Milano, Lucio (2005). "Il nemico bestiale: su alcune connotazioni animalesche del nemico nella...

27

Transcript of Milano, Lucio (2005). "Il nemico bestiale: su alcune connotazioni animalesche del nemico nella...

Il Volume è stato pubblicato con un contributo del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente

Università Ca’ Foscari Venezia

© S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria

Via Induno 18b I-35134 Padova [email protected]

I edizione Padova 2005 Proprietà letteraria riservata

ISBN 88-901286-9-0 42934

DISTRIBUZIONE HERDER Editrice e Libreria, Piazza Montecitorio 117-120,

00186 Roma

Stampa a cura di Centro Copia Stecchini

Via S. Sofia 58 I-35100 Padova

Tel. 049-8752328

In copertina: Unicorno (Bodleian Library, Oxford: MS. Barocci 145, f. 246 v.) XII/XIII sec. L’illustrazione è tratta dal volume Greece, Books and Writers, National Book Centre of Greece 2001 (Ministry of Culture), p. 33.

1 – Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente – Università Ca’ Foscari Venezia

ANIMALI TRA ZOOLOGIA, MITO E LETTERATURA

NELLA CULTURA CLASSICA E ORIENTALE

Atti del Convegno Venezia, 22-23 maggio 2002

A cura di

ETTORE CINGANO, ANTONELLA GHERSETTI, LUCIO MILANO

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria

Padova 2005

INDICE

PRESENTAZIONE PIER FRANCESCO GHETTI Il ruolo dei proverbi sugli animali nella cultura contadina.......................................p. 1 ELENA ROVA Animali ed ibridi nel repertorio iconografico della glittica del periodo di Uruk............................................................................p. 13 PAOLA CORÒ Il “bestiario” di Mari. I. Le valenze simboliche .....................................................p. 33 LUCIO MILANO Il nemico bestiale. Su alcune connotazioni animalesche del nemico nella letteratura sumero-accadica .......................................................................... .p. 47 EMANUELE M. CIAMPINI Il coccodrillo e il cosmo in un testo tardo-ramesside .............................................p. 69 FILIPPO CARINCI Scimmie egee..........................................................................................................p. 85 ALBERTO CAMEROTTO Cinghiali eroici .....................................................................................................p. 117 ETTORE CINGANO Il cavallo “aiutante magico” nella Grecia eroica ..................................................p. 139 ALBERTO FURLANETTO I linguaggi degli animali in storie di iniziazione profetica...................................p. 155 CARLO ODO PAVESE Il gatto in greco.....................................................................................................p. 165 CATERINA CARPINATO Topi nella letteratura greca medievale .................................................................p. 175 STEFANIA DE VIDO Belve, scimmie, uomini nella Libia erodotea .......................................................p. 193

ANNA MARINETTI Cavalli veneti........................................................................................................ p. 211 CARLO FRANCO L’animale e l’eletto: segni di regalità nel mondo antico ......................................p. 233 GIOVANNELLA CRESCI MARRONE – FRANCESCA ROHR VIO Muli e mulattieri tra pregiudizi sociali e polemiche politiche..............................p. 249 ADRIANO SAVIO L’evoluzione degenerativa della raffigurazione animale nei Plagia Barbarorum.........................................................................................p. 267 LUIGI SPERTI Un bestiario in marmo: le protomi colossali da Palazzo Valentini al Museo Nazionale Romano................................................................................p. 275 MARIO GEYMONAT Pecore e capre nelle ‘Bucoliche’ virgiliane..........................................................p. 291 LUCA CADILI Il mondo animale tra realtà e mito nelle Georgiche di Virgilio ...........................p. 299 LUCA MORISI Transizioni metonimiche in Virgilio: dall’animale all’uomo (e viceversa)..........p. 309 GIOVANNI CANOVA Il cavallo nella tradizione e nell’epica araba ........................................................p. 321 ANTONELLA GHERSETTI Animali e intelligenza: il cane nella letteratura d’Adab.......................................p. 339 ROSELLA DORIGO Sull’asino e le sue virtù, nella letteratura araba....................................................p. 353 MARIA PIA PEDANI Convergenze mediterranee: la rotta del leone ......................................................p. 365

IL NEMICO BESTIALE SU ALCUNE CONNOTAZIONI ANIMALESCHE DEL NEMICO NELLA LETTERATURA SUMERO-

ACCADICA

Lucio Milano

1. Se un nemico sia più uomo o più bestia, quali e quanti tratti di bestialità egli

incarni, non è nel mondo mesopotamico una questione limitata alla valutazione di comportamenti violenti o brutali, tipici di uno scontro nel quale uno dei contendenti sia destinato a prevalere; è invece _ e più in generale _ una questione che riguarda la concezione del mondo, potremmo dire persino una chiave antropologica per valutare il problema dell'alterità. Nelle fonti sumero-accadiche, in effetti, il mondo animale presta metafore, similitudini, riferimenti alla tipizzazione di chi è palesemente altro da noi, ma appartiene, al tempo stesso, alla dimensione della nostra quotidiana esperienza1. I nemici, come gli animali, sono tra noi: evocano ostilità e paura, perché i loro comportamenti sono imprevedibili, la loro lingua non è la nostra2. Caratterizzarli, differenziarli, nominarli, ha il senso di includerli in un cosmo che ne razionalizzi, ai nostri occhi, la funzione.

Il mondo degli scribi, che è ad un tempo motore e veicolo della tradizione letteraria, traduce questo tentativo in modo illuminante. Sui banchi di scuola, copiando e tramandando testi di tradizione, gli scribi mesopotamici apprendevano che l’ambiguità del nemico è metafora dell’ambiguità animale: l’uno e l’altro appartengono ad una realtà sub-umana, eppure sono parte integrante del nostro mondo, diversi e simili, mimetici, difficili da decifrare. In più, essi condividono uno stesso destino, che è quello di evocare una polarità forte: quella tra libertà e sottomissione, tra uno stato di natura “incivile” e una docilità che deriva dall’integrazione in un universo ordinato.

Di questa concezione il poema della “Maledizione di Accad” ci offre uno degli esempi più efficaci3. Il testo, in lingua sumerica, ci è pervenuto in copie di epoca paleobabilonese: vi si racconta l’ascesa e il crollo di Accad, dovuto al comportamento empio del re Naram-Sin. All’inizio è prosperità e gioia, alla fine distruzione e desolazione, ambedue segnati dall’evocazione di immagini tratte dal mondo animale. 1 Si veda soprattutto lo studio di W. Heimpel (1968). Sul simbolismo animale e i suoi aspetti rituali cfr.

Borgeaud et al. 1984 e Watanabe 2002. Cfr. anche Limet 1998. 2 Sulle connotazioni del nemico nei testi assiri cfr. Zaccagnini 1982. 3 Cfr. Cooper 1983.

Lucio Milano

48

Dopo che Enlil ha affidato la regalità a Sargon, la dea Inanna stabilisce la sua dimora in Accad, dando a tutti, uomini e animali, di che vivere felici. In questo universo ordinato e pacifico cittadini, stranieri e sudditi compiono ciascuno la propria parte: banchettano assieme, ovvero migrano (come uccelli) o pagano tributi senza molestarsi a vicenda, mentre gli animali esotici, che l'istinto induce ad una “naturale” promiscuità, convivono pacificamente nelle pubbliche piazze. Insonne, la dea provvede al comune benessere:

“così che i conoscenti possano banchettare assieme, che gli stranieri possano passare a stormi, come sconosciuti uccelli nel cielo4, che la (lontana terra di) Mar~a^i possa essere riammessa a pagare il tributo, che scimmie, possenti elefanti, bufali acquatici, animali esotici possano urtarsi l’uno con l’altro nelle pubbliche piazze _ cani di razza, leoni, stambecchi di montagna, pecore-alu dalla lunga lana”. (ll. 18-23)

Tuttavia la presenza animale cambia di segno quando Inanna decide di togliere il suo

favore alla città: questa volta Accad è essa stessa animale ferito: si presenta come un elefante che piega il capo a terra, come un toro che solleva le corna (gesto principe di sottomissione, tipica metafora della città sconfitta), come un drago che scuote la testa (ll. 79-81). E quando infine la situazione precipita e Naram-Sin decide, andando contro i presagi, di distruggere il santuario di Enlil a Nippur, allora sopraggiungono bestie/nemici ad incarnare la vendetta del dio. Enlil si guarda attorno per scegliere lo strumento di questa vendetta e lo trova nella popolazione dei Gutei, che fa scendere dalle montagne:

“Non annoverati come persone, non conteggiati come parte del paese, Gutium, una gente che non conosce legami, con istinti umani, ma con intelligenza canina e fattezze scimmiesche5 _ Enlil li fece uscire dalle montagne. Come orde di locuste si spargono sul territorio, le loro braccia si distendono per lui (= Enlil) come una trappola per animali. Nessuna cosa sfugge alle loro mani, nessuno scappa alla loro stretta, i messaggeri non possono più percorrere strade, l’imbarcazione del corriere non può più condurre al fiume. Essi (= i Gutei) guidano le fidate capre di Enlil fuori dall’ovile e le fanno seguire dai loro pastori Guidano le vacche fuori dai recinti e le fanno seguire dai loro mandriani”. (ll. 154-165)

Il “nemico bestiale” assume, per così dire, connotati umani solo nel modo in cui si

rapporta agli animali domestici, che sono sì razziati, ma docilmente condotti fuori dai 4 lú bar-ra mu^en nu-zu-gim an-na nigin-dè: si veda il commento di Cooper 1983, 237 ad 19. 5 dím-ma lú-ulu3

lu galga ur-ra SIG7.ALAN uguugu4-bi. Per l’uso metaforico di quest’immagine letteraria cfr. Å Sjöberg, JCS 24 (1972), 110.

Il nemico bestiale

49

recinti sotto la guida di pastori e mandriani: una rappresentazione ancora relativamente “civile” (seppur surrealistica, trattandosi di una città sottoposta a razzia6), che nel prosieguo della vicenda cede il passo ad un totale stato di caos.

Nella maledizione finale, che i grandi dei pronunciano contro Accad (ll. 210 ss.), il funzionamento del mondo si rovescia, e gli animali cadono vittime della cattiva sorte generale: uccelli e piccioni colpiti nei loro rifugi, volpi che vagano tra le rovine agitando la coda, serpenti e pecore di montagna che impediscono il passo, “uccelli del sonno” (ù-ku-kumu^en) e della “depressione” (^à-sìg) che fanno il loro nido in un paesaggio desolato.

In un mondo in cui gli animali sono strettamente assimilati alle vicende e ai comportamenti umani, il nemico può avere dunque sembianze animalesche, che ne sottolineano al tempo stesso l’alterità e la pericolosità, ma anche la sconcertante prossimità a quel mondo umano di cui sono proiezione.

J. Cooper ha raccolto i passi che si riferiscono a questo stereotipo letterario (da lui etichettato nei termini di Subhuman Barbarian), per il quale animalità e stupidità vanno spesso di pari passo7. Così accade per i Gutei, già citati in precedenza e altrove descritti ancora come “serpenti della montagna”, “cani”, “gente stupida”; per gli Amorrei “sciocchi” o “dall’istinto di cane o di lupo”; per gli Elamiti “cani selvaggi”, e così via8. C’è tuttavia un poema che aggiunge un elemento nuovo e particolarmente interessante ai fini della caratterizzazione animalesca del nemico. Si tratta della “Leggenda kutea di Naram-Sin”9, che, nella versione standard che possediamo in copie neo-assire e neo-babilonesi, gioca non soltanto sull’ambiguità della natura del nemico (uomo, animale, ibrido?), ma sulla possibilità di smascherare questa ambiguità. Naram-Sin combatte contro orde di nemici creati dagli dei e mossi contro di lui, descritti come “una gente con corpi di pernice, una razza con facce di corvo” (l. 31: #ābu pagri i##ūr ~urri amēlūta āribū pānū^un), allattata dalla dea Tiamat. Sono sette re fratelli, a capo di 360.000 uomini, a cui se ne aggiungono altri diciassette, che con 90.000 soldati minacciano il re di Accad, scendendo dalle montagne dell’Anatolia. Per decidere se dare o meno battaglia, Naram-Sin deve appurare la natura del nemico ed istruisce per questo un esploratore:

“Convocai un esploratore e (gli) detti istruzioni. Gli passai un pugnale e una spilla. ‘Colpiscili con il pugnale! Pungili con la spilla! Se esce sangue, sono uomini come noi (kī nâ^īma amēlū ^unu). Se non esce sangue sono spiriti malvagi (^ēdū), messaggeri di Morte (namtarū),

6 Come osservato nel commento di Cooper 1982 alle ll. 164-165 (ibid., 249-250), l’immagine del

bestiame seguito dai pastori è attestata – ma con segno opposto – nella statua F di Gudea (iii 12 - iv 13), dove greggi di pecore e capre, bovini e muli sono condotti nel tempio di Gatumdu fatto costruire dal sovrano di Laga^: si può dire che alla concentrazione quasi provvidenziale (del tipo arca di Noè) si contrapponga nel nostro testo una dispersione altrettanto provvidenziale, ispirata dalla collera divina.

7 Cfr. Cooper 1982, 30-33. 8 Cfr. ibid. per le citazioni complete dei numerosi passi riportati. 9 L’edizione più recente ed accurata è quella di Goodnick Westenholz 1997, 263-368. Per la recensione

standard dell’epopea vedi in particolare 294-331.

Lucio Milano

50

diavoli (utukkū), demoni cattivi (rābi#ū lemnūte), creature di Enlil (^ipir Enlil)’. L’esploratore riportò il suo responso: ‘Li ho colpiti con il pugnale; li ho punti con la spilla ed è uscito il sangue’ ”. (ll. 63-71)

L’avversario dalle sembianze animali è dunque uomo e può essere combattuto.

L’espediente della spilla è in un certo senso un tentativo estremo di razionalizzazione della differenza: credevamo fossero animali, ma dobbiamo ricrederci; ovvero, l’esperienza inganna, specie quando si tratta di animali.

2. E' bene a questo punto allargare un poco il discorso, partendo da quanto prima ho

detto sul confine fluido che divide, e a volte unisce, bestialità e umanità. Nella “Leggenda kutea di Naram-Sin” gli dei “creano” (banû) una stirpe bestiale di nemici che contrappongono al re di Accad. Ma anche nel poema di Gilgame^ avviene _ mutatis mutandis _ qualcosa di analogo: nella versione standard babilonese10 Enkidu è “creato” (banû) da Aruru come “parte altra” _ zikru vale propriamente “emissione” o “idea” _ di Gilgame^11. Ora, se Gilgame^ ha portamento animale, tipico della sua regalità (è uno scalpitante toro selvaggio), Enkidu è un quasi-animale, condivide con gli animali luoghi, aspetto, comportamenti:

“Tutto il suo corpo era coperto di peli, i suoi capelli erano inanellati come quelli di una donna: le ciocche di capelli crescevano abbondantemente come grano (lett., come la dea Nisaba). non conosceva né la gente, né il paese. Indossava un abito come quello (di pelle) del dio &akkan, brucando l’erba con le gazzelle. Frequentando coi bovini (itti būlim) i luoghi dove ci si abbevera, con le bestie (itti nama^^ê) godeva in mezzo all’acqua”. (Tav. I, 105-112)

Tanto è bestiale, Enkidu, che per lui sono usate similitudini umanizzanti: è un

animale terrificante e, al tempo stesso, “giovane uomo” (e\lu)12: un cacciatore che lo incontra lo descrive come incontrastato dominatore della steppa: percorre la montagna

10 Per l’edizione critica del Poema di Gilgame^ si veda ora George 2003. 11 Cfr. Tav. I, 95-96: “Tu stessa, Aruru, hai creato [l’uomo] / Ora crea il suo omologo (atti ¤Aruru tabnî

[amēla] / eninna binî zikir^u). George 2003, Vol. I, 543 traduce: “You, o Aruru, created [man] / now create what he suggests (lit. ‘his idea’)!”, o alternativamente: “Now create one like him (i.e. Gilgame^)!” La traduzione proposta per zikru ha naturalmente importanti implicazioni interpretative riguardo alla funzione di Enkidu (e del suo rapporto con l’animalità) nel poema: si veda per es. Dalley 1991, 53: “Now create someone for him”; o Pettinato 1992, 126 “Crea ora la sua controparte” (ma non sembra di poter riconoscere una contrapposizione tra Gilgame^ e Enkidu).

12 Tav. I, 123. Cfr. anche 178-179: “Lo vide &am~at, l’uomo allo stato selvaggio (lullû amēlu), il giovane bestiale (e\lu ^agga^û) (che viene) da in mezzo alla steppa”.

Il nemico bestiale

51

senza posa, bruca l’erba con il bestiame, strappa le reti del cacciatore, aiuta le bestie selvagge a sfuggire alla cattura13. Solo l’accoppiamento con la prostituta &am~at cambierà la natura di Enkidu, segnerà il suo processo di “incivilimento”. Da quel momento in poi le bestie lo fuggono:

“Dopo essersi saziato delle sue delizie volse la faccia verso il suo bestiame (būlu). Le gazzelle guardarono Enkidu e fuggirono, gli animali della steppa (būl #ēri) si allontanarono dal suo cospetto. Enkidu aveva insozzato il suo corpo così puro14: le sue ginocchia stettero immobili, sebbene il suo bestiame fosse già in cammino. Enkidu non aveva più forze, il suo correre non era più come prima; ma aveva intelligenza, era diventato vasto per conoscenze”15. (Tav. I, 195-202).

Enkidu si lascia condurre ad Uruk, alla capanna dei pastori, i quali perfezionano, per

così dire, la sua trasformazione. Gli insegnano a mangiare e bere alimenti elaborati e non naturali (pane e birra di contro al latte), a lavarsi con olio e a indossare un abito: ciò che nella mentalità mesopotamica identifica, più che il vivere “civile”, l’inevitabile fondamento della sopravvivenza umana16. Pane e birra, olio e vesti, che rappresentano i beni primari forniti con il sistema delle razioni nella pratica economica di templi e palazzi, sono qui evocati per caratterizzare la condizione umana nella sua alterità rispetto al vivere bestiale17. Ma non basta: perché Enkidu, col diventare uomo, è anche chiamato ad esercitare il controllo sulla fauna selvatica: nella versione paleobabilonese del poema, Enkidu si fa cacciatore e “guardiano” (ma##āru) di lupi e leoni, che permettono ai pastori di fare sonni tranquilli.

Eppure, l’uomo Enkidu, dopo aver combattuto mostri-animali come il Toro Celeste, sarà pianto proprio dagli animali, che all’inizio della Tav. VIII sono elencati come a formare la sistematica classificazione di un bestiario, “mandrie e animali della steppa” (būlum u namma^^û ^a #ēri): orsi, iene, leopardi, tigri, gazzelle, caprioli, leoni, tori, cervi e stambecchi (VIII, 1-17). La vicenda di Enkidu, il quale fatalmente e un po’ sconsolatamente si trasforma da bestia selvaggia a uomo e da uomo a guardiano di bestie _ come, se non sconsolatamente, dobbiamo infatti leggere la soddisfatta dichiarazione dei bovari che dicono di lui: “Uomo vigoroso, prode unico, tu meriti di stare in casa”18? _ la vicenda di Enkidu, dicevamo, è in un certo senso epitome del 13 Tav. I, 122-160. 14 Per questa difficile linea cfr. la discussione in George 2003, vol. II, 798. Le varianti presenti nel testo,

ul-ta~-~i (da ^u~~û) e ul-ta~-~i-i\ (da ^a~ā\u) mettono in evidenza la difficoltà interpretativa già in antico.

15 u ^û i^i \ēma rapa^ ~asīsa. 16 Supplisce qui, alle lacune della versione standard, la versione paleobabilonese del poema: cfr. The

Pennsylvania Tablet (OB II), iii 85-110 (George 2003, vol. I, 177). 17 Cfr. anche Tav. VII, 134-138. 18 Così, secondo la suggestiva interpretazione di Pettinato 1992, 139, che accoglie la lettura tradizionale

([LÚ e-ru 1-en] GURU& a-na É ta-^ib [xxxx]). Il testo è per la verità molto frammentario e

Lucio Milano

52

rapporto fortemente affettivo che si stabilisce tra uomini e animali. In tutto il poema questo rapporto è ambivalente e fortemente integrato: Enkidu sogna l’aquila leontocefala Anzû che lo brutalizza e lo conduce agli Inferi, ma è poi lui stesso trasformato da Anzû in una colomba (summu) per entrare negli Inferi, dove gli uomini sono a loro volta uccelli coperti da piume, lab^ama kīma i##ūri #ubāt kappi (Tav. VII, 163-208).

Nel lamento di Gilgame^ per la morte dell’amico, Enkidu è un mulo imbizzarrito, asino selvatico delle montagne, leopardo della steppa (Tav. VIII 50-51); Gilgame^ è come un’aquila che gli volteggia attorno, come una leonessa i cui cuccioli sono stati presi in trappola, che cammina avanti e indietro (ibid., 60-62: personaggi umani coperti da pelli di leone sono raffigurati in un rilievo assiro nella sala del trono del palazzo di Assurna#irpal II a Nimrud19). Non si tratta solo di similitudini o figure letterarie, tratte dal repertorio classico, ma di un rituale che riporta gli uomini ad uno stato di natura prossimo a quello degli animali.

3. Ma è tempo di osservare più da vicino questo mondo animale, che abbiamo finora

analizzato in esempi letterari come specchio dell’alterità. Come è dunque organizzato questo mondo? Vi sono polarizzazioni di tipo morale o comportamentale (del tipo buoni / cattivi, utili / inutili, docili / aggressivi, ecc.) fissati dalla tradizione erudita? Sono comprensibili, gli animali?

Vi sono, a questo proposito, alcuni concetti guida che possono orientare il nostro discorso. E’ documentato innanzitutto, fin dal III millennio, il tentativo di classificare gli animali (non diversamente dalle piante, dalle pietre, da nomi geografici o di professione) per categorie, ordinando in sequenza delle occorrenze lessicali. Le liste risalgono alla più antica tradizione mesopotamica (Uruk e Ur innanzitutto, successivamente Fāra, Abū-$alābī~ ed altri centri sumerici), ma risultano poi diffuse nel mondo cuneiforme più periferico, fin nell’area siriana (Ebla). I criteri redazionali di queste liste sono legati alla forma e alla sequenza dei segni, non alla identificazione di tratti tipologici o di gerarchie. Il principio di base è quello di razionalizzare la realtà attraverso l’inclusione di tutti i nomi conosciuti che riguardano una certa sfera di esperienza. Per il mondo animale la categorizzazione è rispecchiata da tre tipi di liste lessicali, che riguardano, rispettivamente, animali (essenzialmente quadrupedi), uccelli e pesci20. E’ fondamentale osservare che l’esperienza è discriminante in questo genere di classificazione, dalla quale sono infatti esclusi gli ibridi animali, esseri che appartengono per lo più al mondo dei demoni e che lo straordinario sogno di un principe assiro assegna alle tenebre degli Inferi, descrivendone aspetto e attributi21.

parzialmente ricostruito sulla base della Tavoletta di Pennsylvania iii 119-120. Diverse sia la lettura che l’interpretazione in George 2003, vol. I 562: 63-64 e 176: 119-120.

19 Cfr. Black – Green 1997, 33 e fig. 24. 20 Cfr. Reallexikon der Assyriologie und vorderasiatischen Archäologie, Bd. VI, Berlin-New York 1980-

1983, s.v. “Lexikalische Listen”, 612-613. 21 SAA III 32 (pp. 68-76). Nel sogno, riferito ad un principe assiro di nome Kummâ (forse

Assurbanipal), vengono descritte in dettaglio (v. 3-10) figure divine dall’aspetto di ibridi, che popolano gli Inferi.

Il nemico bestiale

53

Se nelle liste la categorizzazione è generica, altrove la tipizzazione è invece marcata. Un elemento distintivo degli animali è il verso che emettono. E qui si contrappongono due visioni, o meglio due percezioni, solo parzialmente sovrapponibili: se da una parte i testi di carattere divinatorio o medico tendono a presentare i versi animali come raramente tipici, vi è invece una raccolta di testi di erudizione dove si assegna un verso a ciascun animale (si tratta, in particolare di uccelli), etimologizzandolo secondo la lingua assira. Per il primo caso possiamo fare riferimento alla Tabella 1, che raccoglie un gruppo esemplificativo di lemmi che fanno riferimento a versi animali.

toro

bue

leone

cavallo

asino

cane

gatto

pecora

capra

maiale

serpente

uccello

mosca

geco

bakû piangere, ululare X X X X X

~abābu ronzare, pigolare, sibilare X X X

~adādu cinguettare X X

labû ringhiare, ululare, guaire X X X X X X

na"āru ruggire X

nabā~u abbaiare X

nagāgu ragliare, nitrire X X

nazāqu sibilare (generico) X

nazāzu grugnire, muggire X X

ramāmu tuonare (ruggire) X (X)

#abāru cinguettare, sibilare X X

Tabella 1. Tassonomia dei versi animali nella documentazione di prevalente carattere medico e divinatorio

Cane e maiale sono animali che emettono un verso per così dire loro esclusivo. Di un

demone si dice per esempio, in un testo di divinazione: “che si tratti di un tale che abbaia come un cane (nabā~u), o che grugnisce come un maiale (nazāzu) ... ” _ ma va

Lucio Milano

54

notato che a grugnire può essere anche un bue (in un omen: “se il bue grugnisce e si alza...”)22.

Il leone è naturalmente l’unico animale che ruggisce (na"āru) e con lui ruggiscono demoni, come Lama^tu, Pazūzu, o Anzû, che ne eguagliano la potenza o ne condividono, in parte, la natura. Ma ci sono altri animali i cui versi si confondono, come l’asino e il cavallo (nagāgu, che vale “ragliare” e “nitrire”), che in casi prodigiosi possono essere imitati da buoi, capre, o uomini posseduti da demoni (“Se un bue raglia come un asino nella casa di un uomo …”23). La stessa cosa vale per il pigolio, esteso alle mosche, o per il cinguettio, esteso al geco e, nel caso del verbo #abāru, alla cornacchia e al falco24; ma soprattutto per le espressioni più generiche di “ululare”, “gemere” (bakû), “ringhiare” (labû), che sono comuni ad un gran numero di animali.

Il secondo caso, quello che unisce la tipizzazione marcata alla razionalizzazione linguistica, è, come si diceva, documentato da un gruppo di testi di epoca neo-assira provenienti da Sultantepe25, dove sono elencati richiami di uccelli, che lo scriba interpreta come parole od espressioni accadiche26. C’è per esempio il gallo che fa: ta~-ta-\a a-na dTu-tu, che vuol dire “hai peccato contro il dio Tutu”; oppure il gufo che fa tuk-ku tuk-ku, che vuol dire “lamento, lamento”27; o la cicogna, il cui richiamo è u8-u-a u8-u-a, in accadico “ahimé!, ahimé”28, e così via. Non è un caso che questo tipo di razionalizzazione si applichi alla lingua degli uccelli, che rappresentano anche in altre culture potenzialità di comunicazione affini a quelle umane29; una razionalizzazione, peraltro, che è perfettamente congrua con una prospettiva ideologica _ quale è quella assira di epoca imperiale _ che tende a spiegare in termini autoreferenziali la realtà circostante: una realtà difettosa e corrotta da ricondurre a parametri comprensibili, che sono naturalmente i “nostri” e che sono naturalmente quelli “giusti”. E’ la stessa logica che guida l’atteggiamento assiro nei confronti dello straniero o del nemico, che è appunto tale anche perché parla una lingua difficile, lontana dalla propria e presumibilmente difettosa rispetto ad un’integrità ed unitarietà linguistica originaria: se ne può vedere per esempio nella formula di maledizione che conclude diverse iscrizioni di Adad-nārāri I (1307-1275):

“Colui che cancella il mio nome iscritto e scrive (al suo posto) il suo nome, o getta via le mie stele, le consegna alla distruzione e all’oblio, le copre con sporcizia, le brucia col fuoco, le getta in una Casa Proibita, dove non c’è visibilità; o, a causa di

22 Per i riferimenti cfr. CAD NII, 141, s.v. nazāzu 1). 23 Cfr. CAD NI, 105, s.v. nagāgu b) e c). 24 Cfr. CAD $, 3, s.v. #abāru b). 25 Lambert 1970. 26 Questo tema è trattato, nel più generale contesto della caratterizzazione linguistica dello straniero, da

Liverani 1980, spec. 20-21. 27 Lambert 1970, 114: 9; 116: 15. 28 ibid., 112, 5. Cfr. AHw, 1398a, s.v. ū"a. 29 Per il mondo greco, dove il linguaggio degli uccelli costituisce specifico oggetto di riflessione

filosofica, si veda di recente Brillante 1991 e il saggio di A. Furlanetto, «I linguaggi degli animali in storie di iniziazione profetica», in questo volume.

Il nemico bestiale

55

queste maledizioni, incita un forestiero o uno straniero, un nemico malvagio, (un uomo che parla) un’altra lingua o chiunque altro (a fare qualunque di queste cose); o concepisce e fa qualsiasi cosa (empia): possa il dio Assur, il dio supremo, che risiede in E~ursagkurkurra, gli dei Anu, Enlil, Ea e Ninma~, i grandi dei, gli Igigu del cielo, gli Anunnaku degli Inferi, possano tutti fissarlo con ira e infliggergli una maledizione nella loro rabbia ...”30.

Quando nei suoi Annali il re Assurna#irpal II dice degli abitanti del paese di

Sipirmena, da cui ha riscosso il tributo, che essi “cinguettano come donne”31, egli non dà solo una caratterizzazione etnografica del nemico: Sipirmena, nella regione di Zamua, è la più orientale tra le terre conquistate dal re assiro, dunque la sua lingua è “lontana”, ma, come il cinguettio degli uccelli, non del tutto incomprensibile.

4. Quanto al problema della connotazione “morale” degli animali, in rapporto alla

caratterizzazione “bestiale” del nemico32, di cui riparleremo tra poco, le fonti ovviamente più ricche sono quelle dei testi sapienziali, che chiariscono un punto importante: salvo il caso del cane, la cui connotazione moralmente negativa sembra essere indiscussa, al punto di diventare stereotipo, gli animali non sono giudicabili sulla base di parametri umani (più o meno “buoni”, più o meno “utili”). E’ piuttosto la loro indole (aggressiva / docile), la loro natura (selvatica / domestica), o il loro aspetto a farne degli oggetti letterari, ad assegnar loro un ruolo che può essere variabile, a renderli “vicini” o simili al tipo umano che sono chiamati a caratterizzare. Essi si prestano dunque alla morale, ma non ne sono oggetto. Questo si può constatare non solo nelle cosiddette “tenzoni” a soggetto animale33 _ ve ne sono tra il bue e il cavallo, tra la volpe e il lupo (in lingua accadica), tra uccello e pesce (in lingua sumerica), tra volpe, cane, lupo e leone (bilingue), ecc. _, dove è la struttura stessa del genere letterario a non ammettere né vincitori né vinti (tutti gli animali vantano le proprie qualità), ma anche nei proverbi, nelle fiabe, o nei detti popolari: generi nei quali gli animali sono spesso protagonisti.

Non potendo scendere nei dettagli, darò alcuni esempi di questo paradigma che chiamerei “comportamentale”, traendoli da una collezione di proverbi sumerici sugli animali34:

30 RIMA 1, 134 (A.O.76.2, 36-51). Per altri esempi di lingua “altra” cfr. CAD L, s.v. li^ānu, 213-214 sub

4. 31 “A quel tempo ricevetti bronzo, ... di bronzo, rivetti di bronzo e legname, il tributo del paese di

Sipirmena, (i cui abitanti) cinguettano come donne” (ma-da-tu ^á KUR si-pir-me-na ^á GIM MUNUS.ME& #ab-ru-ni am-~ur). Vedi RIMA 2, 207 (A.O.101.1, ii 75-76). Contro l’interpretazione “whose (inhabitants) do their hair (#ap-ru-ni, da #epēru) like women”, adottata da Grayson, si sono a ragione espressi Liverani 1980, 18 nota 9 e Zaccagnini 1982, 423, nota 44.

32 Rispetto al punto di vista di Fales 1982, si assume qui un’ottica volutamente rovesciata (che è quella del giudizio sugli animali in rapporto alla figura del nemico).

33 Cfr. Lambert 1963, 175 ss. 34 Si tratta della “Collezione 5” nell’edizione di Alster 1997. Sul tema si veda anche H. Limet 2001, 29-

43.

Lucio Milano

56

Le dimensioni: “Un elefante parlò a sé stesso e disse: ‘tra le creature selvatiche di &akkan non ce n’è nessuna che sappia defecare come me’. L’uccello-sipidiqar rispose: ‘eppure io, con la mia taglia, so defecare come te’ ”35. I privilegi della natura selvatica: “Come un toro selvaggio, ti fa piacere quel che dà piacere a te stesso come si dice”36. I movimenti impacciati: “Come un bue, tu non sai come girarti”37. La forza e l’arroganza: “Dopo che un leone ebbe catturato un maiale della selva, ruggì: ‘Fino ad ora la tua carne non ha riempito la mia bocca, ma i tuoi grugniti mi hanno reso sordo’ ”38.

A cani e cagne è dedicato un gran numero di proverbi39, ma su queste bestie, come si

è detto, grava _ questa volta sì _ un giudizio impietoso, salvo riconoscere qualche merito al fatto che il cane custodisce la dimora del padrone, che ama il suo padrone, che non si sottomette, e infine che è capace di sognare (verosimilmente ossa)40. Del resto, l’uso dell’espressione “cane” come insulto infamante è largamente attestato nel mondo mesopotamico: e specialmente nell’epistolografia, dove abbondano sempre i richiami a modelli letterari di tipo sapienziale. Basta ricordare l’epistolario amarniano, e in particolare le lettere dei “piccoli re” siro-palestinesi al Faraone, dove “cane” è sinonimo di comportamento infedele41: “Chi commette [tradimento] contro il re? Son dei cani coloro che commettono [tradimento] verso il re!”42; “Sembra bello al re mio signore l’azione di Abdi Ashirta, il cane, che le terre del mio signore diventano sue (passano dalla sua parte)? ... Chi è mai costui, traditore e cane, per essere così forte?”43; “Ecco tu mi hai scritto di preparare in vista (dell’arrivo) delle truppe (egiziane). E chi sono io, un cane sciolto, che non andrò!? Ecco: io, assieme alle mie truppe e ai miei carri (andrò) alla testa delle truppe (egiziane), fino a dove dirà il mio signore”44. Il topos è così radicato che il re di Amurru Abdi-ashirta, chiamato abitualmente dagli avversari “servo

35 Alster 1997, Vol. I, 121 (5.1). 36 Ibid., 122 (5.4). 37 Ibid., 123 (5.13). 38 Ibid., 129 (5.57). 39 Per il cane (ur-gi7), nell’ambito di questa collezione di proverbi, si veda ibid., 135-142 (5.75-5.116);

per la cagna (nig), ibid., 142-143 (5.117-5.125). 40 Ibid., 135 (5.76). 41 Cfr. M. Liverani, AOF 1 (1974), 180 nota 38. 42 EA 281, lettera di Shuwardata (= LA 28 secondo l’edizione a cura di Liverani 1998, da cui si cita). 43 EA 84, lettera di Rib-Adda di Biblo (= LA 153). 44 EA 201, EA 202, lettere di piccoli re della Transgiordania (= LA 200, LA 201). Molto suggestiva la

traduzione di Liverani per kalbu i^tēn, “cane sciolto”: cfr. 246, nota 6.

Il nemico bestiale

57

e cane”, può permettersi di giocare sull’ambivalenza semantica dei due termini, dando prova di fine retorica politica: “Guarda, _ dice al Faraone _ io sono servo del re e cane della sua casa (cioè, cane da guardia), e proteggo Amurru tutto quanto per il re mio signore”45.

Il cane ha dunque uno statuto a parte. Ed è solo dalla sua bocca – non da quella altrui – che possiamo ascoltare espressioni encomiastiche nei confronti della sua specie (per es., in una delle tenzoni: “Il cane aprì la bocca ed abbaiò...: ‘sono di forza possente, il tallone di Anzû, la furia di un leone; le mie zampe corrono più veloci delle ali di uccelli; al mio grido potente montagne e fiumi si seccano; ...ai miei ruggiti la pantera, la tigre, il leone e il gatto selvatico si involano, l’uccello non può volare né mantenere la rotta’ ”46). Ma per quanto riguarda altri animali, il loro ruolo, il loro carattere è descritto secondo cliché universalmente accettati: tornando ai proverbi, il toro non tollera il giogo e fa quel che vuole; il bue è forte, tira l’aratro e fa quel che deve; la mucca è docile e utile all’uomo, l’asino è indolente e sottomesso; la volpe è astuta, il leone dominatore e vorace; la pecora è però più furba di lui47. C’è ovviamente la constatazione che gli animali selvaggi sono sempre vincenti, come ricorda all’amico, suo interlocutore, il “giusto” della Teodicea babilonese:

“L’onagro, l’asino selvaggio che si riempie di er[ba (?)] alla volontà degli dei, ha forse prestato orecchio? Il leone furente che divora carne scelta, ha forse portato le sue offerte di fior di farina per placare l’ira della dea? [...] l’arricchito che ha moltiplicato i suoi beni, ha forse pesato oro fino per la dea Mami?48”.

5. E’ da qui, da questo trattamento sapienziale dei caratteri animali, che dobbiamo

partire se vogliamo comprendere l’introduzione del tema della “bestialità” nemica nei testi storici assiri, che certo costituiscono il corpus più significativo per un’indagine sistematica sull’argomento. Questo tema ha una sua specificità, anche se fa parte di un più ampio repertorio di topoi letterari (come quello della codardia, della paura ecc.) che caratterizzano la figura del nemico nell’ideologia imperiale assira49. Esso si diffonde soprattutto nell’ambito della produzione annalistica e si concretizza nell’impiego di similitudini che paragonano il comportamento del nemico (nakru) a quello degli animali50.

45 EA 60, lettera di Abdi-Ashirta di Amurru (= LA 235). 46 Dalla Favola (o serie canonica) della volpe: cfr. Lambert 1963, 193 (plate 50, 14-25); Foster 1993,

837. 47 Alster 1997, Vol. I, 122-123 (5.3-5.11: toro), 123-124 (5.12-5.29: bue), 124-125 (5.30-5.35: mucca),

125-127 (5.39-5.53: asino), 132-135 (5.71-5.75: volpe), 128-132 (5.55-5.70: leone). 48 Lambert 1963, 72-75: 48-53. 49 M. Liverani è intervenuto su questi aspetti in numerosi lavori: si veda tra gli altri Liverani 1979. Vedi

anche Fales 1982 e Zaccagnini 1982. 50 Cfr. Marcus 1977, incentrato soprattutto su un’analisi fraseologica e stilistica. Più in generale, sulle

similitudini nelle iscrizioni reali, cfr. Schott 1926.

Lucio Milano

58

Questa diffusione può essere facilmente spiegata con due principali argomenti e qualche corollario. Il primo argomento è che il mondo animale si presta in modo efficacissimo a sottolineare la polarizzazione tra la civiltà e barbarie, con un corollario importante: che bestie non sono solo i nemici, ma che lo siamo anche noi (assiri), anche se ovviamente di altro tipo.

Il secondo argomento è che attraverso le similitudini animali si preserva quella dimensione di rapporto tra il mondo nostro e quello del nemico, che è lo stesso fluido rapporto esistente tra mondo umano e mondo animale: fatto al tempo stesso di alterità e di affinità, di distanza e di prossimità.

L’utilizzazione delle similitudini animali non è però solo un fatto estrinseco; non è solo un mezzo per coprire, attraverso la gamma dei comportamenti animali, la gamma dei comportamenti nostri e del nemico; non è cioè solo un espediente letterario. E’ invece una chiave di lettura per interpretare, da parte assira, la natura dell’altro. Se il nemico fugge furtivamente come una volpe è perché in un certo senso il nemico è una volpe; così come il re assiro che combatte come un leone è egli stesso un leone51. Un proverbio sumerico esprime questo concetto in modo esplicito: “Un palazzo è una foresta, un re è un leone. Ninegal copre gli uomini con un’ampia rete”52. Anche il re assiro Assurna#irpal II dice di sé: “Io sono un leone (labbāku)”53, ed il suo vanto costituisce in certo modo uno scarto qualitativo rispetto al registro della similitudine altrove attestato54. Per esempio, nelle iscrizioni di Sargon II, o, assai prima, di Adad-nārārī II, dove torna anche il motivo della rete:

“Sono bellicoso come un leone55, colpisco il nemico come la spada feroce, soffio come la furia del vento, imperverso come la bufera, estirpo (i nemici) come [peli(?)] della pelle, sgomino come una rete, circondo come una trappola... ”56.

Gli animali formano dunque due bestiari distinti57: il bestiario del re e il bestiario del

nemico. Occorre creare discrimini il più possibile netti fra i due, perché essi sono in effetti lo specchio di un mondo diviso.

51 Per la metafora del re-leone cfr. le interessanti considerazioni in Watanabe 2002, 42-68, con ampi

riferimenti alla letteratura sumero-accadica. Precedentemente, cfr. Cassin 1981. 52 Alster 1997, Vol. I, 306 (UET 6/2 209). 53 RIMA 2, 196 (A.0.101.1, i 33). 54 Cfr. CAD L, 24, s.v. labbu b). 55 ki-ma UR!.MA@! (nē^i) da-pi-na-ku, secondo l’emendazione di Schramm 1973, 4, ripresa da A.K.

Grayson in ARI 2, 86 (§418): “I am belligerent like a lion”, poi abbandonata in RIMA 2, 148 sub 19 ([ki]-ma ^u-bu-ri da-pi-na-ku, “I am belligerent like ...”. In realtà le ragioni di Schramm restano convincenti, nonostante nē^u non sia generalmente usato nelle similitudini.

56 RIMA 2, 148 (A.0.99.2, 19-21). Sul motivo della rete (sapāru) e quello della trappola (~u~aru) cfr. i riferimenti alle iscrizioni reali assire in CAD S, 161-162, s.v. saparru A b); CAD @, 224, s.v. ~u~āri^.

57 E’ utile il raffronto di questa fauna letteraria con i ritrovamenti osteologici nei siti archeologici vicino-orientali. Per una sintesi, si veda Vila 1998 con ampia bibliografia. In particolare, cfr. 36-87 per gli animali selvatici, di cui (specie per la volpe) i resti osteologici sono abbondanti (non solo per la gazzella, gli equidi e i cervidi, ma anche per orso e leone), e 89-134 per gli animali domestici.

Il nemico bestiale

59

Questa divisione ho cercato di tabularla nella Tabella 2, che si basa sullo spoglio delle numerose occorrenze annalistiche di similitudini animali, che riguardano, rispettivamente, la figura del re e quella del nemico e che si concentrano prevalentemente nei regni di Sargon II, Sennacherib ed Esarhaddon58. Come si vede, la ripartizione degli animali – salvo il caso isolato della locusta – è mutuamente esclusiva: gli animali del re non sono quelli del nemico, e viceversa. La situazione resta inoltre immutata nel tempo, per effetto di una progressiva fissazione del modello letterario. Bisogna anche aggiungere che rispetto alla tradizione sapienziale, che ignora il parametro della polarizzazione, qualche aggiustamento di tipo ideologico si è verificato: il bue, per esempio, viene solo impiegato in similitudini che implicano sottomissione e il leone (che è peraltro poco rappresentato) solo in similitudini di indiscussa forza regale.

RE Categorie di animali NEMICO

animali selvatici leone (labbu)

toro selvaggio (rēmu) orso (dabû / asu)

volpe (^ēlebu) animali selvatici di montagna

capra di montagna (armu) pecora selvatica (bibbu)

stambecco (turā~u) cervo (ayyālu) capriolo (nālu)

asino selvatico (sirrimu) lince (azaru)

mangosta (^ikkû) puzzola (pu#uddu)

animali domestici cucciolo di cane (mirānu) bue (alpu, ^ūru)

maiale (^a~û) asinello (mūru) pecora (#ēnu)

agnello (aslu, zirqu) cane (kalbu)

gatto (^urānu) uccelli

aquila (erû) falco (surdû) uccello-anzû

colomba (summatu) pernice (e##ur ~urri) pipistrello (suttinnu) pellicano/gru (kumû)

insetti, rettili, pesci locusta (erbu, aribu)

vipera (^ibbu) locusta (erbu, aribu)

formica (kulbābu) pesce (nūnu)

Tabella 2. Animali del re e animali del nemico nelle similitudini delle iscrizioni reali assire.

Tra gli animali selvatici, leone e toro selvatico sono associati rispettivamente al topos della paura suscitata nel nemico e a quello della “via difficile” percorsa dal sovrano per stanare l’avversario (“come un toro selvatico mi arrampicai a piedi in luoghi

58 I raggruppamenti degli animali sono gli stessi già proposti in Marcus 1977.

Lucio Milano

60

inaccessibili”59). Va peraltro osservato che quest’ultimo tema letterario _ il re e il suo esercito che superano innumerevoli ostacoli naturali nel corso della loro marcia _ è particolarmente produttivo in termini di similitudini animali60, perché è attraverso gli animali e il loro comportamento che un paesaggio altrimenti generico si struttura saldamente come il fiabesco e impervio scenario delle eroiche gesta reali. In questo quadro, il furore leonino del re assiro (kīma labbi nadri “come un leone aggressivo” ...) non si riflette solo nel suo aspetto, che, rabbioso, incute terrore nell’avversario61, ma addirittura _ per parallelismo _ nel suo umore (kabattu), che mette ancor più in evidenza una sorta di compenetrazione tra realtà umana e bestiale62.

Sul versante opposto _ quello cioè del nemico e della relativa simbologia _ l’orso e la volpe sono invece associati a situazioni infamanti di cattura e, rispettivamente, di fuga. Il re di Babilonia &uzubu, per esempio, è incatenato come un orso63 (o, secondo una variante, “con” un orso64) alla porta di Ninive da Sennacherib, mentre altri re nemici sono aggiogati da Esarhaddon e Assurbanipal “insieme ad un orso, un cane (ed un maiale)”65 _ a sottolineare al tempo stesso la goffaggine imposta dai ceppi e la nullità politica attribuita all’avversario (quella appunto che può essere facilmente estesa a “cani e porci”). Per converso, la similitudine della volpe caratterizza il comportamento del fuggiasco, aggravato dall’inganno o dalla dissimulazione: come nel caso del re babilonese Marduk-bēl-usâte, sfuggito a Salmanassar III attraverso un passaggio segreto dalla città di Gannanāte, in cui si era asserragliato66, o di un altro re babilonese, Nabû-zēr-kitti-lī^er, che, all’arrivo delle truppe di Esarhaddon, “scappò come una volpe (^ēlabi^) verso l’Elam”67.

Gli animali di montagna si dividono anch’essi in due categorie: “dalla parte del re” ci sono quelli che rappresentano un sovrano audace, che si inerpica o guida le truppe su picchi scoscesi e balze montane (la capra e la pecora selvatica, lo stambecco e il capriolo)68; mentre, “dalla parte del nemico” ci sono quelli che evocano una fuga terrorizzata (asino e lince69), ovvero furtiva, come quella di Rezin di Damasco, che “per

59 Luckenbill, Sennacherib, 26: 71; 58: 21; 67: 10. Cfr. Borger, Asarhaddon, 112: 11. 60 Cfr. Ponchia 1987, spec. 231-233. 61 kīma labbi nadri ^a pulu~tu ramû etelli^ attallakma (TCL 3, 66: 420, campagna di Sargon II contro

Urartu). Cfr. l’espressione labbi^ annadir “infuriai come un leone” (Sargon, Sennacherib, Esarhaddon): esempi in CAD L, 23 s.v. labbi^ a).

62 labbi^ annadirma i##ari~ kabattī, Borger, Asarhaddon, 43: i 57. Vedi anche nota precedente. 63 Luckenbill, Sennacherib, 88: 35-36, 90: 15. 64 Variante: dabû"e^ // itti asu. 65 Per le occorrenze dell’espressione itti asi kalbi (u ^a~î) vedi CAD K, 69, s.v. kalbu 1 a). 66 RIMA 3, 30 (A.0.102.5, iv 6 – v 1). 67 Cfr. Borger, Asarhaddon, 47: 53-55; 110: 8. 68 Per le similitudini che riguardano questi animali cfr. Marcus 1977, 88-90. In particolare, per la capra,

cfr. negli Annali di Sennacherib l’espressione kīma arme ana zuqtī ^aqûti #ēru^^un ēli, “come una capra di montagna salii su picchi scoscesi contro di loro”: Luckenbill, Sennacherib, 36: 6-7.

69 Come asina selvatica (sirrimtu: hapax), o asino selvatico, fuggono, per es., Samsi regina d’Arabia (in Tiglat-pileser III) e la gente di Bît-Yakin (in Sennacherib): cfr. rispettivamente Tadmor, Tiglath-pileser, 142-143 (Summary Inscription 4, 22’-24’) e Luckenbill, Sennacherib, 38: 32-33. Per la lince,

Il nemico bestiale

61

salvarsi la vita fuggì da solo (ēdēnu^^u ippar^id) ed entrò come una mangosta nella porta della sua città”, inseguito dal re assiro (Tiglat-pileser III)70.

Gli animali domestici non simboleggiano, come nella letteratura sapienziale, il volto operoso di una condizione di cultura _ ricordiamo per es. le lettere di el-Amarna, dove, in segno di sottomissione del vassallo al Faraone, si leggono frasi del tipo: “Ecco, ho messo il mio collo nel giogo, e trascino!”71, _ bensì quello di una realtà sacrificale: questi animali appartengono tutti all’universo del nemico, che viene trascinato, contato, distribuito, macellato72. “Macellai le loro truppe come agnelli” (ummānāte^unu kīma zerqe unekkis), dice Tiglat-pileser I73, o ancora: “Tagliai le loro teste come agnelli e feci scorrere il loro sangue nelle gole e nelle pianure delle montagne”74. Analoghe espressioni sono usate dai suoi successori per marcare l’ineluttabile destino che accomuna i nemici agli animali domestici catturati e uccisi durante le azioni militari. L’immagine del bue aggiogato all’aratro fa parte di questo quadro, in cui il nemico subisce il trattamento dell’animale asservito al volere o alle necessità del padrone:

“Sottomisi ai miei piedi trenta dei loro sovrani (= del paese di Nairi). Come fossero buoi, attaccai ai loro nasi delle corde (e) li portai alla mia città [di Assur]”75. (Tiglat-pileser I)

Anche il maiale è un essere sottomesso fino al limite dell’autolesionismo se il re

urarteo Ursā, nel togliersi la vita per non cadere nelle mani di Sargon, si trafigge con la spada atteggiandosi alle movenze di un maiale76. Ed è comunque la docilità a contraddistinguere la bestia quando è paragonata al nemico condotto in ceppi a Ninive da Esarhaddon77.

Quanto agli uccelli, quelli del re (l’aquila, il falco) servono a marcare un’attitudine predatoria e rapace (il re che scende in picchiata o apre le ali sull’avversario78; ovvero il re che raggiunge altezze dove neanche le aquile possono arrivare79); quelli dei nemici

si veda il caso del re di Babilonia &uzubu, che fugge “da solo come una lince” (kīma azzari ēdi^ ippar^id), preso da terrore e inseguito da Sennacherib: Luckenbill, Sennacherib, 34: 56-57.

70 Tadmor, Tiglath-pileser, 78-79 (Ann. 23, 8’-9’). Analoga caratterizzazione per il re babilonese Marduk-aplu-idinna negli Annali di Sargon II: cfr. Fuchs, Sargon, 161: 347 (Annali). In un altro passo degli stessi Annali, Marduk-aplu-idinna avanza strusciando contro il muro della sua città, ma questa volta “come un gatto” (kīma ^urāni): cfr. ibid., 228: 132 (“Grosse Prunkinschrift”). Vedi anche nota 81.

71 EA 257, lettera di Ba`lu-me~ir di Mikmate (?) _ piccolo regno palestinese – al Faraone (= LA 78). 72 Cfr. Marcus 1977, 92-93. 73 RIMA 2, 19 (A.0.87.1, iii 98-99). Per le altre attestazioni cfr. CAD NII, 179, s.v. nakāsu 7 b). 74 RIMA 2, 24 (A.0.87.1, vi 5-8). 75 RIMA 2, 34 (A.0.87.2, 26-27). 76 ina patar ramani^u kīma ^a~î libba^u is~ul : cfr. Fuchs, Sargon, 116-117: 164-165 (Annali). 77 Cfr. Borger, Asarhaddon, 110: B Rs. 2. 78 Cfr. Borger, Asarhaddon, 65: 10: kīma arê nadri petâ agappāya “Come un’aquila feroce aprii le mie

ali”. La stessa immagine è attribuita negli Annali di Sargon ai soldati inviati dal sovrano contro i nemici.

79 Cfr. gli Annali di Tukultī-Ninurta II, marcia sul Monte I^run: RIMA 2, 173 (A.0.100.5, 38).

Lucio Milano

62

un’attitudine pavida (in genere la fuga, come nel caso degli Elamiti, che, simili a colombe inseguite, palpitano e se la fanno addosso sui loro carri80). Nel novero delle “fughe” apparentate a quelle dei volatili va anche ricordata la fuga notturna del babilonese Marduk-aplu-idinna, che preso dal terrore di fronte alle schiere di Sargon “si involò come un pipistrello di notte (kīma sutinni ippari^ mū^i^) da Babilonia verso la città di Iqbi-Bēl”81. Particolarmente suggestiva, tra le similitudini con gli uccelli, quella che si riferisce alla cattura del nemico:

“Chi per salvarsi era fuggito in mezzo al mare non sfuggì alla mia rete, né poté uscirne. Il corridore (petân birki) che aveva intrapreso l’arrampicata di lontane montagne, lo presi al laccio come un uccello (kīma i##ūre) in mezzo alla montagna e gli legai le braccia. Feci colare il loro sangue dalle balze montane come dalla breccia di una diga”82.

Questa parabola, già segnata dal momento della fuga e da quello della cattura, si

chiude con l’imprigionamento: si tratta del motivo del nemico / uccello in gabbia (kīma i##ūr quppi) che è frequentissimo nelle iscrizioni reali ed ha ascendenze lontane nel tempo83.

Nella categoria degli insetti, formiche e locuste suggeriscono immagini di vastità numerica e capacità distruttiva, che nel caso delle locuste riguarda tanto gli eserciti assiri quanto quelli avversari. Le formiche attirano anche il disprezzo riservato a moltitudini indolenti e prive di aggressività: “Che io possa disprezzare – dice Esarhaddon, rivolto alla dea I^tar – tutti i miei nemici come se fossero formiche (kulbābi^)”84.

Le similitudini con rettili e pesci sono invece sistematicamente riferite al nemico: un nemico che vive in un ambiente “altro”, com’è l’ambiente acquatico (mare, fiume, isola), che è già di per sé connotato negativamente, anche al di fuori da implicazioni militari:

80 Luckenbill, Sennacherib, 47: 28-32. 81 Fuchs, Sargon, 226: 125-126 (“Grosse Prukinschrift”). Per altre occorrenze della similitudine con il

pipistrello (Tiglat-pileser I, Sennacherib) cfr. CAD S, 419 s.v. suttinnu 1 a). Come sottolineato da Fuchs, Sargon, 334 nota 365, Marduk-aplu-idinna è forse la figura di sovrano nemico che maggiormente ispira similitudini animali: con gli uccelli, con il gatto, la mangosta, il maiale. Vedi anche nota 69.

82 Borger, Asarhaddon, 58: 10-14. 83 Negli Annali assiri la similitudine tra nemico accerchiato e uccello in gabbia si trova per la prima

volta in Tiglat-pileser III, a proposito dell’assedio a Rezin di Damasco: cfr. Tadmor, Tiglath-pileser, 78-79 (Ann. 23, 10’-11’) e nota ad 11’ dove l’immagine è spiegata come un riferimento alla mancata presa della città assediata, in vista di un successivo attacco. La similitudine è anche riproposta dagli Annali di Sennacherib (Luckenbill, Sennacherib, 33: 27-29) a proposito dell’assedio di Gerusalemme.

84 Borger, Asarhaddon, 78: 19.

Il nemico bestiale

63

“Upēri, re di Dilmun, la cui tana (narba#u) si trova ad una distanza di 30 ore doppie, come un pesce in mezzo al mare dove sorge il sole, seppe della potenza di Assur, Nabû e Marduk ed inviò il suo dono” 85 (Sargon).

L’habitat dei pesci è peraltro luogo tipico dove ambientare le tattiche del nemico, il

cui comportamento predilige la fuga o il nascondimento alla lotta in campo aperto, ma che inevitabilmente va incontro alla cattura e alla morte: basti ricordare gli episodi di Bēl-iqī^a di Gambulu, che come un pesce si nasconde in un acquitrino di acqua e di canne per sfuggire ad Esarhaddon86, e quello di Abdi-Milkutti di Sidone, “pescato” e poi decapitato dallo stesso Esarhaddon87.

E’ da osservare che quasi tutti gli animali fin qui elencati (salvo l’ultima categoria),

popolano lo scenario delle imprese militari dei sovrani assiri anche a prescindere dai riferimenti metaforici al nemico. Si tratta insomma degli stessi animali che il re incontra o cattura, sacrifica o caccia durante il suo cammino e di cui le narrazioni annalistiche forniscono numerosissime e frequenti attestazioni, oltre a precisi dettagli quantitativi. A giocare tra questi un ruolo principe, dal punto di vista simbolico, sono certamente i leoni, che gli straordinari rilievi su pietra dei palazzi reali di Nimrud e Ninive ci mostrano nell’atto di essere avvicinati e colpiti dalle frecce del sovrano o trafitti dalla sua spada. Il tema della lotta tra il re e il leone è del resto così emblematico e rappresentativo del carattere della regalità assira da costituire il tema figurativo centrale del cosiddetto sigillo “reale” in epoca neo-assira88 (Fig. 1).

Le scene di caccia, ripetutamente studiate89, sono state recentemente interpretate come un rituale in cui si affrontano appunto due soggetti che solo apparentemente sono distinti e contrapposti: il leone – inseguito, colpito, trafitto – da una parte, e il re assiro, a rappresentare simbolicamente un re-leone, dall’altra90. La caccia reale è assunta a paradigma di uno dei due atteggiamenti che contraddistinguono il rapporto del sovrano nei confronti del mondo animale: un atteggiamento benevolo nei confronti degli animali domestici che accettano di sottomettersi e meritano di essere catturati; un atteggiamento

85 Fuchs, Sargon, 232: 144 (Annali). Cfr. p. 170, 383-384 (“Grosse Prukinschrift”). Per altre attestazioni

dello stereotipo nemico = pesce in mezzo al mare cfr. CAD NII, 339-340 s.v. nūnu h). 86 Borger, Asarhaddon, 52: 71-73 (cfr. 53: B iii 55). 87 Ibid., 48: ii 71-74. 88 Cfr. Herbordt 1992, 123-136, Tav. 31, 3; 34-36. Per le implicazioni ideologiche si veda Maul 1995. La

tesi proposta da Irene Winter (2000) – che il tipo del sigillo “reale”, spesso iscritto con il nome di uno dei sovrani assiri, non corrisponda ad un sigillo dinastico, bensì rappresenti un sigillo ufficiale, o sigillo di stato, usato da amministratori che agiscono in nome del re – è molto convincente e non altera le considerazioni qui di seguito svolte sull’interpretazione iconologica del rapporto tra la figura del re / eroe e quella del leone / nemico. Sotto l’aspetto iconografico, il combattimento tra il re ed il leone in posizione rampante, che contraddistingue il tipo del sigillo “reale”, è in un certo senso epitome dello svolgimento narrativo della caccia al leone, che si conclude necessariamente con l’uccisione dell’animale.

89 Sul rituale della caccia al leone la bibliografia è molto ampia, sia per gli aspetti iconografici che storico-letterari. Tra i contributi più interessanti, cfr. Weissert 1997, con bibliografia precedente.

90 Cfr. Watanabe 2002, 69-88 (“The Role of Animals in the Royal Hunt”), con paralleli etnografici.

Lucio Milano

64

ostile nei confronti degli animali selvatici, irriducibili ad un’integrazione nel mondo civilizzato. Parallelamente si articola il comportamento del re nei confronti del nemico: brutalmente trucidato, ovvero preso prigioniero, a seconda del “grado” di irriducibilità al sistema assiro. La caccia reale sarebbe dunque metafora di un’impossibilità di composizione tra “selvaggio” e “civilizzato”: il riflesso di una mentalità che, avendo rinunciato a rispettare il selvaggio come eguale o a trasformare in domestica la natura selvaggia, celebra l’uccisione del selvaggio, come il mostro @umbaba nel Poema di Gilgame^91.

La mia impressione è che questa interpretazione non copra tuttavia che un aspetto della metafora espressa nel rituale di caccia, cioè quello dell’identificazione della polarità e della dinamica tra polarità elementari (natura / cultura, selvaggio / civilizzato). Ma va tenuto presente che, nelle similitudini animali, il mondo selvaggio gioca un ruolo sfumato: certo, il re ha natura quasi esclusivamente selvaggia, chiaramente percepita come gerarchicamente superiore al mondo degli esseri “domesticati”, siano essi animali o persone (nemici soggetti o assoggettabili). Ma anche i nemici del re assiro condividono natura, carattere, qualità di animali selvatici, che appartengono ovviamente ad un bestiario alternativo a quello del re. E’ appunto questo che la caccia reale esprime attraverso la lotta tra un leone ed un re-leone. Ed è la sintesi più chiara di quanto fin qui ho cercato di dimostrare: il nemico bestiale è, al tempo stesso, inquietantemente simile, e straordinariamente diverso, dal re umano che lo abbatte.

Fig. 1. Disegno di un’impronta di sigillo su giara, con combattimento tra il re e il leone. Regno di Esarhaddon (680-669 a.C.). Da Nimrud, Forte Salmanassar (ND 7080. Baghdad, Iraq Museum). L’illustrazione è ripresa da I.J. Winter 2000, 54.

91 Ibid., 153-154.

Il nemico bestiale

65

BIBLIOGRAFIA

AHw W. von Soden, Akkadisches Handwörterbuch. Wiesbaden 1959-1981.

Alster 1997 B. Alster, Proverbs of Ancient Sumer, Vol. I-II, Bethesda 1997.

ARI 2 A.K. Grayson, Assyrian Royal Inscriptions, Vol. 2, Wiesbaden 1976.

Black – Green 1992 J. Black – A. Green, Gods, Demons and Symbols of Ancient Mesopotamia. An Illustrated Dictionary, Austin, Texas 1992.

Borgeaud et al. 1984 Ph. Borgeaud, Y. Christe, I. Urio (édd.), L’animal, l’homme, le dieu dans le Proche-Orient ancien (Actes du Colloque de Cartigny 1981 – Les Cahiers du CEPOA 2), Leuven 1984.

Borger, Asarhaddon R. Borger, Die Inschriften Asarhaddons, Königs von Assyrien (AfO Beiheft IX), Graz 1956.

Brillante 1991 C. Brillante, «Il canto delle pernici di Alcmane e le fonti del linguaggio poetico», Rivista di filologia e di istruzione classica 119, 1991, 150-163.

CAD The Chicago Assyrian Dictionary. Chicago

Cassin 1981 E. Cassin, «Le roi et le lion», Revue de l’histoire des religions 198, 1981, 355-401.

Cooper 1983 J. S. Cooper, The Curse of Agade, Baltimore – London 1983.

Dalley 1991 S. Dalley, Myths from Mesopotamia, Oxford 1991.

Fales 1982 F.M. Fales, «The Enemy in Assirian Royal Inscriptions: ‘The Moral Judgement’», in H.J. Nissen, J. Renger (Hrsg.), Mesopotamien und seine Nachbarn (XXV Rencontre Assyriologique Internationale, Berlin 1978), Berlin 1982, 425-435.

Foster 1993 B.R. Foster, Before the Muses. An Anthology of Akkadian Literature, Vol. II, Bethesda 1993.

Fuchs, Sargon Fuchs, Die Inschriften Sargons II. aus Khorsabad, Göttingen 1993.

George 2003 A.R. George, The Babylonian Gilgamesh Epic, Vols. I-II, Oxford 2003.

Lucio Milano

66

Goodnick Westenholz 1997 J. Goodnick Westenholz, Legends of the Kings of Akkade, Winona Lake, Indiana 1997, 263-368.

Heimpel 1968 W. Heimpel, Tierbilder in der Sumerischen Literatur (St. Pohl 2), Roma 1968.

Herbordt 1992 S. Herbordt, Neuassyrische Glyptik des 8.-7. Jh. v. Chr. (SAA Studies 1), Helsinki 1992, 123-136.

Lambert 1963 W.G. Lambert, Babylonian Wisdom Literature, Oxford 1963.

Lambert 1970 W. G. Lambert, «The Sultantepe Tablets. IX: The Birdcall Texts», AnSt 20, 1970, 111-117.

Limet 1998 H. Limet, «Les animaux enjeu involontaires de la politique (au Proche Orient ancien)», in Les animaux exotiques dans les relations internationales : espèces, fonctions, significations. Journée d’études, Université de Liège (22 mars 1997), Liège 1998, 33-51.

Limet 2001 H. Limet, «Le bestiaire des proverbes sumériens», in C. Cannuyer et al. (édd.), L’animal dans les civilisations orientales (Acta Orientalia Beligica XIV), Bruxelles – Leuven 2001, 29-43.

Liverani 1979 M. Liverani, «The Ideology of the Assyrian Empire», in M.T. Larsen (ed.), Power and Propaganda. A Symposium on Ancient Empires (Mesopotamia 7), Copenhagen 1979, 297-317.

Liverani 1980 M. Liverani, «Stereotipi della lingua ‘altra’ nell’Asia anteriore antica», Vicino Oriente 3, 1980, 15-31.

Liverani 1998 M. Liverani, Le lettere di el-Amarna. 1. Le lettere dei “Piccoli Re”, Brescia 1998.

Luckenbill, Sennacherib D.D. Luckenbill, The Annals of Sennacherib (OIP II), Chicago 1924.

Marcus 1977 D. Marcus, «Animal Similes in Assyrian Royal Inscriptions», Or. NS 46, 1977, 86-106.

Maul 1995 S.M. Maul, «Das ‘dreifache Königtum’ – Überlegungen zu einer Sonderform des neuassyrischen Königssiegels», in U. Finkbeiner et al. (Hrsg.), Beiträge zur Kulturgeschichte Vorderasiens. Festschrift für Rainer Michael Boehmer, Mainz 1995, 395-402.

Pettinato 1992 G. Pettinato, La saga di Gilgamesh, Milano 1992.

Ponchia 1987 S. Ponchia, «Analogia, metafore e similitudini nelle iscrizioni reali assire: semantica e ideologia», OA 26, 1987, 223-255.

Il nemico bestiale

67

RIMA 1 A. K. Grayson, Assyrian Rulers of the Third and Second Millennia BC (to 1115 BC) (The Royal Inscriptions of Mesopotamia. Assyrian Periods, Vol. 1), Toronto 1987.

RIMA 2 A. K. Grayson, Assyrian Rulers of the Early First Millennium BC. I. (1114-859 BC) (The Royal Inscriptions of Mesopotamia. Assyrian Periods, Vol. 2), Toronto 1991.

RIMA 3 A.K. Grayson, Assyrian Rulers of the Early First Millennium BC. II (858-745 BC) (The Royal Inscriptions of Mesopotamia. Assyrian Periods, Vol. 3), Toronto – Buffalo – London 1996.

SAA III A. Livingstone, Court Poetry and Literary Miscellanea (State Archives of Assyria III), Helsinki 1989.

Schott 1926 A. Schott, Die Vergleiche in den akkadischen Königsinschriften (MVAG 30), Leipzig 1926.

Schramm 1973 W. Schramm, Einleitung in die Assyrischen Königsinschriften. Zweiter Teil: 934-722 V.Chr. (Handbuch der Orientalistik. Erste Abteilung: der Nahe und der Mittlere Osten V/1), Leiden – Köln 1973.

Tadmor, Tiglath-pileser Tadmor, The Inscriptions of Tiglath-pileser III King of Assyria, Jerusalem 1994.

Vila 1998 E. Vila, L’exploitation des animaux en Mésopotamie aux IVe et IIIe millénaires avant J.C. (Monographie du CRA 21), Paris 1998.

Watanabe 2002 Ch.E. Watanabe, Animal Symbolism in Mesopotamia. A Contextual Approach (WOO, Band 1), Wien 2002.

Weissert 1997 E. Weissert, «Royal Hunt and Royal Triumph in a Prism Fragment of Ashurbanipal (82-5-22,2)», in S. Parpola – R.M. Whiting (Eds.), Assyria 1995 (Proceedings of the 10th Anniversary Symposium of the Neo-Assyrian Text Corpus Project, Helsinki, September 7-11, 1995), Helsinki 1997, 339-358.

Winter 2000 I.J. Winter, «Le palais immaginaire: Scale and Meaning in the Iconography of Neo-Assyrian Cylinder Seals», in Ch. Uehlinger (Ed.), Images as Media. Sources of the Cultural History of the Near East and the Eastern Mediterranean (Ist Millennium B.C.), Göttingen 2000, 51-87.

Zaccagnini 1982 C. Zaccagnini, «The Enemy in the Neo-Assyrian Royal Inscriptions: the ‘Ethnographic’ Description», in H.J. Nissen, J. Renger (Hrsg.), Mesopotamien und seine Nachbarn (XXV Rencontre Assyriologique Internationale, Berlin 1978), Berlin 1982, 409-424.