Il vantaggio comparativo delle banche cooperative nella letteratura economica

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Il vantaggio comparativo delle banche cooperative nella letteratura economica 1 Olivier Butzbach 1. Introduzione La crisi bancaria del 2008 ha determinato un vasto esame di coscienza da parte dei regolatori del sistema bancario e degli studiosi. Nei tentativi di spiegare il collasso del sistema bancario negli Stati Uniti e in molti altri paesi, sono stati rilevati i "fallimenti drammatici della corporate governance e del risk management in molte grandi istituzioni finanziarie" e "una combinazione di un indebitamento eccessivo, investimenti rischiosi e la mancanza di trasparenza" (FCIC, 2011). Regolatori e studiosi convergono sul fatto che il business model seguito da molte grandi banche negli Stati Uniti e in Europa fosse profondamente sbilanciato. In sostanza, è stato rilevato che le banche al dettaglio si sono via via allineate al modello operativo delle banche d’affari investendo in attività sempre più rischiose, diversificando fin troppo le loro fonti di reddito, aumentando il loro leverage e abbandonando il modello tradizionale dell’ “originate- to-hold” a favore di quello dell’ “originate-to-distribute” tramite la cartolarizzazione dei mutui e dei prestiti. Nella sua relazione finale, la Commissione d’Inchiesta sulla Crisi Finanziaria istituita dal Congresso statunitense afferma, tra l’altro, che "i sistemi di compensazione ai dirigenti [delle grandi banche] hanno eccessivamente premiato l'assunzione di rischi a breve termine" (FCIC, 2011: 243). La crisi ha dunque ispirato dei piani di riforma del settore bancario che cercano di riequilibrare il business model delle banche. Negli Stati Uniti, il Dodd-Frank Act, approvato nel 2010 2 istituisce nuove autorità di 1 Si prega di non citare. Questo testo è in corso di pubblicazione nel volume “I problemi dello sviluppo economico e del suo finanziamento nelle aree deboli”, a cura di Adriano Giannola, Antonio Lopes e Domenico Sarno, in prossima pubblicazione con la casa editrice Carocci. 2 Il Presidente Obama ha firmato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act il 21 Luglio 2010, ma alla fine del 2011 mancano ancora molti decreti attuativi, e quindi la riforma rimane senza grandi effetti. 1

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Il vantaggio comparativo delle banche

cooperative nella letteratura economica1

Olivier Butzbach

1. Introduzione

La crisi bancaria del 2008 ha determinato un vasto esame dicoscienza da parte dei regolatori del sistema bancario e deglistudiosi. Nei tentativi di spiegare il collasso del sistemabancario negli Stati Uniti e in molti altri paesi, sono statirilevati i "fallimenti drammatici della corporate governance e del riskmanagement in molte grandi istituzioni finanziarie" e "unacombinazione di un indebitamento eccessivo, investimenti rischiosie la mancanza di trasparenza" (FCIC, 2011). Regolatori e studiosiconvergono sul fatto che il business model seguito da molte grandibanche negli Stati Uniti e in Europa fosse profondamentesbilanciato. In sostanza, è stato rilevato che le banche aldettaglio si sono via via allineate al modello operativo dellebanche d’affari investendo in attività sempre più rischiose,diversificando fin troppo le loro fonti di reddito, aumentando illoro leverage e abbandonando il modello tradizionale dell’ “originate-to-hold” a favore di quello dell’ “originate-to-distribute” tramite lacartolarizzazione dei mutui e dei prestiti.

Nella sua relazione finale, la Commissione d’Inchiesta sulla CrisiFinanziaria istituita dal Congresso statunitense afferma, tral’altro, che "i sistemi di compensazione ai dirigenti [dellegrandi banche] hanno eccessivamente premiato l'assunzione dirischi a breve termine" (FCIC, 2011: 243). La crisi ha dunqueispirato dei piani di riforma del settore bancario che cercano diriequilibrare il business model delle banche. Negli Stati Uniti, ilDodd-Frank Act, approvato nel 20102 istituisce nuove autorità di

1 Si prega di non citare. Questo testo è in corso di pubblicazione nel volume “Iproblemi dello sviluppo economico e del suo finanziamento nelle aree deboli”, a cura di Adriano Giannola, Antonio Lopes e Domenico Sarno, in prossima pubblicazione con la casa editrice Carocci.2 Il Presidente Obama ha firmato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer ProtectionAct il 21 Luglio 2010, ma alla fine del 2011 mancano ancora molti decretiattuativi, e quindi la riforma rimane senza grandi effetti.

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controllo e incorpora (parzialmente) la cosiddetta “regolaVolcker” volta a limitare l'esposizione delle banche commercialiverso gli hedge fund e fondi di private equity3. Nel Regno Unito, ilgoverno ha adottato alcune proposte dalla Commissione Indipendentesulle Banche (costituita dal governo nel 2010) sulla vigilanzabancaria – in particolare il cosiddetto “ring-fencing" ovvero lastretta separazione delle attività di banca al dettaglio da quelledi banca d’investimento.

D’altro canto vari studiosi hanno recentemente anche auspicato unritorno al cosidetto “narrow banking”, ovvero le attivitàtradizionali della banca al dettaglio4. Ad esempio, De Grauwe(2009) identifica due principali approcci alla regolamentazionebancaria. Il primo è l’approccio basato sui "principi di Basilea"delineato negli accordi successivi promossi dai banchieri centraliriuniti nella Banca dei Regolamenti Internazionali. Nonostante iprogressi dell’analisi dei rischi, e le modifiche introdotte da“Basilea I” e Basilea II e, dal 2010, da Basilea III, De Grauwesuggerisce che questo approccio sbaglia nell'assumere l'efficienzadei mercati dei capitali, e che favorisce potenziali conflitti diinteresse. Anche se studiosi come Giannola (2009) sostengono cheil concetto più cauto di capitale di rischio considerato daBasilea III può effettivamente rafforzare i vantaggi competitividelle banche tradizionali e cooperative, De Grauwe si pronunciaper un più tradizionale approccio “stile Glass-Steagall”5 alla

3 ll Dodd-Frank Act limita questi investimenti al 3% del “Tier 1 capital” dellebanche.

4 Naturalmente, la riflessione degli economisti non si è fermato ai confinidella teoria della banca, ma ha investito l'intera disciplina economica. Mentremolti contributi post-crisi muovono forti critiche contro le ipotesi di basedella teoria economica ortodossa (si veda, ad esempio, Akerlof e Shiller, 2009,per una sfida alla teoria dei mercati efficienti, o Stiglitz, 2010, per unattacco di ampia portata ala teoria economica mainstream), altri sono rimastifedeli alle ipotesi di base della razionalità individuale e diautoregolamentazione del mercato. Richard Posner, per esempio, sostiene nel suolibro sulla crisi che "l’imprenditore che massimizza i propri profitti ignorarazionalmente piccole probabilità che la sua condotta insieme a quella dei suoiconcorrenti possa far cadere l'intera economia." (Posner, 2009)5 Ispirato ovviamente alla regolamentazione bancaria legata al Glass-SteagallAct del 1933 negli Stati Uniti, che si basava sulla netta separazione traattività bancarie al dettaglio e attività di banca d’investimento. Il Glass-Steagall Act è stato formalmente abbandonato nel 1999 col Gramm-Leach-BlileyAct, anche se alcune componenti del Glass-Steagall erano già stati revocati daregolamentazioni adottate negli anni 1980.

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regolamentazione che circoscrive strettamente le attività bancarie(De Grauwe, 2009).

In modo simile, Gorton sollecita ugualmente un ritorno a vecchieregole bancarie che limitano lo scopo delle attività bancarie(Gorton, 2010). Più in generale, con la crisi economisti edirigenti politici hanno rimesso in discussione le teorie deimercati perfettamente efficienti che hanno incoraggiatol'innovazione finanziaria, la concorrenza, le privatizzazioni e leliberalizzazioni senza tener conto della stabilità sistemica.

È degno di nota, tuttavia, che tali riflessioni e ripensamentiabbiano ampiamente ignorato il relativo successo, nel corso deglianni, di molte banche cooperative che hanno evitato gli effettiestremi della crisi bancaria (fallimenti, crolli del valore dimercato, crisi di liquidità e di insolvenza, salvataggi di stato efusioni forzate). Le banche non-profit (casse di risparmio ebanche cooperative) non solo hanno resistito meglio delle banchecommerciali private durante e dopo la crisi6; hanno ancheeffettivamente conseguito performance migliori nei decenni passati- se si mettono a confronto l'efficienza dei costi, la rischiositào addirittura, in alcuni casi, la redditività. E’, questo, unparadosso per le teorie contemporanee della banca, perché lebanche non-profit sono per definizione estranee agli incentivi intermini di miglior performance che scaturiscono, secondol’ortodossia teorica, della massimizzazione del profittocaratteristica delle società per azioni. Questo paradosso è ilnostro punto di partenza nel presente capitolo: le banchecooperative hanno realizzato dei vantaggi competitivi rispettoalle banche private - in un contesto caratterizzato (prima dellacrisi) da una regolamentazione favorevole alle società per azionie alla libera concorrenza. In altre parole, come hanno scrittoCanning et al. (2003), "una questione centrale è il motivo per cuile banche non-profit nascono e sopravvivono in un mondo dominatoda società per azioni, gestite a scopo di lucro".

6 Non si pretende qui affermare che tutte le banche non-profit siano statiesenti dai comportamenti rischiosi legati alla crisi; infatti, il collasso delleLandesbanken tedesche e la crisi delle Cajas spagnole protegge da taletentazione. Però come diventerà più chiaro in seguito, ci sembra altrettantoevidente che le particolari caratteristiche delle banche cooperative le abbianorese immuni alle tentazioni speculative e alle cartolizzazioni di massa.

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Questo articolo trae spunti dalle teorie economiche della banca edella finanza7, per esplorare i vantaggi competitivi delle banchecooperative. Tale vantaggio competitivo è stato costituito, neltempo, da una maggiore fiducia della clientela, ampie reti retail euna migliore capacità al relationship banking fondata nel radicamentonelle istituzioni sociali locali delle banche cooperative.Infatti, come in certi casi le casse di risparmio ed alcune banchepubbliche (si può pensare al Banco di Napoli), le banchecooperative hanno servito le comunità locali di tutta Europa,alcune per secoli. Le grandi dimensioni delle loro reti, e le loroprudenti strategie di accumulazione hanno contribuito a fare dellebanche cooperative fonti anticicliche di finanziamento,accorciando e attenuando l'impatto delle recessioni. Inparticolare, le banche cooperative hanno potuto fornire ad impresee famiglie capitali più “pazienti” rispetto ai fondi ottenutidalle altre banche o dai mercati azionari, di particolareimportanza nei momenti difficili. Le relazioni più lunghe e piùfiduciose con i clienti (membri), e le loro ampie reti di venditaal dettaglio hanno consentito alle banche popolari un migliormonitoraggio dell’indebitamento delle imprese, soprattutto quandoi mercati non riescono a fornire informazioni accurate e deiprezzi affidabili. La loro governance basata sul coinvolgimentodei vari stakeholders (e non soltanto gli shareholders), e i loroprincipi fondamentali della sostenibilità a lungo termine delleattività bancarie, hanno protetto le banche cooperative deglieccessi della massimizzazione del profitto e dei rischi sistemiciinerenti al modello “originate-to-distribute”.

Il capitolo è organizzato come segue. Il paragrafo 2 proponealcune definizioni e una prima discussione delle peculiarità dellebanche cooperative discusse dalla letteratura. Il paragrafo 3offre un’analisi sintetica dello sviluppo storico delle banchecooperative in Europa. Il paragrafo 4 descrive i cambiamentifondamentali avvenuti nella regolamentazione, nella tecnologia enei mercati, che hanno profondamente trasformato il contesto incui operano le banche cooperative; il paragrafo 5 invece mostracome le banche cooperative si sono adattate a questo nuovocontesto, mentre il paragrafo 6 presenta e discute l’evidenzaempirica sulle performance delle banche cooperative negli ultimitrent’anni. Nel paragrafo 7 si analizza la letteratura teoricasulle banche e come essa possa essere utilizzata per capire il

7 Come Berger et al. (2010) oppure Bhattacharya e Thakor (1993)4

vantaggio competitivo delle banche cooperative, infine nelparagrafo 8 sono riportate alcune considerazioni conclusive.

2. Alcune definizioni: le banche cooperative e il “Narrowbanking”

Le banche sono istituzioni che accettano depositi e fannoprestiti. Questa è una definizione minimale dell’attività bancaria– una definizione che caratterizza l’attività tradizionale dellebanche. Naturalmente, le banche moderne fanno molte altre cose esvolgono un ruolo importante e talvolta dominante nei mercatifinanziari.8 In particolare, offrono una vasta gamma di prodottifinanziari alle imprese e alle famiglie, distribuiscono prodottiassicurativi, forniscono servizi di consulenza finanziaria,sottoscrivono e scambiano titoli e prodotti derivati e investonoin fondi d’investimento e hedge funds9. Possono anche detenerepartecipazioni e svolgere un ruolo nel governo delle imprese.Queste molteplici attività delle banche possono essere riassuntein un insieme limitato di funzioni economiche, come ilconsolidamento e la trasformazione del rischio, o la funzione piùgenerica di intermediario sul mercato del credito, come Gurley eShaw (1960) e Baltensperger (1980) hanno suggerito. Altri autori,come Allen e Gale, hanno proposto di definire le banche comeistituzioni in grado di “smussare” – smoothen - il rischio, ilrisparmio ed il consumo nel tempo (Allen e Gale, 2004) – unavisione che, come vedremo più avanti, permette di cogliere unaspetto fondamentale del business model delle banche cooperative.

In tutte queste proposte rimane, tuttavia, l’idea di un “corebusiness” – la raccolta di depositi e la concessione di prestiti -che corrisponde alla definizione minimale della banca menzionatasopra. Naturalmente, questa definizione minimale ha implicazioniimportanti. Da un lato, molti studi recenti hanno mostrato comel’allontanamento delle banche da quel modello tradizionale può

8 Oppure, come si può leggere in un libro di testo contemporaneo, una banca sipuò definire come “un’ istituzione con molti aspetti, con un personale conmolteplici competenze, che conduce molte attività diverse” (Matthews e Thompson,2008).

9 Naturalmente, mentre le banche hanno diversificato e ampliato la gamma diprodotti offerti, hanno dovuto affrontare la crescente competizione da entitànon bancari come società finanziarie, assicurazioni, fondi pensione, fondicomuni, associazioni di mutua garanzia di credito, associazioni di mutuo e dirisparmio che spesso offrono prodotti e servizi analoghi.

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essere considerato un fattore centrale nell’aumento dellarischiosità sistemica del sistema bancario. Dall’altro lato, unadelle implicazioni di questo ragionamento è che le riformebancarie odierne dovrebbero tornare alle origini e incoraggiare lebanche a non discostarsi dal loro core business (De Grauwe, 2009;Gorton, 2009).

Tali riflessioni, sia teoriche sia policy-oriented, sul ruolo dellebanche, suscitano due osservazioni legate alle banche cooperative,che saranno sviluppate nei prossimi paragrafi. La primaosservazione è che questa definizione ristretta dell’attivitàbancaria conviene piuttosto bene agli approcci tradizionaliseguiti dalle banche cooperative, che hanno dimostrato dipossedere un vantaggio competitivo piuttosto che uno svantaggio.La seconda osservazione è che i modelli teorici della bancaignorano una serie di fattori cruciali per capire il motivo percui le banche cooperative hanno continuato a seguire tale modellomalgrado l’evoluzione nella direzione opposta nel contestoregolamentare e di mercato. In particolare, le teorie della bancaignorano la loro funzione sociale e che esse sono istituzioniprofondamente radicate nella società e nelle istituzioni di unpaese o di una regione. Come vedremo in seguito ci sono in realtàmodi per considerare l’importanza di tali fattori tramite l’uso diteorie diffuse in economia finanziaria – e in particolare leteorie dell’agenzia. A questo punto però diventano necessariealcune definizioni.

Si definiscono banche cooperative istituzioni creditizie cheappartengono ai loro membri, come ogni impresa cooperativa. Questoparticolare modello di governance, che possiamo chiamaregovernance orientata verso gli stakeholders, o stakeholder-basedgovernance, si differenzia ovviamente dal modello opposto, checorrisponde alla gestione e al governo delle società per azioni,ossia la governance orientata verso gli shareholders, o shareholder-based governance. Le implicazioni di queste caratteristiche digovernance, per il settore bancario, sono notevoli. Schmidt (2004)sostiene che la stakeholder-based governance nelle banche cooperativefavorisce la voce (voice) piuttosto che l’uscita (exit)10, e quindigenera incentivi ad un miglior controllo della gestione deidirigenti. Coco e Ferri (2010) mostrano come la governance dellebanche cooperative abbia come conseguenza una maggiore stabilità10 Un ovvio riferimento a Hirschmann e il suo Exit, Voice and Loyalty, spesso citatonei lavori sulla corporate governance (Hirschmann, 1970).

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degli amministratori e quindi una gestione più stabile e piùorientata verso obiettivi di lungo periodo. In generale, gliosservatori delle banche cooperative sottolineano la centralitàdel modello di governance per identificarne le particolarità(Fonteyne, 2007).

Il modello di governance, tuttavia, non basta per capire ilvantaggio competitivo delle banche cooperative. Non basta, inprimo luogo, perché esiste una pluralità di modelli di bancacooperativa, a prescindere dalla governance (basta pensare allebanche popolari e le banche di credito cooperativo in Italia). Insecondo luogo, la governance non basta da sola a definire e spiegareun modello di business perché banche cooperative con un modello digovernance stakeholder-based comunque si comportano in modo molto similealle banche non cooperative. La governance stakedholder-based, in altreparole, è un elemento necessario ma non sufficiente peridentificare cos’è una banca cooperativa. Per completare la nostradefinizione bisogna integrare altri aspetti legati allagovernante, ma distinti da essa.

Infatti, la stakeholder-based governance implica anche il coordinamentoe la cooperazione al di fuori della banca con altre organizzazionie forze sociali – sindacati, associazioni di membri, associazionid’impresa, altre banche cooperative, forze politiche e socialilegate al territorio. Questo profondo radicamento – l’embeddednessgià messo in luce da Karl Polanyi in un altro, benchè nonlontanissimo contesto – rinvia all’estensione della definizionedella banca menzionata sopra. Questo radicamento, inoltre,fornisce nuovi elementi di differenziazione delle banchecooperative dalle banche società per azioni legate tramite ilpotere azionario ai mercati finanziari. In altre parole, anche inuna situazione in cui una banca cooperativa e una banca societàper azioni facciano entrambe ricorso al mercato per rifinanziarsi,sia il modello di governance sia il diverso grado di radicamentoavranno un impatto sul significato (sulle conseguenze operative)del ricorso alla finanza di mercato.

Infine, oltre alla loro governance e il loro radicamento socio-economico, le banche cooperative si distinguono dalle altre bancheanche dalla loro propensione ad adottare strategie con obiettividi lungo termine quali, ad esempio, la sostenibilità dei profitti(Coco e Ferri, 2010). In tal senso si può parlare di un doppioobiettivo (“double bottom line”) per le banche cooperative (Ayadi et

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al., 2009), nel senso che anche se le banche cooperative hannobisogno di generare profitti per sopravvivere quali impresebancarie autonome, non cercano di massimizzarli.

Ultima caratteristica importante delle banche cooperative riguardala dialettica organizzativa tra radicamento (e dimensione) localee coordinamento settoriale garantito dalle reti. Tali reti, avolte istituite in organizzazioni autonome (le famose Girozentralennel caso tedesco) permettono la costituzione su larga scala delleriserve di capitale che creano altre garanzie al proseguimento diobiettivi di lungo termine. Tutte queste caratteristiche sono ilprodotto della storia, e del lungo sviluppo delle banchecooperative insieme al contesto socio-economico in cui esse sonoradicate, come vedremo nel prossimo paragrafo. In quanto tale,questa lenta evoluzione storica svolge un importante ruolonell’attribuzione alle banche cooperative del vantaggiocompetitivo che analizzeremo in seguito.

L’articolazione organizzativa particolare delle banche cooperativele avvicina non alle cooperative di credito, le credit unions diffusenel mondo anglosassone (McKillop e Wilson, 2011), bensì all’altratipologia di banca non-profit, le casse di risparmio, pure esseprofondamente radicate nel tessuto bancario europeo. Come lebanche cooperative, le Casse di risparmio sono in genere banchelocali e regionali indipendenti (o autonome, come nel casofrancese delle Caisses d’épargne) che sono associate per le attivitàdi banca all’ingrosso, le operazioni di pagamento e la fornituradi altri servizi come l'asset management, le operazioni sul mercatodei capitali, il leasing, il factoring e le attività di assicurazione.Sia le banche cooperative, sia le casse di risparmio associanoalla banca al dettaglio locale potenti reti regionali e nazionaliin grado di realizzare economie di scala. Quest’articolazione,come vedremo dopo, costituisce una delle fonti del vantaggiocompetitivo delle banche cooperative e anche, in questo caso,delle casse di risparmio. Però queste ultime si distinguono dallecooperative dalla loro struttura proprietaria, essendo, infatti,non possedute dai loro membri, come nel caso delle cooperative,bensì da istituzioni, private o pubbliche. Questa diversastruttura proprietaria può avere conseguenze importanti in terminidi governo d’impresa. In altre parole, i benefici scaturiti dallagovernance delle cooperative non si materializzano nel caso dellealtre banche non profit, il che spiega come, in alcuni casi, labassa propensione al rischio delle banche cooperative, attribuita

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in parte agli specifici profili di governance, non si ritrovinelle banche pubbliche11. D’altronde, le casse di risparmio inmolti paesi hanno subito trasformazioni importanti negli ultimidecenni – ed è interessante notare come in alcuni casi, comequello francese, si siano avvicinate proprio al modellocooperativo12.

3. Sviluppo storico della banca cooperativa

Le società cooperative che hanno prosperato sono quelle che hannocostituito il proprio capitale mediante il risparmio eroico, da partedei lavoratori, di una parte della loro retribuzione giornaliera.Coloro invece che sono fallite sono quelle alle quali il governo haerogato finanziamenti nel 184813.

Il modello specifico della banca cooperativa, descritto sopra inmodo sintetico, è un prodotto della storia – di una lunga storia.

Le banche cooperative sono emerse in Germania durante il XIXsecolo, per lo più come istituzioni filantropiche e di mutuosoccorso (self-help), volte ad incoraggiare i lavoratori ad unirerisorse e ad accumulare risparmio. In particolare, invece dicercare di massimizzare il profitto dei loro proprietari(assumendo che questo sia stato lo scopo dei fondatori dellebanche private nel XIX e XX secolo, ipotesi a dir vero non moltorealistica), le banche cooperative sono state create dai loromembri e da filantropi con la missione di sostenere le attivitàproduttive dei contadini, degli artigiani e di permetterel’accumulazione di denaro alle famiglie a basso reddito. Questoformava il nucleo dei modelli Schulze-Delitzsch (nei piccolicentri urbani) e Raiffeisen (nel mondo rurale) di movimenticooperativi di credito. Dall’inizio, le banche cooperative sonostate istituite come intermediari bancari (accettando depositi efacendo prestiti) sul modello di governance "un membro, un voto"tipico delle cooperative. 11 Così si potrebbe leggere il collasso delle banche pubbliche regionali tedesche(le Landesbanken) in seguito alla crisi del 2007-08. Le Landesbanken appartengonoal settore delle casse di risparmio, anche se sono organizzazioni molto diversesia per le attività, sia per la struttura della governance, dalle casse dirisparmio locali.

12 Ci si può rinviare qui ad altri lavori, come Butzbach (2006), sullatrasformazione delle casse di risparmio francesi ed italiane.13 Cfr. Schulze, citato da Macloed (1896)

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Dalla Germania, il movimento ben presto si estese ad altri paesieuropei, come l’Austria e l’Italia. Nella seconda metà del XIXsecolo, le cooperative di credito in Europa conobbero una rapidaespansione, in due fasi. La prima fase (sviluppo delle attività didettaglio) consistette nel graduale accumulo dei depositi arisparmio e del capitale di riserva. La seconda fase (sviluppodelle attività all'ingrosso) corrispose, da un lato, allo sviluppodi servizi alla clientela quali conti correnti e, dall’altro,all'organizzazione in rete delle cooperative di credito tramite losviluppo di servizi wholesale come le attività di pagamentotransfrontaliero. Nel periodo dal 1876 al 1893, secondo Macloed(1896), il numero dei membri delle banche cooperative aumentò da77.340 a 405.341 187, con una forte rappresentaza di piccoliagricoltori, piccoli produttori, commercianti, insegnanti eimpiegati. Questo conferma la composizione sociale del movimentocooperativo, prevalentemente rurale e di colletti bianchiriportato dagli storici (Fishlow, 1972; Cameron 1967). Dallaseconda metà dell’ottocento datano quelle caratteristiche dellabanca cooperativa sopravissute fino ad oggi: il modello digovernance, il business model di banca locale al dettaglio el’organizzazione in reti.

Come visto sopra, la governance delle banche cooperative è quelladel “un membro, un voto”. Il modello di business è quello dellabanca locale al dettaglio, orientata verso la stabilità a lungotermine, un livello di profittabilità “soddisfacente” (satisfying,per riprendere il vocabolario degli economisti evoluzionisti) e ilsostegno al tessuto socio-economico locale. Quel business model fuminacciato da tentativi di controllo da parte di governiautoritari e fascisti durante gli anni precedenti alla SecondaGuerra Mondiale. Dopo il 1945, tuttavia, le banche cooperativeriacquistarono la loro autonomia e guadagnarono ampie quote dimercato in molti paesi europei, pur rimanendo meno importanti neisistemi finanziari basati sulle transazioni di mercato (e non suiprestiti bancari) come quelli degli Stati Uniti e del Regno Unito.

Un'altra caratteristica chiave delle banche cooperative, giàmenzionata sopra, è la loro struttura organizzativa con attivitàdi banca all’ingrosso concentrate su livelli (territoriali)superiori Questo secondo livello è emerso in Germania nel 1895 conla creazione di “centrali” di agenzie cooperative, o Girozentralen.Queste attività all'ingrosso sono cresciute nel tempo, alimentatedall’accumulo dei risparmi dei clienti, gestendo man mano

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portafogli di crediti, gli equilibri di capitale per i soci e leriserve. L'espansione dei depositi interbancari, a partire dallaseconda metà dell’Ottocento, riflette anche la graduale espansionedelle banche cooperative lontano dal core business del risparmio edel credito per i membri verso altri prodotti bancari e servizi(MacLeod, 1896). Le serie storiche disponibili (Bundesbank, 1976)mostrano come i servizi dei pagamenti interbancari, le riserve dimetalli preziosi, le attività sui mercati dei cambi e dei titoli,il credito interbancario, le accettazioni e le riserve dicapitale, abbiano favorito la crescita delle Girozentralen a livellocentrale (una in Prussia, nove in tutti gli stati tedeschi,consolidate poi in 6 dal 1913). Questo sviluppo dal basso del“secondo livello” di attività all’ingrosso si è verificato neglialtri paesi europei con una forte presenza di banche cooperative:dall’Italia (MacLeod, 1896) alla Francia (Gueslin, 2002) e alPortogallo (Cabo e Rebelo, 2005). In alcuni casi, lo Stato svolseun ruolo decisivo nell’istituzione di istituti centrali, il chemostra la natura non necessariamente concorrente dei rapporti trapolitiche statali e movimento cooperativo.

Nel corso del Novecento, e in particolare dopo il 1945, il rapidoaccumulo di depositi e risparmi da una parte e dei crediti ailavoratori autonomi, alle piccole imprese e alle famigliedall’altra, hanno fatto guadagnare alle banche di creditocooperative quote di mercato significative nel sistema bancariodomestico di vari paesi europei, diventando un elemento importantenello sviluppo economico dei paesi in questione nei decennisuccessivi. All’alba degli anni ’80 del Novecento, le banche dicredito cooperativo furono però costrette a confrontarsi con unaserie di fenomeni che cambiarono profondamente il contestoregolamentare e di mercato dove operavano – una trasformazionedecisamente favorevole alle banche commerciali private, che quindisuscitò molti interrogativi sulla sopravvivenza delle banche nonprofit come vedremo nel paragrafo seguente.

4. Le banche cooperative di fronte alla doppia rivoluzione difine Novecento: liberalizzazioni e innovazione tecnologica

4.1. La doppia rivoluzione degli anni ‘80

Come visto sopra, il graduale (ma rapido) sviluppo delle banchecooperative nell’Ottocento e nel Novecento ha garantito allestesse una posizione importante nei sistemi finanziari nei paesi

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europei. Tuttavia, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio deglianni ’90 del secolo scorso, le banche cooperative affrontarono unaserie di shocks potenzialmente minacciosi sia per il loro businessmodel che per la loro identità.

In primo luogo, nuovi regimi macroeconomici si affermarono inquegli anni (a cominciare dalla politica anti-inflazionistaimposta dal Paul Volcker al vertice della Federal Reserve dal 1979),modificando profondamente i vincoli e gli incentivi connessi conla politica monetaria. Come osservano Forsyth e Notermans, "ilregime di crescita degli anni ‘50 e ‘60 si affidava alle politichemonetarie e fiscali (macro-politiche) per stimolare la domanda e,quindi, promuovere la crescita e l'occupazione, e alle politichedel mercato del lavoro e alla regolamentazione dei mercatifinanziari (micro-politiche) per frenare l'inflazione; alcontrario, il regime dis-inflazionistico degli anni ‘80 e ‘90affidava, e si basa ancora, principalmente sulla politicamonetaria (macro-politica) per combattere l'inflazione e mantenerel'equilibrio esterno, e su politiche dell'offerta, compresi itagli fiscali selettivi e altri incentivi agli investimenti(micro-politiche) per promuovere la crescita e l'occupazione”(Forsyth e Notermans, 1997). Questi nuovi regimi posero fine aisistemi di governo centralizzato del credito creati negli anni ‘70da alcuni paesi (Francia e Italia) per rispondere ai problemicreati dalla stagflazione. Le banche, in altre parole, nonpotettero più essere usate come strumenti delle politicamonetaria.

In secondo luogo, la rivalutazione delle politiche dell’offertaebbe come conseguenza politiche di liberalizzazione dei flussi dicapitali all’interno come all’esterno dei vari paesi coinvolti. Laglobalizzazione finanziaria, come lo ricorda Helleiner (1994), èin larga misura un prodotto delle politiche negli anni ‘70 e ‘80.Oltre alla rimozione dei controlli sui capitali e all’abbandonodelle politiche di monetizzazione del deficit, direttamente legateal cambio di regime macroeconomico descritto sopra, i governieuropei decisero, negli anni ‘80, di favorire l’accelerazionedell’integrazione del mercato dei capitali e di adottare regolecomuni per la regolamentazione finanziaria.

Il rilancio dell’integrazione economica europea coincise con altridue cambiamenti nelle politiche di regolamentazione finanziaria inmolti paesi: la liberalizzazione del settore bancario da un lato e

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l’adozione di regole prudenziali dall’altro. La liberalizzazionedel settore bancario comportò la de-segmentazione dei mercati (sipensi, ad esempio, alla separazione netta tra attività di bancad’investimento e attività di banca al dettaglio, ereditata daglianni Trenta), la privatizzazione delle banche pubbliche epolitiche mirate a favorire la concorrenza nei vari segmenti delsistema finanziario. Tali riforme dovevano, nelle intenzioni deilegislatori, cambiare in profondità l’organizzazione e ilfunzionamento del sistema bancario in un senso favorevole aiclienti. Per molti, infatti, un sistema bancario liberalizzato sibasava in larga misura “sulla preferenza data ad un orientamentoal mercato e delle strategie volte a soddisfare la domanda”(Gardener 1994: 59). Inoltre la riduzione delle barriereall’entrata del mercato bancario era vista favorevolmentenell’ambito del "Washington consensus" - quel ampio programma diriforme orientate al mercato, e diffuso sotto l’influenza del FMI,della Banca Mondiale e del Tesoro degli Stati Uniti negli anni ‘80e ‘90.

In altri termini, così si ipotizzava, la liberalizzazione delsettore bancario avrebbe avuto effetti positivi sul settorefinanziario di un paese e, quindi, sul suo sviluppo economico.Tale visione era sostenuta da un folto numero di studi accademiciin cui si sottolineava l’inefficienza delle varie forme diproprietà pubblica delle banche, la superiorità della proprietàprivata e l’opportunità di favorire l’ingresso di banche esterenei mercati domestici14 - ignorando completamente il contributo delsettore bancario non profit15.

Un altro fattore di trasformazione del contesto regolamentare incui operano le banche cooperative riguarda il passaggio da unsistema di regolamentazione strutturale (o soggettiva) ad unsistema di regolamentazione prudenziale (oggettiva), basata sui

14 Una grande parte degli studi empirici che rilevano che le banche recentementeacquisite da banche straniere erano più efficienti e più redditizie, concludendoall'impatto positivo dell’acquisizione, non mostra grande riguardo per ilrischio di collinearità – gli acquirenti stranieri mirano prima di tutto lebanche più efficienti e remunerative sul mercato interno.

15 Solo recentemente le istituzioni finanziarie internazionali si sonointeressate alle banche non-profit. Si veda, per la Banca Mondiale, Cuevas eFischer (2006) e, per il FMI, Fonteyne (2007). Questi lavori sono, comunque,documenti di ricerca e non riflettono necessariamente le politiche di questeistituzioni.

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famosi ratios patrimoniali adottati e diffusi nell’ambito dei variaccordi di Basilea dal 1988 in poi.

Infine, le innovazioni tecnologiche degli anni ‘80 e ‘90 hannoradicalmente trasformato il funzionamento dei mercati finanziari edei sistemi di pagamento. La diffusione di sportelli automaticiprima, poi l’avvento dell’e-banking e del mobile banking hannomoltiplicato i punti di accesso ai servizi bancari.L’interconnettività e lo scambio d’informazioni in tempo reale,garantiti dall’informatizzazione dei mercati, ha rafforzatol’interdipendenza tra Istituti bancari e tra banche e mercati. Leinnovazioni hanno pure contribuito a cambiare il comportamento deiclienti delle banche.

Infatti, i cambiamenti nei comportamenti delle imprese e dellefamiglie costituiscono un altro fattore di trasformazione delsistema bancario. Le grandi imprese furono le prime a cambiare. Difronte a tassi di interesse reali elevati in seguito alla strettamonetaria dei primi anni’80, e incoraggiate dalla crescita rapidadei mercati azionari, molte grandi imprese europee cominciarono arivolgersi al mercato per le loro esigenze di finanziamento,abbandonando contemporaneamente i loro creditori tradizionali, legrandi banche, che dovettero adottare nuove strategie – alcunecercarono di entrare sul mercato del credito alle piccole imprese,spesso senza successo, come nel caso della Germania, dove lebanche cooperative seppero tener duro sulle loro posizioni. Glistessi motivi spinsero molte imprese di medie dimensioni asostituire ai prestiti bancari obbligazioni e strumenti dicapitale emessi sui mercati.

Le banche dovettero affrontare sfide simili sul lato dellaraccolta. Anche le famiglie, infatti, furono spinte da varifattori a cambiare i loro comportamenti rispetto al risparmio e ailoro rapporti con le banche. Di fronte al basso rendimento deiprodotti tradizionali di risparmio (spesso associati alle banchenon profit, come le casse di risparmio, ma anche le banchecooperative), le famiglie furono tentate di dirottare i lororisparmi verso prodotti scambiati sui mercati, come fondid’investimento che offrivano la possibilità di diversificare ilproprio portafoglio e guadagnare interessi reali positivi sulproprio risparmio16.

16 Per esempio, dalla metà degli anni 1970 fino alla metà degli anni 1980, iltasso di interesse reale guadagnati sul risparmio amministrato ("Livret A") in

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Per gli stessi motivi (interessi reali negativi o trascurabili), eper la crescita debole dei redditi da lavoro, le famigliecominciarono a sostituire ai fondi da risparmio a breve termine(progettati per proteggerli contro la disoccupazione) dei fondi alungo termine, progettati per integrare le pensioni pubbliche. Ciòha profondamente cambiato le strategie delle banche,apparentemente meno sensibili al loro credito presso i depositantiche alla loro credibilità presso i mercati dei capitali. Comeosserva Verdier, "la duplice dipendenza delle banche dei mercatimonetari e del rating svolge oggi un ruolo simile a quello svolto,nel secolo scorso, dalla paura di una corsa agli sportelli daparte dei depositanti" (Verdier, 2002). Questa osservazione, però,è stata fatta prima della grande crisi del 2007-08 in cui inInghilterra si è assistito alla prima corsa agli sportelli dal1866.

Di fronte a questi cambiamenti radicali, un vasto dibattito haavuto luogo negli anni ‘80, sul futuro del settore bancario(Commissione Europea, 1990). Un consenso è emerso allora nelprevedere il graduale avvicinamento del sistema bancario almercato dei capitali, con conseguenze negative sul mondo dellebanche non profit, attraverso quattro tendenze: (i) l’aumentodella concorrenza; (ii) la disintermediazione bancaria; (iii) lamercificazione del sistema bancario - cioè l'accresciuto ricorsodelle banche ai mercati finanziari per i loro ricavi, e latrasformazione delle strategie bancarie per adattarsi meglio agliincentivi e vincoli di mercato; e (iv) la "razionalizzazione"delle strutture bancarie - cioè la ristrutturazione del sistemabancario attraverso fusioni e acquisizioni.

4.2. Le risposte delle banche cooperative

Le sfide poste dalla liberalizzazione del sistema bancario hannospinto le banche cooperative a reagire, tramite una vasta gamma distrategie. In primo luogo, le banche cooperative sono statecoinvolte nella vasta onda di ristrutturazioni bancarie iniziatanegli anni ‘80. Molto banche cooperative locali o regionali sonostate accorpate, causando una rapida riduzione del numero diistituti cooperativi17. Nello stesso tempo il “secondo livello”Francia è stata negativo, dato un tasso di interesse fisso e un’ inflazioneelevata.

17 In Germania, ad esempio, il numero totale delle banche cooperative è sceso daoltre 3.000 nel 1980 a meno di 900 nel 2010.

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costituito dalle divisioni all'ingrosso e i servizi di rete èstato rafforzato, per meglio rispondere all’ampliamento dellagamma di prodotti offerti ai soci e clienti.

Le banche cooperative hanno così mantenuto o ampliato le loroquote di mercato, cercando nello stesso tempo di conservare illoro core business tradizionale. Oltre al mantenimento del lorovantaggio competitivo nelle loro mercati tradizionali, le banchecooperative hanno anche perseguito strategie di espansione, comenei servizi bancari all’ingrosso, nel sostegnoall’internazionalizzazione delle imprese, nella presenzaall’estero e le attività sui mercati dei capitali. Tuttavia,rispetto alle società per azioni, le banche cooperative tendono aoffrire prodotti e servizi standardizzati e dei tassi di interessein linea con il loro modello di impresa no profit. Questacombinazione di modernizzazione e conservatorismo sembra averpermesso alle banche cooperative di mantenere quote di mercatosignificative in vari paesi europei.

Nel 2009, le quote di mercato delle banche cooperative nelsegmento del credito alle piccole e medie imprese era compresa trail 25 e il 45 per cento in Italia, Francia, Germania e PaesiBassi18. Le quote di mercato nella rete di distributori automaticiha raggiunto nello stesso anno oltre il 50 per cento in Francia ein Austria e oltre 35 per cento in Germania e nei Paesi Bassi.

Il crollo momentaneo dei mercati finanziari dopo lo scoppio dellabolla della new economy nel 2001 sembra aver indirizzato verso lebanche cooperative clienti desiderosi di una maggiore sicurezzanella gestione dei loro risparmi. Ad esempio, il numero dei membridella Rabobank olandese, sceso dal picco di un milione nel 1980 acirca 500.000 nel 2000, riprese a crescere negli ultimi anni finoa raggiungere oltre 1,6 milioni.

Le banche cooperative si sono quindi rafforzate quale pilastroimportante in molti sistemi bancari europei, mantenendo quote dimercato comprese tra un terzo e la metà dei prestiti alle piccoleimprese e dei depositi. Le loro caratteristiche (rete capillare,banca al dettaglio, governance orientata verso gli stakeholders)hanno guadagnato alle banche cooperative, in un recente studio delgruppo di consulenza Oliver Wyman il soprannome di "campioni del

18 Fonte: Associazione Europea delle Banche Cooperative.

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cliente" in grado di competere con le banche private e straniereanche dopo la liberalizzazione del settore bancario europeo(Wyman, 2010).

5. La performance comparata delle banche cooperative

A dispetto di tante previsioni, le banche cooperative hannoevitato l'impatto potenzialmente devastante dell'onda di riformeregolamentari negli anni ’80 e ‘90. Attraverso varie strategie, lebanche cooperative si sono modernizzate, hanno mantenuto le loroposizioni competitive, conservando o guadagnando quote di mercato,soprattutto nelle attività di banca al dettaglio (depositi, contidi risparmio e prestiti alle imprese e famiglie). Le banchecooperative hanno anche mostrato performance superiori a quelledelle banche società per azioni, sia in termini di redditività siain termini di efficienza, sia in termini di rischio. Una crescenteletteratura empirica documenta questa performance superiore in unaprospettiva comparata19, ispirandosi, da un lato, ad una tradizionedi studi sul nesso struttura-condotta-performance e, dall'altro,ad un insieme più recente di lavori sui legami tra proprietà eperformance nel settore bancario20 Gli studi empirici citatievidenziano che negli ultimi tre decenni e soprattutto a ridossodella crisi del 2007-08, le banche cooperative hanno mostratoperformance migliori dei loro concorrenti privati in termini diefficienza dei costi, di redditività e di stabilità.

5.1 Efficienza dei costi

Nel complesso, sia le banche cooperative sia le casse risparmio(spesso associate negli studi in oggetto) si trovano ad esserealmeno altrettanto efficienti come i loro concorrenti commerciali.In uno studio recente, Ayadi et al.(2009) mostrano che le casse dirisparmio europee sono chiaramente tanto cost-efficient quanto lebanche commerciali, mentre la situazione è un po’ meno chiara perquanto riguarda le banche cooperative europee: Gli autori trovanoche, mentre le banche cooperative tedesche risultano leggermente

19 Come Altunbas et al. (2003) sostengono, la maggior parte degli studi empiricisulla performance delle banche era focalizzata fino agli inizi dell’ultimodecennio, sul settore delle banche commerciali prevalentemente negli StatiUniti, ad eccezione di qualche studio comparato sulla performance delle banchepubbliche (statali) - mentre gli studi sulle performance delle casse dirisparmio e delle banche cooperative sono stati fino ad allora per lo più basatisu singoli paesi e quindi non comparativi.20 Si rinvia a Berger et al. (2000) per una rassegna.

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meno cost-efficient delle banche società per azioni, le banchecooperative francesi, italiane e spagnole lo sono molto di più.Questo risultato è in linea con l’evidenza empirica presentata daIannotta et al. (2007), che mostra che in 15 paesi europei, lebanche pubbliche e cooperative sono più relativamenti piùefficienti sotto il profilo allocativo21. Similarmente, Altunbaş etal. (2003) trovano valori del livello di efficienza di costoleggermente più alti nelle casse di risparmio e nelle banchecooperative su un campione di banche in 15 paesi europei e negliStati Uniti tra il 1990 e il 2000. In particolare, casse dirisparmio e banche popolari risultano essere più convenientirispetto alle banche private. A livello nazionale gli studi, comeAltunbas et al. (2001) sulla Germania, Giordano e Lopes (2008) sulsettore cooperativo italiano22, o Ceneboyan (1993) sulle casse dirisparmio negli Stati Uniti, mostrano ancora una volta risultatisimili. Una rara eccezione è lo studio di Mester (1993), il quale,al contrario, su un campione di oltre 1.000 Casse di risparmiostatunitensi (Savings and Loans institutions), trova che quellestrutturate in società per azioni superano quelle cooperative intermini di efficienza di costo. Infine, possiamo menzionareCanning et al. (2003) che, nel discutere le funzioni obiettivodelle istituzioni finanziarie non-profit, ammettono la possibilitàche le banche cooperative potrebbero avere un vantaggio nel"raggiungere risultati economicamente efficienti." Tuttavia, essiattribuiscono questo risultato alle carenze del mercato e alpresunto potere monopolistico delle banche cooperative. Comevedremo invece più avanti, si sostiene qui che sono precisamentele caratteristiche peculiari del modello operativo edorganizzativo delle banche cooperative che ne garantiscono ilsuccesso.

5.2 Redditività

Se si guarda alla redditività, l'evidenza empirica sembra di nuovoessere a favore delle banche cooperative. Questo sembra unparadosso, data l’assenza di un obiettivo di massimizzazione deiprofitti nelle banche cooperative – senza, appunto, fini di lucro.Berger et al. (2005) formulano un "avvertimento" verso i risultatimostrati da vari studi sulla redditività delle banche pubbliche,

21 Però il campione alla base di questi risultati è particolarmente ristretto,composto di 181 banche di grandi dimensioni.

22 Si veda anche il contributo di Giordano e Lopes nel presente volume.18

in quanto "le misure di performance e le conseguenze economicheimpiegate in questi studi non sempre corrispondono agli obiettiviespliciti della banche a proprietà statale. Un simile avvertimentopotrebbe applicarsi agli studi sulla performance delle banchecooperative, non fosse chiaro, appunto, che queste banche sembranoprecisamente più redditizie di quelle il cui obiettivo è dimassimizzare la redditività. Questo avvertimento dovrebbe comunqueportarci a respingere quegli studi che basano il loro confrontoesclusivamente su misure chiaramente fondate sulla performanceazionaria delle banche, il che ovviamente favorisce le banchesocietà per azioni23.

Vari studi che comparano la redditività delle banche pubbliche aquella delle banche private (Dietrich e Wanzenried, 2011; MillonCornett et al., 2010; Micco et al., 2007; Bonin, 2005; Molyneux eThornton, 1992). Allo stesso modo, l’evidenza sulla superioreredditività delle banche cooperative è mista. Nel loro studioeuropeo, Ayadi et al. (2010) trovano che le banche cooperativetedesche e spagnole sono più redditizie rispetto alle banchecommerciali - ma non in altri paesi. Su un un piccolo campione cheesclude piccole banche cooperative e casse di risparmio, Iannottaet al (2007) trovano che le banche pubbliche e cooperative sianoinvece meno redditizie delle banche commerciali. Pure Altunbas etal. (2003) trovano che le banche commerciali europee sonoleggermente più redditizie rispetto alle loro concorrenti non-profit. Questi risultati vengono ribaltati in una serie di studi alivello nazionale: sia Chakravarty e Williams (2006) sullaGermania che Crespi et al. (2004) sulla Spagna, Altunbas et al.(2001) sulla Germania, Valneck (1999) sul settore britannico dellebuilding societies e Cebenoyan et al. (1993) sugli Stati Uniti trovanoche le banche senza fine di lucro sono più superiori alle banchecommerciali in termini di redditività.

5.3 Rischio

Oltre ad essere non meno efficienti e non meno redditizie, lebanche cooperative sembrano pure essere meno propense al rischio -cioè la loro redditività tende ad essere molto più stabile neltempo dei profitti volatili delle banche commerciali private, chetendono ad essere esposti alle variazioni dei rendimenti dimercato. Gli studi empirici mostrano che le banche cooperative (e23 Si vedano, ad esempio, Cole e Mehran (1998), che utilizzano un campione dicasse di risparmio statunitensi.

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anche le casse di risparmio) (i) sono più stabili nel tempo intermini della volatilità dei loro guadagni (misurata tra l'altrocon lo z-score) rispetto alle banche commerciali, (Ayadi et al,2010; Ayadi et al, 2009; Beck et al., 2009; Bongini e Ferri, 2008;Garcia-Marco e Robles-Fernandez, 2008; Cihak e Hesse, 2007;Iannotta et al, 2007; Salas e Saurinas, 2002; Esty, 1997); (ii)presentano una più bassa probabilità di default (Ayadi et al,2009; Beck et al, 2009; Garcia-Marco e Robles-Fernandez, 2008); e(iii) hanno una proporzione minore di sofferenze nel loroportafoglio prestiti rispetto alle banche commerciali (Beck et al,2009; Salas e Saurina, 2002). Inoltre, Carbo Valverde et al.(2008) mostrano che la presenza di banche cooperative e casse dirisparmio riduce il rischio complessivo nei sistemi bancari. Anchegli studi di La Porta et al. (2002), Cornett et al. (2010) eIannotta et al. (2007), trovano che le banche di proprietà statalesiano meno stabili di quelle di proprietà privata, non trovano glistessi risultati nel caso delle banche cooperative.

Nel complesso, pertanto, vi è solida evidenza empirica che mostrache in molti paesi le banche cooperative sono, in media, più cost-efficient, più redditizie e meno rischiose rispetto alle banchecommerciale; questo suggerisce che le banche cooperative hannorealizzato un vantaggio competitivo sulle banche private. Comepossiamo spiegarlo?

6. Spiegare i vantaggi competitivi delle banche cooperative.Verso una teoria cooperativa di banche?

Per capire le cause del vantaggio competitivo delle banchecooperative, bisogna innanzitutto rivolgersi alle teoriedell’intermediazione bancaria. Saldamente radicata nellatradizione neoclassica, la "new view" della banca applica alsettore bancario le ipotesi delle teorie ortodosse dell’impresa -massimizzazione dell'utilità e perseguimento degli interessipersonali come perno dei comportamenti individuali. In questosenso, Tobin e altri hanno sostenuto che le banche sono soloimprese con obiettivi specifici - in questa visione, le attività epassività bancarie sono determinate dalle strategie dei dirigentiper massimizzare i guadagni sui tassi di interesse attivi epassivi (Tobin, 1982; Santomero, 1984), mentre le decisionirelative all’erogazione dei prestiti sono determinate dalrendimento marginale delle attività rispetto al costo dellepassività (Klein, 1971). Le teorie più recenti dell’impresa

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bancaria (e dell’intermediazione finanziaria in generale) hannospostato l'attenzione al problema delle asimmetrie informative. Inrealtà, come Boot (2000) e Bhattacharya e Thakor (1993)sostengono, la teoria delle asimmetrie informative aiuta adistinguere "le teorie moderne dell’intermediazione finanziariadelle precedenti, basate sui costi di transazione" (Boot 2000: 8).In questo quadro, gli intermediari finanziari esistono per: (i)risolvere i costi di transazione generati dalle asimmetrieinformative diffuse sul mercato del credito (Bhattacharya eThakor, 1993); (ii) ridurre il razionamento del credito (Stiglitze Weiss, 1983); e (iii) agire come controllore delegato (teoriadel delegated monitoring), riducendo il costo di controllo emonitoraggio sostenuto dai depositanti (Diamond, 1984).

Il ragionamento presentato qui si basa, in parte, su questamoderna teoria della banca, insieme alla teoria dell'agenzia, perindividuare le cinque fonti principali di vantaggio competitivodelle banche cooperative: (i) il minore costo del capitale per lebanche cooperative; (ii) la riduzione dei costi di agenziagenerata dal loro modello di governante; (iii) il relationship banking ele economie di scala; (iv) l’orizzonte a lungo termine dellestrategie delle banche cooperative; (v) la loro migliore capacitàa ridurre il rischio intertemporale (intertemporal risk smoothing).

Queste cinque fonti di vantaggio competitivo sono tutte legate, inun modo o nell'altro, alle caratteristiche di base delle banchecooperative di cui sopra (non massimizzazione dei profitti,stakeholder-based governance, presenza territoriale capillare legata afunzioni di controllo centralizzato). Come si vedrà in seguito, laletteratura oscilla tra le spiegazioni strutturali (le banchecooperative conseguono performance migliori perché traggonovantaggi competitivi dal loro peculiare modello diintermediazione) e le spiegazioni comportamentiste (le banchecooperative traggono vantaggi competitivi dal loro comportamentostrategico, a sua volta influenzato dalla loro governance peculiaree dal loro modello di intermediazione).

6.1. Le banche cooperative sono in grado di accumulare capitale a un costo inferiore

Come sostenuto sopra, una caratteristica fondamentale delle banchecooperative è la loro fonte di finanziamento: i profitti,essenzialmente trattenuti e reinvestiti. In particolare, comeFonteyne (2007) sottolinea, le banche cooperative possono

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limitarsi a remunerare solo la parte del loro capitale in mano aisoci. Questo gli permette di mobilitare e trattenere capitale eraggiungere livelli di liquidità confortevole, con un rapportodepositi/prestiti, e di essere spesso finanziatori netti sulmercato interbancario 24. In realtà, avere un pay-out ratio bassosignifica che le banche cooperative "possono godere di una rapidacrescita della loro base di capitale e quindi di una velocecrescita organica" (Fonteyne, 2007: 47). Questa caratteristicapermette inoltre alle banche cooperative, come mostrano Altunbaset al. (2001) di sostenere costi di finanziamento inferiori legatialla loro ampia base di depositi e la bassa sensibilità ai tassidi interesse dei loro clienti.

Infatti, anche se è meno facile per le banche cooperativeraccogliere capitali esterni24, la loro lunga storia, la fedeltàdei loro clienti e le loro posizioni di forza su alcuni segmentidel mercato bancario costituiscono una fonte certa di vantaggiocompetitivo25, spiegando la capacità delle banche cooperative a farcrescere la loro base di depositi in modo continuo. Ma questoradicamento è rafforzato dall’eccezionale livello di fiducia daparte dei clienti delle banche cooperative (Kay, 1991), cheproviene da una storia molto lunga al servizio di famiglie a bassoreddito e di comunità locali. Questo significa anche che le banchecooperative sono meno inclini a sfruttare le asimmetrieinformative a sfavore dei depositanti (Fonteyne, 2007). Inoltre,Giannola (2009) sostiene che le maggiori riserve di capitaleaccumulate da parte delle banche pubbliche dà loro un "vantaggiopatrimoniale" durante la transizione a Basilea II e III. Questa èuna promettente linea di ricerca che non è stata, a nostraconoscenza, ancora esplorata.

Sembra chiaro, quindi, che la migliore capacità delle banchecooperative di finanziarsi a basso costo presso i depositanti siaun fattore di forza. Alcuni economisti, come Fonteyne (2007),sostengono che il costo del finanziamento perderà rilevanza neicosti complessivi sostenuti dell’intermediario finanziario nel24 Tuttavia va detto che in molti paesi europei, negli ultimi dieci anni o giù dilì, grande risparmio e le banche cooperative sono stati in grado e disposti alista filiali specializzate e strumenti di finanziamento (con un grado variabiledi successo: vedi il destino di Natixis in Francia come un esempio edificante).

25 Lo sostiene anche Fonteyne (2007), anche se lo stesso autore avverte chequesta caratteristica potrebbe trasformarsi in un problema in quanto rende lebanche cooperative più dipendenti da una specifica categoria di clienti.

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prossimo futuro (e quindi un minore costo del capitale perderàimportanza come fonte di vantaggio competitivo). Ma questoragionamento fu fatto prima della crisi del 2007-08 – e primadella crisi del debito sovrano del 2011. Come sappiamo ora, nelcontesto dei costosi sforzi di ri-finanziamento e ri-capitalizzareintrapresi dalla maggior parte delle banche europee, essere ingrado di accedere al capitale ad un basso costo dovrebbe rimanereuna fondamentale fonte di vantaggio competitivo nel settorebancario.

6.2. Le banche cooperative sono più capaci di ridurre i costi di agenzia rispetto allesocietà per azioni

Un'altra fonte di vantaggio competitivo delle banche cooperativederiva da minori costi di agenzia a causa della loro superiorecapacità a mitigare potenziali conflitti di agenzia. Comeaccennato sopra, la teoria di agenzia si trova al centro della"nuova" teoria della banca emersa negli anni ‘80. Ad esempio, lateoria della banca quale controllore delegato (Diamond, 1984) sibasa sull’ipotesi che di fronte ai conflitti di agenzia tracreditori e debitori, i costi di monitoraggio sostenuti dai primisiano minori con le banche piuttosto che sui mercati di capitali.In realtà, la vasta letteratura di studi empirici comparativisulla proprietà delle banche, fiorita negli anni ‘90, ha fattoampio uso della teoria dell'agenzia nella discussioni dei vantaggirispettivi dei modelli di governance stakeholder-based o shareholder-based26.

I problemi di agenzia sono potenzialmente numerosi e la lororilevanza varia tra modelli di governance e struttureproprietarie. Pure i meccanismi di monitoraggio e di controllo(tipica “difesa” contro i conflitti di agenzia) variano tracategorie di banche. Tuttavia, si sostiene qui che i costi diagenzia sostenuti dalle banche cooperative sono in generaleinferiori a quelli dalle banche società per azioni. La tabella 1sintetizza il ragionamento mostrando il livello de costi diagenzia e la probabilità che essi sorgano per tre tipi diproprietà (banche cooperative, pubbliche e private) e per seiproblemi di agenzia.

26 Si vedano Altunbas et al. (2003) per una rassegna critica della letteraturasui nessi tra proprietà e performance nel settore bancario).

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Un conflitto di agenzia chiave all'interno dell'azienda è quelloche sorge tra proprietari e dirigenti. La sua "scoperta" è dovutaa Berle e Means27, che lo hanno identificato nel 1932 dando cosìorigine alle moderne teorie dell’impresa. Il conflitto treproprietario e dirigente, infatti, trae origine nella separazionetra proprietà e gestione, e nella capacità di manager diimpegnarsi nella ricerca di rendite (comportamento rent-seeking) e inspese non finalizzate agli obiettivi posti dai proprietari(comportamento expense-preferense). Più diffusa è la proprietà, piùfacile è per i manager perseguire i propri interessi a scapito diquelli dei proprietari - e quindi maggiori sono i costi diagenzia. Infatti, i costi di monitoraggio e di controllo deimanager possono essere molto elevati, così come i costi deimeccanismi di incentivazione. Un'altra fonte di autonomiagestionale (oltre alla dispersione della proprietà) risiede nei freecash flows generati dall’impresa: con la crescente disponibilità diflussi di cassa liberi o non impegnati, i dirigenti sonoincentivati ad investire in progetti inutili (Jensen e Meckling,1976). Come viene mostrato nella tabella 1, le tre principalicategorie di banche distinte sulla base della strutturaproprietaria (cooperative, pubbliche e private) offrono ciascunauna versione leggermente diversa del conflitto di agenzia traproprietario e manager. Tuttavia, i costi di agenzia sostenutidalle banche cooperative (e anche da quelle a proprietà statale)sono suscettibili di essere inferiori rispetto a quelli sostenutida banche società per azioni. Eppure, autori come La Porta et al.(2002), nel loro lavoro sulle banche pubbliche sostengonoesattamente il contrario.

Il loro ragionamento, basato sulle interpretazioni di Shleifer, èil seguente: (i) le banche stakeholder-based oriented (d’ora in poibanche STO) hanno manager più autonomi rispetto alle banche conshareholder-based oriented (d’ora in poi banche SHO), risultando incosti di agenzia maggiori per le prime; (ii) le banche STO nonpossono contare su meccanismi di controllo e monitoraggio dimercato (per esempio, la “minaccia” di acquisizione) per mitigarequesti costi di agenzia e (iii) le banche STO non possono neanchericorrere a strumenti di incentivazione a disposizione dellesocietà per azioni, come ad esempio le stock options e altri sistemidi retribuzioni legate alla performance.

27 Si veda il loro fondamentale contributo sulla separazione tra proprietà econtrollo (Berle and Means, 1932).

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La questione della maggiore o minore autonomia dei manager dellebanche cooperative è in realtà difficile da dirimere. Le casse dirisparmio e le banche pubbliche di solito hanno un numero minoredi interlocutori con punte più alte in banca - di solito i governilocali o nazionali. Ma, secondo la letteratura dei diritti diproprietà, la proprietà pubblica è molto meno adatta dellaproprietà privata a creare incentivi per il monitoraggio degliagenti28. Inoltre, la proprietà pubblica potrebbe estendere ilconflitto proprietario-manager alle relazioni (indirette) tracittadino e dirigenti. Shleifer parla del "fallimento grottesco"della proprietà statale, attingendo alla funzione di utilitàpresunta dei politici - che sembrano voler sempre per massimizzareil clientelismo e il reddito personale (Shleifer, 1998). Taledistorsione del rapporto principale-agente nasce da incentivideboli e perversi inerenti alla proprietà pubblica29 che riguarda iproprietari pubblici e regolatori. Kane sostiene a tal propositoche "i governi, focalizzati sul breve termine, possono consentirealle banche di rubare furtivamente ricchezze ai contribuenti eallo stesso tempo richiedono ai dirigenti responsabilidell’erogazione di prestiti di trasferire alcune o tutte lericchezze così rubate ad un gruppo di clienti politicamenteraccomandati” (Kane, 2000: 161). Questa è, in modo moltosintetico, il nocciolo della teoria neoclassica della corporategovernance e della letteratura sui diritti di proprietà, i cuiprincipi sono esposti in Shleifer (1998) e Shleifer e Vishny(1997) – teoria che ha influenzato molti economisti, tra cuialcuni studiosi delle banche che la utilizzano per spiegare i lororisultati. E’ il caso, ad esempio, di autori come Cornett et al.(2010), che spiegano le migliori performance delle banche private(rispetto alle banche pubbliche) illustrate nel loro lavoro conriferimenti a Shleifer e Vishny (1997) e Kane (2000) e all’enfasiposta da questi ultimi sugli incentivi perversi dei “burocrati”che dirigono istituzioni finanziarie a partecipazione statale30.

28 Come sostiene Shleifer, “la proprietà privata è una fonte cruciale diincentivi all’innovazione e all’efficienza”; Shleifer, 1998: 135).

29 Si vedano Grossman e Hart (1986) e Fama e Jensen (1983).

30 E’ interessante notare come le stesse teorie abbiano mosso i governibritannico e statunitense, nella scia dei salvataggi statali di grandi banchesull’orlo del collasso durante la crisi finanziaria del 2008, ad esplicitamenterigettare l’ipotesi di coinvolgimento diretto dello Stato nella gestione diqueste banche, facendo invece appello ad amministratori delegati provenientidall’ambiente bancario privato.

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Similarmente, Dinç (2005) e Micco et al. (2008) sostengono che lebanche di proprietà statale vengono influenzate dalla politica,che orienta le loro politiche creditizie, a costo di un’ evidenteinefficienza.

Dal punto di vista della struttura proprietaria, le banchecooperative differiscono sia dalle banche private società perazioni, sia da quelle di proprietà pubblica. Come rilevato sopra,le cooperative sono proprietà dei loro soci. Inoltre, la governancedelle banche cooperative si basa sul principio “un membro, unvoto”, indipendentemente dalla quota di partecipazione che ognisocio possiede in realtà. Quindi è logico che la proprietàcooperativa sia molto dispersa, il che aumenta potenzialmentel'autonomia gestionale dei dirigenti – e, quindi, i problemi diagenzia evocati sopra. Infatti, Cuevas e Fischer (2006) sostengonoche la “preferenza per la spesa” che caratterizza, secondo loro,il comportamento dei dirigenti con elevato grado di autonomia,costituisce la principale fonte di fallimento delle banchecooperative; e la diluizione della proprietà con lamoltiplicazione dei soci aggrava questo problema. In secondoluogo, oltre che dalla proprietà diffusa, l’autonomia dei managerdelle banche cooperative viene rafforzata, paradossalmente, dallamolteplicità degli “elettorati” che devono soddisfare (Cuevas eFischer, 2006): soci, lavoratori, debitori netti, risparmiatorinetti, autorità pubbliche.

Una terza e ultima fonte di potenziali conflitti tra dirigenti esoci (o gli altri stakeholders) è legata agli incentivi deboliinerenti, secondo le teorie citate sopra, alle forme di proprietàcooperativa. I soci delle cooperative non sono esattamente similiagli azionisti di una banca privata: il loro grado di controllonon è correlato alla loro partecipazione al capitale, e nonpossono vendere le loro partecipazioni nel mercato. Questoinfluisce anche sulla natura del patrimonio delle banchecooperative: Fonteyne parla di una "dotazione intergenerazionale"(intergenerational endowment) che non appartiene a nessuno. In questavisione, i manager delle banche cooperative devono essereconsiderati "custodi" della dotazione (Fonteyne, 2007), riducendocosì gli incentivi dei soci di esercitare un controllo efficacesulla gestione, e sollevando in questo modo una serie di problemidi governance.

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Non è chiaro, quindi, che le banche cooperative siano soggette aconflitti di agenzia proprietario-manager con maggiore intensitàdelle banche SHO - soprattutto se si accantona l’ipotesifondamentale (per la teoria dei diritti di proprietà) secondo laquale le banche SHO abbiano minori problemi proprietario-managerperché la proprietà privata fornirebbe migliori incentivi per ilcontrollo degli agenti. Qui, però, la questione chiave è la misurain cui le banche cooperative possono, più delle banche private,abbassare quel costo di agenzia attraverso il monitoraggio, ilcontrollo e gli incentivi ai dirigenti. Come detto sopra, lebanche SHO possono contare su due strumenti essenziali perabbassare i costi di agenzia: (i) uno esterno, la pressione delmercato, (ii) uno interno, i sistemi di incentivazione (contratti)che permettono di allineare gli interessi dei dirigenti su quellidegli azionisti.

Lo strumento esterno, la pressione del mercato, consiste nellapossibilità per gli azionisti di vendere le loro azioni sulmercato, e/o di facilitare un buy-out; entrambi le azioni minaccianopotenzialmente la posizione dei dirigenti all'interno dell'azienda(Williamson). Inoltre, nelle banche SHO, il valore aggiunto vieneappropriato dagli azionisti, che possono quindi esigere dividendipiù elevati in modo da ridurre il problema del free cash flow. Questoè il paradigma della massimizzazione del valore per l’azionista(shareholder value maximization), che è diventato dominante nella teoriae la pratica della finanza aziendale negli anni ‘80 e ‘90. Lebanche cooperative invece non possono, per definizione, utilizzaretali meccanismi di mercato; e questa assenza di meccanismi di"market exit" riduce la capacità delle banche cooperative adisciplinare i loro dirigenti (Fonteyne, 2007).

Tuttavia, le banche cooperative hanno a disposizioni altrimeccanismi esterni di controllo: come sostengono Ayadi et al.(2010), sulla base di Fama e Jensen (1983), il carattere unico dei“crediti sul capitale” (equity claims) detenuti dai soci dellecooperative (sono rimborsabili su richiesta) fa dell’uscita (exit)un dispositivo molto più potente per disciplinare i dirigenti,soprattutto in assenza di opzioni esistenti sul mercato deicapitali per sostituire potenzialmente i soci in uscita. Così,paradossalmente, l'assenza di market exit rende l’exit specifica allecooperative più potente quale dispositivo disciplinare. Inoltre,Fama e Jensen (1983) sostengono che un consiglio d’amministrazione

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con direttori esterni può esercitare un controllo sulla gestioneanche nelle imprese non profit.

In secondo luogo, le banche cooperative possono contare su unaltro potente strumento di disciplina e controllo dei dirigenti:le loro reti. Come accennato nei paragrafi precedenti, la maggiorparte delle banche cooperative hanno, nel tempo, sviluppatoorganizzazioni di rete di “secondo livello”. Queste organizzazioniforniscono servizi di back office e creano filiali specializzate cheoffrono servizi complementari a quelli disponibili nelle banchelocali. Infine, le organizzazioni di secondo livello offronoresponsabilità congiunta e sistemi di garanzia utili per garantirela stabilità complessiva della rete. Ancora più importanti qui,tuttavia, sono le funzioni di monitoraggio e controllo svoltedalle organizzazioni di secondo livello della rete. In effetti,come lo dimostrano testimonianze storiche, alcune banchecooperative, come ad esempio quelle tedesche, hanno sviluppato leistituzioni regionali per lo scopo specifico di eseguire funzionidi controllo e monitoraggio (Guinnane, 1997). L'istituzione alvertice della rete esercita anche pressioni sull'utilizzo del freecash flow, sia attraverso la ridistribuzione ai soci sia attraversola costituzione di garanzie incrociate. Rete di supervisionelimita anche la capacità dei manager di appropriarsi delladotazione (Fonteyne, 2007).

Ma le reti non solo esercitano la vigilanza sulla gestione dellebanche che ne sono membri: in più forniscono anche peer pressure(“pressione dei pari”), che è un'altra caratteristica fondamentaledella governance delle banche cooperative ed è visto come undispositivo molto efficace per controllare e disciplinare imanager (Fonteyne, 2007). Infine, si può aggiungere che le reticooperative funzionano come delle alleanze di produzione congiunta(joint-supply alliances) che aiutano le banche cooperative ad affrontarele incertezze nel reperimento degli inputs (ad esempio la raccolta abreve), un altro luogo di potenziali conflitti di agenzia ancorapoco esplorato dalla letteratura (Desrochers, Cuevas e Fischer,2006).

Così le banche cooperative possono contare su specificidispositivi di controllo esterno e di monitoraggio che possonocontribuire a disciplinare i manager, in modo almeno tantoefficace quanto i meccanismi di mercato inerenti la governance dellesocietà per azioni. Che dire allora dei dispositivi interni? Nelle

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società di capitale, i potenziali conflitti di agenzia tra iproprietari e i manager possono essere risolti da dispositivicontrattuali privati – in particolari quelli relativi allaretribuzione dei dirigenti. Come ha sostenuto a lungo laletteratura in materia di finanza aziendale e teoria dell'agenzia,i conflitti tra proprietari e dirigenti possono esserecontrattualmente ridotti attraverso il “riallineamento” (re-alignment) degli interessi dei dirigenti a quelli dei proprietari,rendendo così il comportamento degli agenti conforme ai desideridei principali.

Questo riallineamento può essere raggiunto attraverso sistemi diretribuzione che legano il livello di retribuzione dei dirigentialla loro performance, dando così ai manager un interesseacquisito (vested interest) all’andamento positivo delle azioni dellasocietà che dirigono - per esempio, attraverso le stock options. ComeFonteyne (2007) e Cuevas e Fischer (2006) sottolineano, talidispositivi non sono disponibili per le banche cooperative.Pertanto, si sostiene, tali banche mancano di uno strumento chiaveper ridurre i conflitti di agenzia tra proprietari e dirigenti.

Esiste una letteratura molto vasta sul legame tra retribuzioni eperformance, e in particolare sui piani di stock option e la loroutilità per la riduzione dei conflitti di agenzia. I risultatidegli studi empirici in materia non sostengono la teoria. Laletteratura empirica ante-2007 era già poco chiara – senza contareche vi era un diffuso scetticismo sulla possibilità che le stockoption avessero funzionato come incentivi per massimizzare il valoreper gli azionisti (si veda Bebchuk e Fried, 2003, per una rassegnacritica). Inoltre, la crisi del 2007 ha mostrato come i topmanager delle banche statunitensi o europee, beneficiari di ampipiani di stock option, non siano stati per questo meno disposti amettere la sopravvivenza delle loro banche a rischio perseguendostrategie rischiose ad alto rendimento. In realtà, la questionedella remunerazione eccessiva dei dirigenti delle grandi banche èdiventata un problema politico all'indomani della crisi. Con ilsenno di poi, quindi, si può facilmente respingere la tesi secondocui la mancata disponibilità di questi dispositivi contrattualiostacola la capacità delle banche cooperative ad affrontare eridurre i conflitti di agenzia tra proprietari e manager. Inoltre,questi dispositivi contrattuali sono in realtà molto costosi: sipotrebbe sostenere, quindi, che le banche cooperative si trovano

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molto meglio non avendo fatto ricorso a tali strumenti, costosi einefficaci.

Un ragionamento più ampio potrebbe essere fatto qui sullarilevanza e l'utilità della teoria dell'agenzia per affrontare iproblemi di stabilità delle banche e della loro sopravvivenza nellungo periodo. Uno dei problemi delle società per azioni negliStati Uniti, secondo alcuni osservatori, è la teoria implicita (oesplicita) sulla quale sono basati i loro sistemi di governance:concepiti come insieme di contratti, senza alcuna esistenza realeal di fuori della forma giuridica, i loro dirigenti non possonoavere alcun interesse nel benessere a lungo termine dell’azienda,ma solo nei costi e benefici specifici che trovano nei lorocontratti (Lazonick, 2010)31. Ma questo argomento ci porta troppolontano dell’oggetto del presente studio. Un'altra linea diricerca molto promettente, invece, e ancora poco studiata, èl'effettivo livello di impegno dei dirigenti e dipendenti dellebanche cooperative (rispetto al personale delle società perazioni). Si potrebbe sostenere, infatti, che il mandato socialedelle banche cooperative potrebbe fornire ulteriori incentivi alloro personale per svolgere bene i loro compiti. La fedeltà deidipendenti è citata da Fonteyne (2007) come una fonte importantedi vantaggio comparato per le banche cooperative.

Un secondo conflitto di agenzia, potenzialmente importante especifico agli intermediari finanziari, può sorgere tradepositanti e mutuatari. Come già accennato in precedenza, lateoria del “monitoraggio delegato” mira proprio a spiegare come lebanche fungano da coalizioni di depositanti intenti a ridurre ilcosto del monitoraggio (degli mutuatari). Secondo questa teoria,mutuatari e depositanti hanno interessi profondamente diversi: irisparmiatori tendono ad essere avversi al rischio e ad avere unaforte preferenza per la liquidità, mentre i mutuatari hanno unabassa preferenza per la liquidità e sono propensi al rischio(questa asimmetria tra le passività liquide e attività illiquidesi trova anche alla base della teoria delle banche quali creatoridi liquidità, che viene discussa più avanti in relazioneall'assunzione di rischi da parte delle banche cooperative). Lebanche non eliminano questo conflitto di agenzia – possono appena

31 “An integrated hierarchical reward structure ceased to regulate the pay of topexecutives, who embraced wholeheartedly the ideology of maximizing shareholdervalue as their boards bestowed on them ever more generous stock-option awards”(Lazonick, 2010: 684).

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ridurne i costi rispetto alle relazioni finanziarie di mercato. Sisostiene qui che le banche cooperative possono ulteriormenteridurre questo costo di agenzia al di sotto di quello sostenutodalle banche di proprietà privata, per due motivi principali.

In primo luogo, lo statuto particolare delle banche cooperativecolma il divario tra creditori di una banca (cioè i suoidepositanti) e dei suoi proprietari, allineando gli interessi diquesti ultimi sui primi (Valneck, 1999). Infatti, i soci di unabanca cooperativa sono contemporaneamente proprietari della bancae i suoi depositanti, e i mutuatari della banca devono essereugualmente i suoi depositanti e i suoi proprietari. Secondo Cuevase Fischer (2006) tuttavia, le banche cooperative potrebberocomunque far fronte ad un simile conflitto di agenzia, tradebitori netti (cioè soci di cooperative il cui debito supera i lorodepositi) e creditori netti (il contrario). Ma questo conflitto diagenzia, a nostro avviso, è molto meno rilevante di quello cheesiste tra depositanti e debitori all'interno delle banche diproprietà privata. Infatti, i debitori netti in una bancacooperativa hanno un interesse diretto nella sopravvivenza dellaloro banca nel tempo - non solo perché sono anche i proprietaridella banca (anzi, potrebbe essere dimostrato che alcuni debitorinetti guadagnerebbero di più dal loro rifiuto di rimborsare i loroprestiti che dal fallimento della banca, il tipico problema cheaffligge i beni comuni), ma perché la maggior partedell'indebitamento bancario cooperativo si costruisce su un lungoperiodo di tempo - è basato su relazioni piuttosto che sutransazioni (la questione del rapporto bancario è trattata nellaprossima sezione). Inoltre, la pressione dei pari si esercita suimutuatari sia all'interno della banca cooperativa che nellacomunità locale di appartenenza32.

Inoltre, i conflitti di agenzia che potrebbero sorgere tra idepositanti e i dirigenti sono drasticamente ridotti nelle banchecooperative dalla maggiore fiducia riposta in quelle banche daparte del pubblico. Ciò è particolarmente vero in tempi di crisi:in tempi difficili banche non di proprietà privata sonoconsiderate "banche sicure e migliori" (Dietrich e Wanzenried,2011: 321). Questo maggiore livello di fiducia ha varie fonti: lalunga storia delle banche cooperative, il loro radicamento locale,la loro governance orientata verso gli stakeholders, i loro obiettivisenza scopo di lucro. 32 Si veda Ghatak (2000).

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Un terzo tipo di problema di agenzia sorge che tra proprietari-azionisti e creditori-obbligazionisti. Questo potenziale conflittoè stato identificato dalla teoria dell’effetto sostituzione degliattivi (asset substitution effects theory), che ipotizza che gli azionistiabbiano un incentivo maggiore a guadagnare dall’assunzione dirischi dei titolari del debito della banca, che sopportano lamaggior parte delle conseguenze del rischio. Le banche cooperativesono chiaramente meno inclini a questo problema, i loro soci-proprietari avendo partecipazioni non trasferibili (Ayadi et al,2010; Drake e Llewellyn, 2001).

Sembra, quindi, che le banche cooperative siano più in grado dellesocietà per azioni di ridurre i potenziali conflitti di agenzia inaumento tra le parti interessate all’interno e all’esterno dellebanche e che questo potrebbe essere un’importante fonte divantaggio competitivo per le banche cooperative. E’ singolare,quindi, che prima della crisi bancaria del 2007-08 alcuniosservatori abbiano trovato nelle banche cooperative una maggiorepropensione al rischio derivante dalla loro governance, inparticolare relativo ai rischi di “costruzione di impero” (empirebuilding) e di appropriazione (Fonteyne, 2007), e che poi sonorisultati invece così pervasivi nelle banche di proprietà privatafino a poco tempo fa.

Tabella 1 - I costi di agenzia nelle varie categorie di banca

Conflitto diagenzia

Banchecooperative

Casse dirisparmio ebanche disviluppo

Banche diproprietàprivata

Azionisti / dirigenti

Elevato e positivamente correlato con il numero dei soci. Può essere mitigatotramite la supervisione e il controllo daparte delle istituzioni al vertice della rete.

Assente. Elevato e positivamente correlato con la diluzione della proprietà. Può essere ridotto tramite disposizioni contrattuali e dispositivi di retribuzione legata alla

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performance.

Altri stakeholders / dirigenti

Basso. Elevato a causadella maggiore autonomia dei dirigenti dellebanche di proprietà pubblica e la debolezza degliincentivi di controllo inerenti alla proprietà pubblica (secondo le teorie dei diritti di proprietà).

Basso.

Investitori / debitori

Assente (interiorizzato, si veda sotto).

Basso, sia a causa della relazione bancaria (per le piccole banche pubbliche e lecasse di risparmio) sia perché gli investitori pubblici non sono così propensi al rischio rispetto agli investitori privati.

Elevato. Il rischio di azzardo morale può essere ridotto tramitecollateral, selezione e monitoraggio.

Dirigenti / mutuatari

Basso a causa della relazionebancaria e la pressione dei

Si veda sopra. Si veda sopra.

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pari.

Azionisti / risparmiatori

Assente. Assente. Alto (principale fonte di rischio secondoCuevas e Fischer, 2006).rischio di sostituzione degli attivi.

I manager / depositanti

Basso e correlato con la dimensione della banca e la distanza rispetto ai depositanti. Ilcosto può essere mitigatodalla rete di monitoraggio.

Assente. Si veda sopra.

debitori netti / creditori netti

Alto secondo Cuevas e Fischer (2006).

Assente. Assente.

6.3. le banche cooperative possono meglio ridurre le asimmetrie informative attraverso il“relationship banking” realizzando contemporaneamente economie di scala

Come mostrato sopra, uno dei conflitti di agenzia che potrebberosorgere nel settore bancario è quello tra banche e mutuatari. Inpresenza di asimmetrie informative (viste come pervasive nellaletteratura sul funzionamento dei mercati finanziari), i mutuataripotrebbero essere indotti a comportarsi in maniera opportunistica,causando azzardo morale. Viceversa, le asimmetrie informativepotrebbero dar luogo a selezione avversa attraverso, ad esempio,il razionamento del credito.

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Un meccanismo per ridurre tali asimmetrie informative (e leinefficienze che ne derivano) è dato dalla relationship banking che èstata oggetto di una considerevole letteratura empirica e teoricanegli ultimi due decenni33. Boot definisce il relationship banking come"la fornitura di servizi finanziari da un intermediariofinanziario che: (i) investe per ottenere informazioni specifichesul cliente, spesso di natura privata, e (ii) valuta laredditività di questi investimenti attraverso interazioni multiplicon alcuni clienti nel tempo e per varie categorie di prodotti"(Boot, 2000: 10).

Il relationship banking offre molteplici vantaggi: aggiunge valore allarelazione tra una banca e i suoi mutuatari migliorando lo scambiodi informazioni tra questi ultimi e fornendo miglioramenticontrattuali alla loro relazione (Boot, 2000); migliora ladisponibilità del credito (Petersen e Rajan, 1994); riduce irequisiti di garanzia e i costi del dissesto finanziario (Hoshi etal, 1990.) Quindi possono contribuire alla creazione di unvantaggio competitivo a favore di quelle banche che sono piùcapaci di sfruttarlo. Si sostiene qui che le banche cooperative sitrovano in tale situazione.

In primo luogo, le banche cooperative sono molto più vicine ailoro clienti (i depositanti e mutuatari), a causa sia della loropiccola dimensione sia del loro radicamento territoriale, siadella loro estesa rete di filiali. Le informazioni “morbide” (softinformation)34, raccolte attraverso la loro stretta relazione con iclienti, costituisce una fonte importante di vantaggio competitivoper le banche cooperative, già identificato nella letteratura(Oliver Wyman 2009, Ayadi et al, 2010; Fonteyne, 2007; Cuevas eFischer, 2006). Alcuni, come Carnevali (2005), enfatizzano come lereti locali delle cooperative forniscano a loro un vantaggiocompetitivo e contribuiscono a sostenere le piccole e medieimprese in situazione di crisi economica.

Alcuni autori hanno messo in dubbio la sostenibilità delle basi diquesto vantaggio relazionale nel lungo periodo – sostenendo, adesempio, che una rete estesa di sportelli genera costi fissielevati, e che perderanno rilevanza nel prossimo futuro (Fonteyne,

33 Per una rassegna, si veda Boot (2000).

34 Da distinguere dalle informazioni “dure” (hard information), ossia generate dalloscreening e le procedure standardizzate di monitoraggio.

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2007). Non siamo d'accordo, e la strategia continua delle banchecooperative di espansione, piuttosto che di riduzione, delle lororeti di sportelli è certamente coerente con la considerazione chele reti di sportelli rappresentano per le banche cooperative uninvestimento importante per sostenere il loro vantaggiocompetitivo nel lungo periodo. Infatti, le banche cooperativecontinuano ad operare in segmenti di mercato (come quello deiprestiti in aree a basso reddito) dove le asimmetrie informativesono così elevate da scoraggiare le società per azioni dioperarci. È, in particolare, il caso delle cooperative di credito(credit unions) nei paesi anglofoni (McGregor, 2005; McKillop eWilson, 2011).

Oltre ad essere vicino ai loro clienti, banche cooperativesuscitano peraltro un maggiore livello di fiducia, come dettosopra. Infatti, come afferma Kay, "il valore speciale dellamutualità si basa sulla sua capacità di creare e sostenerestrutture contrattuali basate sulla relazione" (Kay, 1991). Comerisultato, hanno anche un vantaggio competitivo nello stabilire lafiducia dei clienti nei loro confronti (Kay, 2006). La fiducia èmantenuta anche attraverso le politiche seguite dalle banchecooperative per quanto riguarda la (re)distribuzione del valoreaggiunto. Come Ayadi et al.(2010) mostrano, infatti, nelle banchedi proprietà privata il valore aggiunto è attribuito agliazionisti esterni, mentre nelle banche STO viene ridistribuito trai clienti e i membri attraverso prestiti a basso costo o interessipiù elevati pagati sui depositi. Tale redistribuzione, inoltre,rafforza la capacità delle banche cooperative di lisciare ilrischio nel tempo.

Tuttavia, i vantaggi determinati dalle dimensioni ridotte, dallereti di sportelli estesi e dal radicamento locale potrebberoessere in contraddizione con l'esistenza di economie di scala nelsettore bancario, soprattutto tra le piccole banche35. Fonteyne(2007) sostiene a tal proposito che le banche cooperative hannoperso gran parte del loro vantaggio competitivo nel superare icomportamenti opportunistici da parte dei mutuatari, proprio acausa dell'aumento delle loro dimensioni e della distanzacrescente tra le esse e i loro soci, e perché i contratti sonodiventati più “applicabili” (enforeceable) da parte delle banche diproprietà privata. Insomma, ci sarebbe un trade-off tra relationshipbanking e economie di scala. Ancora una volta, siamo d'accordo.35 Si veda Berger et al. (2005).

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Però si deve rilevare che le banche cooperative (e le casse dirisparmio) hanno trovato molto presto nella loro storia unasoluzione a questo presunto trade-off, nello sviluppo di strutturefederali, o second-tier.

Queste strutture sono state già citate sopra come una soluzione aidiversi problemi di agenzia all'interno delle banche. Esse offronoanche una soluzione al problema sollevato qui. Le reti, infatti,favoriscono le economie di scala e migliorano le opportunità difinanziamento delle banche (Ayadi et al, 2010; Cuevas e Fischer,2006). L'integrazione di varie banche cooperative in una rete puòanche contribuire a ridurre la volatilità delle performance tra lecooperative, fornendo responsabilità congiunta e garanzieincrociate (Cuevas e Fischer, 2006), come verrà discusso neiprossimi paragrafi.

E’ importante osservare in questa sede che le reti cooperative sudue livelli aiutano le banche a sfruttare le economie di scalaevitando nello stesso tempo le insidie inerenti ai processi diintegrazione verticale: come sostengono Fama e Jensen (1983), lepreferenze per la spesa dei manager aumentano con la dimensioneistituzionale - ma aumentano meno nelle reti. Infine, le retipossono ampliare la gamma di prodotti e servizi offerti dallebanche locali, potenzialmente rafforzando la relazione bancaria(Boot, 2000; Degryse e Van Cayseele, 2000).

L'unico problema con le reti a due livelli sembra di essere ilpericolo di “appropriabilità”, fondamentalmente un problema di freeriding associato a nuovi conflitti di agenzia che possono nascereall'interno della rete (Ayadi et al., 2010, Desrochers e Fischer,2005). Un pericolo che potrebbe essere superato attraversoun’integrazione più stretta della rete e la pressione dei pari,come visto sopra.

In conclusione, quindi, la loro articolazione funzionale eterritoriale su due livelli – banche al dettaglio locali eregionali, operazioni all’ingrosso regionali o nazionali -consente alle banche cooperative di raggiungere economie di scala,pur mantenendo la loro capacità di sfruttare i vantaggi derivantidel relationship banking.

6.4. Le banche cooperative sono maggiormente in grado di mantenere un modellooperativo sostenibile nel tempo

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Una quarta fonte di vantaggio competitivo, che consente allebanche cooperative di essere contemporaneamente più redditizie emeno rischiose, deriva dal loro orientamento al lungo periodo - unmodello operativo “sostenibile” (a differenza dell’orientamento abreve legato all’imperativo di massimizzazione del profitto).Questo modello si basa, a sua volta, su più elementi. La governancespecifica delle banche cooperative, i loro mandati senza scopo dilucro, le loro reti di sportelli radicati nelle comunità locali,creano un unico insieme di incentivi e vincoli che caratterizzanoil modello operativo delle banche cooperative. Il loro radicamentonel mercato al dettaglio e l'alto grado di fiducia che suscitanovanno a rafforzare l’orientamento “sostenibile” delle attivitàdelle banche cooperative. Il loro modello di governance genera unamaggiore stabilità nei consigli di amministrazione e a livellomanageriale (Bongini e Ferri, 2007), che comporta strategie alungo termine e una maggiore stabilità degli utili. La loroavversione alle strategie di massimizzazione del profitto di breveperiodo aiuta a capire meglio le prestazioni delle banchecooperative a lungo termine. Secondo Iannota et al. (2007), larischiosità più bassa riscontrata nelle banche cooperative nascedalla miglior qualità del credito derivante dal loro più altogrado di avversione al rischio. Nelle banche cooperative ladiversificazione del reddito è inferiore a quella trovata nellebanche di proprietà privata, il che è un altro fattore distabilità (Giordano e Lopes, 2009). In realtà, la minorediversificazione del reddito bancario “più che compensa la minoreredditività e capitalizzazione delle banche cooperative” (Hesse eCihak, 2007). Inoltre, una maggiore stabilità riduce il costo delrischio di credito, che può essere un fattore importante per unmigliore rapporto costo-efficienza nelle banche cooperative36.

La minore diversificazione del reddito è un fattore cruciale chespiega le prestazioni superiori delle banche cooperative intermini di gestione del rischio. Come accennato in precedenza,negli ultimi decenni le banche di molti paesi hanno diversificatoil loro reddito dall’attività bancaria tradizionale (la raccoltadi depositi e l’erogazione di prestiti) su entrambi i lati delloro bilancio. Sul lato delle passività, la diversificazione dellaraccolta e la crescita dimensionale hanno reso le banche molto piùdipendenti di altre fonti di finanziamento – come il mercatomonetario. Le teorie tradizionali della banca sostengono che “il36 Come Gurtner et al. (2002) mostrano nel caso delle banche cooperativefrancesi.

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finanziamento tradizionale delle banche di deposito le rendevulnerabili a corse agli sportelli” (Bhattacharya e Thakor, 1993).Tuttavia, la crisi del 2007-8 indica chiaramente che ifinanziamenti all'ingrosso (sui mercati dei capitali) possonoaumentare l'instabilità delle banche (Huang e Ratnovski, 2011).Alla luce di questi diversi punti di vista, sono necessarie altrericerche volte a confrontare il rischio assunto dalle banchecooperative e quello dalle banche di proprietà privata.

Sul lato delle attività, la teoria mainstream prevede ugualmente uneffetto positivo sul rischio del ricorso ai mercati: “la teoria el’evidenza empirica sostengono l’ipotesi che i rischi dovrebberodiminuire, piuttosto che aumentare qualvolta le banche dovesseroessere autorizzate ad offrire titoli, assicurazioni e altriservizi" (Benston, 1994). Di nuovo, la crisi bancaria del 2008 haconsiderevolmente indebolito questo punto di vista. Infatti, irisultati di vari studi empirici recenti mostrano come unamaggiore dipendenza al reddito generato da commissioni aumenta lavolatilità del reddito delle banche – quindi la diversificazionedel reddito aumenta piuttosto che riduce la rischiosità.

DeYoung e Roland (2001), in particolare, mostrano che per lebanche commerciali degli Stati Uniti, un aumento del mix diprodotti ha portato ad una maggiore volatilità dei ricavi,compensata da un maggiore livello di ricavi (come premio dirischio). Recenti studi empirici mostrano risultati simili per lepiccole banche europee, cioè il rischio aumenta con ladiversificazione del reddito (Mercieca et al, 2007.). Come DeJonghe (2010) scrive in un altro studio su un campione di bancheeuropee, “il passaggio ad attività bancarie non tradizionaliaumenta il tail beta delle banche37, e quindi riduce la stabilità delsistema bancario perché il margine di interesse è meno rischiosodi tutti gli altri flussi di reddito”. La maggiore rischiositàgenerata dalla diversificazione del reddito bancario può esserecompensata da una redditività più elevata. Chiorazzo et al. (2008)trovano, ad esempio, una relazione positiva tra una maggioredipendenza dai redditi da commissioni e i rendimenti aggiustatiper il rischio delle piccole banche italiane. Al contrario Stiroh(2004) rileva che la diversificazione di reddito nel settore

37 Cioè la possibilità che variazioni estreme del prezzo delle azioni delle banche siano collegate a variazioni minori degli indici azionari legati al settore bancario.

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bancario statunitense è correlata sia a maggiori rischi sia aprofitti più bassi.

Quindi si può sostenere che uno dei fattori della maggiorestabilità e la minore rischiosità delle banche cooperative sia laminore diversificazione dei loro redditi – che è il risultatodiretto della loro governance specifica e del loro modello operativoe, forse, della loro minore dimensione media. Questo si spiegaanche perché le banche cooperative hanno resistito alla tendenzaorientata verso il modello “originate-to-distribute” invece del modellotradizionale “originate-to-hold”. Il modello originate-to-distribute (OTD)crea gravi insidie. Le banche che vendono mutui sui mercatisecondari fanno fronte a selezione avversa e azzardo morale.Berndt e Gupta (2009) mostrano anche che le banche molte attivenella vendita di prestiti sui mercati secondari hanno performancepeggiori dei loro concorrenti – misurabile in rendimenti ineccesso (aggiustati per il rischio) minori di circa 9 per centoall'anno. Essi concludono che il modello OTD potrebbe non esseresocialmente desiderabile. Questo risultato è difficile daconciliare con la teoria standard che sostiene che "in equilibrio,le banche con informazioni private non possono sistematicamenteabusare degli investitori esterni" (Duffee, 2009). Quindi lebanche cooperative, più propense a restare fedeli al modello OTH,mostrano una maggiore stabilità nei profitti (Coco e Ferri, 2010).

6.5 Le banche cooperative sono maggiormente in grado di “smussare” il rischiointertemporale

Uno dei principali vantaggi comparativi delle banche rispetto aimercati dei capitali, Allen e Gale (1997) sostengono, si trovanella loro capacità di “smussare” il rischio intertemporale(intertemporal risk smoothing). Cioè le banche sono in grado diaccumulare capitale nei tempi buoni e utilizzarlo in tempidifficili. Come sottolineano Ayadi et al. (2010), "Creare esbloccare le riserve è una specifica tecnica di gestione delrischio". Questo argomento è un'estensione della tesi sullafunzione di creazione di liquidità nelle banche (Diamond e Rajan,2000), secondo cui l'accesso a rifinanziamenti a basso costo e lacapacità delle banche di imporre il rimborso o liquidare i creditiinesigibili sono fattori determinanti nella capacità delle banchea creare liquidità. Questa è la base teorica per la nostraaffermazione che la fedeltà dei clienti e una maggiore fiducia

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nelle banche cooperative offrono un vantaggio competitivo rispettoalle banche di proprietà privata.

Mentre i clienti delle banche private tendono a ritirare idepositi nei momenti di crisi bancaria, negli stessi momenti idepositi spesso aumentano nelle banche di credito cooperativo.Questo rafforza la capacità delle banche cooperative per politichedi erogazione anticicliche. In altre parole, le banche cooperativesono idealmente poste per eseguire la funzione di intertemporal risksmoothing (Ayadi et al., 2010).

Questa capacità peculiare può essere spiegata da diversi fattori.In primo luogo, come detto sopra, le banche cooperativebeneficiano di un elevato grado di fiducia dai loro depositanti,che discende della loro storia, dalla loro governance stabile, dalloro mandato sociale e dal loro comportamento prudente. Lestrutture organizzative federali (di secondo livello) rafforzanoanche la fiducia, per esempio attraverso i sistemi di garanziaincrociata (Coco e Ferri, 2010). Di conseguenza, le banchecooperative sono in grado di accumulare capitale in modo piùrapido attraverso la loro vasta base di depositi al dettaglio -anche in tempi difficili; a tale riguardo, Berlin e Mester (1998)mostrano che l’ampiezza della base dei depositi insensibili aitassi di interesse consente lo smoothing intertemporale dei tassisui prestiti.38

In secondo luogo, il capitale delle banche cooperative èparticolare, e molto diverso da quello delle società per azioni,nel senso che non appartiene alla "coorte attuale di soci" (Ayadiet al., 2010). Anzi può essere visto come una “dotazioneintergenerazionale senza proprietario [owner-less intergenerationalendowment] disponibile per l'utilizzo da parte dei soci in carica,con l’accordo implicito o esplicito che questi ultimi lo farannocrescere ulteriormente e lo trasmetteranno alle generazionisuccessive di soci” (Fonteyne, 2007: 4). Inoltre, le banchecooperative non sono sotto alcuna pressione per vendere il lorocapitale sul mercato - esattamente il tipo di pressione che imercati dei capitali mettono sulle banche società per azioni38 E’ interessante contrastare questo argomento con quello di Hart e Moore(1998), che sostengono che gli enti che cercano di massimizzare il surplus delconsumatore (e non il profitto), come le cooperative, distribuiscono questosurplus ai clienti attraverso sovvenzioni (contributi in conto interessi nelcaso di istituzioni finanziarie cooperative). Questo può, secondo loro,distorcere le decisioni e portare a risultati inefficienti.

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(Allen e Gale, 2000), in linea con il problema del free cash flowevocato in precedenza.

In terzo luogo, lo smoothing intertemporale del rischio è anchelegato al relationship banking. Come ricordato da Boot (2000), ladurata del rapporto banca-mutuatario influisce positivamente sulladisponibilità di credito, soprattutto per le imprese giovani o peri mutuatari senza storia di credito: infatti, le perdite subitedalla banca all'inizio del rapporto bancario, che costituisconouna forma di sussidio di credito (Petersen e Rajan, 1994), sonorecuperate nel corso del tempo in cui il rapporto si svolge, intermini di migliore informazione “morbide” e maggiore fiducia.

7. Conclusioni

Questo lavoro suggerisce che la proprietà collettiva, governancestakeholder-oriented, il radicamento nelle comunità locali,l’organizzazione in rete e gli orientamenti mirati allasostenibilità, costituiscono le basi del vantaggio competitivodelle banche cooperative. Queste banche sono rimaste fedeli aquesto modello particolare nel tempo, sfruttandone le potenzialitàper mantenere o aumentare le loro rilevanti quote di mercato in unambiente ostile. Infatti, invece di convergere sul modello dellagrande banca società per azioni, le banche cooperative hannoreagito alle trasformazioni della regolamentazione e dei mercatifinanziari modernizzandosi ma non allontanandosi dal loro modellostorico. Questa è un'anomalia sia per le teorie neo-classichedella banca e sia per le politiche neoliberiste: secondo le qualile banche cooperative avrebbero dovuto scomparire, attraverso siale privatizzazioni prima o le pressioni competitive poirappresentate da banche di proprietà privata e dai mercatifinanziari dopo la liberalizzazione.

Per spiegare questa apparente anomalia si è suggerito qui diriprendere alcuni elementi delle teorie recenti della banca,insieme ad argomenti sviluppati da scuole di pensiero non moltolontane dalla visione neo-classica, come la teoria dell’agenzia. Iconcetti tratti da una crescente letteratura empirica e dallateoria della banca ci aiutano a identificare le fonti delvantaggio competitivo delle banche cooperative - fattori come lafiducia dei clienti, la potenza delle reti, il relationshipbanking.

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Il passo successivo della ricerca dovrebbe andare al di là delleipotesi neo-classiche della teoria dell'agenzia (individualismometodologico, comportamento massimizzatore) e meglio esplorare lefondamenta istituzionali del vantaggio competitivo delle banchecooperative. Inoltre, ci dovrebbe essere più attenzione verso icontesti in cui operano queste banche. Alcuni autori sottolineanocome la struttura del mercato bancario sia strettamente legataall'assunzione di rischi da parte delle banche (Berger et al.,2005). Inoltre, la misura in cui gli stakeholders delle bancheperseguono un obiettivo di alto rendimento dipende dal contestocompetitivo (Ayadi et al., 2010). Una concorrenza meno intensasignifica che le banche possono guadagnare rendite di monopolio, esi comportano in un modo più conservatore - in quanto la lorobanking charter ha più valore che in mercati molto competitivi. Alcontrario, la concorrenza sul mercato dei prestiti potrebbeportare le banche ad aumentare l'assunzione di rischi crescenti(Llewellyn, 2005). Questo ci porta di nuovo verso la questionedella regolamentazione – e fino a che punto la regolamentazionebancaria dovrebbe tornare alla segmentazione del mercato (Gorton,2010). Al contrario, Boyd e De Nicolo (2005) mostrano che esisteun meccanismo di incentivo al rischio che opera in sensoesattamente opposto, ossia le banche diventano meno avverse alrischio sul lato del passivo man mano che i mercati diventano piùconcentrati.

Infine, future ricerche in questo campo dovrebbero prestaremaggiore attenzione all'impatto sistemico delle banchecooperative. Questo può essere visto sia evidenziando glispecifici effetti (benefici) generati dalla presenza di banchecooperative, in ogni sistema bancario, sia prendendo le banchecooperative come proxy per l'eterogeneità delle istituzionibancarie. In questo secondo filone, Wagner (2008) sostiene chel'omogeneizzazione delle istituzioni finanziarie riduce lastabilità (in particolare aumentando la correlazione deiportafogli delle banche). Questo argomento può essere esteso perincludere l'impatto più ampio delle banche cooperative su tutto iltessuto economico e sociale. La letteratura ha individuato unaserie di canali attraverso i quali la presenza di banche locali hacontribuito alla crescita regionale. Guiso et al. (2004) hannocostruito un indice di sviluppo finanziario in diverse regioniitaliane e mostrato che la presenza storica di casse di risparmioha avuto un impatto positivo sul lungo termine dello svilupporegionale. Hakenes e Schnabel (2006) sostengono che, investendo

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nelle loro economie locali, le banche non profit possonoefficacemente impedire una fuga di capitali in altre regioni.Hakenes, Schmidt e Xie (2009), infine, utilizzano dati economiciregionali per la Germania per mostrare che la presenza di casse dirisparmio ha un impatto positivo sulla crescita economicaregionale attraverso il credito alle PMI, e che questo effetto èsignificativamente più forte nelle regioni più povere. L'ampioimpatto socio-economico delle banche cooperative solleva infine laquestione della struttura del sistema finanziario, e come e inquale misura i governi potrebbero voler organizzare e manteneredue o tre pilastri distinti e lontani dal modello messo in crisidurante il credit crunch del 2008.

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