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“LIBERTA’ DI STAMPA, SEQUESTRO E CONDANNA PER LITE
TEMERARIA - T. MILANO (ord.) 2013” – Sabrina PERON
Pubblicato in Persona&Danno:
http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=44347&catid=113&Itemid=360&mese
=01&anno=2014
Peron Sabrina
L’ordinanza del Tribunale di Milano che qui si pubblica, trae origine da un ricorso ex art. 700 c.p.c.
con il quale si chiedeva al Giudicante di inibire la pubblicizzazione, la commercializzazione e la
vendita di un volume del quale si lamentava il contenuto diffamatorio a danno del ricorrente. In
particolare il ricorrente lamentava errori, imprecisioni e suggestivi accostamenti che, a suo dire,
rendevano la notizia falsa.
Il Tribunale di Milano nel procedere alla decisione ha anzitutto esaminato il contenuto del R.D.lgs
562/1946, il quale all’art. 1 stabilisce che «non si può procedere al sequestro della edizione dei
giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato (…) se non in virtù di una sentenza
irrevocabile dell’autorità giudiziaria». Tale previsione normativa va coordinata con l’art. 21, 3
comma, Cost. il quale sancisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure e che «si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel
caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione
delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili».
Per giurisprudenza costante tale previsione costituzionale «copre l’intera area del sequestro,
qualunque sia il contrapposto interesse col quale la stampa entra in collisione» (Corte Cost.,
9.7.1970, n. 122, in Foro it., 1970, I, 2294) e «mira ad assicurare, contro ogni forma di censura,
sia successiva che preventiva, la libera circolazione dell’attività di pensiero» (T. Napoli,
17.11.1992, in Dir. inf., 1998, 608). In definitiva, nel regolare il conflitto tra interesse al
sequestro e interesse alla circolazione della stampa, si ritiene che l’art. 21, 3º comma, Cost.
accordi una «indefettibile prevalenza al secondo, così ponendo un divieto a qualsiasi
provvedimento, ivi compresi quelli del giudice civile a tutela dei diritti di sfruttamento di opera
dell’ingegno, che comporti il sequestro dello stampato se non nei casi in cui la legge
espressamente lo autorizzi e sempre che a mezzo dello stampato sia stato commesso un delitto»
(T. Milano, 2611.1994, in AIDA, 1995, 556).
Sulla scorta di tali principi, anche di valore costituzionale, il Tribunale di Milano ha correttamente
rilevato come con riferimento al provvedimento cautelare richiesto in via principale – diretto ad
ottenere la cessazione della commercializzazione del libro - l’art. 700 c.p.c. non potesse
«costituire la fonte del potere di concedere provvedimenti d’urgenza atipici idonei a determinare
un effetto sostanzialmente corrispondente a quello del sequestro della stampa vietato, in
particolare, dall’art. 21 Cost. che (…) lo consente solo con l’osservanza di limiti rigorosi (in tal
senso, cfr. Tribunale di Milano, ord., 12.4.2012, Trib. Padova 1.10.2009, Trib. Roma 14.2.2008,
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Trib. Torino 14.5.2004, giurisprudenza di merito assolutamente prevalente rispetto alla pronuncia
isolata richiamata dalla difesa del ricorrente)». Per tale ragione la domanda principale del
ricorrente è stata rigettata.
Per inciso, si ricorda, invece, che secondo gli ultimi arresti giurisprudenziali è «legittimo il
sequestro preventivo di un articolo pubblicato su un sito internet contenente espressioni ritenute
lesive dell'onore e del decoro qualora la sua adozione sia giustificata da effettive necessità e da
adeguate ragioni che si traducono nella sussistenza del “fumus commissi delicti” e del pericolo di
aggravamento delle conseguenze del reato a cagione del mantenimento in rete delle predette
espressioni; né, a tal fine, rileva l'assenza della “definitivamente accertata diffamatorietà”, la quale
è un requisito concernente, ex art. 1 comma 1 r.d.lg. n. 561 del 1946, soltanto il sequestro
probatorio» (Cass., 10.01.2011, n. 7155, in Dir. inf., 2011, 2, 261). Nel caso invece di
pubblicazioni on-line iscritte nel registro della stampa periodica, la giurisprudenza (al momento di
merito) e alcune voci della dottrina, propendono per applicazione delle medesime guarentigie
riconosciute alle testate cartacee (cfr. T. Padova, 1.10.2009, in Dir. inf., 2009, 772 con nota
adesiva di CIMINO, Art. 21 della costituzione ed i limiti al sequestro dei contenuti (multimediali)
nelle pubblicazioni telematiche e nei prodotti editoriali) e ciò in forza dell’equiparazione tra la
pubblicazione cartacea e quella informatica operata dall’art. 1 L. 62/2001 (non così invece per le
pubblicazioni on-line che abbiano optato per la non iscrizione nel registro della stampa periodica).
Tanto premesso, il Giudice ambrosiano ha comunque ritenuto di dover procedere all’esame del
merito della domanda del ricorrente nella parte in cui veniva richiesta l’adozione di provvedimenti
cautelari atipici «intesi a far cessare temporaneamente o a contenere il pregiudizio che deriva a
terzi da una pubblicazione» diffamatoria (nel caso esaminato si chiedeva che la
commercializzazione del libro venisse subordinata all’adozione di opportune cautele quali, ad
esempio, l’aggiunta di note di testo).
Nel merito la domanda è stata tuttavia ritenuta infondata per carenza sia del fumus boni iurische
del periculum in mora (requisiti imprescindibili di ogni provvedimento cautelare in via d’urgenza).
Con riguardo fumus boni iuris¸ il Tribunale ha operato un (sia pur sommario considerata la sede)
bilanciamento tra i diritti asseritamente lesi e la libertà di informazione che può considerarsi
legittima allorché ricorrano i ben noti presupposti di verità, continenza ed interesse pubbli co.
Nel caso di specie considerato che si trattava di valutare la legittimità di alcune espressioni
critiche, il tribunale ha correttamene osservato: che «la critica va sottratta ad un rigoroso vaglio
circa la verità di fatti, comportamenti ed opinioni su cui essa si appunta, doveroso invece in
relazione all’esercizio della cronaca giornalistica» (cfr. Cass., 28.10.2010, n. 4938, in Ced Cass.,
rv. 249239); che «non sussiste una generica prevalenza del diritto all’onore sul diritto di critica, in
quanto ogni critica alla persona può incidere sulla sua reputazione, e del resto negare il diritto di
critica solo perché lesivo della reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di libera
manifestazione del pensiero; pertanto, il diritto di critica può essere esercitato anche mediante
espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un
ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore» (cfr.
Cass., 22.03.2012, n. 4545, in Mass., 2012, 260).
Nelle coordinate dettate da tali principi, il Giudice ambrosiano ha ritenuto che le espressioni
contenute nel libro non fossero tali da escludere la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti
realmente accaduti. Ha inoltre ritenuto che lo stile dell’autore, anche se sarcastico, , potesse
ritenersi strumentale alla manifestazione della sua opinione e del suo duro giudizio critico relativo
a fati gravi e di indiscusso interesse pubblico.
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A fronte della palese insussistenza del requisito del fumus boni iuris (che ha quindi reso superfluo
l’esame del periculum in mora), il Tribunale di Milano ha ritenuto che per la fattispecie sottoposta
al suo esame sussistessero i presupposti per una condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3,
c.p.c. (“in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio,
può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una
somma equitativamente determinati”).
In via generale si ritiene che i presupposti per una condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., possano
rinvenirsi: nella totale soccombenza della parte (cfr. da ultimo, Cass., 02.08.2013, n. 19583 e
T. Milano, 28.11.2012, in Jus Explorer Giufrè); nella mala fede o nella colpa grave, con cui si è
agito o resistito in giudizio.
Osserva a tale ultimo proposito la Corte di Cassazione che «la condanna al pagamento della
somma equitativamente determinata, ai sensi del 3 comma dell’art. 96 c.p.c. presuppone
l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa
previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in
giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile»
(Cass., 30.11.2012, n. 21570, in Mass., 2012, 828. Si veda altresì Cass.,11.04.2013, n. 8913,
in Mass. 2013, 292, «la condanna al risarcimento dei danni da responsabilità processuale
aggravata per la trascrizione di una domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 96, 2º comma, c.p.c.,
presuppone l’accertamento dell’inesistenza del diritto oggetto di quest’ultima, nonché
l’inosservanza da parte dell’attore della prudenza tipica dell’uomo di media diligenza; ne consegue
che il giudice, investito dell’istanza della parte danneggiata, non può pronunciare su di essa se
non abbia preventivamente deciso le questioni di merito attinenti al grado di fondatezza della
domanda»).
Si ritiene difatti, che la modifica apportata all’art. 96 c.p.c., con l’inserimento dell’attuale terzo
comma, sia stato «introdotto nell’ordinamento processuale civile una pena pecuniaria,
indipendente dalla domanda di parte e dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta
processuale dell’avversario ma, viceversa, dipendente dall’accertamento della rimproverabilità del
comportamento della parte perdente in termini di dolo o colpa grave» (così Cass., 30.07.2010, n.
17902, in Mass., 2010, 843. Si veda anche T. Bari, 28.04.2011, in Foro it., 2011, I, 2171).
Secondo il Tribunale di Milano (che cita in proposito alcuni precedenti di merito) questa nuova
previsione normativa sarebbe «una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del
processo (Tribunale di Roma, sez. XI civile, sentenza 11 gennaio 2010) e preservare la
funzionalità del sistema giustizia (Trib. Prato 6 novembre 2009, Trib. Milano 29 agosto 2009),
traducendosi, dunque, in “una sanzione d’ufficio” (Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia,
sentenza 9 dicembre 2010)».
In particolare la giurisprudenza di merito ha rilevato come la condanna di cui al 3º comma dell’art.
96 c.p.c. avrebbe una «duplice funzione, sanzionatoria e risarcitoria; la funzione sanzionatoria è
assicurata dalla (possibile) officiosità della condanna e dal fatto che può essere pronunciata in
assenza di qualsiasi prova di un danno effettivo; la funzione risarcitoria è, invece, perseguita in
sede di liquidazione della somma, proprio agganciando la quantificazione ai criteri utilizzati per
indennizzare il pregiudizio (sia pure presunto) subìto dalla parte vittoriosa per aver dovuto agire o
resistere in giudizio» (T. Piacenza, 07.12.2010, in Dvd Foro it.).
Ciò posto, nell’ordinanza che qui si pubblica, gli elementi dal quale è stata ricavata l’evidente
colpa grave sono stati: l’aver richiesto un provvedimento cautelare a fronte «della consolidata
giurisprudenza relativa all’inammissibilità di ricorsi cautelari volti ad ottenere provvedimenti di
contenuto sostanzialmente corrispondenti al sequestro della stampa»; la verità dei fatti narrati nel
libro e l’obiettivo interesse pubblico alla conoscenza degli stessi; l’inesistenza del diritto vantato;
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l’allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi (causato dalla proposizione di
una causa solo strumentale); il danno provocato ai convenuti (consistente nella necessità di una
difesa in un giudizio civile, con costi non indifferenti, nel ritardo per l’accertamento della verità e
per le evidenti conseguenze relative all’incertezza della soluzione).
Con riferimento invece ai criteri per la determinazione della condanna ex art. 96, comma 3,
c.p.c., poiché la norma «non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo», la
determinazione giudiziale dovrà «solo osservare il criterio equitativo» (Cass., 30.11.2012, n.
21570, in Mass., 2012, 828).
Nell’ordinanza che qui si pubblica, il Tribunale di Milano ha utilizzato il criterio già adottato dal
Tribunale di Modena (cfr. T. Modena, 15.02.2013, n. 217 e T. Modena, 06.12.2012, in Ius
Explorer), ossia: «il parametro fissato dall'art. 2 bis l. n. 89 del 2011 recentemente innovata (dal
d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134) che fissa quale
criterio applicativo di equa riparazione quello di un importo pecuniario compreso tra euro 500 ed
1500 di durata eccedente il termine di ragionevole durata processuale. In questa determinazione
assume rilevanza particolare il comportamento assunto dalle parti, la natura degli interessi
coinvolti ed il valore, oltre che la rilevanza della causa (cfr. art. 2 bis, 2 comma, l. cit.)». Facendo
applicazione di tali parametri il Tribunale di Milano ha determinato la condanna nella misura di €
1.000,00 a favore di ciascuno dei convenuti.
Il criterio suggerito dal Tribunale di Milano è sicuramente interessante, anche perché ne consente
la calibrazione in conformità al limite della ragionevolezza richiesto dalla Suprema Corte (cfr.
Cass., 30.11.2012, n. 21570, in Mass., 2012, 828).
Per completezza si osserva che un altro criterio di determinazione della condanna, come
suggerito dalla Corte di Cassazione, potrebbero essere la calibrazione della stessa «sull'importo
delle spese processuali o un loro multiplo» (Cass., 30.11.2012, n. 21570, ult cit.) e fermo restando
il limite della ragionevolezza.
Al riguardo una recentissima sentenza del Tribunale di Napoli ha ritenuto che il quantum
debeatur non «potesse che essere l'importo liquidato ai sensi dell'art. 91 comma 1 c.p.c. in favore
della parte vittoriosa per le spese di giudizio, sul quale innestare una valutazione basata sul grado
e sull'intensità della colpevolezza, vale a dire sul presupposto soggettivo necessario per
l'applicazione della sanzione, nonché sulla durata del processo e sul valore della controversia,
tenuto conto sempre di tutti gli interessi, pubblici e privati, parimenti tutelati dalla norma,
trattandosi di interessi che rilevano anche nella fase liquidatoria, e quindi della funzione della
norma, che deve essere garantita nella sua effettività; che una volta determinata la base di
partenza, ai fini della individuazione della somma finale, posto che la norma non prevede un tetto
massimo, occorre fare riferimento alla funzione della fattispecie da essa disciplinata e della linea
di tendenza proseguita dal legislatore anche con l'introduzione del nuovo comma 2 dell'art. 283
c.p.c.» (T. Napoli, 07.01.2014, in Ius Explorer).
TRIBUNALE DI MILANO
Fatto e Diritto
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Con ricorso ex artt. 700 c.p.c. depositato il 31.7.2013, XX XX chiedeva al Tribunale di
Milano, in via d’urgenza e inaudita altera parte, di inibire la pubblicizzazione, la
commercializzazione e la vendita del volume ZZZ e, in via subordinata, di subordinare
la commercializzazione e la stampa ad ogni opportuna misura diretta a salvaguardare
l’onore del ricorrente. Deduceva, in particolare: che il ricorrente era figlio di un famoso
narcotrafficante, con il quale non aveva avuto rapporti per numerosi anni; che il
13.10.2010, in seguito ad un’ordinanza cautelare del GIP di Napoli, era stato sottoposto
alla misura della custodia cautelare (ed al sequestro dei beni) in relazione al contestato
reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico; che, con ordinanza del
13.10.2011 il Tribunale del Riesame di Brescia aveva disposto la revoca delle misure
cautelari, non ritenendo sussistenti gli indizi di colpevolezza; che nel volume ZZZ, sss,
nel capitolo dedicato al padre del ricorrente, PCL, aveva diffuso la notizia della custodia
cautelare patita dal ricorrente, ma non della decisione presa dal Tribunale del Riesame
di Brescia (precedente di 5 mesi la pubblicazione del volume); che nel passo dedicato al
ricorrente vi erano errori, imprecisioni e suggestivi accostamenti (tra la vicenda della
famiglia www e la scomparsa di Y.Y.); che l’autore del volume per cui è causa
riportava fatti non veri, superando altresì il limite della continenza.
Si costituiva la QQQ QQQ QQQ S.r.l. e, dopo una serie di rinvii necessari in ragione
delle difficoltà di eseguire la notifica all’autore del libro, SSS, eccependo
l’inammissibilità del ricorso cautelare proposto e chiedendone il rigetto perché
infondato.
Acquisiti i documenti prodotti, all’udienza del 5 dicembre 2013 le parti discutevano la
causa ed il giudice riservava la decisione.
Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso spiegata
dai resistenti.
In primo luogo, appare opportuno ricordare il contenuto dell’art. 1, primo comma, del
RDL 31.5.1946 n. 561, che vieta la possibilità di procedere al sequestro di edizioni di
giornali o di qualsiasi altro stampato (salvo le eccezioni di cui al secondo comma) e il
disposto dell’art. 21 Cost. che esclude la possibilità di sequestro della stampa, salvo i
casi espressamente previsti dalla legge (stampa oscena, plagio ex art.161 l. diritto
d’autore e in caso di apologia del fascismo, ex art. 8 l.645/1952).
Come precisato dalla Corte Costituzionale (nella risalente e sempre attuale pronuncia n.
122/1970) “la disciplina restrittiva del potere di procedere al sequestro della stampa
non si riferisce solo ai rapporti tra questa ed i pubblici poteri, ma è estesa anche al
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campo dei diritti privati, con la conseguenza che la norma contenuta nel terzo comma
dell’art. 21 della Costituzione copre l’intera area del sequestro, qualunque sia il
contrapposto interesse con quale la stampa entra in collisione”.
Con riferimento al provvedimento cautelare richiesto in via principale – diretto ad
ottenere la “cessazione della commercializzazione” del libro ZZZ -, si osserva che l’art.
700 c.p.c. non può costituire la fonte del potere di concedere provvedimenti d’urgenza
atipici idonei a determinare un effetto sostanzialmente corrispondente a quello del
sequestro della stampa vietato, in particolare, dall’art. 21 Cost. che, come evidenziato,
lo consente solo con l’osservanza di limiti rigorosi (in tal senso, cfr Tribunale di
Milano, ord. 12.4.2012, Trib. Padova 1.10.2009, Trib. Roma 14.2.2008, Trib. Torino
14.5.2004, giurisprudenza di merito assolutamente prevalente rispetto alla pronuncia
isolata richiamata dalla difesa del ricorrente).
Nel caso di specie, pertanto, atteso che il ricorrente ha chiesto, in via principale,
l’inibitoria della commercializzazione del libro per cui è causa la domanda non può che
essere dichiarata inammissibile.
I principi sopra richiamati consentono però di ritenere che un ricorso ex art. 700 c.p.c.,
ove fondato, possa consentire l’adozione di provvedimenti cautelari atipici intesi a far
cessare temporaneamente o a contenere il pregiudizio che deriva a terzi da una
pubblicazione.
Nel caso in esame il ricorso ex art. 700 c.p.c. diretto ad ottenere che la
commercializzazione del libro per cui è causa sia subordinata all’adozione di opportune
cautele (quali, ad esempio, l’aggiunta di note di testo) deve, pertanto, ritenersi
ammissibile.
Nel merito si osserva quanto segue.
Il carattere testuale dell’art. 700 c.p.c., ribadito dalla giurisprudenza ormai unanime,
pone in evidenza il carattere accessorio e temporaneo dei provvedimenti d’urgenza,
diretti ad assicurare provvisoriamente, attraverso una tutela preventiva ed autonoma, gli
effetti della futura decisione di merito. Ora, tale tutela preventiva può essere accordata
solo in quanto necessaria ad evitare che il diritto azionato venga, in modo irreparabile,
pregiudicato nelle more del giudizio di merito. Pertanto il provvedimento cautelare per
cui si ricorre in via d’urgenza deve essere 1) ammissibile; 2) sorretto dal c.d. fumus boni
iuris; 3) caratterizzato da un periculum in mora.
Nel caso di specie, difettano entrambi i requisiti appena ricordati.
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Sia pure limitatamente ad una cognizione sommaria dei fatti, propria della presente fase
cautelare, è necessario verificare il fumus boni iuris della natura diffamatoria dei brani
del volume “ZZZ” riguardanti l’odierno ricorrente.
In via generale si osserva che la libertà di diffusione del pensiero non riguarda solo le
informazioni e opinioni neutre o inoffensive ma anche quelle che possano colpire
negativamente "essendo ciò richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di
apertura senza i quali non si ha una società democratica" (Corte Europea dei Diritti
dell'uomo 8/7/1986 Lingens/Austria). Tale diritto, riconosciuto dalla CEDU e dalla
normativa nazionale, costituisce ed integra una causa di giustificazione, nell'ambito di
un equo bilanciamento con altri diritti parimenti inviolabili e potenzialmente in
conflitto, quali quello alla tutela dell'onore e della reputazione altrui, purché ricorrano:
a) la sussistenza di un interesse ai fatti narrati da parte dell'opinione pubblica (principio
di pertinenza); b) la correttezza con cui i fatti vengono esposti con rispetto dei requisiti
minimi di forma (principio di continenza); c) la corrispondenza tra i fatti accaduti e
quelli narrati (principio di verità oggettiva) con la precisazione che può ritenersi
sufficiente anche la sola verità putativa purché frutto di un serio e diligente lavoro di
ricerca (Cass. 19/1/2007 n. 1205; Cass. 22/3/2007 n. 6973).
Con riferimento al caso di specie è necessario chiarire che, stando alla prospettazione di
parte ricorrente (e secondo quanto dedotto dal SSS, e non contestato dalla difesa del
ricorrente), le uniche parti relative a XX XX sono contenute a pagine 276 e 277.
In queste pagine si legge: che LLLLL, padre dell’odierno ricorrente, famoso
narcotrafficante aveva trovato nuovi modi per continuare ad espandere il suo business;
che i suoi due figli, PPP e MMM, erano titolari della VVV S.p.A. che produceva
pavimentazioni a P.S.P., a pochi chilometri da B.diS.; che l’azienda godeva delle
migliori credenziali, contribuiva alla ricchezza del territorio con l’approvazione della
popolazione, che pensava di non dover addossare ai figli le colpe dei padri; che la VVV
aveva vinto un appalto da 500.000,00 euro per costruire i sottofondi ed i pavimenti
esterni delle case antisismiche dell’Aquila e del centro commerciale di Mapello; che
cinque mesi dopo l’arresto di LLLL anche i figli, PPP e MMM, erano stati condotti in
carcere con l’accusa, fondata su diverse intercettazioni, di aver avuto una parte molto
attiva sia nel riciclaggio che nei pagamenti consegnati nelle mani dei trafficanti; che una
lettera anonima giunta presso un quotidiano locale, dopo la scomparsa di Y.Y., aveva
suggerito di cercare anche nel cantiere di Mapello, ma che le voci che avevano
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accostato le vicende dei LLLL alla scomparsa della piccola Y.Y. non erano state seguite
dagli inquirenti.
La difesa del ricorrente contesta la sussistenza del requisito della verità, dell’interesse
pubblico e della continenza.
Il XXX, in particolare contesta le seguenti affermazioni contenute nel libro: XX XX non
era titolare della VVV S.p.A. (in passato amministrata dal fratello TTT), ma della
MMM S.r.l., società specializzata nella posa di caldane e massetti, poi dichiarata fallita;
nell’ottobre del 2011 il Tribunale del Riesame di Brescia disponeva la revoca delle
misure cautelari personali e reali in precedenza applicate a XX XX e di tale importante
circostanza il SSS nel suo volume, pubblicato nell’aprile del 2012, non dava notizia;
senza citare alcuna fonte SSS affermava che XX XX era stato coinvolto negli interessi
dell’impresa dedita al narcotraffico condotta da LLL; che la VVV e la MMM S.r.l. non
erano mai state imprese dominanti nel territorio nazionale; che non vi era alcun
collegamento tra la vicenda di Y.Y. e la famiglia LLL.
Le censure di parte ricorrente sono del tutto prive di fondamento.
I fatti narrati da SSS, con riferimento alle indagini a carico di XX XX in merito al reato
di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e alla misura
cautelare della custodia in carcere, costituiscono nel contempo espressione del diritto di
cronaca giudiziaria e di critica.
In via generale è necessario ricordare il costante insegnamento della giurisprudenza,
secondo il quale la critica va sottratta ad un rigoroso vaglio circa la verità di fatti,
comportamenti ed opinioni su cui essa si appunta, doveroso invece in relazione
all’esercizio della cronaca giornalistica. Infatti, “in tema di diffamazione a mezzo
stampa, il rispetto della verità del fatto assume in riferimento all'esercizio del diritto di
critica politica un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa
incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di
opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può,
per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica; il limite immanente
all'esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della
dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla
persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo
di “argumenta ad hominem” (Cass. sez. 5 pen. 28/10/2010 n. 4938). Si è inoltre
precisato dalla giurisprudenza che “(…) non sussiste una generica prevalenza del diritto
all'onore sul diritto di critica, in quanto ogni critica alla persona può incidere sulla sua
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reputazione, e del resto negare il diritto di critica solo perché lesivo della reputazione
di taluno significherebbe negare il diritto di libera manifestazione del pensiero;
pertanto, il diritto di critica può essere esercitato anche mediante espressioni lesive
della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato
dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell'onore” (Cass.
22/3/2012 n. 4545).
Con riferimento al caso di specie, pur dovendosi valutare il rispetto della verità del fatto
con minor rigore, deve comunque affermarsi che, pur in assenza dell’aggiornamento
della notizia relativa alla revoca delle misure cautelari applicate dal ricorrente, il SSS
abbia riferito fatti veri (cfr. contenuto dell’ordinanza cautelare emessa dal GIP presso il
Tribunale di Napoli, doc. 1 della difesa di SSS).
Un esame sommario, tipico della presente fase cautelare, consente, di ritenere non
necessario, da parte dell’autore del libro per cui è causa, l’aggiornamento della notizia
relativa alla revoca della misura cautelare adottata dal Tribunale del Riesame di Brescia.
A tale conclusione si giunge sulla scorta delle seguenti considerazioni: dai documenti
prodotti dalla difesa del ricorrente (doc. 2) non si evincono le ragioni dell’annullamento
dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere (e dunque non si può
verificare quanto dedotto dalla difesa del ricorrente in merito all’insussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza del reato ascritto al LLL); il procedimento penale a carico del
LLL, al momento della pubblicazione del libro e fino alla data odierna, è pendente; la
decisione del Tribunale del Riesame di Brescia è intervenuta nell’ottobre del 2011 ed il
libro per cui è causa è stato pubblicato nell’aprile del 2012 (appena sei mesi dopo la
pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, un tempo sicuramente non
sufficiente - vista la lunghezza del volume, 444 pagine e la molteplicità dei fatti e dei
personaggi citati – per consentire all’autore di tener conto di evoluzioni del sub
procedimento cautelare, in assenza di una definizione del procedimento penale - fatto
non contestato -, di personaggi di minor rilievo nell’economia del libro).
Le imprecisioni relative al ruolo ricoperto dal LLL nella VVV, al suo coinvolgimento
nella MMM S.r.l., e le considerazioni relative alle dimensioni economiche di tale
società sono del tutto irrilevanti atteso che ciò che deve essere assicurato è la
corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti (cfr. Cass. 18.10.2005 n.
20140 e Cass. 22.3.2013 n. 7274). Nel caso in esame l’oggettiva verità del racconto –
verità riscontrabile dal contenuto dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, cfr.
in particolare pag. 59 nella quale si fa espresso riferimento proprio alla MMM S.r.l. -
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può ben tollerare inesattezze considerate irrilevanti, come quelle appena riferite, atteso
che le stesse attengono a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo.
Anche altre parti del testo relative alla considerazioni fatte da SSS sulle reazioni della
comunità bergamasca a fronte delle vicende, anche economiche, dei LLL costituiscono
parimenti espressione del diritto di critica, esercitato in modo assolutamente continente.
Le censure relative al suggestivo accostamento che SSS avrebbe operato tra la famiglia
LLL ed il rapimento di Y.Y. sono infondate, atteso che è lo stesso autore del libro che
precisa che gli stessi inquirenti hanno escluso un coinvolgimento dei LLL.
In particolare, con riferimento al requisito della continenza, è opportuno ricordare
l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale “(…) qualora la narrazione di
determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell'autore dello scritto, in modo da
costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza
non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un
bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera
manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.); bilanciamento
ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse dell'opinione pubblica alla
conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che
costituisce, assieme alla continenza, requisito per l'esimente dell'esercizio del diritto di
critica” (Cass. 7/1/2009 n. 25).
Nel caso in esame, osserva questo giudice che lo stile dell’autore, in alcune parti
sicuramente sarcastico, può ritenersi strumentale alla manifestazione della sua opinione
e del suo duro giudizio critico relativo a gravi fatti (legati all’imponente indagine sul
narcotraffico internazionale), di indiscusso interesse pubblico.
In merito a quest’ultimo requisito, contestato dalla difesa del ricorrente, non si
comprende come possa essere revocato in dubbio l’interesse della collettività
all’informazione ed alla formazione di una propria opinione sull’esistenza di
associazioni a delinquere finalizzate al narcotraffico, al coinvolgimento, almeno in fase
di indagine, di liberi professionisti ed alle reazioni delle comunità locali.
In conclusione, dal primo sommario accertamento delibativo, proprio della presente fase
cautelare, si ritiene di dover escludere il carattere diffamatorio delle espressioni
contenute nel libro ZZZ, nelle parti dedicate all’odierno ricorrente.
L’insussistenza del requisito del fumus boni iuris, rende superfluo l’esame del
periculum in mora.
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Ritiene questo giudice che sussistano i presupposti per una condanna ai sensi dell’art.
96 III comma c.p.c. Tale norma introdotta dalla l. 18.6.2009 n. 69 prevede una forma di
danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo (Tribunale di Roma, sez. XI civile,
sentenza 11 gennaio 2010) e preservare la funzionalità del sistema giustizia (Trib. Prato
6 novembre 2009, Trib. Milano 29 agosto 2009), traducendosi, dunque, in “una
sanzione d’ufficio” (Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, sentenza 9 dicembre
2010).
Nel caso in esame, la totale soccombenza del ricorrente - il quale ha agito in giudizio
con evidente colpa grave (elemento soggettivo ritenuto sussistente alla luce della
consolidata giurisprudenza relativa all’inammissibilità di ricorsi cautelari volti ad
ottenere provvedimenti di contenuto sostanzialmente corrispondenti al sequestro della
stampa, della verità dei fatti narrati dal SSS, dell’obiettivo interesse pubblico, della
sussistenza di un procedimento penale in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. a
carico di colui che ha richiesto la rettifica di dati relativi solo al subprocedimento
cautelare e del limitato arco temporale intercorso tra il provvedimento emesso dal
Tribunale del Riesame e la pubblicazione del volume) - , l’inesistenza del diritto
vantato, l’allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi (causato dalla
proposizione di una causa solo strumentale), il danno provocato ai convenuti
(consistente nella necessità di una difesa in un giudizio civile, con costi non indifferenti,
nel ritardo per l’accertamento della verità e per le evidenti conseguenze relative
all’incertezza della soluzione), costituiscono elementi idonei a giustificare un
provvedimento di condanna ex officio.
Ai fini della liquidazione dei danni, può utilizzarsi (come suggerito da parte della
giurisprudenza di merito, cfr. Trib. di Modena 6.12.2012) il parametro fissato dall'art. 2
bis l. n. 89 del 2011 recentemente innovata (dal d.l. n. 83 del 2012, convertito con
modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134) che fissa quale criterio applicativo di equa
riparazione quello di un importo pecuniario compreso tra euro 500 ed 1500 di durata
eccedente il termine di ragionevole durata processuale. In questa determinazione
assume rilevanza particolare il comportamento assunto dalle parti, la natura degli
interessi coinvolti ed il valore, oltre che la rilevanza della causa (cfr. art. 2 bis, 2
comma, l. cit.).
In applicazione di questi criteri, tenuto conto che la presente vertenza pende dal luglio
2013, che gli interessi coinvolti riguardano diritti costituzionalmente garantiti e che la
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rilevanza della causa non può prescindere dalla notorietà dell’opera in esame, si ritiene
di poter irrogare a titolo di sanzione la somma di euro 1.000,00 per ciascun convenuto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, alla
stregua delle nuova disciplina portata dal d.m. 20 luglio 2012 n. 140.
P.Q.M.
Visti gli artt. 669-bis ss. e 700 c.p.c., rigettata ogni ulteriore domanda ed eccezione;
1) Rigetta il ricorso;
2) condanna XX XX al pagamento, in favore di SSS delle spese di lite, liquidate
complessivamente in € 1.800,00 per spese e competenze professionali, oltre i.v.a. e
c.p.a. come per legge;
3) condanna XX XX al pagamento, in favore della YYY YYY YYY S.r.l. delle spese di
lite, liquidate complessivamente in € 1.800,00 per spese e competenze professionali,
oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge;
4) Dichiara tenuto e condanna XX XX al pagamento, in favore di entrambi i convenuti,
della somma di euro 1.000,00 ciascuno, a norma dell’art. 96 comma 3 c.p.c.
Si comunichi.