D. GALLINA, 2013, Alcune osservazioni sulla tecnica costruttiva delle volte e sulle finiture di...

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Architettura dell’XI secolo nell’Italia del Nord Storiografia e nuove ricerche Pavia 8-9-10 aprile 2010 Convegno Internazionale a cura di Anna Segagni Malacart e Luigi Carlo Schiavi Edizioni ETS

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Architettura dell’XI secolo nell’Italia del NordStoriografia e nuove ricerche

Pavia 8-9-10 aprile 2010Convegno Internazionale

a cura diAnna Segagni Malacart e Luigi Carlo Schiavi

Edizioni ETS

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www.edizioniets.com

© Copyright 2013EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673509-6

Volume pubblicato con il contributo del MIUR, Fondi PRIN 2007,e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia

Cura redazionale: Simone Caldano

Almo Collegio BorromeoUniversità di PaviaFondazione Comunitariadella Provincia di Pavia

Comune di PaviaProvincia di PaviaRegione Lombardia

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Presentazioni VII

Introduzione XIII

Testi 1

Josep Puig i Cadafalch et la LombardieLa construction historique du «premier art roman»Éliane Vergnolle 3

Per l’XI secolo dell’architettura lombardaDa Arthur Kingsley Porter a Wart Arslan, a Paolo Verzone, a Gaetano PanazzaAdriano Peroni 9

Dossiers des archives de Fernand de Dartein - IIILes églises du XIe siècle en Italie du Nord dans l’œuvre de Fernand de DarteinMarie-Thérèse Camus 15

Dossiers des archives de Fernand de Dartein - IVTra le chiese di Milano, il caso di Sant’AmbrogioTancredi Bella 25

L’architettura del X e XI secolo a Nord delle Alpi e le sue relazioni con l’architettura in ItaliaWerner Jacobsen 35

Architetture dell’XI-XII secolo a confrontoOsservazioni tra esempi svizzeri e lombardiHans Rudolf Sennhauser 41

Oratorio di San Martino (Quinto-Deggio)Nuove ipotesi dalla ricerca archeologicaRossana Cardani Vergani 47

L’abbatiale romane de Baume-les-Messieurs (Jura)Premiers résultats des recherches d’archéologie du bâtiMarie-Laure Bassi 51

Verona e l’architettura lombarda nel secolo XI: l’importanza dei modelliGianpaolo Trevisan 57

Pievi romaniche e paesaggio agrario. Un caso studio: il Canavese occidentaleCarlo Tosco 69

L’architettura della cattedrale di BobbioAnna Segagni Malacart 83

Indice

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La chiesa di San Fiorentino a Nuvolato (Mantova) e il problema dei “cori murati” dell’XI secoloPaolo Piva 91

Osservazioni e riflessioni critiche sulla polivalenza liturgica dei battisteri nord-occidentali d’Italia dei secoli XI e XIIBarbara Bruderer Eichberg 99

Fra pre- e protoromanico lombardo: i Santi Fermo e Rustico a Credaro, Santa Maria e San Salvatore ad Almenno San Salvatore, San Salvatore a BarzanòFabio Scirea 117

La pieve di Lenno e altre questioni larianeMarco Rossi 127Appendice. Alcune osservazioni sulla tecnica costruttiva delle volte e sulle finiture di superficie della cripta di Santo Stefano di LennoDario Gallina 133

Cappelle castrensi tra Lombardia e Piemonte nel secolo XI: architetture per “un ordine nuovo”Maria Teresa Mazzilli Savini 137

Considerazioni su alcune chiese a impianto basilicale nel territorio milaneseLuigi Carlo Schiavi 157

Osservazioni sulla pittura lombarda tra X e XII secolo. Il territorio veroneseMara Mason 167

La pieve di Sant’Andrea di Iseo (Bs)Dall’analisi stratigrafica e archeologica alla politica edilizia dell’episcopato bresciano tra XI e XII secoloDario Gallina 177

Sistemi voltati nell’architettura del primo XI secoloAlcuni esempi nell’Italia nord-occidentaleSaverio Lomartire 199

Echi dell’architettura transalpina nella marca aleramicaSanta Giustina di Sezzadio e Santo Stefano extra muros di GamondioSimone Caldano 215

San Pietro di AcquiGian Battista Garbarino 223

Romanico ad Asti nel secolo XI: ricerche sulla città e sul territorioAlberto Crosetto 235

Lombard architecture? Parma, XI secolo. Il monastero di Sant’UldaricoMichele Luigi Vescovi 245

Tracce lombarde nella Toscana protoromanicaMarco Frati 253

Esplorazioni nell’architettura romanica del MontefeltroLe tecniche costruttive nell’XI secoloCristiano Cerioni 271

Immagini 281

Bibliografia 491

VI Indice

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Il 30 gennaio 1079 il vescovo di Como Rainaldo donavadue appezzamenti di terra al prete Albizone «de ordineecclesie et plebe» di Santo Stefano a Lenno, per assicurarela vita in comune e una certa tranquillità economica ai cle-rici di quella canonica, con il conseguente divieto tassativodi poter alienare tali beni1.L’intervento episcopale rientrava nel vasto piano rifor-

matore di Rainaldo (1061/1062-1084)2, che fin dall’ini-zio del suo ministero si era preoccupato di rinnovare la vi-ta comune del clero della basilica di Sant’Eufemia-San Fe-dele a Como, ispirandosi seppur moderatamente ai princi-pi di san Pier Damiani, con il quale era venuto in rappor-to3. Nello stesso anno, nell’ottobre 1063, aveva compiutouna donazione di terra al monastero di Sant’Abbondio4,cercando di coinvolgere nel movimento di riforma, oltreall’ambiente canonicale, anche quello monastico, come di-mostrerà più avanti il favore accordato all’ingresso in dio-cesi dei cluniacensi, innanzi tutto con la fondazione nel1078 in Valtellina del monastero di San Pietro in Vallate.Come ha giustamente suggerito Paolo Piva, va conside-

rata l’ipotesi che a Rainaldo possa essere attribuita un’atti-vità di committenza architettonica, rispondente ai suoiideali di riforma, a partire dalla citata basilica di Sant’Eu-femia-San Fedele5, il cui corpo occidentale pare predilige-re modelli francesi rispetto a quelli germanici adottati nel-la zona orientale, e agevolare la vita canonicale attraversol’utilizzo dei matronei. Lo studioso ha collegato al possibile intervento del ve-

scovo anche la costruzione della seconda cattedrale di Co-mo, intitolata a San Giacomo, per lo schema del corpoorientale tipico delle chiese ‘riformate’, derivato probabil-mente da una regolarizzazione di Cluny II, e per alcuneanalogie architettoniche riscontrabili con la basilica diSant’Abbondio (colonnati uniformi di pilastri cilindrici,coppia di torri), la cui fabbrica si stava concludendo in que-gli anni e alla quale il prelato non era certamente estraneo6.Si apre a tal proposito un ampio campo d’indagini rela-

tivo alle committenze episcopali comasche nel corso delsecolo XI, ancora in gran parte da dissodare, soprattuttoper quanto riguarda il ricchissimo territorio, a partire daquello lariano. Purtroppo, nonostante la secolare e bene-merita tradizione di studi storici e archeologici locali, chehanno favorito la conservazione e il restauro di molte te-stimonianze architettoniche, l’orizzonte storiografico fati-ca ad assumere un respiro critico solido e convincente.

Tornando a Lenno, ne abbiamo la riprova immediata,risalendo al 1876 il restauro del battistero e la valorizza-zione della cripta della parrocchiale di Santo Stefano, gra-zie all’opera di Vincenzo Barelli (figg. 1-2)7, e dovendociancora basare sulle fondamentali ricerche di Monneret deVillard nel volume L’Isola Comacina, pubblicato nel19148, per trovare la più ricca documentazione sull’anticapieve lariana, sui suoi monumenti e sul relativo contesto.Il primo dato da sottolineare è proprio lo stretto rap-

porto geografico – e conseguentemente storico, ma ancheartistico – di Lenno con l’Isola Comacina e con le suecomplesse vicende altomedievali9, facenti capo alla sepol-tura nella basilica di Sant’Eufemia d’Isola del vescovoAgrippino, inviato agli inizi del VII da Aquileia a sancirela dipendenza della chiesa di Como da essa. Il secondo dato significativo è l’altrettanto rilevante im-

portanza di Lenno fin dai tempi più antichi, documentatadalle numerose epigrafi di VI secolo ancora conservate nel-la parrocchiale: in particolare va segnalato che in una di es-se si ricorda, nel 554, un membro della Comensis Ecclesiae ein un’altra un praesbyter, a testimonianza della vitalità cri-stiana del sito e della probabile esistenza di una chiesa10.Quella di Santo Stefano è documentata la prima volta, perquanto ne sappiamo, nel 978, quale coerenza di uno deiterreni venduti da Urso di Balbiano a Widone, prete del-l’Isola11. La pieve invece è attestata nel 1022, in occasionedella vendita di un appezzamento di terra da parte di undecumano della chiesa milanese a Crescenzio «presbiterde ordine et plebe S. Stephani sita loco Laenno»12.Il completo rifacimento dell’edificio non ha favorito i

suoi studi: per questo anche la scarsissima letteratura criti-ca13, pur segnalando l’importanza del battistero e dellacripta, si è soffermata sul problematico aspetto del presun-to riuso di capitelli, ma non ha formulato ipotesi interpre-tative sulla struttura originaria della pieve e sul suo signifi-cato nell’ambito del romanico lombardo.Prima di proseguire in un’analisi più serrata dei rilevan-

ti dati materiali emersi dai sopralluoghi e di quelli docu-mentari nel tentativo di suggerire qualche nuovo spuntodi lettura, vale la pena – in modo particolare in questa oc-casione – riprendere in considerazione le riflessioni d’ini-zio Novecento di Arthur Kinsley Porter14. A propositodella parrocchiale di Santo Stefano, basandosi sulle anti-che descrizioni di essa e sui precedenti studi di Barelli,Monti e Monneret, egli considera innanzi tutto le contro-

La pieve di Lenno e altre questioni lariane*Marco Rossi

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verse ipotesi di Sigismondo Boldoni, che nel suo Larius,scritto nel 1616, riteneva che la chiesa, costruita su untempio periptero dedicato probabilmente a Diana, avessemantenuto attorno all’aula, su tre lati, il doppio ordine diportici poi murati, come ancora si vedrebbe sulla fronteverso il lago (fig. 3). Le perplessità di Porter, dopo la stron-catura di Monneret che parlava di «un grave errore ar-cheologico»15, non intaccano però la certezza di una fon-dazione della chiesa «at a very early period»: l’esistenza aLenno di una basilica cristiana già nel VI secolo sarebbeattestata dalle epigrafi ivi conservate.Porter cita quindi alcune parti della visita pastorale del

Ninguarda del 1593, che descrive la chiesa prima delle tra-sformazioni barocche e dei «disastrosi» restauri di metàOttocento, confermando che della struttura romanica ri-mane solo la cripta (fig. 4). Di essa esalta le volte, luminosee ariose, e i capitelli, ritenuti tra i più importanti esempi diarte carolingia esistenti in Lombardia. Di riuso sono con-siderati pure due capitelli bizantini di VI secolo e altri co-rinzi di X, simili a quelli di San Giulio a Orta e dei SantiFelice e Fortunato a Vicenza. Porter sembra comunquemanifestare in alcuni casi qualche dubbio sulle effettivedatazioni, ritenendo che certi capitelli possano costituireun’evoluzione di quelli della cripta di San Vincenzo a Gal-liano, un monumento datato 1007, considerandoli quindidi XI secolo16. La cripta di Lenno viene datata dallo studioso america-

no non prima dell’ultimo quarto dell’XI secolo, intorno al1080, quando si dovette procedere alla ricostruzione delcomplesso plebano, in sintonia con il vicino battistero ri-tenuto del 1085 circa. La datazione di quest’ultimo è sug-gerita per le analogie del regolare apparato murario conquello della vicina chiesa di San Benedetto in Val Perlana(circa 1083).Del battistero (figg. 1-2) sono messe in evidenza la

pianta ottagonale con abside originariamente semicircola-re, la copertura a volta, la piccola lanterna sovrastante, ilportale con triplice arcata e due capitelli corinzi, la cornicead archetti e le semicolonnine sugli spigoli.Le datazioni suggerite da Porter per l’assetto romanico

del complesso plebano di Lenno (circa 1080-1085), rica-vate attraverso un’analisi prevalentemente formale del bat-tistero e della cripta, che cercheremo poi di approfondire,inducono a verificare eventuali rapporti con la donazionedel 1079 citata all’inizio, attraverso la quale il vescovo diComo Rainaldo intendeva garantire una certa tranquillitàeconomica ai clerici viventi in comune presso la chiesa diSanto Stefano.Possiamo ora aggiungere l’indicazione di un altro docu-

mento di quegli anni, datato 30 aprile 1083, che attesta unnotevole dinamismo della zona e vede ancora protagoni-sta Rainaldo, particolarmente attento sia a qualificare ilclero plebano con una sua precisa identità, sia a promuo-vere il monachesimo benedettino: infatti, alla presenza delprelato, i boni homines delle pievi di Lenno e di Isola ri-

nunciano ai controversi diritti sulla chiesa in costruzionedi San Benedetto in Val Perlana e donano alcune terre aiconversi ivi dimoranti, legati ai benedettini di San Carpo-foro in Como, aprendo la strada alla fondazione di unnuovo monastero17.Morta l’imperatrice Agnese con la quale il vescovo era

in stretto rapporto e venuti meno i suoi impegni diploma-tici, anche per il fallimento della politica di conciliazionetra Gregorio VII ed Enrico IV di cui era stato attivo prota-gonista, Rainaldo poté probabilmente dedicarsi con mag-gior intensità alla diocesi, come all’inizio del suo episcopa-to. Secondo quanto attestano i documenti, come vedre-mo, egli riservò una particolare attenzione al ramo coma-sco del Lario, oltre che per un evidente complesso di moti-vi storici e di aspetti strategici, determinati dall’importan-za primaria della via Regina, anche per la singolare ric-chezza e profondità di memorie religiose custodite daquell’affascinante territorio, che non potevano risultareestranee a un prelato “scientia et religione clarissimus”18, apartire dalla tomba del vescovo Agrippino, sepolto all’ini-zio del VII secolo sull’Isola Comacina. La lunga epigrafe della lapide sepolcrale, ora a Ossuc-

cio, ricorda che egli giunse da Aquileia a Como «pellegri-no per la santa fede, sopportando inenarrabili fatiche…per guidare invitto in queste plaghe le grandi battaglie diDio» («ut gerat invictus proelia magna Dei»). L’iscrizio-ne rammenta pure che Agrippino rinnovò la basilica diSant’Eufemia d’Isola («hoc fabricavit opus») e mantennela chiesa di Como fedele ai primi quattro santi concili, ri-fiutando il quinto e conservando intatta la sua fede(«semper mansit insuperata fides»)19. La lapide evoca la complessa questione dei Tre Capito-

li, per cui Aquileia, insieme ad altre chiese, non riconobbeil concilio ecumenico imposto da Giustiniano (553-554),il quinto, rimanendo programmaticamente fedele a quellodi Calcedonia (451), l’ultimo unanimemente riconosciu-to, del quale la dedica della chiesa a sant’Eufemia costitui-va memoria20. Per Como tale fedeltà assumeva contorniancor più significativi, in quanto il venerato patronosant’Abbondio era stato il legato di papa Leone Magno alsinodo di Costantinopoli del 450, convocato in prepara-zione del concilio di Calcedonia, dove aveva pronunciatoil Tomus ad Flavianum, affermando l’esatta dottrina cri-stologica contro Nestorio ed Eutiche21. Per i vescovi riformatori era fondamentale tornare alle

origini del cristianesimo e, pur nelle complesse vicendedella chiesa comasca e della contemporanea situazione po-litico-religiosa che avrebbe richiesto particolari prese diposizione, Rainaldo non poteva non recuperare i tratti piùautentici e gloriosi di quella storia.Abbiamo un documento di qualche decennio prece-

dente che può aiutare a capire bene i tratti della fedeltàdella chiesa di Como alla tradizione delle origini e la con-sapevolezza dell’importanza dell’Isola: si tratta del diplo-ma del luglio 1031 con il quale il vescovo Litigerio costituì

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la collegiata di Sant’Eufemia22, creando un istituto canoni-cale che segnò al tempo stesso l’avvio di una riforma delclero e del rinnovamento architettonico della basilica. Neldocumento si ricordava appunto che essa sarebbe statafondata da sant’Abbondio a ricordo del concilio di Calce-donia, deponendo insigni reliquie e spesso sostando inpreghiera e contemplazione.Rainaldo doveva conoscere tale operazione riformatri-

ce del suo predecessore, parallela a quella compiuta dallostesso nel 1032 in San Fedele a Como23, e non rimanereindifferente ad essa, se in un certo senso la replicava a Len-no cinquant’anni dopo, così come aveva fatto con il clerodi San Fedele nel 1063.Per il vescovo riformatore legato a papa Gregorio VII

poteva esserci però qualche problema a identificarsi total-mente con l’afflato scismatico che pur spirava dall’Isola tri-capitolina e con la chiesa di Aquileia dalla quale la sua dio-cesi dipendeva, in quanto il patriarcato era entrato semprepiù in conflitto con Roma per ottenere privilegi dall’impe-ratore, culminati il 3 aprile 1077, quando Enrico IV da Pa-via aveva concesso al patriarca Sicardo l’investitura feudaledel comitato friulano con prerogative ducali24.Siamo in uno di quei campi, che prima ricordavo, nei

quali le ricerche storiche sull’ambiente comasco non misembrano venire troppo in aiuto, per cui si è costretti a la-sciare molto sfumati i contorni delle ipotesi.Un dato importante sul quale riflettere – al di là di

un’analisi puramente formale – pare però emergere dall’as-setto planimetrico del battistero di Lenno, ispirato a quel-lo di Grado sia per la sua struttura ottagonale con absidesemicircolare (quest’ultima purtroppo rifatta in forma po-ligonale), sia per la sua posizione rispetto alla chiesa. In en-trambi i casi non sappiamo se esso riprenda il sito e la for-ma di una precedente costruzione, come nel caso simile diOggiono25: solo uno scavo consentirebbe di sciogliere idubbi.Il riferimento a Grado potrebbe essere stato da parte di

Rainaldo idealmente programmatico e fondativo di unimportante polo monumentale plebano – come effettiva-mente appare – alternativo a quello vicinissimo dell’Isola.Infatti di fronte alle prepotenze di Aquileia, Grado era ri-corsa più volte in quegli anni al papa per rivendicare i pro-pri diritti, fino ad essere riconosciuta nova Aquileia, con-fermandosi quale culla dell’ortodossia, come era apparsafin dal 607, con l’insediamento di Candidiano, che avevaristabilito la comunione con Roma, ponendo fine allo sci-sma tricapitolino e provocando la scissione del patriarcatocon l’elezione ad ‘Aquileia Vecchia’ di Giovanni26.Non penso che Rainaldo fosse interessato ad arrivare a

una rottura: comunque i documenti tacciono i suoi rap-porti con Aquileia, lasciando intuire una probabile fred-dezza, anche se Gregorio VII aveva riconfermato Comoalla sua giurisdizione ecclesiastica, tranquillizzando conuna lettera del 17 settembre 1077 i vescovi suffraganei do-po la morte del patriarca Sicardo27.

Ben altro impegno suggeriscono invece le committenzedi Rainaldo – come abbiamo appena visto introducendo ilnuovo assetto della pieve di Lenno – che paiono indicarela chiara intenzione di riqualificare in modo decisivo alcu-ni punti della diocesi, oltre che della stessa Como.Se al 1072 risaliva la consacrazione della plebana di San

Vincenzo a Gravedona, come attesta il Ninguarda e comesembrano confermare le murature più antiche dell’edificioe la cripta28, non possiamo non pensare a un intervento delvescovo. Pure la trasformazione del vicino battistero, cheaveva già acquisito l’intitolazione di Santa Maria del Ti-glio e andava assumendo anche funzioni di chiesa29, riten-go sia stata avviata contestualmente, seppure conclusa piùtardi.Inoltre nel marzo 1078 era partita dall’Isola Comacina

la donazione a Cluny di terreni da parte dei coniugi Atto-ne e Boniza per il monastero in costruzione di San Pietrodi Vallate in Valtellina30, certamente favorita da Rigizo,fratello del donatore e professo a Cluny, ma anche dal ve-scovo Rainaldo, come già accennato. Non è escluso che lapianta a due navate absidate, singolare in ambito clunia-cense, possa essere derivata proprio dal battistero dell’IsolaComacina31.Ancora più rilevante dovette essere l’intervento nella

chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Nesso, dove il prelato ven-ne sepolto non penso solo perché deceduto il 27 gennaio1084 in quella località, ma probabilmente per un saldo le-game con essa, di cui ci sfuggono i contorni. Forse il vesco-vo aveva lì una propria residenza, come farebbe pensare iltoponimo al domm attestato per i terreni attorno allachiesa arcipretale, che una convincente tradizione vorreb-be fondata proprio da Rainaldo, secondo quanto confer-merebbe la prestigiosa consacrazione effettuata il 28 mag-gio 1095 da papa Urbano II32, pochi giorni dopo Sant’Ab-bondio. Purtroppo la chiesa venne completamente rinno-vata nel Seicento, per cui la sua configurazione romanicaci è nota solamente dalla descrizione delle visite pastorali:era ad aula unica pressoché quadrangolare (circa 15 brac-cia), con abside semicircolare e copertura a capriate33.Risulta comunque significativo della centralità attribui-

ta da Rainaldo alla plebana di Lenno e del conseguentepotere assunto da essa che il successore Eriberto, appenaun anno dopo la sua morte, il primo marzo 1085, proprioda Nesso dove era in visita, a seguito delle rimostranze deicanonici di Sant’Eufemia d’Isola, ritenesse di dover resti-tuire alcuni beni in Pola e Flona, assegnati ai canonici diSanto Stefano di Lenno dai suoi predecessori34. La que-stione fu definitivamente risolta solo nel marzo 1093 conun atto di transazione amichevole da parte dei canonici diLenno, dal quale risulta chiaramente che «Rainaldus illisdedit cumanus episcopus»35.Abbiamo già accennato che il vescovo doveva aver sug-

gerito per il centro plebano un’ispirazione a Grado, ma orapossiamo tentare di approfondire la portata monumenta-le del progetto.

Marco Rossi –La pieve di Lenno e altre questioni lariane 129

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Interessanti rilievi del 1827 e del 1854 (fig. 5)36, prece-denti diverse demolizioni, attestano che la chiesa con ilcampanile, rivolta sulla via Regina, era inserita in una sor-ta di area sacra cinta da mura, chiusa verso il lago, com-prendente il battistero (al quale era stata annessa la casa delsacrestano), gli oratori di Santa Maria e di San Zeno adia-centi all’abside di Santo Stefano, e gli ambienti canonicalia fianco di essa. La visita pastorale del Ninguarda (1593) parlava di

«mura del cimitero», entro le quali si trovavano gli edifi-ci sacri37: di particolare interesse appaiono evidentementei due oratori scomparsi. Quello di San Zeno, lungo circa15 braccia, risultava «involtato», con un altare «in unanicchia pinta» e per il resto senza ornamenti. Ancora piùrilevante doveva essere la «chiesa di S. Maria», della qua-le però non venivano fornite le misure, ma che sulla piantaottocentesca appariva lunga più del doppio di San Zeno e,comprendendo l’abside semicircolare, almeno la metà diSanto Stefano (circa 18 x 8 m): anch’essa era «tutta invol-tata, con un altare in fronte in una nicchia pinta» e «unaancona vechia». La perdita degli assetti originari delle strutture plebane

nella loro complessità e la concentrazione degli studi pre-valentemente sulle architetture di chiese principali e batti-steri non consente per ora d’indicare confronti adeguati,se non constatare la possibile presenza di una pluralità dicappelle, ispirata ad alcuni complessi episcopali, come adesempio Nevers38, e alimentata dallo sperimentalismo ar-chitettonico tipico del romanico lombardo. La rilevanzadi Santa Maria non esclude inoltre una funzione di chiesadoppia rispetto a Santo Stefano, in relazione alle funzioniliturgiche richieste dalla vita comune del clero39, come ab-biamo visto anche a Gravedona. Proprio davanti al suo al-tare Ninguarda documentava «la sepoltura de preti»40.Certo il sistema absidale della pieve di Lenno doveva ri-

sultare alquanto complesso, articolato dalle struttureemergenti dei due oratori, sostanzialmente adiacenti alletestate delle navate laterali, ma non sappiamo in quale mo-mento costruiti, se contemporanei al rinnovamento roma-nico dell’edificio o aggiunti in una seconda fase. Più pro-blematica risulta la definizione dell’abside centrale dellachiesa: l’attuale, singolare assetto ad arconi ciechi su dueordini, al di là delle successive ristrutturazioni e per quantosi può ancora vedere nei sottotetti, fa pensare a quelle chela Magni ha descritto come sopravvivenze carolinge e otto-niane nell’architettura alpina41, o forse addirittura a sistemipaleocristiani sul tipo di San Simpliciano a Milano. In talcaso l’abside – «la nicchia tutta depinta di pitture vec-chie» del Ninguarda – sarebbe stata inscritta entro talemuratura, come attestato a Como dalle absidi laterali diSan Carpoforo, Sant’Abbondio, San Giacomo, San Fedelee San Giorgio. Rimangono però molti dubbi, in quanto laparte fuori terra della muratura absidale esterna della crip-ta, che come a Galliano doveva costituire la zona inferioredell’abside della chiesa, conserva ancora – in cattivo stato –

le lesene esterne impostate su un basamento e un’aperturacon piccola transenna marmorea, tutti elementi che sem-brano indicare una struttura a vista e non inscritta. Si pos-sono per ora suggerire due ipotesi: che in un primo tempol’abside fosse stata realizzata a vista e poi inglobata entrouna struttura muraria, forse in occasione della costruzionedei due oratori; oppure che la struttura absidale fosse fin dasubito articolata in percorsi liturgici e funzionali, per cui ilcorridoio tra l’emiciclo della cripta e il perimetrale orienta-le avesse richiesto comunque una definizione architettoni-ca dei muri esterni. Tali ipotesi costituiscono un primo risultato delle nuo-

ve ricognizioni effettuate con Dario Gallina nel monu-mento, in particolare nei sottotetti, delle quali si offre inquesta sede una iniziale riflessione critica, ma che avrannobisogno di più dettagliate ed estese analisi stratigrafiche eulteriori rilievi.Il sottotetto della chiesa attuale conserva la parte supe-

riore dell’imponente cleristorio della navata centraledell’edificio romanico (fig. 6), come rivela l’apparato mu-rario, analogo a quello alla base del campanile (fig. 7)42. Iltipo di muratura richiama il vicino San Benedetto in ValPerlana (circa 1083) e la pieve di San Vincenzo a Grave-dona (circa 1072), frutto probabilmente di campagne co-struttive correlabili. Essa è differente da quella ritrovata nel sottotetto della

navatella meridionale dopo la prima campata (figg. 8-9),molto probabilmente risalente alla chiesa paleocristiana oaltomedievale: a 5,50 m circa dall’attuale facciata si vedechiaramente la linea di giunzione tra i due muri, l’anticoperimetrale e l’aggiunta di una campata romanica.Come già accennato, la muratura dell’abside è invece

più difficilmente leggibile senza un accurato rilievo strati-grafico che richiederà ulteriori indagini, date le numerosesovrapposizioni e l’accumulo di molti materiali a diversi li-velli, ma non si può escludere la presenza di entrambe lefasi, quella romanica e quella precedente.Per quanto riguarda il rinnovamento romanico della

chiesa paleocristiana non si può escludere una trasfor-mazione analoga a quella avvenuta negli stessi anni nelSant’Abbondio di Como (fig. 10). Secondo il modello del-la citata basilica milanese di San Simpliciano, un’aula d’im-pianto cruciforme sarebbe stata preceduta da un nartece eaffiancata da due vani che si connettevano ai bracci latera-li, trasformati nell’XI secolo nella prima campata dellanuova chiesa e nelle navate laterali43: tale operazione po-trebbe essere stata realizzata pure in Santo Stefano a Len-no, dove non va esclusa l’ipotesi di una seconda torre cam-panaria in facciata, in corrispondenza di quella esistente.La struttura romanica doveva essere dunque a tre nava-

te senza transetto e con cripta – sul tipo Amsoldingen perintendersi44, anche se mi pare che tale riferimento sia statotroppo sopravvalutato – diffusa da Agliate a Sant’Ambro-gio a Milano, a Sant’Abbondio a Como. Lungo la scala di accesso alla cripta è ancora visibile

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sulla destra la parte inferiore di un pilastro romanico conlacerti di affreschi trecenteschi, che testimonia la suddivi-sione della chiesa in tre navate, e sulla sinistra la quota del-l’edificio medievale con residui di muratura.Per quanto riguarda l’abside rimangono le perplessità

manifestate, alimentate soprattutto dalla presenza di lese-ne esterne e di aperture sull’emiciclo della cripta che risul-tava fuori terra. Anche le pareti laterali esterne della criptaoffrono interessanti motivi di riflessione, in ambienti pe-raltro difficili da studiare in quanto adibiti a depositi, apartire dall’inserimento del muro meridionale in unastruttura ritenuta romana fin dalla più antica storiografia eidentificata con un edificio termale45.La cripta (figg. 4, 12, 15), come abbiamo visto molto

apprezzata dal Porter, presenta tre navate di cinque cam-pate ciascuna, scale d’accesso in asse con le navatelle e co-pertura costituita da volte a crociera con sottarchi longitu-dinali e trasversali, poggianti lungo i fianchi su semicolon-ne in pietra addossate a doppie lesene, che determinanouna scansione a doppio profilo arcuato dei muri laterali. Sulle volte sono ancora parzialmente leggibili le tracce

delle assicelle di legno di armatura delle vele, che venivanoimmorsate nei sottarchi e poi smontate46, delle quali ri-mangono resti molto significativi in alcuni pennacchi (fig.13): si tratta di frammenti lignei spezzati e successivamen-te non rivestiti da calce, come risulta avvenisse sulla base dialtri resti (fig. 14). La curva absidale è qualificata da tre ampie nicchie, en-

tro le quali si aprono altrettante monofore strombate, pro-tette da transenne in marmo. La tessitura muraria compresa tra le semicolonne su

doppie lesene dei perimetrali che generano archi di parete(figg. 15-16), apparentemente incerta, tanto da lasciarpensare alla necessità di una successiva intonacatura, rive-la a un’analisi attenta stilature della malta alquanto varie,ma realizzate piuttosto celermente, che – come i fram-menti delle centine delle volte – suggeriscono l’ipotesi diuna conclusione veloce (o affrettata) del cantiere.La configurazione della cripta di Lenno è molto simile

a quelle di Sant’Eufemia d’Isola (figg. 17-18) e di San Car-poforo a Como, ispirate ai prototipi lombardi di Gallianoe più specificatamente di Agliate, databili ai primi decennidell’XI secolo47. Per la prima sarebbe suggestivo poter confermare il col-

legamento proposto dalla Magni tra la fondazione dellacripta e l’istituzione del collegio canonicale da parte delvescovo Litigerio nel 103148, ma i dettagli architettoniciancora visibili inducono a spostare in avanti la datazione,soprattutto se si osserva la modulazione della parete scan-dita in nicchie, con le semicolonne addizionate a lesene,mentre nelle cripte di San Lorenzo a Cremona e di SantaMaria a Lomello, databili al secondo quarto del secolo, lastruttura e i dettagli erano meno complessi49.La particolare presenza di nicchie non solo nell’abside,

ma anche lungo i perimetrali della cripta di Sant’Eufemia

– con interessanti e al tempo stesso problematiche varian-ti dimensionali – ritengo rifletta un influsso dell’architet-tura adriatica: ricordo ad esempio la sequenza di nicchielungo le due pareti nella cosiddetta chiesa dei Pagani cheraccorda la basilica di Aquileia con il battistero50. Va segnalato che negli stessi anni a Como le absidi delle

chiese, che vedono probabilmente un intervento di com-mittenza da parte del vescovo Rainaldo, tendono a carat-terizzarsi attraverso una sequenza ininterrotta di nicchie,dalle cinque di San Giorgio in Borgovico51 alle sette in SanGiacomo, che oltre a modelli imperiali come la cattedraledi Spira, penso riflettano architetture adriatiche al cui am-bito la diocesi lariana faceva riferimento.Rispetto all’Isola, nella cripta di Lenno risulta poi rad-

doppiata la lesena di appoggio della semicolonna (fig. 15),come in San Giovanni in Conca a Milano e in Santa Giu-stina a Sezzadio52, e il sistema poggia su un basamento chepercorre i perimetrali.Entrambe le cripte sembrano collegabili agli sviluppi

dell’esperienza canonicale nelle due pievi; in particolare aLenno, data anche l’assenza di reliquie e la presenza di unaltare 53, l’ambiente a oratorio era probabilmente utilizza-to per la celebrazione di atti liturgici, ipotizzabile quindiin relazione allo sviluppo della vita in comune del clero fa-vorita dal vescovo Rainaldo54. Un dato significativo riguarda il fatto che questi, all’ini-

zio del suo episcopato, tra il 1061 e il 1062, aveva ricevutodall’imperatore Enrico III la restituzione dell’importanteabbazia di Breme in Lomellina, dopo essere stata assegna-ta in contrastata commenda ai vescovi di Como Alberico eLitigerio55. La cripta di San Pietro, considerata dalla Ma-gni uno dei prototipi del tipo a sala databile alla secondametà del X secolo, ma ancora discussa56, ritengo possa aversuggerito a Rainaldo un modello – adottato dai monacidella Novalesa rifugiatisi a Breme – da favorire nella suadiocesi.Per quanto riguarda i capitelli di Lenno (figg. 19-20),

l’ipotesi di numerosi riusi avvalorata da Porter è stata ulte-riormente rafforzata da Arslan57, che ha parlato di reim-pieghi di fine VIII o della prima metà del IX secolo, contipologie che si rifarebbero a modelli paleocristiani comenella cripta milanese di San Vincenzo in Prato, oppure a«vigorose strutture tipiche della prima metà dell’VIII se-colo», o a un più slanciato gusto francesizzante. Zastrowha invece collocato i capitelli, a parte la coppia tra la quar-ta e la quinta campata e qualche incertezza sulla successiva,all’epoca della costruzione della cripta, nella seconda metàdell’XI secolo, ritenendo la retrodatazione un’insidia cau-sata dal loro aspetto arcaizzante58.Cercando di evitare il rischio di facili generalizzazioni e

procedendo con prudenza date le difficoltà del contesto e ildibattito critico sempre acceso sul riuso di capitelli nellecripte romaniche, ritengo innanzi tutto opportuno rilevarel’importanza a Lenno (figg. 19-20) dello sperimentalismodel tipo corinzio59, che trova il riferimento più adeguato

Marco Rossi –La pieve di Lenno e altre questioni lariane 131

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132 Architettura dell’XI secolo nell’Italia del Nord

con quanto si andava realizzando nelle diocesi di Aquileia eGrado nel corso dell’XI secolo. La singolarità e varietà ditali contributi all’elaborazione dei capitelli corinthisants diepoca romanica non fu certo esclusivo, come ha ben messoin evidenza Éliane Vergnolle arricchendo l’orizzonte di ri-ferimenti occidentali, ma trovò certamente in quel conte-sto un terreno fertile di imitazione di prototipi antichi e al-tomedievali, soprattutto in occasione dell’imponente cam-pagna di rinnovamento architettonico e decorativo attuatadal patriarca Poppone e la precoce elaborazione di alcunesoluzioni poi diffuse in Europa, come la trasformazionedelle foglie d’acanto in palmette, l’abbreviazione del cauli-culo, l’accentuato grafismo e schematismo60. In ambito comasco lo sperimentalismo corinzio si ri-

scontra nella seconda metà dell’XI secolo, oltre che nella

cripta e nei due semicapitelli del portale del Battistero diLenno61, nella basilica di Sant’Abbondio62, entrambe fab-briche probabilmente ispirate dal vescovo Rainaldo. Le se-micolonne che scandiscono le pareti del Battistero presen-tano invece più tradizionali capitelli cubici ad angolismussati, come nella cripta di San Vincenzo a Gravedona.Pur lasciando aperto il problema a ulteriori approfon-

dimenti critici, che necessitano di più ampie ricognizionie revisioni non solo nel territorio lariano, mi pare quindiche i capitelli di Lenno possano essere collegati all’epocadel cantiere della cripta e costituiscano uno di quei casiestremamente problematici di pezzi apparentemente direimpiego63, frutto invece di uno sperimentalismo non an-cora del tutto risolto.

* Ringrazio il Parroco di Lenno per aver favorito le ricerche con grande di-sponibilità e Dario Gallina per i rilievi e i fruttuosi sopralluoghi nei sottotetti.

1. Gli atti privati 1969, doc. 590, pp. 74-75. 2. ZERBI 1979, ora in ZERBI 1993, pp. 253-277, in part. p. 276. Cfr. inol-

tre GOEZ 1974b.3. ZERBI 1993, p. 262. Il documento è pubblicato in Carte di S. Fedele

1913, n. 5, pp. 21-23.4. Gli atti privati 1965, doc. 444, pp. 189-190.5. PIVA 1990, p. 70.6. PIVA 1990, pp. 74-78. Si veda pure SCHIAVI 2011a.7. BARELLI 1876.8. MONNERET DE VILLARD 1914. Sulla monografia di Monneret: DELLA

TORRE 2004.9. Oltre a MONNERET DE VILLARD 1914, si veda la recente sintesi, con

l’aggiornamento degli scavi archeologici, di CAPORUSSO 1998 e CASSANELLI2011a.

10. MONNERET DE VILLARD 1912, nn. 9 e 17, pp. 30-31, pp. 35-36; CIL,V, 5231 e 5233. Cfr. SANNAZARO 1990, p. 72.

11. CDL, doc. 789 (HPM, 13, col. 1386). 12. Gli atti privati 1969, doc. 117, pp. 267-269.13. Oltre ai già citati BARELLI 1876 eMONNERET DEVILLARD 1914, vanno

segnalati: Ninguarda 1992 (prima ed., 1892-1898), pp. 237-243; MONTI 1902,pp. 430-431, pp. 456-461; STÜCKELBERG 1909, pp. 82-83; PORTER 1915-1917,II, pp. 481-485; TOESCA 1927, p. 532; REGGIORI 1935; ARSLAN [1954], p. 299;MAGNI 1960, pp. 63-65; CHIERICI 1978, p. 334; ZASTROW 1978 (ed. 1981),pp. 119-123; SPIRITI 1994, pp. 61-69; Lenno in Tremezzina 2000; ROVI 2008,pp. 91-94, p. 113; ALLEVI 2008a, pp. 192-195; RURALI 2011.

14. PORTER 1915-1917, II, pp. 481-485.15. MONNERET DEVILLARD 1914, p. 132.16. Oggi i capitelli di Galliano vengono giudicati più antichi: cfr. SANNA-

ZARO 2008, pp. 77-79, anche per la bibliografia precedente.17. Gli atti privati 1969, doc. 642, pp. 169-171. Cfr. ZERBI 1993, p. 276;

BELLONI 1990, pp. 40 e sgg.18. BERNOLDI, Chronicon, ed. 1894, p. 439. Cfr. ZERBI 1993, p. 275.19. CUSCITO 1991. Si veda pure SANNAZARO 2006b, pp. 35-36.20. Per una corretta valutazione anche teologica dei problemi cfr. BERG

1992.21. GINI 1984.22. MONNERET DE VILLARD 1914, pp. 221-223.23. Carte di S. Fedele 1913, n. 3, pp. 11-12.24. MENIS 1992, pp. 82-84.25. Sul battistero rimando alla bibliografia citata nella nota 13. Per i confron-

ti con Oggiono si vedano inoltre: BELLONI ZECCHINELLI 1980, pp. 55-56; AN-ZANI 1984, pp. 67-75. RISTOW 1998, pp. 182-183, ipotizza per il battistero diLenno due fasi: una precedente il Mille e la ricostruzione tra XI e XII secolo. PerGrado si veda, anche per la bibliografia, il contributo di RIZZARDI 2006. Un’im-portante ripresa del battistero di Grado in epoca paleocristiana è stata recente-

mente documentata in quello di Mantova: cfr. BROGIOLO, MARANO2006.26. NIERO 1980; DEGRASSI 1997; VOGT 1992. 27. KEHR 1925, p. 32. Cfr. PENSA 1986, p. 58.28. Ninguarda 1992, p. 158, n. 1. Cfr. MAGNI 1960, pp. 67-70; BELLONI

1980.29. In due documenti del 1154 e del 1179 si fa riferimento esplicito ai ca-

nonici della chiesa di Santa Maria di Gravedona (cfr. BELLONI ZECCHINELLI1975, p. 369). Per il sistema a chiesa doppia cfr. n. 39.

30. PIVA 1999, pp. 42-49.31. PIVA 1999, p. 46.32. L’arciprete di Nesso Pietro Antonio Tacchi scriveva nel Seicento di aver

letto la notizia «in un foglio di un messale patriarchino» che si conservavanella chiesa. Cfr. Nesso 1895; 900 anni 1996; TERZAGHI 2002.

33. Ninguarda1992, II, pp. 75-77. 34. C[ERUTI] 1876, pp. 24-25; SAVIO 1929, p. 329.35. C[ERUTI]1876, pp. 26-27; SAVIO 1929, p. 329; Gli atti privati 1969,

doc. 782, pp. 423-425.36. Como, Archivio di Stato, Fondo Subeconomato dei benefici vacanti, b.

280; Lenno, Archivio Comunale, 1854. Cfr. Lenno in Tremezzina 2000, pp.29-33.

37. Ninguarda 1992, pp. 234-237.38. Cfr. La Cathédrale de Nevers 1995, pp. 49-50 e pp. 83-86: la cappella

romanica si trovava davanti alla cattedrale occidentata, alla quale era collegata,insieme al battistero a fianco, da un porche posto tra essi.

39. Cfr. PIVA 2003. Alcuni significativi casi di chiese plebane doppie sonostate recentemente individuate nel territorio di Varese da SCHIAVI 2011a.

40. Ninguarda 1992, p. 234.41. MAGNI 1969.42. Sono riscontrabili somiglianze con il vicino campanile della chiesa di

Sant’Andrea di Casanova, frazione di Lenno.43. MIRABELLA ROBERTI 1984.44. Si veda a tal riguardo il contributo di Hans Rudolf Sennhauser in que-

sti stessi atti.45. BARELLI 1876, p. 4; GIUSSANI 1904, pp. 96-97 e fig. a p. 91; NOBILE DE

AGOSTINI 1995, pp. 93-94.46. Cfr. PORTER 1911a; VERZONE 1940b. Si veda inoltre l’Appendice di

Dario Gallina e il contributo di Saverio Lomartire in questi stessi Atti.47. Cfr. SEGAGNIMALACART 2004, pp. 91-92; SEGAGNIMALACART 2012,

pp. 93-94.48. MAGNI 1960, pp. 45-47.49. SEGAGNI MALACART 1999, p. 94, n. 16; SCHIAVI 2012a, pp. 53-54.

Cfr. OSWALD 1966, pp. 311-314.50. Recentemente collegato da BARRAL I ALTET 2007, pp. 48-49, alla tipo-

logia degli avancorpi occidentali costruiti tra X e XI secolo, piuttosto che adepoca carolingia.

51. MAGNI 1960, pp. 76-77, anche per l’identificazione con Rainaldodel committente citato nell’iscrizione absidale: NALDO CUMANO EPI-

Note

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SCOPATUS EIUS XXI. Recentemente ROSSINI 2006, p. 167, ha proposto disganciare l’iscrizione dalla committenza degli affreschi e d’interpretarla inrapporto alla deposizione delle reliquie, non pronunciandosi sulle questioniarchitettoniche.

52. Cfr. SCHIAVI 2005, pp. 244-245, n. 62; SCHIAVI 2011a.53. Ninguarda 1992, p. 236, attesta la presenza di un altare intitolato ai

santi ambrosiani Gervasio e Protasio.54. Per la funzione liturgica delle cripte a oratorio, cfr. CATTANEO 1975, p.

52; RUTISHAUSER 1993; SCHIAVI 2010a, p. 30; PIVA 2010a, p. 113 (II ed.2012, pp. 109-109).

55. ZERBI 1993, p. 257.56. MAGNI 1979, pp. 69-72; VICINI 1987, pp. 339-340; SCHIAVI 2011a;

CANTINOWATAGHIN 2012, pp. 251-252.57. ARSLAN [1954], p. 299. Si vedano anche ROMANINI 1969, p. 251; MA-

GNI 1984, pp. 258-259 e p. 262. 58. ZASTROW 1978 (rist.), pp. 119-123.

59. CASATI 2001, pp. 160-165, ha recentemente proposto di datare il capi-tello della prima colonna a destra della cripta tra VI e VII secolo, avvicinando-lo a un altro conservato nel Museo Civico di Como, a uno riutilizzato inSant’Abbondio e a un terzo del Castello Sforzesco di Milano. MONNERET DEVILLARD 1914, p. 89, pp. 94-95, pp. 134-135, riteneva il capitello d’Isola e i tresimili di Lenno opera della stessa maestranza e li datava all’epoca della cripta diSanta Eufemia, intorno al 1030.

60. Nell’ambito della ricchissima bibliografia al riguardo, si vedano alme-no: BUCHWALD 1966; BARRAL I ALTET 1981; LUCA 1997. Cfr. inoltre LUCA1994.

61. Si tratta di un tipo corinzio a tre foglie ripiegate verso l’esterno, tra lequali spuntano due caulicoli che si biforcano in due volute contrapposte, lemaggiori avvolte sullo sporto angolare, le minori accostate sulla fronte.

62. Cfr. RURALI 1994, pp. 176-177.63. Si vedano ad esempio i casi veronesi di San Benedetto e di San Procolo

ben evidenziati da VALENZANO 2007, pp. 266-267, e TREVISAN 2008d.

Marco Rossi –La pieve di Lenno e altre questioni lariane 133

Le volte a crociera delle cripte

Com’è evidente, la storiografia sul romanico lombardo èdominata fin dai suoi esordi1 dal tema delle volte in mura-tura, e Rivoira assumeva questo elemento costruttivo nonsolo come discrimine rispetto all’architettura di derivazio-ne carolingia, ma anche come criterio-guida nello studiodell’evoluzione storica del Romanico, cioè, seguendo le sueparole, per riconoscere «prima i fiori e poi i frutti dell’ar-chitettura lombarda», poiché «prima cura delle maestran-ze lombarde fu lo studio della costruzione delle volte e del-l’arte di equilibrarne le spinte»2. Non è quindi un caso cheanche Porter scrivesse che «the entire development of theart of building during the Romanesque and Gothic periodsnaturally subdivides itself into the various solutions attem-pted for this all-engrossing problem»3.Più in generale, gli studiosi, spesso con una formazione

di tipo architettonico o ingegneristico, che si sono occu-pati della costruzione delle volte sono quindi assai nume-rosi e qualificati, ma va anche rilevato che la loro attenzio-ne, sia che l’oggetto fosse l’Età Romana4 o il Medioevo5, èstata dedicata quasi esclusivamente alle grandi coperture, enon mancano quindi le analisi e le spiegazioni delle proce-dure tecniche per la costruzione delle volte più complessee “ardite”, in primis quelle delle cattedrali gotiche francesi6.In secondo luogo, i medesimi autori dedicano gran partedel loro impegno alla descrizione dei materiali impiegati eall’analisi geometrica delle diverse soluzioni voltate, riser-vando invece uno spazio minimo alle opere di carpenteriatemporanea7 che hanno permesso la messa in opera dellevolte stesse, ovvero i sistemi di centine.

Benché il recente studio di C. Edson Armi8, che hacondotto numerose osservazioni (a nostro giudizio nonsempre perspicue o condivisibili, come vedremo) sulle tec-niche costruttive delle volte medievali, abbia posto un ri-medio almeno parziale a questa carenza generale di atten-zione, rimane a nostro parere ancora valida l’affermazionedi John Fitchen, il quale scriveva nel 1961 che «It is no-thing short of amazing, if not incomprehensible, that thissubject of falsework (…) anywhere and at any time throu-ghout the centuries, should be almost completely devoidof literature»9. Del resto, va riconosciuto che le fonti ico-nografiche sono alquanto rare, ritraendo per lo più legrandi macchine per il sollevamento dei blocchi di pietra ele impalcature10, e che l’interpretazione dei segni lasciatidalle attività di carpenteria nelle murature non è semplice(benché spesso fruttuosa)11.Nella riflessione che Porter dedica, nel I volume della

sua Lombard Architecture, alle volte a crociera, egli risultastranamente generico: «All undomed groin vaults wi-thout ribs required a solid centering. In numerous instan-ces transverse ribs are introduced in connection with un-domed groin vaults. When the dimensions were small, asin crypts, it was probably possible, by the aid of such ar-ches, to construct undomed groin vaults without a solidcentering. In other instances, however, transverse archesappear to have been introduced from a different motive.By their help the space to be vaulted was divided into a se-ries of rectangular compartments, in each one of which anundomed groin vault might be erected on a solid cente-ring. By this device the same centering may have been mo-ved about and made to serve fro more than one vault. At

Appendice.Alcune osservazioni sulla tecnica costruttiva delle volte e sulle finiture di superficie

della cripta di Santo Stefano di Lenno*Dario Gallina

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all events it was not necessary to erect a complete cente-ring under the entire space to be vaulted, as would other-wise have been required. It is evident that especially incrypts there where a great number of intermediate sup-ports breaking up the total area, this system would be ofimmense utility». In sintesi, sarebbe possibile in piccolispazi, quali le campate delle cripte, gettare le volte anchesenza centine complete, sfruttando gli archi trasversi (masenza spiegare cosa questo significhi, vale a dire come con-cretamente accada); in altri casi, però, gli archi trasversimedesimi servirebbero assai utilmente a suddividere lospazio in moduli indipendenti, poi voltati grazie all’uso ri-petuto di un’unica centina completa. Come spiegare que-ste interpretazioni così divergenti da parte del Porter sullafunzione degli archi trasversi? L’osservazione delle voltedella cripta di Lenno ci pare un utile stimolo alla com-prensione di questo passo.Mentre le volte composte da elementi in pietra apposi-

tamente conformati e scolpiti richiedono una procedura euna tecnica di messa in opera del tutto particolare, così co-me le rib vaults (volte su costoloni)12, è noto che le veledelle volte a crociera in conglomerato13, com’è intuitivocomprendere in ragione del materiale pressoché indiffe-renziato di cui erano composte, venivano di necessità get-tate sopra una centina lignea, cioè una forma/sagoma pre-definita14. Incrociando e “sommando” gli studi di JohnFitchen ed Edson Armi, ricaviamo che questa sagoma po-teva essere realizzata in diversi modi: a) in terra, apposita-mente accumulata nell’edificio e modellata15; b) in terra,accumulata su una piattaforma (piana o rudimentalmenteconformata curva) sostenuta da impalcature, e lì modella-ta16; c) in legno, sorretta da impalcature poggiate diretta-mente a terra17; d) in legno, sostenuta sospesa da travi in-fisse nelle pareti18; e) in legno, su una struttura tempora-nea sospesa tra archi trasversi e formerets19, ed è questa latipologia costruttiva che discuteremo.Edson Armi porta due esempi francesi (Saint-Jean-de-

Maurienne; Aime, Saint-Martin) in cui la volta fu gettatain questo modo20 e la prova, del tutto condivisibile, è datadalle impronte delle assi che, a fine lavoro (cioè dopo che ilconglomerato delle volte si è solidificato e le assi medesi-me sono state asportate), rimangono non solo nella maltadelle vele della volta, ma soprattutto tra l’estradosso degliarchi e le vele, dove ne risulta un vuoto, il quale viene poisolitamente riempito con malta o frammenti di pietra o dilaterizi. Si possono portare a conforto di questa interpre-tazione delle procedure costruttive altri esempi21, e sempreil segno più evidente è dato dalla discontinuità del mate-riale costruttivo (o da un apparente “scollamento”) tra ar-chi trasversali e volta, al punto che può persino sembra-re –a prima vista ed erroneamente –che gli archi siano sta-ti applicati in un secondo momento al di sotto delle vele22.Il caso delle piccole crociere della cripta di Lenno è a que-sto proposito del tutto indubbio, poiché, in un modo cherappresenta davvero l’eccezione, si sono conservate in più

punti le assi della centina lignea (fig. 13).È possibile quindi osservare che: il riuso di una sola

centina ipotizzato da Porter è escluso proprio dalle assi la-sciate in situ (del resto, anche in assenza dei resti delle assi,l’asimmetria e la diversità planimetrica delle campate dellecripta di Lenno escludono il riuso di un’unica centina23); ilsistema delle assi, di larghezza varia, era indubbiamentepoggiato sopra gli archi trasversali e di parete delle campa-te; come dimostrano le impronte lasciate nelle singole ve-le, l’insieme derivante dall’accostamento delle assicellenon era di grande precisione; come indicano le sbordaturedi malta, la giunzione delle assi lungo la linea di contattotra le diverse vele non era accuratissima; furono impiegateassi di piccolo spessore (al massimo 0,5 cm), e larghe – alpiù – 15 cm, probabilmente perché, per conformare ade-guatamente le vele, alcune dovevano anche essere sottopo-ste ad una certa torsione; le volte erano integralmente get-tate in questo modo, e non su pennacchi già costruiti nellaloro parte iniziale, come è invece testimoniato in molti al-tri casi24; la maggior parte delle assi sembra essere stata ef-fettivamente sfilata dalla sua sede, come usualmente si fa-ceva, visto che non ha lasciato tracce visibili neppure inprofondità; peraltro, il vuoto rimanente non è più stato ri-sarcito, tanto che in più punti l’arco trasversale è quasi deltutto slegato dalla volta soprastante; al contrario, è un da-to di fatto che un certo numero di assi della centina nonfurono sfilate, anzi in alcuni punti è presente una spessastesura di intonaco che, dal basso, si è iniziato ad applicaresopra le assi rimaste in situ (ma non è chiaro se questa ope-razione non sia mai stata completata o se l’intonaco sia poicaduto proprio perché non poté fare presa adeguata sullegno25).Chiariti dunque questi aspetti, va riconosciuto che que-

sto insieme di sottili tavole non poteva in alcun modo nonsolo reggere il peso del conglomerato delle volte gettate incantiere, ma che non era probabilmente neppure in gradodi “stare in piedi” da solo26, il che smentisce l’opinione delPorter sulla possibilità di non usare o quasi centine per lepiccole volte delle cripte. Rimane quindi da chiedersi co-me il tutto fosse sostenuto. Edson Armi propone due pos-sibili risposte: in prima battuta ipotizza l’esistenza di unacentina indipendente (indipendent centering), o comestruttura lignea libera o come centina poggiata su una tra-ve (beam), riconoscendo però che questa soluzione richie-de molto tempo, esperienza, e legname; nonostante questisvantaggi, si dice sicuro che in molti casi sia stata questa laprassi. D’altra parte, immagina – se ben intendo – ancheuna forma lignea incastrata tra le facce degli archi («woo-den framework directly against the sides of the voussoirs(…) that rests between sides of stone arches»), peraltronon meglio descritta.La prima di queste proposte sembra da scartare perché,

di fatto, duplica senza motivo la struttura ovvero il lavorodei carpentieri, cioè immagina una prima centina poggiatasopra gli archi trasversali e una seconda, coincidente con la

134 Architettura dell’XI secolo nell’Italia del Nord

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campata e quindi più stretta, che la sorregge. La seconda,oltre ad essere priva di riscontro materiale e assolutamentenon spiegata dall’autore, sembra da escludere almeno aLenno. Qui, infatti, le facce degli archi trasversali presen-tano, ben leggibili e leggermente rifluenti dai giunti, lemalte di finiture stilate che sarebbero state invece o schiac-ciate o rotte da queste presunte strutture lignee.Perché non pensare quindi ad una semplice struttura di

archi diagonali in legno, retti da puntelli poggiati a terra,che costituiscono il riferimento per il posizionamento del-le assi delle centina e poi la sostengono quando riceve ilmateriale di cui si compone la volta?Questa quindi la sequenza costruttiva che ci pare plau-

sibile dall’osservazione della cripta di Lenno:a) Erezione dei muri perimetrali fino all’altezza dell’impo-sta degli archi delle specchiature.

b) Costruzione, su semplici centine lignee, degli archi diparete leggermente aggettanti dal filo della muraturaperimetrale.

c) Smontaggio della centina e riempimento dello spaziorisultante con laterizi o pietre.

d) Posizionamento delle colonne e posa in opera, su centi-ne lignee, di sottili archi trasversi in pietra.

e) Costruzione della struttura lignea ad incrocio che serveda guida per la conformazione delle vele della crociera.

f) Posizionamento delle assicelle che costituiscono la cen-tina per la posa della volta.

g) Posizionamento delle pietre su letto di malta a formareil conglomerato delle volte.

h) Smontaggio dei sostegni lignei.Se questa sequenza è corretta, risulta smentito sia quan-

to affermato da Arthur Kingsley Porter a proposito del-l’inutilità delle centine lignee per le piccole crociere, siaquanto sostenuto da Edson Armi nel tentativo di interpre-tare i segni lasciati dalle assi.Alla luce della rarità della situazione conservata a Len-

no, è inevitabile auspicare sia un approfondimento dellostudio delle tecniche di cantiere utilizzate nelle cripte (eche esso non abbia eccessivi timori reverenziali verso i

grandi studiosi del passato), sia una approfondita analisibotanica e dendrocronologica dei resti delle assi ancorapresenti nella cripta per definirne la natura e la datazione.

Le finiture di superficie

Un secondo aspetto non meno interessante della criptadi Santo Stefano è dato dalle stilature presenti nelle mura-ture medievali che, al momento, ci paiono quasi prive diconfronti. Anche se non esclusive dell’edilizia bassomedie-vale, essendo attestate già in età romana27, tardoantica28, ealtomedievale29, le stilature sono presenti in modo caratte-rizzante nell’esecuzione delle murature romaniche ma pe-raltro non sono ancora adeguatamente studiate30.Nella cripta di Lenno sono presenti, oltre alle consuete

rigature semplici dei letti di malta, anche:– sottili stilature parallele e ravvicinate, eseguite in modoabbastanza corsivo e impreciso, sulle facce degli architrasversali (fig. 1);

– stilature perpendicolari al giunto della muratura, curvi-linee, sull’arco dell’accesso settentrionale alla cripta enel corridoio settentrionale medesimo (fig. 2). Di que-sto tipo di finitura mi è noto un solo confronto, vale adire una delle finestre settentrionali della chiesa dellaSantissima Trinità di Esine, in Valcamonica (fig. 4);

– curiosissime schiacciature che conformano la malta, percosì dire, “a perline”, in alcune delle specchiature realiz-zate in laterizi dei muri perimetrali, e precisamente nel-la parte costruita in un secondo momento, cioè dopoaver smontato la centina utilizzata per la costruzionedel formeret (vedi scherma precedente, fase c, fig. 3).Considerando che in alcune delle specchiature in mat-

toni non sono presenti affatto stilature, in altre sono pre-senti le consuete rigature della malta, e in due sole fannomostra di sé queste “a perlina”, se ne ricava l’immagine diun cantiere, ovvero di una pratica delle finiture assai pococodificata, ancora sperimentale, persino con il gusto dellavariazione.

Dario Gallina –Appendice. Alcune osservazioni 135

* Ringrazio sinceramente Marco Rossi non solo per avermi coinvoltonello studio della chiesa, ma anche per avermi invitato a rendere ora più orga-niche alcune riflessioni che abbiamo sviluppato insieme, visitando la chiesa.Sono debitore verso Luigi Carlo Schiavi, Saverio Lomartire, e Andrea Breda dipreziosi consigli e suggerimenti bibliografici.

1. CLERICETTI 1862.2. RIVOIRA 1908, pp. 194-195.3. PORTER 1915-1917, III, p. 104.4. CHOISY 1872, pp. 31-101, pp. 125-141 e relative tavole; ADAM 1989,

pp. 173-211.5. WILLIS 1910; WARD 1915.6. VIOLLET LEDUC 1854-1868, s.v. Construction - Voutes, IV, pp. 62-126.7. VIOLLETLEDUC1854-1868, s.v. échafaud, V, pp. 103-114. Tutt’altro te-

ma è, ovviamente, quello delle opere di carpenteria definitiva, cioè tetti e strutturelignee di vario genere (VIOLLETLEDUC1854-1869, s.v. Charpente, III, pp. 1-58).

8. ARMI 2004.9. FITCHEN 1961, p. 15.10. BINDING 1993 e 2004. Tra le centinaia di immagini analizzate, l’unica

nella quale mi pare si possa (forse) vedere una centina è quella del sec. XIV a p.403 (vedi BINDING 2004, p. 102, fig. 312, e p. 25, fig. 45, dove è invece raffigu-rato il momento della messa in opera della serraglia di una volta a costoloni).

11. COPPOLA 1993; COPPOLA 1996; L’échafaudage 2002; FELICI 2006.12. La specificità e l’importanza delle volte a costoloni sono già piena-

mente espresse in DARTEIN 1865-1882, pp. 52-56 e pp. 134-135. Basti poi lacitazione di PORTER 1911b, anche se non appare per nulla convincente l’ipo-tesi sulla quale si regge tutto l’articolo, cioè che le «Rib vaults (…) were inven-ted in Lombardy as a simple device to economize wood» (p. 3). Basti annota-re che: a) la posa dei costoloni richiede comunque l’uso di strutture in legnoassai precise e che possono essere anche piuttosto complesse da realizzare vistala loro geometria; b) ben più costosa delle assi di legno della centina è da rite-

Note

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nere l’opera degli scalpellini che dovevano modellare ogni singolo blocco dellevolte, quando esse erano realizzate in pietra tagliata; c) non sembra credibilesostenere che nella pianura padana vi fosse scarsa disponibilità di legname, oche a Milano il suo prezzo fosse così alto da essere proibitivo, soprattutto con-siderando l’impegno economico complessivo che la costruzione di chiese ecattedrali comportava; d) il tetto non sempre era adagiato sugli estradossi del-le volte, e anzi spesso vi erano dei sottotetti con travi lignee di grandi dimen-sioni, queste sì assai più costose del legname usato per la formazione delle cen-tine. Eppure, anche Ward (WARD 1912, p. 41) sostiene che ciò «has been ad-mirabily shown by Porter», e l’articolo è ancora oggi spesso citato come auto-revole.

14. Intendo con il termine, generico e insoddisfacente, di conglomerato lamessa in opera, per accostamento in filari, di elementi lapidei anche assai irre-golari, su una base di malta stesa sulla centina, cioè un’operazione che richiedeuna certa regolarità e perizia per creare una sorta di “trama” che segue la formadata dalla carpenteria lignea.

15. PORTER 1911b, p. 18: «Barrel vaults, cloistered vaults, and half domeswere, I believe, generally constructed on centering, not only during the darkages but in the XI and XII centuries as well. The structure of most of them isunfortunately inaccessible, but those I have been able to observe seem to beconstructed of loose materials laid in such a way as to preclude the possibilityof construction without centering».

16. FITCHEN 1961, p. 31: «Perhaps the most ancient method of providingsupport and the proper shape for vaults was the practice of filling the room tobe vaulted with earth, as its walls rose, and then mounding up additional earthas formwork for the vault itself. (…) This practice was confined (on those occa-sions where it was used at all in the Middle Ages) to the construction of cryptsor to basament stories».

17. FITCHEN 1961, p. 31: «A variant on this practice, whereby the earthfill was used only close under the vault, supported on a platform that was sho-red up on poles from the floor. In order to reduce the amount of labour invol-ved, and more especially to reduce the amount and hence the weight of earthneeded to give the vault its shape, the platform came to be made in three ormore planes instead of a single horizontal plane established near the level ofthe spring». I vantaggi dell’uso della terra, apparentemente “primitivo”, stanno– sempre secondo Fitchen – nell’uso di materiale poco costoso e abbondante,nel non richiedere manodopera specializzata, e nel poter modellare forme irre-golari che, con la tecnica della cassaforma lignea, richiedono invece molte piùore di lavoro per la costruzione della cassaforma stessa. Gli svantaggi risiedono

invece nell’avere l’edificio ingobro di terra e quindi non praticabile, e nelle ri-schiose operazioni di smantellamento. Disegni schematici si trovano a p. 54.

18. ARMI 2004, p. 44: on scaffolding built from ground.19. ARMI 2004, p. 44: on beams stretching across the aisle.20. ARMI 2004, p. 44: on a temporary structure suspended from transverse

arches and formerets.21. ARMI 2004, p. 47, fig. 3. Il disegno esemplificativo è però fortemente

scorretto nella rappresentazione prospettica delle assi (lag boards).22. San Benedetto in Alpe in provincia di Forlì è un caso altrettanto chiaro

quanto Santo Stefano di Lenno.23. Si veda il caso della cripta di San Benedetto a Verona.24. La centina è peraltro normalmente una struttura composita che non

può essere spostata in blocco, visto che i legni d’armatura venivano posizionatiogni volta per fissarla adeguatamente.

25. Rimando a CHIERICI 1942, pp. 48-51, per l’interessante individuazio-ne e commento del sistema di costruzione dell’imposta delle volte di San Pietrodi Agliate, dove però «tale disposizione è basata sul principio degli archi chesostengono le volte, cioè che formano un’armatura portante piuttosto che unsemplice rinforzo», il che comportò che «La costruzione dei sott’archi e dellevele venne eseguita contemporaneamente previa la preparazione di un’armatu-ra continua».

26. L’immagine pubblicata in PORTER 1911b, p. 19, fig. 39 mostra in effet-ti le volte intonacate.

27. Sinceramente superflua mi pare l’affermazione che in queste situazioni«no space rimains to insert beams between the lag boards and the top of thearch stones» (ARMI 2004, p. 45).

28. Si vedano le stilature della muratura del fronte meridionale del podiodel tempio di età flavia sottostante il mastio visconteo nel castello di Brescia,oppure alcuni esempi presso la cosiddetta “piscina” nella villa romana delleGrotte di Catullo di Sirmione.

29. Ben stilate sono le mura teodoriciane di Verona; vedi CAVALIERI MA-NASSE, HUDSON 1999.

30. Ad esempio, la muratura carolingia della chiesa di S. Martino di Serra-valle (comune di Valdisotto, So), distrutta nel 1987 da una frana (BROGIOLO1982), le particolari doppie stilature dell’episcopio di Parenzo, del tempietto diCividale e del restauro di Agilulfo della chiesa di San Simpliciano a Milano (ve-di le relative immagini in LUSUARDI SIENA 2002, p. 247).

31. Ho tentato una prima scansione cronologica delle stilature della Lom-bardia orientale in GALLINA 2009.

136 Architettura dell’XI secolo nell’Italia del Nord

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398 Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane

1. Lenno, battistero. 2. Vincenzo Barelli, rilievi del battistero di Lenno, 1876.

3. Lenno, Santo Stefano. Attuale fronte verso il lago. 4. Lenno, Santo Stefano. Cripta.

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Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane 399

5. Rilievo del centro plebano di Lenno, 1827 (Como, Archivio di Stato,Fondo Subeconomato dei benefici vacanti, b. 280).

6. Lenno, Santo Stefano. Sottotetto, resti della muratura del cleristorio set-tentrionale.

8. Lenno, Santo Stefano. Sottotetto della navatella meridionale, resti delmuro perimetrale con due fasi e linea di giunzione.

7. Lenno, Santo Stefano. Innesto del campanile.

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400 Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane

9. Lenno, Santo Stefano. Sottotetto della navatella meridionale, particola-re della giuntura del muro romanico a quello precedente.

10. Como, Sant’Abbondio. Pianta con sviluppo dell’esonartece paleocri-stiano, secondo l’ipotesi di Mirabella Roberti.

11. Lenno, Santo Stefano. Muro a sinistra della scala di discesa alla criptasul quale si vede la quota originaria della chiesa romanica.

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Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane 401

13. Lenno, Santo Stefano. Cripta, frammenti lignei spezzati delle assicelledi armatura della volta immorsate nei sottarchi.

14. Lenno, Santo Stefano. Cripta, lacerto del rivestimento di calce deiframmenti lignei delle centine.

12. Lenno, Santo Stefano. Cripta.

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402 Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane

15. Lenno, Santo Stefano. Cripta, arco di parete.

16. Lenno, Santo Stefano. Cripta, arco di parete, particolare delle stilaturedella malta.

17. Isola Comacina, Sant’Eufemia. Resti della cripta, nicchie.

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Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane 403

18. Isola Comacina, Sant’Eufemia. Pianta della cripta (da MAGNI 1960).

19. Lenno, Santo Stefano. Cripta, capitello di tipo corinzio. 20. Lenno, Santo Stefano. Cripta, capitello di tipo corinzio.

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404 Marco Rossi – La pieve di Lenno e altre questioni lariane

21. Sezione composita longitudinale della chiesa, vista da est (in colorepiù scuro, il sezionamento delle strutture accertate come romaniche).Si notino le quote in età medievale della navata (lettera A) e del presbi-terio (B) soprastante la cripta (C), a confronto con quelle della chiesaattuale (D ed E), voltata a botte (F), e che conserva nei sottotetti ampieporzioni del cleristorio antico (G). La scansione dei pilastri, visibilinell’aspetto dato dalla riforma barocca della chiesa, ricalca probabil-mente quella medievale (Rilievo e ricostruzione 3D Dario Gallina).

22. Planimetria della chiesa, entro la quale sono stati “ritagliati” partedel pavimento e del presbiterio attuali in corrispondenza della criptamedievale (Rilievo e ricostruzione 3D Dario Gallina).

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Dario Gallina – Appendice. Alcune osservazioni 405

1. Lenno, Santo Stefano. Cripta. Dettaglio delle stilature presenti sulle fac-ce degli archi trasversali.

3. Lenno, Santo Stefano. Cripta. Particolare delle stilature presenti nellamuratura laterizia delle specchiature.

2. Lenno, Santo Stefano. Cripta. Dettaglio delle stilature realizzate sull’ar-co dell’ingresso settentrionale.

4. Esine, chiesa della Santissima Trinità, particolare della finestra lungo ilperimetrale nord.

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Edizioni ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected] - www.edizioniets.comFinito di stampare nel mese di dicembre 2013

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