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Quaderni della Casa Romena di Venezia VII, 2010 Atti del Congresso Internazionale “LA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA NEL CONTESTO EUROPEO(Venezia, 22-23 aprile 2010)

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Quaderni della Casa Romena di Venezia

VII, 2010

Atti del Congresso Internazionale “LA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA NEL CONTESTO EUROPEO”

(Venezia, 22-23 aprile 2010)

Copertina: Cristian Alexandru Damian Cura scientifica: Eugen Munteanu, Ana-Maria Gînsac Cura tecnica e redazionale: Corina Gabriela Bădeliţă, Monica Joiţa Traduzione: Corina Gabriela Bădeliţă (pp. 15-26 e pp. 27-44) ISSN: 1583-9397 © Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia & Centro di Studi Biblico-Filologici “Monumenta linguae Dacoromanorum” Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia Palazzo Correr, Campo Santa Fosca Cannaregio 2214 – 30121 Venezia (VE) Tel.: 041 5242309; fax: 041 715331 e-mail: [email protected] http://www.icr.ro/venetia/ Centrul de Studii Biblico-Filologice “Monumenta linguae Dacoromanorum” Str. Lascăr Catargi, nr. 54, Iaşi 700107, Iaşi, România e-mail: [email protected] https://consilr.info.uaic.ro/~mld/monumenta/index.html

QUADERNI DELLA

CASA ROMENA DI VENEZIA

VII, 2010

Atti del Congresso Internazionale “LA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA NEL CONTESTO EUROPEO”

(Venezia, 22-23 aprile 2010)

A cura di: Eugen Munteanu, Ana-Maria Gînsac

Corina Gabriela Bădeliţă, Monica Joiţa

Editura Universităţii “Alexandru Ioan Cuza” Iaşi, 2010

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 1-168

INDICE Premessa ................................................................................................... Prefazione ................................................................................................. CENNI STORICI DELLA TRADUZIONE DEL TESTO SACRO IN LINGUA ROMENA EUGEN MUNTEANU, Sulla tradizione biblica romena. Dissociazioni di principio ........................................................................................................... MIHAIL NEAMŢU, Oralità liturgica oppure oblio testuale? Studio di caso: la stampa delle scritture in romeno (secc. XVI-XVIII) ........................................ ELSA LÜDER, Die Geschichte des Projects Biblia 1688. Idee und Verwirklichung ................................................................................................ PROBLEMI DI TRADUZIONE. CONFRONTO DELLE PRINCIPALI EDIZIONI TRA LORO E CON GLI ORIGINALI MARIA GOREA, Considérations sur la traduction roumaine de la Bible 1688 : le livre de Job .................................................................................................. ANA-MARIA GÎNSAC, Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici ............................................................................................ TARCIZIU-HRISTOFOR ŞERBAN, De grâce, n’écrasez pas la métaphore… !

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LA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA. PREOCCU-PAZIONI ATTUALI ŞTEFAN COLCERIU, Hepta Ete Euthenias. The Nec Septuagint Project and its Current Cultural Relevance .................................................................. ŞTEFAN ILOAIE, Novelty and Continuity: the Bible Revised by Bartolomeu Valeriu Anania, the Archbishop of Cluj. The Spiritual Meaning of the Word of Scripture ...................................................................................................... ANDREEA ŞTEFAN, Traduire la Septante au XXe siècle : les dix Commandements en roumain, français et italien ................................................ IL LUOGO DELLA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA NELLO SPAZIO EUROPEO CESARE ALZATI, Considerazioni in margine alla Bibbia di Samuil Micu ...... IVAN DIMITROV, New Bulgarian Translations of the New Testament in the 19th Century and the Romanian Lands ............................................................ WIM FRANÇOIS, Vernacular Bibles in the Low Countries. Between the Middle Ages and the Early Modern Era .........................................................

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PREMESSA Il 2 aprile 2010 si sono compiuti ottant’anni da quando l’attuale Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia ha aperto le sue porte su iniziativa del sommo storico dei romeni, Nicolae Iorga.

Uno degli obiettivi principali di tale iniziativa – come anche quella rimasta purtroppo senza seguito di aprire una Scuola Romena a Fontenay-aux-Roses o quella di Vasile Pârvan, a tutto’oggi proficua, di fondare l’Accademia di Romania in Roma – è stato quello di rendere possibile la ricerca scientifica e inserire i valori della Romania nel circuito accademico europeo.

Per questo, abbiamo pensato di aprire la serie di eventi anniversari con un congresso di alta tenuta scientifica, che ha come tema un atto di spiritualità, forse il più importante della storia della civiltà umana: la ricerca della Parola di Dio e l’apprendimento delle Sue leggi. E, nell’ambito della civiltà europea, Venezia è uno dei più importanti centri di diffusione della stampa, compreso quello che ha dato l’edizione del 1687 della Settanta, la quale è stata utilizzata dai traduttori della prima edizione in lingua romena della Bibbia.

Il congresso con il tema “La tradizione biblica romena nel contesto europeo” ha avuto luogo il 22 e 23 aprile 2010 ed è stato ospitato dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.

Nell’organizzazione del congresso, la collaborazione fra l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia e il Centro di Studi Biblico-Filologici “Monumenta linguae Dacoromanorum” dell’Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi si è avvalsa del sostegno finanziario dell’Istituto Culturale Romeno di Bucarest, riflettendosi sia nell’organizzazione della manifesta-zione, quanto nell’uscita del presente numero dei “Quaderni della Casa Romena di Venezia”.

Siamo stati onorati di avere come invitati specialisti nel campo della filologia, storia e teologia biblica, la maggior parte di loro essendo implicati in ampi progetti di edizione e studio filologico dei testi biblici: Eugen Munteanu (Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi, direttore dell’Istituto di Filologia Romena “A. Philippide” dell’Accademia Romena), Cesare Alzati (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Mihail Neamţu (Università “Vasile Goldiş” di Arad), Maria Gorea (Université de Paris VIII), Ivan Dimitrov (Università “St. Kliment Ochridski” di Sofia), Dan Râpă-Buicliu

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(Museo Provinciale di Storia di Galaţi), Wim François (Università Cattolica di Lovanio), Pr. Ştefan Iloaie (Università “Babeş-Bolyai” di Cluj-Napoca), Pr. Şerban Tarciziu (Istituto Cattolico Universitario “Santa Teresa” di Bucarest), Ştefan Colceriu (New Europe College di Bucarest), Ana-Maria Gînsac (Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi), Andreea Ştefan (Accademia di Romania in Roma, Università di Bucarest).

Nell’ambito delle quattro sezioni del congresso (“Cenni storici della traduzione del testo sacro in lingua romena”, “Problemi di traduzione. Confronto delle principali edizioni tra loro e con gli originali”, “La tradizione biblica romena. Preoccupazioni attuali” ed “Il luogo della tradizione biblica romena nello spazio europeo”) sono stati dibattuti tanto alcuni aspetti relativi alla storia della traduzione del testo sacro nella cultura romena, messi al confronto con il contesto europeo in cui si è svolto tale processo, quanto problemi specifici, testuali, riguardanti la traduzione della Bibbia in romeno.

Altresì, desidero salutare l’eccellente collaborazione che il nostro Istituto ha stabilito anche in quest’occasione con l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e colgo l’occasione per ringraziare la direzione e lo staff dell’Istituto per l’ospitalità e le eccellenti condizioni messe a nostra disposizione per il buono svolgimento dei lavori del congresso.

È con particolare piacere che anticipo in questa sede l’idea che ho delineato insieme con il prof. Eugen Munteanu, direttore dell’istituzione partner e co-organizzatrice del congresso, ovvero quella di organizzare nel 2012 la seconda edizione di questo evento. Tale generoso progetto è nato dalla constatazione che lo scambio d’esperienza, la condivisione di informazioni e il contatto diretto con specialisti hanno rappresentato i punti forti dell’edizione 2010 del congresso.

Fedele alla tradizione, la pubblicazione “Quaderni della Casa Romena di Venezia” raccoglie in questo nuovo numero gli interventi presentati nell’ambito del congresso “La tradizione biblica romena nel contesto europeo”.

Ci auguriamo che le informazioni scientifiche, le interpretazioni, i punti di vista e le nuove prospettive avranno un’eco tanto positiva quanto utile negli ambiti di specialità. In tale senso, siamo stati particolarmente contenti di constatare in occasione del congresso di Venezia che, oggigiorno, quando la stessa Parola di Dio è interpretata in modo ‘globalizzante’, ci sono ricercatori che si applicano con serietà e minuzia sui testi sacri, essendo in possesso di un impressionante bagaglio di conoscenze e muovendosi con facilità in diversi ambiti linguistici.

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Possiamo affermare con soddisfazione che il congresso di Venezia dedicato alle traduzioni della Bibbia è stato non solo una riunione tra specialisti, ma anche un convivio intellettuale e spirituale, una manifestazione contemporanea dell’esortazione “Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna” (Giovanni 5:39). Venezia, dicembre 2010

MONICA JOIŢA Direttore ad interim

Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia

PREFAZIONE Per molto tempo in ampi circoli accademici europei e americani, lo studio sistematico e scientifico della Bibbia è stato tacitamente considerato come una componente esclusiva degli studi teologici o, più in generale, della scienza delle religioni. Da alcuni decenni, si può osservare in tutto il mondo un crescente interesse per gli studi biblici negli ambienti accademici laici di molte università e istituti di ricerca. In particolare, tra i filologi si nota un interesse sempre più vivo per un approccio approfondito delle versioni in lingua vernacolare dei testi biblici. Un simile rinnovato interesse lo constatiamo persino in Paesi quali Francia, Italia o Spagna, dove i testi biblici sono stati a lungo considerati fonti di secondaria importanza per la ricerca linguistica e filologica della storia delle lingue moderne, per il fatto che, trattandosi di traduzioni, questi testi non avrebbero né credibilità né un sufficiente grado di autenticità. Ovviamente, dal punto di vista epistemologico, tale prospettiva è errata, poiché, da un lato, la traduzione è di per sé una forma di creatività linguistica e, dall’altro, lungi dal falsificare la dinamica interna di una qualsiasi lingua storica, l’attività di traduzione sollecita in maniera esemplare le capacità espressive della lingua di destinazione. Constatiamo, dunque, per limitarci solo al campo romanzo, l’avvio di grandi progetti scientifici per l’edizione delle antiche versioni bibliche in francese, italiano, spagnolo, o in lingue minori quali catalano, friulano o valenciano. L’obiettivo finale, confessato o no, di tali iniziative è la realizzazione di grandi corpora di testi che forniscano una base documentaria ampia e affidabile per ulteriori studi, sia nelle aree tradizionali della storia delle lingue, della grammatica comparativa, descrittiva o contrastiva, della dialettologia, della traduttologia, dell’ermeneutica ecc., sia in una prospettiva interdisciplinare. I corpora di testi biblici sono apprezzati anche dagli informatici come ideale punto di partenza per la creazione di programmi adatti allo studio della dinamica storica delle lingue.

In Romania, il forte declino degli studi biblici nel XX secolo è dovuto anche a particolari circostanze storiche. Ateo nella sua essenza, il regime comunista (1947-1989) vietò, per motivi ideologici, qualsiasi iniziativa per la ricerca della tradizione biblica, al di fuori della Chiesa, la cui esistenza era semplicemente tollerata. Tuttavia, poiché i più antichi testi romeni a carattere letterario del XVI secolo, manoscritti o stampati, sono traduzioni a

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carattere biblico (Psaltirea [il Salterio], Apostolul [l’Apostolo], Evangheliile [i Vangeli]), non è stato possibile evitare l’edizione e lo studio filologico di questi scritti antichi. Soprattutto l’antica scuola di filologia romena fondata e diretta da Ion Gheţie (1930-2004) all’Istituto di Linguistica di Bucarest si è guadagnata in questi ultimi decenni particolari benemerenze per l’edizione critica dei più importanti testi romeni a contenuto biblico del XVI secolo (Codicele Voroneţean [il Codex di Voroneţ], Codicele Sturdzan [il Codex di Sturdza], Codicele de la Ieud [il Codex di Ieud], Psaltirea Hurmuzachi [il Salterio Hurmuzachi], la maggior parte dei libri stampati da Coresi ecc.) È altrettanto notevole l’edizione degli antichi testi romeni a carattere biblico realizzata da filologi di Iaşi (il Salterio di Dosoftei) e Cluj (Palia de la Orăştie, 1581, Noul Testament de la Bălgrad, 1648 [il Nuovo Testamento di Belgrado], Psaltirea de la Bălgrad, 1651 [il Salterio di Belgrado]).

Un segnale della necessità di valorizzare la tradizione biblica testuale romena è stato dato alla fine dell’era comunista, nel 1988, quando è stata stampata, sotto l’autorità dell’allora Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena, Biblia de la Bucureşti, 1688 [la Bibbia di Bucarest], la prima versione integrale delle Sacre Scritture in romeno. Preparata da un gruppo di rinomati filologi, questa è un’edizione diplomatica, in cui i facsimili dell’originale sono accompagnati da una trascrizione interpretativa giudiziosa dell’alfabeto cirillico nell’attuale ortografia romena. Nello stesso anno, nell’ambito di una collaborazione accademica tra le Università di Iaşi e Friburgo in Brisgovia, su iniziativa del professor Paul Miron di Friburgo, al quale si sono associati i professori Vasile Arvinte e Alexandru Andriescu, è iniziato un vasto progetto di edizione critica della Bibbia di Bucarest, corredata di un ricco apparato di note. Fino alla morte di Paul Miron (1926-2008), erano apparsi, in nove volumi separati, i primi libri biblici. L’Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi, ha deciso di assumersi il finanziamento per continuare e completare questo prestigioso progetto. A tal fine, nel febbraio 2009, è stato fondato il Centro di Studi Biblico-Filologici “Monumenta linguae Dacoromanorum”. Nei quasi due anni ormai trascorsi, un ampio gruppo di ricercatori (23 filologi, romenisti, classicisti e teologi) è riuscito a portare a termine la trascrizione interpretativa delle tre antiche versioni bibliche editate, nonché a realizzare i commenti per ogni libro biblico. I prossimi anni saranno dedicati alla revisione e al completamento per la stampa dell’immenso materiale raccolto. Stimiamo che, a partire dall’anno prossimo, i 16 volumi progettati dell’intera serie saranno pubblicati con una regolarità di due-tre volumi all’anno. Nel frattempo, il nucleo di giovani ricercatori coinvolti nel progetto ha avviato la fondazione dell’Associazione di Filologia ed Ermeneutica Biblica di

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Romania, il cui obiettivo principale è il sostegno di simili studi e ricerche, nonché la diffusione dei risultati di tali ricerche negli ambiti accademici internazionali. Perseguiamo gli stessi obiettivi anche con la rivista del nostro Centro, Biblicum Jassyense, il cui primo numero è uscito quest’estate, e con il Simposio nazionale “Esplorazioni nella tradizione biblica romena ed europea”, Iaşi, 28-29 ottobre 2010 (42 partecipanti).

In tale contesto, l’idea di organizzare a Venezia, un incontro scientifico su questo tema, che faciliti la riunione con colleghi di altri Paesi con simili interessi, è stata molto opportuna. Siamo grati all’Istituto Culturale Romeno per il generoso finanziamento del Congresso Internazionale “La tradizione biblica romena nel contesto europeo" (Venezia, 22-23 aprile 2010), i cui atti sono pubblicati nel presente volume. I nostri ringraziamenti vanno anche alla dott.ssa Monica Joiţa e ai suoi collaboratori dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia per l’eccellente organizzazione del congresso e per l’efficace impegno nella pubblicazione del presente volume. Riteniamo che questa prima edizione del nostro congresso sia il modesto inizio di un dialogo con i colleghi di altri Paesi, mirato a rendere noti gli elementi specifici della tradizione biblica romena e, per quanto ci riguarda, a conoscere i progressi di simili ricerche svolte altrove. Iaşi, dicembre 2010

EUGEN MUNTEANU Direttore

Istituto di Filologia Romena “A. Philippide” dell’Accademia Romena

Centro di Studi Biblico-Filologici “Monumenta linguae Dacoromanorum”

dell’Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 15-26

CENNI STORICI DELLA TRADUZIONE DEL TESTO SACRO IN LINGUA ROMENA

SULLA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA. DISSOCIAZIONI DI PRINCIPIO

EUGEN MUNTEANU Istituto di Filologia Romena “A. Philippide”

Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi Centro di Studi Biblico-Filologici

“Monumenta linguae Dacoromanorum”

In questa sede, ci proponiamo di formulare un punto di vista filologico sul concetto di ‘tradizione biblica romena’, mettendo l’accento su due dei maggiori componenti di una problematica complessa, componenti che, come avrete modo di notare, vanno oltre la sfera dell’interesse strettamente filologico.

Prima di addentrarmi nella materia vera e propria della mia relazione, desidero richiamare l’attenzione sul fatto che, da oltre due decenni, a Iaşi si sta svolgendo un ampio progetto scientifico, noto con il nome di “Monumenta linguae Dacoromanorum”. Avviato alla metà degli anni 80 del secolo scorso, nell’ambito del partenariato accademico tra le università di Iaşi e Friburgo (in Brisgovia), da un gruppo di filologi coordinato dai professori Paul Miron di Friburgo e Vasile Arvinte e Alexandru Andriescu di Iaşi, il progetto MLD ha coinvolto lungo il tempo oltre venti filologi di Iaşi, Friburgo, Bucarest e Cluj e ha portato alla pubblicazione dei nove volumi dell’edizione scientifica de La Bibbia di Bucarest (1688), i quali fanno parte di una serie progettata a contenerne venticinque. Il progetto prosegue in un ambito istituzionale più stabile, sotto gli auspici e con il sostegno finanziario dell’Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi e in collaborazione con l’Università di Friburgo e dell’Istituto di Filologia Romena “A. Philippide” di Iaşi. Nell’ambito del Centro di Studi Biblico-Filologici dell’Università “Alexandru Ioan Cuza” ci siamo prefissi di portare a termine tale cospicuo lavoro entro un arco ragionevole di tempo (sei-sette anni), coinvolgendo nel progetto, oltre ai collaboratori di vecchia data, alcuni dei migliori giovani ricercatori, filologi e teologi di Iaşi, Bucarest, Cluj, Sibiu, Oradea e Craiova.

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Riteniamo che, oltre la sua notevole importanza filologica intrinseca, la serie MLD ha il merito di aver attirato l’attenzione su un settore meno noto della cultura romena, ovvero quello della tradizione biblica.

In modo alquanto paradossale, le origini di tale tradizione, risalenti al XVI secolo, sono meglio studiate e conosciute dal punto di vista filologico, che non i secoli successivi, dal XVII al XX. Le cause di tale fenomeno sono molteplici e possono costituire esse stesse l’oggetto di uno studio approfondito, per la quale ragione non le tratteremo nell’ambito della presente relazione. Ci accontenteremo soltanto di constatare che ci troviamo di fronte a un campo di ricerca ampio e fertile, che possiamo chiamare genericamente la ‘tradizione biblica romena’. Spetta alla filologia – in quanto disciplina della ricostruzione, conservazione, pubblicazione e interpretazione dei testi – porsi al centro delle iniziative che mirano ad accrescere la conoscenza di tale centrale campo problematico. Mentre gli oggettivi generali e i metodi specifici della filologia sono noti a tutti noi, reputiamo utile provare a individuare alcuni elementi essenziali per la definizione del concetto in merito.

Proponiamo innanzitutto una determinazione di natura quantitativa: la ‘tradizione biblica romena’ comprende, senza eccezioni, tutte le versioni in lingua romena, sia parziali che integrali, manoscritte o stampate, a prescindere dal contesto politico, confessionale o culturale nel quale esse sono state prodotte. Tale posizione massimale, imposta dalla necessità che lo scienziato occupi l’ipostasi oggettiva di filologo, richiede pertanto una delimitazione di natura confessionale. In secondo luogo, intendiamo qui il concetto di ‘tradizione’ nel suo senso più concreto, ovvero quello di paradigma stilistico e lessicale-semantico relativamente stabile, mantenuto costantemente nelle versioni bibliche successive in lingua romena, considerate nelle loro interconnessioni testuali. Si tratta, come abbiamo fatto notare in un’altra occasione1, della conservazione, per più di due secoli e mezzo, non solo dell’orientamento iniziale de La Bibbia di Bucarest, bensì di una grande quantità di elementi testuali (opzioni di traduzione, terminologia, semantica, fraseologia, topica, onomastica biblica ecc.).

Rientra nella competenza dei teologi, appartenenti alle diverse confessioni cristiane che fanno uso di romeno, dibattere e catalogare le implicazioni di natura dogmatica, canonica, ecclesiologica o, in genere, 1 Nell’articolo “Repere ale tradiţiei biblice romîneşti” (I-III) [Punti di riferimento nella

tradizione biblica romena], in Idei în dialog, V, n. 4 (55), 2009, pp. 22-24, n. 5 (56), pp. 34-36 e n. 6 (57), pp. 25-27.

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teologica della circolazione e delle funzioni dei testi della Santa Scrittura, nonché dei significati delle eventuali differenze o divergenze di opzione nell’interpretazione di alcuni passaggi scritturali2. La legittimità dell’approccio filologico nelle ricerche sulla Santa Scrittura in ambito extra-confessionale è data necessariamente dal carattere oggettivo e storico del supporto materiale del messaggio scritturale: la lingua (le lingue) storica (storiche) della comunità (delle comunità). Accettiamo come se fosse un assioma la posizione dei teologi, secondo i quali le verità della fede, comprese nelle parole della Santa Scrittura, sono uniche, immuabili e non-dependenti dalle lingue in cui sono fortuitamente espresse. In quanto filologi – nella misura in cui la filologia è una scienza positiva ed empirica senza cessare di essere, in un’altra sua componente, anche una scienza dell’interpretazione – siamo consapevoli che non si possa parlare di una ‘verità’ storica dei testi, bensì soltanto di una loro ‘autenticità’. Il restauro e la conservazione dei testi nella loro autenticità linguistica primaria è dunque la preoccupazione prioritaria del filologo. Infatti, è appunto questo il compito principale che ci siamo assunti all’interno del Centro di Studi Biblico-Filogici di Iaşi: editare, in base alla critica filologica, i testi importanti della tradizione biblica romena, specialmente quelli antichi e inediti (il Manoscritto 45 e il Manoscritto 4389).

Ma, che cosa sono effettivamente i testi biblici e come potremmo comprendere appieno la loro specificità al cospetto della grande varietà di testi possibili? Quali criteri distintivi potrebbero dimostrarsi più utili? I criteri strutturali sono quelli a nostra portata di mano, per cui proveremo a definire più accuratamente la tradizione biblica testuale a partire da essi.

In Palimpsestes del 1982, Gérard Genette ha proposto una tipologia strutturale dei testi basata sulla diversità delle ‘relazioni’ o ‘trasformazioni’

2 Si sentono spesso espressioni quali “edizione ortodossa” oppure “edizione (neo-)prote-

stante”, però non siamo in possesso di informazioni complete e attendibili sulle ‘manipolazioni’ a sostrato confessionale dei testi biblici nell’atto della traduzione. Alcuni passi avanti sono stati fatti di recente dal dottor CONSTANTIN PÎRVULOIU, nell’articolo “Lecţiuni controversate în Sfînta Scriptură” [Lezioni controverse nella Santa Scrittura], in Text şi discurs religios, n. 1/ 2009 (Lucrările conferinţei naţionale “Text şi discurs religios”, Ediţia I, Iaşi, 5-6 decembrie 2008), Iaşi 2009, pp. 193-207, e dal dottor EMANUEL CONŢAC, in una tesi di dottorato, discussa di recente presso l’Università di Bucarest, dal titolo Mentalităţi culturale româneşti şi concepţii teologice ortodox-răsăritene reflectate în lexicul şi stilul traducerilor româneşti ale Noului Testament [Mentalità culturali romene e concezioni teologiche ortodosso-orientali rispecchiate nel lessico e nello stile delle traduzioni romene del Nuovo Testamento].

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transtestuali possibili. Tale schema, diventato popolare anche tra i letterati, ci offre dei suggerimenti utili. Definite come categorie strutturali e ingegnosamente denominate facendo ricorso alle virtù di alcuni prefissi greci, le ‘relazioni transtestuali’ sarebbero le seguenti, secondo Genette:

1) relazioni intertestuali, che generano l’intertesto per mezzo di acquisizioni di temi, motivi, strutture narrative ecc.;

2) relazioni paratestuali, che generano il paratesto, tramite titoli, sottotitoli, note in margine e a piè di pagina ecc.;

3) relazioni metatestuali, che generano metatesti, vale a dire commenti di ogni tipo;

4) relazioni ipertestuali, che generano l’ipertesto: sono presentati, come esempi, ‘imitazioni’ di alcuni prototipi precedenti quali l’Eneide di Vergilio o l’Ulisse di James Joyce;

5) relazioni arcitestuali, che generano l’arcitesto, vale a dire un tipo di struttura letteraria non classificabile, come la Divina Commedia.

Perfino a un’analisi superficiale, si può notare che il vasto universo biblico fornisce materiali utili per illustrare qualsiasi categoria. Non intendo eseguire, però, questa facile operazione. Ciò che ha attirato la mia attenzione nella proposta di Genette è una di queste categorie, ovvero la serie terminologica proposta da Genette per circoscriverla: ‘ipertesto’, ‘ipertestua-lità’, ‘ipertestuale’.

Trovo quindi utile e fertile definire la Bibbia come un ipertesto e parlare della tradizione biblica romena come di una tradizione (iper)testuale. Teniamo presente l’ipotesi secondo la quale il testo biblico, in quanto arcitesto, rimane sostanzialmente lo stesso, però, in quanto forma storica distinta, con ogni nuova versione è un altro. In termini di linguistica classica, la sostanza del contenuto rimane uguale, ma la forma del contenuto si riformula sempre nel tempo. In tal senso, senza essere l’unico, l’ipertesto biblico è lo spunto ideale per lo studio sistematico della dinamica della lingua romena di cultura, da una molteplice prospettiva: la prospettiva intratestuale o descrittiva, la prospettiva intertestuale o interlinguistica (le interferenze con le lingue bibliche primarie), la prospettiva diatestuale o diacronica (le cause e la finalità dei mutamenti intrinseci dell’ipertesto biblico) e la prospettiva metatestuale o ermeneutica (il confronto tra l’ipertesto biblico e, quella che viene comunemente chiamata, la tradizione patristica). Tutte queste prospettive complementari sui rapporti intra-, inter-, dia- e meta-testuali compongono ciò che potremmo chiamare la ‘storia interna dell’ipertesto biblico’.

Non è solo possibile, ma è addirittura necessario considerare anche la ‘storia esterna dell’ipertesto biblico’, ciò che nella scienza tedesca si chiama

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Recepziongeschichte e che riguarda il confronto tra i testi, in quanto oggetti culturali, e l’insieme delle condizioni della loro produzione, circolazione e ricezione (motivazioni, ambito confessionale, mentalità prevalenti, finalità, molle politiche ecc.). Intendiamo sviluppare tali idee in un prossimo futuro, in questa sede desideriamo solo accennare che, in altre occasioni, abbiamo trattato ampiamente alcuni aspetti della storia interna dei testi biblici, specialmente quelli di natura semantica. Per illustrare la complessità delle indagini nel campo della storia esterna dell’ipertesto biblico, ci proponiamo di presentare brevemente due suoi componenti, vale a dire: 1) i rapporti con le fonti originali della traduzione e 2) gli iniziatori delle traduzioni e della pubblicazione della Bibbia in lingua romena. Per una migliore compren-sione, abbiamo elaborato due schemi che siete pregati di seguire.

1. Per quanto riguarda il problema degli originali ai quali i traduttori romeni fecero ricorso, notiamo che, lungo il tempo, questi originali furono sostanzialmente i seguenti: la versione greca della Septuaginta (la Bibbia dei Settanta), la Bibbia slava, la Vulgata, la Bibbia ebraica o versioni bibliche in lingue moderne (inglese, francese e tedesco soprattutto). In maniera alquanto naturale per una cultura maggiormente ortodossa, come lo è quella romena e nelle condizioni in cui la tradizione biblica romena mise le basi del suo canone verso la fine del secolo XVII, secolo in cui l’influsso greco sulla cultura romena aveva raggiunto uno dei suoi punti di picco, il testo greco della Septuaginta si impose quale fonte primaria. A cominciare con l’edizione filologica di Francoforte, 1597, Milescu, l’autore della prima traduzione integrale dell’Antico Testamento, nonché i suoi revisori del 1688, imposero una certa formula del testo biblico al filone centrale della tradizione testuale. In successione diretta alla Bibbia di Bucarest, come potete notare dalla linea continua nello Schema 1, si collocano le revisioni di Samuil Micu (1795), la Bibbia di San Pietroburgo del 1819, nonché le due edizioni pubblicate da due gerarchi ortodossi alla metà del XIX secolo, Filotei – vescovo di Buzău (1854-1856) e Andrei Şaguna – metropolita dell’Ardeal (1856-1858). Nello stesso quadro testuale della Septuaginta si sono conservate le cosiddette edizioni ‘sinodali’, cominciando dalla prima, quella del 1914; fino ad oggi, ognuna di esse fu rivista da una commissione del Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena e tutte furono stampate sotto gli stessi auspici.

Direttamente relazionate al testo della Septuaginta ci sono tre versioni indipendenti che hanno in comune il fatto di appartenere all’iniziativa individuale di alcuni intellettuali. Si tratta delle versioni bibliche parziali di Ion Heliade Rădulescu (1802-1872) del 1858 e di Costache Aristia (1800-1880) del 1859 e la cosiddetta Septuaginta NEC, una versione filologica moderna realizzata sotto l’auspicio del New Europe College di

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Bucarest (2004 e successivi). In fine, la Septuaginta è presa come testo di riferimento anche dal gruppo di filologi di Iaşi, coinvolto nel progetto “Monumenta linguae Dacoromanorum”, al quale ho accennato nella prima parte della presente relazione, nonché da Bartolomeu Anania, nella sua versione del 2001.

Oltre alle versioni parziali della Bibbia risalenti al XVI secolo, constatiamo che il modello slavo (la Bibbia di Ostrog) rappresentò la fonte diretta e principale per una sola versione romena, ossia quella compresa nel Manoscritto BAR 4389, fatta nella seconda metà del XVII secolo, da un anonimo erudito valacco, identificato dal filologo N.A. Ursu di Iaşi nella persona di Daniil Andrean Panoneanul. Indirettamente, quale fonte secondaria, alla Bibbia slava ricorse il gerarca ortodosso Nicodim Munteanu per la versione del 1944 e ci ricorriamo anche noi, i filologi del progetto MLD per elaborare l’apparato critico della nostra edizione.

Per quanto riguarda la Vulgata, quale fonte della traduzione e testo di riferimento, registriamo nella tradizione romena due iniziative, entrambe provenienti dalla sfera confessionale greco-cattolica. Si tratta, innanzittuto, della versione realizzata tra il 1760 e il 1861 da un gruppo di prelati greco-cattolici di Blaj, diretti dal vescovo Petru Pavel Aaron, versione rimasta in manoscritto e pubblicata di recente, sotto gli auspici dell’Accademia Romena, nel 2005, in cinque volumi massicci, con il nome di Biblia Vulgata. In secondo luogo, vi è una trasposizione integrale della Vulgata in romeno, eseguita dal rinomato filologo latinista Timotei Cipariu intorno al 1870. Rimasta in manoscritto, il testo è in corso di pubblicazione per opera di un gruppo di filologi di Cluj.

Fino ad oggi, la Bibbia ebraica è stata presa come punto di riferimento centrale da una sola edizione romena, ossia la versione pubblicata nel 1938, sotto gli auspici del re Carlo II, per opera dell’ebraista Vasile Radu e del noto scrittore Gala Galaction. Indirettamente, mediante versioni in lingue moderne, il testo masoretico costituì una fonte anche per le versioni successive, pubblicate a partire dal 1921 da Dumitru Cornilescu (1891-1975).

In fine, a cominciare con il 1865, quando a Iaşi fu stampata la prima versione in lingua romena sotto gli auspici della Società Biblica Britannica, nella tradizione testuale biblica, furono gettate le basi per un filone che prendeva come spunto le lingue moderne – il francese, l’inglese e il tedesco, soprattutto. Si tratta delle edizioni successive (1865, 1874, 1911, 1921), stampate dalla Società Biblica Britannica, con un carattere altamente innovatore: dall’ortografia etimologizzante, al lessico neologizzante.

Abbiamo presentato molto brevemente e per sommi capi la dinamica relazionale tra le principali versioni bibliche e i loro originali, tralasciando le

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numerose sfumature e situazioni singolari. 2. Passiamo ora, in maniera altrettanto succinta, alla presentazione della

seconda questione riguardante la storia esterna della tradizione biblica romena, ovvero quella riguardante gli iniziatori e i finanziatori delle principali versioni storiche della Bibbia in lingua romena (si veda lo Schema 2).

La prima cosa che va rilevata, a tale proposito, è che La Bibbia di Bucarest (1688), la prima pubblicazione integrale della Santa Scrittura in romeno, il testo che ha costituito praticamente, come si è visto sopra, il filone principale della tradizione testuale romena, fu il risultato di una decisione politica. Come traspare con molta chiarezza dalle testimonianze storiche dirette, nonché dalle due lunghe ed erudite prefazioni del volume, l’iniziativa di stampare la Bibbia appartenne al principe Şerban Cantacuzino di Valacchia il quale, essendo impegnato a consolidare il potere politico personale e della sua famiglia, vide nel gesto simbolico della pubblicazione della Santa Scrittura nella lingua del paese che dirigeva un’importante occasione per definire e affermare lo statuto di principe cristiano illuminato e generoso, al quale aspirava in maniera sistematica e con tutti i mezzi. Non è priva di importanza in tale contesto la menzione che, sotto l’autorità e con il sostegno dello stesso Şerban Cantacuzino, veniva stampata a Venezia, nel 1687, vale a dire, un anno prima de La Bibbia di Bucarest, in simili condizioni editoriali, il testo integrale della Bibbia in lingua greca (la Septuaginta e il Nuovo Testamento). Collegati tra di loro, i due eventi editoriali palesano chiaramente l’ambizione di Şerban Cantacuzino di contrassegnare e legittimare il proprio statuto di leader politico del mondo ortodosso balcanico e quello della sua famiglia, in quanto erede della tradizione imperiale bizantina. Tra esattamente 250 anni da tale importante evento culturale, con notevoli implicazioni politiche, a Bucarest, un nuovo principe, il re Carlo II, noto anch’egli per le sue ambizioni di Mecenate che coltivava assiduamente, avrebbe garantito con l’autorità dello stato l’iniziativa dei due intellettuali di spicco dell’epoca, i preti Vasile Radu e Gala Galaction. Avendo preso come spunto per l’Antico Testamento la Bibbia ebraica, ma mantenendosi dal punto di vista dello stile e delle opzioni terminologiche nella sfera della tradizione già consolidatasi, i due traduttori non avevano tuttavia ottenuto l’autorizzazione esplicita dell’autorità ecclesiastica, di modo che il gesto regale confermò e giustificò, in maniera analogica a quanto successo nel 1688, l’iniziativa di alcuni intellettuali al di fuori della Chiesa, o addirittura contro di essa.

Se prescindiamo dal coinvolgimento secondario della Chiesa nella traduzione e la pubblicazione della Bibbia di Bucarest, possiamo constatare che la prima iniziativa del tutto ecclesiastica, in tale direzione, si registra con

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la Biblia Vulgata, realizzata tra il 1860 e il 1861, per opera del gruppo di gerarchi greco-cattolici di Blaj, diretto dal vescovo Pavel Petru Aaron. Il lavoro rimase in manoscritto e, come abbiamo già affermato, è stato pubblicato solo di recente. Si susseguirono, sotto la supervisione diretta della Chiesa, la Bibbia di Samuil Micu (1795), sostenuta e assunta dal vescovo greco-cattolico Ioan Bob, la Bibbia di San Pietroburgo (1819), curata dal metropolita Gavrilă Bodoni di Bessarabia, quelle di Filotei, vescovo di Buzău (1854-1856), e del metropolita Andrei Şaguna (1856-1858), e, in seguito, l’intera serie delle ‘Bibbie sinodali’, a cominciare con quella del 1914 (posta anche sotto l’autorità del re Carlo I), e continuando con le edizioni del 1944, 1968, 1972, 1990 ecc.

Tra le versioni dovute a iniziative private, più o meno accettate dalle autorità ecclesiastiche, benché non esplicitamente approvate, si annoverano i testi del Manoscritto 45 (la traduzione iniziale della Septuaginta per opera dell’erudito Nicolae Milescu Spătarul tra il 1661-1664 a Costantinopoli, rivista ulteriormente in Moldavia e trascritta in Valacchia) e del Manoscritto 4389 (traduzione effettuata nella seconda metà del XVII secolo, secondo la Bibbia di Ostrog, ad opera di un anonimo valacco, ritenuto essere Daniil Andrean Panoneanul). Della stessa categoria delle versioni ‘d’autore’, accettate ma non ufficializzate dalla Chiesa, fa parte anche la versione di Bartolomeu Anania del 2001.

Una categoria speciale è costituita dalle versioni bibliche risultate da iniziative private, non autorizzate e respinte dalla Chiesa, tra le quali menzioniamo le proposte di Ion Heliade Rădulescu (1858)3, di Costache Aristia (1859) e del filologo Timotei Cipariu (1870).

Il caso più speciale è rappresentato dalla versione di Dumitru Cornilescu (1891-1975). Cominciando l’attività di correttore della Bibbia, nel 1916, in quanto prete ortodosso, D. Cornilescu arriva a pubblicare nel 1921 una versione del tutto nuova della Bibbia, la quale, dato che rispettava il ‘canone’ palestinese richiesto dalla Società Biblica Britannica (senza i libri deuterocanonici), fu adottata come textus receptus dagli emergenti culti neoprotestanti nella Romania dell’epoca. Basata su una versione rivisitata nel 1926, la versione Cornilescu della Bibbia in lingua romena è stata più volte ristampata, diventando la più diffusa versione in lingua romena.

Menzioniamo, infine, anche una quarta categoria di iniziatori-finanziatori 3 Nel mio lavoro Lexicologie biblică românească [Lessicologia biblica romena], Humanitas,

Bucureşti 2010, pp. 449-486 ho trattato dell’accesa polemica sulla legittimità delle traduzioni bibliche avvenuta tra Ion Heliade Rădulescu e il metropolita Andrei Şaguna.

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della traduzione-pubblicazione della Bibbia in lingua romena, quella delle istituzioni laiche. Di gran lunga, la più importante istituzione di questo tipo è la Società Biblica Britannica. Dal 1864, quando apparve la prima versione ‘britannica’ della Bibbia in lingua romena (ristampata poi nel 1873 e 1874, nel 1911 e 1921) e fino al XX secolo, con le innumerevoli edizioni della versione Cornilescu, la Società Biblica Britannica deve aver stampato e diffuso milioni di copie di Bibbie romene. Tra le istituzioni laiche vanno menzionate, di recente, le Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi e “Albert Ludwig” di Friburgo, con il progetto “Monumenta linguae Dacoromanorum” e il New Europe College di Bucarest che ha avviato la più recente versione in lingua romena della Septuaginta.

Ovviamente questa succinta presentazione è schematica e lacunare. Il paesaggio della ‘tradizione biblica romena’, nel senso testuale che abbiamo attribuito a questo concetto, è molto più sfumato, vario e complesso. Non possiamo che sperare di essere riusciti a rendere un’immagine corretta della struttura di resistenza di un imponente edificio.

* * *

Per concludere le presenti dissociazioni, desideriamo tornare al punto di partenza delle considerazioni appena esposte, ovvero quello filologico. Per un buono ed efficace approccio scientifico della storia interna dell’ipertesto biblico, in permanente connessione epistemica e metodologica con la sua storia esterna, in altre parole, per l’elaborazione dei lavori di sintesi che vanno fatti (l’evoluzione della variante biblica dello stile ecclesiastico della lingua romena, una storia completa della tradizione biblica romena, l’evoluzione della terminologia ecclesiastica della lingua romena, l’evoluzione delle norme della lingua letteraria a tutti i suoi livelli ecc.), ci occorre un corpus di strumenti di lavoro, che per adesso ci manca. Ne cito alcuni che ritengo strettamente necessari:

– edizioni complete delle importanti versioni bibliche romene, specialmente di quelle a carattere innovatore: Milescu (manoscritto 45), Daniil Panoneanul (manoscritto 4389), Heliade, Aristia, Filotei, Şaguna, le prime bibbie ‘britanniche’, l’editio princeps Cornilescu, Radu-Galaction;

– potremmo avviare tale operazione di pubblicazione con la Bibbia romena online, una collezione virtuale, facilmente accessibile, di tutte le bibbie romene o, per lo meno, delle più importanti. Un inizio lo abbiamo fatto nell’ambito del progetto MLD, scannerizzando, per uso interno, i testi biblici presentati negli schemi anteriori;

– l’elaborazione di una bibliografia analitica degli studi biblici in lingua

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romena sarebbe anch’essa un’emergenza; – una concordanza biblica romena, generale, secondo il modello esistente

per altre lingue di cultura dovrebbe imporsi come obiettivo prioritario, nonché realizzabile. Potremmo iniziare dall’elaborazione di una concordanza tra La Bibbia di Bucarest e la Septuaginta, obiettivo realizzabile subito dopo l’ultimazione della serie Monumenta linguae Dacoromanorum.

Nell’ambito della lessicografia speciale potremmo concentrare le nostre forze sulla stesura di:

– un dizionario storico greco-romeno del Nuovo Testamento; – per l’Antico Testamento, un dizionario di equivalenze bibliche

romeno-greco-slavo, il quale, secondo il modello del noto Lexicon Graeco-Latinum-Palaeoslovenicum di Miklosich, potrebbe intitolarsi Lexicon Graeco-Palaeoslovenicum-Dacoromanum;

– un dizionario storico dell’onomastica biblica (antroponimi, toponimi, idronimi, oronimi, etnonimi).

In conclusione, desidero sottolineare ancora una volta che ci troviamo di fronte a un importante settore di ricerca. Assumendosi tale sfida, la filologia romena potrebbe illustrare, a modo suo, la memorabile idea formulata dal prof. Hans Ulrich Gumbrecht di Stanford nel titolo del suo libro Die Macht der Philologie, il potere della filologia. Fragile, emarginata e quasi sempre trascurata, la filologia continua a compiere, come ha fatto per oltre duemila anni, con tenacia, efficacia e, osiamo dire, con grazia, il suo destino di guardiano della memoria collettiva.

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QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 27-44

ORALITÀ LITURGICA OPPURE OBLIO TESTUALE? STUDIO DI CASO: LA STAMPA DELLE SCRITTURE

IN ROMENO (SECC. XVI-XVIII)

MIHAIL NEAMŢU Università “Vasile Goldiş” di Arad

Introduzione

Rispetto alle altre lingue europee, il romeno ha visto la sua prima traduzione completa della Bibbia relativamente tardi1. Nel 1688, il principe valacco Şerban Cantacuzino (1640-1688) ha sponsorizzato la stampa di una versione completa delle Sacre Scritture in lingua romena2. L’evento avvenne più di 150 anni dopo che Martin Luther aveva completato la sua traduzione integrale dello stesso testo sacro dall’ebraico in tedesco (1532), e 40 anni dopo il Trattato di Vestfalia (1648), il quale segnò la nascita dell’Europa moderna. Il fatto di rendere le Sacre Scritture immediatamente accessibili al comune fedele praticante scaturì numerosi dibattiti religiosi – come, ad esempio, lo statuto della divina ispirazione – e altrettanti motivi di preoccupazione accademica – come, ad esempio, la critica storica. Le chiese protestanti rilevarono l’importanza della mediazione biblica nel processo di acquisizione della conoscenza teologica a scapito di altre forme tradizionali 1 Il New Testament di William Tyndale fu stampato nel 1526, la Bibbia di Lutero nel 1534, la

Bibbia francese “Lefèvre d’Etaples” nel 1530, e The King James Bible nel 1611. Per una breve analisi di tale argomento, si veda PETER BURKE, Languages and Communities in Early Modern Europe, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 61-88, in particolare.

2 I più importanti studi sull’argomento sono V. CÂNDEA, “Nicolae Milescu şi începuturile traducerilor umaniste în limba română” [N. Milescu e gli inizi della traduzioni umanistiche in lingua romena], in Limbă şi Literatură, vol. 7, 1963, pp. 29-76; IDEM, “Les Bibles grecque et roumaine de 1687-1688 et les visées imperiales de Şerban Cantacuzene”, in Balkan Studies, vol. 10, 1969, n. 2; “Semnificaţia politică a unui act de cultură feudală (Biblia de la Bucureşti 1688)” [Il significato politico di un atto di cultura feudale], in Studii, vol. XVI, 1963, n. 3, pp. 651-671. Alcuni di questi articoli sono stati inseriti nel volume V. CÂNDEA, Raţiunea dominantă. Contribuţii la istoria umanismului românesc [La ragione dominante. Contributi alla storia dell’Umanesimo romeno], Dacia Press, Cluj-Napoca 1979.

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di vivere coram Deo, quali il combattimento ascetico, la celebrazione liturgica, la preghiera noetica, la contemplazione iconica e la piena partecipazione ai sacramenti della Chiesa.

È possibile che, su tale sfondo di rapidi cambiamenti culturali e rivoluzioni religiose, il mondo ortodosso orientale possa essere sembrato al contempo letargico e indegno del suo passato. Nel complesso, le Chiese ortodosse non sembravano molto interessate alla traduzione delle Scritture, così come sono stati lenti anche a fare i conti con le intricate conseguenze della secolarizzazione occidentale. Tuttavia, a 500 anni di distanza, è ancora possibile tracciare una linea netta tra la permeabilità delle chiese protestanti e il vigore conservatore di quelle ortodosse. Il programma di rendere la Bibbia nelle lingue vernacolari non ha garantito quella unità confessionale della mente tanto ambita dai campioni della Riforma. A lungo termine, la cultura del biblicismo protestante non riuscì a sconfiggere la secolarizzazione radicale dell’ethos cristiano che iniziò a mettere radici nel XVI secolo.

Tale prova storica ha risvolti significativi sia per la ricerca sulla sociologia delle religioni europee, sia per i progetti di teologia comparata, attraverso il grande divario di Est contro Ovest. Si solleva anche una domanda fondamentale: in che modo il transito dalla cultura religiosa orale all’economia biblica della conoscenza incise sul fenomeno della secolariz-zazione? Profondamente radicato nel progetto politico e teologico della Riforma, il passaggio dal mondo aperto dell’oralità all’universo chiuso della testualità pose molti problemi alla Chiesa ortodossa orientale. Nonostante la sua reazione ritardata al moderno progetto di tradurre le Scritture in lingua vernacolare, il cristianesimo ortodosso resistette con maggiore fermezza agli assalti delle ideologie secolari. Ciò si tradusse in un paradosso storico e in un dilemma teologico, che mi prefiggo di esplorare nel presente lavoro. Lo farò esaminando la storia intrigante delle traduzioni della Bibbia in romeno, concentrandomi maggiormente su un libro caratteristico per la cultura orale del cristianesimo d’Oriente: il Salterio.

Impostazione storica

Il romeno fa eccezione nella famiglia delle lingue romanze3. Benché abbia nel suo corpo geni latini, sin dall’inizio, il romeno fu chiamato a esprimere l’identità religiosa dell’ortodossia orientale. Può essere utile ricordare che la lenta cristianizzazione della Dacia coinvolse alcune peculiarità che numerosi 3 Va menzionato che, a differenza del francese antico, il romeno è diventato lingua lettera-

ria soltanto nel tardo XVI secolo.

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altri paesi non conobbero. Tradizionalmente, uno dei primi missionari cristiani di questa terra romanizzata è Sant’Andrea, il fratello di Pietro e il primo chiamato tra gli apostoli. Eusebio di Cesarea (263-339) descrive Andrea come l’“apostolo della Scizia”4.

In passato, tale denominazione geografica indicava la regione situata a nord del Caspio e del Mar Nero. Tuttavia, gli studiosi sono inclini a pensare che Eusebio si riferisca alla Scizia Minore, oggi Dobrugia, che si estende dalla sponda occidentale del basso Danubio fino alle coste orientali del Mar Nero. Nel 46 d.C., la Scizia Minore è stata incorporata nell’Impero Romano come parte della Mesia Inferiore regione, diventando più tardi provincia bizantina. D’allora in poi, gli emissari greci inviati da Costantinopoli cristianizzarono gradualmente la Dobrugia. La maggior parte dei documenti storici, che dimostrano una presenza cristiana nella Scizia Minore, risalgono al IV secolo.

Intorno all’anno 300 d.C., la persecuzione della Chiesa avviata da Diocleziano raggiunse i territori della Dobrugia e moltissimi cristiani trovarono la morte in luoghi quali Niviodunum (oggi Isaccea), Axiopolis (oggi Cernavodă) e Tomi (oggi Costanza). A partire dal IV secolo, la struttura ecclesiastica di Dobrugia cominciò ad essere fortificata. Marco, un vescovo di Tomis, partecipò al primo concilio ecumenico di Nicea (325). Il famoso monaco Giovanni Cassiano5, il vescovo Teotim I, difensore di Origene e amico di San Giovanni Crisostomo, e Dionigi il Piccolo (460-550), il primo ad aver calcolato la data di nascita di Cristo, erano provenienti dalla stessa Dobrugia.

La conversione di questa regione del Ponto non ebbe successo nelle altre province, Transilvania, Banato, Moldavia e Valacchia. Significative prove archeologiche, sotto forma di oggetti religiosi, iscrizioni su pietre e resti di chiese, dimostrano che l’esistenza del cristianesimo in queste regioni risale ai primi anni del IV secolo. Poiché la Dacia era una zona cuscinetto tra l’Impero Romano e il Barbaricum, la conversione religiosa della popolazione locale fu discontinua, a partire dal II secolo d.C. (a seguito dell’invasione di Traiano, tra il 101 e il 106) fino al tardo XVII secolo . Durante la seconda parte del primo millennio, i Protoromeni devono avere sperimentato una vita semi-nomade dappertutto nei Carpazi, dove potevano nascondersi da invasori, come i Goti, gli Unni e gli Slavi. In tali circostanze, qualsiasi forma di unità dottrinale era difficile da raggiungere. Ciò spiega perché le prime comunità cristiane della Romania antiqua erano estremamente diverse, includendo chiese ortodosse e ariane, nonché chiese di lingua greca e latina. 4 EUSEBIUS, Historia ecclesiastica 3.1. 5 H.-I. MARROU, “La patrie de Jean Cassien”, Orientalia Christiana Periodica, vol. XIII (1947),

pp. 588–596.

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Un ricco materiale appartenete al folclore tradizionale romeno dimostra che il processo di cristianizzazione delle popolazioni rurali proseguì fino alla fine del XVIII secolo. La magia, la superstizione e i riti pagani non furono mai completamente sradicati dall’ethos dei contadini romeni, nonostante i grandi sforzi della chiesa. Forse la lentezza del processo di inculturazione cristiana fu dovuto anche all’uso ostinato dell’antico slavo ecclesiastico nei servizi della chiesa dal X secolo in poi. Sotto l’influenza dell’impero bulgaro, il quale raggiunse il suo apice durante il regno di Simeone il Grande, gli aristocratici locali e i gerarchi della Chiesa accettarono tale subordinazione6. Tuttavia, l’alfabetizzazione nell’alto Danubio non iniziò con lo slavo, bensì piuttosto con il greco e il latino. Eppure, i primi elementi di cristianesimo registrati nella Romania Antiqua erano privi di qualsiasi input di ricchezza7. L’urbanizzazione relativamente povera della Dacia romana, abbandonata all’improvviso da Aurelio nel 271, non aiutò la cultura letteraria a imporsi negli ambienti ecclesiastici. Dai tempi dell’occupazione romana agli albori del Medioevo, il sincretismo caratterizzò la vita religiosa della popolazione locale, forse con l’eccezione della Dobrugia. I comuni cristiani rimasero discosti dalla cultura biblica dei vescovi colti. Il processo di sviluppo teologico che differenziò così bene lo spazio mediterraneo dall’Europa barbarica fu completamente assente nella prima Dacia. Lì, i primi cristiani lasciarono sepolte in terra sante reliquie piuttosto che libri.

Tuttavia, alcune preziose testimonianze dell’identità cristiana aleggiano ancora sulla superficie linguistica della storia locale. Le parole romene che designano atti fondamentali della religiosità sono prevalentemente di origine latina: a crede (< lat. credere) significa ‘credere’; păcat (< lat. peccatus) significa ‘peccato’; biserica (< lat. basilica) significa ‘chiesa’; a cununa (< lat. coronare) significa ‘coronare’; a se ruga (< lat. rogare) significa ‘pregare’; a se închina (< lat. inclinare) significa ‘chinarsi’. Al contrario, la terminologia ecclesiastica 6 P.P. PANAITESCU, “‘Perioada slavonă’ la români şi ruperea de cultura apusului” [Il perio-

do slavo presso i romeni e la frattura con la cultura del ponente, 1944], in ŞTEFAN S. GOROVEI e MARIA MAGDALENA SZÉKELY (a cura di), Interpretări româneşti. Studii de istorie economică şi socială [Interpretazioni romene. Studi di storia economica e sociale], 2a edizione, Editura Enciclopedică, Bucureşti 1994. Panaitescu suggerisce che il passaggio dallo slavo al romeno riflette l’esistenza di un’aristocrazia romena colta, che ha sostituito la precedente (di origine straniera) e che, ovviamente, ha richiesto una indigenizzazione del linguaggio liturgico della Chiesa.

7 La bibliografia sull’argomento è ampia, ma per ragioni di brevità, invito il lettore a consultare A. MADGEARU, Rolul creştinismului în formarea poporului roman [Il ruolo del cristianesimo nella formazione del popolo romeno], All, Bucureşti 2001, recensito da M. NEAMŢU in Archaeus XI (2007). Sul cristianesimo come “religione del popolo”, si vedano gli studi di N. ZUGRAVU, Geneza creştinismului popular al românilor [La genesi del cristianesimo popolare dei romeni], Bucureşti 1997.

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importata in romeno durante i secoli XIII e XIV resta in debito con l’antico slavo ecclesiastico: vladică (< sl. vladyka) per ‘vescovo’, sobor (< sl. suboru) per ‘raduno’, odajdie (< sl. odežda) per ‘indumenti’, slujba (< sl. služiba) per ‘messa’, vecernie (< sl. večerĭnja) per ‘vespri’, zbornic (< sl. sbornic) per ‘testo agiografico’, jertfa (< sl. žrutva) per ‘sacrificio’, zapis (< sl. zapisû) per ‘manoscritto’ ecc. Per quasi cinque secoli8, i preti romeni adoperarono sia il medio bulgaro sia il russo antico per i servizi divini della Chiesa ortodossa9. Lo slavo ecclesiastico, in generale, era impiegato con maggiore facilità in ambito serbo, bulgaro e russo che non in ambito romeno10. Sorprendente-mente, l’alfabeto cirillico non fu sostituito con quello latino fino al 185811. Per secoli, il tasso di analfabetismo nelle province romene rimase notevolmente superiore a quello registrato nei paesi europei d’Occidente. In altre parole, i romeni, come altri cristiani dell’Impero Romano d’Oriente, abitarono una cultura prevalentemente orale e visiva12. Al contrario, il mondo protestante 8 Infatti, il Metropolita Dosoftei di Suceava (1624-1693) è stato determinante nel raggiun-

gimento di una migliore traduzione della Santa Scrittura e dei testi liturgici quali la Divina liturgia (1679), il Salterio (1680; testo parallelo in antico slavo ecclesiastico e romeno), il Libro di preghiere per i preti (1683), e Le vite dei santi (1682-1686) in quattro volumi; il Metropolita Varlaam di Valacchia (1630-1702) è stato responsabile per la stampa nel 1678 di 18 omelie tradotte dallo slavo al romeno da J. Galetovsky di Cernikov con il titolo Cheia înţelesului [La chiave di comprensione].

9 Anche la struttura ecclesiastica della Chiesa nella regione è stata responsabile per tale stato delle cose. Si veda, W. SETON-WATSON, A History of the Romanians, Cambridge University Press, Cambridge 1934; ristampato Archon Books, 1963), pp. 14-15: “The Romanians, as late as the second half of the 15th century, under Stephen the Great, still recognised the ecclesiastical jurisdiction of Ohrida.” [I romeni, nella seconda metà del XV secolo, sotto Stefano il Grande, riconoscevano ancora la giurisdizione ecclesiastica di Ocrida].

10 Uno degli argomenti polemici utilizzati dai teologi uniati contro la Chiesa Ortodossa af-ferma che per aver abbracciato il fenomeno di alienazione linguistica, l’Ortodossia orientale non è riuscita a educare la mente dei credenti cristiani. Ironicamente, papa Benedetto XIV ha deciso di autorizzare ufficialmente l’uso della lingua volgare nel servizio divino della Chiesa Cattolica Romana solo il 13 giugno 1757. Soltanto le decisioni prese dal Concilio Vaticano II (1962-1965) resero popolare questa prospettiva nell’ambito del mondo cattolico.

11 Si veda IVÁN T. BEREND, History Derailed: Central and Eastern Europe in the Long Nineteenth Century, California University Press, Berkeley 2003, p. 54. Per una rassegna generale, si vedano IORGU IORDAN, Istoria limbii române [La storia della lingua romena], Editura Ştiinţifică, Bucureşti 1983); G. IVĂNESCU, Istoria limbii române, Junimea, Iaşi 1980).

12 WALTER J. ONG SJ, Orality and Literacy: The Technologizing of the Word, Routledge, New York 2002. Ong sostiene che la psiche collettiva del “popolo orale” (rispetto alle “culture chirografiche”) percepisce e crea la propria conoscenza facendo uso di espressioni piuttosto ‘aggregate’ che ‘analitiche’. Pertanto, la comunicazione verbale tende ad essere partecipativa in un modo in cui la sapienza biblica non può esserlo. Nell’era della stampa, la lettura sacra diventa meno recitativa, performativa e liturgica (come resta tuttora lo stato d’animo poetico di invocazione erotica). Su questo ultimo punto, si veda

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abolì l’uso delle icone e ridusse drasticamente il numero dei gesti corporei tradizionalmente inclusi nelle rappresentazioni liturgiche. Pertanto, le rivendicazioni degli ortodossi devono aver avuto toni drammatici.

Per cominciare, la tradizione monastica incoraggiò naturalmente la comunicazione verbale in termini di dialogo e di confessione. Una forte cultura della memoria, basata su esercizi mnemonici, svolse il ruolo che i testi stampati avrebbero dovuto giocare. La trascrizione delle Scritture, dei commenti patristici e degli antichi detti monastici (apophthegmata) era considerata un compito sacrosanto. Solo alcuni gerarchi e aristocratici privilegiati avevano accesso o possedevano manoscritti liturgici e biblici13. La maggior parte dei copisti che maneggiavano i manoscritti erano monaci, che cercavano di combinare tali doveri eruditi con la loro regola di preghiera. I comuni cristiani dovevano imparare a memoria quei testi che erano necessari alla loro crescita spirituale. È molto rilevante che il secondo canone del settimo concilio ecumenico di Nicea (787) stabilì quanto segue: “chi è elevato a rango di vescovo deve conoscere il Salterio a memoria, in modo da poter ammonire e istruire tutto il clero a lui assoggettato”14.

Lo scetticismo ortodosso verso la privatizzazione delle Scritture mediante la distribuzione di massa dei testi stampati derivava da sofisticati argomenti teologici. La prima questione riguardava le conseguenze che si sarebbero verificate in seguito alla disponibilità immediata dei testi biblici, in assenza di qualsiasi altra operazione di mediazione ermeneutica, come ad esempio la tradizione ecclesiale. I teologi ortodossi, come anche le ufficialità romano-cattoliche, temevano la riduzione nominalista delle Scritture secondo le linee del soggettivismo moderno. Essi ritenevano che l’atto di predicare le Scritture fosse la preparazione per la comunione eucaristica, che di per sé rappresentava la reiterazione del sacrificio incruento di Cristo, e non solo un mero ricordo di certi eventi passati. La Parola di Dio era considerata come una realtà iconica intrisa non soltanto di significati, ma anche di porzioni di vita ovvero, nel gergo di S. Gregorio Palamas, di grazia increata. Ciò rese la lettura delle Scritture inseparabile dalla parte performativa della liturgia. Il compimento della sapienza biblica era attuato in termini

CATHERINE PICKSTOCK, After Writing: On the Liturgical Consummation of Philosophy, Blackwell, Oxford 1997), pp. 47-100, in cui la teologa britannica discute la ‘testualizzazione’ del soggetto moderno, sulle orme del cartesianesimo, il primo a dare priorità al metodo di fronte alla memoria. In romeno, si veda ALEXANDRU DUŢU, Literatura comparată şi istoria mentalităţilor [Letteratura comparata e storia delle mentalità], Univers, Bucureşti 1982.

13 HERBERT HUNGER, Schreiben und Lesen in Byzanz. Die byzantinische Buchkultur, Verlag C.H. Beck, Munich 1989.

14 Nicene and Post-Nicene Fathers, vol. V.2-14.

Oralità liturgica oppure oblio testuale? 33

essenzialmente rituali. La delocalizzazione delle Scritture proposta dalla Riforma era vista come un movimento teologico incline alla banalizzazione attraverso la reificazione. Quando si trovavano di fronte al compito di tradurre la Bibbia, gli eruditi religiosi, in generale, dovevano riconsiderare il concetto di ispirazione e di originalità. La prima ricezione cristiana della versione dei Settanta suggerì che una traduzione dovrebbe essere ‘ispirata’, simile quindi alla versione originale. Dopo la decadenza teologica dei Latini e con l’emergere di Mosca come la ‘terza Roma’, in molti arrivarono a gradire l’idea che il greco e lo slavo fossero tra le poche ‘lingue sacre’15. Può darsi che questo sia stato un altro motivo che rinviò la decisione ortodossa di commissionare la traduzione della Bibbia in lingua volgare16.

Tale stato di cose provocò una reazione da parte di importanti gerarchi di Moldavia e Valacchia: il Metropolita Varlaam di Iaşi (†1657), il Metropolita Dosoftei di Suceava (1624-1693) e l’Arcivescovo Antim Ivireanul (1650-1716) di Bucarest, in particolare, i quali insistettero sull’importanza di adottare il volgare nelle celebrazioni ecclesiastiche17. Entro l’inizio del XVIII secolo, il romeno era stato pienamente adottato nella liturgia ortodossa, consentendo un culto molto più significativo. A tutt’oggi, il romeno è una delle poche lingue moderne ad aver assorbito l’intero corpus biblico e liturgico dell’ortodossia orientale. Il processo di assimilazione fu lento, ma organico, incoraggiando il contributo di quasi tutti i dialetti locali, i quali altrimenti erano lenti a fondersi in un’unica grande narrazione. Non importa quanto fosse stato appesantito dalle sue credenziali slave, l’idioma liturgico contribuì notevolmente alla nascita del romeno letterario durante i secoli XVIII e XIX. In un periodo di trasformazioni decisive per la cultura romena, l’elite

15 Tale punto di vista, condannato dal concilio di Francoforte (794), era già ampiamente

diffuso verso la fine del VIII secolo. Si veda HENRY CHADWICK, East and West. The Making of a Rift in the Church, Oxford University Press, Oxford 2003, pp. 148-149. Per quanto riguarda l’atteggiamento iniziale dei cristiani rispetto alla traduzione biblica, si veda G. BARDY, La question des langues dans l’Eglise ancienne, vol. I, Beauchesne, Paris 1948. Purtroppo, il secondo volume non è stato mai pubblicato.

16 Il Metropolita Teodosie (1620-1708) di Valacchia (“Ungrovlahia”) ha esitato a lungo prima di autorizzare la stampa della Sacra Bibbia nel 1688. Per una storia completa, si veda ALEXANDRU ANDRIESCU, “Locul Bibliei de la Bucureşti în istoria culturii, literaturii şi limbii române literare” [L’importanza della Bibbia nella storia della cultura, della letteratura e della lingua romena letteraria], in Monumenta linguae Dacoromanorum. Biblia 1688, Pars I (Genesis), Iaşi 1988, pp. 7-45.

17 Questa precoce acquisizione di trasparenza linguistica può spiegare l’alto tasso di presenza in chiesa nella Romania contemporanea, nonostante le persecuzioni religiose e di emarginazione a cui i cristiani sono stati sottoposti durante il regime comunista. A tutt’oggi, il privilegio di comprendere pienamente il contenuto delle sacre letture, l’innografia e i sermoni è piuttosto singolar nell’ambito delle tradizionali chiese ortodosse.

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intellettuale che era più conservatrice incoraggiò il dialogo tra il linguaggio secolare e l’idioma religioso, i quali in precedenza tendevano a separarsi18.

Non fu solo il divario alienante tra gli echi lontani dello slavo ecclesiastico nella lingua romena e la sua origine latina a convincere i gerarchi ortodossi sull’importanza della translatio studii, dal pulpito giù nei banchi19. Forse più di ogni altra nazione balcanica, durante i secoli XVI e XVII, i romeni dovettero affrontare le sfide del protestantesimo, pur essendo religiosamente indipendenti dalla dominazione turca20. I missionari ussiti, la cui influenza fu risentita in Transilvania durante il XV secolo, furono tra i primi traduttori ‘non autorizzati’ delle divine Scritture in lingue dell’Europa centrale21. Inoltre,

18 Per una storia sociale del romeno durante il XIX secolo, si veda SORIN ANTOHI,

“Cuvintele şi lumea. Constituirea limbajului social-politic modern în cultura română” [Le parole e il mondo. La formazione del linguaggio socio-politico moderno nella cultura romena], in Civitas imaginalis. Istorie şi utopie în cultura română, Litera, Bucureşti 1994, pp. 136-174. Si può dire che il più importante poeta della Romania moderna, Mihai Eminescu (1850-1889), ha ammesso in maniera esplicita il contributo dell’idioma religioso utilizzato durante i servizi liturgici alla nascita del romeno letterario. Si veda M. EMINESCU, “Cu timpul au început a se recunoaşte” [Con il tempo hanno iniziato a riconoscerlo], Opere. Publicistică (1 ianuarie – 31 decembrie 1881), vol. XII, Editura Academiei, Bucureşti 1985, p. 363. Lo stesso anno, il professore Titu Maiorescu (1840-1917), il mentore di Eminescu, richiese ai vescovi ortodossi di accettare la revitalizzazione della lingua romena adoperata nei servizi liturgici, mediante l’utilizzo di parole latineggianti piuttosto che slave, laddove fosse stato possibile.

19 DENNIS DELETANT, “A survey of Romanian Presses and Printing in the Sixteenth Century”, in Studies in Romanian History, Editura Enciclopedică, Bucureşti 1991, pp. 116-130; IDEM, “Romanian Presses and Printing in the Seventeenth Century”, in op. cit., pp. 131-185.

20 M. CRĂCIUN, Protestantism şi Ortodoxie în Moldova secolului al XVI-lea [Protestantesimo e Ortodossia nella Moldavia del XVI secolo], Presa Universitară Clujeană, Cluj-Napoca 1996). Recensito da K. HITCHINS in Slavic Review 57, n. 2 (Summer, 1998), pp. 441-42. Per quanto riguarda la Transilvania, si vedano GRAEME MURDOCK, Calvinism on the Frontier 1600-1660: International Calvinism and the Reformed Church in Hungary and Transylvania, Oxford University Press, New York 2000, in modo particolare pp. 110-141; ANA DUMITRAN, GÚDOR BOTOND, NICOLAE DĂNILĂ, Relaţii interconfesionale româno-maghiare în Transilvania (mijlocul secolului XVI - primele decenii ale secolului XVIII) [Rapporti interconfessionali romeno-ungheresi in Transilvania (metà del XVI secolo – primi decenni del XVIII secolo)], Alba Iulia 2000; per una prospettiva teologica, si vedano gli studi di E.CHR. SUTTNER, “Die Wandlung der orthodoxen Theologie im 17. Jahrhundert infolge einer Herausforderung durch die westlichen Kirchen”, in Kirche im Osten. Studien zur osteuropäischen Kirchengeschichte und Kirchenkunde, vol. 20 (1977), pp. 40-52; DANIEL BENGA, Marii reformatori luterani şi Biserica Ortodoxă. Contribuţii la tipologia relaţiilor luterano-ortodoxe din secolul al XVI-lea [I grandi riformatori luterani e la Chiesa Ortodossa. Contributi alla tipologia dei rapporti luterano-ortodossi nel secolo XVI], Editura Sophia, Bucureşti 2004).

21 Famosi studiosi romeni, quali Nicolae Iorga, S. Puşcariu e I.-A. Candrea hanno attribuito la prima traduzione anonima del Salterio (Psaltirea şcheiană) in romeno agli hussiti. Si veda N. IORGA, Istoria literaturii religioase a românilor până la 1688 [La storia della letteratura

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i crociati luterani e calvinisti in Oriente riuscirono a convertire molti membri della nobiltà cattolica della stessa regione. La sconfitta dei cattolici a Mohács nel 1526 può avere incoraggiato anche l’ascesa della piccola nobiltà terriera luterana e calvinista in Transilvania.

Nella maggioranza dei casi, la risposta ortodossa alle nuove idee veicolate dalla Riforma fu caratterizzata da ambivalenza. Il Diacono Coresi (†1583), che era responsabile per la stampa di molti libri ortodossi, quali I quattro Vangeli (1560-1561) e il Salterio (1570), autorizzò anche la stampa de L’interpretazione dei Quattro Vangeli (1567), che conteneva alcune nozioni calviniste sulla redenzione e sui sacramenti. Inoltre, l’idea di tradurre i primi libri dell’Antico Testamento in romeno derivava dagli ambienti protestanti della Transilvania. La famosa Palia di Orăştie, che comprendeva i primi due libri del Pentateuco, fu stampata nel 1582 dal figlio di Coresi, Şerban, insieme con il diacono Marian, su iniziativa di Francisc Geszty di Deva, un militare aristocratico e patrono della Chiesa Riformata nella regione. La traduzione fu effettuata secondo una versione ungherese dell’Antico Testamento, pubblicata a Cluj nel 1551 da Gáspár Heltai22. Più tardi, nella Bibbia Cantacuzino, i testi dell’Antico Testamento furono resi in romeno osservando la Settanta greca. Data la provenienza Masoretica e l’uso protestante del testo ebraico dell’Antico Testamento, tutti gli eruditi bizantini lo guardarono con sospetto23.

religiosa dei romeni fino al 1688], vol. 1, Bucureşti 1904, pp. 17-21. Tale punto di vista è stato respinto sulla base di un’analisi approfondita da ION GHEŢIE, Începuturile scrisului în limba română. Contribuţii filologice şi lingvistice [Gli inizi della scrittura in lingua romena. Contributi filologici e linguistici], Editura Academiei, Bucureşti 1974, pp. 30-97. Gheţie ritiene che le relazioni causali tra la presenza del protestantesimo in Transilvania e la nascita di attività letterarie nei circoli romeni (di religione ortodossa) non debbano essere spinte troppo in avanti.

22 N. CARTOJAN, Istoria literaturii române vechi [Storia del romeno antico], Minerva, Bucureşti 1980, p. 109. Cartojan segue la tesi di M. ROQUES, Les premières traductions roumaines de l’Ancien Testament, Palia d’Orăştie (1581-1582). Préface et livre de la Génèse (Paris 1925). Si veda anche ALEXANDRU GAFTON, După Luther. Traducerea vechilor texte biblice [Dopo Lutero. La traduzione degli antichi testi biblici], Editura Universităţii “Alexandru Ioan Cuza”, Iaşi 2005.

23 Esiste un’importante eccezione a questa regola: la traduzione dell’Antico Testamento in antico slavo ecclesiastico e russo. La prima è maggiormente, ma non completamente basata sulla LXX e la Vulgata, mentre la seconda, risalente al XVIII secolo e autorizzata dal Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa, ha adottato quale sua fonte il testo masoretico. Per un’eccellente descrizione storica di tale intricata storia, si veda HENRY R. COOPER, Slavic Scriptures: The Formation of the Church Slavonic Version of the Holy Bible, Fairleigh Dickinson University Press, Madison, WI 2003. Cooper mostra in che misura l’interesse per la performance liturgica delle letture bibliche ha reso difficile (o almeno marginale) la ricostruzione filologica del testo ‘originale’. Per i problemi filosofici sollevati dal concetto moderno di originalità interpretativa, si veda H.G. GADAMER, Truth and

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La Riforma svolse un ruolo importante nel processo generale del risveglio culturale e religioso che si diffuse attraverso i principati romeni dall’inizio del XVI alla fine del XVIII secolo. Date le forti controversie teologiche con i cattolici romani e i protestanti, i vescovi ortodossi diventarono ancora più consapevoli della necessità di una versione più facilmente accessibile della Bibbia in lingua volgare. Nel 1642, i protestanti ricevettero un altro duro colpo, quando i vescovi ortodossi riunitisi a Iaşi per difendere La confessione del patriarca Dositheos, il quale aveva condannato le opere di Cirillo Lukaris, ex patriarca di Alessandria e teologo pro-calvinista24. Nel 1690, Meletios Syrigos pubblicò un’altra confutazione della teologia di Lukaris a Bucarest25. Gli ortodossi erano impegnati nell’elaborazione di nuove strategie pastorali, nel tentativo di rispondere alle preoccupazioni religiose dei riformatori sul loro terreno. Il Metropolita Varlaam, per esempio, comprese che gli ‘eretici’ andavano confutati con un ragionamento biblico26. Nel 1637, scrisse per gli ortodossi di Transilvania27 un trattato anti-calvinista intitolato Cazania, che includeva omelie, racconti agiografici e commenti liturgici. Nella diffusa Cazania, Varlaam mise

Method, Continuum, New York 1989, p. 277 sgg.

24 A. ELIAN, ”Contribuţia grecească la ‘Mărturisirea Ortodoxă’”, in Balcanica, vol. 5 (1942), pp. 79-135; F. PALL, “Les relations de Basile Lupu avec l’Orient orthodoxe et particuliérement avec le patriarcat de Constantinople”, in Balcanica, vol. 8 (1945), pp. 64-144; I. JIVI, “Cyril Lucaris’ ties with Transylvanian Protestants”, in Persoană şi comuniune, Prinos de cinstire Pr. Prof. Acad. Dumitru Stăniloae, Editura Diecezană, Sibiu 1993, pp. 386-397; per una discussione generale sull’epoca, si veda GERHARD PODSKALSKY, Griechische Theologie in der Zeit der Türkenherrschaft (1453-1821). Die Orthodoxie im Spannungsfeld der nachreformatorischen Konfessionen des Westens, Munich 1988. Al Concilio di Iaşi, i vescovi della Chiesa ortodossa orientale hanno concordato formalmente sull’autenticità di alcune letture dell’Antico Testamento, compresi i libri di 1 Esdra, Tobia, Giuditta, tre libri dei Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico (Siracide), Baruch e la Lettera di Geremia.

25 MELETIOS SYRIGOS, Tou Makaritou Meletiou Syrigou Didaskalou te kai protosyngelou tes en Konstantinoupolei megales ekklesias, kata ton kalbinikon kephalaion, kai eroteseon Kyrillou tou Loukareos antirrhesis, kai Dositheou Patriarchou Hierosolymon encheiridion kata tes kalbinikes phrenoblabeias, 1690 [Scritto da Sua Beatitudine Meletios Syrigos, Maestro della Grande Chiesa di Costantinopoli, sui capitoli calvinisti e la confutazione delle domande di Cirillo Lukaris e sul Manuale di Dositheos, Patriarca di Gerusalemme, sulle empietà dei calvinisti]. Si vedano C. ERBICEANU, “Scrierea lui Meletie Sirig contra Calvinilor şi a lui Ciril Lucaris, compusă prin ordinul Sinodului ţinut la Iaşi la 1642” [Gli scritti di Meletios Syrigos contro i Calvinisti e contro Cyril Lucaris, scritto su ordine del Sinodo tenutosi a Iaşi nel 1642], in Biserica Ortodoxă Română, vol. 18 (1894-95), pp. 6-27; e NICOLAE IORGA, Byzance après Byzance, Bucureşti 1935, pp. 171-174.

26 VARLAAM, Cartea carea să cheamă Răspunsul împotriva catihismusului calvinesc [Libro intitolato Risposta al catechismo calvinista], Mănăstirea Dealu, 1645.

27 FLORIAN DUDAŞ, Cazania lui Varlaam în Transilvania, Cluj-Napoca 1983.

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l’esegesi biblica vicino alla synaxaria e alla menologia della Chiesa antica28. Fra il 1682 e il 1686, la serie de Le Vite dei Santi fu stampata a Iaşi, con la benedizione del Metropolita moldavo Dosoftei (1624-1693). Nel 1673, lo stesso gerarca moldavo pubblicò il primo Salterio romeno in rima, incoraggiando i membri delle classi sociali più elevate a memorizzare le Scritture. Ciò fu ancora più ragguardevole in quanto le traduzioni successive dell’innografia bizantina non mantennero la struttura metrica dell’originale greco, la quale raccomandò teologi come San Romanos Melodos o Giovanni di Damasco quali poeti rappresentativi del cristianesimo orientale.

Tutte queste azioni tradiscono la consapevolezza storica dei leader ortodossi, i quali ritenevano che la sapienza biblica dovesse essere in qualche modo salvata dalle mani dei missionari protestanti. Con il ripristino della vocazione cultuale delle Scritture, recuperarono anche l’oralità perduta che prevaleva in tutte le antiche tradizioni cristiane. La semplice lettura della Bibbia era considerata insufficiente, soprattutto quando essa metteva tra parentesi il dramma sapienziale rivelato dalla liturgia.

La sostituzione del Lezionario In breve, ciò che spronò la traduzione dei testi sacri in lingua volgare non può essere ridotto ad un singolo fattore. Lungo la logica interna di emancipazione che plasmò le politiche religiose della Chiesa ortodossa all’interno dei principati romeni attraverso l’intero periodo moderno, vi si trovano cause esterne collegate alla Riforma. Tale influsso occidentale fu risentito piuttosto in Transilvania e Moldavia che non in Valacchia, la quale in un primo tempo condivise le preoccupazioni dei paesi balcani sotto dominio ottomano. La stampa era chiaramente percepita come importazione occidentale, arrivando prima in Transilvania nel 1528 e solo nel 1642 in Moldavia. Catehismul românesc [Il catechismo romeno], a cura di Filip Moldoveanul, fu il primo libro stampato in romeno a Sibiu nel 1544. Purtroppo, questo libro è andato perso. Il primo documento religioso stampato da un prete romeno fu il Messale slavo (1508), seguito dal Vangelo (1512), stampato dal monaco Macarie (1450-1521). Evangheliarul [Il Vangelo] fu il primo libro religioso emesso in rumeno (1560-1561), preceduto dalla stampa del Triodion / Pentecostarion in slavo nel 1558 e del piccolo Oktoichos [Gli otto toni] nel 155729. Il redattore responsabile di tutte queste 28 Si veda M. TOMESCU, Istoria cărţii româneşti de la începuturi până la 1918, Editura Ştiinţifică,

Bucureşti 1968, p. 69. 29 Il Vangelo, che include i testi canonici attribuiti ai quattro evangelisti (Matteo, Marco,

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pubblicazioni fu l’infaticabile Coresi, un diacono ortodosso di Târgovişte, allora capitale della Valacchia (1396-1714). Due anni più tardi, lo stesso Coresi stampò a Braşov l’Apostolos, un altro libro liturgico usato per le lezioni divine durante la Divina Liturgia30. I gerarchi ortodossi prestarono grande attenzione alla stampa dei libri liturgici, in contrasto con l’interesse dei protestanti per le Scritture. Il passaggio dai manoscritti ai libri stampati iniziò con i più importanti testi liturgici dell’ortodossia orientale. La traduzione completa della Bibbia nel 1688 riassumeva gli sforzi compiuti da un gran numero di gerarchi ed eruditi ortodossi, compreso il grande Nicolae Milescu (1636-1708), per definire l’utilizzo delle scritture, tra le altre peculiarità ortodosse. Dare priorità al ruolo dei testi liturgici significò respingere tutte le decontestualizzazioni della Bibbia dalla sua matrice iniziale. Il corpus del Nuovo Testamento era molto più di un semplice supporto per la predicazione; fu inserito, sin dall’inizio, nella vasta rete delle azioni cultuali che caratterizzarono la vita cristiana degli inizi. Rifiutando l’idea che le Scritture potessero sopravvivere nel contesto dell’isolamento kerigmatico, i teologi ortodossi provarono a rimettere la Bibbia, per così dire, sul tavolo dell’altare. Lì, le Scritture erano destinate a rappresentare più di uno strumento contro l’amnesia. La giusta collocazione della Bibbia era accanto al calice31. La rivelazione del Verbo divino richiedeva molto più di una consegna sotto forma di messaggio, senza eccesso di significato o di potere. Agli occhi dei Padri della Chiesa, il Verbo abitava quale sacramento tra i suoi fedeli discepoli. In primo luogo, era contemplato come un’icona e poi silenziosamente digerito nel corpo eucaristico. Tale teologia ortodossa della Parola esigette l’immediato riconoscimento dell’elemento apofatico, che spesso rimaneva illeggibile in ambito protestante.

Il recupero dell’oralità da parte degli ortodossi non significò un rifiuto semplicistico della testualità, ma piuttosto l’inserimento delle Scritture in quello che Massimo il Confessore (580-662) chiamava “liturgia cosmica”32. Ciò conferma l’osservazione trita del grande teologo cattolico Henri de Lubac (1896-1991), che una volta suggerì che il cristianesimo dovrebbe

Luca e Giovanni), edizione critica a cura di Florica Dumitrescu, pubblicato con il titolo Tetraevanghelul tipărit de Coresi, 1560-1561 [Il Tetravangelo stampato da Coresi], Editura Academiei, Bucureşti 1963.

30 L’unica edizione moderna di questo testo consiste in una serie di facsimili, a cura di I. BIANU, Apostolul lui Coresi [Il libro dell’Apostolo di Coresi], Cultura Naţională, Bucureşti 1930.

31 I cristiani ortodossi baciano il Vangelo a più riprese durante il servizio divino, e in particolare durante la Divina Liturgia.

32 Per la migliore introduzione alla liturgia cosmica di San Massimo, si veda ANDREW LOUTH, Maximus the Confessor, Routledge, London 1996, pp. 63-80.

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essere considerato “not as the religion of the Book, but that of the Word”33. Tale visione si trova in linea con la mistica ebraica rabbinica, secondo la quale la Torah, in grado di sostituire le funzioni del Tempio, aveva una vocazione incarnazionale. La Chiesa primitiva era anche interessata a tradurre innanzittutto quei testi biblici che erano adoperati nel contesto liturgico34, mettendo l’accento sul Vangelo, le Epistole, i Salmi e i Profeti35. Quando gli fu chiesto dal Papa Damaso (305-383) di rivedere la versione della Bibbia Vetus Itala, secondo il testo greco, San Girolamo affrontò prima il Nuovo Testamento e poi il Salterio36. I santi Cirillo (827-868) e Metodio (825-884), “gli apostoli degli slavi”, condividevano la stessa comprensione gerarchica del significato delle Scritture37. I due fratelli di Tessalonica intrapresero la loro missione di evangelizzazione degli slavi in Moravia, traducendo prima quelle pericopi evangeliche, che il Lezionario della Chiesa raccomandava di essere lette in occasione delle grandi feste38. Ciò conferma, ancora una volta, l’antico principio teologico secondo il quale le Scritture dovevano essere comprese e interpretate non come dei semplici testi staccati dalla comunità ecclesiale degli interpreti, ma come un evento o, meglio 33 Cf. IDEM, Discerning the Mystery. An Essay on the Nature of Theology, Clarendon Press, Oxford

1983, p. 101. 34 S.J.O. VAN DIJK, “The Bible in Liturgical Use”, in G.W.H. LAMPE (a cura di), The

Cambridge History of the Bible, vol. 2, Cambridge University Press, Cambridge 1969, pp. 220-51; J.A. LAMB, “The Place of the Bible in the Liturgy”, in P.R. ACKROYD e C.F. EVANS (a cura di), The Cambridge History of the Bible, vol. 1, Cambridge University Press, Cambridge 1970, pp. 563-86; PETER G. COBB, “The Liturgy of the Word in the Early Church”, in CHESLYN JONES (a cura di), The Study of Liturgy, Oxford University Press, New York 1992, pp. 219-229; RENATO DE ZAN, “Bible and Liturgy”, in ANSCAR J. CHUPUNGCO (a cura di), Handbook for Liturgical Studies. Introduction to the Liturgy, Liturgical Press, Collegeville, Minnesota 1997, pp. 33-52.

35 Tale era la percezione cristiana della Bibbia nel Medioevo, sia in Oriente sia in Occidente. Per vari studi di caso, si vedano HUGHES OLIPHANT OLD, The Reading and Preaching of the Scriptures in the Worship of the Christian Church, Wm. B. Eerdmans Publishing, Grand Rapids, Cambridge 1999, pp. 1-72.

36 Da questo lavoro, seguito dalla revisione, nel 386, del Salterio (sullo sfondo della Settanta) è nato il famoso Salterio Galico, il quale, in quanto parte della Vulgata, fu adoperato per la prima volta in Gallia,e adottata poi nel Breviario della Chiesa Romana.

37 A.P. VLASTO, The Entry of the Slavs into Christendom, Cambridge University Press, Cambridge 1970, pp. 61-65.

38 La biblioteca di Cambridge ha nelle sue collezioni i seguenti manoscritti che confermano l’esistenza di una chiara impostazione liturgica per tutte le letture bibliche nella tradizione slava. Si vedano MSS add. 6594: Codex Macedoniensis dei Vangeli add. 6678: Atti ed Epistole Dd.9.69: Vangeli Nn.2.36; Vangeli del XII secolo con Lezionario e Synaxarion; e i Vangeli Ll.2.13. Vorrei ringraziare il Sig. Krastu Banev per avermi fornito queste informazioni. Per riferimenti paralleli, si veda T.S. PATTIE, Manuscripts of the Bible: Greek Bibles in the British Library, The British Library Board, London 1979.

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ancora, come un ‘avvento’ dispiegato sull’orizzonte della rivelazione di Dio39. Come fece la Chiesa iniziale a risaltare l’importanza della mediazione

ecclesiale per l’ermeneutica biblica? La risposta a questa domanda potrebbe essere data attraverso un attento studio del Lezionario medievale nella cristianità orientale40. Si tende a dimenticare che prima dell’invenzione della stampa, molti codici delle Scritture riportavano istruzioni su ciò che sarebbe dovuto essere letto in chiesa in specifiche occasioni, specialmente la domenica e nei giorni festivi. Il prologo al Vangelo di San Giovanni era letto pubblicamente in occasione della “Santa e Grande Domenica di Pasqua”, mentre l’inizio del Vangelo di Marco si sentiva nella Domenica che precedeva la festa dell’Epifania. Tali annotazioni, insieme con intere sequenze di pericopi, erano raccolte in un unico libro, chiamato il Lezionario, il quale aiutava i diaconi e i sacerdoti a svolgere le funzioni religiose in modo corretto. Bruce M. Metzger – studioso del Nuovo Testamento – sostiene che “the lectionary system current today in the Orthodox Church had its origin sometime during the 4th century”41. Sarà per questo che, nella Chiesa ortodossa, le lezioni divine non sono mai annunciate come estratti della Bibbia, con riferimento a capitoli e versioni specifiche. Si tratta di una divisione tarda, introdotta prima in Occidente dal cardinale Hugo de Sancto Caro, nel 1244, e implementata poi, nel 1382, dalla Bibbia inglese di Wycliffe. Da dovunque sia tratta la pericope, la lettura è annunciata come la predicazione del Vangelo secondo uno dei quattro evangelisti. Questo era un modo di confessare l’unità del “Vangelo di Cristo”42. Fornendo referenze per la raccolta annuale delle letture bibliche, il Lezionario offriva una minima percezione dei principi ecclesiali dell’esegesi biblica. Il lezionario, inoltre, manteneva la logica dell’oralità liturgica, dietro alla quale si potevano scorgere scorci dell’antica traditio arcana.

Le istruzioni del Lezionario offrivano una visione della dinamica intrinseca della teologia biblica, ricordando all’esegeta che la lettura delle Scritture non poteva essere completamente privatizzata, mentre la tradizione forniva pesi e contrappesi per qualsiasi ermeneutica della Parola.

39 AGOSTINO, Contro la lettera di Mani, 1.1: “Ego vero Evangelio non crederem, nisi me

catholicae Ecclesiae commoverat auctoritas.” [Invero io stesso non crederei al Vangelo, se non mi spingesse a credere l’autorità della Chiesa cattolica.]

40 Seguo qui KURT e BARBARA ALAND, The Text of the New Testament: an Introduction to the Critical Editions and to the Theory and Practice of Modern Textual Criticism, Eerdmans Publishing, Grand Rapids 1995, pp. 163-169.

41 BRUCE M. METZGER, “Greek Lectionaries and a Critical Edition of the Greek New Testament”, in K. ALAND (a cura di), Die alten Übersetzungen des Neue Testaments, die Kirchenväterzitaten und Lektionare, Berlin 1972, pp. 495-496.

42 Romans 1:16.

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Tali norme di correttezza teologica sono lontane dalle aspettative della cultura contemporanea. Solo pochi sarebbero pronti ad ammettere che il ragionamento biblico e la conoscenza teologica siano strutturati gerarchica-mente. La tradizione ortodossa, comunque, mantenne i suoi standard. L’ingresso nell’universo biblico doveva essere fatto al passo con il calendario liturgico. Qualsiasi separazione della Bibbia dalla particolare matrice che le permise di nascere era considerata dubbia. I particolari tecnici coinvolti nel processo di stampa erano tali che la lettura individuale delle Scritture perdette il suo contatto seminale con il Lezionario della Chiesa. Di conseguenza, l’eredità patristica era stata allontanata dalla performance esegetica dei commentatori moderni43. A volte, la scissione tra la Scrittura e la tradizione era non intenzionale. Alla fine, cominciò a influenzare il comportamento religioso di quasi tutti i cristiani moderni.

Nel loro zelo missionario, i teologi protestanti, cattolici e ortodossi furono tutti quanti ipnotizzati dalle promesse della nuova tecnologia della stampa. Tuttavia, uno degli effetti immediati innescati dalla rivoluzione della stampa fu la democratizzazione del processo di lettura e la perdita dell’antica visione unificante sull’origine e lo scopo delle Scritture. Il rischio dell’oblio compreso nei nuovi metodi di approccio alla Bibbia era veramente molto significativo.

Un’eccezione: Il Salterio

L’unica eccezione a questa regola fu il Salterio, il quale, nella tradizione iniziale, non era stato suddiviso in capitoli e versetti, ma in 20 kathismata (sessioni), ciascuna divisa in tre staseis (stazioni) di dimensioni simili. Il Salterio era l’unico libro che portava il Lezionario con sé. Tale tipologia segnava chiaramente la destinazione liturgica del Salterio, che era indispensabile per la comunicazione orale in chiesa44. Nel Bisanzio il Salterio era sempre letto in modo monodico, sicché le emozioni del lettore – un membro designato del clero inferiore – non possano essere tradite. La salmodia del mondo ortodosso non patteggiò mai con il canto polifonico che si svilupò in Occidente45. La maggior parte dei Salteri romeni tradotti dallo slavo o dal 43 Ho sviluppato tale riflessione in M. NEAMŢU, Bufniţa din dărâmături. Insomnii teologice [Il

gufo tra le rovine. Insonnie teologiche], Anastasia Press, Bucureşti 2005, pp. 456-464. 44 AGOSTINO, Ritrattazioni, II.11.17: “l’uso [...] di intonare dinanzi all’altare degli inni tratti

dai Salmi, sia prima dell’offerta sia nel momento in cui ciò che era stato offerto veniva distribuito al popolo.”

45 Il canto polifonico era presente nei mottetti religiosi dei secoli XVI e XVII, a opera di diversi compositori quali William Byrd, Claudio Monteverdi e Alessandro Scarlatti.

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greco includeva le 20 kathismata, nonché i troparia – preghiere-petizioni, alcuni documenti dottrinali, come il Credo Atanasiano per la Psaltirea Şcheiană, e altri inni biblici come i cantici di Mosè46 o la Grande Dossologia47. L’inquadratura dei versi del Salterio in questo commento teologico denota una strategia chiara. La Chiesa reclamava per se stessa un testo antico, tradizionalmente attribuito a Davide, e si avvaleva largamente della comunità religiosa ebraica in quanto un segno di auto-rappresentazione. L’interpretazione teologica del Salterio richiedeva al suo lettore una certa attenzione ermeneutica, se non addirittura finezza esegetica. Il Salterio andava letto in modo tale da essere per forza consone al credo della Chiesa. L’uso della tipologia e dell’allegoria era spesso inevitabile, benché fosse separato dalle preoccupazioni moderne per la consapevolezza storica48.

È molto significativo che il Salterio sia stato l’unico libro dell’Antico Testamento ad essere completamente tradotto in romeno prima del 1688 e ampiamente diffuso. Due libri fanno eccezione a questa regola: la Genesi e l’Esodo dal Pentateuco raccolti con il nome di Palia, stampata nel 1582. Tra il grande numero di libri inclusi nelle Scritture, solo i Vangeli, l’Apostolos e il Salterio erano stati tradotti in lingua volgare. Ci sono tre importanti manoscritti romeni del Salterio – il Salterio Hurmuzaki, Psaltirea Şcheiană e il 46 Psaltire ce să zice Cântarea a fericitului proroc şi împărat David. Cu cântările lui Moisi şi cu summa şi

rânduiala la toţi psalomii [Salterio ovvero il Canto del beato profeta e re Davide. Con i canti di Mosè e con la summa e la regola per tutti i salmi], Bălgrad [Belgrado], 1651.

47 Per una breve descrizione dei Salteri stampati in Transilvania nella seconda metà del XVI secolo, si veda LAJOS DEMÉNY, LIDIA A. DEMÉNY, “Psaltirile chirilice tipărite în Transilvania în a doua jumătate a secolului al XVI-lea” [I Salteri cirillici stampati in Transilvania nella seconda metà del XVI secolo], in Carte, tipar şi societate la români în secolul al XVI-lea [Libri, stampa e società presso i romeni nel XVI secolo], Editura Kriterion, Bucureşti 1986, pp. 226-248.

48 ANTIM IVIREANUL, Opere. Didahii, a cura di G. ŞTREMPEL, Ed. Minerva, Bucureşti 1997, pp. 360-363. Nella prefazione al suo Salterio, Antim loda il monarca romeno (Constantin Brâncoveanu) per aver amato le Scritture ispirate da Dio, e in particolare il Salterio: “Iară mai vârtos de toate, precum zice acest fericit David, ai iubit podoaba casii lui Dumnezău, caré iaste sfânta bisérică. Şi măcar că şi cu alte daruri multe o înfrumuseţezi, iară cu cuvântătoarea podoabă, adecă cu sfintele şi de Duhul Sfânt grăitele Scripturi, cu mult mai vârtos decât toţi cei de mai nainte o ai rodit, care lucru arată aiave blagocistiva dragoste ce ai cătră toţi pravoslavnicii. Pentru aciasta, pre lângă célélalte multe şi de folos cărţi ce s-au dat în tipariu, iubit-ai şi ai ales şi aciastă de Duh Sfânt pren rostul fericitului David suflată cântare, carea să numeşte de obşte Psaltire” (op. cit., p. 361) [È più forte di tutto, come dice questo beato Davide, hai amato l’ornamento della casa di Dio, la quale è la santa chiesa. E con molti altri doni la addobbi, e con l’orante ornamento, ovvero con le sante Scritture, dettate dallo Spirito Santo, molto più degli antenati l’hai arricchita, il che dimostra chiaramente l’amore misericordioso verso i fedeli. Per questo, oltre ai molti altri e utili libri stampati, hai amato e hai scelto anche questo canto, ispirato dallo Spirito Santo per la bocca del beato Davide, il quale suole chiamarsi Salterio].

Oralità liturgica oppure oblio testuale? 43

Salterio di Voroneţ – tutti risalenti al XVI secolo. Durante i secoli XVI e XVII, c’erano molte versioni stampate del Salterio a cominciare con le due versioni di Coresi, una monolingue del 1568 e l’altra bilingue del 1577. Il Salterio era trattato sia come libro di preghiere per i singoli cristiani, sia come libro liturgico necessario e fondamentale per quasi tutte le funzioni della chiesa ortodossa. Se ci si riferisce solo alla Divina Liturgia, ci sono due Salmi da leggere, parzialmente o integralmente, prima delle lezioni. Anche i versi introduttivi alla lettura dell’Apostolos della domenica mattina – i due prokeimena – sono presi dal Salterio. Durante la processione di comunione, versi del Salterio sono letti in modo recitativo.

La lettura del Salterio è di importanza cruciale durante il periodo di Quaresima Grande. È noto che nella tradizione orientale ortodossa, la preparazione cultuale della Pasqua suppone enormi sforzi liturgici. Essa richiede non solo pratiche di mortificazione, come il digiuno, l’elemosina, le genuflessioni rituali, ma anche un grande numero di pratiche discorsive, tra le quali si annoverano il sacramento della confessione, il canto di inni e la lettura biblica. Il Salterio si trova tra le letture più importanti che accompagnano questo sforzo, come è chiaramente indicato dal libro liturgico chiamato Triodion. A volte, l’abate di un monastero può prescrivere la lettura incessante del Salterio, con monaci che fanno a turno al fine di adempiere a questo compito molto impegnativo. Tuttavia, un’usanza ancora più diffusa, conosciuta probabilmente anche nei principati romeni, era quella di leggere il Salterio due volte a settimana, attribuendo a ciascun servizio una certa quantità di lettura.

Il salterio emerge come l’unico libro nel corpus dell’Antico Testamento dal quale la Chiesa ortodossa orientale non fa letture selettive. Ben diverso dalle altre letture dall’Antico Testamento, che possono essere molto selettive, il testo del Salterio viene letto integralmente, senza alcuna interpolazione. Ciò conferma l’antica visione patristica secondo la quale il Salterio s’identifica con l’intera Scrittura, racchiudendo i principali generi della letteratura biblica – storico, etico e poetico. Molti altri frammenti dell’Antico Testamento erano considerati troppo lunghi e, forse, digressivi; di conseguenza, solo il Salterio rimase completamente integrato nei servizi della chiesa. A tutt’oggi, nella tradizione ortodossa il Salterio spicca tra tutti gli altri testi dell’Antico Testamento.

Conclusione

Per ragioni teologiche e pratiche, la chiesa romena non incoraggiò

Mihail Neamţu 44

attivamente il passaggio dalla cultura orale dell’ortodossia orientale verso le tradizioni più sistematiche e letterarie dell’Occidente. Una volta che questo passaggio ebbe luogo, alcuni importanti elementi di comprensione patristica della Bibbia andarono quasi persi. La Bibbia Cantacuzino del 1688 non conteneva riferimenti al Lezionario della Chiesa, ma rimosse le divisioni interne del Salterio. Le regole non scritte dell’ermeneutica biblica furono gradualmente disfatte e frammentate. La lettura delle Scritture, e, forse meno, del Salterio, diventò sempre più distaccata dagli obiettivi inizialmente rivelati nei florilegi patristici. La rivoluzione della stampa che ebbe luogo nell’Europa occidentale rese le Scritture più facilmente disponibili per il lettore colto, ma arrecò anche un equivoco circa il ruolo partecipativo della tradizione nel processo ermeneutico. Un deficit nella conoscenza del passato suscitò l’impoverimento della propria immaginazione teologica. Il dono dell’oralità fu drammaticamente compromesso, mentre un maggiore senso di curiosità sciolse l’unità manifestata dalla Bibbia durante la tarda antichità e il medioevo. Invece di presentarsi come un evento, la Bibbia diventò uno strumento funzionale, un congegno dotato di un numero quantificabile di proprietà. Questa svolta epistemica separò l’atto della lettura individuale dalla ruminatio contemplativa. Gradualmente, l’esegesi biblica cominciò a ripararsi sotto il tetto della curiositas.

Sarebbe, quindi, difficile sostenere che il passaggio dai codici manoscritti ai libri stampati avesse rappresentato univocamente un successo per il programma teologico dell’ortodossia orientale in Romania. La rivoluzione della stampa rese le Scritture più prontamente disponibili, se non addirittura ‘a portata di mano’. Tuttavia, nel processo, trasformò anche le condizioni originali di leggere e interpretare la Bibbia, le quali avevano determinato i primi cristiani a considerarlo un testo sacro. Il percorso dall’oralità liturgica all’oblio testuale si dimostrò molto impegnativo: sia stretto che breve.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 45-54

DIE GESCHICHTE DES PROJECTS BIBLIA 1688. IDEE UND VERWIRKLICHUNG

ELSA LÜDER Albert-Ludwigs-Universität

Freiburg in Breisgau Die folgenden Ausführungen sollen die Anfänge eines heute an der Universität Iaşi unter der Leitung von Eugen Munteanu erfolgreich weitergeführten Projekts, der wissenschaftlichen Edition der ersten vollständigen rumänischen Bibel in Nationalsprache von 1688, behandeln. Ich will dies in 2 Schritten tun:

I. formale, historische Nachzeichnung der Faktoren, die diesem Projekt zugrunde lagen,

II. inhaltliche Beweggründe, die exemplarisch an 3 Punkten dargestellt werden sollen.

Zu I. Zu Beginn der 70-er Jahre des letzten Jahrhunderts wuchs das Interesse, die altrumänische Literatur gründlicher kennenzulernen. Paul Miron gelang es, Patriarch Justinian (1948-1977) zu überzeugen, eine kommentierte Ausgabe der Bibel von Şerban Cantacuzino, Basis sowohl der modernen rumänischen Sprache als auch der nationalen und kirchlichen Einheit zu genehmigen. Die Gespräche über den genauen Inhalt (ich will es hier Projekt A nennen) sahen mehrere Sektionen vor: Phonetik, Grammatik, Stilistik, Verbindungen zu Bibelausgaben anderer Länder und Kirchen, aber auch eine umfangreiche ikonographische Dokumentation.

Mit dem Näherrücken des Jahres 1988, Würdigungsdatum auf der Unesco-Agenda, erscheinen eine Reihe gelehrter Studien. Ein bemerkenswertes Projekt wurde dem Patriarchat von den Damen Prof. Florica Dumitrescu und Stela Toma vorgetragen, mit Vorschlägen zur Reevaluierung der linguistischen Kategorien, ausgehend von der Zeit Dosoftei-

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Brâncoveanu. Das Projekt wurde nicht akzeptiert, da die ostkirchlichen Gegebenheiten eine feminine Beteiligung an derartigen Betätigungen noch nicht gutheißen wollten. Aus diesem Grund wurde viel Zeit verloren und v.a. die Möglichkeit, ausgewiesene Fachleute zu gewinnen.

Obwohl Persönlichkeiten wie Virgil Cândea, Vasile Drăguţ oder Theodor Enescu ihre Teilnahme versprachen, blieb der neue Partriarch, Justin Moisescu, Theologieprofessor, ein entschlossener Gegner der Herausgabe der Bibel von Şerban, obwohl er unter seinem Vorgänger Justinian die Leitung einer solchen Kommission angenommen hatte. Nach unzähligen und hitzigen Treffen mit dem Patriarchen Rumäniens wurde Paul Miron klar, dass BOR, die Kirche unter der Kontrolle des Kultusdepartments, niemals einer Ausgabe zustimmen würde, die den begrenzten Horizont der Zensoren überschreiten würde und so entschloss er sich, einen anderen Weg zu suchen. Er legte in der Bundesrepublik Deutschland der Deutschen Forschungsgemeinschaft ein Projekt vor, das nach ausgiebiger Begutachtung durch internationale Wissenschaftler am 8.8.1986 unter dem weitsichtigen und zugleich rechtlich geschützten Titel “Monumenta Linguae Dacoromanorum” (Projekt A) genehmigt wurde und somit konnte diese neue Form der interuniversitären Zusammenarbeit jahrelang finanziert werden. Diese Lösung rettete das Projekt vor der Jurisdiktion des rumänischen Kultusdepartments, das gegenüber jeglichen Unternehmungen, die das Prestige der rumänischen Kirche hätten befördern können, feindlich gesinnt war. Dies umso mehr, als in DACOROMIA, Zeitschrift für östliche Latinität, herausgegeben in Freiburg und gedruckt in den Druckereien der Patriarchie, eine Festnummer zu dem Ereignis von 1688 mit beträchtlichem Erfolg in der Öffentlichkeit erschienen war. In diesem Zusammenhang muss unbedingt der Beitrag der Bibelgesellschaften (UBS) erwähnt werden, die sich nach intensiven Verhandlungen von Paul Miron überzeugen liessen, den Rahmen ihres normalen Programms, nämlich Bibelübersetzungen ausschliesslich in moderne Sprachen, zu überschreiten. So wurde das Problem der Papierbeschaffung gelöst, ein vorgeschobenes Argument der Nichtgenehmigung durch das Kultusdepartment. Ausserdem konnte man auf diese Weise in den Besitz der von der Bibelgesellschaft herausgegebenen Werke kommen, die im kommunistischen Rumänien verboten waren. Es folgten reiche Materialschenkungen für diverse Druckereien und beträchtliche Summen für dieses Projekt, das schliesslich zur Herausgabe der Bibel von 1688 in der Originalform, der Jubiläumsausgabe der Patriarchie, führte, aber auch zu tausenden der herkömmlichen Bibeln.

Dank dieser Anstrengungen, die v.a. von dem damaligen Leiter der

Die Geschichte des Projects ‘Biblia 1688’. Idee und Verwirklichung 47

Druckerei, P. Verzan verstanden wurden, konnte die Synode den Gläubigen eine sehr gelungene Jubiläumsausgabe (Projekt B) liefern. Wie so oft, wurde dieses positive Ergebnis aus einem Paradox geboren: einem allzu gewogenen Diener des Regimes gelang es, die Logik der Ereignisse ins Gegenteil zu wenden: “machen wir es, damit es nicht die Überläufer machen” [“s-o facem noi ca să n-o facă transfugii”].

Ein Rückblick auf die Anfänge und auch auf den Verlauf des Projekts liesse sich ausgiebigst fortführen. Es wäre von Skeptizismus oder Ängstlichkeit die Rede (ein ehrwürdiger Iassyer Spezialist des Altrumänischen reagierte auf die Idee mit der Feststellung: “Eşti nebun, domnule, nu ştii în ce ţară eşti?”, ein anderer fand die Beschäftigung mit dem rumänischen Sprachatlas als weniger gewagt, die Karriere nicht gefährdend), es wäre von Hindernissen durch den staatlichen Überwachungsstaat die Rede, aber auch von der stillschweigenden Übereinkunft und guten Zusammenarbeit.

Soviel zu den Anfängen des Projekts, der Vergangenheit also. Angemessen darüber zu berichten, hätte nur Paul Miron selbst gelingen können. Über die Konzeption des Projektinitiators ist in dem Musterbuch ‘Ruth’1 und im 1. Buch Moses2 nachzulesen, aber auch in der Korrespondenz mit Foren des rumänischen Wissenschaftlebens3 oder dem Grusswort anlässlich der Vorstellung des Psalterbuchs4. Da es aber auch eine Gegenwart und eine Zukunft gibt, möchte ich versuchen, einige der Punkte aus dieser Konzeption, die mir aus der Mitarbeit am Projekt heraus besonders zu denken gegeben haben, zu skizzieren, in der Hoffnung die Anfangsmotivationen, die katalysatorischen Momente, in die Zukunft hinüberzuretten.

Von Anfang an sollte es bei der ausser-theologischen Bearbeitung nicht nur um die sprachinternen Punkte der Philologie gehen, nicht nur um durchaus wichtige Vergleiche z.B. der phonetischen Varianten in den kursierenden Manuskripten, um hebräische oder griechische Sonderheiten und Entwicklungen – nicht zuletzt auch hier auf unserem Venediger Symposion wird dazu viel Bedeutendes gesagt – sondern auch um die Herausarbeitung des kulturwissenschaftlich Besonderen an diesem Projekt. Ich will dies im zweiten Teil meiner Ausführungen zeigen, an 3 Unterpunkten.

1 Monumenta Linguae Dacoromanorum, Biblia 1688, Pars VIII, Ruth, Verlag Karl. 2 Monumenta Linguae Dacoromanorum, Biblia 1688, Pars I, Genesis, Iaşi, 1988. 3 Z.B. mit Vertretern des Rektorats der Universität Iaşi oder des Consiliu Naţional al

Cercetării ştiinţifice din Învăţămîntul superior, 2004. 4 Siehe Mesajul lui Paul Miron către prof. Al. Andriescu cu ocazia lansării cărţii Psaltirea din Biblia lui Şerban Cantacuzino, 2004.

Elsa Lüeder 48

Zu II. 1. Nicht nur die Tatsache, die bei unserer Neubearbeitung des Rumänisch-deutschen Wörterbuchs von H. Tiktin immer wieder zu Tage trat, nämlich die geringe Beachtung des Wortschatzes der Bukarester Bibel in allen rumänischen lexikologischen Werken, am schmerzlichsten zu beobachten am Wörterbuch der Akademie, hat uns dazu bewogen, eine vollständige Bestandsaufnahme dieses Wortschatzes anzustreben. Nur wenige Zitate waren von DA aufgenommen worden, allerdings immer wieder verwendet in den betreffenden Lemmata. Auf diesen Wort-‘Schatz’ zu verzichten, schien uns leichtfertig. Wir begannen also mit weiteren Exzerpten, anfänglich ohne Anspruch auf Exhaustivität. Bald verfestigte sich jedoch die Idee zu einem Bibelindex, der, auch wenn er niemals an die gross angelegte, von Klaus Aland5 koordinierte Konkordanz heranreichen könnte, der gesamten rumänischen Lexikologie dienlich sein würde. Sie mündete in dem vorläufig Buch für Buch angelegten Index in Monumenta.

2. Die Arbeit an einer modernen Version, ‘zum Verständnis aller’, und das unablässige Vergleichen der Übersetzerlösungen z.B. auf dem Gebiet der Metaphern zeigte uns, wie wichtig ein kulturhistorischer Kommentar für das Verständnis des Lesers ist. Textstellen wie bei Ruth 4,7-8 etwa müssen erklärt werden, die rein linguistische Studie reicht hier nicht aus. Wenn es heisst: “Dann zog er seinen Schuh aus und gab ihn Boas” [Şi dezlegă încălţemintea lui şi deade lui], so muss darauf hingewiesen werden, dass dieses typisch hebräische Symbol des Besitzes6, der Macht7 einen Geschäftsabschluss symbolisiert, den Wechsel des Besitzrechts an Grund und Boden, an Lebewesen, sogar an Menschen.

Diese Art von Erklärung ist wichtig. Sie wurde mir immer wieder bewusst, z.B. bei der Begegnung mit einer Gruppe von serbischen Studenten der Kunstgeschichte, die jahrzehntelang einem Schulsystem ohne Katechese ausgesetzt waren und bekennen mussten, dass sie die christlichen Kunstwerke ohne Textkenntnis nicht adäquat zu analysieren in der Lage sind. Umgekehrt kann aber auch das bildliche Kunstwerk als Transmissionsriemen des Textes wirken, was zu dem oben erwähnten Punkt der Ikonographie führt.

3. Wenngleich es für unser Projekt unmöglich ist den musikalischen Konnex einzuschliessen, den die biblischen Inspirationen ergeben, 5 KLAUS ALAND (Hg.), Vollständige Konkordanz zum griechischen Neuen Testament, I/1, I/2

(1983), II (1978), Walter de Gruyter, Berlin-New York. 6 Cf. Dt 25:9. 7 Cf. Ps 59:9.

Die Geschichte des Projects ‘Biblia 1688’. Idee und Verwirklichung 49

unabhängig von der konfessionellen Ausrichtung, wie etwa, in Haydns “Schöpfung”, bei Bach oder einem orthodoxen Terirem, so ist dies im Falle der bildenden Kunst möglich. Die synergetische Wirkung ist bekannt. Bebilderungen wie die “Engel” von Paul Klee, Marc Chagalls “Traum von der Bibel”8 sieht man sofort vor sich, byzantinische Erbstücke wie St. Sergios und Bacchus oder St. Theodosia im heutigen Istanbul, Das Baptisterium der Orthodoxen in Ravenna, die byzantinischen Spuren in Westsizilien werden präsent.

Die Werke sind unendlich und ihre Anführung soll als Plädoyer gelten für die Wiederaufnahme des ikonographischen Sektors in Monumenta, für den Einschluss von Reproduktionen aus der rumänischen Ikonographie, womit die vom abendländischen Kulturkreis erwiesene Aufmerksamkeit der mittelalterlichen byzantinischen Kunst gegenüber wieder gen Osten gelenkt werden könnte.

Um den Impuls zu verstärken und weil wir uns in Venedig befinden, Venedig als Berührungspunkt zwischen der westlichen und der östlichen Welt, wollen wir noch einige hiesige Spuren der byzantinischen Kunst verfolgen, zunächst der Kirchenbaukunst, besonders aber der Mosaikkunst, Teil der Flächenkunst wie die Malerei.

Ich habe San Marco als Exempel herangezogen, weil es kaum ein anderes kirchliches Bauwerk gibt, zumindest in Italien, an dem sich die geistig-kulturellen Wurzeln der Ostkirche so widerspiegeln. Der hier vorherrschende Byzantinismus bildet zudem die Voraussetzung für die am Ende des 13. Jahrhunderts beginnende Fresken- und Tafelmalerei (Paolo Veneziano, Lorenzo Veneziano, Nicoletto Semitecolo).9

Die 1063 begonnene und 1094 geweihte Markuskirche wurde nach dem Vorbild der Apostelkirche Justinians in Konstantinopel konzipiert. Zunächst von griechischen Künstlern, später von byzantinisch geschulten Venezianern mit Mosaiken geschmückt, gilt sie als das klare Beispiel byzantinischer Kirchenbaukunst im westlichen Abendland: eine Kreuzkuppelkirche mit dem Grundriss nicht des römischen, sondern des griechischen Kreuzes.

8 La Création de l’homme, Le Paradis, Le Christ entouré des symboles, L’Arche de Noé,

Abraham et les trois Anges, La lutte de Jacob et de l’Ange, La Sacrifice d’Isaac u.v.a. 9 Cf. GÜNTER BRUCHER, Von den Mosaiken in San Marco bis zum 15. Jahrhundert (Geschichte der

venezianischen Malerei, Bd. I), Böhlau, Wien-Köln-Weimar, 2007.

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1. Markuskirche Fassade

Sie wurde von den Dogen nördlich anschliessend an ihren Palast,

Palazzo Ducale, gebaut, um die 828 aus Alexandrien überführten Reliquien des Hl. Markus würdig zu beherbergen. In diesem Sinne bauten die Venezianer dem neuen Schutzheiligen der mächtigen Seerepublik eine Kirche mit prachtvoller Ausgestaltung.

2. Markuskirche Innen

Die Geschichte des Projects ‘Biblia 1688’. Idee und Verwirklichung 51

Ihre Goldgrundmosaiken auf 4200 m² führten auch zu dem Namen Chiesa d’oro. Im Folgenden einige der Mosaiken:

3. Ostkuppel - Christusdarstellung

In der Ost- oder Chorkuppel sehen wir in der Mitte eine

Christusdarstellung, am Kuppelfuss Maria, begleitet von den Propheten, erkennbar an ihren Schriftrollen. Es sind 13 Propheten, nach dem byzantinischen Kanon, nicht 16 wie im lateinischen.

4. Nordkuppel - Johannes

Die Nordkuppel wird auch Johanneskuppel genannt, weil hier 5

Wundertaten des Evangelisten Johannes aus Ephesus dargestellt sind: Die Auferweckung der Drusiana, Die Heilung des Stacteus, Die Zerstörung des

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Diana-Tempels, Der Trunk des vergifteten Weins und Die Auferweckung der beiden Sklaven, die den vergifteten Kelch tranken. Es ist eine Szene voll narrativer Elemente.

5. Zentralkuppel - Himmelfahrt

Die Darstellung in der Zentral- oder Himmelfahrtskuppel basiert zwar

auf byzantinischen Vorbildern, zeugt aber durch seine Dynamik der Figuren von einer jüngeren Ausführung, wahrscheinlich durch einheimische Künstler. Sie zeigt in der Mitte Christus, thronend auf einem Regenbogen und zum Himmel getragen von 4 schwebenden Engeln, in der Wölbung der Kuppel Maria mit 2 Erzengeln und den 12 Aposteln zwischen Bäumen.

6. Westpfeiler

Die Geschichte des Projects ‘Biblia 1688’. Idee und Verwirklichung 53

Der westliche Tragebogen wird auch Passionsbogen genannt, da er die Leidensgeschichte Jesus beinhaltet.

7. Westpfeiler, Detail

Im westlichen Bogen machen sich bereits Abweichungen vom

byzantinischen Kanon bemerkbar. Sie sind einerseits zu erkennen am variantenreichen Kolorit, an reichhaltiger und differenzierter Farbgebung, andererseits an Andeutungen des Wandels vom traditionellen Historienbild zu lebensnahen Figuren (vgl. Leonardo, Masaccio, Giotto).10

Soweit einige, wenige Beispiele, die den Einfluss des byzantinischen Erbes auf die Kunst Venedigs und das daraus resultierende Echo in der westlichen Welt demonstrieren. Sie liessen sich fortsetzen, denn das Bildprogramm der Mosaiken von San Marco bietet die gesamte Heilsgeschichte des Christentums.

Wir wollen jedoch zurück zu Monumenta, angeregt hoffentlich zur (Wieder-)Aufnahme der Idee des Einschlusses von Ikonographie in unser Projekt, wenigstens in Form von Miniaturen. Abbildungen der rumänischen sakralen Schätze in Monumenta könnten somit zu einem Faktor der Interessensbildung im Westen und dessen Öffnung zum Osten werden.

10 Cf. IVAN NAGEL, Gemälde und Drama, Suhrkamp, Frankfurt, 2009.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 55-68

PROBLEMI DI TRADUZIONE. CONFRONTO DELLE PRINCIPALI EDIZIONI

TRA LORO E CON GLI ORIGINALI

CONSIDÉRATIONS SUR LA TRADUCTION ROUMAINE DE LA BIBLE 1688 : LE LIVRE DE JOB

MARIA GOREA Université de Paris VIII

Il devient évident pour un lecteur du Livre de Job dans la traduction roumaine de la Bible de 1688 que les difficultés auxquelles il est appelé à faire face tout au long de sa lecture – difficultés dénoncées par Samuel Micu Klein dans sa préface, Cătră cetitoriu (« Au lecteur »), lors de la révision de la traduction roumaine de la Bible de 1688, parue à Blaj en 17951 – sont à mettre sur le compte du caractère littéral de cette traduction. La littéralité présente des avantages, notamment la traçabilité et l’identification des sources, précieuse pour les chercheurs, mais aussi – et surtout – des inconvénients, tels le mot-à-mot, le calque, l’inintelligibilité par endroits. Le traducteur semble s’être soucié du strict rendu littéral du texte, au détriment souvent de la syntaxe roumaine, encore qu’il soit difficile aujourd’hui de juger avec exactitude de la clarté ou de l’obscurité syntaxique d’un document rédigé en langue roumaine au XVIIe siècle. Néanmoins, il est permis de qualifier d’« obscure » une traduction lorsque son effort consiste 1 Scriptura Sfîntă, carea cu cuvînt elinesc şi Bibliia să zice, de pre limba elinească, din izvodul celor şeaptezeci de dascăli, româneşte tălmăcită, la anul 1688 în Bucureşti s-au fost tipărit, dar cu foarte întunecată şi încurcată aşezare şi întocmire a graiului românesc şi mult osibit de vorba cea de acum obicinuită […], cît acea tălmăcire aceii Biblii mai pre multe locuri neplăcută urechilor auzitorilor easte şi foarte cu anevoie de înţeles, ba pre altele locuri tocma fără de înţeles easte […] [« Les Saintes Écritures, appelées aussi, d’un terme grec, la “Bible”, fut traduite en roumain en 1688 et éditée à Bucarest, à partir de la source des soixante-dix savants, mais d’une façon à rendre la langue roumaine fort obscure et tortueuse, différente de celle qui est parlée aujourd’hui […], de sorte que la traduction de cette Bible est, par endroits, désagréable pour l’oreille et difficilement compréhensible et, par beaucoup d’autres, elle est même incompré-hensible […] »]. C’était là une des raisons pour lesquelles, S. Micu-Klein considérait de son devoir de « remédier » (să î n d r e p t e z) le texte de la Bible roumaine de 1688.

Maria Gorea 56

essentiellement à traduire mot-à-mot. Contrairement au premier traducteur grec de la Septante de Job, qui

n’avait pas éprouvé le besoin de respecter le texte à traduire et qui n’avait pas pu – ou n’a pas su, ce qui revient au même – le faire pour diverses raisons (théologiques, d’incompatibilité doctrinale, à cause de certaines difficultés lexicales ou syntaxiques, ces dernières liées au caractère oral du poème de Job, etc.), le traducteur en roumain se montre, quant à lui, excessivement respectueux et pèche par une trop grande littéralité, au point de rendre sa version incompréhensible à des lecteurs qui ne se rendront aucunement compte des efforts déployés pour respecter le modèle à traduire jusque dans le rendu de ses moindres particules. Il faut ici préciser que les défauts de la version roumaine sont aussi ceux de la Septante même, qui se présentait déjà comme un assemblage constitué d’une traduction partielle, complétée par des passages provenant d’autres traductions, faites ultérieurement et dans un esprit différent, se voulant plus fidèles et conformes à leur modèle.

Ces arrangements sont dus à Origène qui, à partir des Hexaples synoptiques, avait permis que l’on comblât, dans une édition hexaplaire achevée par les soins d’Eusèbe de Césarée, les lacunes – nombreuses dans ce livre – avec des passages extraits pour l’essentiel de la traduction grecque de Théodotion, dont la conformité avec le texte hébraïque se trouve souvent en porte à faux avec le contexte de la Septante, notamment aux articulations ou points de suture. Si, dans certains manuscrits et éditions (modernes) les ajouts, marqués par un astérisque, sont visibles, permettant au lecteur de s’interroger sur leur insertion, sur leur inadéquation à ce qui les précède ou les suit, dans des éditions comme celles des premières Bibles imprimées et de la Bible roumaine de 1688, ces marques sont ignorés par les éditeurs et le texte s’offre à la lecture comme un continu.

Bien évidemment, il est insuffisant, voire impropre, de parler simplement de la Septante en tant que modèle pour la traduction de la Bible de 1688, puisque les traducteurs – les frères Radu et Şerban Greceanu – fondent leur version sur l’édition aldine de la Septante et plus précisément sur l’une de ses rééditions, celle de Frankfort, en 15972. Néanmoins, queqlues écarts peuvent être constatés, en prenant comme exemple la traduction du livre de Job, ainsi qu’une certaine conformité avec d’autres éditions concurrentes. À un premier regard, il semblerait même que la traduction roumaine témoigne d’un modèle 2 Diuinae Scripturae nempe Veteris ac Noui Testamenti omnia graece a uiro doctissimo recognita et

emendata, uariisque lectionibus aucta et illustrata, Franciscus Junius et Friedrich Sylburg, Interpretatione, apud Andreæ Wecheli hæredes, Claudii Marnii et Ioannis Aubrii, Francofurti ad Mœnum, 1597.

Considérations sur la traduction roumaine de la Bible 1688 57

portant des traces de révisions ou de remaniements de la traduction grecque d’après l’hébreu, ce qui, bien entendu, ne peut avoir été possible que par d’autres intermédiaires, par d’autres traduction grecques. Peut-on alors parler d’une œuvre composite qui se fonde sur plusieurs sources ? Étant donnée la chronologie qui situe la traduction roumaine ultérieurement à la parution d’un certain nombre d’éditions du texte grec, parfois enrichies d’apparats critiques, mais aussi de Bibles polyglottes, qui rendaient désormais possible l’accès aux diverses autres versions – ne serait-ce que par le truchement de la traduction interlinéaire latine –, les divergences qui peuvent être constatées entre la traduction roumaine et ses modèles immédiats peuvent témoigner d’une multiplicité des sources utilisées.

La Bible Complutensis, éditée à Alcalà (Complutum) et dont le 4e volume (dernier de l’Ancien Testament) porte la date d’impression le 10 juillet 1517, est néanmoins parue en février 1518. Pour l’établissement du texte de la Complutensis, ses éditeurs – Ferdinando Nũnez de Guzman, dit Pincianus, Diego Lopez de Zuñiga, dit Stunica, et un Grec originaire de Crète, Demetrios – qui ont travaillé sous les auspices du cardinal et archevêque de Tolède, Francisco Ximenes Cisneros, avaient utilisé essentiellement le texte de ce manuscrit Vat. gr. 248, envoyé depuis la bibliothèque vaticane à Ximenes par le pape Léon X3.

La Bible qui sortira des presses d’Aldo Manutius, appelée Aldina4, un an et huit mois après l’achèvement de la Complutensis, est une édition de la Septante établie par Andreas Torresano d’Asola (beau-père d’Aldus). Elle-même – l’Aldina – a été ensuite reprise dans d’autres éditions, parmi lesquelles la Francofurtensis, de 1597 et, près d’un siècle plus tard, en 1687, celle de Nicolas Glykas, à Venise5, ses leçons se transmettant enfin à la Bible roumaine de 1688.

3 Qua in re id aperte Beatitudini tuæ testari possumus Pater sanctissime: maximam laboris nostri partem

in eo præcipue fuisse versatam: ut & virorum in linguarum cognitione eminentissimorum opera uteremur: et castigatissima omni ex parte vetustissimaque exemplaria pro archetypis haberemus: quorum quidem tam Hebræorum quam Græcorum ac latinorum multiplicem copiam variis ex locis non sine summo labore conquisiuimus. Atque ex ipsis quidem Græca Sanctitati tuæ debemus: qui ex ista apostolica Bibliotheca antiquissimos tum Veteris tum Noui Testamenti codices perquam humane ad nos misisti: qui nobis in hoc negocio maximo fuerunt adiumento (Prologus – dédicace au pape Léon X).

4 Pavvnta taV kat *e*zovchn kalouvmena Bibliva qeiva" dhladhV Grafhv" palaiva" te kaiV neva". Sacrae scripturae veteris novaeque omnia, Aldus et Andrea (d’Asola), Venise, février 1518.

5 &H qeiva GrafhV dhladhV Palaia~" kaiV Neva" Diaqhvkh" a$panta, Divina Scriptura nempe Veteris ac Novi Testamenti omnia a viro doctissimo et linguarum peritissimo diligenter reconita, et multis in locis emendata, variisque lectionibus ex diversorum Exemplarium, collatione decerptis, et ad Hebraicam veritatem in veteri Testamento revocatis aucta et illustrata, paraV Nikolavw/ Glukei~ tw~/ e*ξ *Iwannivnwn, *Enetivhsi, 1687.

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Le cas de l’édition de Frankfort de la Septante, reconnue comme le modèle le plus proche de la traduction roumaine, mérite tout particulièrement une remarque : son apparat critique se trouvant en bas de page – repris textuellement par l’édition vénitienne de 1687 qui reproduit celle de Frankfort – s’il omet de mentionner les ajouts théodotiens, en omettant d’indiquer par astérisques les passages avec lesquels Origène avait complété les lacunes de la vielle Septante, il fait abondement mention des lectures de Symmaque et, à travers lui, de la version hébraïque dont Symmaque offre une traduction grecque à la fois intelligente et élégante. Ces notes font défaut dans les éditions de la Septante Complutensis (ou des Polyglottes qui en dépendent6), mais aussi dans l’Aldina et ses rééditions, excepté, comme l’indique le bénédictin Augustin Calmet dans son Dictionnaire historique… de la Bible de 1730, t. 1, p. XXIX7, justement celle de Frankfort de 1597, parue sous les presses de feu Andrea Wechel. Le même Augustin Calmet précise que des notes complètent également de manière « précieuse » le texte de la Septante éditée par les soins du cardinal Antonio Caraffa, alors bibliothécaire du Vatican, pour le pape Sixte V, appelée Biblia Græca Sixtina et préfacée par Petrus Morinus, parue chez Franco Zannetti, à Rome, en 1587, c’est-à-dire dix ans avant la parution de la Francofurtensis. Comme cela a été maintes fois souligné, l’édition Sixtina reposait essentiellement sur le manuscrit Vaticanus (Vat. gr. 1209)8. En effet, dans son édition des Hexaples d’Origène de 1875, Fridericus Field rappelle, à la suite de Bernard de Montfaucon (Paris, 1713), le travail déjà accompli sur les fragments hexaplaires par ses prédécesseurs, notamment par les premiers à avoir recueilli les fragments : Petrus Morinus et son collaborateur à la Sixtine, Flaminius Nobilius, et Johannes Drusius (van den Drieschen, 1550-

6 La Polyglotte d’Antwerp, 1569-1572 (éditeur Arias Montanus) ; la Triglotte de Commeline,

parue à Middleburg, 1586 ; la Polyglotte de D. Wolter, parue à Hamburg, 1596 ; celle de Hutter, éditée à Nüremberg, 1599.

7 AUGUSTIN CALMET, Dictionnaire historique, critique, chronologique, géographique et littéral de la Bible, 2nde édition 1730, Marc-Michel et compagnie, Genève.

8 Le manuscrit Vaticanus avait en effet servi de texte de base pour les éditions de la Sixtina, appelée aussi la Romana, qui contient également quelques ajouts provenant du Venetus de la bibliothèque du cardinal Bessarion et d’autres codices de la bibliothèque Medici de Florence. Les éditions plus tardives qui en dépendent contiennent les mêmes leçons : celle de Robert Holmes et achevée par James Parsons (1798-1827, Oxford) ; celle établie par Lancelot Charles Lee Brenton (1851, Londres, Samuel Bagster & Sons, et l’édition bilingue de 1870, Londres, Bagster & Sons/New York, Harper and Brothers) ; celle de Jean Nicolas Jager pour l’archevêque de Paris Hyacinthe Louis de Quellen (1878, Paris, Firmin-Didot et Sociis), établie juxta exemplar originale Vaticanum et complementis ex aliis manuscriptis ; celle publiée par Henry Barclay Swete (1925-1930, Cambridge, University Press).

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1616), dont l’opus posthume, Veterum Interpretum Graecorum in totum V.T. Fragmenta, était paru à Arnhem, en 16229. Il devient alors évident que les éditeurs de la Francofurtensis, tout en rééditant la Septante Aldina, avaient néanmoins compulsé la Sixtine, parue dix ans plus tôt, en 1587.

Par ailleurs, les éditeurs de l’édition romaine de la Sixtine avaient été les premiers à appliquer à la Septante le système – médiéval, de Stephen Langton, au XIIIe siècle – de division en chapitres et versets, système d’abord largement utilisé par les Bibles latines dès le XIIIe siècle et adopté même dans la Concordance de la Bible hébraïque établie par Rabbi Isaac Nathan ben Kalonymus, d’Arles, concordance compilée entre 1437 et 1445, fondée sur le modèle de celle qu’avait établie sur la Vulgate Hugo de Saint-Char, en 1244, et révisée par le franciscain Arlotto di Prato vers 1290. La première Bible hébraïque aux chapitres et versets numérotés avait été publiée par Daniel Bomberg à Venise, en 1523 et a été suivie par d’autres éditions10 et par la traduction latine de la Bible hébraïque faite par Santes Pagninus, parue en 152711. Si les éditions de la Septante Aldine ou de la Complutensis ne présentent qu’un découpage en chapitres, ignorants les numéros des versets, l’édition de Frankfort, bien que se fondant essentiellement sur l’Aldine, présente non seulement des notes hexaplaires (notamment la mention des leçons de Symmaque), mais aussi les numéros des versets en chiffres arabes que ne présente pas l’Aldine, ce qui situe l’édition de Frankfort et, indirectement celle de la traduction roumaine de 1688, qui se fonde dessus (mais où la numérotation se fait à l’aide des lettres à valeur numérique), dans un contexte plus large et plus complexe, qui n’est pas exclusivement celui de la Septante Aldine, mais se complétant avec des leçons tirées de l’édition romaine de la Sixtine.

Quelques exemples de curiosités textuelles relevées dans la traduction roumaine de Job de la Bible de 1688 Job 21:22 : l’interrogative de la Septante semble, à une première vue, traduite de manière curieuse en roumain. De : « N’est-ce pas le Seigneur qui enseigne l’intelligence et le savoir, lui qui juge/ discerne l e s c r i m e s (fovnou") ? » que présente le texte de la Septante, la Bible 1688 aboutit à : « Care nu e Domnul cela ce învaţă priceaperi şi ştiinţă ? Şi el pre c e i 9 Veterum Interpretum Graecorum in totum V. T. Fragmenta, collecta, versa et notis illustrata a Johanne

Drusio, Linguae Sanctae in illustrium Frisiae Ordinum Academia, dum viveret, Professore, Arnhem, 1622. 10 Venise, 1564 ; Bâle, 1556 (avec une traduction latine des principales entrées), 1569 et 1581. 11 Veteris et Novi Testamenti nova translatio, Lyon, 1527.

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î n v ă ţ a ţ i aleage » [« N’est-ce pas le Seigneur celui qui enseigne savoirs et science ? Et lui, il choisit les savants »]. Visiblement, la Bible 1688 semble suivre l’édition de Frankfort qui présente à cet endroit ce qui peut sembler une trace de révision, puisque l’hébreu présente ici « Enseigne-t-on à El le savoir, à lui qui juge l e s g r a n d s (rāmîm) ? » (nota bene : la Septante, dans ses manuscrits majeurs, Vaticanus, Sinaiticus, semble avoir compris au lieu de rāmîm [les « grands »], dāmîm, « le sang versé », « le crime », ce qui s’explique par la ressemblance de la forme des lettres daleth et reš, source de cette confusion). On peut aisément comprendre que, pour un traducteur en grec, les « grands » aient pu être des « savants ».

La lecture « cei î n v ă ţ a ţ i », les « savants », de la Bible 1688, qui se fonde sur le grec sofouv", présente ce que l’on peut considérer comme une marque de révision et qui apparaît non seulement dans l’édition de la Septante Complutensis, mais aussi dans d’autres manuscrits : ainsi le ms. 795 du mont Athos (de Lauvra) ; le 613 de Patmos (du monastère ’Iwavnnou tou~ Qeolovgou) ; et, surtout, le codex Vat. gr. 24812. C’est alors dans ces manuscrits qu’il faudrait chercher le point commun entre les deux éditions. D’ailleurs, le codex Vat. gr. 248 avait servi notamment lors de l’édition de la Septante de la polyglotte Complutensis. La lecture de la Complutensis, povteron o*uc o& kuvrιο" e*stin o& didavskwn suvnesin kaiV e*pisthvmhn, au*toV" deV sofouV" diakrinei~, se transmet donc à l’édition vénitienne de la Septante Aldina, probablement indirectement, à travers une source manuscrite commune. À moins que l’édition aldine n’ait pas eu connaissance du texte de la Complutensis. Notons aussi que la Vulgate de Jérôme porte à cet endroit, conforme à l’hébreu, qui excelsos judicat.

Job 22:15 : La traduction « Au calea veacinică vei păzi, carea o au călcat oamenii d r e p ţ i ? » [« Ou bien tu garderas la voie éternelle qu’ont foulée les hommes justes ? »], pour cohérente qu’elle soit, elle ne semble pourtant suivre ni la Francofurtensis, ni la variante que proposent les éditions de la lignée Complutensis : la Septante de Frankfort, comme celle de Venise, comporte la leçon a!ndre" a!dikoi, « les hommes injustes », qui n’est pas celle des éditions de la Septante établies globalement sur le manuscrit Vaticanus, à savoir celles de la lignée Sixtina qui comportent ici a!ndre" divkaioi, coïncidant ainsi avec la traduction roumaine, mais s’opposant à la version hébraïque qui parle de « gens iniques » : mətêy-ʿāwen.

Les mots divkaioi / a!dikoi sont en revanche omis, l’un comme l’autre, des manuscrits Gr. 5 de la Bibliotheca Marciana de Venise (du XVe siècle) et du Vat. gr. 337 (Xe siècle), selon le relevé de Ziegler, ce qui semble les 12 = Vatic. gr. 346.

Considérations sur la traduction roumaine de la Bible 1688 61

exclure comme source possible de l’édition vénitienne. Conclusions : de cet exemple isolé, on peut déduire que la traduction

roumaine s’affranchit par endroits de son modèle de Frankfort, pour lui préférer la Sixtine ou une édition qui en dépend, sans toutefois pouvoir préciser laquelle lui sert de modèle direct. D’ailleurs, l’avertissement aux lecteurs du manuscrit 45 de la Bibliothèque académique de Cluj rend compte de la complexité des sources utilisées par la traduction de Milescu et, indirectement, de celles de la Bible de 1688 :

« Ci măcar că deşi zice el că pre lîngă izvodul acesta [édition de Frankfort] au avut şi izvodul slavonescu13 şi leteneşti şi au avut şi alt izvod letenescu ce au fost scos de curînd den limba jidovască adecă izvod jidovăscu (aşa scrie la predoslovia lui), şi au scris şi cele precum se află la letenie şi cele precum se află la slovenie şi însemnărili şi tîlmăcirili cele ce să află mai jos la izvodul acel grecesc zice că le-au pus tot cu însemnărili pre de margini, dară n-au pus nice unele den acestea la izvodul lui. […] Iară şi noi pre lîngă izvodul lui Nicolae am mai alăturat şi alte izvoade greceşti pren care izvoade fost-au unul carele au fost tipărit la Englitera14, ci şi acesta nu să potrivi cu cel de la Frangofort »15 (456 v, col. b-457 r, col. a).

Job 22:18 : si l’exemple précédent montre une parenté – dont la traçabilité

reste encore à découvrir – avec une traduction qui ne reflète pas le texte hébraïque ou une révision à partir de lui, un autre exemple vient soutenir le contraire : la traduction roumaine suit, pour ce verset, une version qui semble porter des marques de révision d’après l’hébreu, leçon dont la version roumaine n’a évidemment pas l’initiative, mais qu’elle tient ici de la Francofurtensis (et qui se retrouve également dans celle de Venise, parue un an avant la Bible 1688) : ainsi, là où les éditions Complutensis et Sixtina pré-sentent une lecture qui est celle des principaux manuscrits grecs : boulh& deV a*sebwn povrrw a*p *au*tou~ (avec ou sans la préposition), « le conseil des 13 La Bible d’Ostrog, éditée en 1581 et rééditée à Moscou, en 1663. 14 Probablement dans l’édition de R. DANIEL, de Londres, 1653 : &H Palaiva Diaqhvkh

kataV tou~" e&bdomhvkonta, Vetus Testamentum Græcum ex versione Septuaginta interpretum, Juxta Exemplar Vaticanum Romæ editum…, Londini, excudebat Rogerus Daniel, prostat autem venale apud Joannem Martin & Jacobum Allestrye, 1653.

15 « Bien qu’il soutienne que, en plus de cette source il a eu également une source slavone et d’autres latines, de même qu’une autre source latine récemment traduite de la langue hébraïque, donc d’une source hébraïque (comme il le dit dans son avant-propos), en écrivant ce qui se trouve en latin et ce qui se trouve en slavon, ainsi que les notes et explications qui se trouvent en bas (de page) de la source grecque, il dit avoir incorporé les marginalia, mais non les notes en bas (de page) de sa source […]. Quant à nous, en plus de l’édition de Nicolas, nous avons ajouté d’autres sources grecques, parmi lesquelles, une, éditée en Angleterre ; celle-ci ne coïncide pas avec celle de Frankfort […] ».

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impies est loin d e l u i », les éditions de Frankfort, de Venise et la de Bible 1688 présentent, dans la lignée de l’Aldine, boulh& deV a*sebwn a*p * e&mou~ povrrw [« Şi el au împlut casele lor de bunătăţi si sfatul celor ne curaţi de la mine departe »] ce qui est conforme à l’hébreu waʿaṣat rəšāʿîm rāḥaqāh mennî « et le conseil des méchants, loin de moi! »16. Cela ne reflète pourtant la leçon d’aucun manuscrit grec mais coïncide de manière à nous surprendre avec la leçon de la Vulgate que les éditions anciennes appelaient nova17.

Difficilement compréhensibles dans la Bible 1688 sont des traductions comme celle du verset 22:20 : un passage qu’avait délibérément omis le traducteur Septante, probablement dans l’intention de rendre un contexte aplani, débarrassé d’un verset qu’il a jugé encombrant, étant donné le degré de difficulté que présente le texte hébraïque à cet endroit. On y lit : ʾim-lōʾ nikḥad qîmānû wəyitrām ʾāklāh ʾēš « Sûrement, no(s) ennemi(s) (seront) effacé(s) et le feu dévorera leur reste ». Ici, le hapax qîm, de qîmānû, littéralement « notre adversaire » ou « notre opposant » (celui qui « se dresse » contre), qui semble un nom collectif et qui se comprendrait comme « les ennemis », n’est pas rendu dans la Septante proprement dite, mais il est restitué dans l’ajout théodotien par u&povstasi" au*tw~n ce qui pourrait se traduire par « leur substance » ou « leur matière », si l’on comprend ce mot dans un sens quasi-philosophique de r é a l i t é qui s’oppose à favntasma ou à fαntasiva – qui sont i l l u s i o n , s p e c t r e ou i m a g e produite par l’esprit. La traduction de Théodotion peut paraître surprenante, mais elle reste « possible », se justifiant à partir du sens de la racine (« se dresser », « se tenir debout », « être fondé », etc.). Le traducteur de la Bible 1688, ignorant que la traduction de Théodotion était déjà une interprétation qui s’éloignait du sens du verset, a préféré, quant à lui, rendre u&povstasi" selon la première signification de ce mot qui est celle de « fondement » ou « support » : « de nu au pierit s t a r e a (lor) », ce qui reflète davantage – bien que involontairement, sans évidemment connaître le texte hébraïque, et d’autant moins qu’aucune note ne renvoie ici à la lecture de Symmaque – les intentions de Théodotion qui avait compris qîmānû à partir de la signification plus commune de la racine qûm, « se tenir fermement, se maintenir ». Cette double signification est également responsable de l’hésitation qu’éprouvent les 16 La majuscule de la transcription roumaine de l’édition en cyrillique de 1688 n’est pas

justifiée : en attribuant cet aparté à Dieu, cela ne rend pas le contexte plus compréhensible. 17 Par exemple, celle de 1743 de Petrus Sabatier, qui met en parallèle la Vulgata nova avec

celle de la versio antiqua ou la Vetus latina, traduite du grec et non de l’hébreu, mais qui est l’œuvre également de Jérôme, et ne correspond qu’en partie à la véritable Vetus latina, ou Itala, qui était une traduction latine de la Septante antérieure à celle de Jérôme et se retrouve citée sporadiquement dans certaines œuvres des pères latins.

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versions latines, dont celle établie sur le grec, qui optait pour le sens de substantia eorum, alors que la nouvelle Vulgate lui avait préféré erectio eorum. Néanmoins, l’inadéquation de ce passage en roumain à son contexte immédiat est la même que celle éprouvée à la lecture de la Septante hexaplaire, où l’ajout théodotien ne s’accorde que de façon malaisée à son environnement. Ce qui est intéressant à remarquer dans cet exemple précis, c’est le respect absolu – déjà souligné – du traducteur, qui préfère suivre son (ou ses) modèle(s) grec(s) au risque de rendre sa propre version incompréhensible à ses lecteurs, en évitant ainsi d’assumer la moindre initiative personnelle en s’écartant du texte grec quel qu’il soit.

Un verset comme celui – théodotien également, absent de la Septante ancienne – de Job 20:24, « Va pune preste lut în piatră şi ca piatra pîrîului Sofir » [« Il mettra au-dessus de l’argile, dans la pierre, et comme la pierre de la rivière Sofir »] demeure difficilement compréhensible en soi et dans son contexte :

23. Iară de te vei întoarce şi vei smeri pre tine înaintea Domnului şi departe ai făcut de la petrecerea ta pre cel nedirept. 24. Va pune preste lut în piatră şi ca piatra pîrîului Sofir. 25. Fi-va dară ţie cel întrutotţiitoriu ajutoriu de cătră vrăjmaşi şi curat te va da ca argintul cel cu foc lămurit.

Que signifie « mettre s u r de l’argile d a n s la pierre » ? Et mettre q u o i au juste ? L’hébreu, que Théodotion s’efforce de traduire aussi fidèlement que sa compréhension du texte consonantique (non vocalisé) le lui permet, se lit comme ceci : wəšît-ʿal-ʿāpār bāṣer ûbəṣûr nəḥālîm ʾôpîr, ce qui se traduirait par « et pose/laisse (donc) sur la poussière le beṣer/pierre précieuse // et dans la roche des wadis l’(or) d’Ophir ». Théodotion ignorait la signification du mot beṣer, rare dans la Bible (qui ne se rencontre que dans ce verset et au suivant, ainsi que dans un passage difficile de Ps 68:31) et que l’on comprend mieux aujourd’hui à partir du vocabulaire arabe, où baṣrāh désigne une pierre dure, quartzeuse, le crystal de gypse (par ailleurs, en hébreu, la racine √bṣr renferme la signification d’« inaccessible, impossible, imprenable » [en parlant de fortifications – voire la célèbre tour de Babel –, ou des pensées ou desseins divins]). La Septante ancienne avait renoncé à traduire ce verset, tandis que Théodotion le rend, comme en témoignent la plupart des manuscrits, par : qhvsh/ e*piV cwvmati e*n pevtra/ // kaiV w&" pevtrα ceimavrrou" *Wfivr, littéralement : « Pose [= puisses-tu poser] sur un tertre, dans la roche // et Ophir [sera] comme la pierre du torrent » [ou « et comme la pierre du torrent Ophir »], en vocalisant différemment le texte hébraïque : bəṣûr « dans la roche », au lieu de beṣer.

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Certains manuscrits, dont le Vat. gr. 346 (= ms. 248 de Ziegler), mais aussi l’édition de la Complutensis qui se fonde en partie sur ce manuscrit, présentent la variante (de toute évidence secondaire) kaqhvsh/ « assieds-toi », à la place de qhvsh/ « pose », ce qui aboutit à «assieds-toi sur un tertre, sur la roche», variante qui peut se comprendre comme une altération ou une contraction fautive de kaiV qhvsh/, à supposer qu’un réviseur ait voulu restituer au verset théodotien la conjonction kaiv, selon le modèle hébraïque.

La transcription que donne l’édition de la Sixtine du Vaticanus présente, elle, bien la lecture qhvsh/, mais témoigne d’une autre altération : celle du découpage fautif ceimavrrou Swf(e)ivr au lieu de ceimavrrou" *Wfivr, ce qui est évidemment une transcription incorrecte de la séquence du Vaticanus, écrit en onciales et en scriptio continua, étant donné non seulement que ce toponyme mythique qui se rencontre ailleurs dans la Bible se lit bien Ophir, mais aussi que le génitif de ceimavrroo" est ceimavrrou" et non ceimavrrou. Toujours est-il que l’édition de Frankfort s’accorde sur ce dernier point avec la Sixtine en optant pour Sôphir, mais en divergeant quant au premier mot du verset : qhvsh/, se trouvant dans une grande partie des témoins et dans la Sixtine, alors que la Francofurtensis présente le futur qhvsei « il posera ». Cette leçon est aussi celle de l’édition de Venise de 1687 et celle de la Bible roumaine de 1688. Cette lecture repose sur un certain nombre de manuscrits, dont quelques-uns se trouvent à la Bibliothèque vaticane (Barber. gr. 369 et Vat. gr. 2227) et un à Venise (Gr. 5 de la Bibliotheca Marciana). Cette variante qhvsei est responsable d’un changement de sujet dans ce verset : il ne s’agit plus de Job qu’on interpelle à la deuxième personne, comme dans la plupart des témoins de la Septante hexaplaire, mais de Dieu qui « posera sur le tertre (« sur l’argile », dit la version roumaine), dans la roche ». Difficile de dire si c e ou c e l u i que Dieu « posera » est Job. À cela s’ajoute la difficulté supplémentaire d’une compréhension – de la part du traducteur roumain, mais aussi de la part de Jérôme dans sa traduction latine de la Septante et même de la part de Théodotion même – de la deuxième partie de ce verset grec 24 non comme une phrase nominale (« et Ophir/Sophir [sera] comme la pierre du torrent »), mais comme l’apodose d’une phrase bancale, où Ophir/Sophir serait alors le nom du torrent : « et comme la pierre du torrent [appelé] Sophir »). Au-delà du respect de son ou de ses modèle(s) grec(s), le traducteur roumain n’a pas cherché à faciliter au lecteur la compréhension de ce passage, certes, difficile à l’origine. Comme il a été souligné, un des prototypes qui ont pu servir à l’établissement de l’édition de Frankfort – et, par conséquent, de la traduction roumaine – semble être, en plus de la Septante Sixtine, le manuscrit Barber. gr. 369 de la bibliothèque vaticane, qui présente à la fois la variante qhvsei et

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Soufeivr (mais non Swf[e]ivr). Ici il convient de noter que l’apparat critique de la Francofurtensis, en plus de la leçon de Symmaque que son ou ses auteur(s) est/sont tout à fait en mesure de considérer comme « conforme au texte hébraïque », ex Heb., précise, à la note 17, que la lecture *Wfivr est elle aussi « conforme à l’hébreu » (al. ex Heb.). Nous sommes amenés à penser que, si les éditeurs de la Francofurtensis se sont abstenus d’introduire de si infimes amendements au texte comme, par exemple, la correction de Swfeivr en *Wfivr, tout en ayant eu connaissance de la conformité de ces variantes à l’original hébraïque et tout en ayant eu la capacité et les compétences pour en juger, cela ne peut être dû qu’à une intention de reproduire fidèlement l’édition d’un texte qui, aussi imparfait fût-il, devait être à leurs yeux non moins prestigieux.

On sait par ailleurs, que les éditeurs pouvaient avoir recours à d’autres sources manuscrites ou imprimées de la Septante, tout en favorisant l’édition aldine. On doit par conséquent conclure que des amendements du texte pouvaient être acceptées dans la mesure où ces corrections émanaient de versions compatibles avec ou acceptées par l’Église d’abord grecque puis romaine et qu’on devait s’interdire de privilégier des leçons – fussent-elles correctes et vérifiées – provenant du texte hébraïque ou même du texte grec de Symmaque, en raison de l’appartenance de ce dernier à la faction hérétique des Ébionites.

Le travail du traducteur roumain semble avoir obéi à ces mêmes principes de littéralité et seul devait compter pour lui le respect au texte grec à traduire, quand bien même cela supposait de sacrifier l’intelligibilité du texte en roumain.

Samuil Micu Klein retouchera par certains endroits la traduction de la Bible de 1688 en proposant de légers amendements. Ainsi, en 20:21, à la place d’un verset devenu obscur par une trop littérale traduction : « Nu iaste l ă s a r e bucatelor lui, pentru aceea nu vor înflori lui bunătăţile », S. Micu Klein propose une variante plus compréhensible : « Nu vor fi r ă m ă ş i ţ ă din bucatele lui, pentru aceea nu vor înflori bunătăţile lui » [en grec, Ou*k e!stin u&povleimma toi~" brwvmasin au*tou~, diaV tou~to ou*k a*qhvsei au*tou~ taV a*gaqav, « Rien ne reste de sa nourriture, aussi, son bonheur ne fleurira pas »]. Au verset 19:13, « Trăiţi asupra mea », dans la Bible de 1688, qui ne fait pas sens, ne peut être qu’une faute d’impression à la place de « Grăiţi asupra mea », lecture que Samuil Micu Klein restitue à juste titre [grec : καταλαλε‹τ˜ µου]. Au verset suivant, S. Micu Klein remédie en revanche la syntaxe du verset et, là où la Bible de 1688 lit « graiurile meale să înşală ş i n u a s u p r a v r e m i i », qui traduit de manière trop littérale la préposition du grec kaiV ou*k e*piV kairou~, le traducteur de Blaj lit :

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« cuvintele mele s-au înşelat ş i n u a u f o s t l a v r e m e » [« mes paroles furent fautives et pas au (bon) moment »]. La correction de S. Micu Klein du verset 21:34, qui, dans la Bible de 1688 résiste à la compréhension (« Iară cum eu să mă încetez preste voi nimică [ ?] »), rend celui-ci plus intelligible : « Şi cum voi tăcea eu înaintea voastră ceva ? » [« Et comment tairai-je quoi que ce soit devant vous ? »]18.

Cependant, la traduction de Samuil Micu Klein n’est pas non plus exempte de toute méprise et certains de ses choix ne semblent s’appuyer sur aucun témoin textuel : ainsi, au verset théodotien 20:3 (absent de la Septante), au lieu de « şi duh dentru p r i c e a p e r e răspunde mie » [« un esprit (qui procède) de la raison me répond »] qui traduit le grec kaiV pneu~ma e*k th~" sunevseo" a*pokrivnetaiv moi (Théodotion), devient, dans la traduction de Blaj, « duhul din n e p r i c e a p e r e răspunde mie » [« l’esprit sans raison me répond »], sans que rien ne justifie la négation.

En dépit de l’obscurité du texte, les lecteurs de la Bible roumaine pouvaient néanmoins découvrir un personnage véhément, aux discours étonnants, à la langue acérée et radicalement opposé à celui qu’une tradition déjà vénérable voulait qu’il fût le saint soumis, patient et résigné de l’épître de Jacques et de la tradition fondée sur le texte apocryphe du Testament de Job, un texte émanant d’un judaïsme alexandrin qui prônait des idées stoïciennes revisitées par une piété juive et lui ajoutant la croyance de la résurrection du corps après la mort. Ce fut ce texte qui avait imprimé fortement et durablement sa marque au détriment de celui de la Bible, dont le personnage est ainsi corrigé et remodelé car jugé irrévérencieux. Il en résultait un Job à l’opposé de celui biblique, un « anti-Job » en somme.

Si le lecteur roumain de la Bible 1688 poursuit sa laborieuse et éprouvante lecture, il découvre un personnage désabusé, dépité, rebelle et impertinent, et ce malgré une certaine atténuation, voire édulcoration, de certains passages dans la Septante, comparés à ceux de la Bible hébraïque dont le langage est plus direct.

Paradoxalement, la traduction d’une traduction a pu révéler, bien qu’imparfaitement, un texte subversif, longtemps resté ignoré par un public plus avide de fables apocryphes.

Bien que leur diffusion fût encore limitée, les premières traductions roumaines, celle de Nicolae Milescu, connue de la copie d’une édition révisée, qui est le manuscrit nr. 45 de la Bibliothèque de la filiale académique

18 L’hémistiche grec, toV deV e*meV katapauvsasqai a*f j u&mw~n ou*devn, serait à comprendre

plutôt comme : « car je ne suis en rien réconforté par vous ».

Considérations sur la traduction roumaine de la Bible 1688 67

de Cluj19, et du manuscrit 4389 de l’Académie de Bucarest20, et celle de 1688 ont dû entamer un processus irréversible de vulgarisation, d’abord timide, au sein d’un milieu rompu aux lettres, puis croissante. Certes, l’impact du texte de la Bible de 1688 – en partie illisible – a été moins immédiat à cause d’une littéralité qui le dessert. La pugnacité du personnage – sensiblement atténuée par la traduction grecque de la Septante, qui est en partie critique, en partie précautionneuse, quelque peu retrouvée grâce à la traduction littérale des passages théodotiens – devait surprendre un auditoire préparé à accueillir le saint soumis qu’avaient dépeint les commentaires patristiques et plus généralement la tradition qui en avait fait une figure emblématique de la souffrance assumée.

L’occasion était enfin offerte aux lecteurs de la Bible roumaine de découvrir un personnage dont les interlocuteurs même qualifient d’excessif.

Éliphaz estime que Job pèche par une colère excessive, mais ses reproches perdent de leur force dans cette traduction trop littérale : « […] mare preste seamă ai grăit. Ce au îndrăznit inima ta sau ce au adus ochii tăi, că mînia ai spart înaintea Domnului şi ai scos den gură cuvinte ca acestea ? » (15:11-13). En grec : […] megavlw" u&perballovntw" lelavlhka". Tiv e*tovlmhsen h& kardiva sou ; h# tiv e*phvnegkan oi& o*fqalmoiv sou, o@ti qumoVn e!r*r&hξa" e!nanti Kurivou, e*ξhvgage" deV e*k stovmato" r&hvmata toiau~ta ; « […] avec excès et à outrance tu as parlé. Qu’a-t-il osé, ton cœur et quelle audace ont tes yeux, pour que tu aies fait éclater (ta) colère devant le Seigneur et laissé de telles paroles sortir de ta bouche ? ». « A sparge mînia », littéralement « briser la colère » est certes une traduction exacte du grec qumoVn r&avssein, mais c’est précisément cette littéralité qui nuit au sens, en roumain, où l’expression courrante est « a face să izbucnească mînia », à la place du trop imagé « a sparge », qui appelle un complément direct de sens concret.

Quant à Baldad, ne se dit-il pas « scandalisé » ? « Pîna cînd vei grăi acestea ? » [« Jusqu’à quand proféreras-tu cela ? »], et Job est celui qui fabrique trop de mots, selon le reproche de Sophar : « Nu te face mult în cuvinte » [« N’excède pas en mots »], bien que – le reconnaît-il – l’homme

19 Ce manuscrit a été signalé une première fois, en 1944, dans le catalogue de la Bibliothèque

centrale de Blaj. Voir V. CÂNDEA, Raţiunea dominantă. Contribuţii la istoria umanismului românesc, Editura Dacia, Cluj-Napoca, 1979, p. 107-108. Le copiste, Dumitru de Cîmpulung, établit son édition à la demande du Métropolite de la Valachie, Theodosie Veştemeanu, dont l’activité est comprise entre 1668-1672 et 1679-1708. Ce dernier se montrait réticent à toute traduction en roumain – langue qu’il considérait « prea scurtă », « sans portée » – qu’il s’agisse de textes liturgiques ou, à plus forte raison, de la Bible. Virgil Cândea situe par conséquent le codex entre 1683 et 1686 (Ibidem, p. 109-111).

20 Ibidem, p. 107 et suivants.

Maria Gorea 68

en général « nage dans les mots comme dans un océan » (11:12) : « Şi omul într-alt chip înoată în cuvinte », traduction possible de a!nqrwpo" deV a!llw" nhvcetai lovgoi" : « vainement l’homme nage dans les mots »21.

21 Le texte hébraïque présente à cet endroit un texte différent: wəʾîš nābûb yillābeb « un

homme creux, aurait-il de l’esprit? » (et dans la traduction latine de la Septante: homo aliter nutat sermonibus, avec une méprise consistant à lire nutat [« il hésite » ou « chancelle »] au lieu de natat, « d’une autre manière, l’homme est hésitant dans ses discours »). La version de la Complutensis: a!nqrwpo" deV a!llw" qrasivnetai lovgoi" [« l’homme prend vainement courage par les paroles »] reflète en partie une révision, puisque l’adverbe a!llw", pouvant se comprendre aussi bien comme « autrement » que comme « en vain », semble avoir été suggéré par nābûb de l’hébreu. La traduction de Symmaque se fait, elle aussi, l’écho du texte hébraïque, mais plus clairement, par l’expression diaV kenh~", « vainement », qui rend nbb du texte consonantique (sans être mentionnée dans les notes de la Francofurtensis).

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 69-100

PROBLEMI RIGUARDANTI LA TRADUZIONE IN ROMENO DEI NOMI PROPRI BIBLICI

ANA-MARIA GÎNSAC Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia

Centro di Studi Biblico-Filologici “Monumenta linguae Dacoromanorum”

dell’ Università “Alexandru Ioan Cuza” di Iaşi

0. Il legame tra n o m e e i n d i v i d u o d e n o m i n a t o è rilevante per la retorica del testo sacro. Nati dalla convinzione che i nomi individuali guidano il destino della persona, i nomi propri biblici enunciano alcune realtà, solitamente di natura religiosa, importanti per la persona e per l’ambiente in cui essa vive. Tramutandosi da appellativi in nomi propri, i nomi biblici, la maggior parte enunciazioni intere, hanno perso, dal punto di vista linguistico, il senso lessicale (quindi non denotano). Pietrificati nella loro struttura fissa, questi nomi assumono una relazione strutturale significativa nel contesto solo nella misura in cui il contesto stesso lo richiede. Dato che in ebraico la forma morfologica dei nomi composti si è destrutturata nel corso del tempo e i nomi sono diventati incomprensibili, si è cercato in diversi modi di trovare i loro equivalenti nelle diverse lingue, di conferire loro significati più o meno arbitrari. Non sono pochi i casi in cui lo stesso nome riceve significati diversi, a seconda delle circostanze in cui esso compare in un certo momento1.

In uno studio immagologico sulla situazione dei nomi biblici, James Barr osserva che, a differenza dei nomi biblici, che nella cultura degli antichi ebrei erano trasparenti, oggi i nomi individuali non hanno più un significato lessicale, specifico per altre parole del vocabolario, come gli appellativi:

“A large proportion of Hebrew personal names are intelligible sentences or phrases […]. Thus the names had m e a n i n g. They are not names which are i n t e l l i g i b l e only for the modern philologist with his historical interests; they were intelligible also to the people who gave them and to the

1 ANDRZEJ STRUS, Nomen Omen. La stylistique sonore des noms propres dans le Pentateuque, Biblical

Institute Press, Rome 1978, pp. 5-6.

Ana-Maria Gînsac 70

people who bore them […]. On the other hand, our personal names are lacking in the kind of intrinsic lexical meaning which is possessed by the other words of our vocabulary”2.

Quindi, mentre nell’antica mentalità esisteva uno stretto legame tra il

n o m e e gli i n d i v i d u i d e n o m i n a t i, poiché il nome era parte dell’essere stesso dell’individuo (nomen-omen), fatto accessibile ai filologi dell’età moderna nella misura in cui il nome era trasparente anche per coloro che l’hanno creato o l’hanno avuto, nel corso dello sviluppo del pensiero astratto i nomi non riflettono più le realtà che sono state alla base della loro creazione, ma sono attribuiti soltanto allo scopo di individualiz-zare. Il problema della ragione dei nomi quindi non ha più importanza dal punto di vista sociale (aspetto in cui questi sono utilizzati allocutivamente o dellocutivamente), ma entra in discussione nel momento in cui i nomi stessi diventano soggetti per alcune asserzioni linguistiche riguardo sia l’etimolo-gia, sia il modo di passaggio da una lingua ad altra o la loro evoluzione nella diacronia della lingua. Tra queste difficoltà, il problema delle modalità di passaggio dei nomi biblici in una lingua vernacolare, le fonti da cui i nomi sono stati prelevati e il modo in cui sono stati adattati, inseriti nel testo e poi ripresi da altre edizioni, sono solo una parte dei problemi che interessano un filologo nella sua attività di avvicinare l’onomastica della Bibbia, in un dato idioma (qui, la lingua romena)3. Poiché i nomi biblici sono stati spesso 2 JAMES BARR, “The Symbolism of Names in the Old Testament”, in Bulletin of the John

Rylands Library, 52 (1969), pp. 11-29: 11-12. 3 In questo studio, ci proponiamo di utilizzare le seguente edizione della Bibbia: ANANIA

2001 = Biblia sau Sfânta Scriptură, ediţie jubiliară a Sfântului Sinod, versiune diortosită după Septuaginta, redactată şi adnotată de Bartolomeu Valeriu Anania [La Bibbia o la Santa Scrittura, edizione giubilare del Santo Sinodo, versione revisionata secondo la Settanta, redatta e annotata da Bartolomeu Valeriu Anania], Editura Institutului Biblic şi de Misiune al Bisericii Ortodoxe Române, Bucureşti 2001; BIBB. 1688 = Biblia ádecă Dumnezeiasca Scriptuă a ceii Vechi şi ale ceii Noao Leage, toate care s-au tălmăcit dupre limba elinească spre înţelegerea limbii româneşti, cu porunca preabunului Domn Ioan Şărban Cantacozino Basarabă Voievod [La Bibbia ovvero la Divina Scrittura dell’Antica e della Nuova Legge, tradotta dal greco al romeno, su ordine del buonissimo Voivoda Ioan Şărban Cantacozino Basarabă], Bucureşti 1688 [edizione moderna: Institutul Biblic şi de Misiune al Bisericii Ortodoxe Române (BOR), Bucureşti 1998]; BIBB. 1874 = Sănta Scriptură a Vechiuluĭ şi a Noului Testamentŭ [Santa Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento], Societatea Biblică pentru Britania şi Străinătate, Tipo-Litografia H. Goldner, Iaşii 1874; BIBB. 1914 = Biblia, adică Dumnezeeasca Scriptură a Legii vechi şi a celei Nouă [...], Ediţia Sfântului Sinod, Tipografia Cărţilor Bisericeşti, Bucureşti 1914; BIBB. 1936 = Sfânta Scriptură, tradusă după textul grecesc al Septuagintei confruntat cu cel ebraic, din îndemnul şi cu purtarea de grijă a Înalt Prea Sfinţitului Dr. Miron Cristea, Patriarhul României, cu aprobarea Sfântului Sinod [Santa Scrittura, tradotta secondo il testo greco della Settanta messo a confronto con quello ebraico, su consiglio e a cura del Santissimo Dr. Miron Cristea, Patriarca della Romania,

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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oggetto di discussione per quanto riguarda il loro ‘significato’, diventa necessario chiarire innanzitutto il senso dei nomi stessi.

1. I nomi propri hanno un ‘senso’? Generalmente, i linguisti accettano l’idea secondo la quale i nomi propri non significano, ma il loro scopo esplicito è quello di identificare. Nonostante ciò, quando parlano dei nomi propri, gli antropologi, gli storici e gli

con l’approvazione del Santo Sinodo], Tipografia Cărţilor Bisericeşti, Bucureşti 1936; BIBB. 1944 = Biblia sau Sfînta Scriptură [...], Editura Institutului Biblic al BOR, Bucureşti 1944. BIBB. 1988 = Biblia sau Sfânta Scriptură [...], Editura Institutului Biblic şi de Misiune al BOR, Bucureşti 1988; CORNILESCU = Biblia sau Sfînta Scriptură a Vechiului şi Noului Testament [Edizione revisionata secondo D. Cornilescu, 1921 e 1932], Gute Botchaft Verlag (GBV), Dillenburg 1990; FRANKF. = Th~" qeiva" Grafh~" Palaiva" DhladhV kaiV Neva" Diaqhvkh" a&pavnta, Divinae Scripturae nempe Veteris ac Novi Testamenti omnia, Graece [...], Frankofurti ad Moenum, apud Andreae Wecheli haeredes, 1597; FILOTEI = Bibliea sau Testamentul Vechiu şi Nou [...], Tipografia Sfintei Episcopii Buzău, anno 1854, luglio 1, Vol. I [Voll. II, III, IV, 1855; Vol. V, 1856]. HELIADE = ION HELIADE RĂDULESCU, Biblia Sacra que coprinde Vechiul şi Noul Testament dupŏ quei septedeci, tradusa din hellenesce dupŏ editia typarita în Athene 1843 [...], în typografia lui Preve si Comp, Paris 1858; MICU = Biblia, adecă Dumnezeiasca Scriptură a Legii Vechi şi a ceii Noao, care s-au tălmăcit de pre limba elinească pre înţălesul limbii româneşti ..., [Biblia de la Blaj – 1795, Roma 2000] Blaj 1795; MLD = Biblia de la Bucureşti (1688), nella serie Monumenta linguae Dacoromanorum, Pars I, Genesis, Iaşi 1988; Pars II, Exodus, 1991; Pars III, Leviticus, Iaşi 1993; Pars IV, Numerii, Iaşi 1995; Pars V, Deuteronomium, Iaşi 1997; Pars VI, Iosue, Iudicum, Ruth, Iaşi 2004; Pars VII, Regnum I, Regnum II, Iaşi 2009; MS. 45 = Manoscritto 45; MS. 4389 = Manoscritto 4389; NTB 1648 = Noul Testament. Tipărit pentru prima dată în limba română la 1648 de către Simion Ştefan, Reeditat după 340 de ani, Bucureşti 1988; OSTROG = Biblïa sir™ç´ kni’g´ ve’txago iÈ novago zav™ta, po æÈj¥’kÁ slovenskÁ [...], Ostrog, 1581; PO. = VIORICA PAMFIL (a cura di), Palia de la Orăştie [1581-1582], Edizione a cura di, Bucureşti 1968; SETT. 1709 = ‘H PalaiaV Diaqhvkh kataV touVs ‘Ebdomhvkonta, Vetus Testamentum ex versione Septuaginta interpretum [...], Summa cura edidit Lambertus Bos, Excudit Francisus Halma, Illustr. Frisiæ Ord. atque Eorundem Academiæ Typogr. Ordinar, Franequerae MDCCIX; SETT. = Septuaginta, Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes, edidit Alfred Rahlfs [...], Deutsche Bibelgesellschaft 2006; SETT. VEN. = &H qeiva GrafhV dhladhV Palaia~" kaiV Neva" Diaqhvkh" a@panta, Divina Scriptura nempe Veteris ac Novi Testamenti omnia [...], paraV Nikolavw/ Glukei~ [...], Venetiis MDCLXXXVII; ŞAGUNA = Biblia, adecă Dumnezeiasca Scriptură a legii cei vechi şi a cei noao, tipărită [...] sub privegherea şi cu binecuvântarea excelenţei sale, prea sfinţitului Domn Andreiu, Baron de Şaguna, Sibiiu, 1856-1858; VULG. 1587 = Biblia, ad vetustissima exemplaria nunc recens castigata. In quibus, praeter ea quae subsequens praefatio indicat, capita singula ita versibus distincta sunt, vt numeri praefixi, lectorem non remorentur, & loca quaesita tanquam digito demonstrent, Editore Girolamo Polo, Venetiis MDLXXXVII; VULG. BLAJ = CAMIL MUREŞAN (a cura di), Biblia Vulgata. Blaj 1760-1761, Edizione realizzata sotto l’egida dell’Istituto di Storia “George Bariţ” di Cluj-Napoca, Voll. I-V, Editura Academiei Române, Bucureşti 2005.

Ana-Maria Gînsac 72

ermeneuti utilizzano una terminologia che sta indicando il contrario: “meaning of a name”4, “înţelesul de bază [al numelui]”5, “the meaning of a Hebrew name”6, “meaning of many biblical names”7, “signification des noms propres”8, “la forma e il significato del nome proprio”9.

Inoltre, alcuni ricercatori hanno osservato che, in funzione del grado di avvicinamento al momento della loro creazione, i nomi possono essere più o meno trasparenti semanticamente, cioè sono omonimi (o quasi omonimi) con gli appellativi da cui derivano:

“Les significations des noms, comme les règles qui en conditionnent l’usage, portent l’empreinte des valeurs qu’on leur attribue. Dans nos sociétés, le sens de bien des prénoms est devenu opaque [...]. À l’inverse, en Afrique de l’Ouest par exemple, la signification des anthroponymes – qui ne se différencient pas des noms communs – est tout à fait transparente; chez les Mosi, les enfants reçoivent pour noms individuels les termes appartenant au vocabulaire courant: ‘poule’, ‘musaraigne’, ‘serpent’, ‘tamarinier’”10.

Paragonando i nomi della famiglia indo-europea con quelli cinesi, arabi,

ebraici ecc., Pulgram11 osserva che l’unica differenza sta nel fatto che, il significato (ingl. meaning) di questi ultimi essendo maggiormente visibile, non c’è bisogno che il loro contenuto (ingl. content) venga rilevato per mezzo dell’etimologizzazione.

Per gli antropologi, il nome è parte di un patrimonio simbolico e sociale, all’interno del quale la pronuncia e il suo passaggio costituiscono regole precise, rivela ordini sociali e influisce sul destino. All’interno della filosofia, le teorie circa il nome proprio fanno parte di una sterminata riflessione sul modo in cui i nomi propri ‘si riferiscono’, principio spiegato volta per volta da Frege (il nome proprio si correla al suo referente per mezzo del senso)12, da 4 ROGER OMANSON, “Lazarus and Simon”, in The Bible Translator, n. 2, 40 (1989), pp. 416-

419: 416. 5 AL. GRAUR, Nume de locuri [Nomi di luoghi], Editura Ştiinţifică, Bucureşti 1972, 20 [il

significato di base del nome]. 6 J. BARR, “The Symbolism of Names in the Old Testament”, in Bulletin of the John Rylands

Library, 52 (1969), pp. 11-29: 15. 7 Ibidem, p. 29. 8 O. ODELAIN, R. SÉGUINEAU, Dictionnaire des noms propres de la Bible, Préface de R. Tournay,

3e Édition, Édition du Cerf, Paris 1988, XII; The Jewish Encyclopaedia, Vol. IX, Funck and Wagnalls Company, New York and London 1982, p. 153.

9 HERBERT HAAG et al., Dizionario biblico [Bibel-Lexicon], Prima edizione ampliata italiana a cura di P. Giuliano, Società Editrice Internazionale, Torino 1963, p. 685.

10 CHRISTIAN BROMBERGER, “Pour une analyse anthropologique des noms de personnes”, in Langage, 66 (1982), pp. 103-167: 119.

11 ERNST PULGRAM, Theory of Names, CA American Name Society, Berkeley 1954, p. 18. 12 “[...] le nom propre se rapporte, par la médiation du sens et uniquement par elle, à l’objet”

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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Wittgenstein (il nome proprio non ha valore referenziale se non nell’atto della comunicazione)13, da Kripke (il nome proprio come ‘rigido designatore’)14 o da Searle (il senso dei nomi propri è costituito dalla somma delle descrizioni che possono essere fatte circa il referente, così il senso del nome Moise [it. ‘Mosè’] è ‘colui che ha liberato gli ebrei dalla schiavitù egiziana’)15.

Accostando la distinzione n o m – q u a l i f i c a t i f, Gimaret indica che i nomi propri non devono essere scambiati per le caratteristiche del referente:

“Le nom [...] est autre chose que le qualificatif. Le nom designé, il ne décrit pas [...]. Quand un qualificatif est choisi comme nom, il perd son sens qualificatif [...]. En revanche, un qualificatif décrit, il ne désigne pas [...]. Le nom est donc attaché à un individu pour le désigner”16.

Inoltre, il legame tra nome e referente non è mai fisso. Ad esempio,

molti dei nomi biblici sono attribuiti a diverse realtà individuali, a diverse persone, quindi sia a persone sia a luoghi.

Mentre i logici e gli antropologi hanno trattato i nomi propri rispetto al rapporto che si instaura tra s e n s o e r e f e r e n t e (extralinguistico), all’interno della teoria del ‘referente unico’, il problema dello statuto linguistico degli stessi17 è stato trattato soprattutto nei termini di Saussure, secondo il quale, qualunque segno linguistico consiste in un s i g n i f i c a t o e un s i g n i f i c a n t e. In questa prospettiva, il nome proprio sembra ‘distanziarsi’ dal modello saussuriano circa il segno linguistico: il suo s i g n i f i c a t o non corrisponde per nulla ad un c o n c e t t o o ad un’immagine mintale associata e, di conseguenza, non è possibile definire il suo luogo preciso in un sistema di segni. Questo fatto ha dato nascita a

(GOTTLOB FREGE, Écrits posthumes, Éditions Jacqueline Chambon, Nîmes 1994, p. 147). 13 “Leur [noms propres] signification est donée par leur usage par les règles qui s’appliquent

à eux” (LUDWIG WITTGENSTEIN, Les cours de Cambridge (1930-1932), établis par Desmond Lee, traduit de l’anglais par Elisabeth Rigal, Ed. Trans-Europ-Repress – T.E.R., Mauvezin 1988, p. 125).

14 “[...] a referent is determined by a description, by some uniquely identifying property, what that property is doing in many cases of designation is not giving a synonym, giving something for which the name is an abbreviation; it is, rather, f i x i n g r e f e r e n c e. It fixes reference by some contingent marks of the object” (SAUL KRIPKE, Naming and necessity, Blackwell Publishing, Oxford 1981, p. 106).

15 Si veda JOHN R. SEARLE, “Proper Names”, in Mind, 67 (1958), pp. 166-173. 16 DANIEL GIMARET, Les noms divins en Islam. Exégèse lexicographique et théologique, Les Éditions

du Cerf, Paris 1988, p. 49. 17 Secondo JEAN LOUIS VAXELAIRE, Les noms propres. Une analyse lexicologique et historique,

Avant-propos de François Rastier, Honoré Champion Éditeur, Paris 2005, p. 842, lo scopo del linguista è di preservare solo le informazioni necessarie per il suo campo, senza entrare nei ‘perché’ di un altro ordine di idee (mitologico, filosofico ecc.). Soltanto in questo modo uno studio interdisciplinare potrà trovare la sua efficacia.

Ana-Maria Gînsac 74

discussioni, soprattutto sotto l’influenza delle teorie logiciste (John Stuart Mill18, Saul Kripke ecc.) circa i nomi propri ‘vuoti’ dal punto di vista semantico (“stampi mentali”19 con i quali associamo un individuo o un altro), che solo ‘denotano’ ma non dicono niente a proposito dell’individuo. Al polo opposto di questa teoria si trova quella riguardante il senso del nome proprio attivato nel momento della conversazione, nel contesto: “le mot John prend un sens différent chaque fois qu’il est employé, et seul le contexte permet de le découvrir”20.

Trattando il problema del nome proprio dal punto di vista della teoria di Saussure circa il segno linguistico, Frei indica che i nomi propri non si identificano soltanto sulla base del significante ma anche del significato:

“Tout nom propre doit comprendre dans son signifié au moins la c l a s s e à laquelle il appartient (prénom, nom de famille, genre masculin au féminin ecc.); il n’identifie donc pas les entités par le seul signifiant”21.

Uno statuto linguistico sembra che possa ottenere il nome proprio

insieme alla teoria del nome proprio come “prédicat de dénomination” (il senso del nome proprio è, senza descrivere l’individuo, “l’abréviation du prédicat de dénomination être appelé /N/”22 di Kleiber.

Espressa più o meno esplicitamente durante il tempo e da vari studi, la teoria del nome proprio come “nominalizzazione di secondo grado”, tramite il nome comune, è spiegata dal linguista Eugenio Coşeriu in uno studio riguardante il plurale dei nomi:

“[...] numele propriu nu denumeşte în acelaşi plan cu cel al numelor comune, care «clasifică» realitatea, ci reprezintă, în raport cu numele comune, o n o m i n a l i z a r e s e c u n d ă, individualizatoare şi unificatoare: o nominalizare care nu este anterioară, ci posterioară nominalizării prin mijlocirea «universaliilor». Într-adevăr, obiectul desemnat printr-un nume propriu este, în mod necesar, un obiect deja clasificat prin mijlocirea unui nume comun: Azorele sunt insule, Tibrul este fluviu, Spania este o ţară”23.

18 Si veda JOHN STUART MILL, Système de logique déductive et inductive, Vol. I, Édition Pierre

Mardaga, Bruxelles 1988 [1843]. 19 Si veda S. ULLMANN, Précis de sémantique français, Francke, Berne 1969, p. 25. 20 OTTO JESPERSEN, La philosophie de la grammaire, Traduit de l’anglais par Anne-Marie

Léonard, Préface d’Antoine Culioli, Les Éditions de Minuit, Paris 1971, p. 77. 21 HENRI FREI, “Déssacords”, in Cahiers Ferdinand de Saussure, 18 (1961), pp. 35-51: 50. 22 GEORGES KLEIBER, Problèmes de référence: descriptions définies et noms propres, Centre d’analise

syntaxique, Metz 1981, p. 331. 23 EUGENIO COSERIU, “Pluralul numelor proprii” [Il plurale dei nomi propri], in Teoria

limbajului şi lingvistica generală. Cinci studii [Teoria del linguaggio e linguistica generale. Cinque studi], Edizione nella lingua romena di Nicolae Saramandu, Editura Enciclopedică, Bucureşti 2004, pp. 265-284: 284 – [‘il nome proprio non denomina nello stesso piano con

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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Nella Bibbia, il fenomeno è molto presente, soprattutto i toponimi sono spesso riferiti in base all’‘elemento categorizzante’ espresso esplicitamente nel testo: “[rîul (it. ‘il fiume’)] Fison” (Gen. 1:11), “[pămîntul (it. ‘la terra’)] Hevilatului” (Gen. 1:11), “[rîul (it. il fiume)] Ghihon” (Gen. 1:13), “[ţinutul (it. ‘la regione’)] Calne” (Gen. 10:10) ecc.24 Esistono anche casi dove la categorizzazione è difficile, il nome non essendo accompagnato dalla presupposizione categoriale25. Ad esempio, nel brano seguente: “Ei au trecut pasul şi noaptea au rămas la Gheba. Rama este înspăimântată, Ghibeea lui Saul a luat-o la fugă” (BIBB. 1988) [it. ‘Essi hanno attraversato il passo e in Gheba si accampano di notte. Rama trema, fugge Ghibeea di Saul’], è difficile capire se Rama sia un antroponimo o un toponimo; non si può dire la stessa cosa nel testo di ANANIA 2001 dove viene ribadito che “de frică va fi cuprinsă Rama, cetatea lui Saul” (Isa. 10:29-30) [it. ‘Rama, la città di Saul, sarà assalita dalla paura’]. Inoltre, il nome Efraim può denominare un luogo, un monte, una porta, una discendenza oppure una persona, pertanto è necessaria l’indicazione di una presupposizione categoriale: “Poarta Efraim” (Nee. 12:39) [it. ‘la Porta di Efraim’] – toponimo, “cetăţile lui Efraim” (2 Cr. 17:2) [it. ‘le cittadine di Efraim’] – il nome di un gruppo etnico (etnonimo), Efraim (Gen. 41:52) – il nome di una persona (antroponimo). Per rendere chiara la categoria delle realtà cui bisogna rapportare il nome proprio Horeb, HELIADE inserisce tra parentesi anche la presupposizione categoriale: “şi venì pe muntele lui Dumnezeu, (muntele) Horeb” (Eso. 3:1) [it. ‘e arrivò sulla montagna di Dio, (la montagna) Horeb’].

Il fatto che i nomi propri non significhino allo stesso modo dei nomi comuni (ovvero, non rimandano direttamente ad un concetto), non vuol

i nomi comuni, che classificano la realtà, bensì rappresenta, rispetto ai nomi comuni, una nominalizzazione secondaria, individualizzante e unificante: una nominalizzazione che non è anteriore, ma posteriore alla nominalizzazione per mezzo degli universali. Veramente, l’oggetto designato da un nome proprio è, necessariamente, un oggetto già classificato attraverso un nome comune: le Azzorre sono isole, il Tevere è un fiume, la Spagna è un paese’]. Citando Michel Bréal (“les noms propres sont des signes à la seconde puissance”), ALBERT DAUZAT, Les noms des personnes. Origine et évolution, Librairie Delagrave, Paris 1946 (1925), p. 3, esprime la stessa idea: “Cristallisés depuis des siècles, ils ont perdu leur valeur primitive pour évoquer un lieu, un individu ou un groupe déterminé. Sans doute, le pouvoir évocateur des nom commun s’atténue au cours des âges, l’image se ternit, mais il en reste un reflet, un vestige”.

24 Gli esempi sono presi da PO, la prima traduzione (attestata) in romeno di un frammento del Vecchio Testamento (la Genesi e l’Esodo).

25 Nella terminologia della linguistica cognitiva. Si veda WILLY VAN LANGENDONCK, “La théorie du nom propre et la neurolinguistique”, in Nouvelle Revue d’Onomastique, 35-36 (2000), pp. 13-24.

Ana-Maria Gînsac 76

dire che i nomi propri siano privi di significato26, bensì che essi significano diversamente:

“Il nome proprio si distinguerebbe per il suo modo diverso di significare”27; “Nomi propri e nomi comuni significano e comunicano (su) la stessa realtà in modo diverso perché la stessa realtà è vista culturalmente in modo diverso e precisamente detta diversità consiste nell’opposizione tra classici e individui”28.

Questo fatto è evidente anche per i filosofi antichi i quali fanno

distinzione tra nome proprio e nome comune non in termini di ‘tipo’ o ‘qualità’, bensì di ‘grado’. A questo proposito, Dionisius Thrax, nel Tevcnh Grammatikhv differenzia tra o[noma kuvrion (il nome in senso specifico) e proshgoriva (il nome in senso generale:

“Onomav e*sti mevro" lovgou ptwtikovn, sw~ma h! pra~gma shmai~non, sw~~ma meVn oi|on livqo", pra~gma deV oi|on paideiva, koinw~" te kaiV i*divw" legovmenon, koinw~" meVn oi|on a!nqrwpo" i$ppo", i*divw" deV oi|on Swkravth" [...]. Kuvrion meVn ou^n e*sti toV thVn i*divan ou*sivan shmai~non, oi|on !Omhro" Swkravth", proshgorikoVn dev e*sti toV thVn koinhVn ousivan shmai~non, oi|on a!nqrwpo" i$ppo"”29.

L’appellativo e il nome proprio omonimo appartengono a realtà

linguistiche ben delimitate. Il nome proprio funziona dentro la lingua, privo del significato proprio dell’appellativo omonimo. Parlare del ‘significato’ del nome proprio rappresenta un fatto di metalinguaggio, e la via dal nome proprio all’appellativo originario raffigura la sua etimologia:

“Il significato linguistico del nostro nome e cognome, intendo s i g n i f i c a t o l e s s i c a l e, può essere r e c u p e r a t o s o l o o c c a s i o n a l m e n t e, nel gioco di parole, nella freddura, ma

26 MARIE-NOËLLE GARY-PRIEUR, Grammaire du nom propre, Presses Universitaires de France,

Paris 1994, p. 12. 27 RITA CAPRINI, “Il significato dei nomi propri di persona: alcune considerazioni”, in

Quaderni di semantica, XII (1992), n. 2, pp. 231-252: 251. 28 ALDO L. PROSDOCIMI, “Appunti per una teoria del nome proprio”, in ALESSANDRA

AVANZINI, Problemi di onomastica semitica meridionale, Pisa 1989, p. 21. 29 Cf. GUSTAV UHLIG (a cura di), Dionisii Thracis ars grammatica Dionysii Thracis Ars grammatica

qualem exemplaria vetustissima exhibent subscriptis discrepantiis et testimoniis quae in codicibus recentioribus scholiis erotematis apud alios scriptores interpretem armenium reperiuntur, Teubner, Lipsiae 1883, p. 24 – [‘Il nome è una parola capace di flessibilità e significa un concretum o un abstractum: un concretum come pietra e un abstractum come educazione; in un senso generale o specifico: in senso generale uomo, cavallo, in senso specifico, Socrate [...]. Il nome proprio, quindi, significa una realtà specifica come, ad esempio, Omero, Socrate. Il nome comune significa una realtà generale come, ad esempio, uomo, cavallo.’].

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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normalmente è opaco”30.

Quando il senso lessicale diventa importante per la comprensione del messaggio – com’è il caso del testo biblico –, questo sostituisce nella lingua bersaglio la forma ebraica, portando alla formazione di un nuovo nome, il quale, essendo trasparente, porta alla comprensione integrale del messaggio del testo. In questo modo, nella Gen. 21:31-32, lo stesso nome è traslit-terato, agendo come nome proprio autentico, Versavie (Beer-Şeba), nonché ‘tradotto’: “Pentru aceea s-au chemat locul acela Versavie, că acolo amândoi au jurat. Şi au făcut aşezământ de pace pentru Puţul Jurământului” (VULG. BLAJ) [it. ‘Perciò chiamarono quel luogo Versavie, perché là entrambi avevano fatto giuramento. E hanno fatto luogo di pace per il Pozzo del Giuramento], lat. “Bersabee [...] puteo juramenti” (VULG.); Fântâna Jurământului (BIBB. 1688, MICU) [it. ‘la Fontana del Giuramento’], cf. gr. frevar oJrkismou~ (SETT. 1709), invece “Beerŭ-Şeba (fôntâna jurămêntuluĭ)”, in un’edizione romena della Società Biblica Britannica (BRIT. 1874).

Non deve essere fatta confusione tra il senso referenziale (denominativo) del nome proprio (stabilito tra la parola e l’oggetto designato) e il senso lessicale o denotativo del nome comune (stabilito tra il significato e il significante) che sta alla base del nome proprio, recuperato attraverso l’etimologia:

“[...] quello che volgarmente si chiama il significato del nome non è che il significato d’una parola del lessico comune che il nome proprio richiama. È felice, aggettivo che significa ‘felice’; Felice n.p. è un’etichetta – insignificativa finché non è applicata a un individuo determinato – la quale per il suono richiama felice aggettivo”31.

Quindi, mentre sul piano della genesi il nome proprio è motivato, nel

senso che è conferito con riferimento alla realtà designata, sul piano del funzionamento, il nome proprio è arbitrario.

Sebbene oggi il nome proprio ci appaia completamente senza motivo, nel testo originale ebraico, i nomi propri biblici sono motivati in rapporto con la realtà. Com’è stato detto prima, mentre nel piano della genesi il nome proprio è motivato, nel senso che esso è assegnato in relazione ad una certa realtà, nel piano del funzionamento, il nome proprio è arbitrario. Anche se omonimi con i nomi comuni che si trovano alla loro base nella lingua di origine, la maggior parte dei nomi propri biblici, soprattutto gli antroponimi, si presentano oggi come nomi propri o p a c h i (dal punto di vista 30 GIORGIO RAIMONDO CARDONA, Introduzione all’etnolinguistica, Utet Università, De Agostini

Scuola SpA – Novara, Torino 2006, p. 114. 31 BRUNO MIGLIORINI, Dal nome proprio al nome comune. Studi semantici di persona in nomi comuni

negl’idiomi romanzi, Éditeur Leo S. Olschki, Genève 1927, p. 30.

Ana-Maria Gînsac 78

semantico) i quali, in un testo con valenze specifiche, individualizzano persone, luoghi, astri, feste ecc. Qualora il c o n t e s t o in cui sono inseriti lo richieda32, la maggior parte dei nomi propri sono resi equivalenti al materiale linguistico della lingua in cui sono tradotti, ricostituendo in questo modo, in diversi momenti storici, il senso lessicale dei nomi comuni che sono stati alla loro base e ricevendo quindi valore descrittivo33, ad esempio:

Nee. 3:16 – Casa Vitejilor (MICU) [it. ‘la Casa degli Eroi’], ma Vethagavarim (BIBB. 1688);

Gios. 5:3 – [Dealul] Netăiaţilor Împregiur (MICU) [it. ‘[la Collina] dei Non Circoncisi’], [Dealul] Neobrezuiţilor-la-margine (BIBB. 1688) [it. ‘[la Collina] dei Non circoncisi-al-margine’], Casa celor Tari (VULG. BLAJ) [it. ‘la Casa dei Potenti’], invece [Dealul] Aralot (BIBB. 1988) [it. ‘[la Collina] Aralot’];

Ose. 1:6 – Ne-miluita (BIBB. 1688) [it. ‘la Non-compassionata’], Fără-de-milă (MICU) [it. ‘Senza misericordia’], “Lo-Ruhama (Cea neiubită)” (BIBB. 1988) [it. ‘Lo-Ruhama (Colei che non è amata)’] ecc.

Di conseguenza, i nomi propri devono essere analizzati a seconda del contesto in cui agiscono, del più ampio contesto culturale, nonché del più ristretto contesto del testo:

“Le mot prend son sens dans le syntagme, le syntagme dans la période, la période dans le texte, le texte dans le pratique sociale où il est produit, et relativement à d’autres textes”34.

2. Osservazioni sulla ‘traduzione’ in romeno dei nomi propri biblici Il passaggio dei nomi propri da una lingua all’altra è un fenomeno che non manca di difficoltà. E ciò ancor di più quando i nomi propri possono appartenere a un altro tipo di lingua, a un’aria linguistica diversa o a una cultura diversa rispetto a quella in cui devono essere trasferiti. Qualunque traduzione in romeno del testo sacro contiene, ad esempio, un ‘misto’ di nomi propri traslitterati dal greco o dal latino (a loro volta, presi dall’ebraico sia attraverso la traslitterazione, sia per mezzo della traduzione35), nonché 32 Cf. ERNST PULGRAM, op. cit., p. 35: “The meaning of ‘York’ becomes clear and significant

through the c o n t e x t in which it stands, through the importance the name acquires in on a certain ocasion [...] and through the interest attached to it individually”.

33 Si parla, soprattutto, dei toponimi. 34 FRANÇOIS RASTIER, MARC CAVAZZA, ANNE ABEILLE, Sémantique pour l’analyse. De la

linguistique à l’informatique, Masson, Paris 1994, p. 137. 35 Si veda HENRY JOHN THACKERAY, A grammar of the Old Testament in Greek according to the

Septuagint, Vol. I [Introduction, Orthography and Accidence], Cambridge University Press, London 1909, pp. 160-171, il quale analizza il processo della traslitterazione dei nomi

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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una categoria di nomi descrittivi, cioè nomi del testo fonte resi equivalenti al materiale linguistico in romeno. Alla base di queste scelte si trovano gli originali in ebraico, greco o latino. Inoltre, nella maggior parte dei casi, i nomi sono influenzati anche dall’utilizzo delle lingue predominanti in una certa aria linguistica, in un certo periodo, i traduttori avendo davanti sia i testi che hanno preceduto la loro traduzione in romeno36, sia altre traduzioni in lingue „sacre“ o vernacolari veicolate all’epoca (ad esempio, il testo slavo o ungherese della Bibbia).

Di conseguenza, il passaggio dei nomi propri da una lingua ad altra è un processo che presuppone una successione di varie prospettive circa la tradu-zione, dalla loro traducibilità o intraducibilità, sino ai diversi procedimenti di trasferimento e ai termini specifici che gli descrivono: t r a d u z i o n e, t r a s l i t t e r a z i o n e, t r a s c r i z i o n e, e q u i v a l e n z a.

2.1. I nomi propri sono intraducibili In stretta correlazione con il problema relativo al significato dei nomi propri, si trova il problema della loro traducibilità. In questo senso, sulla base di un calcolo arbitrario è stato rilevato che sono pochi i nomi trasparenti, come ad esempio gli Stati Uniti o il Capo di Buona-Speranza, rispetto ai nomi opachi dal punto di vista semantico (questi ultimi essendo presenti in proporzione di 98-99%). In questo senso, Witold Manczak è fermo quando parla della traduzione dei nomi propri, sostenendo che: “[...] ce qui constitue la caractère essentiel du nom propre, c’est le fait qu’en principe on ne le traduit pas en des langues étrangères”37. Secondo Pulgram, i nomi propri possono essere per lo più adattati, ma non tradotti, essendo questi elementi dell’individualizzazione:

“Names are as a rule more conservative, because once a proper name has become attached to an individual entity, especially to a person or to a whole

biblici ebraici nella Settanta.

36 Sebbene, ad esempio, nel caso MICU, la trasposizione dell’onomastica biblica rifletta, da molti punti di vista, la scelta del traduttore per le varianti della Settanta di Lambertus Bos (SETT. 1709), il cui apparato critico presenta un quadro quasi completo delle corrispondenze tra le altre versioni della Bibbia, lo studioso di Transilvania, specifica nelle annotazioni riguardanti i diversi nomi, là dove ritiene necessario, anche le varianti proposte dal testo della Bibbia di Bucureşti (1688), ad esempio: Faranul Eghiptului nel testo e “Bib. rom. veachie: În pustiia Faranului” (BIBB. 1688) [it. ‘nel deserto di Paran’] nella glossa marginale (Gen. 21:21).

37 WITOLD MANCZAK, “Nom propre et nom commun”, in Revue Internationale d’Onomastique, XX (1968), pp. 205-218: 206.

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family, a change would run counter to the aim of its function, which is unambiguous identification”.

Partendo dalla “théorie du prédicat de dénomination”38, Kleiber

conchiude che: “Toute modification aboutit, non à une traduction d’un nom propre, mais à un nouveau nom propre”39.

In pratica è stato dimostrato, invece, che i nomi propri possono essere tradotti40, e ancor di più i nomi propri biblici, importanti per comprendere una cultura in sostanza diversa dalla cultura dell’uomo moderno.

2.2. I nomi propri sono traducibili Quando si parla della traduzione dei nomi propri, il termine ‘tradurre’ si utilizza con diverse accezioni.

Per Al. Graur, la traduzione dei nomi propri corrisponde all’assegnazione del senso etimologico: “Când un nume dintr-o limbă este înlocuit într-o altă limbă cu un cuvânt care înseamnă acelaşi lucru, nu este oare o dovadă că cunoaştem înţelesul de bază? [...]”41. Ad esempio, il linguista romeno indica che il turco Akkerman (tc. ak ‘bianco’ e kermen ‘cittadella’) è redatto in romeno con le parole Cetatea Albă [it. ‘la Cittadella Bianca’], mentre il tedesco Schwarzwald è tradotto in romeno con le parole Pădurea Neagră [it. ‘la Foresta Nera’] ecc. Contrariarmente a una teoria ferma sull’intraducibilità dei nomi propri, Vaxelaire indica che le pratiche riguardanti il passaggio dei nomi da una lingua a un’altra cambiano in funzione del periodo storico e del tipo delle culture coinvolte in questo processo: “Il este impossible de bâtir une quelconque théorie à partir de cette notion d’intraduisibilité, puisque les pratiques varient selon les époques et les cultures [...]”42. Giorgio Raimondo Cardona parla chiaramente a proposito dei ‘sostituti ripetuti’ dei nomi propri i quali, a loro volta, diventeranno opachi:

“Gli esempi della sostituzione all’interno di una stessa lingua sono comunissimi, e in fondo non è molto importante che la sostituzione

38 E. PULGRAM, op. cit., p. 25. 39 G. KLEIBER, op. cit., p. 503. 40 Nel testo letterario, per accentuare un’immagine o un’altra, i nomi propri sono nella

maggior parte dei casi motivati, la loro non traduzione danneggiando il significato generale del testo.

41 AL. GRAUR, op. cit., 20 – [‘Quando il nome di una lingua è sostituito con una parola in un’altra lingua che sta significando la stessa cosa, non è questa una prova del fatto che conosciamo il significato di base del nome stesso?’].

42 J.L. VAXELAIRE, op. cit., p. 101.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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comporti una parola sola o una perifrasi. Quel che bisogna ricordare è che il processo di sostituzione non si compie una volta sola, ma viene continuamente rinnovato: quando la forma B (eufemistica) ha sostituito ormai completamente la forma A (tabuizzata), essa stessa diventa forma tabuizzata, e dovrà essere sostituita con una forma C; questa a sua volta si tabuizzerà ecc.”43.

In questo modo, le traduzioni dei nomi da descrittive, come compaiono

in un certo momento e in una lingua specifica, diventeranno esse stesse opache, sia per chi parla la stessa lingua ma in un altro periodo storico della stessa, sia per chi parla un’altra lingua in cui sono effettivamente inserite:

“Le mot Dieu, qui pour l’A.T. et pour les Juifs du temps de Jésus était un qualificatif – El ou Elohim en hébrew, qeov" en grec – nous le comprenons aujourd’hui comme un nom. [...] déjà à l’époque post-paulinienne le nom du Christ n’est plus perçu comme une traduction du qualificatif hébrew Messie; il est toujours plus nettement un nom propre”44.

Ancor di più, parlando dell’e t i m o l o g i a p o p o l a r e o del

fenomeno di reinterpretazione presente anche nel caso dei nomi propri, Cardona presenta l’esempio della traduzione nella Vulgata dei nomi Adamo ed Eva, precisando che “nella grecità e latinità l’etimologizzare diventa anzi una scienza a sé, che si preoccupa appunto di giustificare le parole cercandone la causa (aitía)”45.

Secondo altri ricercatori, alcuni nomi biblici devono essere tradotti, altri no. In questo senso, parlando del nome della divinità, Meyeda riferisce che tale nome è diverso rispetto ad altri nomi biblici, poiché può essere tradotto in qualunque lingua, e rispetto ad antroponimi come, ad esempio, Avram [it. ‘Abramo’], Moise [it. ‘Mosè’], i quali sono intraducibili46. Vaxelaire presenta una serie di circostanze secondo le quali i nomi propri possono essere tradotti o no: (a) i l p e r i o d o s t o r i c o (le abitudini cambiano da un periodo ad altro); (b) i l g e n e r e d e l t e s t o (i nomi propri sono tradotti soprattutto nella letteratura per i bambini rispetto ad altri generi letterari); (c) l a l i n g u a f o n t e d e l l a t r a d u z i o n e (in funzione della quale alcuni nomi sono maggiormente conservati rispetto ad altri); (d) i l t i p o d e l n o m e (ad esempio, gli antroponimi sono meno traducibili

43 G.R. CARDONA, op. cit., p. 114. 44 HANS-WERNER BARTSCH, “L’emploi du nom Dieu dans le Christianisme primitif”, in

ENRICO CASTELLI et al., L’analisi del linguagio teologico. Il nome di Dio, Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1969, pp. 185-200: 185.

45 G.R. CARDONA, op. cit., p. 129. 46 GORO MAYEDA, “A propos du nom divin”, in Cahiers Ferdinand de Saussure, n. 26 (1969),

pp. 91-97: 97.

Ana-Maria Gînsac 82

rispetto ai nomi dei partiti politici)47.

2.3. Procedimenti utilizzati nella traduzione dei nomi biblici. Metodi e limiti del settore Nella prefazione della monumentale opera Dictionnaire de la Bible, F. Vigouroux indica le difficoltà metodologiche concernenti la sistematiz-zazione e l’analisi dei nomi propri biblici:

“Le classement alphabétique des noms propres offrait une duble difficulté, celle de l’orthographe, qui n’est pas la même dans le texte hébreu et dans les versions, et celle d’ordre et de la place à attribuer aux personnages et aux villes qui portent le même nom”48.

Ribadisce inoltre che, nonostante sia tradotta direttamente dall’ebraico, la

Vulgata di Girolamo abbia conservato le forme dei nomi divenuti tradizionali all’epoca insieme a Vetus Latina, la prima traduzione in latino della Bibbia, alla base della quale si trova la Settanta nonché le altre forme già grecizzate dei nomi ebraici:

“Du reste, les auteurs même du Nouveau Testament les avaient en partie consacrées, en s’appropriant les transcriptions grecques qui étaient familières aux Juifs hellénistes: c’est ainsi qu’ils avaient appelé, par exemple, Att. 7:40, la ville où fut transporté le diacre saint Philippe [....], non Asdod, selon son nom hébreu, mais Azot, comme la nomment Septante”49.

La tradizione non è stata quindi trascurata da Girolamo. Questo fatto

porta Lapucci a sostenere che: “[...] non tutta la Bibbia fu tradotta direttamente da Girolamo: è sua opera la gran parte del testo, mentre, per una più esigua, si limitò a una revisione di precedenti versioni condotte sul testo di Settanta e per una minima parte

47 J.L. VAXELAIRE, op. cit., p. 101. (numele autorilor le prescurtam, sau le lăsăm aşa cum

apar pe carţile lor?) 48 F. VIGOUROUX et. al., Dictionnaire de la Bible contenant tous les noms de personnes, de lieux, de

plantes, d’animaux, mentionnés dans le Santes Écritures [...], 16 voll., Letouzey et Ané, Éditeurs, Paris 1891-1912, LXI. L’edizione è stata formata sulla base delle principali versioni antiche e moderne della Bibbia, così com’è stato ribadito nella prefazione.

49 Cf. H. J. THACKERAY, op. cit., p. 26: “The NT writers follow the LXX transliterations of proper names. This may seem like a minor point, but it is remarkable when you consider the various ways that proper names could be translated from one language to another. The fact that the NT follows the same transliteration (in most cases) as that found in the LXX suggests that the LXX exercised a profound influence on the NT writers”.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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opera sua non ci fu”50.

(a) L ’ o r t o g r a f i a. Le traduzioni protestanti sono riuscite a riprodurre, almeno parzialmente, la pronuncia ebraica (riflettuta nell’ortografia), il tentativo di avvicinare il testo originale essendo sempre più notevole durante l’epoca moderna51. In romeno, questo fenomeno iniziò nel 1874 nello stesso tempo con la stampa delle prime edizioni della Bibbia sotto l’egida della Società Biblica Britannica, poi continuò con la Bibbia di D. Cornilescu (apparsa nel 1921 a Bucarest, sotto il patronato della Società Evangelica Romena)52 continuando però, come risposta della Chiesa Ortodossa alla tendenza di propaganda protestante, con la Bibbia tradotta dal greco e dall’ebraico da Gala Galaction e Vasile Radu (1936) e con le successive riedizioni sinodali (1944, 1968, 1988):

Gen. 21:31 – Beerŭ-Şeba (BRIT. 1874), Beerşeba (BIBB. 1936), Beer-Şeba (BIBB. 1944 e sgg.);

Gen. 25:11 – “[fôntâna] Lahaï-Roï” (BRIT. 1874), Beer-Lahai-Roi (BIBB. 1936 e sgg.);

Gen. 26:20 – Esecŭ (BRIT. 1874), Esec (BIBB. 1936 e sgg.); Gen. 26:22 – Rehobotŭ (BRIT. 1874), Rehobot (BIBB. 1936 e sgg.); Deu. 1:24 – Eşcolŭ (BRIT. 1874 e sgg.); Deu. 2:13 – “[pêrĕulŭ] Zeredŭ” (BRIT. 1874 e sgg.). I nomi propri biblici romeni si presentano, inoltre, in una molteplicità di

varianti di scrittura, sia da un testo all’altro, sia nello stesso testo. Nella diacronia della lingua questo fenomeno può essere spiegato tanto con il passaggio naturale ad altre forme, e quindi la presenza simultanea di più forme, quanto tramite l’influenza sociale esercitata dal testo fonte della traduzione. In questo modo, Ruben (Gen. 49:3) è trascritto sia Ruvin (MICU), in greco ‘RoubhVn (SETT. 1709), sia Ruvím (BIBB. 1688) e i manoscritti paralleli 45 e 4389), cf. greco ‘RoubiVm (FRANKF. e SETT. VEN.), sia Ruvim (VULG. BLAJ), caso in cui si è cercato di rispettare la pronuncia e l’ortografia imposta dalla tradizione greco-bizantina e non da quella latina (cf. lat. Ruben). Le variazioni ortografiche nel caso dello stesso testo possono essere dovute sia alla revisione del manoscritto da un’altra mano prima di essere stampato, sia alla disattenzione dei copisti o del traduttore, oppure alla mancanza di un sistema ortografico normativo e all’utilizzo di diverse fonti nel processo di traduzione. In questo senso, Şemaia [it. ‘Semaia’] appare in MICU sotto diverse 50 CARLO LAPUCCI, Dal volgarizzamento alla traduzione, Valmartina Editore, Firenze 1983, p. 2. 51 A questo riguardo, F. VIGOUROUX, op. cit., p. LX, riferisce quanto segue: “Les transcrip-

tions nouvelles ont le tort d’être souvent par à peu près, arbitraires, contradictoires et, qui pis est, ignorées de la masse du public”.

52 Si veda supra.

Ana-Maria Gînsac 84

forme: Samea, Sameas, Samei, Sameos, Sameu, Samia; Malchia appare scritto anche come Melhia, Melhias, Melhie, Melhea, Melhiu; in VULG. BLAJ, nello stesso capitolo, Manase è redatto sia Manassie (Gen. 48:13, 17), sia Manasse (Gen. 48:14, 20); “[pământul] Gheseem” (Gen. 47:4), oppure “[pământul] Gheseen” (Gen. 47:6). In HELIADE, molto probabilmente dovuto a un errore di stampa, Iapheth (Gen. 6:10) è ortografizzato anche Iaphth (Gen. 5:32), Amorrheu e Amoreul (HELIADE); Haggai (Gen. 12:18) e Hangai (Gen. 13:3) in HELIADE, però solamente Anghe in MICU e nelle altre edizioni.

Un altro fenomeno riguardante il problema dell’ortografia dei nomi propri biblici è la s c r i t t u r a c o n l e m a i u s c o l e. I traduttori moderni si chiedono se un nome come Satan [it. ‘Satana’], tradotto a volte anche con la parola adversary, deve essere scritto con maiuscole oppure no. Un caso speciale è quello degli etnonimi come, ad esempio, filisteni [it. ‘i filistei’], amorei [it. ‘gli amorei’] ecc.:

“Another example is Philistine, referring to a certain people dwelling in Gaza, while in other instances philistine is a reference to a condition of perceived barbarity used in a somewhat pejorative sense”53.

Secondo i principi di trascrizione adottati da ciascuna edizione critica del

testo sacro in parte, alcuni nomi propri sono redatti con maiuscole, altri con minuscole. È il caso degli etnonimi. In Gen. 21:34, ad esempio, alcune edizioni del testo riportano con minuscole “pământul palestineanilor” (VULG. BLAJ) [it. ‘la terra dei palestinesi’], senza tenere conto del testo originale, nel presente caso quello della Vulgata dove compare “terræ Palælestinorum”. I trascrittori della Bibbia del 1688 riportano “pământul filistiimilor” [it. ‘la terra dei filistei’], quindi un’altra volta con lettere minuscole, secondo le norme vigenti oggi per gli etnonimi (il testo cirillico non fa differenze tra lettera maiuscola e minuscola); “pământul Filistiim” (MICU)54 [it. ‘la terra Filistiim’], dal greco “th~/ gh/~ tw~n Fulisteivm” (SETT. 1709); “pămêntulŭ Filistenilorŭ” (BRIT. 1874), “ţara Filistenilor” (BIBB. 1936 e sgg.) [it. ‘il paese dei Filistei’]. Il procedimento di denominare un paese prendendo spunto dall’utilizzo, al singolare, dell’etnonimo è specifico per i testi antichi: Persul [it. ‘Persia’], Franţozul [it. ‘Francia’], Cazâlbaşul / Ţara Cazâlbăşască [it. ‘Persia’]55 cf. anche 53 The Apostolic Bible Polyglot (ABP), Edited by Charles Lynn Van der Pool, The Apostolic

Press, Newport 2003, p. 11. 54 Cf. I Macc. 3:24 – “pământul Filistiim” (MS. 45) [it. ‘la terra Filistiim’], “ţara Filistímului”

(MS. 4389) [it. ‘il paese di Filistím’]. 55 VASILE ARVINTE, “Studiu lingvistic asupra primei cărţi (Facerea) din Biblia de la Bucureşti

(1688), în comparaţie cu Ms. 45 şi Ms. 4389” [Studio linguistico comparativo sul primo libro (Genesi) della Bibbia di Bucarest (1688), a confronto con Ms. 45 e Ms. 4389], in Monumenta linguae Dacoromanorum, Pars I (Genesis), Editura Universităţii “Alexandru Ioan

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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HELIADE (Iebuseu, Amorrheu, Ghergeseu, Eveu, Samareu ecc.). Mentre nelle edizioni più antiche della Bibbia – scritte in cirillico – la redazione con maiuscole non costituisce un criterio per quanto riguarda la differenziazione dei nomi propri da quelli comuni, nelle edizioni moderne, la variazione ortografica proviene in questo senso dalla difficoltà di attribuire l’uno o l’altro statuto. I nomi delle feste e quelli delle unità temporali sono redatti sia con lettera maiuscola sia con lettera minuscola, secondo un’edizione o l’altra. Le edizioni nuove che risentono la traduzione dall’ebraico dei nomi propri, preferiscono la maiuscola: Paşte (BIBB. 1936) [it. ‘Pasqua’] rispetto a pasce di HELIADE; “[luna] Aviv” (BIBB. 1936) [it. ‘[la luna] Aviv’] oppure “luna quellor nouě spice” (HELIADE) [it. ‘la luna delle nove spighe’]; “luna dentîiu” (BIBB. 1688) [it. ‘la prima luna’], “[luna] Spicului” (ANANIA 2001)56 [it. ‘la [luna] della Spiga’]; haselef (BIBB. 1688, MICU), invece [lÁna] Xasele√ (ŞAGUNA), Chislev (BIBB. 1936, BIBB. 1944, ANANIA 2001), Haselev in BIBB. 1914 e sgg. (1 Macc. 4:52) ecc.

Sempre con maiuscolo sono scritti, in HELIADE, anche i nomi comuni che svolgono, in certi contesti, il ruolo di nomi propri, come risulta dagli esempi: “se va numì Muliere” (Gen. 2:23) [it. ‘si chiamerà Muliere’], invece “Adam şi mulierea sa” (Gen. 1:25) [it. ‘Adamo e la sua compagna’]; “iar Sérpele erà quel mai intelligent’ din tóte” (Gen. 3:1) [it. ‘e il Serpente era il più astuto di tutti’]; invece “disse iar sérpele mulierii” (Gen. 3:4) [it. ‘invece il serpente disse ancora alla donna’]; inoltre, i nomi comuni che personificano certe situazioni, oggetti ecc.: “Veti fi cà nisce ḍzei cunoscênd Binele şi Rĕul” (Gen. 3:5) [it. ‘Sarete come dèi e conoscerete il Bene e il Male’]; Diluviu (HELIADE) [it. ‘Diluvio’], cf. potop (MICU – Gen. 10:32) [it. ‘diluvio’]; “Angelul lui Dumneḍzeu” [it. ‘l’Angelo di Dio’], cf. “îngerul lui Dumnezeu” (MICU – Eso. 3:2) [it. ‘l’angelo di Dio’].

(b) La t r a d u z i o n e. Le difficoltà relative all’analisi dei nomi propri biblici romeni sono dovute anche al fatto che molti di questi nomi sono stati resi equivalenti al materiale linguistico della lingua in cui si traduce. A questo proposito, “la Vulgate a traduit ces noms propres en latin, comme si c’étaient des noms communs, cas qui se présente plusieurs fois”57. La stessa Vulgata traduce Congregans ‘collectionneur’ (Prov. 30:1) invece di ’āgūr58,

Cuza”, Iaşi 1988, pp. 47-105: 48. 56 ANANIA 2001 riporta in una nota esplicativa, la seguente annotazione: letteralmente, “în

luna celor noi” [it. ‘nella luna dei nuovi’]; nel Testo Ebraico “în luna Abib” [it. ‘nella luna Abib’], che va tradotto “în luna spicului” [it. ‘nella luna della spiga’].

57 F. VIGOUROUX, op. cit., p. LXI. 58 ‘Preso a nolo, mercenario’, in HERBERT HAAG et al., op. cit. Nelle edizioni moderne della

Bibbia in romeno, Agur; nella BIBB. 1688 e MICU ciò manca, in VULG. BLAJ è redatto con fiiului borâtoriu.

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considerato dalla maggior parte dei traduttori un ‘nome simbolico’59 del re Salomone, come pure quello di Ecclésiate (ebr. Kôhéleṭ).

La stessa situazione si presenta anche nel caso di molti toponimi tradotti nell’edizione della Vulgata, ad esempio lat. Planctus Ægypti è tradotto in romeno Plângerea Eghipetului [it. ‘il Pianto dell’Egitto’], cf. ebr. ’abêl misraïm (Gen. 50:11) = rom. Plângerea Eghipetului (BIBB. 1688, VULG. BLAJ, MICU) [it. ‘il Pianto dell’Egitto’], ripreso sia dal gr. Pevnqo" Aijguvptou, sia dal lat. Planctus Aegypti. Una variante vicina al testo ebraico Abelŭ-Miţraimŭ = rom. Jalea Egiptenilorŭ [it. ‘il Lamento degli Egizi’], è proposta da BRIT. 1874. HELIADE utilizza l’equivalente italiano doglio, rom. Doliul Egyptului.

Anche se tradotta da un’edizione della Settanta apparsa ad Atene nel 1843, per quanto riguarda la traduzione dei nomi propri, la Bibbia di Ion Heliade Rădulescu (1858) presenta degli elementi distintivi. Esperto della corrente latinista,

“Heliade, fedele ai principi teoretici esposti nel Paralelism e nel Vocabular de vorbe străine, abbia sostituito con parole italianizzate le voci di origine non latina e tanti costrutti rumeni che gli sembravano più distanti dallo spirito italiano e latino”60.

In questo senso, Heliade diceva che fra victorie e biruinţă bisogna sempre

scegliere la prima parola perché la seconda deriva da bir che vuol dire ‘fare qualcuno tributario’, mentre non sempre una vittoria porta con sé il tributo. Anche se ammette che la principale fonte per la traduzione della Bibbia è la Settanta, Heliade traduce una parte dei nomi propri attraverso prestiti neologici dal latino:

Gen. 26:20 – “Şi au numit numele fântânei Strâmbătate” (BIBB. 1688, MICU) [it. ‘E hanno chiamato il nome della fontana Ingiustizia’], invece in HELIADE viene utilizzato il termine Injustitia, cf. lat. Calumniam (VULG.);

Gen. 26:21 – “şi au săpat altă fântână [...] şi au numit numele ei Vrajbă” [it. ‘E hanno scavato un’altra fontana [...] e l’hanno chiamata Inimicizia] in MICU e BIBB. 1688, invece Inimicitia (HELIADE), cf. lat. Inimicitias (VULG.);

Gen. 26:22 – “au numit numele ei Lăţime” (MICU e VULG. BLAJ) [it. ‘L’hanno chiamata Larghezza’], cf. Lărgime de loc (BIBB. 1688) [it. ‘Larghezza di luogo’], ma Latitudine in HELIADE, cf. Latitudo (VULG.);

59 Cf. אגור ‘nome d’un saggio’, in F. SCERBO, Lessico dei nomi propri ebraici del Vechio Testamento

con interpretatione del significato etimologico, Supplemento al Dizionario Ebraico dello stesso autore, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1913, p. 4.

60 CARLO TAGLIAVINI, “Un frammento della lingua rumena nel secolo XIX. L’etalianismo di Ion Heliade Rădulescu”, in Publicazioni dell’“Istituto per l’Europa Orientale” – Roma, Prima serie Letteratura-Arte-Filosofia, X, Anonima Romana Editoriale, Roma 1926, p. 38.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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Gen. 12:6 – Valea Luminoasă [it. ‘la Via Luminosa’] (VULG. BLAJ), cf. lat. Ad convallem illustrem (VULG.), nome tradotto “stejeariul cel înalt” [it. ‘l’alta quercia’] in MICU, cf. gr. thVn dru~n thVn uJyhlhvn (SETT. 1507, SETT. VEN.), invece “querrul (stejăretul) înalt” [it. ‘l’alto bosco quèrcino’] in HELIADE, cf. lat. Quercus Sessiliflora.

Analizzando le traduzioni in latino del testo sacro, in un lavoro sul latino della Bibbia61, Cesera-Gastaldo precisa che il nome proprio Eden, dall’ebraico ‘ēden (Gen. 2:25), è tradotto in Vulgata, per motivi di omofonia, tramite un nome comune, paradiso, cf. gr. paravdeiso", ridando così il senso etimologico italiano di ‘delizia, piacere’. La stessa osservazione riguarda anche la sostituzione del nome proprio Adamo, gr. *Adam [ebr. ’ādām], con ‘uomo’ (Gen. 2:26)62. Le edizioni romene, tanto quelle tradotte dopo la Vulgata, quanto quelle tradotte dopo la Settanta non sostituiscono i nomi di Eden o Adamo [rom. ‘Adam’] con il loro senso etimologico.

Inoltre, il trattamento dei nomi biblici nel processo della traduzione è stato oggetto di preoccupazione per i traduttori, nonché per coloro che si sono occupati della diortosi delle edizioni del testo sacro o per gli iniziatori di alcune edizioni di testo che hanno presupposto la trascrizione in latino dei nomi propri scritti in cirillico.

Così nell’introduzione dell’ABP63, esiste un capitolo speciale dedicato alla traduzione dei nomi propri biblici che mette in risalto, sin dall’inizio, il fatto che la pronuncia dei nomi propri biblici è una ‘scienza inesatta’. Quindi, se ciascun nome proprio fosse stato traslitterato, non esisterebbe alcuna confusione, ma non è qui il caso:

“Hebrew names translated into Greek have taken on their own identity, and therefore names have been spelled and pronounced differently from the original, as they are not all transliterations of the Hebrew, or English transliterations from the Greek. For example, the Hebrew name Yeshua has been transliterated into Ιησους, pronounced ‘ee-ee-sous’ in Greek, but from Greek to English Ιησους is translated both Joshua and Jesus”.

(c) I n o m i p r o p r i n e l l e g l o s s e m a r g i n a l i. Un altro

61 ALDO CESERA-GASTALDO, Il latino delle antiche versioni bibliche, Edizione Studium, Roma

1975, p. 41 sgg.: Vetus Latina (la versione latina antica conservata nei testi africani ed europei), Vulgata (la versione latina tradotta da Gerolamo dall’ebraico), Settanta (la versione in greco del Vecchio Testamento), Biblia Hebraica Stuttgartensia (la traduzione del testo ebraico); cf. anche SAMUEL BERGER, Histoire de la Vulgate pendant les premiers siècles du Moyen Âge, Hachette et C.ie, Paris 1893 e EUGEN MUNTEANU, Lexicologie biblică românească [Lessicologia biblica romena], Humanitas, Bucureşti 2008.

62 Ibidem, p. 46. 63 ABP, op. cit., p. X.

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fenomeno incontrato nella traduzione dei nomi propri è la loro introduzione in un glossario esegetico-esplicativo oppure lessicale. L’analisi delle diverse traduzioni bibliche romene, più o meno circoscritte ai secoli che contrassegnarono l’inizio del fenomeno della volgarizzazione del testo sacro, dal punto di vista dei nomi propri, può aiutare l’edificazione del fenomeno del glossario in relazione all’attività di traduzione.

Le glosse sono note lessicali ed esplicative-esegetiche inserite al margine, secondo il modello del testo occidentale della Vulgata, e più tardi della Settanta, edite nell’ambiente protestante. Queste potevano essere inserite durante le successive revisioni dello stesso testo, confrontato col testo latino, slavo o con altre traduzioni64. Nella prima edizione completa del Nuovo Testamento in rumeno (NTB 1648) esiste, su ogni pagina, uno spazio per i rimandi ad altri capitoli o versetti della Santa Scrittura. Questi spazi erano utilizzati inoltre anche per la spiegazione di alcune parole straniere (in latino, greco, ungherese, slavo ecc.) o per la spiegazione – tramite sinonimi – di alcune parole poco veicolate in romeno, ma anche per alcuni commenti (esegesi). Le glosse rappresentano un aiuto importante per i filologi, poiché attraverso di esse possiamo conoscere il metodo di lavoro dei traduttori e troviamo precisazioni riguardo alle fonti. Nel caso NTB 1648, queste note marginali confermano che i traduttori hanno utilizzato l’originale in greco65: Decapolia = rom. ‘noi zicem 10 oraşe’ [it. ‘noi diciamo 10 città’], Tavita = rom. “greceşte Dorcas” [it. ‘in greco Dorcas’], Mercurie = rom. “Ermiia”, Diana = rom. “în greceaşte Artemida, dumnedzoaia Asiei” [it. ‘in greco Artemida, Dea dell’Asia’], Betfaghiia = rom. “ce se zice Casa Izvorului” [it. ‘che si chiama la Casa della Sorgente’], Iupiter = rom. “greceaşte, Diapon”

64 VALENTINA POLLIDORI, “La glossa come tecnica di traduzione. Diffusione e tipologia nei

volgarizzamenti italiani della Bibbia”, in LINO LEONARDI [a cura di], La Bibbia in italiano tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale Firenze, Certosa del Galuzzo, 8-9 novembre 1996, Sismel Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, pp. 93-118: 97.

65 In loro riferimento, in Momente din evoluţia limbii române literare [Momenti nell’evoluzione della lingua romena letteraria], Editura Didactică şi Pedagogică, Bucureşti 1973, p. 36, alle fonti delle prime traduzioni in romeno della Bibbia di Transilvania, GABRIEL ŢEPELEA e GH. BULGĂR, indicano che: “O traducere trebuie să plece de la izvor; izvorul este pentru Noul Testament limba greacă în care au scris evangheliştii, iar pentru Psaltire limba ebraică în care au fost scrişi psalmii” [‘Una traduzione deve partire dalla fonte; la fonte per il Nuovo Testamento è il greco in cui hanno scritto gli Evangelisti, e per il Salterio, l’ebraico in cui sono stati scritti i salmi’]. Si veda anche MIRCEA PĂCURARIU, “Simion Ştefan”, in Noul Testament. Tipărit pentru prima dată în limba română la 1648 de către Simion Ştefan, Reeditat după 340 de ani din iniţiativa şi purtarea de grijă a sfinţitului Emilian, episcop al Alba Iuliei [Il Nuovo Testamento. Stampato per la prima volta in lingua romena da Simion Ştefan, rieditato a distanza di 340 anni su iniziativa e a cura del rev.mo Emilian, vescovo di Alba Iulia], Bucureşti 1988, pp. 1-67: 66.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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[it. ‘in greco, Diapon’], Tessalonic = rom. “Solun” [it. ‘Tessalonica’]. A volte, i nomi sono spiegati nelle note a margine (il caso del MS. 438966):

il choronimo Eláda (1 Macc. 1:2) è spiegato con un termine romeno corrispondente, probabilmente più conosciuto, Ţara Grecească [it. ‘il Paese Greco’]; Asarimoth (1 Macc. 4:15) è spiegato in una glossa con: u lat. = rom. “în izvodul latinesc” [it. ‘nel testo latino’]: Ghezeron. Al contrario, quando nel testo compare solo il nome Ţara Ovreiască (1 Macc. 5:8) [it. ‘il Paese Ebraico’], nelle note compare Iúda; Persida (1 Macc. 6:5) [it. ‘Persia’], cf. gr. Persivda (FRANKF.), sl. persíd™ (OSTROG) è ‘spiegato’ nelle glosse marginali Ţara Cazâlbăşască; Antioh Epifan (1 Macc. 10:1) è redatto in MS. 4389 Antioh trúfaşul [it. ‘Antioh l’altezzoso’] (cf. DA67 lat. trufa < gr. trufhV) invece in un’altra glossa è spiegato con Epifánis (la traslitterazione della forma in greco jEpifanhV" ‘grandioso, glorioso’), Nóbilis (cf. lat. “Antiochi filius, qui cognominatus est Nobilis”). La nota del copista del MS. 4389 indica che egli abbia preso in considerazione anche una traduzione in latino della Bibbia.

2.3.1. Traduzione letteraria vs. traduzione dinamico-interpretativa dei nomi biblici Nonostante i risultati positivi ottenuti nel campo della teoria e della pratica riguardanti la traduzione del testo sacro, questo non può essere mai completo o assolutamente equivalso al testo originale. Il volume delle perdite, nonché la loro diversità, dipendono in gran parte dall’avvicinamento o dall’allonta-namento tra la lingua fonte e la lingua bersaglio a seconda del tipo di traduzione affrontato: traduzione letterale oppure dinamico-interpretativa.

Uno dei pionieri nel campo della traduzione della Bibbia, Eugene Nida, parla di due tipi di trasposizione del testo sacro dalla lingua dei testi originali in un’altra lingua:

(a) e q u i v a l e n z a f o r m a l e (traduzione letterale, ad verbum) quando il testo è trasferito word-for-word, essendo orientato esclusivamente

66 Una traduzione compiuta nella seconda metà del XVII secolo probabilmente da Daniil

Andrean Panoneanul secondo la Bibbia di OSTROG (1581) e un’edizione latina della Bibbia (Anvers 1565). Per dettagli, si veda VIRGIL CÂNDEA, Raţiunea dominantă. Contribuţii la istoria umanismului românesc [La Ragione dominante. Contributi alla storia dell’umanesimo romeno], Editura Dacia, Cluj-Napoca 1979, pp. 78, 118-119 e N.A. URSU, “Activitatea literară necunoscută a lui Daniil Andrean Panoneanul, traducătorul Îndereptării legii (Tîrgovişte, 1652)”, in Contribuţii la istoria culturii româneşti în secolul al XVII-lea. Studii filologice, Cronica, Iaşi 2003, pp. 7-133.

67 Dicţionarul limbii române (DA), Serie vecchia, 1906-1944, Serie nuova, Editura Academiei Române, 1965 ecc.

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alla fonte della traduzione e quindi alla riproduzione fedele della forma e del significato della stessa:

“[...] an Formal-Equivalence translation attempts to reproduce several formal elements, including: grammatical units, consistency in word usage and meanings in terms of the source context”.

(b) e q u i v a l e n z a d i n a m i c a (traduzione interpretativa, ad sensum),

quando il testo è reinterpretato, essendo orientato verso la lingua del ricevente del messaggio, e non verso la lingua fonte dello stesso:

“[...] a Dynamic-Equivalence translation is not merely another message which is more or less similar to that of the source. It is a translation, and such must clearly reflect the meaning and intent of the source” 68.

Anche se in realtà ciascuna traduzione è sia letterale sia dinamica,

variando soltanto il grado di considerazione dell’una o dell’altra, secondo Bertalot il secondo tipo di traduzione, quella dinamico-interpretativa, presenta alcuni vantaggi rispetto al primo tipo di traduzione: (1) la priorità della coerenza testuale rispetto alla coerenza verbale; (2) la priorità della forma orale del linguaggio rispetto a quella scritta; (3) la priorità delle forme familiari al ricettore a sfavore delle forme tradizionali, più prestigiose69. La prima è attinente alla linguistica, le altre riguardano la prospettiva socio-culturale. Quindi, per indicare che Rama (Eso. 10:29-30) non è una persona, bensì una località, la traduzione di tipo dinamico-interpretativo predilige il sintagma ‘villaggio di Rama’ (si veda supra). Ancor di più Bertalot considera che là dove i nomi propri non indicano niente al lettore moderno e ciò è necessario per l’economia della comprensione del messaggio del testo, come nel frammento “dall’ingresso di Camat fino alla torrente dell’Araba” (Amo. 6:14), questi nomi devono essere spiegati: “dal passo di Camat a nord, fino alla valle del torrente dell’Araba, a sud”70.

Altre volte, specialmente nel Vecchio Testamento, “il senso etimologico sostituisce la forma originale (ebraica) del nome”, soprattutto nel caso dei 68 EUGENE A. NIDA, Towards a Theory of Translating. With Special Reference to Principles and

Procedures Involved in Bible Translating, E.J. Brill, Leiden 1964, pp. 165-182. 69 VALDO BERTALOT, Tradurre la Bibbia. Problemi di traduzione della Bibbia Ebraica, Editrice

Elle Di Ci, Torino 1980, p. 48. CARLO BUZETTI e CARLO GHIDELLI – in “La traduzione della Bibbia nella chiesa cattolica”, in IDEM (a cura di), La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, pp. 41-91: 69 –, ritengono che una traduzione ottima debba spiegare i nomi necessari per la comprensione del testo.

70 Cf. IDEM, “Traduzione interconfessionale dell’antico in lingua italiana corrente” in op. cit., pp. 60-61.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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toponimi. Quindi, in Gen. 16:14 abbiamo Puţul-Celui-ce-Vieţuiaşte-şi-mă-vede, cf. lat. Puteum viventis & videntis me (VULG.); Fântână, înaintea căriia am văzut (BIBB. 1688, MICU) [it. ‘la Fontana davanti alla quale ho veduto’], cf. gr. frevar ou| e'nwvpion (FRANKF., SETT. 1709); Puṭul quăruia înainte’mi vĕduiu (HELIADE) [it. ‘il Pozzo nel quale mi sono veduto’]. BRIT. 1874 ridà il senso etimologico tra parentesi, dopo aver riprodotto la forma traslitterata del nome: “Lahaï-Roï (fôntâna celuĭ viŭ, care mĕ vede)” [it. ‘il pozzo del vivente e del vedente’].

Il termine ‘traduzione’ ha più accezioni rispetto a quelle presentate prima (cf. traduzione letterale vs. traduzione interpretativa). A questo proposito, specificando che gli antroponimi, rispetto ai toponimi o ad altri tipi di nomi (di imprese, periodici ecc.), sono più conservatori in materia di traduzione, Elman considera che non è possibile risolvere in modo uniforme il problema della traduzione dei nomi propri:

“Le lecteur tchèque connaît Jean Christophe (Jan Kryštof) [...], mais Tom Sawyer (sans traduction). Les personnages historiques sont connus sous la forme traduite […], mais même ces noms subissent la loi du changement: dans l’Ancien Testament, Prophétie de Jérémie, nous trouvons le récit de Nabuchodonosor (en tchèque Nabuchodonozor), roi de Babylone. Dans les texts actuels tchèque nous trouvons le roi Nabukadnezar”71.

Secondo lo stesso autore, i nomi propri possono essere tradotti, trascritti

o modificati. Nel caso della trascrizione si deve fare la differenza tra la trascrizione e la traslitterazione:

“Dans le cas de la transcription nous transcrivons le nom par un autre système, dans le cas de translittération nous transcrivons chaque lettre d’un système graphique par la lettre d’un autre système de sorte qu’on peut faire la transcription en sens inverse (entre alphabets cyrillique et latin) […]. Dans le cas des langues qui n’emploient pas l’alphabet latin, nous transcrivons les noms de façon à rendre la prononciation d’origine”72.

2.3.2. Le accezioni del termine ‘traduzione’ In sintesi, il termine ‘traduzione’ ha, nel caso dei nomi propri biblici, diverse accezioni73. Nonostante ciò, non esiste una teoria ben articolata riguardo a 71 JIŘI ELMAN, “Le problème de la traduction des noms propres”, in Babel, n. 1, 32 (1986),

pp. 26-30: 28. 72 Ivi. 73 E. PULGRAM, op. cit., p. 48: “The formal criteria of distinction between names and non-

names are not the same in all languages. But, for the purpose of describing one certain language, they are perfectly valid and sufficient, and they obviously are significant for the

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questo fenomeno. In seguito, ci proponiamo, di definire ogni accezione del termine ‘traduzione’, con riferimento ai nomi propri biblici.

(1) La t r a s l i t t e r a z i o n e. La traslitterazione e la trascrizione dei nomi propri, essendo due metodi fino ad un certo punto similari, spesso sono considerati sinonimi oppure sono oggetto di confusione. Ad esempio, Vroonen dà una definizione della ‘traslitterazione’, parlando nella stessa misura della trascrizione fonetica e dell’equivalenza ‘lettera per lettera’:

“La translittération est le procédé qui consiste à transcrire dans une langue determinée des mots étrangers et, plus particulièrement en anthroponymie, les noms propres écrits en caractères alphabétiques différents”74.

In questo senso, la trascrizione (l’equivalenza fonetica nei caratteri

corrispondenti alla lingua utilizzata per la traduzione) e la traslitterazione (l’equivalenza formale nei caratteri corrispondenti alla lingua utilizzata per tradurre) sono considerati similari.

Secondo l’accezione di Catford75 la t r a s l i t t e r a z i o n e presuppone la sostituzione di ciascun grafema appartenente ad un certo sistema con un grafema di un sistema grafico diverso: Hanaan (VULG. BLAJ, MICU), cf. gr. Canaavn (SETT. 1507); Cadis-Varni (BIBB. 1688), cf. Kavdh" Barnhv (SETT. VEN.); gr. ’Isavcar (FRANKF.76), cf. Isahar (BIBB. 1688, MICU), lat. Issachar (VULG. 1587), ripreso invariato, Issahar (VULG. BLAJ), Issachar (HELIADE). Il passaggio dall’ebraico al romeno (nelle edizioni che hanno alla base particolarmente il testo ebraico, come ad esempio BRIT. 1874 e BIBB. 1836), presuppone la redazione vocalizzata di una scrittura consonantica. Quindi, nel caso dei nomi propri romeni presi dall’ebraico, non si può parlare di traslitterazione, ma di trascrizione77.

(2) La t r a s c r i z i o n e. Nel caso della trascrizione dei nomi propri, le

speaker”. 74 EUGENE VROONEN, Les noms des personnes dans le monde. Anthroponymie universelle comparée,

Éditions de la Librairie Encyclopedique, Bruxelles 1967, p. 221. 75 J.C. CATFORD, A Linguistic Theory of Translation. An Essay in Applied Linguistics, Oxford

University Press, London 1965, p. 68. A nostro parere, si tratta dell’unico studio che offre una spiegazione pertinente e ben argomentata circa il concetto di ‘traduzione’ nelle sue tre accezioni.

76 WALTER ARTHUR COPINGER, The Bible and Its Transmission. An Historical and Bibliographical View of the Hebrew and Greek Texts [...], Martino Publishing, Mansfield 2002 [Prima edizione: London 1897], p. 94: “This edition [la Settanta di Frankfurt, 1597] was republished by Nicolas Glych or Dulcis at Venice in 1687, with a Greek preface or dedication to John Serbanus Cantacuzenus”.

77 Per la trascrizione dei nomi propri ebraici nel testo greco della Settanta, si veda ALEXANDER SPERBER, “Hebrew based upon Greek and Latin transliterations”, in Hebrew Union College Anual, XII (1937), pp. 103-274.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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unità grafiche sono correlate con quelle fonologiche. Mentre la traslitterazione è un procedimento attraverso il quale viene ridata la forma grafica originale, attraverso la trascrizione, le unità grafiche ricevono certi valori fonetici che sono ridati formalmente.

Nel caso della trascrizione dell’a c c e n t o, il fatto che il romeno non conosce un accento fisso (come il francese, il ceco, l’ungherese ecc.) spiega certe tendenze nell’accentuazione dei nomi propri. Inoltre, è possibile evidenziare una mancanza di consequenzialità nell’annotazione dell’accento, sia nella stessa edizione, sia in edizioni differenti: Pentefrí (MS. 45), Pentéfri (BIBB. 1688), Pentefrii (MS. 4389); Réveca (BIBB. 1688), Revéca (MS. 45); Lévi (BIBB. 1688), Leví (MS. 45); Arávia (Ms. 45), Aravía (BIBB. 1688); oppure nello stesso testo: Eghípet, Eghipet, Eghipét (BIBB. 1688) ecc.

Nonostante si parli di una “relativa preferenza del romeno per l’accento parossitono (cioè sulla penultima sillaba)”78, nei testi biblici romeni incontriamo un’oscillazione tra:

– il modo greco di mettere l’accento (quando l’accento cade sulla penultima sillaba): Ptolemaída (gr. Ptolemaivda), Chilichía (gr. Kilikiva), Siría (gr. Suriva), Aravía (gr. ’Arabiva), Ionáthan (gr. jIonavqan);

– il modo latino (dove l’accento cade sull’antipenultima sillaba): Mesopotámiia, Ethiópiia, Asíria, Síria (VULG. BLAJ);

– testi in cui i due modi sono abbinati: Menélau e Meneláu (MS. 4579), Síriei e Siríei (MS. 4389) ecc.

Nel caso dei toponimi che finiscono in ‘-a’ e ‘-ia’ come, ad esempio, Iduméia (MS. 45), Vethsúra (MS. 45), Efrátha (BIBB. 1688), Chilichía (MS. 45) Siría, Ahaía, Lidía, Frighía ecc., la forma greca si mantiene fino al secolo XIX quando sarà sostituita da quella latina. Nell’edizione critica MICU e nella VULG. BLAJ. l’accento dei nomi propri non viene trascritto.

Nella trascrizione dei nomi dall’alfabeto cirillico in romeno compaiono alcuni problemi circa l’equivalenza, poiché ciascuna lettera dello slavo può avere più valori fonetici. Elman segnala, ad esempio, il fatto che in ceco la ‘k’ russa può derivare dalla trascrizione delle lettere latine: ‘k’, ‘c’, ‘ck’, ‘qu’, ‘x’80.

Inoltre, nello studio introduttivo dell’edizione MICU si parla di alcune oscillazioni in materia di trascrizione dei nomi propri che sono state corrette, poiché considerate errori di stampa secondo il manoscritto autografo. In questo senso, secondo il manoscritto, Lomim (Gen. 25:3) è 78 THEODOR HRISTEA, “Tendinţe în accentuarea numelor proprii” [Tendenze nell’accentu-

azione dei nomi propri], in România literară, n. 30, 12 (1979), p. 9. 79 La prima traduzione completa della Bibbia in lingua romena (*1661-1664) realizzata da

Nicolae Milescu dopo la Settanta, parzialmente rimasta in manoscritto. Si veda V. CÂNDEA, op. cit., pp. 114-135.

80 J. ELMAN, op. cit., p 28.

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trascritto Laomim, Air´ (Gen. 35:26) è trascritto Asir e Matenka (Nu. 33:28) è trascritto Mateca ecc. Altri nomi sono stati corretti secondo la versione dei Settanta (1709) che fu utilizzata come fonte principale nella traduzione della Bibbia di Blaj: il nome Pees®an (4 Re 18:4) è trascritto Neestan (gr. Neesqavn) e Pamna (Gios. 15:57) è trascritto Tamna (gr. Qamnaqa ’).

Sotto l’influenza della Settanta che, nella maggior parte dei casi, si trova alla base delle traduzioni della Bibbia in romeno, i nomi propri sono stati trasmessi soprattutto nella forma del fonetismo medio-greco, anche se alcuni di essi sono stati trascritti tenendo conto della fonte latina.

(a) La ‘b’ ebraica, ridatta in greco antico con ‘b’ e in latino con ‘b’, è ridatta in rumeno con la ‘v’: Vethil, Moav, Horiv, Aravia, Livan, Esevon, Lovon, Vasan, Iacov (BIBB. 1688 e sgg.), cf. gr. LoboVn, CwrhVb, *EsebwVn, !Araba, Livba, MoaVb, *IakwVb (SETT.);

Gen. 12:8 – Vetil (MICU), cf. gr. Baithvl (SETT.); Viftil (VULG. BLAJ); invece HELIADE mantiene la scrittura latinizzata, Baethel, cf. lat. Bethel (VULG.);

Gen. 25:26 – Iacov (BIBB. 1688 e sgg.), invece Iacob (BRIT. 1874), traduzione effettuata a partire dal testo ebraico.

(b) ‘Eu’ greco è redatto sia con ‘ey’, ‘ev’, ‘ef’, sia ‘u’ (ypsīlon), trascritto tale e quale:

Gen. 15:18 – “rîul cel mare al Eufratului” [it. ‘il grande fiume dell’Eufrate’] (MICU), cf. *Eufravtou (SETT.) e Eufratim (VULG. BLAJ), invece Efrat (BIBB. 1688);

1 Macc. 11:7 – Elefther, cf. elefñer (OSTROG) > gr. ’Eleuqevrou (SETT.), invece Elevter (BIBB. 1936).

(c) ‘Au’ greco è redatto per mezzo di ‘av’ o ‘ay’: Gen. 14:24 – Avnan (BIBB. 1688, MICU) presenta il fonetismo gr. *Auna~n

(SETT. 1704), invece Aynan in HELIADE; Gen. 11:18 – JRagau` (SETT.) è trascritto Ragav (BIBB. 1688, MICU e sgg.),

Ragáva (in MS. 4389, dallo sl. raga’’va), invece Ragau in HELIADE. (d) ‘q’ greco (rispettivamente ‘®’ slavo) è trascritto tramite ‘th’ o ‘t’. In

questo modo, il greco ShVq (SETT.) è trascritto Seth (HELIADE), Sith (VULG. BLAJ), e Set (MICU). Si’®´ (BIBB. 1688) è trascritto dal cirillico in alphabeto romeno Sith (MLD I). Le traduzioni che hanno avuto alla base anche il testo slavo della Bibbia presentano, per quanto riguarda i nomi propri, una modifica specifica della lingua slava: la trascrizione di ‘Ï’ con ‘ft’ o ‘f’: 1 Macc. 3:32 –“[rîul] Efraftului” [it. ‘[il fiume] Eufrate’] (MS. 45).

Redando la ‘q’ esclusivamente con ‘th’ (Thobel, Iapheth, Thergamà, Thara), HELIADE si distanzia dalla grafia tradizionale della BIBB. 1688 (Tovel, Iafet, Torgama, Tara) affermando che:

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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“În toată limba noastră nu găsim o zicere care să coprinză pe acest ‘q’, ba încă deşi avem în limba noastră vreo vorbă împrumutată de la greci care să aibă în sine pe ‘q’, românii nu-l citesc decât ca pe ‘t’, sau cari voiesc să se pocească, aceia îl citesc ‘ft’”81.

(e) HELIADE ridà una serie di nomi (Moysi, Babylon, Sychem, Egypt, Aynan,

Symobor, Symeon ecc.) con yod (‘y’), conservata nella grafia latina classica, nelle parole prese in prestito dal greco82:

“Le ‘y’ delle parole prese in prestito dal greco è stata molto spesso conservata nell’ortografia del latino [...]. Negli imprestiti più antichi la ‘y’ è stata resa con ‘u’, se si tratava di una ‘y’ breve [...]. In epoca più tarda, quando la ‘y’ nella pronuncia greca si era andata avvicinando ad una ‘i’, questo suono venne sostituto normalmente da ‘i’: cf. grillus (gruvllo") a fianco della grafia gryllus, più frequente”83.

(f) HELIADE, a differenza delle altre edizioni della Bibbia, ridà la ‘c’ greca

con la grafia latinizzata ‘ch’84: Lamech (VULG., HELIADE), cf. Lameh (BIBB. 1688, MICU); Enoch, cf. Enoh; Cham, cf. Ham; Mosoch, cf. Mosoh; Chus, cf. Hus; Orech, cf. Oreh; Archad, cf. Arhad; Chalach, cf. Halah ecc. Nelle parole latine prese in prestito dal greco, ‘q’, ‘f’, ‘c’ sono state trascritte nelle vecchie iscrizioni latine tramite ‘t’, ‘f’, ‘c’ e pronunciate tali e quali. Dal 150 a.C., invece, hanno cominciato ad essere rappresentate con ‘th’, ‘ph’, ‘ch’85.

(g) Anche se l’attività di monottongare ‘ae’ in ‘e’ è un fenomeno precoce nel latino volgare86, HELIADE mantiene il gruppo ‘ae’ presente nella grafia della Vulgata: Aenemetiimi, invece enemetiiani (BIBB. 1688 e sgg.); Aelam, cf. Elam; Baethel, cf. Vetil.

(h) HELIADE ridà la ‘f’ greca tramite ‘ph’, come in latino (Phud, Iapheth,

81 I.H. RĂDULESCU, Scrieri lingvistice [Scritture linguistiche], Edizione di Ion Popescu-Sireteanu,

Editura Ştiinţifică, Bucureşti 1973, p. 50 – [‘In tutta la nostra lingua non troviamo un detto che riproduca questa q, ancor di più nonostante il fatto che nella nostra lingua siano presenti alcune parole prese in prestito dai greci e che contengano la q, i romeni la leggono come t, o coloro che vogliono denaturarsi, leggono tale lettera come ft’].

82 Cf. abys (HELIADE) dal lat. abyssus. 83 GERHARD ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Fonetica, traduzione

di Salvatore Persichino, Giulio Einaudi editore, Torino 1966, p. 69. 84 Si veda anche I.H. RĂDULESCU, op. cit., p. 190. 85 CARL DARLING BUCK, Comparative Grammar of Greek and Latin, The University of Chicago

Press, Chicago 1952 [Prima edizione, 1933], p. 119. 86 G. ROHLFS, op. cit., p. 68: “La riduzione di ‘ae’ ad ‘e’ nella lingua latina volgare è docu-

mentata fin dal tempo di Plauto”; AL. ROSETTI, Istoria limbii române de la origini până în secolul al XVII-lea [La storia della lingua romena dalle origini al XVII secolo], Editura Pentru Literatură, Bucureşti 1968, p. 230: “[...] questa grafia è applicata, da persone semicolte, alle parole che hanno conosciuto il dittongo”.

Ana-Maria Gînsac 96

Phaleg, Pharaon e Pharaóna, invece Fud, Iafet, Falec, Faraon in BIBB. 1688 e sgg.), anche se il trattamento spirante (‘f’) è generalizzato sin dall’inizio dell’epoca cristiana87.

(i) Sempre a HELIADE, la scrittura del grupo greco ‘gg’ è oscillante. In questo modo, gr. *AggaiV appare tanto traslitterato (‘-gg-’) Haggai (Gen. 12:8), quanto trascritto (‘-ng-’) Hangai (Gen. 13:3), invece solo Anghe in MICU e BIBB. 1688.

(3) La t r a d u z i o n e. Mentre la traslitterazione e la trascrizione sono modalità di trasferimento basate sulla forma, la loro traduzione presuppone l’equiparazione con materiale linguistico della lingua bersaglio, sia in un modo descrittivo (con la restituzione del senso etimologico), sia attraverso un nome proprio già esistente per l’individuo designato (Persida / Ţara Cazâlbăşască, dal tc. Kazyl-baš ‘testa rossa’ (DA).

Un numero consistente di nomi sono tradotti dall’ebraico o da altre lingue semitiche in greco e da qui sono riprese in romeno tramite la Settanta o la Vulgata:

“La capacité du grec à former des mots composés est infinie et elle a donné à la pensée un extraordinaire outil d’abstraction. Le premier pas, – mais le seul, c’est vrai – avait été fait par ces sémites qui désignaient presque toujours lieux et personnes d’un mot composé de deux éléments étroitement soudés au point du former un ensemble stable, ensemble dont le contenu sémantique dépassait la valeur des éléments constituants. Dieu combat: ces deux mots associés énoncent un jugement. Cela se dit en hébreu Israël... Toutes les fois où un sémite prononçait cet mot composé, au-delà de l’énoncé théologique, il définissait un peuple dans sa nature, ses actes et toute son histoire”88.

Solitamente vengono tradotti i toponimi (vedi anche supra): Gen. 14:8 – Valea cea Sărată (MICU) [it. ‘la Valle Salina’], Valea Sărată

(BIBB. 1688) [it. ‘la Valle Salata’], cf. gr. th~/ koilavdi th~/ a&lukh/ (FRANKF.); Valea Sălvatecă (VULG. BLAJ) [it. ‘la Vale Selvatica’], vallea Sărată (HELIADE) [it. ‘la valle Salata’], cf. lat. valle Sylvestri (VULG.) [it. ‘la valle Silvestre’];

Gen. 11:9 – “cetatea Confusiŏ” (HELIADE) [it. ‘la cittadella Babele’], con la ‘o’ latina corta, cf. “s-au chemat numele locului aceluia Mestecare, că acolo au amestecat limbile a tot pământul” [it. ‘e chiamarono quel luogo Mestecare, poiché là hanno mescolato le lingue di tutto il mondo’] (BIBB. 1688, MICU).

87 Ivi. 88 JEAN BERNARDI, “Anthroponymes et toponymes grecs d’origine semitique”, in Sens et

pouvoirs de la nomination dans les cultures hellénique et romaine. Actes du colloque de Montpellier, 23-24 mai 1987, Textes recuellis et présentés par Suzanne Gély, Publications de la recherche – Université Paul Valéry, Montpellier 1988, pp. 71-84: 83.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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A volte, ad esempio Gen. 14:7, la traduzione del nome è presentata come una spiegazione del nome traslitterato, accanto al quale compare: “Fânâtâna Judecăţii, aceasta easte Cadis” (MICU, HELIADE) [it. ‘la Fontana del Giudizio, questa è Cadis’]; “Izvorul Judecăţii, acesta iaste Cadis” (BIBB. 1688) [it. ‘la Sorgente del Giudizio, questa è Cadis’], cf. gr. “thVn phghVn th~" krivsew"·aujthV e*stiVn Kavdh"” (SETT. 1653) invece è trascritta “Izvorul Misfat, aceasta este Cadis” [it. ‘La Sorgente Misfat, questa è Cadis’] (VULG. BLAJ), cf. lat. “ad fontem Misphat, ipsa est Cades” (VULG.). Ad alcuni dei nomi biblici viene restituito, direttamente nel testo, il senso etimologico: Penuel = rom. ‘Faţa lui Dumnezeu’ [it. ‘il Volto di Dio’]; Avraam = rom. ‘Tatăl mulţimilor’ [it. ‘il Padre di una moltitudine di popoli’]; Samuel = rom. ‘Numele lui Dumnezeu’ [it. ‘il Nome di Dio’]; Babel = rom. ‘Poarta lui Dumnezeu’ [it. ‘la Porta del Dio’].

I diversi modi di ‘tradurre’ i nomi propri obbligano sempre più visibil-mente alla prescrizione di alcune norme precise e unitarie per l’equivalenza. Questo procedimento, anche se specifico per le attività riguardanti la trascrizione e l’edizione dei testi antichi, è sempre più presente, però, anche negli studi che precedono le nuove traduzioni della Bibbia. Tra i fattori che possono ostacolare un simile processo di unificazione delle norme fanno parte anche: (1) l’uso tradizionale della forma latina basata sulla traslitterazione della forma declinata e coniugata; (2) l’uso protestante della traslitterazione nelle lingue europee, soprattutto nell’inglese; (3) l’uso di alcune forme per segnare la diversità religiosa, utilizzate come ‘segni distintivi’; (4) la prevalenza delle lingue nazionali o parlate che hanno diversi sistemi di traslitterazione, il che impedisce la realizzazione di un sistema unitario; (5) l’avvicinamento o l’allontanamento dalle forme greche, ebraiche o latine del nome, in funzione delle fonti utilizzate dal traduttore89.

3. Conclusioni I motivi delle variazioni ortografiche e di ‘traduzione’ dei nomi propri in romeno sono quindi molteplici.

(1) I traduttori romeni hanno conosciuto di solito la forma dei nomi ebraici tramite le trascrizioni o le traslitterazioni delle traduzioni in greco, latino o slavo.

(2) La grafia diversa di ciascun traduttore è dovuta alla mancanza di un sistema ortografico unitario e alle successive traduzioni. Inoltre, la trascri-zione dei nomi propri dal cirillico nelle edizioni moderne del testo non 89 C. BUZETTI e C. GHIDELLI, op. cit., p. 57.

Ana-Maria Gînsac 98

segue norme unitarie, differenziandosi da un’edizione all’altra e, a volte, ci sono delle variazioni perfino nello stesso testo. Alcune edizioni del testo trascrivono gli accenti, mentre le altre no. E quando trascrivono gli accenti, questi non sono coerenti con il testo cirillico, perciò il ricercatore può essere indotto in errore.

(3) Nella Transilvania dei secoli XVII-XVIII, periodo al quale risalgono i primi tentativi di traduzione della Bibbia secondo regole precise, la scrittura in cirillico era in declino, come risultato della lotta per la rimozione dei caratteri cirillici dalla scrittura romena, come nel caso della Vulgata di Petru Pavel Aron (1760-1761) e della Bibbia di Samuil Micu (1795).

(4) La Bibbia di Bucarest (1688) rimane il principale punto di riferi-mento nel campo della traduzione del testo sacro in lingua romena. Ci si rifanno sia Samuil Micu, sia coloro che hanno ripreso, tramite quest’ultimo, la tradizione della traduzione sulla linea della Settanta (il Vescovo Filotei di Buzău, Andrei Şaguna ecc.). Anche se tra le fonti dei traduttori ci sono state integralmente o, a volte, parzialmente edizioni latine della Bibbia, i nomi propri trasferiti attraverso la traslitterazione e/o trascrizione sono stati ortografati, nella maggior parte, secondo la lettura medio-greca/slavone; forme quali Veniamin, Vartolomeiu, Gavriil, Efrem, Isaie, Irimie, Ieremie sono specifiche anche per la Vulgata di Blaj (1760-1761)90.

Riguardo ai nomi propri, le edizioni moderne – a partire da quelle della Società Biblica Britannica (1874) e continuando con quelle edite secondo la traduzione della Bibbia del 1936 (1944 e sgg.) – restano fedeli al testo ebraico. Se, ad esempio, le edizioni più antiche equivalgono i nomi propri (sulla base della Settanta e della Vulgata) con materiale linguistico specifico per il romeno, i testi più nuovi preferiscono la forma traslitterata di questi dall’ebraico.

Nonostante abbia tradotto la Bibbia seguendo il testo della Settanta, HELIADE fa appello alla Vulgata e trasferisce la maggior parte dei nomi propri direttamente dall’edizione latina (vedi supra).

(5) L’utilizzo di alcune fonti differenti nel processo di traduzione costituisce una delle cause della diversità dei nomi biblici. I nomi propri mostrano che, anche se i traduttori della Bibbia hanno avuto come guida un esemplare di base (Settanta, Vulgata o il Testo Masoretico), hanno paragonato le fonti anche con altre traduzioni esistenti all’epoca. Ad esempio, il fatto che i traduttori del Nuovo Testamento di Bălgrad91 (1648) abbiano avuto a

90 Si veda MIRCEA R. BIRTZ, “Concordanţa numelor proprii” [La concordanza dei nomi

propri], in Biblia de la Blaj, 1795, edizione giubilare, Tipografia Vaticana, Roma 2000, pp. LXXIX-LXXXI: 80, secondo il quale il fenomeno riflette una forte “coercizione culturale”.

91 Bălgrad è l’antica denominazione popolare del municipio romeno Alba Iulia.

Problemi riguardanti la traduzione in romeno dei nomi propri biblici

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disposizione anche un esemplare latino della Bibbia92 è indicato sia da una serie di termini come, ad esempio, pretor [it. ‘pretore’], testament [it. ‘testamento’], ţeremonie [it. ‘cerimonia’], scriptură [it. ‘scrittura’] ecc., sia da una serie di nomi propri greci latinizzati: Diana, Mercurie, Jupiter ecc.

(6) La traduzione dei nomi propri biblici mette in evidenza l a f i l i a z i o n e d e i t e s t i. Chindriş93 tratta tale aspetto nell’ambito del problema relativo alla posterità della Bibbia di Micu (1795), dimostrando che i nomi propri indicano una trasposizione tale e quale degli errori esistenti nell’edizione di MICU e in quella del metropolita Andrei Şaguna (1856-1858). In questo senso, “[fântâna lui] Fathath” (Gios. 17:7) di MICU, nome redatto nell’errata corrige dell’edizione di Blaj come Taftot, appare in ŞAGUNA nella variante non rettificata, Fathath.

(7) In funzione del tipo di nome, gli antroponimi sono meno traducibili rispetto ai toponimi, poiché sono sottoposti soprattutto a un processo di adattamento tramite la traslitterazione e la trascrizione.

92 Biblia, ad vetustissima exemplaria nunc recens castigata [...], Venetiis 1587. 93 IOAN CHINDRIŞ, “Secolele Bibliei de la Blaj” [I secoli della Bibbia di Blaj], in Biblia de la

Blaj, Roma 2000, pp. 1-68: 68.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 101-110

DE GRÂCE, N’ÉCRASEZ PAS LA MÉTAPHORE… !

TARCIZIU-HRISTOFOR ŞERBAN Institut théologique romano catholique

« Sainte Thérèse », Bucarest L’année 1989 a trouvé le monde théologique ainsi que le monde liturgique de Roumanie, en ce qui concerne le texte biblique, dans une situation qui réclamait de très urgentes révisions ou même des nouvelles traductions. En effet, les traductions qu’on lisait le plus souvent étaient celle de G a l a G a l a c t i o n, celle faite sous le patronage du Saint Synode de l’Eglise Orthodoxe, celle de D u m i t r u C o r n i l e s c u et certaines traductions du Nouveau Testament. Toutes ces traductions avaient pris un sérieux coup de vieux. Au plan liturgique, dans l’Eglise Catholique, au moins, on utilisait une traduction du texte biblique faite à la hâte après la réforme demandée par le deuxième concile du Vatican, à partir non pas du latin – la langue officielle depuis des siècles dans cette église –, mais du français ou de l’italien – les langues les mieux connues par l’un ou l’autre des membres de l’équipe de traduction).

Très vite l’Eglise Catholique, comme d’ailleurs toutes les autres Eglises, s’est lancée dans des travaux de révision des traductions des textes liturgiques aussi bien que dans la traduction du Nouveau Testament (voir l’édition de Iassy) et même dans une collaboration pour une traduction de ce qui devrait s’appeler la Traduction Interconfessionnelle de la Bible.

Dans le présent exposé je voudrais vous faire part non pas de l’état des choses mais surtout d’une tension que l’on ressent au sein des équipes de traduction, tension qui s’est traduite par des conséquences parfois gênantes sinon malheureuses. 1. Les causes d’une tension A l’origine de cette tension se trouvent les principes qui devraient régler ce type de travaux. En effet, sous l’influence des travaux de E.A. Nida concernant la

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traduction de la Bible1 et qui envisageaient la formation des traducteurs de la Bible dans les langues des pays de mission, on voit s’appliquer même en Europe des principes qui ont conduit à l’appauvrissement et même à la défiguration du texte, sous le prétexte de l’adapter à la compréhension du destinataire non avisé. Ces principes seraient, grosso modo, les suivants : priorité accordée à l’é q u i v a l e n c e d y n a m i q u e plutôt qu’à la correspondance formelle ; é l i m i n a t i o n d e s a m b i g u ï t é s ; priorité accordée aux b e s o i n s d e l ’ e n t e n d e n t plutôt qu’aux formes du langage, dans le sens d’éviter les expressions les plus difficiles. Afin d’éviter les réactions négatives au sujet d’une traduction réalisée à partir de tels principes dans une culture ayant déjà une longue tradition de traduction du texte biblique, tradition allant jusqu’à marquer la langue littéraire même, Nida propose l’élaboration de plusieurs types de traductions : une variante e c c l é s i a s t i q u e située dans la ligne de la tradition et destinée à l’usage liturgique, une traduction dans la langue littéraire contemporaine destinée au publique cultivé/avisé et, enfin, une autre au langage p o p u l a i r e destinée au commun des mortels.

L’un des adeptes les plus fervents est l’italien Carlo Buzzetti, qui va jusqu’à parler de quatre modèles : l i t t é r a l, l i t t é r a i r e, l i t u r g i q u e et c a t é c h é t i q u e. L’auteur met presque en opposition la fidélité par rapport à l’original et la fidélité par rapport au lecteur qui devrait avoir un accès plus facile au texte. En fait, c’est le principe de la commodité, le ‘véritable’ moteur du progrès dans la société de consommation, qui a pénétré ce domaine. Autrement dit, le lecteur et, dans le cadre liturgique, le prédicateur, doivent être ménagés : on doit leur éviter l’effort intellectuel… Et, puisque c’est très difficile de se faire une idée à quoi peut mener l’application de tels principes, je vais citer quelques ‘indications’ du livre de Carlo Buzzetti, La Bibbia e la sua traduzione. Dans le chapitre XIV intitulé : « Tradurre un termine con diversi significati », l’auteur nous fait part de la manière de penser et de réaliser la traduction des syntagmes avec haima, « sang », dans le livre de l’Apocalypse de saint Jean. Voici quelques exemples :

1. « [...] Il nous a libéré (lavé) de nos péchés par son sang [...]. » (1:5) – « En

général, on utilise, d’abord, le mot s a n g afin de designer le fluide biologique qui circule dans un système clos de vaisseaux à l’intérieur des êtres vivants [ici C. Buzzetti cite un dictionnaire explicatif italien, N.d.A.]. Mais, dans ce cas il s’agit de la vie donnée en sacrifice. Par conséquent, au lieu d’utiliser le mot sang, on devrait traduire < ci ha liberati dai nostri peccati c o n i l s a c r i f i c i o d e l l a s u a v i t a > [...] ».

1 Bible Translating, United Bible Societies, USA, 1961 ; God’s Word in Man’s Language, Harper

and Row Publishers, New York, Evanston and London, 1952 ; The Theory and Practice of Translating, Leiden, 1969, en collaboration avec Charles Taber.

De grâce, n’écrasez pas la métaphore…!

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2. « [...] tu fus égorgé et tu rachetas pour Dieu, au prix de ton sang, des hommes de toute race, langue [...] » – « Ici le mot s a n g n’indique pas un objet, mais une attitude» et il propose la version suivante : « [...] sei stato ucciso e c o n l a t u a m o r t e hai procurato a Dio un popolo tratto da ogni tribù [...] ».

3. « [...] Jusqu’à quand, Maître [...] tarderas-tu [...] à tirer vengeance de notre

sang [...] ». (6:10) A cette version on nous propose l’alternative : « Fino a quando, Signore [...] aspetterai [...] a vendicare l a n o s t r a m o r t e? »2.

De tels principes ont été considérés, pendant quelque temps, comme

étant normatifs dans les milieux académiques catholiques, surtout en Italie. Ces mêmes principes se sont fait entendre lors des travaux de la Traduction interconfessionnelle de la Bible en roumain.

L’idée générale d’une telle traduction était qu’un passant occasionnel, en entrant dans un moment quelconque dans une église, doit instantanément tout comprendre, sans aucune préparation ou explication. Or, il existe, évidemment, des choses qui devraient être prises en compte par amour du passant ou de certains fidèles : par exemple, du moment où le sens du mot adelphos ou bien de ebr. ’āh se réfèrent dans la Bible à toute la jeune génération perçue à partir du Patriarche, du chef de clan, qu’il s’agisse de frères aussi bien que de cousins, la traduction de cette syntagme avec « cousins » de Jésus est légitime et utile. En même temps, dans le Lectionnaire, afin de faire débuter une péricope ou de la faire situer dans le contexte, des explicitations sont tout à fait nécessaires, par exemple : « Pendant que Jésus était avec les disciples, lors du dernier repas [...] »). Et il y a aussi d’autres exemples. En tout cas le devoir du traducteur, surtout par rapport au ‘passant de la rue’, qui n’a pas accès à l’originel, est de lui offrir un texte le plus proche possible de l’originel, selon l’usage de la langue cible, sans s’interposant entre le destinataire et l’Esprit Saint, le véritable Auteur de la Bible, ou l’écrivain qui est l’auteur inspiré. 2. L’écho de tels principes dans les traductions catholiques récentes Dans les traductions récentes du texte biblique en milieu catholique roumain, et non seulement, on peut remarquer un assez important écho des principes mentionnés plus haut, traductions marquées par toute une série d’inadéquations. Ainsi, on peut noter, d’abord, une utilisation assez importante des néologismes. On devine facilement l’intention d’adaptation

2 C. BUZZETTI, op. cit., p. 228-230.

Tarciziu-Hristofor Şerban 104

du texte biblique au langage courant, a d a p t a t i o n qui se propose en particulier l’élimination des archaïsmes. Or, si on veut éliminer les archaïsmes qui ne disent plus rien aux nouvelles générations, il faut éviter aussi les néologismes qui ne sont pas indispensables, sachant qu’ils n’ont pas de champs sémantique, pas de vibration, de relations, de connotations… En ce sens, voici deux exemples tirés soit du Lectionnaire soit du Nouveau Testament paru à Iassy en 2002 : « Jésus voulait instruire ses disciples » (Mc 9:31)3 où le verbe instruire renvoie, en roumain, plutôt à l’exercice militaire qu’à l’enseignement ; l’utilisation du mot piscine en Jn 9:74 renvoie, en roumain, aux basins des villas de nouveaux riches. Les autres exemples je vais vous les donner en roumain afin de mieux saisir les nuances :

Mc 7:26 – « femeia păgână de n a ţ i o n a l i t a t e siro-feniciană în loc de

femeia era păgână, siro-feniciană de neam […] »5 ; Rm 8:26 – « Duhul Sfânt i n t e r v i n e pentru noi […] »6 ;

« […] dacă, trăind în această lume înseamnă a p r e s t a o m u n c ă folositoare […] » ;

1 Tim 2:2 – « Să se înalţe rugăciuni de cerere [...] pentru toţi cei care se află în p o s t u r i d e r ă s p u n d e r e […] »7.

Ceci sont seulement quelques exemples d’une série dans laquelle prévaut plutôt une empreinte administrative.

On note, ensuite, une tendance d’explicitations et d’équivalences qui aplatissent et déforment le texte. Voici quelques exemples tirés du Lectionnaire de Iassy : « Allez et convertissez tous les peuples » au lieu de « Allez donc, de toutes les nations faites des disciples » (Mt 28:19)8 ; « L’Esprit de vérité vous aidera à comprendre toute la vérité » au lieu de « L’Esprit de vérité […] vous guidera dans la vérité tout entière » (Jn 16:13)9 ; « Tout grand prêtre est pris d’entre les hommes et établi pour intervenir en faveur des hommes dans leurs relations avec Dieu » au lieu de « […] est établi en faveur des hommes quant à ce qui concerne Dieu » (Eb 5:1)10.

J’ajoute ici, aussi, d’autres exemples en roumain :

3 Lecţ. III = Lecţionar III – Timpul de peste an I-XVII, Editura Presa Bună, Iaşi, 2000, p. 355 et

corigé dans NT = Noul Testament, Editura Sapientia, Iaşi, 2002, p. 107. 4 NT, p. 232. 5 Lecţ. III, p. 264 et corigé dans NT, p. 103. 6 Lecţ. III, p. 805. 7 Lecţ IV = Lecţionar IV – Timpul de peste an XVIII-XXXIV, Editura Presa Bună, Iaşi, 2000,

p. 339 et corigé dans NT, p. 481. 8 Lecţ. III, p. 915 et corigé dans NT, p. 83. 9 Lecţ. III, p. 919 et corigé dans NT, p. 248. 10 Lecţ. III, p. 75.

De grâce, n’écrasez pas la métaphore…!

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Mt 18:6 – « [...] să i se lege de gât o p i a t r ă d e m o a r ă t r a s ă d e m ă g a r i şi să fie aruncat în mare […]» în loc de «[…] piatră de moară (milos onikos) »11 ;

Rm 4:18 – « Abraham […] tatăl u n u i m a r e n u m ă r d e p o p o a r e […] în loc de […] părintele multor neamuri […] »12 ;

Ps 8:7 – « Toate le-ai pus la picioarele sale, i - a i d a t î n s t ă p â n i r e oile şi boii laolaltă » au lieu de « Toate le-ai pus la picioarele lui : oile şi boii laolaltă »13.

Enfin, et non pas en dernier, les nouvelles traductions, comme d’ailleurs

l’ont fait aussi bien à son époque la Septante14 que beaucoup d’autres traductions célèbres – la TOB en particulier – se sont presque donné pour tâche d’e x p l i c i t e r l e s m é t a p h o r e s, de les rendre plus accessi-bles au lecteur. En fait, elles ne font que les écraser, leur ôter toute force expressive, toute leur beauté. Voici un exemple : « N’est-ce pas une épreuve que la vie de l’homme sur terre? » au lieu de « N’est-ce pas un temps de service [militaire] qu’accomplit l’homme sur terre? » (Job 7:1).

Un autre exemple en roumain :

Ez 33:7 – « Fiul omului, te pun s u p r a v e g h e t o r peste israeliţi […] » au lieu de « Pe tine, fiul omului, te-am pus străjer pentru casa lui Israel […] »15.

L’image du prophète qui surveille le bien-être du peuple est remplacée

par celle d’un intendant qui supervise de près les Israélites. 3. Les réactions face à des telles attitudes 1. Comme on s’attendait, de telles productions ont été contestées tout d’abord par les destinataires avisés. En effet, depuis bien des années, ces théories ont été rejetées surtout grâce au progrès de la théorie de la traduction et à partir de l’expérience des traducteurs spécialistes.

Tout à l’heure on a signalé le risque d’aplatissage du message lorsque le traducteur, tout en essayant de le rendre plus accessible, remplace la richesse de l’original (ambigu, polyvalent) avec la pauvreté de sa propre exégèse

11 NT, p. 55. 12 Lecţ. III, p. 481 et corigé dans NT, p. 350. 13 Lecţ. III, p. 33. 14 Voir, par exemple la différence entre le TM et la LXX au sujet de Ex 6:12 ; Dt 32:4 ; Jer

31/38 ; 12,14 ; Ha 1:12 ; Ps 7:11 ; 17/16:15 ; 33:20 ; 91:1 ; 115:9-11 ; 2 Re 6:2 ; etc. au sujet Yahve Sabbaot ; Job 3:24 ; 7:1 ; 22 ; 25 ; etc.

15 Lecţ. IV, p. 275.

Tarciziu-Hristofor Şerban 106

limitée16. De plus, on a suggéré au traducteur qu’il devrait chercher une solution moyenne entre deux extrêmes : la traduction littérale et la traduction de l’idée essentielle ; à son tour celle-ci doit être doublée du sens naturel de l’expression et de l’équivalence stylistique.

En fait, les méthodes de traduction d’un texte doivent être adaptées au genre du texte. En partant des fonctions du langage, celle de représenter (de manière objective), celle d’exprimer (de manière subjective) et celle de convaincre, on peut parler de textes qui mettent l’accent sur le contenu (les informations, les instructions d’utilisation, la littérature spécialisée, etc.), de textes qui mettent l’accent sur l’expression ou la forme (les œuvres littéraires – la poésie ou la prose) et de textes qui se proposent de convaincre (les spots publicitaires, la propagande, la polémique, etc.). Dans l’évaluation d’une traduction on va chercher, dans les textes de la première catégorie, à surprendre l’exactitude des termes utilisés et tout spécialement si toute l’information a été rendue dans la langue cible ; dans les textes de la seconde catégorie on va essayer de voir si on a su obtenir le même effet esthétique que comporte l’originel en utilisant les moyens formels et les vertus compensatoires de la langue cible ; dans les textes de la troisième catégorie, la réalisation d’un impact similaire à celui de l’originel afin de persuader l’auditoire.

Les textes bibliques constituent par excellence une combinaison de ces trois genres de textes. Si on envisage leur traduction aussi bien à des fins scientifiques que pastoraux liturgiques, puisqu’ils contiennent pour nous un message révélé et incarné dans la culture d’un peuple éloigné dans le temps et dans l’espace, ils prétendent un effort continu de fidélité dans l’expression de leur message mais aussi de l’expression poétique en tant que modalité spécifique du contenu dont elle est inséparable, expression qui doit se faire entendre par chaque homme dans un mélange unique de simplicité et fraîcheur, de profondeur incitante et de charme patriarcal ou exotique.

Il faut reconnaître qu’aucune traduction ne peut rendre tous les aspects du texte originel. Mais le renoncement aprioristique à tout effort vers cet idéal, au nom d’une intelligibilité immédiate et facile, entraîne d’immenses préjudices au message, assez complexe en soi, et à son destinataire. En ce sens, les traducteurs français de la Septante disent dans l’Introduction au Pentateuque17 :

« Depuis quelques années, la conception d’une traduction qui tâcherait d’effacer en elle toutes les marques de l’original s’est éloignée au profit d’une traduction plus proche du texte source : l’impression d’étrangeté qui subsiste à la lecture de la Septante même après une longue fréquentation, rapproche la plus ancienne entreprise de traduction connue de la Bible de notre sensibilité d’aujourd’hui […] ».

16 E.A. NIDA, Bible Translating, United Bible Societies, USA, 1961, p. 14. 17 Cerf, Paris, 2001, p. 75.

De grâce, n’écrasez pas la métaphore…!

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En fin de compte, personne n’est le propriétaire de l’Ecriture et n’a le droit de lui substituer sa propre exégèse ; de même, le destinataire de la traduction a le droit à toute la richesse et la beauté du texte, qui se composent d’ambiguïtés, de mystères et de toute sorte de difficultés qui donnent à penser et suscitent de nouvelles lectures et de nouvelles exégèses.

2. Une mise au point, dans l’Eglise Catholique, a été faite par la Congrégation pour le Culte divin et la Discipline des Sacrements en avril 2001. Ladite Congrégation vaticane a élaboré un très important document intitulé Liturgiam Authenticam18, document qui se propose d’éclairer et d’établir les principes à suivre dans l’usage des langues vernaculaires dans les livres liturgiques du rite romain. Le document répond à un important nombre de problèmes parfois anciens mais aussi à d’autres plus récents, tel l’usage du l a n g a g e i n c l u s i f dans les pays anglophones. D’une grande importance, en ce qui nous concerne, est l’énoncé de certains principes qui, sous l’apparence de la simplicité, répondent à des nombreuses pratiques et théories actuelles, tout en essayant d’éviter la répétition de certaines expériences négatives qui ont eu pour effet l’appauvrissement de la Parole de Dieu dans la liturgie.

Voici quelques extraits de ce document :

No. 19 « Les paroles de la Sainte Ecriture, ainsi d’ailleurs que les autres paroles, qui sont employées dans les célébrations liturgiques, spéciale-ment dans la célébration des sacrements, ne doivent pas être considérées en premier lieu comme si elles étaient en quelque sorte le reflet des dispositions intérieures des fidèles, mais elles expriment des vérités, qui dépassent les limites imposées par le temps et le lieu. De fait, c’est par ces paroles que Dieu s’entretient avec l’Epouse de son Fils bien-aimé, que l’Esprit Saint introduit les fidèles dans la connaissance de la vérité tout entière […] ».

No. 20 « […] la traduction des textes de la Liturgie romaine ne sont pas une

oeuvre de créativité, mais qu’il s’agit plutôt de rendre de façon fidèle et exacte le texte original dans une langue vernaculaire […] le texte original ou primitif soit, autant que possible, traduit intégralement et très précisément, c’est-à-dire sans omission ni ajout, par rapport au contenu, ni en introduisant des paraphrases ou des gloses […] ».

No. 24 « […] il n’est pas licite de faire des traductions à partir d’autres

traductions, déjà réalisées en d’autres langues, car il faut les effectuer directement à partir des textes originaux, à savoir de ceux qui sont rédigés en latin pour les textes liturgiques de composition ecclésiastique, et aussi, selon le cas, de l’hébreu, de l’araméen, ou du grec, en ce qui

18 <http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdd s_doc_20010507_liturgiam-authenticam_fr.html>

Tarciziu-Hristofor Şerban 108

concerne les textes des Saintes Ecritures ». No. 25 « […] il convient que les traductions soient réalisées à l’aide de mots

qui soient facilement compréhensibles, mais qui en même temps respectent la dignité et la beauté ainsi que le contenu doctrinal exact des textes. En employant les mots de louange et d’adoration […] les traductions contribuent à combler la faim et la soif du Dieu vivant […], tout en contribuant en même temps à la dignité et à la beauté de la célébration liturgique ».

No. 27 « Même s’il faut éviter d’employer des mots ou des expressions qui,

en raison de leur caractère trop inusité ou étrange, empêchent une compréhension facile, tout aussi bien, il convient de considérer les textes liturgiques comme la voix de l’Eglise en prière plutôt que celle des groupes particuliers ou celle des individus, et c’est pour cette raison qu’il faut que les termes employés soient libres de toute adhésion trop étroite à des modes d’expression du moment. Si des mots ou des expressions, qui diffèrent du langage commun ou quotidien, peuvent parfois être employés dans les textes liturgiques, il en résulte souvent qu’ils sont plus faciles à mémoriser et qu’ils expriment plus efficacement les réalités d’en haut. Bien plus, il semble que l’observance des principes contenus dans cette Instruction pourra servir afin que, progressivement, dans chaque langue vernaculaire, un style sacré soit élaboré, et reconnaissable comme un langage proprement liturgique ».

No. 28 « […] les traducteurs doivent laisser les symboles et les images

contenus dans les textes, ainsi que les actions rituelles parler d’eux-mêmes, et non chercher à rendre trop explicite ce qui est implicite dans le texte original. C’est pour cette raison qu’il convient d’éviter avec prudence d’ajouter aux textes des explications qui n’existent pas dans l’édition typique ».

No. 29 « C’est la tâche des homélies et de l’enseignement catéchétique

d’expliquer le sens des textes liturgiques […] ». No. 32 « Il n’est pas permis dans la traduction de restreindre dans des limites

plus strictes la pleine signification du texte d’origine. En plus, les expressions qui coïncident avec des publicités commerciales ou à des propos insérés dans des projets politiques et idéologiques […] ».

No. 43 « Tous les mots, qui transposent les images et les actions des êtres

célestes sous des traits humains ou les expriment en employant des termes concrets, comme cela arrive très souvent dans le langage biblique, conservent toujours leur force, quand ils sont traduits littéralement […] il est bien préférable de ne pas les aplatir, ni de les rendre dans les langues vernaculaires par des termes plus abstraits ou vagues […] la traduction des locutions qui, dans la langue vernaculaire, suscitent un certain émerveillement, par ce fait même, peuvent stimuler l’intérêt de l’auditeur et fournir l’occasion de transmettre un enseignement catéchétique ».

De grâce, n’écrasez pas la métaphore…!

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No. 52 « Le traducteur s’efforcera de conserver la dénotation, c’est-à-dire le sens primaire des mots et des locutions du texte original, ainsi que leur ‘connotation’, c’est-à-dire les nuances ou bien les émotions produites par eux […] ».

No. 58 « Il faut préserver le genre littéraire et rhétorique des divers textes de

la Liturgie romaine […] ». 4. Conclusions En fin de compte, par mon exposé j’ai voulu me faire la voix de ceux qui chaque dimanche et parfois chaque jour entre dans nos église pour se nourrir de la Parole de Dieu et de l’Eucharistie. Il est vrai que parfois le pain de la Parole de Dieu perde de sa saveur mais les fidèles se nourrissent quand même. L’Esprit Saint arrive à leur parler même à travers ce genre de textes qui ne sont pas toujours parfaits. Mais, lorsque une meilleure traduction noue une véritable relation entre l’homme et le Seigneur, le traducteur a, je crois, accomplit sa difficile mission.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 111-118

LA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA. PREOCCUPAZIONI ATTUALI

HEPTA ETE EUTHENIAS. THE NEC SEPTUAGINT PROJECT

AND ITS CURRENT CULTURAL RELEVANCE

ŞTEFAN COLCERIU New Europe College Bucharest

Generously hosted by the N e w E u r o p e C o l l e g e , B u c h a r e s t, I n s t i t u t e f o r A d v a n c e d S t u d y, a group of fifteen Romanian scholars gathered in April 2002 for a brand new cultural enterprise: the translation into Romanian of the Greek version of the Old Testament, also known as the Septuagint. The promoter of this vast translation project was the Rector of the New Europe College, Professor Andrei Plesu, who was the first to understand and persuaded the main sponsor, namely the Anonimul Foundation, represented by Sorin Marin, of the project’s cultural necessity. The coordinators of the project were Cristian Bădiliţă, a Romanian classical philologist and a theologian living and studying in France, Professor Fancisca Băltăceanu, a complete biblical scholar, and probably the most sophisticated Romanian philologist, teaching classical languages, Aramaic, Hebrew, ancient Armenian, and Indo-European Linguistics, and Professor Monica Broşteanu, a brilliant orientalist, teaching Hebrew, Arabic (from the Qu’ran to Al Jazeera), and our regretted Magister, Professor Dan Sluşanschi, a classical polymath and fabulous philologist, who used to read all Indo-European sacred text with equal and unsurpassed proficiency. The New Europe College (NEC) also played the key role in the general management of the project, serving as a meeting place, a bibliographical resource centre, and, essentially, as financial infrastructure.

It should be stressed from the very beginning that the project aimed at a scientifically solid translation of the Septuagint into Romanian, free of any possible confessional influence, which made it seem quite odd in the general religious context of a country like Romania, where almost every confession uses its own version of the Bible. We were fully aware of the fact that a

Ştefan Colceriu 112

certain confession, namely the Greek Orthodox, would pay special attention to our project as the Septuagint is the textus receptus of the Church.

At the same time, our goal was neither to produce an ecumenical translation of the Old Testament, as some believed, given the confessionally heterogeneous nature of the team of translators, which, as a matter of fact, was a mere accident, not a selection criterion: by chance, some of the best Romanian specialists in the Septuagint and in Biblical Greek are Catholic (e.g. Francisca Băltăceanu and Monica Broşteanu) and Baptist (e.g. Marius David Cruceru). It should be stated once again that our purpose was to give a scientifically accurate Romanian translation of the Greek original and what prevailed was the philological competence of the team members, most of them being classical philologists. Any sort of ideological compromise policy was out of discussion. (Dan Sluşanshi, Francisca Băltăceanu, Cristian Bădiliţă, Eugen Munteanu, Ioana Costa, Monica Broşteanu, Alexandra Moraru, Octavian Gordon, Ştefan Colceriu).

The Septuagint is the foundational text of the Eastern Christian tradition: generations of apologetes, biblical exegetes, theologians and so forth have been using it ever since. Apart from the obvious religious aspect, if one took into account only its cultural relevance, the discovery would certainly be beyond any expectation: the Septuagint is the book of an entire cultural universe and the most accurate and coherent connection to a world which otherwise would be hardly reachable and understandable.

This was the very reason why several important Western cultures have lately initiated thorough translations of the Septuagint: the most impressive of all these projects is the French Bible d’Alexandrie, a project that started in the early 1980s and is still running full speed ahead. Each biblical book is treated in an autonomous volume, thoroughly introduced, annotated, and interpreted. Some of them represent doctoral theses. The coordinators, Marguerite Harl, Gilles Dorival, Olivier Munich are scholars who spent a lifetime studying the Septuagint. It should be pointed out that the French team is made up of more than thirty members. The support they have been showing to our project has been simply fundamental. A similar enterprise has recently started in Germany and an Italian team coordinated by Luciana Mortari completed the translation of the Septuagintal Pentateuch in 1999. In December 2007 a group of American scholars published their one volume version and some of us had previously had the privilege of staying in permanent contact with our American colleagues, who actually sent us their books, shared with us the outcome of their research, answered all our questions and enthusely received our volumes.

But our project is not by far a mere reaction to an international impetus,

The NEC Septuagint Project 113

although the above mentioned recent translation projects are very encouraging and able to raise the morale of any other team in the world. As mentioned above, the Septuagint is the canonical version of the Old Testament adopted by the Eastern tradition of the Church. As a legitimate part of this tradition, the Romanian culture released a magnificent and complete Romanian translation of the Greek text three hundred and twenty two years ago, the so-called ‘Bible of Bucharest’, also known as the ‘Bible of Serban Cantacuzène’ (1688). That first thorough translation of the Septuagint was followed and constantly updated by several other Romanian versions like ‘The Bible of Blaj’ (1795), ‘The Bible of Buzău’ (1854-1856), ‘The Bible of Sibiu’, also known as ‘The Bible of Andrei Şaguna’ (1856-1858) and, finally, ‘The Synodal Bible of King Charles I’ (1914). Unfortunately, the pure Romanian Septuagintal tradition was buried after the Second World War when a strange translation, mixing up the Hebrew original, that is the Masoretic text, with the Greek one, was produced and adopted by the Church in 1944, so that the ‘Orthodox Bible’ we usually read ever since is, at least, a philological chimera. Nevertheless, in 2001 the ‘Jubilee Bible’ due to the great scholar and bishop Bartolomeu Anania marked a necessary reversion to the Romanian Septuagintal tradition. Although mainly a newly updated version of the Bible of Bucharest, its very issue is definitely the most important plea for philological and theological normality.

This rather confusing cultural situation called for a new, accurate and scientific translation of the Septuagint into Romanian. As Professor Andrei Pleşu, Rector of the New Europe College, wrote in the foreword to the first volume, this new Romanian version of the Septuagint brings about three elements of novelty1:

1. The NEC version is the second Romanian translation of the Septuagint, after the Bible of Bucharest. We should note here that all the other versions were just revisions of the first translation. So, the NEC Septuagint directly translates the Greek original, without using any previous Romanian version. In so doing, the translators used the scientific edition of Afred Rahlfs, dating from 1935, and generally accepted as the standard critical edition. This translation aimed at rendering the original text into an easily accessible, precise, and modern Romanian version, avoiding any kind of archaic or neological linguistic abuse.

2. The ‘NEC Septuagint’ is the first Romanian translation of the Old Testament largely introduced and annotated. Apart from the American version and like the French one, the rich note apparatus comprises 1 ANDREI PLEŞU, “Cuvânt înainte”, in CRISTIAN BĂDILIŢĂ, FRANCISCA BĂLTĂCEANU, MONICA

BROŞTEANU, DAN SLUŞANSCHI, eds., Septuaginta, 1, Polirom, Iaşi: 2004, 6-7.

Ştefan Colceriu 114

philological, historical, theological, geographical, anthropological and literary material, collected from both ancient and modern scientific sources. A special section is dedicated to the eventual comments of the Church Fathers and ancient Christian ‘doctors’, in order to preserve its original meaning and to show how important it was to the development of the Eastern Christian tradition. In addition, the notes contain another special section of comparative reading: two of the coordinators, namely Prof. Francisca Băltăceanu and Prof. Monica Broşteanu, pointed out the all difference between the Greek version and the Hebrew Bible (MT), so that the regrettable confusion of the past experience should be scattered. If a certain Septuagintal book had already been published in the French version, the Romanian translator was allowed to quote the notes of the French translator and to co-author the introduction (e.g. The Pentateuch, Joshua, Judges, Proverbs, Ecclesiastes, Canticle, Job). As for the translation itself, no influence of the French or of any other version was accepted.

Each and every book is duly introduced. Every introduction contains several sections, mainly about the plausible date of the Greek translation, the book’s structure, lexical issues, its historical and theological content, Jewish reception, Christian reception and so forth.

3. The ‘NEC Septuagint’ is being translated by a community of lay scholars, but the general enterprise should not be regarded as a cunning attempt to produce a polemical version directed against the one used by the Romanian Orthodox Church as liturgical Scripture. On the other hand, we have never claimed that our translation should be read and adopted as such.

The only peculiar thing about our project, which might have caused some amazement within the Romanian cultural and, probably religious milieus too, is that our translation does not come as the crowning touch of a long-lasting and intense study of the Christian tradition and literature built upon the Septuagintal text. The members of the French team, for instance, represent the second and, partially, even the third generation of scholars who had been studying, by the same scientific means and methods as those used in translating La Bible d’Alexandrie, the prodigious Christian literature of the Eastern tradition. Unfortunately, the Romanian culture does not have a similar work experience on the patristic texts and since we had to start from somewhere, we thought fit to begin with the fundamental text itself, thus avoiding any ideological or dogmatic temptation proceeding from the writings of the Fathers. Chronologically speaking, this should be the appropriate way of approaching the Septuagint, as the text had historically come first and the exegesis closely followed it.

Moreover, given the fact that our team was mainly made up of young

The NEC Septuagint Project 115

scholars, some of us, I mean the youngest, took the Septuagint project as one of the best preparatory experience for our future careers. Initially, guided by a team of four and then of three coordinators, whose knowledge of biblical and classical Greek, biblical and exegetical literature, Hebrew and Aramaic, biblical archaeology and history and vivid perception of contemporary Romanian was the cornerstone of our project, we soon made significant progress. As far as I am concerned, I found the three annual meetings of the group by far more exciting than my actual translating and exegetical activity. Every such meeting was held at NEC and did usually last from dawn till dusk: after a general information on the work state, three or four translators were supposed to give a thorough account of his or her findings, translation problems of any kind (and there were a lot), exegetical connections, and specific features of the biblical book he or she was translating. I should add here that all those ‘problems’ had been previously signalled by the speaker to all his fellow translators, so that everybody was fully aware of the details that were to be discussed during the meeting. And of course, everyone was held to express his or her well-documented opinion on the matter. By the end of the day, due to the meritory effort of the whole team, many apparently unsolvable riddles found their, I would say, miraculous solutions.

These enlightening meetings were doubled, on a regular basis, by a complicated algorithm of individual hard work, tough revision, and constant face-to-face or via e-mail dialogue of each translator with the coordinators. First of all, the translator, provided with a thorough list of general translation norms and a comprising Greek-Romanian vocabulary of Septuagintal terms, beside the regular dictionaries and lexicons (for, as we all now, the Bible is a code and lexical precision and constancy are fundamental prerequisites) would give his or her best Romanian version of the Greek original and then submit it to the coordinators. It was during this full contact period that I utterly understood the meaning of a late Latin law term, obviously of Anglo-Saxon origin: daywerca, because everyone would work all day long. After a relatively short while, the first version would generally prove not to be the best, so that the coordinators would send it back in an abundantly bleeding form. And since there was no time for nervous breakdowns, the whole work started all over again and it was even harsher than the first time. Luckily, the particular observations of the coordinators were literally of great help. Once completed and philologically annotated the second version would reach the coordinators’ consensus and, still bearing certain observations, it was sent to the Polirom publishing house for the final revision. Here again, the coordinators had to face another fierce enemy, but,

Ştefan Colceriu 116

alas, this was their fight with the dragon. The purified final version would then be sent to the translator for the thorough annotation. Once completed, the notes would follow the same steps as the translation itself did. Finally, the translator would give the general introduction to the biblical book he or she had worked on. At this point one should carefully bear in mind that the coordinators had to supervise the stylistic unity of the whole enterprise, which, I was told, was simply an ordeal.

At the moment, after six years of delightful torment, five volumes out of eight are publicly available: the Pentateuch (i.e the first volume) was published in February 2004, the second volume comprising the books of Joshua, Judges, Ruth, 1-4 Kings was published in October 2004; the third volume comprising the books of 1-2 Chronicles, 1-2 Esdras, Judith, Esther, Tobias, and 1-4 Maccabees was published in 2005. Then in 2006, the first tome of the fourth volume followed. It comprises the so-called ‘sapiential books’: the Psalms of David, Odes of Solomon, Proverbs, Ecclesiastes, and The Song of Songs. In 2007, the second tome was published (meaning the books of Job, The Wisdom of Solomon, The Wisdom of Jesus ben Sirah, and in the first Romanian translation, the apocryphal Psalms of Solomon). The next three volumes are already finished or in the very final phase: the fifth contains the twelve so called Lesser Prophets (2009). Isaiah, Jeremiah, The Lamentations and Baruch will be published in the first tome of the sixth volume and finally. The second tome, already published, contains the books of Ezekiel, Daniel and Bel and the Dragon (2008).

Generally speaking, the volumes have been surprisingly well received: several interviews with the coordinators, favourable scientific reviews published both in Romania and abroad, and a lot of media presentations confirm this impression. The Orthodox Church officially appreciated our effort and several favourable articles were published in Telegraful Român. The French and the American teams enthusiastically received the volumes.

Nevertheless, a Romanian scholar from Iaşi, Adrian Muraru, published a thoroughly critical review to the translation of Book of Genesis hosted by an important Romanian cultural magazine, Idei in dialog2: his main point was that the Romanian version betrays the original’s true message, suggesting that a literal translation would have been by far more desirable. As a matter of fact, at the very beginning we had also tried to produce a translation of that kind, but it soon proved to be a stylistic wreck. By translating, for instance, the over repeating copulative conjunction kai (and), we wouldn’t have necessarily restored the so called original message, but we would have definitely betrayed the sane spirit of contemporary Romanian. 2 ADRIAN MURARU, “Septuaginta (review to Geneza)”, in Idei în dialog, 4 (7), Apr. 2005, 14-16.

The NEC Septuagint Project 117

A far more interesting and less noticed polemical attitude is taken by a certain movement of young orthodox fundamentalists whose opinions are easily accessible on the Internet3. Putting aside any scientific argument, these fellows abruptly accuse the new translation of being blunt, deprived of the fertile visitation of the Holy Spirit, conspicuously haunted by a doomed spirit of falsehood. In addition, the project’s sponsorship is, at least, ‘morally doubtful’: the Anonimul Foundation would, at the time, sponsor both the Septuagint translation project and the infamous paper Academia Caţavencu. Fortunately, radical opinions of that kind are isolated, and I would suggest they are n o t programmatically encouraged by a certain institution or moral authority. At least only for encouraging a contrario new translations of the Septuagint, our project should not be considered useless.

The new translation of the Septuagint, which is also the first scientific one, is a major cultural event in Romania. Our aim was definitely to unify the local cultural energies by proposing a free, honest, and professional reading of the Holy Scriptures. It is of crucial importance that our efforts are continued and valued by similar initiatives. And the signs are promising. A new translation of the New Testament, also due to Cristian Bădiliţă, is on the way, the first Romanian translation of the Vulgate, coordinated by Adrian Muraru, has recently started, and the impressive effort of editing and commenting upon the traditional Bible of 1688, which involves a large team of biblical scholars, philologists, philosophers, theologians, coordinated by Professor Eugen Munteanu (Monumenta linguae Dacoromanorum) won an important grant from the University of Iaşi. Several doctoral theses have already been completed by young scholars on related fields. But apart from the strictly professional benefits, which might seem a bit restrictive, our project intended to win the mind and heart of the so-called ‘average benevolent reader’. As such, our project is to be situated in the close proximity of the first complete Romanian translation of Plato’s works, coordinated by Constantin Noica and Petru Creţia.

3 <http://ro.altermedia.info/cultura/septuaginta-sau-traducerile-grecesti-ale-sfintelor-scripturi-ebraice -ii_2988.html>

QUADERNI DELLA CASA ROMENIA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 119-128

NOVELTY AND CONTINUITY: THE BIBLE REVISED BY BARTOLOMEU VALERIU ANANIA,

THE ARCHBISHOP OF CLUJ. THE SPIRITUAL MEANING OF THE WORD OF SCRIPTURE

ŞTEFAN ILOAIE “Babeş-Bolyai” University Cluj-Napoca

The first year of the third millennium has brought to Romanian culture and theology, the novelty of the Bible translation made by the Archbishop of Cluj: Bartolomeu Valeriu Anania. The achievement was awarded the title “Jubilee edition of the Holy Synod of the Romanian Orthodox Church”, distinguishing itself by: return to Septuagint, adaptation of the text to the current level of the Romanian language without giving up the old Romanian words, straightening the syntax of old translations, introduction of about 6500 footnotes etc.

Being inspired by God, the word of the Scripture produces an inner change in man, and fulfils itself through concrete human fulfilment in Christ. Christian’s inner state depends on the spiritual dimension of the word. Our opening toward the message of the word is like the special frame of mind for “speaking with God”, so minimal preparation is recommended before any reading, especially before reading the Scripture. The spiritual books have the power of the Holy Spirit, for they contain the divine treasures in words, and they hide in themselves the spiritual mystery, capable of renewing. It is in word’s power to transform itself from bearer of information to source of meditation, prayer and living.

The first part of the text contains certain aspects regarding Bartolomeu Valeriu Anania’s review of the translation of the Bible. The second part outlines a number of factors relating to the spiritual dimension of the word, in general, and the scriptural word, in particular, dimension which gives value to the message of Scripture and to human language.

Ştefan Iloaie 120

1. The Holy Scripture – ‘version’ Bartolomeu Valeriu Anania

In 2001, the first year of the new millennium, the Romanian culture experienced the most important event of the past few decades when The Holy Scripture was published in the version “revised, edited and annotated by Bartolomeu Valeriu Anania, the Archbishop of Cluj, at the end of numerous efforts”, as mentioned in the beginning of the book1. This edition was published with the blessing of Teoctist, the Patriarch of the Romanian Orthodox Church at that time and it received, as decided by the Romanian Orthodox Hierarchs, in the synodal meeting, the title of the “jubilee edition of the Holy Synod of the Romanian Orthodox Church”, being the first Romanian Bible in the third Christian millennium. A second edition of the same Bible was published by Renaşterea Publishing House of the Orthodox Archdiocese of Cluj in 2009.

The book was received with great interest by believers, readers, theologians and philologists, and was presented to the Romanian Academy in a solemn assembly.

The Bible in the version revised by Bartolomeu is the result of 11 years of hard work performed by one person only. An effort and a responsibility that the author of the revision took upon himself from the very beginning, not necessary by taking all the credit for the work done, but through the recognition of the previous translations and revisions of the Bible.

Here’s what Bartolomeu Anania writes: “The one who made efforts to publish the present version is profoundly grateful to all those who along three centuries translated or revised the Bible in Romanian language. He tried as hard as he could to correct the mistakes of some with the successes achieved by others”2.

We must, however, mention the fact that there had been an intention for

the present edition to be prepared by two researchers: Bartolomeu Anania and Professor Dumitru Fecioru, known to the Romanian public for his translations of the patristic writings from Greek into Romanian, but the latter passed away in 1988, before the work itself was started. Bartolomeu began his work on the Christmas Eve in 1989, at the Văratec Monastery in Moldova, three years before he was elected the Archbishop of Cluj. 1 Biblia sau Sfânta Scriptură, ediţie jubiliară a Sfântului Sinod, versiune diortosită după Septuaginta,

redactată şi adnotată de Bartolomeu Valeriu Anania, [The Bible or the Holy Scripture, Jubilee Edition of the Holy Synod of the Romanian Orthodox Church, Revised after the Septuagint, Edited and Annotated], Editura Institutului Biblic şi de Misiune al Bisericii Ortodoxe Române (EIBMBOR), Bucureşti: 2001, 5.

2 Biblia sau Sfânta Scriptură..., 1827.

Novelty and Continuity: the Bible Revised by Bartolomeu Valeriu Anania 121

From a literary and stylistic point of view, the work bears the mark of the literary experience of the author of the revision. Valeriu Anania published 30 books of poetry, plays, memoirs or essays. Besides all this, he is a theologian of nuances and a writer with a vast culture.

The publishing of the Bible was prepared, during 11 years, by the issuing of many editions of the books that form the Book of Books. The New Testament (in two editions), the Pentateuch, the poetry of the Old Testament, the books of the prophets etc. were published at the official publishing house of the Romanian Patriarchy and at the Anastasia Publishing House. Also, several paragraphs were published in Romanian journals of culture or theology. 54 out of the 66 books of the Scripture had been published before the complete edition. Every time, they were accompanied by the following mentioning: “any comments (motivated from a philological or theological point of view) are more than welcome, as they shall be taken into consideration for a future revised edition, as well as for preparing the complete new version of the Bible”.

A certain aspect must be underlined with regards to this edition: it is not a regular translation, as it was often wrongly understood or stated. The author himself says that he had used the “comparative method: the current edition had been confronted with 13 representative foreign or Romanian versions”3.

Bartolomeu Valeriu Anania’s revised Bible brings several new elements, as compared to the previous editions. Here are some of them:

(1) The restoration of the Old Testament version a f t e r t h e S e p t u a g i n t. The first complete translation of the Bible into Romanian was achieved in 1688, and the Old Testament was then translated from the Septuagint. All the other editions of the Romanian Bible were based on the 1688 version: Blaj Bible – “of Bob” (1795), Sibiu Bible – “of Şaguna” (1858), the Synodal Bible (1914). The tradition of revising and translating the Old Testament from the Septuagint was interrupted once a new edition of the Bible was published in 1936. The authors of the translation, Gala Galaction, Vasile Radu and Nicodim Munteanu, preferred to translate the Old Testament from the old Hebrew version.

(2) The new edition of the Bible includes over 6 5 0 0 f o o t n o t e s . The reader often needs explanations, guidance and support in order to understand the text of the Bible. The footnotes consist of religious, theological, patristic, cultural, historical, literary related comments that facilitate the understanding of the divine message.

(3) Each book or groups of books from the Bible (the Pentateuch or the noncanonical books, for instance) are preceded by a s h o r t 3 Biblia sau Sfânta Scriptură..., 1826.

Ştefan Iloaie 122

i n t r o d u c t i o n, but extremely reach in content. The introduction refers to the author, the period of time or the year when it was written, the history of the text, the literary genre, offering historical, geographical, contextual information in order to facilitate the understanding of the message. The Bible itself is preceded by a long introduction.

(4) The t i t l e s o f t h e c h a p t e r s of the books are often adapted so that they can express better their content. For example, in the Genesis, 35 titles of the chapters out of 50 are adapted and reformulated.

(5) From practical reasons, any q u o t a t i o n s f r o m p a r a l l e l t e x t s are placed next to the paragraphs and thus they turn into a “comment in a latent state”. In order to facilitate the extensive and intensive understanding of the Bible, the edition includes a Bible concordance in the end.

As related to the action of the revision of the Holly Scripture, Bartolomeu Valeriu Anania states:

“A translation or a review of the Bible in its final version (meaning «forever unchangeable») is not possible anywhere, in any culture and any language, and this for two main reasons: first, the original texts appear in critical editions ever better and more complete; secondly, any language evolves [...]. Therefore, there can’t be a «final» solution in the precise meaning of the word, but only an improved or stable version […]. The numerous and enormous difficulties, sometimes insurmountable that the Bible’s translation encounters are well known. Contemporary Specialists consider that in the Greek text of the four Gospels only, there are about 700 grammatical and lexical ambiguities – either intended by the sacred authors, or due to copyists – problems that can only be solved with the help of context [...]. We all compete – philologists, critics, literary historians or simply writers – we utter assumptions, open controversy, arouse passions, cross swords”4.

Archbishop and today Metropolitan Bartholomew in Cluj especially calls

the workers of the translation and revision of the Holy Scripture text, not ‘translators’ but ‘interpreters’.

“‘To comment’ is more than ‘to translate’ (i.e. ‘to translate’ a text from one language to another), it means – according to a Dictionary – ‘to interpret, to expound, to explain, to enlighten, to discern, to guess at a problem or a question’. We call them like this, not because they called themselves that, but because they deserve it. Their work stands as a witness. Choosing words, their thoughts forever reconnoitre from below, to meet the thought of the person who wrote first, matching them, their care was for the readers”5.

4 BARTOLOMEU ANANIA, “«Biblia lui Şerban», monument de limbă teologică şi literară

românească”, in Tabor 2 (2008), 8 (Nov.), 6. 5 ANANIA, 8.

Novelty and Continuity: the Bible Revised by Bartolomeu Valeriu Anania 123

2. The spiritual meaning of the word of Scripture The Bible is a high amplitude literary text, from the universality of the themes to vocabulary richness and variety of styles. But above all it is the Sacred Book par excellence, “The Book of Books”, “The Holy Scripture”, the main vehicle of divine revelation; it is the literary incarnation of the Logos, the extension of His incarnation through the feather of the sacred authors. In the Scriptures there is no book, chapter or verse that doesn’t have a theological dimension, explicit or implicit, as appropriate.

In Orthodox tradition, the bread prepared for Liturgy has a special character, it can become blessed bread but it can also become the Body of Christ, under the invocation of the Holy Spirit in the Eucharist:

“Just as that, the Bible stands in front of the reader: as a wafer that may remain leavened bread, can become holy bread or can transform into the Eucharistic Body. Levels (stages) of penetration, levels of knowledge; levels of knowledge, levels of initiation; levels of initiation, levels of holiness: «even though we knew Christ in flesh, we don’t know him like that anymore» writes Saint Paul the Apostle (2 Corinthians 5:16)”6.

In the explanatory word for the 2001 edition of the Holy Scripture,

Archbishop Bartholomew urges the reader to enter the spiritual meaning of the word and not stop at the form. Here are his words:

“Therefore if you, the reader will open the book out of simple curiosity or habit, to fulfil your need for knowledge, and if you went through it as a simple act of culture, you can be sure that you won’t forget it. If you would linger upon it with some linguistic interest, you’ll find that in Hebrew and ancient Greek there are scattered words, phrases and heterogeneous names, borrowed from the cultures with whom the Biblical authors were adjacent to, or others that neither they nor their parents have known. If you read it only as a literary work, but behold, you found in it plenty genera and species, lyric and epic poetry, historiography, law, sacred and sapiential hymns, prophetic and apocalyptic pages, short prose and novel nuclei, dramatic scenarios and philosophical essays, aphoristic sentences and prosodical incantations [...]. If you looked at it with a ruthless critical eye, you will discover what you were in fact looking for: naïveté, inaccuracies, gaps, overlaps, distortions, interpolations, parallels and many other defects that will delude you to the extent that you will stop here. If, on the need to understand, you'll explore it the second and third time in detail with obstacles and returns, if you put your mind on the text in front of you and on the parallel places [...] then your mind will be able to touch the meaning behind the words, to enter the allegorical glades of the events [...]. At

6 Biblia sau Sfânta Scriptură..., 7-8.

Ştefan Iloaie 124

the same time, the relief of your new readings will open the access way to the entire European culture, in all its height and splendour of the last millennium. But if for the need to know you’ll learn to read it not so on the outside, but more on the inside, if your soul will ignite in the flame of those who are winged with divine longing, then this grief will show you that, while all the books of this Book were written for the sake of a single character, Jesus Christ, presaging and announcing Him, and since Jesus Christ came into the world for the sake of a single creature, men, it means that the whole book is heading towards a single being, which is you, the reader. If you avoided it, you would have passed right by your very life; but since you assumed it, you were meant to find yourself. Now [...], you will penetrate the truths of faith and the profound meanings of the Scripture, i.e. in the light of its spiritual reading, the only one that lifts you above the words ‘to know’ and ‘to understand’, namely in the height of ‘knowing’, where the words go back to being Word and eternity invites you to life. [...] Once arrived here, only Joy remains […]”7.

The Holy Fathers of Christianity agree with the allegorical interpretation

of the text in John 1:14: “And the Word became flesh [...]”, meaning that Scripture and especially the New Testament represents the incarnation of divine teaching: the spoken word of Christ becomes oral tradition, then takes shape in the sacred writings. Peter the Apostle asks the Saviour: “Lord, to whom shall we go, You have words of eternal life” (John 6:68) and declares the mystery of Christ’s word and also its extraordinary strength of inner change for the one who listens or reads it8.St. John Chrysostom, in Homilies on Genesis remarkably shows the power of the divine word in bringing things to life, as the same word power, this time uttered by the Son is able to change destinies, to feed, because it’s the substance of life: “No man shall live by bread alone but by every word that proceeds from the mouth of God” (Mathew 4:4).

After Saint Nil the hunger for Scripture measures our spiritual being9 the inner state of a Christian depends upon the spiritual sense of the word. The 7 Biblia sau Sfânta Scriptură..., 7. 8 “Listening to the word of God meant obedience to His will revealed in the law” – JAROSLAV

PELIKAN, Tradiţia creştină. O istorie a dezvoltării doctrine [The Christian Tradition. A History of the Development of Doctrine, The University of Chicago: 1984, vol. 4], Romanian edition translated by Silvia Palade and Mihai-Silviu Chirilă, Polirom, Iaşi: 2006, 250. “The word of God is a fact in front of which no one can remain passive: the bearer of the word fulfils a service of great responsibility; the one who hears the word is summoned to take attitude, and this commits his destiny” – see “The Word of God”, in XAVIER LÉON-DUFOUR et al., Vocabular de Teologie Biblică [Vocabulaire de Théologie Biblique, Les Éditions du Cerf, Paris: 1970], Romanian edition: Editura Arhiepiscopiei Romano-Catolice de Bucureşti: 2001, 149.

9 Apud PAUL EVDOKIMOV, Vârstele vieţii spirituale [Les Âges de la vie Spirituelle, Desclée de Brouwer, Paris: 1980], Romanian edition translated by rev. Ion Buga, Christiana, Bucureşti: 1993, 190.

Novelty and Continuity: the Bible Revised by Bartolomeu Valeriu Anania 125

Word of Christ produces an inner change, it fulfils itself through concrete human fulfilment in Christ: The word of God “is called” door10, because it introduces the knowledge to those who have travelled all the way the path of virtues, on the blameless road of deeds and because it shows like a bright light the more shining treasures of wisdom. For the contemporaries, the word of Christ in a positive or negative sense had an absolute power: Our Lord didn’t just say the Word, but he empowered the word itself, because He identified Himself with it11. This word, said or written, then and now, produces a spiritual movement, an internal mobilization, a miss, because every spiritual word has power from the Creator’s power. Uttered by Christ, the word comes from the Father and develops – for man – into a commandment, in a certain reference point of salvation, imposes the capital responsibility for salvation, and from this perspective the word has power to judge, becomes referential, a mark for eternal life: “He that rejecteth me, and receiveth not my words, hath one that judgeth him: the word that I have spoken, the same shall judge him in the last day” (John 12:48-49).

After the Resurrection, accompanied on the Damascus road by Luke and Cleopas, Christ will explain the Scriptures to them, but they did not recognize him until the breaking of bread: “Were not our hearts burning within us while he talked with us on the road [...]?” (Luke 24:32). We have here the transition from historical Christ to eucharistic Christ, from the Lord then and from His immediate observed presence to the Lord now: the words on the way find their fulfilment in the breaking of bread and the thanksgiving made by Christ. Words, even the scriptural ones, would remain at their rational significance if today we wouldn’t have Eucharist, which exceeds the historical conditions of the text, whether scriptural or spiritual-informative, because historical realities are overcome.

We come in communion with Christ effectively in the Divine Liturgy, through Eucharist; if we feel responsible and accountable for the word of God, the Eucharist makes us more responsible in particular because of the real presence of Christ. Liturgy includes in its first part, liturgical readings of the Gospels and apostolic epistles. Before the Resurrection experience received through Eucharist, we have the communion with the Word, the Liturgy of the word, a transformation of the Word12, a moment in which the 10 ST. MAXIMUS THE CONFESSOR, “Capetele teologice” [“Theological Heads”] § 69, Filocalia

vol. 2, Romanian edition translated by rev. Dumitru Stăniloae, Harisma, Bucureşti, 19932, 202. 11 Rev. DUMITRU STĂNILOAE, Iisus Hristos sau restaurarea omului [Jesus Christ or the Restoration

of Man], Editura Omniscop, Craiova: 19932, 50-51. 12 “The word is fulfilled through Eucharist, He opens Himself toward the living God, offers

himself as food.” – EVDOKIMOV, Arta icoanei. O teologie a frumuseţii [L’Art de l’Icone. Théologie de la Beauté, Desclée de Brouwer, Paris: 1981], Romanian edition translated by

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Holy Table in the Altar has the Holy Gospel in its centre. When Eucharist Liturgy begins, the Gospel is replaced by the Holy Cup, which means that the spoken words receive their real value through it, because of the inner change: ”What the Word preached is fulfilled immediately in the Holy Cup which is exactly the Word fulfilled. This is the word that became flesh”13. There is a growing responsibility which proposes Christ to us: first word, then the Flesh and Blood.

Saint Ephrem the Syrian advises us: “Before any reading, pray and implore God so that He will reveal Himself to you”14. ‘The Word’ – as an expression and extension of the divine word – and spiritual reading made with discernment become prayer, because the reading and the word produce results if they are like a prayer. Our openness to the message of the word is like the special disposal for “speaking with God”, therefore a minimal training is recommended before any reading, especially before reading Scripture. For this, the Bible text is clear: “Then he opened their minds so they could understand the Scriptures” (Luke 24:45).

Referring to the concrete situation of his time, when the readings, including those from the Holy Scriptures, were despised because they weren’t fulfilled, St. John Chrysostom asks, and wonders: “What use has a man if he hears God’s words and doesn’t follow them?” and he is the one that answers and says: “There will be considerable benefit even if one only hears God’s words. He will be condemned, he will sigh and will get at one point to commit the words of God”15. The word received a terrible power of spiritual transformation, so that the same John Chrysostom’s discovered to his contemporaries the sense of reading: “You think that only monks deserve to read the divine Scriptures, when in fact you need them much more than the monks, because you live in the world, you injure yourself every day”16.

The word is thus a bearer of theology, as oration about God, but the

Grigore and Petru Moga, Editura Meridiane, Bucureşti: 1992, 34. On the other hand, considering the fact that the historical occurrence of Christ is necessarily limited by space and time, Christ becomes trans-historical precisely through His quality of Word of God, perpetuated beyond the limited elements of world history. In this direction see also the position of theologian JACQUES DUPUIS from Gregorian University in Rome: “Le Verbe de Dieu, Jésus Christ et les religions du monde”, in Nouvelle Revue Théologique 123 (2001), 4, 529-545.

13 EVDOKIMOV, Ortodoxia [L’Orthodoxie, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel: 1965], Romanian edition translated by Irineu Ioan Popa, EIBMBOR, Bucureşti: 1996, 273-279.

14 Apud EVDOKIMOV, Vârstele vieţii spirituale, 191. 15 ST. JOHN CHRYSOSTOM, Omilii la Matei [Homilies on Matthew] 2, 6, Romanian edition

translated by rev. Dumitru Fecioru, EIBMBOR, Bucureşti: 1994, 36. 16 ST. JOHN CHRYSOSTOM, 2, 5, 35.

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ideal remains for it to become from man a response to the divine Word17 and then, to turn into dialogue with God in the sense that the highest form of theology is prayer: “If you are a theologian, truly pray, and if you pray truly, you are a theologian”18. In this way, the word on the lips is interiorized to a maximum, reading turns from occupation to joy and the word from reason to love. Therefore, prayer – if not done by word – is done at least by thought. This is how the text of Scripture fulfils its word and the religious text its responsibility: being a n e x t e n s i o n o f L i t u r g y , a n e u c h a r i s t i c s h a r i n g o f t h e W o r d a n d s p e e c h w i t h a n d w i t h i n G o d.

17 “Man’s answer to God’s Word, is a complex inner attitude that involves all the aspects of

theological life: faith, because the word is the revelation of the living God and His plans; hopes, because it’s the promise of an entry, love, because it’s a rule for life” – “The Word of God”, Vocabular de Teologie Biblică, 149.

18 EVAGRIUS PONTICUS, “Cuvinte despre rugăciune” [“Words about Prayer”] § 60, Filocalia, vol. 1, Romanian edition translated by rev. Dumitru Stăniloae, Editura Harisma, Bucureşti: 19934, 112.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 129-136

TRADUIRE LA SEPTANTE AU XXE SIÈCLE : LES DIX COMMANDEMENTS EN ROUMAIN, FRANÇAIS ET ITALIEN

ANDREEA ŞTEFAN Accademia di Romania à Rome

Université de Bucarest

1. Introduction Si à l’Occident l’intérêt pour la Septante a été d’abord de nature scientifique et seulement en deuxième lieu on s’est intéressé à son contenu théologique, pour les savants orthodoxes ce dernier aspect a eu le primat. Dans l’espace roumain, le christianisme et son texte sacré, la Bible, ont circulé en rite gréco-byzantin et en langue slave. Le texte de la Septante, hérité par les théologiens byzantines du christianisme primitif et transmis aux voisins slaves, a été à l’origine des traductions accessibles au Nord du Danube, d’abord faites en slavon et finalement en roumain, avec la première traduction intégrale de la Bible réalisée à Bucarest à la fin du XVIIe siècle.

Le répertoire des différences entre l’espace roumain et l’Occident dans la manière de se rapporter au texte de la Bible et dans le choix de le populariser à travers la traduction en langue vernaculaire, peut continuer avec nombreux autres exemples. Mais à partir du 1688 on constate aussi des tendances communes. Le travail de traduction imposée par la Bible de Bucarest reflète en forme embryonnaire se qui deviendra une vraie obsession des XIXe et XXe siècles, l’effort d’assimiler les acquis de la civilisation Occidentale. Pour le problème qui m’occupe ici, la première traduction de la Bible1, il faut reconnaître comme empruntes faites à la pensée Occidentale le souci de réaliser une traduction d’après le texte en langue originale, le choix d’une édition qui puisse satisfaire aussi bien le critère théologique que des considérations philologiques, et surtout, l’initiative de réaliser une version accessible, en langue parlée. Mais, si les traductions de la Bible en italien et en français continuent à s’accroître dans les siècles successifs, pour le

1 Biblia adecă Dumnezeiasca Scriptură a Vechiului şi Noului Testament, Editura Institutului Biblic şi de Misiune al Bisericii Ortodoxe Române, Bucureşti, 1997, p. 933.

Andreea Ştefan 130

roumain2, on ne reprend qu’au XXe siècle l’enchaînement des diverses nouvelles traductions.

A partir du XXe siècle, même si la disparité en ce qui concerne le nombre des traductions persiste, on constate l’existence d’un nombre de principes directeurs communément reconnus dans les trois espaces de mon intérêt. Dans les pages suivantes j’essaierai de surprendre les points de concordance et de discordance entre les traductions roumaine3, française4 et italienne5 du texte de la Septante. Pour cette étude je me servirai des traductions récentes du texte de la Septante existantes dans les trois langues. Pour les nécessités de la recherche envisagée ils seront utilisés aussi des traductions d’emploi liturgique.

2. Remarques préliminaires sur les traductions Quelques remarques préliminaires s’imposent.

D’abord, les trois traductions emploient l’édition critique de la Septante établie par Alfred Rahlfs6 en 1935 ce qui représente le point de départ pour la présente comparaison.

Mais la finalité de ces traductions est légèrement différente. Pour le français et le roumain, les traductions de la nouvelle version Septuaginta sont relativement récentes (1989 année de la parution de l’Exode en France et 2004 pour sa parution à Bucarest) réalisées par des collectifs de chercheurs qui se sont préoccupés non seulement de rendre le texte grec dans la langue cible mais aussi de lui expliquer la signification à travers des notes amplement développées.

En plus, en ce qui concerne la réalisation de l’édition roumaine il y a eu une intense collaboration avec l’équipe française7. Par conséquence, les deux traductions ont envisagé le problème d’une perspective laïque où l’intérêt scientifique a eu le primat sur les considérations théologiques ou œcuméniques. 2 Voir CRISTIAN BĂDILIŢĂ, FRANCISCA BĂLTĂCEANU, MONICA BROŞTEANU, DAN

SLUŞANSCHI (ed.), Septuaginta, en collaboration avec Ioan-Florin Florescu, Polirom, Iaşi; Colegiul Noua Europă, Bucureşti, 2004, vol. 1, p. 5 pour un bref historique des traductions roumaines de la Bible.

3 Ibidem. 4 La Bible d’Alexandrie. 2. L’Exode, traduction du texte grec de la Septante, introduction et notes

par Alain Le Boulluec et Pierre Sandevoir, Cerf, Paris, 1989. 5 ARISTIDE BRUNELLO, La Bibbia secondo la versione greca dei Settanta, prima e unica traduzione

in lingua moderna con introduzioni, commento e note di A. Brunello, vol. I, Istituto diffusione edizioni culturali, Roma, 1960.

6 ALFRED RAHLFS (ed.), Septuaginta : id est, Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes, Privilegierte württembergische Bibelanstalt, Stuttgart, 1936.

7 Voir Septuaginta, éd. cit., 2004, p. 7.

Traduire la Septante au XXe siècle 131

Par contre, la traduction italienne est plus ancienne. Elle date de 1960 et représente le travail d’un seul traducteur, Aristide Brunello, docteur en théologie et clergé. La traduction italienne vise à la fois la rigueur scientifique que la diffusion d’une autre « variante » de la Bible dans le milieu catholique italien, où la Vulgate a le primat théologique, et se propose comme une voie de compréhension avec les églises orthodoxes. Les intentions sont clairement affirmées dans la préface8 à l’édition italienne.

D’autre part, l’option légèrement différente se fait remarquer des titres des trois ouvrages. En roumain, on a choisi le nom Septuaginta, néologisme surtout employé dans les milieux philologique et théologique, pour souligner le caractère scientifique de l’ouvrage et se démarquer des traductions de la Bible où la Septante représente le texte base mais il peut être corroboré avec d’autres versions notamment le texte massorétique, la Vulgate et le texte slavon. La Bible d’Alexandrie, à l’instar de la Bible de Jérusalem signale une édition non liturgique, scientifique et exégétique de la Bible. La Situation se présente d’une manière similaire pour le cas italien, La Bibbia secondo la versione greca dei Settanta.

Des constatations énumérées on peut déduire une concordance plus intime entre les versions roumaine et française en ce qui concerne la traduction et le maniement du texte grec. D’autre part, l’arrière-plan cultural uni les milieux français et italien en ce qui concerne le statut de la Septante parmi les autres versions de la Bible.

Dans les pages suivantes, je me concentrerai sur un court passage tiré de l’Exode (20:2-17) pour constater concrètement quelles sont les solutions que les traducteurs ont trouvé pour le texte grec et comment on peut les rapporter les unes aux autres et chacune à son tradition de traductions bibliques dans laquelle la Septante a une place différente.

3. Étude de cas : L’Exode 20:2-179 Les traductions modernes de la Septante conservent des liens avec la

8 La Bibbia secondo..., éd. cit., p. XXI. 9 Pour la comparaison j’ai utilisé les dictionnaires suivants : HENRY GEORGE LIDDELL and

ROBERT SCOTT, A Greek-English Lexicon, revised and augmented throughout by Sir Henry Stuart Jones with the assistance of Roderick McKenzie, Clarendon Press, Oxford, 1996 ; A Latin dictionary, founded on Andrew’s ed. of Freund’s Latin dictionary ; revised, enlarged, and in great part rewritten, by Charlton T. Lewis and Charles Short ; Clarendon Press, Oxford, 1980 ; TULLIO DE MAURO, Grande dizionario italiano dell’uso, UTET, Torino, 2007 ; PAUL ROBERT, Le grand Robert de la langue française ; dictionnaire alphabétique et analogique de la langue française, Le Robert, Paris, 1985 ; F. VIGOUROUX, Dictionnaire de la Bible, Letouzey et Ané, Paris, 1895-1912.

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tradition biblique locale. Pour le roumain, l’héritage orthodoxe fait ainsi que les premières traductions de la Bible coïncident avec les premières traductions de la Septante. En Italie et en France on a une plus grande familiarité avec le texte de la Vulgate. Il est donc nécessaire de faire l’inventaire des principales distinctions entre le grec et le latin.

Le passage sélectionné, l’Exode 20:2-17, présente des différences minores entre la version grecque et celle latine. De point de vue de la topique, les deux textes s’accordent en traites générales. Des différences plus notables se rencontrent au niveau lexical.

La correspondance coram me « devant mes yeux/ma face » – plēn emou «que moi» s’explique soit par des différences dans les originaux, soit par une difficulté rencontrée par le traducteur grec qui préfère rendre l’idée en conservant la même structure grammaticale – on a aussi bien en latin qu’en grec la séquence préposition + pronom – en sacrifiant le contenu sémantique de l’inflexible. En effet, le Deutéronome, 5:7 reprend plēn emou par pro prosōpou mou « devant ma face » où le latin présente in conspectu meo «à ma vue». On remarque le même soin d’être fidèle à la topique de l’original.

Le couple sculptile « sculpture » – eidōlon « image » pose un autre problème. Ici on ne peut pas parler d’une difficulté de trouver en grec l’équivalent de mot hébreu pésél 10 (gluptos étant assez fréquemment employé) mais, plutôt il faut y voire une intentionnalité.

Les traductions qui partent du grec et celles qui partent du latin diffèrent quant il faut rendre hamartia « erreur » – iniquitas « injustice ». Il faut peut-être voire en cette oscillation une partielle perte de sens que les deux mots ont eu au moment de la traduction. Soit hamartia que iniquitas sont employés avec les sens courants en grec hellénistique et en latin tardif et qui expriment la « faut », le « péché ». Pour les traducteurs modernes les sens classiques sont par contre plus familiers.

Pour le verset 20:7 le latin de la Vulgate présente une variation stylistique où in vanum « en vain » est repris par frustra. En grec on reprend le syntagme réalisé avec le recours au même adverbe : mataiō « en vain ». La variation stylistique n’est pas retenue par les traductions que nous concernent ici ; toutes reprennent le même adverbe.

En ce qui concerne le contexte biblique 20:12, on suppose11 que le texte massorétique, repris par la traduction latine de la Vulgate, et le texte utilisé par les traducteurs de la Septante ne coïncident pas. La Septante présente la proposition hina eu soi gēnetai « afin qu’il te soit bien » et le déterminatif tēs agathēs « celle bonne » qui manquent dans la version latine. Pour expliquer 10 Voir La Bible d’Alexandrie, éd. cit., p. 205, note 20:4. 11 Ibidem, p. 208-209, note 20:12.

Traduire la Septante au XXe siècle 133

les divergences on a présumé l’influence du Deutéronome 5:16 sur l’Exode 20:12 en tenant compte de la répétition de la circonstancielle finale. Pourtant, la présence du déterminatif tēs agathēs, ne se retrouverait pas convenablement expliquée par cette hypothèse. Il est donc plus plausible de penser ici à des variantes du texte hébreu différentes desquelles partent les deux traductions, celle grecque12 et celle latine. La version latine, plus dense, ne semble avoir influencé les traductions modernes.

Le doublet pseudomartureō « témoigner faussement » – loquor contra « dire contre » trouve son origine dans la traduction interprétative que le grec offre ici pour le verbe hébreu qui veut dire « répondre contre »13.

Des différences plus notables se retrouvent dans le verset 20:17. Dans le texte en grec on retrouve l’inversion entre les termes tēn gynaika «la femme» et tēn oikian « la maison » où le latin donne l’ordre domum […] uxorem. Le texte grec se remarque aussi par une plus ample énumération qui ajoute, par rapport au latin, les syntagmes : oute ton agrou autou « ni son champ » et oute pantos ktēnous autou « ni aucune de ses bêtes ». On a vue14 dans ces particularités du texte grec par rapport au texte latin (massorétique) une possible révision de ce dernier. Les traductions en langues modernes suivent fidèlement la version grecque.

La manière dont on a rendu la séquence Ex. 20:2 ex oikou douleias (lat. de domo servitutis) reflète le soin de rester le plus proche que possible au texte grec des traducteurs français et roumain. On a trouvé des solutions similaires en français « de la maison d’esclavage » et en roumain « din casa robiei ». Mais les tendances sont opposées. Le français préfère un langage plus actualisé en employant le mot « esclavage ». En roumaine on choisi une revalorisation des traductions antérieures en reprenant la solution offerte par les traducteurs de la Bible de Bucarest « den casa robiei ». Ce rapport privilégié avec la tradition de la traduction biblique donne à la version roumaine une tonalité archaïsante. On la retrouve une autre fois au passage Ex. 20,6 où kai tois phulassousin ta pragmata mou est traduit par « şi păzesc poruncile Mele » sous l’influence de « şi păzăscu poruncile meale » et surtout le prestige de la tradition semble être responsable de l’emploi de l’impératif à la place du futur grec qu’on retrouve seulement dans la/les traduction(s) roumaine(s).

En italien on choisi une traduction plus libre « dal luogo della schiavitù ». La tonalité est plutôt colloquiale comme le montre la solution offerte pour le verbe exēgagon se « t’ho cavato ».

Le rapport entre la familiarité du vocabulaire de la Bible en langue parlée

12 Ibidem. 13 Ibidem, p. 210, note 20:16. 14 Ibidem, p. 210-211, note 20:17.

Andreea Ştefan 134

et le travail de traduction d’un texte légèrement différent se retrouve dans le cas du doublet sculptile « sculpture » – eidōlon « image ». Voyons comment se présentent les variantes pour le grec ouk poiēseis seauton eidōlon oude pantos homoiōma (20:4). En parfaite concordance avec l’observation plus haute mentionnée, la traduction en français des deux termes est fidèle et actualisé : « Tu ne feras pas pour toi d’idole, ni de ressemblance ». Pour le roumain la traduction « Să nu-ţi faci idol, nici vreo înfăţişare » est moins fidèle au grec que celle française. Elle rende plutôt le sens que les termes. Paradoxalement, le texte de la Bible de Bucarest « Să nu faci ţie chip cioplit, nice la toate asemănarea » offre une leçon plus actualisée. La traduction est un mélange : on retrouve ici l’influence du texte latin sculptile dans « chip cioplit » ; mais le grec homoiōma est plus fidèlement rendu dans « asemănarea ». Dans la traduction italienne on retrouve à nouveau l’image de texte latin duquel le traducteur ne réussit pas se détacher « Non ti farai scultura né immagine alcuna ». On constate aussi une concordance de termes entre la traduction moderne roumaine et l’italien dans l’équivalence du grec homoiōma.

La traduction du grec hamartia (Ex. 20:5) présente, dans la version italienne de la Septante, la même hésitation entre le texte latin et celui grec. On constate l’équivalence entre hamartia et « iniquità ». Il est facile à reconnaître derrière l’italien « iniquità » le latin iniquitas. Mais voyons comment on fait la traduction du même mot du latin en italien. Pour la traduction réalisée sous l’égide de la Conferenza Episcopale Italiana15, traduction d’emploi liturgique, faite à partir du texte latin de la Vulgate, et avec la consultation des versions de la Nouvelle Vulgate, du texte de la Septante et de la version massorétique, on traduit le latin iniquitas par « colpa » suivant le sens que le mot a acquis dans le latin chrétien. Il faut donc supposer ici que le traducteur a du se rappeler la forme courante en latin et non en italien quant il a choisi de faire correspondre « iniquità » à hamartia.

Le choix des traducteurs français et roumain tombe sur « péché » pour équivaloir le mot grec.

Le verbe katharizō (20:7) « rendre pur, purifier » a été rendu en français par « ne déclarera pas pur », en roumain on a suit le choix très fidèle au mot grec fait par la Bible de Bucarest « nu va curăţi », mais en italien le choix est tombé sur une formulation plus interprétative « non lascerà impunito » : il est intéressant de noter ici que la traduction italienne de la Vulgate offre la même lecture : « non lascerà impunito » pour le latin habebit insontem « considérera innocent ». En italien, le choix du traducteur tombe sur une solution préexistante, interprétative, qui partait d’une source légèrement différente. 15 La sacra Bibbia, Conferenza episcopale italiana, Roma 2005, p. VIII.

Traduire la Septante au XXe siècle 135

L’influence du texte de la Vulgate sur la traduction italienne surgit aussi en ce qui concerne le syntagme tēn hēmeran tēn hebdomēn « le septième jour » : « il giorno del sabato ».

La tournure de phrase du grec, qui fait recours au chiasme ou pseudomatryrēseis […] martyrian pseudē est conservé dans la traduction française : « te ne témoigneras pas faussement […] par un faux témoignage ». Les traductions roumaine et italienne, en évitant le chiasme, offrent un choix de traduction plus proche du texte latin de la Vulgate : « să nu aduci mărturie mincinoasă [...] » ; « non dirai falsa testimonianza contro […] ».

Les trois traductions analysées utilisent une forme unique du texte biblique de l’Ancien Testament. Elles se proposent de réaliser une traduction de la Septante en langue moderne et se servent à ce propos de l’édition critique plus prestigieuse, celle de Alfred Rahlfs. On a eu ici un bon point de départ pour une comparaison. On a peut ainsi constater comment la délimitation de l’objectif laisse des traces dans la traduction. Des traductions scientifiques se bornent à un langage littéraire, que – on a vu – peut être actualisé ou par contre archaïsante. La traduction qui envisage le problème de la popularisation de texte traduit doit le rendre accessible, et peut-être elle arrive mieux au but avec des choix lexicaux plus inhabituels. Elle laisse plus d’espace au choix du traducteur. Le milieu culturel ou intellectuel du traducteur marque d’une manière profonde la tonalité générale du texte traduit, lui donnant sa personnalité. On a vu comment les traductions antérieures, faite sur le même original grec (bien entendu dans une autre édition) mais d’utilisation liturgique, ont modelé le lexique de la traduction roumaine et, parfois, lui ont imposé des choix comme dans le cas du futur grec systématiquement rendu par l’impératif. L’appartenance au clergé donne au traducteur un bagage culturel qui peut trouver des échos dans son travaille.

L’attention prêté à la manière de traduire éclaire non seulement le rapport entre le texte et son original mais aussi elle peut surprendre aspects liés à un contexte plus élargit qui implique la tradition dans laquelle s’inscrit le traducteur et l’arrière-plan de la traduction.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 137-144

IL LUOGO DELLA TRADIZIONE BIBLICA ROMENA NELLO SPAZIO EUROPEO

CONSIDERAZIONI IN MARGINE ALLA BIBBIA DI SAMUIL MICU

CESARE ALZATI Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

In occasione del Grande Giubileo dell’anno 2000, con la benedizione dell’allora metropolita di Blaj, Lucian, e l’alto patronato del vescovo Virgil di Oradea, e sotto la responsabilità scientifica dell’Accademia Romena, segnatamente dell’Istituto di Storia diretto a Cluj da Camil Mureşanu, è apparsa a Roma la riedizione anastatica della traduzione romena (in caratteri cirillici) della Bibbia, traduzione condotta da Samuil Micu e pubblicata în Blaj, la Mitropolie nel 17951. Questa riedizione è stata coordinata da Ioan Chindriş e risulta corredata da una trascrizione a fronte in caratteri latini2, nonché da ricchi studi (a cominciare da quello fondamentale dello stesso Chindriş), da un glossario e da una preziosa concordanza dei nomi propri3. L’opera, che ne è risultata, costituisce un’iniziativa di straordinario rilievo culturale, ma di non minor significato sul piano religioso e, a ben vedere, ecumenico. 1 BIBLIIA adecă Dumnezeiasca Scriptură a Legii Vechi şi a ceii Noao, toate care s-au tălmăcit de pre

limba elinească pre înţălesul limbii româneşti. Acum întâiu s-au tipărit româneşte, supt stăpânirea preaînalţatului împărat a Romanilor Franţisc al doilea, craiului apostolesc, mare prinţip al Ardealului şi cealealtele. Cu bagosloveniia Măriii Sale, prealuminatului şi preasfinţitului domnului domn Ioan Bob, vlădicul Făgăraşului, În Blaj, la Mitropolie, Anul de la naşterea lui Hristos 1795. Frontespizio della riedizione: Biblia de la Blaj 1795. Ediţia jubilară. Cu binecuvîntarea Î.P. S. Lucian Mureşan, mitropolitul Bisericii Române Unite, Roma 2000 (copyright: Mitropolia Română Unită cu Roma de Alba Iulia şi Făgăraş).

2 Con il coordinamento filologico di Eugen Pavel, la trascrizione è stata condotta dallo stesso Eugen Pavel e da Elena Ardeleanu, Ioan Chindriş, Nicolae Edroiu, Elena Mihu, Florica Nuţiu, Dora Pavel, Şerban Turcuş, Veronica Turcuş.

3 Il contributo di IOAN CHINDRIŞ, Secolele Bibliei de la Blaj (pp. 2339-2406) è accompagnato da riassunti in lingua latina (pp. 2407-2408), italiana (di Helga Tepperberg: pp. 2409-2410), francese (di Liliana Şomfăleanu: pp. 2411-2412), inglese (di Lucian Dunăreanu: pp. 2413-2414) e tedesca (di Hilde Mureşan: pp. 2415-2416). Glossario di Elena Cumşulea, Valentina Şerban e Sabina Teiuş. Concordanze dei nomi propri di Sidonia Puiu.

Cesare Alzati 138

Questa Bibbia di Blaj, nella sua prima realizzazione come nella sua recente riedizione, ripropone all’attenzione l’organismo ecclesiastico che l’ha prodotta, ossia la Chiesa Romena Unita, e rimarca il fondamentale contributo da questa offerto all’esperienza religiosa e alla vita culturale del popolo romeno, con echi che ampiamente hanno travalicato lo spazio transilvano.

Mi sia permessa anzitutto una precisazione in merito a tale Chiesa, precisazione d’ordine storico, ma non solo.

Ai miei occhi risulta assolutamente fuorviante, rispetto a una corretta

percezione storica, la tendenza a leggere la complessa fenomenologia di questa, come delle altre Chiese orientali unite, attraverso l’unificante categoria, elaborata in sede teologica, di ‘U n i a t i s m o’, che fa di tali Chiese il frutto di orientamenti ecclesiologici e di progetti missionari della Chiesa di Roma, riconducendo la loro realtà, passata e attuale, esclusivamente entro le logiche e le dinamiche della comunione cattolica (o, per meglio dire, del suo vertice romano)4.

Un analogo carattere riduttivo presenta la definizione di ‘C h i e s a c a t t o l i c a d i r i t o o r i e n t a l e ’, in cui trova riflesso la percezione ecclesiologica e canonica che l’Occidente ha avuto della comunione 4 “Durant les quatre derniers siècles, en diverses régions de l’Orient, des initiatives ont été

prises, de l’intérieur de certaines Églises et sous l’impulsion d’éléments extérieurs, pour rétablir la communion entre l’Église d’Orient et l’Église d’Occident. Ces initiatives ont conduit à l’union de certaines communautés avec le Siège de Rome et ont entraîné, comme conséquence, la rupture de la communion avec leurs Églises-mères d’Orient. Cela se produisit non sans l’intervention d’intérêts extra-ecclésiaux. Ainsi sont nées des Églises orientales catholiques [...]/ [...] Progressivement, dans les décennies qui suivirent ces unions, l’action missionnaire tendit à inscrire parmi ses priorités l’effort de conversion des autres chrétiens, individuellement ou en groupe, pour les faire «retourner» à sa propre Église [...]/ [...] cette forme « d’apostolat missionnaire », décrite ci-dessus, et qui a été appelée « uniatisme », ne peut plus être acceptée [...]/ [...] Les Églises orientales catholiques qui ont voulu rétablir la pleine communion avec le Siège de Rome et y sont restées fidèles, ont les droits et obligations qui sont liés à cette Communion dont elles font partie”: Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (nel suo insieme), Documento di Balamand (23 Giugno 1993), Paragrafi 8, 10, 12. Il testo anche in Service Orthodoxe de Presse, Suppl. n. 180 (Juin-Juillet 1993). Il carattere riduttivo di questa ricostruzione storica dei fenomeni è assolutamente evidente, ma non meno percepibili sono le carenze di tali enunciati quanto a valutazione ecclesiologica delle Chiese dell’Unione. La diretta premessa al Documento di Balamand può vedersi nel comunicato stampa emesso al termine della VI Assemblea Plenaria, della medesima Commissione, tenutasi a Frisinga dal 5 al 15 Giugno 1990 e “consacrata allo studio dei problemi posti dall’origine, l’esistenza e lo sviluppo delle Chiese cattoliche di rito bizantino, chiamate anche ‘Chiese uniate’ [...] il problema dell’‘uniatismo’ [...]”: Testo in D. SALACHAS, “Il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolico-romana e la Chiesa ortodossa. Iter e documentazione”, Quaderni di ‘O Odigos’, X (2) (Bari 1994), p. 147.

Considerazioni in margine alla Bibbia di Samuil Micu

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ecclesiale e del suo unitario strutturarsi attorno alla cattedra romana. Al fondo di tale definizione sta l’orientamento ecclesiologico postridentino, nel cui contesto le comunità ‘greche’ viventi in comunione con l’Occidente cattolico, a cominciare dagli Italo-Greci, furono ecclesiologicamente declassate da Chiesa a Rito e, nella comunione della Chiesa romana, identificate quali comunità rituali: Chiesa romana e Rito greco, come ben sintetizzò il titolo del classico volume di Vittorio Peri5.

Alquanto limitante appare pure la denominazione di Chiesa ‘g r e c o -c a t t o l i c a ’ . Divenuta – a causa del riferimento alla cattolicità – quasi una bandiera per i fedeli di questa Chiesa negli anni della persecuzione attuata sotto il regime ideocratico comunista; in realtà è denominazione legata all’uso della Cancelleria asburgica, che a tale definizione ricorse, in Transilvania come nelle altre regioni centro-orientali europee, per distinguere – tra i ‘greci’ presenti nell’Impero – quanti aderivano alla comunione cattolica dagli appartenenti alla griechisch-orientalische Kirche, separata da Roma. Di fatto, anche questa definizione di Chiesa ‘g r e c o - c a t t o l i c a ’ , non molto diversa-mente da quella di Chiesa ‘c a t t o l i c a d i R i t o o r i e n t a l e ’ , si limita a censire la Chiesa in questione come comunità rituale all’interno della comunione che fa capo a Roma, e non pone in luce il fatto che si tratti di Chiesa orientale che, soltanto a un certo momento della sua storia, ha dichiarato la propria comunione con la Sede romana.

In realtà ciò che in Transilvania caratterizzava, e caratterizza, quest’orga-nismo ecclesiastico è proprio il fatto di essere organismo appartenente all’Oriente cristiano e alla sua tradizione, e che, nella ribadita fedeltà a tale tradizione, mediante l’Unione esso abbia instaurato la comunione con la Chiesa di Roma.

Non a caso le fonti erano solite parlare di ‘C h i e s a u n i t a’. E i fedeli di tale Chiesa erano detti ‘u n i t i’. In rapporto a questa denominazione (che non è esclusivamente transilvana, ma si ripropone anche in altre aree dell’Oriente cristiano) risulta non poco significativo il rapido generarsi – dal termine u n i t i – della coppia lessicale u n i t i / n o n u n i t i, nella quale, peraltro, u n i t i è il secondo termine specificativo all’interno di un binomio, il cui primo termine designa i credenti orientali e le loro Chiese, per quanto essi sono in se stessi e con riferimento alla loro peculiare tradizione. In questo senso, tutti i Romeni di Transilvania erano analogamente Rumâni e pravoslavnici (ossia, ortodossi), ma dopo lo stabilirsi dell’Unione e la sua crisi, una parte furono uniţi, un’altra – divenuta poi ampiamente maggioritaria – furono neuniţi. E gli uni e gli altri ben distinti dai catolici, ossia dalle

5 V. PERI, Chiesa romana e Rito greco, Brescia 1975.

Cesare Alzati 140

popolazioni di rito latino (ungheresi e, nel Banato, tedesche)6. Sicché “legea pravoslavnică răsariteană neunită” poteva con legittimo orgoglio essere definita la tradizione della propria Chiesa dal vescovo ortodosso Gherasim di Arad nel 18367; e in modo simile sull’altro fronte Vasile Lucaciu dopo la I Guerra Mondiale poté proporre di abbandonare la denominazione Greco-catolici, per recuperare l’originaria autodefinizione, terminologicamente aggiornata: Ortodocşi uniţi8.

‘U n i t i’, non ‘u n i a t i’. In effetti, u n i a t i è strettamente legato all’area linguistica russa; e se nelle lingue occidentali riflette assai efficacemente l’importanza decisiva che, soprattutto nel Novecento, le scuole teologiche russe dell’emigrazione hanno avuto nel mediare in Occidente la conoscenza dell’Oriente cristiano9, nelle varie regioni di tradizione ortodossa, ma linguisticamente non slave, l’equivalente dell’italiano ‘u n i a t i’ è venuto affiancandosi, con intenti palesemente polemici, a un precedente termine, corrispondente a ‘u n i t i’, al fine di marcare immediatamente l’intonazione polemica del discorso10. Quanto all’area linguistica romena, il termine 6 Cfr. tra XVIII e XIX secolo PETRU MAIOR, Istoria Besearicei Românilor…, Buda 1813, cap.

IV, par. 7. 7 Così si esprime il giuramento antiunionistico dal presule imposto ai preti della sua episcopia:

GH. CIUHANDU (a cura di), Episcopii Samuil Vulcan si Gherasim Rat, Arad 1935, pp. 560-561. 8 I. FILIP, Părinte Vasile Lucaciu. Leul de la Sisesti, "Bună Vestiră", VIII (1-2) (1969), pp. 15-

17. Per il binomio u n i t i / n o n u n i t i nell’ambito polacco-lituano, con riferimento all’Unione rutena, cfr. la coppia lessicale evidenziata dal Decretum Vladislai IV (1° Luglio 1636): “Dyzunitami religii Greckiey/ unitami religii Greckiey”, in Metr. A. ŠEPTYCKYJ (a cura di), Monumenta Ucrainae Historica, Romae 1965, p. 220.

9 Significativamente in ambito italiano, dove il contatto con il mondo russo è stato limitato, il lemma ‘uniato’ è totalmente ignorato a fine Ottocento dal Melzi (Il Nuovissimo Melzi. Dizionario completo, Milano 1896) e dal successivo Palazzi (F. PALAZZI, Nuovissimo dizionario della lingua italiana, Milano 19392), mentre lo Zingarelli registra puntualmente il lemma ‘unito’, così spiegandolo: “Chiese orientali che, conservando la loro costituzione, lingua e liturgia si sono riunite con la romana, adottando la dottrina della processione dello Spirito Santo e del primato del papa: armena, copta, etiopica, greca e siriaca” (N. ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Bologna 19572, p. 1656; sia qui detto per inciso che, quanto alla dottrina filioquista, sarebbe forse più esatto affermare ch’essa, piuttosto che adottata, è stata riconosciuta legittima). Merita, inoltre, osservare come lo stesso Standard Dictionary of the English Language. International Edition, II, New York 19669, p. 1371, spiegando il lemma ‘uniat’, alle parole “A member of any community of Eastern Christians that acknowledges the supremacy of the pope of Rome” abbia aggiunto la precisazione “also called U n i t e d Armenian, U n i t e d Greek”.

10 Emblematico al riguardo il VI volume del Méga Lexikòn ÷lhV tÊV ‹EllhnikÊV GlÔsshV, apparso nel 1955, che registra come lemma primario ‘o7nîtai’ [o$] (e questo è il vocabolo utilizzato anche nella didascalia al lemma ‘O7nía’), mentre ‘o7niâtai’ è relegato al rango di variante: D.B. DEMETRAKOU MESISKLE, Méga Lexikòn ÷lhV tÊV ‹EllhnikÊV GlÔsshV, VI, Athenai 1955, p. 5284.

Considerazioni in margine alla Bibbia di Samuil Micu

141

originario per designarvi l’Unione è ‘Unire’, e ‘uniţi’ vengono detti quanti vi aderiscono; mentre ‘Uniaţie’ e ‘uniaţi’ sono più tarde riprese – e in contesto esclusivamente ortodosso – delle forme lessicali proprie dell’apologetica russa, mediate dalla letteratura polemica serba11.

‘C h i e s e u n i t e’, dunque, ossia Chiese di tradizione ecclesiastica non romana e neppure latina, che – nella pienezza dei propri ordinamenti istituzionali – hanno decretato la comunione con la Sede di Roma. Così avvenne per la metropolia di Kyiv alla fine del Cinquecento; e così fu negli anni 1697-1701 per la metropolia transilvana.

In tali casi non si trattò affatto di gruppi di fedeli orientali che, accorpatisi sotto l’azione proselitistica di missionari latini, da Roma ricevettero la loro configurazione istituzionale; si trattò invece di vere e proprie Chiese che, caratterizzate da una specifica tradizione e dotate di una precisa identità canonica, procedettero a sancire l’Unione.

La Chiesa Romena Unita, pertanto, non è Chiesa nata con l’Unione, ma è Chiesa presente ‘da sempre’ in area transilvana e che, a un certo punto della sua storia plurisecolare, ha decretato l’Unione. Essa è pertanto organica-mente parte dell’Oriente cristiano, di cui condivide la genesi storica, il radicamento antropologico, le dinamiche culturali.

Ho ritenuto opportuno richiamare questi aspetti delle Chiese unite,

perché essi si trovano come condensati e riproposti nella Bibliia di Samuil Micu, opera che per tale pregnanza di significati assume un valore ideale di non trascurabile rilievo.

A tale proposito un fatto mi pare anzitutto degno di nota: a Blaj, ossia nel centro istituzionale e culturale della Chiesa Romena Unita di Transilvania, fin dal 1760-1761 si disponeva di una traduzione romena della Bibbia, autore-volmente promossa e in parte direttamente condotta dallo stesso vescovo Petru Pavel Aron. Essa aveva peraltro assunto quale testo base la Vulgata latina, ossia la forma testuale propria della Chiesa occidentale. Di fatto tale traduzione rimase inedita e non ebbe alcun eco ecclesiale, e Samuil Micu non la tenne in alcun conto per la sua grande impresa12.

11 Rapide considerazioni al riguardo in O. BÂRLEA, “‘Uniat’ şi ‘unit’ / ‘Uniat’ und ‘uniert’”,

Perspective, III (2), 1980, pp. 6-7; per un accurato censimento delle denominazioni interne ed esterne storicamente determinatesi in riferimento all’ambito romeno transilvano, si veda ora C. GHIŞA, Biserică Greco-Catolică din Transilvania (1700-1850). Elaborarea discursului identitar, Presa Universitară Clujeană, 2006, dove peraltro la ricchezza documentale postula un’analisi analogamente accurata delle implicazioni – in particolare ecclesiologiche – presenti nelle diverse titolature.

12 Soltanto nell’anno 2005 l’opera di Petru Pavel Aron è stata resa disponibile agli studiosi tramite un’edizione in 5 volumi, a cura dell’Istituto di Storia “George Bariţ” e dell’Istituto

Cesare Alzati 142

Il dotto ieromonaco unito ebbe, in effetti, estrema cura nell’attenersi rigorosamente nella sua traduzione al testo greco dei Settanta, in fedele continuità rispetto alla tradizione dell’Oriente cristiano di matrice costantinopolitana, tradizione analogamente condivisa da tutte le Chiese dei Romeni, al di qua e al di là dei Carpazi.

Questa consapevolezza d’essere, in quanto membro della Chiesa unita, compartecipe della medesima tradizione ecclesiale – la medesima lege – presente nella Chiesa non unita, trova eloquente manifestazione nel rispetto con cui lo stesso Samuil Micu si rapporta alla ortodossa e transcarpatica Bibbia di Bucarest, caratterizzata dalla traduzione dell’Antico Testamento di Nicolae Milescu e apparsa nel 168813: quest’ultima costituisce un riferimento costante ed è riguardata come il precedente diretto della nuova traduzione, che sulla scia di quella si concepisce (“în ceea veache să află” [nella vecchia si trova] è l’espressione ricorrente nell’apparato di note posto dal traduttore transilvano a corredo del suo testo).

Come giustamente ha sottolineato Ioan Chindriş nel saggio che accompagna la riedizione della Bibbia di Blaj, criticamente condotta, Samuil Micu non intese il proprio lavoro entro i limiti angusti di una prospettiva confessionale, ma lo concepì come inserito all’interno della tradizione ecclesiale romena globalmente intesa, quale era venuta sviluppandosi lungo la storia – alla scuola di Costantinopoli – negli organismi ecclesiastici dell’intero spazio romeno.

Va immediatamente rimarcato come questa intenzionalità del traduttore abbia trovato ai suoi tempi ampia rispondenza nella realtà ecclesiale, unita e non unita, che lo circondava.

Chindriş segnala la collaborazione offerta alla revisione del testo da Dimitrie Eustatievici, intellettuale d’origine greca nato e cresciuto a Kronstadt (Braşov), esponente di spicco del sistema scolastico ortodosso in Transilvania, nonché la pronta disponibilità e il fattivo impegno subito manifestati dal vescovo ortodosso del Gran Principato, Gherasim Adamovici, per la stampa dell’opera, che sarebbe stata poi rivendicata e realizzata del vescovo unito, Ioan Bob.

di Linguistica e Storia Letteraria “Sextil Puşcariu” dell’Accademia Romena a Cluj, con la collaborazione della Biblioteca della Filiale di Cluj dell’Accademia Romena e della Facoltà di Lettere dell’Università “Ştefan cel Mare” di Suceava: Biblia Vulgata Blaj 1760-1761, ediţie princeps după manuscris inedit, coordonatori IOAN CHINDRIŞ şi NICULINA IACOB, I-V, Editura Academiei Române, 2005.

13 BIBLIA adecă Dumnezeiasca Scriptură a Vechiului şi Noului Testament. Tipărită întâia oară la 1688 în timpul lui Şerban Vodă Cantacuzino, domnului Ţării Româneşti. Retipărită după 300 de ani în facsimil şi transcriere cu aprobarea Sfântului Sinod şi cu binecuvântarea Prea Fericitului Părinte Teoctist, patriarhul Bisericii Ortodoxe Române, Bucureşti 1988.

Considerazioni in margine alla Bibbia di Samuil Micu

143

Possiamo vedere in tutto questo la testimonianza inequivocabile dei profondi legami che, ancora nella seconda parte del Settecento, caratterizzavano uniti e non uniti in terra transilvana. Si deve altresì constatare che analoga consapevolezza di appartenere a un comune patrimonio ecclesiale si sarebbe manifestata anche nei decenni successivi e in ambito non unito.

Quando, infatti, si fece impellente la necessità di dotare i Romeni di Bessarabia di un testo biblico nella loro lingua, le autorità di San Pietroburgo, tra il 1817 e il 1819, su istanza del metropolita di Chişinău (Kišinëv), il transilvano Gavril Bănulescu, procedettero alla ristampa del testo di Samuil Micu, da loro indicato come traduzione precedentemente apparsa in Transilvania14. E analogamente si sarebbe comportato alla metà del secolo il vescovo ortodosso di Buzău, il transilvano Filotei, che nella sua sede episcopale d’Oltrecarpazi scelse di ristampare, tra il 1854 e il 1856, la Bibbia di Blaj, da lui presentata ai fedeli ortodossi come la meglio curata e la più perspicua tra le traduzioni della Scrittura in lingua romena15.

Questa circolarità tra uniti e ortodossi, fondata su un mutuo ricono-scimento e nutrita di reciproca stima, attesta tutta la fecondità insita nella rigorosa adesione di Samuil Micu all’identità orientale della propria Chiesa e alla sua tradizione. Ma essa evidenzia altresì quali costruttivi rapporti si siano fattivamente messi in atto tra uniti e ortodossi lungo la storia, quando le relazioni tra le due Chiese furono vissute senza i soffocanti condizionamenti dell’ideologia confessionale. Proprio la forza condizionante di quest’ultima è il fattore che in modo decisivo ha imposto al pur grande presule ortodosso Andrei Şaguna un tortuoso comportamento, volto a occultare l’effettiva paternità del testo biblico da lui editato a Sibiu tra il 1856 e il 1858, testo costituito dalla Bibbia di Blaj, errori di stampa compresi16.

L’apertura di orizzonti insita nell’opera di Samuil Micu non si limita 14 BIBLIIA adecă Dumnezeiască Scriptură a Legii Vechi şi a ceii Noao. Cu Cheltuiala Rosieneştii

Soţietăţi a Bibliei. În Sanktpetersburg , În Tipografia lui N. Grecea, în anul 1819, August 15 zile. 15 BIBLIIA sau Testamentul Vechiu şi Nou. Acum mai îndreptându-se şi curăţindu-se de oarecari ziceri

neobicinuite într-această ţară, s-a retipărit iarăşi, în timpul pe când armiile roseşti ocupau Prinţipatul nostru. Prin binecuvântarea, râvna şi toată cheltuiala iubitorului de Dumnezeu episcop al Sfintei Episcopii Buzău D. D. Filoteiu, cavalier al Ordinului Vladimir clasul al treilea, În Tipografia Sfintei Episcopii, I-V, 1854-1856.

16 BIBLIIA adecă Dumnezeiasca Scriptură a Legii ceii Vechi şi a cei Noao, după originalul celor Şeptezeci şi doi de tălcuitori din Alexandria, tipărită în zilele Preaînălţatului nostru Împărat Franţisc Iosif I, supt priveghiarea şi binecuvântarea Preasfinţitului Domn Andreiu baron de Şaguna, dreptcredinciosul episcop al Bisericei Greco-Răsăritene Ortodoxe în Marele Principat al Ardealului, Comander al Ordinului Leopoldin cesaro-reg. austriac şi Sfetnic dinlăuntru de Stat al Maiestatei Sale Chesaro-Regeşti Apostolice, Sibiiu, cu tipariul şi cu chieltuială Tipografiei de la Episcopia Deptcredincioasă Răsăriteană din Ardeal, la Anul Domnului 1856-1858.

Cesare Alzati 144

peraltro ai soli rapporti tra uniti e non uniti. Non va trascurata la circostanza che il testo dei Settanta da lui assunto quale base della sua traduzione non sia stato quello dell’edizione complutense, ma il testo dell’edizione protestante olandese, apparsa a cura di Lambertus Bos per i tipi di Franciscus Halma nel 1709 a Franeker. Anche la Bibbia di Bucarest aveva avuto a suo tempo come base un’edizione protestante, segnatamente la Septuaginta di Francoforte del 1597.

Siamo così posti di fronte a figure ecclesiali e, più in generale, a un mondo religioso in cui la profonda e matura consapevolezza della propria identità, ecclesiale e confessionale, non precludeva scambi fecondi e un’ampia circolazione di opere.

Da una siffatta esperienza scaturisce un preciso messaggio, che soprattutto nell’oggi sembra assumere estrema attualità per le Chiese.

Il riavvicinamento tra le varie componenti dell’ecumene cristiana non potrà realizzarsi se non sarà sentito e vissuto dalle Chiese come un reciproco, generoso scambio di doni, che non annulli le ricchezze di ciascuna Chiesa, ma le permetta di riconoscere anche le ricchezze altrui.

Una tale esperienza si è in effetti realizzata attorno alla Bibbia di Blaj, sia – come s’è visto – in diversi aspetti della sua elaborazione, caratterizzata da molteplici apporti, sia nella sua successiva fortuna, che ha ampiamente travalicato i confini tra le Chiese.

Questo richiamo al riconoscimento reciproco delle rispettive ricchezze, che viene dal testo di Samuil Micu, appare quanto mai opportuno in un momento in cui, di fronte agli enormi compiti che attendono la testimonianza cristiana, non risultano ancora completamente superati atteggiamenti teologici e disciplinari improntati a una esclusiva auto-referenza, che considera l’altro un semplice motivo di disturbo, quando non uno scandalo purtroppo inevitabile.

La Bibbia di Blaj mostra concretamente come la realtà delle Chiese unite sia anch’essa dono prezioso per l’ecumene cristiana e possa offrire all’insieme delle Chiese, d’Occidente e d’Oriente, le proprie ricchezze.

Mi auguro che come un tempo attorno a quel testo si determinò un vasto riconoscimento reciproco tra le Chiese, così ai giorni nostri la riconsiderazione di tale Bibbia possa aiutare ortodossi e uniti a ritrovare gli uni negli altri i medesimi lineamenti e a riconoscersi come i due cori, attraverso cui il popolo romeno lungo la storia ha cantato con voci distinte la medesima Utrenie, in preparazione all’unica Dumnezeiască Liturgie.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 145-154

NEW BULGARIAN TRANSLATIONS OF THE NEW TESTAMENT IN THE 19TH CENTURY

AND THE ROMANIAN LANDS

IVAN DIMITROV St. Climent of Ohrid University of Sofia

From the very start of this article I wish to make clear that by ‘New Bulgarian Translations of the New Testament’ we mean translations of the New Testament or part of it into modern Bulgarian language, which language was formed into literary only in the first half of the 19th century. The translations themselves were prepared and published respectively in the 19th and 20th century. One reason for the comparatively late appearance of these modern translations is the tardy development of the modern literary language. Another reason is the relatively good understanding of the l i t u r g i c a l c h u r c h - S l a v o n i c l a n g u a g e1 by believers, who listened to the text of the Bible during worship but could also read it outside the church.

The tardy development of the modern Bulgarian language is due to many circumstances, one of which is the five centuries of Ottoman rule over the Bulgarian territory (from 1393 until 1878 and for some other regions with Bulgarian population even until 1913). What is more, at the end of the 14th century, Bulgaria lost not only its political freedom but its religious independence too. The Bulgarian land was brought into the jurisdiction of the P a t r i a r c h a t e o f C o n s t a n t i n o p l e, and at the head of it was the G r e e k - s p e a k i n g c l e r g y. As a result, the Bulgarian public education was extremely insufficient until the beginning of the 19th century and the formation of the modern Bulgarian literary language was not

1 Although it is clear that the level of understanding the Church-Slavonic texts was very low

even in the 19th century and continues to be low today, many people are contending tendentiously about that and arguing that allegedly it is not necessary for services of worship to be celebrated in Modern Bulgarian. Of course, seen in the background of the Greek liturgical texts those in Church-Slavonic looked almost like texts compiled in the people’s native speech.

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completed until the middle of the 19th century. At that time the leadership of the O r t h o d o x C h u r c h did not

realize the necessity of translation of the Holy Scripture. As stated, there wasn’t a well-developed modern Bulgarian language to meet the needs of the biblical translation. That is why the orthodox majority in the Bulgarian lands remained passive and the Bible was not translated in the language which the common people could understand.

Thereafter, B i b l e s o c i e t i e s and p r o t e s t a n t m i s s i o -n a r i e s intervened. One such society was formed in Russia as early as the end of 1812. It prepared missionaries in the field of biblical translation who had already established themselves on the territory of the Ottoman Empire. They received financial and methodical support from the American Bible Society and the British and Foreign Bible Society (BFBS).

The main instrument of these protestant preachers in their mission to proselytise was the distributing of free Bibles and other religious literature written in common spoken Bulgarian language. All this was possible due to the lack of any equivalent Orthodox literature. Of course, they did their mission. All this was met with no opposition whatsoever. The contradictory and often completely negative2 attitude of the Church authorities to the Bible translations delayed with decades the development of the Orthodox translations among the Balkan people.

However, thanks to the work of the Bible Societies and the protestant missionaries in the Bulgarian lands, the translations of the Holy Scripture soon appeared.

First attempts for a New Testament translation in Bulgarian were made at the end of the second decade of the 19th century on the initiative of the Metropolitan of Kishinev and Hotno Gavriil (Banulescu-Badoni, 1746-1821),3 vice-president of the Bessarabian department of the Russian Bible Society. Thousands of Bulgarians, who emigrated from East Bulgaria to 2 An example of that are the reactions of the Patriarchate of Constantinople to the Bible

translations, prepared by Ilarion Sinaites from Crete, later metropolitan of Tarnovo (see below).

3 AVKSENTII STADNITSKII, Gavriil Banulescu-Badoni, Ekzarh Moldovo-Vlahiiskii (1808-1812 gg.) i Mitropolit Kishinevskii (1813-1821 gg.), Kishinev: 1894; A. CHELAK, “Bessarabskiia bogosluzhebnyia knigy na rumynskom iazyke”, in Trudy Bessarabskago tserkovno-istoriko-arheologicheskago obshchestva, vyp. 2, Kishinev: 1909, 181-184; IUSTIN FRATSMA, K voprosu ob eparhiah v Bessarabii, Kishinev: 1901, 57-58; GEORGE FREDERICK JEWSBURY, Russian Administrative Policies Towards Bessarabia, 1806-1828 (Ph.D. diss., University of Washington, 1970), 193, 200-205; STEPHEN K. BATALDEN, “Metropolitan Gavriil (Banulescu-Bodoni) and Greek-Russian Conflict over Dedicated Monastic Estates”, in Church History, Vol. 52, 4 (Dec., 1983), 468-478. The initiative was probably a part of the program of the Russian Bible Society or even provoked by the Bulgarian population in the diocese of Gavriil.

New Bulgarian Translations of the New Testament

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Russia during the Turkish yoke in order to escape the oppressor, lived in the large diocese of Metropolitan Gavriil. This Metropolitan is also famous for his initiative for a Romanian translation of the New Testament. To serve the needs of his many-tongued congregation (they talked Russian, Romanian, Gagaouz and other languages), in 1819 the Metropolitan assigned the Greek clergyman archimandrite Theodosios, abbot of the Bistritsa Monastery, the task to translate the New Testament in Bulgarian language. As Theodosios’ knowledge of Bulgarian language was insufficient, he used the services of an unknown Bulgarian man, who knew only the spoken language of his village. Their translation was very poor and therefore was rejected by the Bulgarian emigrant intellectuals in Russia and Romania. Nevertheless, in 1823 in Sankt-Petersburg 2000 copies of the Gospel of Matthew were published from this translation and the expenses were covered by the Russian Bible Society. Unfortunately these copies did not reach the readers. Some authors say that the translation did not receive approval and the published copies were destroyed. Other opinions claimed the copies of this translation and other new-printed books, which were in the basement of the Holy Synod’s building, were destroyed by a big flood in the city in the spring of 1823. As a result, no more attempts were made for this translation to be published again. According to Russian scientists, nowadays three copies of this translation are kept in different libraries in Russia4.

In the 1820s, the British and Foreign Bible Society, which already worked among the Christians in Turkey, decided to take things into their own hands. With the help of the Metropolitan of Adrianopolis, whose diocese was populated mainly with Christians of Bulgarian origin, the society asked two priests from the town of Sliven to make a new translation of the Gospels. This translation was also considered unsuccessful.

Finally in 1828 the merchant Petar Sapunov, who was from the Balkan mountain town of Tryavna and at that time living in Romania, translated and published at his own expenses the four Gospels. This translation was published using Church-Slavonic characters in the publishing house of the Bucharest archbishopric (it is well known that the orthodox Romanian liturgical books were published with C h u r c h - S l a v o n i c c h a r a c t e r s for centuries before they started using Latin). This first successful Bulgarian translation of the New Testament text was reprinted in the same publishing house in 1832.

In 1834, Konstantin Fotinov, a Bulgarian man of letters, translator, teacher-philologist and journalist, who lived in Izmyr (Smyrna, on the Aegean coast of Asia Minor), prepared a translation of the four Gospels 4 A. SELISHCHEV, K izucheniyu staropechatnyh bolgarskih knig. Po povodu “Opisa” prof. V. Pogorelova,

Sofia: 1923.

Ivan Dimitrov 148

which was to be published by the British and Foreign Bible Society. Unfortunately, it was not approved by the Bible Society because it was “neither Slavonic, nor Bulgarian, but a mixture of both”5.

In 1836 again the British and Foreign Bible society by the intercession of the missionary Benjamin Barker addressed a request to the Metropolitan of Turnovo Ilarion (born on the island of Crete) to name a suitable person to translate the New Testament in Bulgarian for the Christians in the Bulgarian lands. The Bible Societies, operating among the Orthodox population of the Turkish Empire, knew Metropolitan Ilarion very well. In 1819, while still a deacon in the Patriarchate of Constantinople, the Metropolitan had translated the Gospels in Modern Greek language. That translation was published, but after that was banned and destroyed by the Patriarchate because it had been made under the initiative of the protestant missionaries.

The educated Greek metropolitan considered the question very seriously. Obviously lead by his pastoral care for education of his exclusively Bulgarian congregation, he chose probably the most appropriate person for the translation – the well-educated hieromonk Neophyt of the Bulgarian Rila Monastery. At that time, Neophyt was a teacher in the town of Gabrovo, situated near the town of Turnovo. He knew ancient and modern Greek, Church-Slavonic, Russian and French very well and in 1835 he published the first grammar of the modern Bulgarian language in Kraguevats, Serbia. He signed a contract with Barker and in the winter of 1836-1837, together with his teaching, he translated all the books of the New Testament. The translation was good and it was published in Smyrna in 1840 after the approval of the Bible Society. During the next 20 years (until 1859) it was reprinted six times.6

In the 1850s, two American protestant missionaries – Elias Riggs and Dr. Albert Long – organized the translation of the whole Bible in Bulgarian language on behalf of the British and Foreign Bible Society. Having the necessary philological education and a good level of knowledge of the Bulgarian language, they invited the above mentioned Konstantin Fotinov and started a very hard work as a team. At the same time they translated the

5 LEO WIENER, America’s Share in the Regeneration of Bulgaria (1840-1859), Modern Languages

Notes, XIII, Baltimore: Febr. 1898, 33-41. 6 The second edition was printed in 1850 in Smyrna (Izmir), the third in 1853 in Bucharest,

where the other three editions (the 4th in 1857, and the 5th and 6th in 1859) were also printed. In 1859 the British and Foreign Bible Society printed this version in London, but marked it as a third edition, although a third edition had already been printed in Bucharest in 1853. In the 5th and 6th editions the Catholic epistles were put after those of Paul, while in the earlier editions they are after the Acts of the Apostles in observance of the Orthodox Slavonic tradition in the order of the epistles.

New Bulgarian Translations of the New Testament

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books of the Old Testament and the New Testament. Meanwhile, Konstantin Fotinov died at the end of 1858. In 1859, he was replaced by the former monk Hristodul Kostovich Sichan-Nikolov, who then worked as a teacher and a publisher.

When the translation was almost ready, as a stylist, the prominent Bulgarian writer, teacher, journalist and socially active person Petko Rachov Slaveikov became involved. He was a representative of the east Bulgarian dialect, while Mr. Fotinov and Mr. Sichan-Nikolov represented the west Bulgarian dialect7. Thus, as far as language is concerned, the translation was exemplary of all Bulgarian dialects and, above all, the supremacy of any of the dialects was avoided.

The New Testament was published small-sized in Istanbul in 1866 by the British and Foreign Bible Society. The following year (1867) in the publishing house of the American Bible Society in New York an editio bilingua (in 4-to) was published in Church-Slavonic and Bulgarian.

The sequence of the books for the Slavonic editions of the New Testament is the traditional one (first come the Catholic Epistles and then St. Paul’s Epistles). However, the translation follows a ‘moderate’ western text tradition: John 5:4 is in the text, 1 John 5:7-8 is in the text again but in brackets, and Romans 14:24-26 appears at the end of the epistle as 16:25-27. It is interesting that in the bilingual edition, in the Church-Slavonic text these verses are at the end of Romans, chapter 14, while in the modern Bulgarian text there is a gap, and then at the end of the modern Bulgarian translation the text is longer (i.e. line 16:25-27).

The whole Bible in this translation was published in 1871. Ever since, the Bible as a whole, as well as the New Testament on its own, and some single books have been published many times and in different places (Istanbul, New York, Vienna, London, Sofia) by different Bible societies.

In 1923, the translation, which remained famously known as the ‘Protestant’ or ‘Slaveikov’ translation was revised by a five-member committee under the supervision of the protestant missionary Robert Thompson. Since then, this version has been mainly published, although nowadays some Protestant communities in Bulgaria prefer the first/original translation, whose language in fact is very backward in comparison with the development of the modern Bulgarian language.

In communist times, this so called ‘protestant translation’ was published repeatedly in the West by the United Bible Societies or their departments and was distributed illegally by members of foreign or local churches. 7 The western Bulgarian dialects differ phonetically from those in the East, although there

is no difference in the grammatical structure of the language.

Ivan Dimitrov 150

Because of this illegal work at that time, many people were convicted, punished and even sent to prison in Bulgaria. But thanks to their selflessness, the ‘word of God’ reached thousands of Bulgarians – Protestants and Orthodox – in the years of state atheism.

The text of this translation was used by the Orthodox Christians in Bulgaria, who represent the majority of the population, but they themselves were deprived of the actual Bible. For them the translation was not perfect because the so called ‘non-canonical books’ were missing from the Old Testament. Nevertheless, they tried to find it and use it. Another shortcoming of the protestant translation is its old spelling. The spelling of the Bulgarian language was changed (it was simplified to a considerable extent) in 1945, while the United Bible Societies continued to publish phototype translations using the pre-war editions.

In 1993 a new, revised edition of the translation was released. It was written according to new spelling rules (published by the Protestant Publishing house “Veren”). The revision was made by using the critical editions by Nestle-Aland, the interlinear translations in German by Ernst Dietzfelbinger and the English translation by Jay P. Green. At the end of 1998 a new pocket-sized revision of the Protestant translation of the New Testament together with the books of Psalter and Proverbs were published with the support of the United Evangelical churches8 in Bulgaria. At present, with the methodical and financial help of the United Bible Societies, another revision of the Protestant translation is in progress. According to information received, we believe that it will be a better and a more successful one.

The Orthodox Church in Bulgaria, although comprising nearly 90% of the population, was the last to respond to this urgent need for the Christian education of the people of God – the need for a translation of the Bible in modern Bulgarian language. Twenty whole years had passed after the liberation of Bulgaria before the idea for a translation of the Holy Scripture emerged. Finally, in 1898, after the suggestion of Simeon, the Metropolitan of Varna and Preslav, (later a corresponding member of the Bulgarian Academy of Sciences), the Holy Synod of the Bulgarian Orthodox Church nominated a committee for the biblical translation. The metropolitan of Turnovo, Kliment (Vasil Drumev), was appointed chairman of this committee.

This outstanding Bulgarian writer and cultural figure from the time of the Turkish yoke studied in Russia and became a monk. Later on he was ordained bishop and immediately after the liberation (1878), he was elected 8 An administrative structure, uniting and representing the main Protestant churches in Bulgaria.

New Bulgarian Translations of the New Testament

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Metropolitan of the old capital of Bulgaria Turnovo. He was a leading person within the Church, as well as in the political life of the country. Unfortunately, he could not undertake the work on the biblical translation because of an illness. In 1900, the Holy Synod appointed a new committee, whose chairman was the metropolitan of Samokov, Dosithey. He was joined by prominent Bulgarian philologists and men of letters as well as theologians and clergymen. A separate “controlling” committee monitored the correctness of the translation. Both committees comprised experts in Greek, Latin, Church-Slavonic and other languages, but there was no one with knowledge of Hebrew. That is why, the books of the Old Testament with a Hebrew origin were translated according to the Russian Synodal translation of the Bible and were compared to other translations (Latin, French, German, English, Czech, Serbian). Unfortunately, the records of the translation committee do not give any specific information on which translations in these languages were used to verify the Bulgarian translation. There are passages which differ considerably from the Russian Synodal translation. There had to be done a separate research to determine exactly which translation had been used in each case. Basically, the words and phrases taken from the Septuagint as a rule were written in brackets and the words and phrases added to make things clear were published in italics.

In 1909, in Sofia, an advance copy of the translation of the four Gospels was published by the Synodal committee. 50000 small-sized copies were released. For the first time ‘Bible references’ were written as footnotes in a Bulgarian translation of the Holy Scripture. This edition provoked serious debates and was not approved by a number of church people and public figures. However, this was of great benefit to the translation committee proceedings, for thus, they could become acquainted with the public attitude to the translation and amend their criteria for a good translation.

The work on the translation went on but soon it was stopped by the Balkan war (1912-1913), followed by the war between Bulgaria and the allies (1914), аnd then Bulgaria was dragged into the First World War (from 1915 to 1918). A revised translation of the four Gospels was ordered in 100000 copies in Brockhaus publishing house in Leipzig in 1918. However, because of the unrest in Germany and the inflation that occurred there, the money was enough only for 33000 copies and they were published in 1920. They reached Bulgaria only in 1922.

Meanwhile, the committees completed their work and the Holy Synod started negotiations with the government for the publication of the Bible. The printing started in 1923, but the first copies were not released till December 1925. The printing took place in Sofia and this was the thickest

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book ever (1523 pages) printed in so many copies (50000) in Bulgaria. The publication is supplied with a table for the monetary and measure units in the biblical text, an index for the ‘liturgical readings’ from the Old and the New Testaments, a Paschalion and six coloured maps. The system of ‘Bible references’, written as footnotes, comprises all the biblical books.

The New Testament was published separately in 1926, and it was reprinted again in 1941. In 1950, the New Testament was published for the first time according to the modern Bulgarian spelling (changes were made in 1945), but the translation was still the same – the so called ‘S y n o d a l t r a n s l a t i o n o f t h e B i b l e’.

In the 1950s, the idea that the Synodal translation was already out-of-date was gradually conceived and it was necessary that a new translation of the Bible should be started. At the same time, the first generations of biblical scholars in Bulgaria won recognition. They all graduated from the first Bulgarian Faculty of Theology at Sofia University “St. Kliment Ohridski”, which was founded in 1923. Thus, in 1959 the Holy Synod of the Bulgarian Orthodox Church appointed a committee (first under the chairmanship of Josif, the metropolitan of Varna and Preslav, and then of the Bishop of Levka Partheniy), which had to revise the old synodal translation and add a preface with information about the Bulgarian translations of the Bible and an index with explanations of different names (places, people, villages etc.) at the end. In the process of work the committee realized the necessity of a completely new translation of the New Testament and some parts of the Old Testament. The work on the translation continued for 15 years (till 1974). The committee prepared almost a complete new translation of the Bible based on the Hebrew and the Greek original. Another committee, which consisted of three Orthodox Metropolitans, revised the text. The Greek-catholic bishop on behalf of the Roman-catholic church and a protestant pastor on behalf of the protestant churches in the country expressed their positive opinion of the translation.

Unfortunately, the translation was not published. Although it was not mentioned, the most possible reason was the conservative but groundless opinion of most of the metropolitans from the Holy Synod who thought that the old synodal translation was “very good”. As a compromise, it was finally decided that a professor of the Old Testament (prof. Boyan Piperov) should correct only the most impressive mistakes in the synodal translation from 1925, in order to be published again. This idea failed, too. Therefore, in 1982 the Holy Synod published again the old synodal translation of the Bible3.

It is interesting what happened with that publication. And it is indicative of the state of the church at time. The Holy Synod definitely decided to

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publish again the 1925 translation with no other changes except the spelling, which had to follow the spelling reform in Bulgaria after 1945. Up to that moment only the New Testament, as was mentioned above, was published according to the new spelling (in 1950). Official representations were made to the United Bible Societies with the assistance of the World Council of Churches to grant paper for the printing of 100000 copies of the Bible. Then, on the insistence of the communist government, the total print was decreased to 50000. Eventually, when the contract was signed with the United Bible Societies, the authorities diminished the print to 30000. The United Bible Societies provided the paper, the necessary printing ink, material for the binding and the printing started. But as soon as 27000 copies were published, instructions were given that the printing should be stopped. Thus another 10% of the print was cut down. And the most incredible thing was that the Bulgarian Orthodox Church received no more than half of these 27000 copies. The remaining copies were placed at the disposal of all the sections of power (party, state, intelligence service), probably to keep the Christians under observation on the basis of their main book – the Bible. A great number of Bibles were also given to the science institutes of the Bulgarian Academy of Sciences for the needs of the scholars in the field of philosophy, philology, history etc. Ultimately, the number of bibles which reached the ordinary Christians was quite insufficient.

The Holy Synod of the Bulgarian orthodox church made everything necessary to keep the paper that remained as a result of the 3000 copies not having been printed. Thus, after the political changes in 1989, the Holy Synod ordered 10000 copies of the New Testament and Psalter and they were published with this paper in 1990. The Orthodox Christians prefer this combination better because the Psalms are some of the most often used ‘prayer texts’.

There were more editions of the synodal translation of the Bible with the assistance of the United Bible Societies in 1991, 1993 (for the first time middle-sized, 1995, 1998 (large-sized and for the first time pocket-sized) etc.

In 1991, in Greece, with the help of the Greek orthodox church, the Zograf Monastery “St. George, the Martyr” in Athos and private donors, 30000 copies of the New Testament and Psalter were published (phototype of the 1990 edition) and were donated to the Bulgarian orthodox church. All these editions satisfied to a certain extend the public’s requirements for the Holy Scripture in Bulgaria.

Something that we still do not have is an up-to-date translation of the Bible in modern Bulgarian language and in accordance with the new concept of the United Bible Societies of biblical translation. Such a project

Ivan Dimitrov 154

was started in 1993 under the initiative and with the assistance of the United Bible Societies. That translation is being done according to t h e p r i n c i p l e s o f B i b l e t r a n s l a t i o n, established by the United Bible Societies. The handbooks prepared for every book of the Bible to help the translators of the Bible are also used. The translators are professors of Old and New Testament in the Faculty of Theology of Sofia University. They follow t h e a c c e p t e d i n t h e O r t h o d o x C h u r c h t e x t and t h e d i f f e r e n t r e a d i n g s i n t h e c r i t i c a l t e x t are always shown as footnotes. The translators do not have at their disposal the translation of the committee from 1959 to 1974 and cannot consult it. All the books of the New Testament are already translated and printed together. At present work is in progress on the Old Testament books, most of which are already translated. The translation can be called i n t e r c o n f e s s i o n a l, because the inspection committee consists of representatives of all C h r i s t i a n d e n o m i n a t i o n s in Bulgaria.

In conclusion, we can say that the translations of the Holy Scripture into Bulgarian began with the initiative and with the help of the Bible societies almost two centuries ago and this good tradition still continues to this day. In the very beginning of the Bible translations into modern Bulgarian, a great role was played by the Bulgarians who lived and worked in the Romanian lands. These Bulgarians had in mind and wanted to follow the good practice of the Romanian people, who already in the 19th century had at their disposal several translations into Romanian. Thus, the cultural exchanges between the two peoples, who are friendly neighbours, helped also the work on the Bulgarian translations of the Bible already in the first half of the 19th century.

QUADERNI DELLA CASA ROMENA DI VENEZIA, VII, 2010, pp. 155-168

VERNACULAR BIBLES IN THE LOW COUNTRIES. BETWEEN THE MIDDLE AGES AND

THE EARLY MODERN ERA

WIM FRANÇOIS

Research Unit of History of Church and Theology, Catholic University of Leuven

At the beginning of the 16th century, European Church authorities had no unequivocal policy on the translation of the Bible into the vernacular. In several different European countries and regions, the religious evolutions of the late Middle Ages had influenced the authorities’ attitude towards the vernacular Bible. Generally speaking, the authorities showed reticence with regard to Bible reading in the vernacular, where dissident groups might use the vernacular Bible in order to undergird their erroneous or even heretical interpretations. Inversely, they took a more relaxed attitude where Bible reading in the vernacular gave no grounds for such interpretations1. The Heritage of the Middle Ages Looking at the situation in the late medieval Western Church, we first have to refer to France, where a persistent tradition of resistance against vernacular Bible reading by simple lay people had developed, prompted amongst other things by the condemnation from the end of the 12th century 1 LEOPOLD LENTNER, Volkssprache und Sakralsprache: Geschichte einer Lebensfrage bis zum Ende des

Konzils von Trient, Vienna: 1964, 127-140; ROBERT E. LERNER, “Les communautés hérétiques”, in PIERRE RICHÉ and GUY LOBRICHON, eds., Le Moyen Âge et la Bible (Bible de tous les temps, vol. 4), Paris: 1984, 597-614; KLAUS SCHREINER, “Laienbildung als Herausforderung für Kirche und Gesellschaft. Religiöse Vorbehalte und soziale Widerstände gegen die Verbreitung von Wissen im späten Mittelalter und in der Reformation”, in Zeitschrift für Historische Forschung, XI, 1984, pp. 257-354: 294-295; SCHREINER, “Volkstümliche Bibelmagie und volkssprachliche Bibellektüre. Theologische und soziale Probleme mittelalterlicher Laienfrömmigkeit”, in PETER DINZELBACHER and DIETER R. BAUER, eds., Volksreligion in hohen und späten Mittelalter, Paderborn: 1990, pp. 329-373: 361-362.

Wim François 156

on of the Bible-based preaching activities of the Waldenses, and of the beguines having been accused of being free spirits in the early 14th century2. In Spain, the authorities even so aimed at keeping the Bible out of the hands of the ‘heretical’ Albigenses and Waldenses in the north, and, from the second part of the fifteenth century onwards, out of those of Jews and conversos, who were to be prevented from interpreting the Bible according to their former Hebrew traditions, with the neglect of the Christological reading of the Scriptures3. Apart from France and Spain, the English authorities had issued, in the early 15th century, a prohibition of the vernacular “Lollard Bibles” that had started to circulate in the country at the initiative of John Wyclif (c. 1320-1384)4. We have to keep in mind, however, that, notwithstanding the reticence of the authorities in some regions of Europe to allow lay people to read vernacular Bibles, the latter often continued to have access to the Scriptures through History Bibles as well as lectionaria, containing the Epistle and Gospel readings of the mass, in addition to Gospel harmonies and Psalm books.

Other spiritual reform movements in Europe, which propagated the reading of the Scriptures among lay people as a source of spiritual nourishment, did not cross the line between orthodoxy and heresy. This was for example the case with the Devotio Moderna in the Low Countries5. This movement, whose main initiator was the deacon Geert Grote (1340-1384), reacted against the monks’ and clerics’ failure to perform their duty within the Christian society in a decent way, viz. mediating God’s grace and sanctifying his people by a life of atoning prayer and penance. Therefore the laity had to convert themselves to a life of radical imitation of Christ. Grote did not preach a revolution against the Church structures, but he pleaded for an inner conversion. Devote people ideally withdraw from the world, in order to lead, together with like-minded people, a communal life oriented 2 FREDERIC DELFORGE, La Bible en France et dans la francophonie. Histoire. Traduction. Diffusion,

Paris: 1991, 36-39; PIERRE-MAURICE BOGAERT, “La Bible française au Moyen Âge: Des premières traductions aux débuts de l’imprimerie”, in BOGAERT, ed., Les bibles en français: Histoire illustrée du Moyen Âge à nos jours, Turnhout: 1991, 13-46.

3 SERGIO FERNANDEZ LOPEZ, Lectura y prohibición de la Biblia en lengua vulgar. Defensores y detractores, León: 2003, 27-150.

4 ANNE HUDSON, The Premature Reformation: Wycliffite Texts and Lollard History, Oxford: 1988, 228-277, esp. 228-247, and MARY DOVE, The First English Bible: The Text and Context of the Wycliffite Versions, Cambridge: 2007.

5 On Geert Grote and the Devotio Moderna, see amongst others REGNERUS RICHARDUS POST, The Devotio Moderna: Confrontation with Reformation and Humanism, Leiden: 1968; KURT RUH, Geschichte der abendländischen Mystik. Vol. 4: Die niederländische Mystik des 14. bis 16. Jahrhunderts, Munich: 1999; JOHN VAN ENGEN, Sisters and Brothers of the Common Life: The Devotio Moderna and the World of the Later Middle Ages, Philadelphia: 2003.

Vernacular Bibles in the Low Countries 157

towards the imitation of the Lord’s life and passion, through prayer, penance and manual labor. It was considered the kind of life the Apostles had led in Jerusalem (vita apostolica). To nourish their apostolic lifestyle, those people had to devote themselves to the reading of the sources of faith, namely the Bible and the Church fathers.

A precursor of this movement was Petrus Naghel (†1395), a Carthusian monk from the charterhouse of Herne near Brussels, who managed to translate a Middle Dutch History Bible, consisting of the historical accounts of the Old Testament as well as a Gospel harmony and a translation of the Acts of the Apostles (1360-1361). This Bible was supplemented at a later stage with the translation of Job and the Psalms, in addition to the sapiential books of the Old Testament and some Prophets, so that the so-called Herne Bible was accomplished about 1385. This edition would prove to be very influential in the history of the Dutch Bible6.

About the same time, the most important initiator of the Devotio Moderna, Geert Grote, composed a vernacular book of hours, including the translation of nearly sixty Psalms into Middle Dutch7. Around 1390, Johan Scutken, librarian at the monastery of Windesheim, produced a Dutch version of the Epistle and Gospel readings of the mass and probably of the entire New Testament, in addition to the passages taken from the Old Testament that were read during mass8. Probably it was also Scutken who brought a Dutch version of the Psalter to fruition during the years of 1415-20, including those Psalms that had already been translated by Geert Grote9.

In the same period, just before 1400, another leading figure of the Devotio Moderna, the canonist and librarian of the house of the Brethren of the Common Life in Deventer, Gerard Zerbolt of Zutphen, wrote several tracts defending the reading of the vernacular Bible by laici spirituales. Zerbolt’s action, which was aimed at countering the Inquisition’s suspicion, was 6 For an introduction to the Herne Bible see MIKEL KORS, De bijbel voor leken: Studies over Petrus

Naghel en de Historiebijbel van 1361, intr. GEERT H.M. CLAASSENS, Leuven: 2007. This book contains a series of articles Mikel M. Kors has devoted the years before to the Herne Bible.

7 On Grote’s book of hours see RUDOLF T.M. VAN DIJK, “Het getijdenboek van Geert Grote: Terugblik en vooruitzicht”, in Ons Geestelijk Erf, LXIV, 1990, 156-194; FRIEDRICH GORISSEN, “Das Stundenbuch im rheinischen Niederland”, in Studien zur klevischen Musik und Liturgiegeschichte, LXXV, 1968, 63-109. Also VAN DIJK, “Methodologische kanttekeningen bij het onderzoek van getijdenboeken”, in THOM MERTENS et al., eds., Boeken voor de eeuwigheid: Middelnederlands geestelijk proza, Amsterdam: 1993, 210-229 and 434-436.

8 JAN DESCHAMPS, “De verspreiding van Johan Scutkens vertaling van het Nieuwe Testament en de oudtestamentische perikopen”, in Nederlands Archief voor Kerkgeschiedenis N.S. LVI, 1975-1976, 159-179.

9 YOURI DESPLENTER, Al aertrijc segt lofsanc. Middelnederlandse vertalingen van Latijnse hymnen en sequensen, 2 vols., Gent: 2008.

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evidently successful: in 1401 the Bishop of Utrecht, Frederick of Blankenheim, officially approved the way of life of the Brethren and Sisters of the Common Life by, which included the reading of the Scriptures in the vernacular language10. In short, unlike the movement around John Wyclif and, in it’s wake, the Czech reformer John Hus, the Devotio Moderna remained within the Church and vernacular Bibles were regarded for the most part as non-heretical. On the basis of the manuscripts preserved, we may assume that the translations mentioned above mainly found their way to the houses of semi-religious women in Holland and Utrecht, in particular tertiaries following the Third Order Regular of St. Francis. Several manuscripts containing the translations in question also came into the possession of devout lay people “in the world”11.

Although a few other Middle Dutch Bible translations saw the light in the period concerned, the aforementioned versions proved to be the most influential in the late Middle Ages12. It comes as no surprise that they were also the first to be printed: in 1477, an updated version of the Herne Bible made by Petrus Naghel (at the exception of the Psalms and the New

10 NIKOLAUS STAUBACH, “Gerhard Zerbolt von Zutphen und die Apologie der Laienlektüre

in der Devotio moderna”, in THOMAS KOCK and RITA SCHLUSEMANN, eds., Laienlektüre und Buchmarkt im späten Mittelalter, Frankfurt am Main: 1997, 233-253; STAUBACH, “Gerhard Zerbolt von Zutphen und die Laienbibel”, in MATHIJS LAMBERIGTS and AUGUST DEN HOLLANDER, eds., Lay Bibles in Europe 1450-1800, Leuven: 2006, 3-26. Also: VOLKER HONEMANN, “Zu Interpretation und Überlieferung des Traktats De libris Teutonicalibus”, in ELLY COCKX-INDESTEGE and FRANS HENDRICKX, eds., Miscellanea Neerlandica. Opstellen voor Dr. Jan Deschamps ter gelegenheid van zijn zeventigste verjaardag, Leuven: 1987, 113-124; HONEMANN, “Der Laie als Leser”, in SCHREINER and ELISABETH MÜLLER-LUCKNER, eds., Laienfrömmigkeit im späten Mittelalter: Formen, Funktionen, politisch-soziale Zusammenhänge, Munich: 1992, 241-251; VAN ENGEN, Sisters and Brothers of the Common Life, 84-118.

11 On medieval book manuscripts and indications with regard to previous ownership, see JOS A.A.M. BIEMANS, Middelnederlandse bijbelhandschriften. Codices Manuscripti Sacrae Scripturae Neerlandicae, Leiden: 1984; KARL STOOKER and THEO VERBEIJ, Collecties op orde. Middelnederlandse handschriften uit kloosters en semi-religieuze gemeenschappen in de Nederanden, 2 vols., Leuven: 1997; YOURI DESPLENTER, Al aertrijc segt lofsanc. On medieval catalogues of libraries and lists of books, see ALBERT DEROLEZ and BENJAMIN VICTOR, eds., Corpus Catalogorum Belgii: The Medieval Booklists of the Southern Low Countries, 5 vols., Brussels: 1994-2009.

12 On the vernacular Bible production in the Low Countries in the Middle Ages, see DEN HOLLANDER, ERIK KWAKKEL and WYBREN SCHEEPSMA, eds., Middelnederlandse bijbelvertalingen, Hilversum: 2007. See also the overview of GEERT H.M. CLAASSENS, Bible Translations, Dutch, in JOHN M. JEEP, ed., Medieval Germany: An Encyclopedia, New York-London: 2001, 59-61.

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Testament material) was printed in Delft13. In the following years, several editions of the Epistle and Gospel readings, in addition to the Psalms, based on the translation ascribed to Johan Scutken, saw the light, especially in the towns of Holland and Utrecht14.

The Early Modern Era The year 1522 proved nevertheless to be a turning point in the history of the Dutch Bible. In that year the Amsterdam printer Doen Pietersoen brought an edition of the Gospel of Matthew onto the market that was not based on an existing late medieval translation, offering instead a new version. Besides using material borrowed from the Vulgate, the translator of the gospel, Johan Pelt, the guardian of the Franciscan monastery in Amsterdam, had based the text and glosses of the gospel on Erasmus’ Novum Testamentum and the accompanying Annotationes respectively. A year later, in 1523, the first Dutch translations of Luther’s New Testament were released. During the succeeding five years, several versions or sections of the Bible, most of them based upon Luther’s translation, and some of them also upon Erasmus’ Novum Testamentum, were published15. Some of these

13 CEBUS CORNELIS DE BRUIN, De Delftse bijbel in het licht der historie: Inleiding bij de heruitgave

A.D.1977, Amsterdam-Alphen a.d. Rijn: 1977. Some of De Bruin’s core views, however, have to revised on the basis of more recent research by, amongst others, KATTY DE BUNDEL, “Ezekiel in Middle Dutch: On the Authorship of the Ezekiel-translation in the Dutch Bible”, and HERBERT MIGSCH, “Das Jeremiabuch in der Delfter Bibel (1477): Eine nach der Gutenbergbibel revidierte Mittelniederländische Übersetzung des Bijbelvertaler van 1360”, in WIM FRANÇOIS and DEN HOLLANDER, eds., Infant Milk or Hardy Nourishment: The Bible for Lay People and Theologians in the Early Modern Period, Leuven: 2009, 3-18 and 19-49.

14 DEN HOLLANDER, “Early Printed Bibles in the Low Countries (1477-1520)”, in FRANÇOIS and DEN HOLLANDER, eds., Infant Milk or Hardy Nourishment, 51-61.

15 On vernacular bibles in the early modern Low Countries, see DE BRUIN, De Statenbijbel en zijn voorganger: Nederlandse bijbelvertalingen vanaf de Reformatie tot 1637, rev. FRITS GERRIT MURK BROEYER, Haarlem-Brussels: 1993; DEN HOLLANDER, De Nederlandse bijbelvertalingen. Dutch Translations of the Bible 1522-1545, Nieuwkoop: 1997; FRANÇOIS, “Die volkssprachliche Bibel in den Niederlanden des 16. Jahrhunderts: Zwischen Antwerpener Buchdruckern und Löwener Buchzensoren”, in “Zeitschrift für Kirchengeschichte”, CXX, 2009, 187-214. On the editions, see also the website <www.bibliasacra.com>. This is a database providing descriptions and numerous reproductions of both typographical and iconographical material, with regard to Bible editions that had been printed in (contemporary) Belgium and the Netherlands between 1477 and 1553. Biblia Sacra is the result of combined research projects elaborated at the Faculty of Humanities of the Universiteit van Amsterdam (The Netherlands) and the Faculty

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editions were also provided with Reformation-minded glosses, prefaces and summaries heading the chapters. Simultaneously, the centre of the Bible production moved from the towns of Holland to Antwerp, the expanding economic heart of the Low Countries16. Apart from making it possible and easier to follow the (Latin) readings of the official Church liturgy, these Bible editions were also brought along to secret conventicles, where they were read, discussed and often interpreted in a Reformation-minded way. A milestone in the history of Bible translation in the Low Countries was the publication in 1526 of the first complete illustrated Dutch folio Bible of the Early Modern Era, by the Antwerp printer-publisher Jacob van Liesvelt17. However, not only Dutch Bibles, but also new English and French editions, and even Danish, Spanish and Italian versions left the presses of the Antwerp printers18. For the sake of completeness, we have to stress that, parallel to these new developments, the aforementioned Epistles and Gospels, in addition to the Psalter in the translation of Johan Scutken and the Devotio Moderna, continued to be printed.

It goes without saying that the ecclesiastical and civil authorities in the Low Countries were challenged to take a stand with regard to the new ideas that had begun circulating, in general, and with regard to vernacular Bibles, in particular. For matters concerning the right doctrine, an appeal was made to the masters of the Leuven Faculty of Theology, established in 1432. Jacobus Latomus, one of the leading figures of the theological Faculty and a formidable adversary of Erasmus and Luther, briefly commented on Bible editions in general and on vernacular Bible translations in particular, in his Apologia pro Dialogo, written in 1525 but only posthumously published in 1550, in addition to his Libellus de fide et operibus et de votis atque institutis monasticis from 153019. In the latter text Latomus stressed that ordinary people first had to be

of Theology of the Katholieke Universiteit Leuven (Belgium), in collaboration with the Faculty of Theology of the VU University Amsterdam. Project leader is Prof. dr. August den Hollander (VU University Amsterdam).

16 PAUL ARBLASTER, “‘Totius Mundi Emporium’. Antwerp as a Centre for Vernacular Bible Translations 1523-1545”, in ARIE-JAN GELDERBLOM, JAN L. DE JONG, and MARC VAN VAECK, eds., The Low Countries as a Crossroads of Religious Beliefs, Leiden-Boston: 2004, 9-31.

17 DE BRUIN, De Statenbijbel en zijn voorgangers, rev. BROEYER, 94-96; DEN HOLLANDER, De Nederlandse bijbelvertalingen, 25-26, 33, 224, 326-329; DEN HOLLANDER, “Dat Oude ende dat Nieuwe Testament (1526). Jacob van Liesvelt en de nieuwe markt voor bijbels in de zestiende eeuw”, in Jaarboek voor Nederlandse Boekgeschiedenis, VI, 1999, pp. 105-122: 114-116.

18 For the relevant literature, see FRANÇOIS, “Die volkssprachliche Bibel in den Niederlanden des 16. Jahrhunderts”, 197-199.

19 See also FRANÇOIS, “Vernacular Bible Reading and Censorship in Early Sixteenth Century: The Position of the Louvain Theologians”, in DEN HOLLANDER and LAMBERIGTS, eds., Lay Bibles in Europe. 1450-1800, pp. 69-96: 71-75.

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made familiar with the Twelve Articles of the Creed, the Lord’s Prayer, the Ten Commandments, the traditional observances associated with Church membership (weekly mass etc.) and exemplary stories taken from the life of Jesus, Mary and the Saints. It was much safer and more efficient to catechize common people on the basis of a compendium summarizing the faith, the prayer and the commandments, than to grant them permission to read the Scriptures individually and then interpret it literally (ad verbum). After all, there was a risk that these people would start discussing the faith and the sacraments, pass their own judgment and reject those elements that they could not or did not understand (an allusion to what happened in the secret conventicles). Still, Latomus’ rejection of individual Bible reading was neither fundamental nor unconditional. On the contrary, he seemed to consider it very useful for people to read the Scriptures, so long as they did so in a humble and modest way (humiliter et modeste). With this he undoubtedly also meant that those laymen who still read the Bible had to submit themselves to the Church’s traditional scriptural interpretation and not interpret it according to their own individual judgment.

Leuven theologians, however, were not mere theological theorists. From the early origins of religious dissent, the political and ecclesiastical authorities in the Low Countries involved them in the censoring of all kinds of books in which the ‘new doctrine’ was proclaimed. The contents and the number of Bibles had also to be carefully monitored, since the authorities believed that it was the Reformation that was responsible for the prevalence of idiosyncratic Scripture readings20. The anti-heretic edicts in the Low Countries did not however completely forbid all vernacular Bible translations, even those that were based on Erasmus’ or Luther’s Bible. At the same time, beginning in 1525-1526, they did invoke a strict ban on Dutch and French translations of the Bible that were known or found to contain Reformation-minded glosses, prefaces or summaries above the chapters. It was also forbidden to read the Scriptures in the vernacular in clandestine conventicles and to interpret them simply according to one’s own insight, or even to discuss how to interpret them. 20 On Bible editions and Bible censorship, see DEN HOLLANDER, Verboden bijbels: Bijbelcensuur

in de Nederlanden in de eerste helft van de zestiende eeuw, Amsterdam: 2003; FRANÇOIS, “Die ‘Ketzerplakate’ Kaiser Karls in den Niederlanden und ihre Bedeutung für Bibelübersetzungen in den Volkssprache: Der ‘Proto-Index’ von 1529 als vorläufiger Endpunkt”, in Dutch Review of Church History, LXXXIV, 2004, 198-247; FRANÇOIS, “Vernacular Bible Reading and Censorship in Early Sixteenth Century. The Position of the Louvain Theologians”, 79-89; FRANÇOIS, “De Leuvense theologen en de bijbel in de volkstaal. De discussie tussen 1546 en 1564”, in Tijdschrift voor Theologie, XLVII, 2007, 340-362.

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An important reference text in which the ‘Bible politics’ of those initial years was summarized, is the anti-heretical edict of 1529. That edict also contained a sort of ‘proto-index’ that was probably devised by the Leuven theologians and that censored the Bible editions of three printer-publishers: Adriaen van Berghen, Christoffel van Ruremund and the mysterious “Johannes Zel”. The editions of the printer-publishers were forbidden because the Leuven theologians had undoubtedly noticed that their prologues, summaries and/or glosses were full of so-called Lutheran errors, even though the printer-publishers had been cautious enough not to advertise these ‘paratextual’ elements on the front page. The 1529 anti-heretical edict stated that those who did not hand in these forbidden Bible translations and other Reformation-minded literature within fourteen days to the authorities, would be considered to be obstinate heretics and would therefore receive the death penalty and forfeit their possessions, which gives proof of a more severe and rigorous attitude in comparison to earlier edicts. Furthermore, the 1529 edict also officially declared that the permission of the authorities was required beforehand for the publication of any vernacular translation, with a threatened fine of 500 Carolus guilders as penalty for transgressors. These preventive censorship measures had actually already been introduced de facto a few months earlier in order to guarantee Bible publishers and readers a certain degree of safety.

For, a few months before the ‘proto-index’ of 1529 was promulgated, an imperial privilege had been assigned to the Antwerp printer Willem Vorsterman, allowing him to print an authorized Dutch Bible translation21. This edition ought to have been an orthodox revision of Van Liesvelt’s aforementioned 1526 Luther translation. It is known, however, that Vorsterman’s first edition of 1528 still contained some similarities to Luther’s translations. The printer-editor, therefore, took care to ensure that his subsequent Bible editions conformed more accurately to the text of the Vulgate (at least with regard to the New Testament). More specifically, he adopted the text of his colleague Michiel Hillen van Hoochstraten’s 1527 New Testament, which had, in turn, sought to conform the text of the Dutch translation of Erasmus’ Novum Testamentum with that of the Vulgate. 21 CORNELIS AUGUSTIJN, “De Vorstermanbijbel van 1528”, in Nederlands Archief voor

Kerkgeschiedenis /Dutch Review of Church History, LVI, 1975-1976, 78-94; DE BRUIN, De Statenbijbel en zijn voorgangers, rev. BROEYER, 111-118; DEN HOLLANDER, De Nederlandse bijbelvertalingen, 1-2, 90-92, 226, 350-357; ARBLASTER, 22-25. These publications have to be supplemented by the recent research carried out by Youri Desplenter at Ghent University: YOURI DESPLENTER, “Vroegmoderne Nederlandse bijbelvertalingen middeleeuwser dan vermoed: Vondst van een vijftiende-eeuwse getuige van het Vorsterman-psalter (1528)”, in Tijdschrift voor Nederlandse Taal-en Letterkunde, CXXIII, 2007, 185-207.

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A few months after the promulgation of the ‘proto-index’ of 1529, Martin Lempereur (or Merten de Keyser) also received a cum gratia et privilegio with a view to the printing of an authorized French Bible edition, which probably had been translated by Jacques Lefèvre d’Étaples22. The irony of the matter is that the Leuven theologians approved an edition which was condemned by the theologians of Paris!

Although both the Vorsterman edition and the Lempereur edition acquired the status of semi-official Bible translations for the Low Countries, several other versions also continued to boast a cum gratia et privilegio on their title page23. Another important group of editions was based on the New Testament of Christoffel van Ruremund from 1526 and provided a somewhat modified Luther text without provocative paratextual elements. Finally, the Bibles edited by Jacob van Liesvelt could also boast a cum gratia et privilegio, even though their paratextual elements did display an increasingly “Reformation-minded” character. Antwerp in particular, the city where the most Bible editions were printed, was quite liberal with regard to its Bible policy. The city council did not want to simply restrict the economically important printing industry and, moreover, wanted to safeguard its image as an “open” port as long as possible. Charles V’s central government for its part undoubtedly realized that the health of the Antwerp capital markets was of vital importance for the fiscal income of the State24. The book censors on their part, seem not to have examined the Bible editions closely. In any case, Antwerp printers were given the leeway to continue producing their Bible translations, which were eagerly purchased by many diverse groups: Roman Catholics, humanist-minded people, people with Lutheran sympathies and other religious dissenters.

The situation on the Bible market did not substantially change after the edict of 1540 again listed the measures concerning preventive and repressive book censorship that had been promulgated in previous years, despite 22 GUY BEDOUELLE, Lefèvre d’Étaples et l’Intelligence des Écritures, Geneva: 1976, 114-116;

BOGAERT and JEAN-FRANÇOIS GILMONT, “De Lefèvre d’Étaples à la fin du XVIe siècle”, in BOGAERT, ed., Les Bibles en français, pp. 47-106: 57-60; DELFORGE, La Bible en France et dans la francophonie, 58-60.

23 For an overview, see DEN HOLLANDER, De Nederlandse bijbelvertalingen, 199-203. 24 ANDREW G. JOHNSTON and GILMONT, “L’imprimerie et la Réforme à Anvers”, in

GILMONT, ed., La Réforme et le livre: L’Europe de l’imprimé (1517-v.1570), Paris: 1990, pp. 191-216: 191-192; FRANCINE DE NAVE, “Antwerpen, dissident drukkerscentrum in de 16de eeuw: algemene synthese”, in DIRK IMHOF, GILBERT TOURNOY, and FRANCINE DE NAVE, eds., Antwerpen, dissident drukkerscentrum: De rol van de Antwerpse drukkers in de godsdienststrijd in Engeland (16de eeuw), Antwerpen: 1994, pp. 13-22: 14; WILLEM PIETER BLOCKMANS, “De vorming van een politieke unie (14de-16de eeuw)”, in J.C.H. BLOM and EMIEL LAMBERTS, eds., Geschiedenis van de Nederlanden, Amsterdam: 1994, pp. 65-160: 133-135.

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making them on several points even more restrictive. As far as vernacular Bibles were concerned, the measures of the previous edicts were simply confirmed. This policy allowed a daring printer as Jacob van Liesvelt to publish, in 1542, a Bible containing outspoken Reformation-minded paratextual elements. This edition would make history25.

The year 1543 proved to be a turning point in the book policy of the authorities in the Low Countries. In that year a small group of Protestants was discovered in the city of Leuven, in the backyard of the theologians who considered themselves the guardians of orthodoxy. On this occasion, many vernacular Bibles and dissident writings were confiscated26. The Antwerp printer-publisher Matthias Crom came under serious suspicion as a considerable part of the confiscated books originated from his Antwerp shop. In the same year, 1543, he decided to retire from his business and leave it to his brother-in-law Steven Mierdmans. Only a few years later, in 1546-1547, the latter joined the stream of emigrants who, due to the intensified repression, fled the Low Countries…27 This decision was undoubtedly related to the fate his colleague Jacob van Liesvelt underwent in 1545. Because the latter had dared to print books without having obtained the required permission from the part of the competent authorities, and because some of these books proved to contain heresies, Van Liesvelt had been beheaded. We must, however, take into account that a direct correlation between Van Liesvelt’s execution and his famous 1542 Bible and its Reformation-minded glosses has never been proved (although this belief established itself in 25 DE BRUIN, De Statenbijbel en zijn voorgangers, rev. BROEYER, 98-99; DEN HOLLANDER, De

Nederlandse bijbelvertalingen, 36, 229-230, 480-483; DEN HOLLANDER, “Dat Oude ende dat Nieuwe Testament (1526)”, 118-120; FRANÇOIS, “Jacob van Liesvelt as a Martyr for the Evangelical Belief?”, in JOHAN LEEMANS and JÜRGEN METTEPENNINGEN, eds., More than a Memory: The Discourse of Martyrdom and the Construction of Christian Identity in the History of Christianity, Leuven: 2005, pp. 341-369: 349-351.

26 On the Leuven heresy trials, see [FRANCISCO DE ENZINAS,] CH.-A. CAMPAN, ed., Mémoires de Francisco de Enzinas. Texte latin inédit avec la traduction française du XVIe siècle en regard. 1543-1545, 2 vols., Brussels: 1862. Also: [DE ENZINAS,] JEAN DE SAVIGNAC, ed.,Les mémorables de Francisco de Enzinas, Brussels: 1963; ALBERT SAVINE, La Chasse aux Luthériens des Pays-Bas. Souvenirs de Francisco de Enzinas, Paris: 1910, 7-36. Studies with regard to the Leuven heresy trials: RAYMOND VAN UYTVEN, “Bijdrage tot de sociale geschiedenis van de Protestanten te Leuven in de eerste helft der XVIe eeuw”, in Mededelingen van de Geschied-en Oudheidkundige Kring voor Leuven en omgeving, III, 1963, 3-38; DE BRUIN, “Beschouwingen rondom het Leuvense ketterproces van 1543”, in Rondom het Woord, IX, 1967, 249-259.

27 HENK F.K. VAN NIEROP, “Censorship, Illicit Printing and the Revolt of the Netherlands”, in ALASTAIR C. DUKE and COENRAAD ARNOLD TAMSE, eds., Too Mighty to be Free: Censorship and the Press in Britain and the Netherlands, Zutphen: 1987, pp. 29-44: 33; JOHNSTON and GILMONT, “L’imprimerie et la Réforme à Anvers”, 194-199, 213; ARBLASTER, 30.

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Netherlandish Protestant circles for centuries)28. As a consequence of the intensified persecution against Antwerp printer-publishers, the city gradually declined as a centre for the publication of Reformation-minded books, and virtually no Bible that was sympathetic to the cause of the Reformation was produced in the Low Countries during the next quarter century.

It has been said that, as a consequence of the Leuven heresy trials in 1543, the theologians started drafting a list containing dangerous and hence forbidden books. On 9 May 1546 the Leuven theologians issued, by order of the imperial government, their Index of forbidden books29. According to the preface given by the dean, the theologians opposed those Bible editions that did not sufficiently represent the text of the Vulgate and the sense of faith that was incorporated in it. Never before had the Leuven masters so strongly emphasized the fact that the Vulgate must be the basis for any acceptable translation. This should come as no surprise since, only one month earlier, the Council of Trent had also decided on the Vulgate as the authentic – authoritative, because conform to the sound evangelical doctrine – version of the Church. Furthermore, the Leuven theologians forbade those Bible editions – even when they were faithful translations of the Latin Vulgate – that included prologues, marginal glosses, summaries above the chapters, or registers that were either questionable or were obviously derived from the comments of Luther and his followers. In addition, failure to give either the name of the printer and/or the place and/or date of publication seems to have been important criteria for the decision to ban an edition30. On the basis of these criteria, a total of 42 Dutch (and close on to ten French) Bible editions were banned.

It is however clear that the imperial authorities and the Leuven theological Faculty did not only want to forbid the “unreliable” Bible translations in a negative way, particularly since the Council of Trent had not made any pronouncement on the legitimacy of vernacular Bibles and had left the judgment to the local (ecclesiastical and civil) authorities. Immediately after the publication of the Index, the imperial authorities and the Faculty of Theology entered into an agreement with the Leuven printer Bartholomeus van Grave, with the intention of publishing new, authorized catholic Bible translations, both in Dutch and in French. These were 28 FRANÇOIS, “Jacob van Liesvelt as a Martyr for the Evangelical Belief?”, 351-360. 29 JESÚS MARTÍNEZ DE BUJANDA, LÉON-ERNEST HALKIN, PATRICK PASTURE and RENÉ

DAVIGNON, eds., Index de l’Université de Louvain, 1546, 1550, 1558, Sherbrooke-Geneva: 1986. With regard to the Bible editions that were put on the Index, see especially DEN HOLLANDER, Verboden bijbels, 11-21.

30 DE BUJANDA, HALKIN, PASTURE and DAVIGNON, eds., Index de l’Université de Louvain, 405; DEN HOLLANDER, Verboden bijbels, 12-22.

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required to be unadorned translations of the Vulgate, stripped of all marginal notes. In 1548, the Dutch Leuven Bible was published by Bartholomeus van Grave. The translation work was made by Nicolaus van Winghe (c. 1495-1552), an Augustinian canon regular from the congregation of Windesheim, living in the monastery of St. Martin’s Valley in Leuven, the same congregation to which Johan Scutken had been affiliated, who, around 1400, had translated parts of the Bible into Dutch. Van Winghe declared to offer a translation of the Vulgate, as it was revised by the Leuven master John Henten in 1547, in the wake of the Council of Trent. For his translation of the Old Testament, however, Van Winghe used as his basis the text of the Delft Bible of 1477, which, in its turn, was largely based upon the Herne Bible of the years 1360-1385; both were of course translations of the Vulgate31. Van Winghe’s translation of the New Testament contained reminiscences of the ‘traditional’ Middle Dutch Bible language as it was handed down through the books containing the Epistle and Gospel readings of the mass, and was to be found in earlier editions of the New Testament. It was also inspired by the so-called German Korrekturbibeln of Johannes Dietenberger (1534) and Johann Eck (1537), which had slightly adapted the text of Luther’s Bible to the Vulgate, in order to make it suitable for the use in the catholic community. It may be noted here for the sake of completeness that two years after Bartholomeus van Grave’s publication of the Dutch Leuven Bible, in 1550, the French Leuven Bible, edited by Nicolas de Leuze, master of theology and his assistant François de Larben, was published32. In a way, both editions, as official catholic Bible translations for the Low Countries, replaced Willem Vorsterman’s Dutch Bible of 1528 and the French version of Jacques Lefèvre d’Étaples – Martin Lempereur (Merten de Keyser) of 1530, respectively.

With the publication of both the Dutch and the French Leuven Bible, 31 On the Dutch ‘Louvain Bible’, see especially PACIFICUS [VAN HERREWEGHEN], “De

Leuvense bijbelvertaler Nicolaus van Winghe: Zijn leven en zijn werk”, in Ons Geestelijk Erf, XXIII, 1949, 5-38, 150-167, 268-314, 357-395. Since then a few further publications have been devoted to the Louvain Bible, amongst others: DE BRUIN, De Statenbijbel en zijn voorgangers, rev. BROEYER, 141-147; GILMONT, “La concurrence entre deux Bibles flamandes”, in GILMONT, Le livre & ses secrèts, Geneva-Louvain-la-Neuve: 2003, pp. 151-162: esp. 152-155; FRANÇOIS, “Het voorwoord bij de ‘Leuvense bijbel’ van Nicholaus van Winghe (1548): Over Schrift, Traditie en volkstalige Bijbellezing”, in Ons Geestelijk Erf, LXXIX, 2005-2008, 7-50.

32 On the French ‘Louvain Bible’, see especially BOGAERT and GILMONT, “La première Bible française de Louvain (1550)”, in Revue Théologique de Louvain, XI, 1980, 275-309; BOGAERT and GILMONT, “De Lefèvre d’Étaples à la fin du XVIe siècle”, 89-91; see also VICTOR BARONI, La Contre-Réforme devant la Bible: La question biblique, Lausanne: 1943, 306-308.

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the history of Bible translation in the Low Countries entered a new phase. In particular the Dutch Bible would go through several reprints after its publication in 1548, although the Catholic Church authorities gradually tried to restrict the lay people’s access to Bible reading in the vernacular. The Protestant part of the population was, for the time being, reliant upon the emigrant printers who had settled in Emden, on the north-eastern border of the Habsburg Low Countries, and who clandestinely provided those who remained in the Country with Reformed books including Bibles.