell'an-titesi fra oggetto raffinato e oggetto umile, che percorre anche l'inno del fanciullo sindall'esordio: «A te né le gemme né gli ori / fornisco, o dolce ospite; è vero; ma fo che tibastino i fiori / che cogli nel verde sentiero, / nel muro, sulle umide crepe, / dall'ispidasiepe» (w. 1-6).

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eoe. La stessa Maria, letta in questa luce, in questa trama di relazioni,a presta a dar voce a un'ulteriore figura delT«anima fanciulla»:

[...] con quegli occhi che nuovisi fissano in ciò che tu troviper via [...]

Versi che si potrebbero chiosare con le parole del Fanciullinoche seguono il canto del fanciullo: «intenso è il sentimento di chinova la poesia in ciò che lo circonda, e in ciò che altri soglia spre-giare». O, ancor più, con altri, ben noti passi del medesimo scritto:

Guardate i ragazzi quando si trastullano seri seri.Voi vedete che hanno sempre alle mani cose trova-te per terra, nella loro via, che interessano soltantoloro e che perciò sol essi sembrano vedere: chioc-cioline, ossiccioli, sassetti. Il poeta fa il medesimo.

Il verbo chiave è "trovare", "scoprire": «II nuovo non s'inventa,si scopre» (ancora il cap. IV, di A te né le gemme né gli ori...); «Tuscopri, s'è detto; non inventi: e ciò che scopri, c'era prima di te e cisarà senza te»; «la vera poesia, quella, voglio dire, che si trova, non sifa. si scopre, non s'inventa» (cap. DC, che incornicia il secondo cantodel fanciullo; fu introdotto nell'edizione in volume del 1903)23. Masi potrebbe risalire fino a Contrasto di Myricae (dall'edizione del1894, la terza): «Io vo per via guardando e riguardando...» dice laseconda strofa, quella del poeta «che trova la poesia - scrive Pascoliall'amico Martinozzi - e non fa che grattare un poco di scabro, e lamostra agli occhi attoniti di chi non l'aveva né veduta né guardata»24.Siamo già, qui, nel sistema metaforico del Fanciullino: l'andare «pervia>, il "trovare", persine la rinuncia al "nome" e al titolo d'artistao di poeta, poiché, conclude Contrasto, «chi mi sia, non importa:ecco un rubino; / vedi un topazio; prendi un'ametista» (cfr. appuntoil cap. IX del Fanciullino con la lirica che vi è inclusa: // nome? ilnome?L'anima io semino.. .)25.

23 G. PASCOLI, II Fanciullino cit., rispettivamente pp. 75, 88, 71, 95, 97.24 Lettera del 26 luglio 1894 a Giuseppe Martinozzi, in G. PASCOLI, Lettere a Marlo

Novaro e ad altri amici, Bologna, Boni, 1971, p. 50.25 Su Contrasto si vedano L. BELLUCCI, Letturepascoliane, «Studi e problemi di critica

testuale», XXXVIII, 1989, pp. 135-147; il commento di Nava in G. PASCOLI, Myricae, a cura

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Ci siamo forse un po' allontanati dal centro del nostro discorso:ma occorreva seguire il filo che fa capo a Maria, per trovare la figuradella sorella legata ad altri motivi fondamentali della poesia e dellariflessione pascoliana. Infatti, se aver sottomano i Canti, in quell'au-tunno del 1903, era condizione materiale e necessaria a D'Annunzioper comporre i Commiato con le sue citazioni nitide e lavorate, laconfidenza col motivo di Maria «dolce sorella», altrettanto necessariaper indirizzarlo a quella zona dei canti egli l'aveva acquisita neglianni: attraverso la conoscenza delle abitudini familiari dei Pascoli,certo, ma anche, come stiamo vedendo, attraverso ciò che di quellavita Giovanni filtrava nella propria opera. I momenti in apparen-za marginali di questa "storia" concorrono a formare quella massa,quell'addensamento sul motivo, che ci porta a riconoscere il sensodell'operazione allusiva del Commiato al di là dell'"occasione", nellaprofondità storica del suo contesto di formazione e di ricezione.

Medium fra letteratura e vita, si sa, sono spesso le riviste. Nonsarà quindi inopportuno spostarci dai libri di Pascoli al «Marzocco»,rivista fra quelle delT'estetismo fiorentino" cui tanto Pascoli quantoD'Annunzio erano legati. Il «Marzocco» inizia le pubblicazioni l'an-no prima che escano i Poemetti, nel 1896 (del resto l'editore è lostesso, Paggi). Pascoli vi pubblica da subito, e a cadenza costante.D'Annunzio un po' meno, ma comunque testi di rilievo26. Primadell'uscita dei Poemetti (con quella prefazione di cui abbiamo sotto-lineato l'importanza) aveva potuto leggerne sul «Marzocco» uno checerto cospira a giustificare l'enfasi simbolizzatrice di cui si carica«il libro del divin parente» nel Commiato, II libro. È però doverosoricordare, in relazione al motivo di Maria, che D'Annunzio conosce-va il «piccolo inno su lei» (ma allora non l'avrà certo interpretato inquesto senso) per averlo già letto sul «Marzocco», dove in più punta-te Pascoli aveva pubblicato, nel 1897, i suoi Pensieri sull'arte poetica

di G. Nava, Roma, Salerno Editrice, 19912; A. TRAINA, // Contrasto di Myricae: Pascoli eD'Annunzio (1989) e Ancora su Contrasto di Myricae (1990), in Io., Poeti latini (e neola-tini). Note e saggi filologici, IV, Bologna, Patron, 1994.

26 L'elenco degli scritti di Pascoli e D'Annunzio pubblicati sul «Marzocco» si legge inG. NAVA, Lapresenza di Pascoli e D'Annunzio nel «Marzocco», in II Marzocco». Carteggiocronache fra Ottocento e Avanguardie (1887-1913), atti del seminario di studi (12-13-14dicembre 1983), a cura di C. Del Vivo, Firenze, Olschki, 1985, pp. 57-96 (l'elenco allepp. 93-96). Cfr. inoltre G. OLIVA, I nobili spiriti. Pascoli, D'Annunzio e le riviste dell'esteti-smo fiorentino, Venezia, Marsilio, 20022 (specialmente L'avventura estetica del "Marzoc-co», pp. 137-207, e Società e cultura nel «Marzocco», pp. 209-270).

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(nucleo originario del Fanciullinó). Non solo: ancora nel 1899, dueanni dopo l'uscita dei Poemetti, chi leggesse il «Marzocco» trovavaribadita la centralità della figura di Maria in un'occasione marginalesì, ma non certo insignificante per il circolo di affezionati al gior-nale. Sulla rivista compare infatti, a un certo punto, proprio Maria.

La si legge in una cronaca di Diego Garoglio dedicata al matri-monio di Angiolo Orvieto e Laura Cantoni, Per le nozze di unpoeta21. Gli sposi avevano ricevuto in dono un album di autografie disegni di scrittori, musicisti, pittori: Segantini, Pellizza da Volpe-dò, Pirandello, Vittoria Aganoor, Domenico Mastri, gli amici Conti eGargano e altri. Gli stessi Pascoli e D'Annunzio avevano preso parteall'omaggio con dei versi. È questo l'album cui si riferisce Pascoliin un'altra annotazione ai Canti: «E Angiolo Orvieto perdoni se hostampata, con "Maria", anche "La mia malattia" che fu scritta per luisolo e per gli occhi pii della sua Laura, nel suo album di nozze».Garoglio trascrive il "pezzo" inviato da D'Annunzio, un frammentoche sarebbe entrato in Maia (JFuronvi città soavi,. .)28, e Maria, il cuitesto è preceduto, dopo il titolo Maria, dal numero «I». Pascoli infat-ti spiega Garoglio citando la lettera d'accompagnamento del poeta,aveva mandato agli sposi «"due particelle d'un poema d'umiltà e didisperazione" intitolato Maria. Sono due squisite liriche, ma dobbia-mo limitarci a riprodurre la prima»29. È questa un'altra piccola maglia

r D. GAROGLIO, Perle nozze dì un poeta, «II Marzocco», 5 novembre 1899, pp. 2-3.C&. G. OLIVA, / nobili spiriti cit., pp. 89-97 (Diego Ganglio), 99-106 (Angiolo Orvieto),469-474 (Pascolismo e dannunzianesimo del Garoglio). Su Laura Orvieto, di cui ebbe-ro successo le varie Storie della storia del mondo, si veda il recente volume LauraOrtieto : la voglia di raccontare le Storie del mondo, Atti della giornata di studio, Firen-ze. Palazzo Strozzi, 19 ottobre 2011, Firenze, Polistampa, 2013 (numero monograficodeff.Antologia Vieusseux», 2012, 53-54).

s È una delle più antiche testimonianze di Maia: cfr. G. D'ANNUNZIO, Maia, edizio-oe critica a cura di C. Montagnani, Gardone Riviera, II Vittoriale degli Italiani, 2006, eC MONTAGNANI, Fra «vita nova* e «passato augusto»: Maia o il paradosso della modernità,za In un concerto di voci amiche. Studi di letteratura italiana dell'Otto e Novecento inonore di Donato Valli, a cura di M. Cantelmo e A.L. Giannone, Galatina, Congedo, 2008,L p. 205.

s Si tratta dunque di un poemetto dal titolo Maria, le cui due parti corrispondonofa póma a Maria e la seconda a La mia malattia dei Canti di Castelvecchio: non censitodaffedizione Ebani dei Canti, è studiato e edito, assieme alla lettera d'accompagna-:zEstto di Pascoli agli sposi, da M. MONSF.RRATI, Nell'officina dei Canti di Castelvecchio: il<xk> £fe//'Avemaria», in La letteratura italiana a Congresso, a cura di R. Cavalluzzi et al.,LECCE, Pensa MultiMedia, 2008, t. 3, pp. 913-923. L'articolo non si sofferma tuttavia sullaszsBpa in rivista della prima «particella» del «poema», cioè di Maria-, ma a parte segnalarefc poche varianti di punteggiatura rispetto all'autografo (v. 5 «viso / né», v. 13 «pietà;»,

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che si aggiunge alla nostra rete, per di più in rapporto a un'occasio-ne che coinvolge personalmente D'Annunzio.

Delle parole: i forzieri di Mariù

La scelta di D'Annunzio di affiancare Maria a Giovanni nel Commia-to si motiva dunque solo esteriormente col semplice dato biogra-fico della convivenza dei due fratelli a Castelvecchio. Tale situa-zione familiare è nota al grande pubblico per via degli accennisparsi nell'opera di Pascoli, come s'è visto, fra Poemetti e Cantidi Castelvecchio; ed è nota, a maggior ragione, nella cerchia degliamici d'area romana e fiorentina, comuni anche a D'Annunzio (deBosis, Gargano, Tenneroni, gli Orvieto). Si resta pertanto sul pianodella biografia se dietro il Commiato si rilevano soltanto i numerosi,talvolta galanti omaggi di D'Annunzio a Mariù, i saluti per lei nellelettere a Giovanni, i doni, lo stesso invio dell'autografo del Commia-ti0. Ciò che leggiamo nell'ode, in realtà, non sarebbe stato possibilese il regime di "vita a due" dei Pascoli non fosse stato già tradotto,da Giovanni, in un nucleo di poesia i cui elementi sono disseminatinelle sue opere. // commiato descrive (e interpreta) questa rela-zione, e non la relazione reale fra i due fratelli. In questo senso vaintesa, pertanto, la stretta contiguità che si crea fra Maria e la Sibilladi Enea nella cornice di sole tre strofe. Come ormai sanno D'Annun-zio e i lettori dei Poemetti e dei Canti, è Maria l'unica compagna diGiovanni sulla soglia dell'Averno, se la nuova dimora di Castelvec-chio è anche, come pare, sede di un nuovo accesso al mondo di chinon è più.

Resta da appurare quanto di Maria-Sibylla entri nel Commia-

v. 16 «diedero dolci», v. 17 «sparsero lagrime»), altro non si può aggiungere se non chenemmeno di questa stampa un po' nascosta fra le colonne dell'articolo del GaroglioPascoli si dimentica, e non manca di includere anche Maria, nelle Note ai Canti, fra lepoesie già pubblicate dal «Marzocco».

30 Di tutto ciò si ricava notizia dal Carteggio Pascoli D'Annunzio cit. È significativoche D'Annunzio cominci a menzionare Maria soltanto nelle lettere posteriori al 1897,l'anno dei Poemetti (cito dalle lettere fino all'anno 1903): «Ricordami alla buona sorella»(5 aprile 1899, da Messina a Messina); «Ricordami alla tua dolce sorella» (16 luglio 1903);«Ricordami alla tua sorella» (3 settembre 1903); «la tua dolce Maria» (18 settembre 1903);«il giglio marino s'è dissecco, e perciò mando a Maria - invece - il manoscritto della miaOde» (frattanto uscita sul «Marzocco»; lettera del 20 novembre 1903).

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a»31. Certo era nelle intenzioni di D'Annunzio che Giovanni e Maria,leggendo nell'ode, cogliessero "tutto": tutto ciò che l'abilità allusivadell'artefice vi aveva messo nel piegare «con arte» la «ghirlanda» delCommiato.

La vita operosa dei due fratelli non è fatta delle sole faccendefamiliari (il pane a crocette dei Poemetti), ma contempla, abbiamovisto, una condivisione più profonda, di studio e di poesia. Nell'u-niverso di Castelvecchio i "canti" di Maria sono, rispetto a quellici Giovanni (è significativa la scelta della stessa parola: canto), inca rapporto che definiremmo "satellitare": «non dispiaccia al lettoreconoscere di lei qualche canto, che appunto a quel ciclo [dellM-vsmaria} si riferisce. [...] Ecco intanto i suoi "nulla" dopo i miei"nulla"». Rileggiamo allora la strofa del Commiato in cui entra inscena Maria:

Forse la suora dalle chiome lisce,se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardie chiuda nel forziere il lin che auliscedi spicanardi

sarà con lui, trista perché conciliovide folto di rondini su gronda.

È forse l'omaggio più segreto contenuto nell'ode. C'è anzituttoeoa reminiscenza di Ida e Maria, l'ode che nella recensione a Myri-cae del 1892 D'Annunzio definiva «forse in tutto il libro la cosa piùdoke»32, e che ancora riecheggerà nella Contemplazione della mone-.Diaria dolce sorella, la tessitrice dalle mani d'oro, a cui Giovanni«iaainato dai suoi morti chiedeva un giorno in una tenue ode divina3 'funebre panno"» (si noti come a quest'altezza la damnatio memo-riae di Ida abbia fatto il suo corso)33. Il motivo del suono del telaio,<i>e nella saffica di Myrìcae è in relazione con le «mani d'oro» delle

31 Su Maria si veda (oltre a quanto scrive di sé in M. PASCOLI, Lungo la vita diGacanni Pascoli, memorie curate e integrate da A. Vicinellì, Milano, Mondadori, 1961)?- UÌSEAPPLE, Le foglie levi di Sibylla. L'opera e la scrittura di Maria Pascoli, Milano, Jaca3cok,2007.

2 G. D'ANNUNZIO, L'arte letteraria nel 1892 (Lapoesia), «II Mattino», 30-31 dicem-bre 1S92, in Scrìtti giornalistici 1889-1938, a cura di A. Andreoli e G. Zanetti, Milano,Sfaodadori, 2003, II, pp. 116-121.

3 G. D'ANNUNZIO, Contemplazione della morte cit, p. 11.

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sorelle («o mani d'oro, di cui l'opra alterna / sommessamente suonasenza posa») è già evocato, nel Commiato, ai w. 130-131: «il suonoalterno / dei licci». Non è detto che qui il riferimento sia proprio aMaria (la quale, ad esser puntigliosi, abbandonerà 4 ferri», non iltelaio di cui i «licci» sono un elemento); ma la strofa a lei dedicatasembra condividere la situazione dell'ammirata odicina», che cosìesordiva:

O mani d'oro, le cui tenui ditamenano i tenui fili ad escir fioridal bianco bisso, e sì, che la fioritasembra che odori;

o mani d'oro, che leggiere andando,rigasi il lin, miracolo a vederlo,qual seccia arata nell'autunno, quandochioccola il merlo...

Più che il lino (il «lin», con apocope, in entrambe le odi), ce lo diceun altro oggetto, che per noi ha interesse anche in quanto "parola":il cassettone ossia «forziere». Nel «forziere» la Maria di D'Annunzioripone il «lin che aulisce / di spicanardi». E dai «forzieri» della madreGiovanni chiede venga estratto per sé il «funebre panno», nelle ultimedue strofe di Ida e Maria (che in parte abbiamo già letto):

or m'apprestate quel che già chiedevofunebre panno, o tenui mani d'oro,però che i morti chiamano e ch'io devoesser con loro.

Ma non sia di raso stridulo, non siadi puro amianto; sia di que' sinceriteli onde grevi a voi lasciò la piamadre i forzieri.

Ai due fratelli D'Annunzio sta mostrando di conoscere gli oggettie i riti del loro mondo. Ma addirittura i gesti di Maria, nel Commiato(«Se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardi»), hanno un corrispettivoreale, seppure di una realtà filtrata dalla poesia. Da una poesia inparticolare, l'ode saffica Dopo il ritorno, l'ultimo dei «nulla» trascrittida Giovanni nella nota. Eccone la prima strofa:

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GIOVANNI E MARIA PASCOLI NEL COMMIATO DI D'ANNUNZIO

Nel cassettone che all'aprirlo rendesubito odor di spigo e di gaggia,tutta in assetto, tutta liscia splendela biancheria.

Il forziere è qui, in un registro meno elevato, un «cassettone», maad aprirlo rende subito profumo: come quello del din che aulisce/ di spicanardi» nel Commiato ("spicanardo" è sinonimo di "spigo",una varietà di lavanda). Maria è tornata, forse da Messina, e harassettato casa. L'ode continua così:

Splendono tutti i mobili che un pannointriso d'olio ripulì pian piano;splendono i vetri cui deterse il rannoe la mia mano.

Laura, io riposo: per un poco io l'agolascio ed i ferri, le mie tacite armi;e siedo e penso; e dal pensier mio vagolascio portarmi.

Lascio portarmi a ritrovar la prolech'ebbi, di sogni: gocciole di brinaantelucana, cui ribewe il solesu la mattina:

a ritrovarli; ed a cantar sommessicanti d'amore presso la lor culla:canti che sono un triste e pio, com'essifurono, nulla.

«Per un poco io l'ago / lascio ed i ferri»: ecco il "gesto" cheD'Annunzio riprende nel Commiato, al solito con la mediazionesostanziale della citazione esatta, riconoscibile. Il valore dell'allu-sione, naturalmente, va oltre l'omaggio alla poesia di Maria. Ancorauna volta D'Annunzio raggiunge infatti i Canti e l'ambiente poeticopascoliano, passando, in questo caso, per la "cornice". Ciò che eglimostra di aver compreso (e lo mostra al destinatario dell'omaggio)è che, almeno in relazione a una determinata sfera della poesiapascoliana, non c'è Giovanni senza Maria, non ci sono i Canti diCastelvecchio senza la densa atmosfera di relazione familiare che liavvolge.

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ENRICO TATASCIORE

Le rondini e la tristezza di Maria

«E con la trista parola NULLA, o Maria, finiremo il nostro libretto?»: conqueste parole Pascoli riprende a parlare dopo l'intermezzo affida-to alla voce di Maria. Non interessano qui gli ultimi ringraziamen-ti espressi nella nota, al tipografo Marchi, a De Carolis, a VittorioCorcos, a «Cesarino» Zanichelli e all'amico e intermediario Caselli.Interessa invece il motivo della tristezza, dell'infelicità legata a quan-to non v'èpiù possibilità che sia (piuttosto che a ciò che non sarà):i figli mai nati di Maria, oppure - fra le ultime poesie dei Canti e ilRitorno a San Mauro - una esistenza interrotta, irrecuperabile («equello ch'era non sarà mai più» è l'ultimo verso di In ritardo). Lafrase della nota, ben più che una formula di passaggio, contiene inrealtà nella «trista parola NULLA» l'ultima nota di una serie che scen-de sempre più nel grave: Addio!, Il ritratto, La cavalla storna, Inritardo, quindi // ritorno a San Mauro. A separare tali testi dal «ciclodéRAvemaria» sono solo tre liriche, // mendico, Ov'èela servetta dimonte. Il mendico è una figurazione del poeta, ma del poeta dellecose morte, «un mucchio // di squallidi cenci e di membra», «unuomo con gli occhi rivolti / nel lago, e che attonito sembra / cheascolti / l'eterno risucchio» (w. 103-108, 109-112):

e simile a sogno di nulla,nell'acqua c'è l'ombra sua bruna,che appena si dondola e culla

nel lume di luna.

Qui, prima che nell'ode di Maria, il lettore incontra la rima«nulla»: «culla». E la ritrova nella poesia successiva, Ov'è (la nascitadi un bambino come "caduta" nell'esistenza), dove «culla» non èpiù verbo, ma sostantivo: «Non fu la caduta di nulla! / Ma c'era unamorbida culla / per te!», «Zitti!... ora non chiede più nulla: / dov'è,sua madre gliel'ha detto. / A lei lo porser dalla culla; / la mamma sel'è messo al petto» (w. 33-35 e 50-53). In Dopo il ritorno l'opposizio-ne si fa chiara e definitiva, col rilievo acquistato dalla parola «nulla»:

[...] ed a cantar sommessicanti d'amore presso la lor culla:canti che furono un triste e pio, confessifurono, nulla.

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Tanto emblematicamente, così isolati, s'inseriscono questi versinel sistema della parte conclusiva dei Canti, che saremmo tentati dileggervi un sigillo apposto al libro dallo stesso Pascoli (e si sa comeegli "correggesse", da poeta "professionista", i versi di Maria): questi«canti» vivono fra il «nulla» e la «culla». E la compenetrazione fra i dueautori è ormai, all'altezza della nota, flagrante, se Pascoli parla di«nostro libretto».

Ora, ci si potrebbe chiedere se anche La servetta di monte, untesto così capace di stare "a sé", possa essere ricondotta (se non addi-rittura ridotta) a questo sistema, che si viene illuminando più chealtro a uno sguardo retrospettivo, originato dal punto di vista dellameta raggiunta dal libro (e quindi anche dalle note finali). Lasciamola questione aperta, rimandando in primo luogo alla mirabile letturadi Garboli, che si muove fra i due poli della prima stesura dei singolicomponimenti e della "sovrastruttura" loro imposta dal libro, momen-ti che determinano entrambi, ciascuno a suo modo, il senso dei testi34.Ma l'accento di tristezza del finale di Dopo il ritorno, in cui campeggia«la trista parola NULLA», ci porta ancora una volta al Commiato. Maria è«trista perché concilio / vide folto di rondini su gronda».

Già nella prefazione ai Poemetti le rondini si affollavano sottole grondaie: «ho sorpreso una viva conversazione familiare dentroun nido», dice Pascoli: «che si è deliberato nella capannetta sospesa,che forse è la residenza del capo-tribù? Forse l'impianto di nuovecase?» (e poco sopra: «O rondinelle dal petto rosso, o rondinelle dalpetto bianco, se poteste andar d'accordo! Le une e le altre io vorreitorno torno sotto le mie grondaie»). Ma è nei Canti di Castelvecchioche il motivo acquista una più decisa connotazione di tristezza, disenso di fine e di impossibile ritorno. Le rondini, immagini di unperpetuo partire per tornare, svolano lievi sul destino dell'individuo.

Si consideri Addio!:

Dunque, rondini rondini, addio!

34 C. GARBOLI, Trenta poesie famigliati di Giovanni Pascoli, poi ripreso in G. PASCOLI,Poesie e prose scelte cit. Per Nava «la servetta assurge [...] a simbolo d'una condizionedi esilio, dal luogo natìo non meno che dalla vita, che, se da un lato s'apparenta conl'esperienza diretta del poeta, dall'altro possiede una sua dimensione oggettiva, che èquella della "nostalgia dell'anima", della romantica Sehnsucht» (cappello introduttivo allaServetta di monte in G. PASCOLI, Canti di Castelvecchio cit. ed. Nava, p. 336).

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Dunque andate, dunque ci lasciateper paesi tanto a noi lontani.È finita qui la rossa estate.[...I

O son forse gli ultimi consigliai piccini per il lungo volo.Rampicati stanno al muro i figliche al lor nido con un grido solo

si rivolgono a dire: Si va?

Oppure, in atmosfera più lugubre, In ritardo, ultima poesiaprima del Ritorno a San Mauro (w. 31-40):

E fuori vedo due ombre, due voli,due volastrucci nella sera mesta,rimasti qui nel grigio autunno soli,ch'aliano soli in mezzo alla tempesta:

rimasti addietro il giorno del frastuono,delle grida d'amore e gioventù.

Son padre e madre. C'è sotto le grondeun nido, in fila con quei nidi muti,il lor nido che geme e che nascondesei rondinini non ancor pennuti.

Quello delle rondini è insomma un motivo polivalente chepercorre la poesia di Pascoli fra poemi "conviviali" (in Solon, 1895,le «canzoni / oltremarine» della «donna d'Eresso» giungono «con labonaccia / prima e gli stormi primi»), Poemetti, Canti di Castelvec-chio - per fermarci all'anno del Commiato - congiungendo echiclassici a nozioni scientifiche.

Come sanno Giovanni e Maria - per esperienza, ma anche percerti studi ornitologici fatti da Giovanni - rondini, rondoni e bale-strucci (o volastrucci) si riuniscono in autunno per migrare. Avven-gono allora quelli che Paolo Savi, nell'Ornitologia toscana, chiamai «consigli generali»35: immense riunioni nel ciclo, che precedono lapartenza (se n'è vista traccia in Addio!). Sul terreno condiviso della

35 Cfr. E. TATASCIORE, Poesia tra i libri di ornitologia cit.

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doctrina ornitologica (l'opera di Savi è compulsata da D'Annunzioproprio nell'ultima fase di stesura di Alcyoné) si muove buona partedei riferimenti allusivi di D'Annunzio. Andrà considerata dunqueanche questa dimensione nel valutare le ragioni dell'immagine dellerondini nel Commiato. Se le rondini si riuniscono per partire, ciòsignifica che l'estate è finita. La casa di Castelvecchio sarà più sola.

Possiamo trovare però, sfogliando l'ultima parte dei Canti, altrimotivi, o meglio altre risonanze per la tristezza di Maria. Rimpianto,il sonetto che nel trittico di Maria precede Dopo il ritorno, aveva giàper tema i figli non nati:

Anch'io, nei dolci sogni di mia vita,sognai di voi, che mai non vidi e sentogarrire nella mia stanza romita,figli, con voci piccole d'argento.

Il sonetto e l'ode, è evidente, sono tematicamente affini al Sognodella vergine, e in questo senso «si riferiscono», come suggeriscePascoli, al «ciclo [...] deH'Avemaria^6. L'assenza di figli è compensa-ta dal sogno; e il sogno - Maria poetessa è una creatura di Pascoli -ha una materializzazione uditiva nella realtà: il «garrire» delle rondinisi confonde con l'immaginario vagito dei figli nella «stanza romita». Ilsonetto prosegue infatti così, non senza offrire ancora un contributoall'immaginario di una Maria "cucitrice":

Oh! per voi certo queste magre dita,così lodate nel mio buon convento,la bella veste avrebbero cucitacon bianche trine e lunghi nastri al vento!37

Erano sogni; sono: e nell'eternaombra voi resterete, e su voi scendel'oblio del tempo, o figli miei non nati.

36 Evidente il legame della terza poesia di Maria, L'alba del malato (la prima nell'or-dine in cui le riporta Pascoli) con La mia malattia-, non a caso la poesia reca l'epigrafe«Messina, maggio 1898». La Laura cui si rivolge Dopo il ritorno è Laura Cantoni. Lapoesia porta la dedica «a Laura» sia nei Canti, sia nella prima stampa sul «Marzocco» (26novembre 1899, poco dopo, dunque, le nozze di Laura con Adolfo Orvieto, celebrate il18 ottobre 1899).

37 Si rammenti la già citata Sorella di Myricae, con l'analoga rima ai w. 17-19: Mariacuciva «nell'ombra romita» con «agili dita».

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Sogni! ed è vana l'opera maternae vani i baci; che nessun mi tendele sue manine, o figli miei non nati!

O sarà ancora un altro il motivo della tristezza di Maria? Le rondi-ni possono ricordarle ciò che si narra in Un ricordo - altra poesia,peraltro, del suo «ciclo» - che rievoca la partenza di Ruggero Pascoliprima dell'assassinio. Maria qui è una bambina che, quasi presaga,non vuoi lasciare andar via il padre, e si stringe al suo bastone dapasseggio. Nella poesia le rondini sono simbolo felice di ciò chesempre ritorna (come in Addiof), in contrasto col destino di morteche pende sul padre e sulla famiglia (w. 1-3 e 29-30):

Andavano e tornavano le rondiniintorno alle grondaie della Torre,ai rondinotti nuovi. Era d'Agosto.

E le rondini andavano e tornavano,ai nidi, piene di felicità.

Quali che siano le ragioni della tristezza di Maria nel Commia-to, ciò che conta veramente è la sintonia che l'ode dannunzianariesce a trovare non semplicemente con "una" poesia di Giovanni(o di Maria), ma con l'intera curvatura impressa da Pascoli alla zonafinale dei Canti di Castelvecchio. E se la rete allusiva del Commiatocattura; con Giovanni, anche Maria, l'operazione non era difficile aD'Annunzio, come ormai sappiamo: i due fratelli s'erano fatti trova-re insieme a Castelvecchio, nella realtà come nella poesia.

Con i poeti sul Monte invisibile

[...] «Figlio di Vergilio,ecco la fronda.

Ospite immacolato, a te mi mandail fratel tuo diletto che si parte.Pel tuo nobile capo una ghirlandacurvò con arte.

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GIOVANNI E MARIA PASCOLI NEL COMMIATO DI D'ANNUNZIO

E chi coronerà oggi l'aedose non l'aedo re di solitudini?[...I

Per ciò dal fratel tuo questa fraternaghirlanda ch'io ti reco messaggeraprendi: non pesa: ell'è di fronda eternama sì leggera.

[...I

Altro è il Monte invisibile ch'ei38 salee che tu sali per l'opposta balza.Soli e discosti, entrambi una immortaleansia v'incalza.

Or dove i cuori prodi hanno promessodi rincontrarsi un dì, se non in cima?Quel dì voi canterete un inno istessodi su la cima»39.

Un'ultima riflessione, ma cambiando prospettiva. Ci si potreb-be chiedere infatti quale sia l'effetto di tanta perizia d'arte allusivasull'esperienza del lettore. Colpito dai più evidenti richiami all'o-pera di Pascoli - specialmente a Solon, ad Alexandros, ai Canti diCastelvecchio - il lettore non avrà bisogno di cogliere il particola-re più riposto di un'allusività esasperata per entrare nell'atmosferadell'incontro e dell'omaggio. Da questo punto di vista, la citazio-ne di Dopo il ritorno è un di più, qualcosa di fondamentale perquei lettori-autori che erano i Pascoli, ma non certo indispensabileperché il Commiato "agisca" sul lettore comune.

Intanto si osserverà questo: l'accumulo di citazioni, assorbite nelregistro della voce poetante con decisivi interventi di variatio, istitu-isce una relazione privilegiata fra chi scrive e chi riceve l'omaggio,una relazione basata sulla scrittura stessa come luogo in cui la cono-scenza della poesia dell'altro si mostra, e nel mostrarsi si fa attivaproduttrice di nuova poesia. Tale rapporto fra i due poeti è perògiocato a carte scoperte, data l'evidenza della maggior parte delle

38 L'«artefìce» della «ghirlanda», v. 177.39 G. D'ANNUNZIO, II commiato cit., w. 147-154, 169-172,181-188.

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citazioni. Per il lettore è come se il mondo di «solitudini», di cui è«re» l'«aedo», si dischiudesse nel momento in cui ribadisce la propriastraordinarietà attraverso un così esasperato gioco di citazioni.

// commiato, come ha visto Santagata, finisce per evocare conGiovanni e Maria una dimensione piccolo borghese, alternativa aquella mitica del resto del libro: quando Mariù subentra a Ermio-ne (cui andava, prima del Commiato, il saluto del Novilunio), «unorizzonte piccolo borghese si apre all'improvviso su un paesaggiodi miti e accensioni, quasi a suggerire un'alternativa in minore alloscacco di una intera mitologia»40.

Ma lo stesso ricorso al meccanismo dell'arte allusiva prospet-ta una situazione leggibile in senso tutto "borghese": all'orizzontepiccolo borghese di cui ha parlato Santagata, infatti, si associa anchequesta compensatoria apertura del laboratorio d'artista alla curiositàdel lettore, per una volta elevato, quasi trasportato sul monte aereodella poesia a condividere il culto delle «pure forme». Di questel'«aedo» o gli aedi, è chiaro, sono gli unici veri amministratori. Mala rappresentazione dell'incontro ideale e straordinario fra gli artistiraggiunge nel Commiato un livello troppo altro di esibita comu-nione perché il lettore non si senta spettatore partecipe, presenteanch'egli a questa stretta di mano. Ha tutti gli elementi per presen-ziare, spiritualmente è ovvio, all'incontro, poiché tale incontro ènon solo rappresentato (e abbiamo visto con quanta sapienza didettagli), ma "realizzato" nel meccanismo delle citazioni. Tutta laseconda parte del Commiato è insomma costruita per esser deci-frata. E non solo dal suo destinatario diretto: capiamo bene, anzi,che perché il testo assolva il proprio compito - quello di "mostrarsi"in quanto ghirlanda d'arte - è più importante che vi sia un lectorpascotianus (per parafrasare la nota categoria sanguinetiana) che lostesso lettore-individuo Pascoli.

Il lettore che conosca Pascoli, dunque, e tanto più un lettored'ambiente estetizzante - un entusiasta della poesia, se vogliamo -,potrà intendere, e seguire parola per parola, l'omaggio del grandepoeta all'altro grande poeta. Intenderà, e se ne compiacerà.

40 M. SANTAGATA, Per l'opposta balza cit, p. 20.

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UNIVERSITÀ DI SIENA 1240

ANNALI DI STUDIUMANISTICI

Voi. I2013

Edizioni Cadmo