Distopie identitarie, anti-utopie diasporiche. Immaginare il futuro nella letteratura della...

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Distopie identitarie /Antiutopie diasporiche. Immaginare il futuro all’interno della letteratura migrante Daniele Comberiati A vent’anni dalla nascita della letteratura italiana della migra- zione, è forse possibile ricostruirne una breve storia. Attraverso i testi che vennero chiamati “della prima fase” (e che ad uno sguar- do attuale si mostrano più complessi di quanto apparissero al tem- po) e attraverso le opere successive appartenenti alle fasi “carsica” e di “riemersione”, per tale percorso ci si imbatte oggi in autori no- ti, romanzi premiati, riadattamenti cinematografici e al tempo stes- so in opere che non sono riuscite ad emergere da un contesto di nicchia. Certamente un’analisi retrospettiva risulta difficile, visto che questa storia è ancora in fieri, ma può essere utile indagare anche su altri ambiti di studio oltre a quelli, ancora fervidi, del rapporto con l’altro, del postcolonialismo e in generale della ri- flessione sull’alterità. Un elemento ulteriore riguarda la relazione di tale corpus con i generi letterari cosiddetti popolari, tanto più che la produzione dei migranti è stata fin da subito considerata, talvolta in maniera approssimativa, un genere a sé stante. Il tentativo di legarsi ad un genere letterario definito significa anche inserirsi in una tradizio- ne letteraria (nazionale e non) ben precisa. Fare riferimento ad un genere comporta la conoscenza delle regole del genere stesso (an- che per non rispettarle) e in un certo senso una de-ghettizzazione (come ha scritto giustamente Ugo Fracassa in Certi confini); 1 le te- 1 Cfr. U. FRACASSA, Strategie di affrancamento: scrivere oltre la migrazio- 06Comberiati.qxp:Layout 16-11-2011 12:28 Pagina 85

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Distopie identitarie /Antiutopie diasporiche.Immaginare il futuro all’internodella letteratura migrante

Daniele Comberiati

A vent’anni dalla nascita della letteratura italiana della migra-zione, è forse possibile ricostruirne una breve storia. Attraverso itesti che vennero chiamati “della prima fase” (e che ad uno sguar-do attuale si mostrano più complessi di quanto apparissero al tem-po) e attraverso le opere successive appartenenti alle fasi “carsica”e di “riemersione”, per tale percorso ci si imbatte oggi in autori no-ti, romanzi premiati, riadattamenti cinematografici e al tempo stes-so in opere che non sono riuscite ad emergere da un contesto dinicchia. Certamente un’analisi retrospettiva risulta difficile, vistoche questa storia è ancora in fieri, ma può essere utile indagareanche su altri ambiti di studio oltre a quelli, ancora fervidi, delrapporto con l’altro, del postcolonialismo e in generale della ri-flessione sull’alterità.

Un elemento ulteriore riguarda la relazione di tale corpus coni generi letterari cosiddetti popolari, tanto più che la produzionedei migranti è stata fin da subito considerata, talvolta in manieraapprossimativa, un genere a sé stante. Il tentativo di legarsi ad ungenere letterario definito significa anche inserirsi in una tradizio-ne letteraria (nazionale e non) ben precisa. Fare riferimento ad ungenere comporta la conoscenza delle regole del genere stesso (an-che per non rispettarle) e in un certo senso una de-ghettizzazione(come ha scritto giustamente Ugo Fracassa in Certi confini);1 le te-

1 Cfr. U. FRACASSA, Strategie di affrancamento: scrivere oltre la migrazio-

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matiche sull’importanza e sul ruolo dei migranti nella società ita-liana contemporanea sono ugualmente presenti, ma giungono allettore attraverso un percorso obliquo, talvolta più efficace. Gliautori presi in considerazione non sono certo i soli scrittori mi-granti, né i primi, ad aver affrontato il rapporto con i codici e il ca-none della letteratura del paese in cui vivono: l’esempio di Ama-ra Lakhous e l’oscillazione nei suoi romanzi fra noir mediterraneoe commedia nera è forse il più eclatante, ma non va sottovalutatoil legame fra i primi scritti di Ornela Vorpsi e un particolare filo-ne di récit autobiografico fervido soprattutto in Francia, paese nelquale l’autrice risiede.2

L’analisi seguente (che prenderà in esame i racconti Io, polpa-strello 5.423 della brasiliana Christiana De Caldas Brito e L’ulti-mo immigrato dell’argentino Miguel Angel Garcia, oltre al ro-manzo I lupi della notte dell’algerino Amor Dekhis)3 mostra co-me i testi citati possano essere imparentati con il genere della di-stopia, che concerne la creazione di un mondo futuro o piuttostoparallelo, nel quale la riflessione sull’identità e sulle relazioni au-toctoni/immigrati viene analizzata in un contesto più ampio.

Nel caso specifico del racconto distopico o anti-utopico, è ilgenere stesso che si presta a riflessioni interessanti in ambito mi-grante.4 Ben prima delle opere novecentesche di George Orwell,

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ne, inAA.VV., Certi confini. Sulla letteratura italiana dell’immigrazione, a cu-ra di L. QUAQUARELLI, Milano, Morellini, 2010, pp. 179-199.

2 A. LAKHOUS, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, Roma,Edizioni e/o, 2006; ID., Divorzio all’islamica in viale Marconi, Roma, Edizio-ni e/o, 2010. O. VORPSI, Il paese dove non si muore mai, Torino, Einaudi, 2006;EAD., La mano che non mordi, Roma, Edizioni e/o, 2007.

3 C. DE CALDAS BRITO, Io, polpastrello 5.423, in EAD., Qui e là. Racconti,Isernia, Cosmo Iannone Editore, pp. 89-93; M. A. GARCIA, L’ultimo immigra-to, in ID., Il maestro di tango e altri racconti, San Giovanni in Persiceto,Eks&Tra, 2005, pp. 59-65; A. DEKHIS, I lupi della notte, Napoli, l’ancora delmediterraneo, 2008.

4 Cfr. per una storia del genere letterario A. CIORANESCU, L’avenir du pas-sé. Utopie et littérature, Paris, Gallimard, 1972; R. TROUSSON, Histoire du paysde nulle part: histoire littéraire de la pensée utopique, Bruxelles, Editions del’Université de Bruxelles, 1975; M. BUTOR, La fantascienza mitologica del XX

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Aldous Huxley, Evgenij Zamjatin, Ray Bradbury o Philip Dick,5

le utopie cinquecentesche e settecentesche inglesi e francesi ave-vano preso di mira lo statu quo politico contemporaneo, mostran-dosi un’arma affilata per proporre un discorso letterario e socialealternativo. Lo storico polacco Bronislaw Baczko, che ha affron-tato a più riprese la storia del genere utopico e anti-utopico, scri-ve a proposito delle opere utopiche del Settecento che «questi ro-manzi spesso piatti e di scarso valore, meno ricchi di idee di quan-to ci si potrebbe aspettare» avevano tuttavia il merito di «metterein moto l’immaginazione sociale».6 Basti pensare, e cito un esem-pio fra i tanti, alle centinaia di romanzi sull’era post-atomica chevennero pubblicati in Europa, Stati Uniti e Giappone durante laGuerra fredda, in particolare fra gli anni Cinquanta e gli anni Set-tanta: opere che molto spesso non hanno un grande valore lette-rario, ma, come esempi di cultura popolare, esprimono i dubbi ele angosce “globali” di un’intera generazione.

Se si getta uno sguardo alla produzione italiana contempora-nea, non possono sfuggire le tante opere di impostazione fanta-scientifica e distopica pubblicate negli ultimi anni; la maggior par-te di questi testi, tra l’altro, parte proprio dalla riflessione sul fu-turo dell’immigrazione nel nostro paese e su come si prospetterà,a partire dalle migrazioni globali, l’Italia di domani. Tale aspettocostituisce un ulteriore elemento di interesse per la produzione

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secolo, in AA.VV., Letteratura e scienza, Bologna, Zanichelli, 1977, pp. 201-232; V. FORTUNATI, Dall’utopia alla fantascienza: le metamorfosi di un genere,in AA.VV., L’utopia e le sue forme, a cura di N. MATTEUCCI, Bologna, il Muli-no, 1982, pp. 246-261;AA.VV., Teoria e storia dei generi letterari. I mondi im-possibili: l’utopia, a cura di G. BARBERI SQUAROTTI, Torino, Tirrenia, 1990; M.KEITH BOOKER, Dystopian Literature: a Theory and Research Guide, London,Westport, 1994.

5 G. ORWELL, Nineteen Eighty-Four, London, Secker & Warburg, 1949; A.HUXLEY, The Brave New World, Los Angeles, Barrin’s Book Notes, 1932; E.ZAMJATIN, We, London, Penguin Books, 1924; R. BRADBURY, Farehneit 451,NewYork, Ballantine, 1951; P. DICK, The Man in the High Castle, NewYork,Vintage, 1962.

6 B. BACZKO, Lumières et Utopies. Problèmes de recherche, in «Annales,Economies, Sociétés, Civilisations», XXVI, 1971, n. 2, pp. 355-386, a p. 383.

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migrante: in questo caso ci troviamo di fronte a scrittori migrantiche partecipano al dibattito letterario contemporaneo e che, attra-verso l’adesione ad un genere, vi partecipano non dal ghetto (di-scriminante ma anche rassicurante) della letteratura della migra-zione, ma dal magma della letteratura italiana contemporanea.

Uno sguardo alle ultime o penultime pubblicazioni di autoripiuttosto noti getta una luce inquietante sull’Italia futura: a partiredal racconto Roma di Goffredo Parise, contenuto in Sillabario n. 2,7

testo anticipatore dai toni apocalittici, si possono segnalare, in unrapido excursus storico, anche alcune opere di Benni, in particola-re Elianto o Terra!.8 È però proprio negli ultimissimi anni, in coin-cidenza con il cambiamento di percezione dell’Italia da paese diemigrazione a paese di immigrazione – e con l’ipotetico scontrodi civiltà paventato da politici e media di massa, nonché con l’ap-parizione di testi di scrittori migranti –, che le opere di matrice an-ti-utopica mostrano un cambiamento radicale; esse infatti presen-tano come fulcro narrativo non tanto le riflessioni sul ruolo dellascienza, sulle guerre interplanetarie e su dittatori onniscienti, maun’analisi sulle future relazioni fra italiani e stranieri.

La Roma orientalizzata invasa dai cinesi dopo l’anno senza in-verno del romanzo Cinacittà di Tommaso Pincio è forse il casoletterario e critico di maggior interesse.9 L’opera ha avuto una lun-ga gestazione: Pincio ha iniziato a scriverla sul proprio pc nel2005, poco più che quarantenne, utilizzando come titolo provvi-sorio l’emblematico Apocalypse Rome. Finita la prima stesura, hariscritto il testo quasi completamente a mano, in seguito lo ha ri-visto a più riprese (due versioni diverse sono consultabili nel-l’Archivio del Centro Interdipartimentale di Ricerca su Tradizio-ne e Tradizione dell’Università degli Studi di Cassino, dove ci so-no i manoscritti di venti scrittori contemporanei); dopo due annidi lavoro il romanzo è diventato l’attuale Cinacittà e, passando

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7 G. PARISE, Roma, in ID., Sillabario N. 2, Milano, Mondadori, 1982, pp. 28-37.

8 S. BENNI, Elianto, Milano, Feltrinelli, 1996; ID., Terra!, Milano, Feltrinel-li, 1983.

9 T. PINCIO, Cinacittà, Milano, Einaudi, 2008.

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per molte altre revisioni (due quelle attestate a stampa), è stato in-fine pubblicato nel 2008. Nel frattempo si è passati dalla narra-zione in terza persona a quella in prima persona, dal passato re-moto al passato prossimo; le varie voci hanno assunto progressi-vamente una loro identità linguistica.10

Minor successo ha avuto un altro romanzo, il fantasiosoMila-no ultima fermata di Simone Farè.11 Nel libro viene descritta unaMilano isolata dal resto d’Italia e dagli stranieri, in possesso diuna nuova forma di energia pulita che ne garantisce la salvezza ela neutralità in un’Europa dove la Turchia islamica ha conquista-to la Grecia cristiana. Anche il piccolo paesino assediato dai nuo-vi barbari in L’uomo verticale di Davide Longo, o l’estrema peri-feria genovese diventata immensa bidonville nel mondo soffocantedei Bambini bonsai di Paolo Zanotti rappresentano ulteriori evo-luzioni sul tema.12

Gli esempi di cooperative letterarie o “scritture collettive” mo-strano come talvolta le narrazioni distopiche siano concepite epensate a priori proprio per la loro forza di indagare l’ideologia delpresente. È il caso, ad esempio, dei romanzi 54 dei Wu Ming e2005 dopo Cristo della Babette Factory,13 entrambi critici sul neo-capitalismo globalizzato. Allo stesso modo merita grande atten-zione un romanzo del 1929, Lo Zar non è morto, in seguito di-menticato e riscoperto per caso dallo scrittore Giulio Mozzi nel2004.14 Scritto da un collettivo denominato I Dieci (composto daAntonio Beltramelli, Massimo Bontempelli, Lucio D’Ambra,Alessandro De Stefani, Filippo Tommaso Marinetti, Fausto MariaMartini, Guido Milanesi, Alessandro Varaldo, Cesare Giulio Vio-

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10 Cfr. a tale proposito G. ANTONELLI, Archivi del giovane autore, in «Il So-le 24 Ore», 21 novembre 2010, p. 36.

11 S. FARÈ, Milano ultima fermata, Milano, Cabila, 2010.12 D. LONGO, L’uomo verticale, Roma, Fandango Libri, 2010; P. ZANOTTI,

Bambini bonsai, Milano, Ponte alle Grazie, 2010.13 WU MING, 54, Torino, Einaudi, 2002; BABETTE FACTORY, 2005 dopo Cri-

sto, Torino, Einaudi, 2005.14 I DIECI, Lo Zar non è morto, Roma, Sapientia-Edizioni dei Dieci, 1929,

ristampato con introduzione di G. MOZZI, Milano, Salani, 20052.

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la, Luciano Zuccoli), il testo immagina un’Europa futurista in cuilo Zar non è stato ucciso e ambisce a riprendersi il trono, la Fran-cia è una feroce dittatura e i membri dei servizi segreti fascisti simostrano come i più validi e affascinanti paladini della giustizia.Ovviamente l’intento di elogiare il regime di Mussolini è palese,ma la struttura del romanzo (costruito attraverso continui e spes-so inverosimili colpi di scena), il tono ironico di alcune descri-zioni nonché l’adesione al genere fantapolitico lo rendono al tem-po stesso una perfetta parodia, involontaria, del fascismo. L’am-biguità del senso è illuminante sul valore della distopia e sulla re-lazione costante, esplicita e palesata con l’ideologia.

In tale ottica non va sottovalutato quanto sta accadendo attual-mente fra gli autori delle serie televisive americane, che ormaihanno sostituito, come mezzi economici, influenza sul pubblico equalità di scrittura e regia i film hollywoodiani. Una serie di suc-cesso come True Blood15 (tra l’altro tratta da un filone di libri),16

prodotta dalla HBO, che ha lanciato alcune delle serie più note, sipresta facilmente ad una lettura distopica: in un ipotetico futuro, ivampiri e gli umani vivono insieme, non senza conflitti che fannopensare agli odierni conflitti etnici fra bianchi anglosassoni e afro-americani. La relazione vampiro/afro-americano è accentuata dalfatto che l’intera vicenda si svolge in Louisiana e che i vampiriposseggono alcune presunte qualità (una potenza fisica straripan-te, una certa animalità, un’incapacità a controllare i propri impul-si) che, nella vulgata comune, venivano attribuite agli afro-ameri-cani.

Vi è infine un filone nuovo, ancora poco esplorato ma sicura-mente ricco di spunti per l’analisi postcoloniale, che è rappresen-tato dalla versione nostrana del sottogenere dell’ucronia, legata adoppio filo all’antiutopia, riferita alle ex colonie italiane. Roman-zi come L’inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi o 2022. De-stinazione Corno d’Africa di Maurilio Riva rappresentano un fu-

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15 True Blood diA. Ball, conA. Paquin, S. Moyer, R. Kwanten, S. Trammell,Rutina Wesley, USA, HBO, 2008-2010.

16 C. HARRIS, The Southern Vampire Mysteries, NewYork,Ace Books, 2001-2008.

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turo in cui i rapporti fra madrepatria e possedimenti coloniali ri-sultano invertiti o per lo meno complicati da nuovi e inaspettatiavvenimenti politici.17

Volenti o nolenti, gli autori migranti si trovano a dialogare congli scrittori italiani contemporanei nel territorio del genere lette-rario scelto e, al di là di legami più o meno evidenti, è interes-sante notare come tematiche, impiego del genere e tipologia del-l’autore siano perfettamente coincidenti. Delle tematiche si è ac-cennato in precedenza, per quanto riguarda l’uso che si fa del ge-nere va notato come distopia, anti-utopia e ucronia siano di per séspuri, facili da modellare attraverso l’inserimento di altri generiletterari (dal noir al fantastico) e di differenti soluzioni struttura-li. Anche la tipologia dell’autore di tali testi è oggi mutata: in ra-ri casi si tratta infatti di uno scrittore di fantascienza vero e pro-prio (fra i casi citati, il solo Farè, tra l’altro esordiente, può esse-re considerato esclusivamente uno scrittore di fantascienza), mol-to più spesso il racconto anti-utopico viene “preso in prestito”per una o due opere da scrittori attenti ai mutamenti politici, gra-zie alle riflessioni sulla realtà sociale che il genere consente. An-che in ambito non italiano, a ben vedere, è riscontrabile un pro-cesso simile: la Atwood di Orix and Crake non è certo definibi-le come autrice di fantascienza, eppure il suo apologo control’esasperata tecnicizzazione del mondo è uno dei più bei roman-zi fantascientifici degli ultimi anni.18 Anche i romanzi di MichelHouellebecq, Philip Roth e Cormac McCarthy, scrittori non “digenere”, ma che attraversano vari generi, possono essere anno-verati fra gli esempi di maggior rilievo dell’ultima decade.19 An-che i tre autori migranti qui presentati spaziano fra le diverse for-me narrative e la loro scelta è in tal caso assolutamente pondera-ta e comprensibile.

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17 E. BRIZZI, L’inattesa piega degli eventi, Milano, Baldini Castoldi Dalai,2008; M. RIVA, 2022. Destinazione Corno d’Africa, Milano, Libri bianchi, 2010.

18 M. ATWOOD, Oryx and Crake, London, Bloomsbury, 2003.19 M. HOUELLEBECQ, La possibilité d’une île, Paris, Fayard, 2005; P. ROTH,

The Plot Against America, Boston, Houghton Mifflin Harcourt, 2004; C.MCCARTHY, The Road, NewYork, Knopf, 2006.

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Il racconto della De Caldas Brito è forse il meno efficace nar-rativamente, eppure ha alcuni aspetti su cui vale la pena soffer-marsi. Il primo elemento riguarda la tematica: Io, polpastrello5.423 può essere apparentato con tutti quei testi della letteraturamigrante che prendono in esame, il più delle volte con ironia, lalegislazione italiana in materia di immigrazione. I racconti di taleambito sono diversi, forse vale la pena ricordare il divertente Do-cumenti, prego di Ingy Mubiayi Kakese e Salsicce di Igiaba Sce-go, vincitrice del premio Eks&Tra nel 2003,20 in seguito entram-bi raccolti nella ormai nota e fortunata miscellanea Pecore nere.Nel racconto della de Caldas Brito infatti, in un tono grottesco chericorda alcuni testi di Nicolaj Vasil’evič Gogol, si narrano le vi-cende di un polpastrello straniero alle prese con la prima identifi-cazione dopo essere giunto in Italia. Il racconto fa riferimento im-plicito alla legge Bossi-Fini approvata nel luglio del 2001 e ad af-fermazioni pubbliche di politici del secondo governo Berlusconi.Nel testo prevale un tono beffardo, un umorismo distaccato cheprende di mira sia le ingenuità dei migranti, sia l’assurdità dellalegge e la falsa efficienza della burocrazia italiana.

Certamente più che un tono apocalittico, prevale nel raccontoil gusto del fantastico, tipico dell’autrice di origine brasiliana. Lametafora è piuttosto evidente: da una parte vi è la critica alla con-siderazione dell’immigrato come un semplice numero, mentre dal-l’altra traspare la riflessione su che cosa sarebbe l’Italia senza ilavori manuali che molti immigrati svolgono. Il polpastrello è dun-que metafora dell’identificazione di una società che aspira a cata-logare e a tenere sotto controllo tutti i nuovi arrivati, ma anche si-neddoche della mano, dunque della forza manuale che, letteral-mente, porta avanti un paese.

Una notte, prima di venire in questura, mentre i corpi dei nostripadroni dormivano, noi, polpastrelli immigrati, ci staccammo dal-

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20 I. M. KAKESE, Documenti, prego, in AA.VV., La seconda pelle, prefazio-ne di E. DELL’ORO (X Premio Eks&Tra), San Giovanni in Persiceto, Eks&tra,2004, pp. 103-113; I. SCEGO, Salsicce, inAA.VV., Pecore nere, Roma-Bari, La-terza, 2005, pp. 5-12.

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le mani di chi ci aveva sempre sostenuto e, di comune accordo, ciradunammo in un cantinone vuoto. Lì, ci contammo: eravamo, intutto, seimila. Nel conteggio, a me era toccato il numero 5.423.21

La situazione grottesca è stata generata semplicemente dallascrupolosità dei polpastrelli: la riunione ha infatti come obiettivoquello di presentarsi in questura per farsi catalogare, proprio co-me sostiene la nuova legge. Il meccanismo narrativo mette in lu-ce la dinamica assurda del decreto e pone un altro interrogativo,come si nota nella conclusione: se tutti gli stranieri si presentas-sero contemporaneamente a farsi schedare e a farsi prendere leimpronte digitali, come potrebbe andare avanti l’Italia?

Eravamo davvero preoccupati per i nostri padroni senza polpa-strelli. Cosa poteva essere successo all’Italia senza di loro nellefonderie e nelle fabbriche, negli ospedali, nelle case di famiglia,negli uffici, dai benzinai, nei ristoranti, nella pulizia delle strade,nei mercati e negli alberghi?22

Di struttura più complessa si presenta il racconto di MiguelAngel Garcia L’ultimo immigrato. In tal caso l’autore si ponel’obiettivo di creare un vero e proprio mondo del futuro, con leproprie regole e con alcuni meccanismi totalmente differenti dalnostro presente. Il testo fa parte della raccolta Il maestro di tangoe altri racconti, premiata da Eks&Tra nel 2005 e raccoglie testi,come dice lo stesso Garcia nella breve prefazione, scritti tra il 2001e il 2004 e ispirati a fatti di cronaca o al mondo dell’immigrazio-ne, che l’autore studia per professione (è sociologo specializzatosul tema) e al quale appartiene per ragioni biografiche. Il raccon-to L’ultimo immigrato è legato al brano che lo precede, Il primoimmigrato, con il quale costituisce un dittico. Il primo immigratoaltro non è che la storia dell’uomo dei ghiacci, risalente all’età delbronzo antico e conteso, dopo il ritrovamento, fra austriaci e ita-liani: di fatto un migrante, che morì a cavallo dei due paesi, e chemostra come dalla migrazione discende ogni popolo.

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21 C. DE CALDAS BRITO, Io, polpastrello 5.423, cit., p. 90.22 Ivi, p. 93.

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L’ultimo immigrato è invece completamente diverso. In un fu-turo prossimo, la caduta della natalità e la fine del petrolio porta-no la terra ad un’implosione demografica notevole: città preda del“ridimensionamento urbano”, ottuagenari e nonnuagenari in giroper le strade, età lavorativa innalzata fino a settantanove anni, si-stema pensionistico crollato perché non vi sono più giovani a la-vorare. In questo contesto catastrofico, l’autore inserisce una no-ta ironica, con l’ambientazione dell’intera vicenda a Treviso: va-le forse la pena ricordare che, fino al 2003, a Treviso è stato sin-daco per la Lega Nord Giancarlo Gentilini detto “lo sceriffo”, orainfluente consigliere comunale. Le sue affermazioni contro im-migrati, donne e omosessuali hanno destato polemiche fin dal1997 e si sono trasformate recentemente in vere e proprie minac-ce di morte a stranieri e rom durante l’ultimo congresso della Le-ga. Nell’incipit del racconto, l’assessore alla crisi demograficaPaolotti convoca il suo agente per il mondo Altiero Trevan, ad-detto a convincere in ogni modo le persone ad emigrare nella suacittà, dove la mancanza di giovani e manodopera è divenuta unproblema cronico. Il ruolo di Altiero Trevan, a ben vedere, rap-presenta l’evoluzione, se così si può dire, dell’odierno scafista:

Altiero Trevan era il suo agente nel mondo, uno dei tanti recluta-tori di mille città che si accalcavano nei pochi paesi ancora gio-vani. Era un “Pubblico ufficiale per l’attuazione della Direttivadell’OMC sulla Libertà di Movimento” come diceva la sua cre-denziale. Detto anche “rubaclandestini” e “pirata” nei paesi doveoperava non senza rischio per la sua incolumità fisica.23

Il mondo descritto da Garcia appare rovesciato: le forze di po-lizia sono schierate sulle coste dell’Europa meridionale, propriocome accade ai nostri giorni, ma il loro obiettivo non è impedirealle persone di raggiungere paesi diversi da quello di nascita, maevitare che esse abbandonino la terra natale, ormai spopolata. Ilmovimento repressivo che oggi tiene virtualmente chiusa nei con-fronti di agenti esterni la “fortezza Europa” è dunque orientato

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23 M. A. GARCIA, L’ultimo immigrato, cit., pp. 59-60.

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verso l’interno, per mantenere almeno la poca popolazione rima-sta. I governi, per far arrivare gli immigrati, giungono a proporreloro offerte inverosimili: lavori assicurati per tutta la famiglia, lau-ti stipendi, cittadinanza immediata, case e macchine a disposizio-ne. Addirittura, nel caso di Altiero Trevan, la piccola tribù soma-la che convince ad emigrare pretende (ed in parte ottiene) una Fer-rari a idrogeno. È in tale frangente che l’impianto distopico deltesto si imbatte nei problemi e nelle contraddizioni del presente.Non è affatto un caso, tra l’altro, che il protagonista trovi le uni-che persone disposte ad emigrare proprio in Somalia, antica colo-nia italiana; ancora una volta il movimento della storia appare in-vertito: persone che un tempo subirono l’invasione coloniale e al-le quali in seguito venne negato asilo politico durante la guerra ci-vile, vengono ora quasi implorate di raggiungere quello che untempo era il paese colonizzatore. Lo stesso autore fa il punto sulcambiamento avvenuto:

I Buni erano una strana tribù, una sorta di famiglia allargata co-stituitasi nei tempi burrascosi della guerra civile e della divisionedel paese, alla fine del XX secolo. I capostipiti erano sfollati dalsud e dal nord, uniti per mezzo di matrimoni incrociati; così siera conservata l’antica tradizione della lingua italiana, eredità co-loniale quasi dimenticata.24

Un ulteriore rovesciamento, e un legame con l’attuale condi-zione dei migranti in Italia, appare nel finale: Alì, uno dei giova-ni Buni destinati a raggiungere Treviso, domanda come unica con-dizione la costruzione di una statua, in piazza dei Signori, in ono-re del nonno, giunto clandestinamente in Italia, malmenato da“teppisti con i fazzoletti verdi” (anche in questo caso il riferimentoalla Lega Nord non è affatto casuale) quindi espulso dal paese, emorto mentre tentava di ritornarvi con un gommone, per raggiun-gere la moglie rumena e il figlio che erano rimasti a Treviso.

Un mese dopo Alì Mohammed Buni era installato a Treviso conquattro mogli e una decina di bambini. [...] adesso è un rispetta-

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24 Ivi, p. 62.

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to cittadino trevigiano. In piazza dei Signori c’è un nuovo monu-mento in marmo bianco; è un gruppo scultoreo che rappresentauna barchetta in bilico sui flutti, con varie persone che tendono lemani in cerca di aiuto. L’uomo in primo piano è il nonno diAlì.25

Il fatto che Garcia ponga l’accento sulla statua ricorda un altrotragico avvenimento di cronaca avvenuto alcuni anni prima, mascoperto contemporaneamente alla data di stesura del racconto.La notte di Natale del 1996 nel canale di Sicilia avvenne infatti ilpiù grande naufragio della storia del Mediterraneo dalla fine del-la seconda guerra mondiale. Nel tentativo di sbarcare nel nostropaese, circa trecento clandestini di origine pakistana, indiana e ta-mil, morirono per l’affondamento di una “carretta del mare” deltutto inadeguata a sopportare un tale carico. Il fatto passò quasicompletamente sotto silenzio, finché, dopo varie indagini iniziatenel 2001, nel 2004 l’allora giornalista del quotidiano «La Repub-blica» Giovanni Maria Bellu pubblicò il documentato reportageI fantasmi di Portopalo.26

Nel libro grande attenzione è dedicata alla statua costruita de-cenni prima in mezzo alla piazza del paese, un villaggio di pesca-tori al sud della Sicilia, e dedicata ai martiri del mare; suona cosìquasi beffardo che quegli stessi cittadini che nella loro storia han-no avuto morti in mare tanto da dedicarvi la statua nella piazzacentrale, abbiano negato fino all’evidenza, sotto pressione certa-mente della malavita che controllava la pesca, il naufragio avve-nuto la notte del dicembre 1996. Non è dato sapere se il riferi-mento di Garcia sia esplicito, certo desta inquietudine vedere co-me il passato del nostro paese non riesca quasi mai a fornirci lechiavi per affrontare il presente e, seguendo il tema dell’articolo,il futuro, diversamente da quanto accade nel finale ottimistico diL’ultimo immigrato.

L’opera forse più complessa è però I lupi della notte dell’alge-rino Amor Dekhis. Complessa perché, nella migliore tradizione

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25 Ivi, p. 65.26 G. M. BELLU, I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clan-

destini e il silenzio dell’Italia, Milano, Mondadori, 2004.

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della distopia, è giocata su due piani temporali differenti e pre-senta un futuro alquanto prossimo, visto che la seconda parte del-la vicenda narrata è ambientata nel 2015. Va almeno menzionatoil particolare percorso editoriale del romanzo: presentato alla di-ciassettesima edizione del Premio Calvino, nel 2004, il libro riu-scì a entrare nel ristretto gruppo dei finalisti. Da allora però ci so-no voluti ben quattro anni perché l’opera vedesse la luce sotto lacasa editrice napoletana “l’ancora del mediterraneo” e in un cer-to senso il luogo di pubblicazione, per una volta, si sposa perfet-tamente con il senso e con i riferimenti dell’opera: I lupi della not-te è infatti un’incursione distopica (se mi si passa l’espressione)nel ricco mondo del “noir mediterraneo”, che negli ultimi anni hafornito alcuni autori molto validi, in Italia e all’estero, da Izzo aCarlotto, dal greco Markaris a Driss Chraïbi fino aYasmina Kha-dra (e ne dimentico volutamente molti). Due piani temporali dif-ferenti, si diceva: in effetti la trama del romanzo si sviluppa in par-te negli anni Novanta, in un piccolo villaggio dell’Algeria, e inparte nella Firenze del 2015. A legare passato e futuro è la storiadi Salah (che giunto in Italia cambia il proprio nome in Salé), al-gerino che ha subito le violenze della guerra civile e che in segui-to diverrà ufficiale della squadra multietnica della polizia di statoin un’inchiesta fra le comunità islamiche del capoluogo toscano.

Si potrebbe dire che il testo faccia riferimento a più generi let-terari: la parte ambientata in Algeria, ad esempio, mostra chiaris-simi legami con Yasmina Khadra, uno dei più efficaci interpretidel noir mediterraneo che ha affrontato il complesso periodo fra il1988 e il 1995 nel suo paese di origine.27 A tale proposito è forseutile notare come anche nel romanzo di Amara Lakhous Scontrodi civiltà per un ascensore a piazza Vittorio28 fossero frequenti i ri-ferimenti al passato algerino del protagonista che, allo stesso mo-do del Salah/Salé di Dekhis, muta il proprio nome dopo l’emi-grazione da Ahmed in Amedeo. In tale difficile ricerca di identità

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27 Cfr. in particolare Y. KHADRA, Morituri, Paris, Baleine, 1997; L’automnedes chimères, Paris, Baleine, 1998; Double blanc, Paris, Baleine, 1998.

28 A. LAKHOUS, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, cit.

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è sottintesa non solo la cesura prodotta dall’emigrazione, ma an-che quella, in questo caso ben più drammatica, scaturita dalle vio-lenze e dalle atrocità della guerra civile. Jolanda Guardi ha defi-nito la letteratura algerina contemporanea, quella per intenderciche va dal 1990 al 2004, come una scrittura del dolore,29 proprioper l’esigenza di narrare i fatti di quegli anni, che sono ancora re-centi e dunque comportano ripercussioni evidenti sul presente,pubblico e privato, degli autori. Nei casi di Lakhous e Dekhis citroviamo di fronte ad una maniera spiazzante, insolita, di descri-vere tale dolore: da una parte abbiamo un romanzo che fa il versoalla commedia all’italiana e quindi utilizza tutti gli stilemi del co-mico, nel caso di Lakhous, salvo poi accennare al passato tragicodel protagonista; dall’altra il percorso del dolore passa attraversolo svelamento di un’integrazione fragile e solo apparentemente“pacificata” e senza conflittualità, dove il rimosso del protagoni-sta viene brutalmente a galla nel corso dell’inchiesta.

Nella seconda parte del romanzo, quella più eminentemente“distopica”, Dekhis sembra ammonire sul pericolo che potrebbescaturire dalla segregazione che, a causa delle nuove leggi e delmutato clima culturale, sta oggi imperando in Italia. L’impiegodel genereñha qui un doppio pretesto: far emergere il passato diSalah/Salè e operare una serie di riflessioni sulla società italianaattuale e sulle sue derive razziste e xenofobe. In tal caso è possi-bile notare l’evoluzione di un genere, quello distopico appuntoche, definitosi dopo la Seconda guerra mondiale come una bran-ca della fantascienza, appare oggi in grado di prendere forme di-verse, dal giallo al noir fino al romanzo scientifico e alle incur-sioni ironiche della De Caldas Brito. Eppure, in seguito all’anali-si dei tre testi presentati, forse occorrerebbe una riflessione sulmodo in cui gli scrittori migranti immaginano il futuro: al di là dialcuni finali edificanti o più o meno lieti (è il caso di Miguel An-gel Garcia e del suo L’ultimo immigrato), gli autori citati non fan-

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29 Cfr. J. GUARDI, Algeri: sogno, realtà e incubo nel romanzo algerino con-temporaneo, in «Afriche e Orienti»,V, 2003, n. 2, pp. 106-118; EAD.,Dire il do-lore. Letteratura algerina 1990-2004, in «Afriche e Orienti», VI, 2004, n. 4, pp.48-54.

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no nessuno sconto all’andamento della società odierna; se una del-le critiche più frequenti agli scrittori migranti era la loro tenden-za ad evitare la conflittualità e a proporre parabole in cui una fu-tura convivenza veniva comunque prospettata, anche in manierainsistita e forzata e anche al di là dell’economia della trama, inquesti frangenti ci troviamo di fronte a futuri cupi in cui le città so-no preda di terroristi e poliziotti corrotti, lo spopolamento, la cri-si energetica e la povertà hanno prodotto danni irreparabili e l’an-sia di schedare e controllare ha finito per sezionare il nostro stes-so corpo. Un futuro che fa paura e che terrorizza perché, a benguardare, è molto simile al nostro presente.

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