Unione dei Comuni - percorso europeo e italiano

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Università Telematica e-Campus Facoltà di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza Le Unioni dei Comuni nel sistema europeo Relatore: Prof. Sergio Marullo Di Condojanni Tesi di Laurea di: Alessandro Lucibello Piani Matricola nr.002007727 Anno Accademico 2013/2014

Transcript of Unione dei Comuni - percorso europeo e italiano

Università Telematica e-Campus

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Le Unioni dei Comuni nel sistema europeo

Relatore: Prof. Sergio Marullo Di Condojanni

Tesi di Laurea di:

Alessandro Lucibello Piani

Matricola nr.002007727

Anno Accademico 2013/2014

INDICE

1. Prefazione

1.1 Scopo e obbiettivo dello studio pag.1

1.2 Metodologica applicata pag.2

2. I principali sistemi europei locali nei territori di tradizioni “civil law”

2.1 Enti Locali pag.3

2.2 Francia

a. percorso storico pag.6

b. la costituzione francese pag.9

c. situazione attuale pag.11

d. enti locali pag.14

e. IMC pag.15

f. dipartimenti pag.19

g. regioni pag.19

h. risorse Umane pag.20

i. criticità e successi pag.22

2.3 Germania

a. introduzione pag.30

b. percorso storico pag.33

c. governo locale pag.35

d. situazione locale pag.38

e. fondazione Bertelsman pag.40

f. la governance tedesca pag.44

g. il rinnovamento della politica dal basso pag.47

h. suddivisione degli enti locali pag.49

i. ordinamento comuni pag.52

l. unioni e circondari pag.54

m. riordino pag.56

n. conclusioni pag.58

2.4 Italia

a. percorso storico pag.62

b. periodo repubblicano pag.65

c. l’autonomia locale fino agli anni 90 pag.67

d. verso il Tuel pag.71

e. riforma del titolo V della Costituzione pag.74

f. le unioni di comuni pag.77

g. situazione attuale pag.79

h. i comuni oggi pag.83

l. l’esempio toscano pag.85

i. conclusioni pag.102

Bibliografia pag.105

1. Prefazione

1.1 Scopo e obbiettivo dello studio

Nel panorama italiano delle riforme amministrative degli ultimi vent’anni

emerge, ad oggi, il mancato raggiungimento degli obbiettivi annunciati oltre ad

una grande confusione sia per i mezzi normativi scelti che per le modalità con cui

sono stati coinvolti i diretti interessati (amministratori e dipendenti pubblici

locali). Per tali motivi è sembrato utile un breve percorso comparativo con quegli

Stati Europei a noi più vicini sia per la comune storia del diritto amministrativo

(Francia) sia per l’attuale peso nella Comunità Europea (Germania). Focalizzate

le situazioni e le esperienze francesi e tedesche passiamo ad analizzare la

situazione italiana ripercorrendo l’esperienza di cinque piccoli comuni Toscani

che, ligi al rispetto delle norme e delle riforme, si sono subito gettati

nell’applicare le riforme rispettando un obbligo formale che con il passare del

tempo, viste le continue incertezze, le modifiche normative e le proroghe dei

termini, sono state causa di confusione e appesantimenti dei processi, rendendo di

fatto impossibile il raggiungimento dell’obbiettivo prefissato.

Quello che storicamente stanno vivendo i Comuni in Italia è un processo iniziato

negli anni ’60 quando apparve evidente che le piccole autonomie locali non erano

più in grado di essere competitive nell’erogazione di servizi i cui parametri

qualitativi e quantitativi crescevano continuamente. La crescente professionalità

richiesta ai pubblici dipendenti per svolgere le funzioni, la specializzazione

obbligata a fronte di una crescente difficoltà nel districarsi tra le tante norme

2

erano problemi evidenti e su cui un piccolo Comune non era assolutamente in

grado di intervenire da solo, atteso che le sue economie di scala non

permettevano di ammortizzare adeguati interventi che richiedevano investimenti

e costi elevati. Non si deve neanche dimenticare, sebbene non sia materia di tale

scritto, come le migrazioni degli anni ’50-’70 dalle campagne ai grandi centri

abitati abbiano contribuito a ridurre i cittadini su cui suddividere i nuovi costi,

evidenziando ancora di più le loro difficoltà nel gestire l’aumentata complessità

tecnica della gestione dei Comuni a cui spesso si sono aggiunte nuove

competenze trasferitegli dallo Stato Centrale. Le profonde mutazioni sociali, la

ridefinizione dei rapporti tra enti confinanti dovuto alla crescente mobilità dei

cittadini, i principi dell’economia di mercato sempre più invadente, l’aumentata

concorrenza con la scomparsa delle tutele localiste per l’ingresso nel mercato

unico europeo, sono sfide ancora oggi non superate dai nostri enti locali.

1.2 Metodologica applicata

Questo breve trattato, partendo dai percorsi messi in atto nei diversi territori

europei presi ad esame, vuole evidenziare quali siano stati i punti di debolezza e

di forza di ciascuno senza tralasciare il punto di vista dell’architettura normativa

e senza perdere di vista anche un approccio sociologico, pur chiarendo che non si

tratta di uno studio sociologico.

Le Istituzioni, con le norme di diritto, definiscono i confini dei comportamenti

sociali legittimi, e con esse influenzano la percezione, le scelte e le strategie degli

attori. Nel contesto delle inter municipalità, ad esempio, presumiamo che gli

attori pubblici e privati siano razionalmente orientati verso un obbiettivo preciso

3

seguendo e applicando le regole del gioco prestabilite. Rilevanti pertanto sono sia

i formanti normativi che quelli sociali relativi all’orientamento delle politiche di

cooperazione sia per come sono rappresentate all’interno delle norme vigenti, sia

per come vengono rappresentate, e percepite, nella realtà quotidiana. I fattori

sociali, economici, demografici, culturali e dello sviluppo tecnologico influiscono

su livelli diversi:

-Nel contesto Istituzionale delle norme vigenti sia a livello Europeo che

Nazionale e poi della specifica normativa della cooperazione intercomunale;

-Nel disegno istituzionale della cooperazione per il grado di cooperazione

previsto e per le modalità di rappresentanza politica prevista;

Infine , non meno importanti, sono gli effetti reali e percepiti dai cittadini sui

servizi erogati e misurabili in termini di Efficacia, Efficienza e Democraticità.

Un altro elemento da tener presente è la comune origine storica del sistema

amministrativo italiano e francese. L’origine Napoleonica dell’impianto

amministrativo fa si che si evidenzi spesso un rapporto antagonistico nelle

relazioni Stato-Società con un fondante legale-tecnocratico, situazione diversa

dai paesi dell’area Germanica dove la relazione Stato-Società è molto più

organica e fondata su una policy legale-corporativistica.

2. I principali sistemi europei locali nei territori di tradizioni “civil law”

2.1 Enti locali

La posizione degli enti locali si può considerare centrale nella storia della

pubblica amministrazione europea e se ne ha la conferma con il frequente

4

riconoscimento a livello costituzionale (1831 Francia – 1948 Italia – 1949

Germania). Questo però non deve ingannare perché se è vero che tutti gli Stati

Europei hanno sottoscritto la Carta Europea delle autonomie locali1, di fatto le

differenze tra le architetture amministrative sono molto più evidenti delle

similitudini.

Ad esempio il numero medio di popolazione per un Comune Francese è di 1600 e

oltre il 75% dei Comuni Francesi hanno meno di 1000 abitanti. Completamente

diversa la situazione in Gran Bretagna dove la media di abitanti raggiunge i

130mila. In Italia la media è di circa 7500 abitanti per Comune mentre in

Germania per 11.334 Comuni abbiamo mediamente 7.213 abitanti.

Una possibile classificazione delle diverse architetture amministrative parte da

due concetti opposti:

- Un governo locale inteso come una comunità che partecipa alla vita e alle scelte

politiche;

- Un governo locale meramente inteso come erogatore di pubblici servizi vicino al

consumatore;

Nel Sud Europa (Francia-Italia- Spagna) è preponderante il concetto di comunità

che partecipa alla organizzazione politica dell’ente, nel Nord Europa (Norvegia,

Danimarca e Svezia) è preponderante il concetto di governo locale inteso solo

come erogatore di servizi. Le divere visioni hanno effetti anche sulla suddivisione

della spesa pubblica, si noti che nel sud Europa la spesa dei Comuni non supera il

1 ETS 122 – Local Self-Government, 15.X.1985 - La Carta europea dell’autonomia locale è stata proposta dalla Conferenza dei

poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa nel 1981 e, dopo un lungo negoziato, poi aperta alla firma degli stati membri del

Consiglio d’Europa il 15 ottobre 1985. È stata firmata da tutti gli stati membri del Consiglio

5

15% della spesa nazionale complessiva, mentre nel nord Europa arriviamo al 40%

del totale2.

Anche il principio di tutela delle autonomie locali non è inteso e applicato

uniformemente, emergono diverse modalità applicative sia del principio di tutela

sia per i diversi tipi di autonomia previsti. Se in Germania gli enti locali si

relazionano con i governi regionali e non con il governo centrale in Spagna

esistono divere categorie di municipalità. La previsione normativa francese ,

inserita nella costituzione, che i comuni hanno una competenza generale ha avuto

un impatto molto limitato nella realtà almeno fino a quando le decisioni locali

erano soggette alla supervisione amministrativa e le riforme del 1982, come

vedremo in seguito, pur avendo rafforzato l’autonomia dei comuni hanno fatto

emergere anche il limite nell’esercitarla per mancanza di competenze e risorse

appropriate.

Se i paesi nordici sono riusciti in forme di aggregazioni territoriali consistenti, nel

sud dell’Europa le resistenze sono state (e sono) notevoli ma le aggregazione

inter-municipali sono un fenomeno che, seppure in modo diverso per importanza e

grandezza, ha coinvolto tutta l’Europa occidentale.

I motivi per cui si è dato tanto peso alla cooperazione inter-municipale si possono

riassumere in questi elementi:

a.) Governance istituzionale per orientare gli enti al raggiungimento di economie di

scala soddisfacenti;

b.) Raggiungimento dei crescenti standard qualitativi dei servizi pubblici erogati al

minor costo possibile;

2 Page, E.C., & Goldsmtih (1987, pag. 157) Centre and locality: Explaining cross national variation

6

c.) Migliorare le procedure di esternalizzazione dell’erogazione dei servizi pubblici

riducendo lo spreco di denaro pubblico e rafforzare la capacità degli enti di

affrontare la sempre maggiore complessità del sistema economico;

d.) Mantenere intatta la presenza di un autonomia locale così come storicamente si è

formata e radicata nella cultura europea;

Come vedremo in seguito, uno dei problemi che emerge spesso, è il contrasto tra

la razionalizzazione della governance rispetto al mantenimento e alla

realizzazione dei valori democratici dell’autogoverno locale.

2.2 Francia

a.) Percorso storico

Per tutto il 19° secolo la Francia è stata impegnata nella riforme degli enti locali,

ossia la “décentralisation”. Essa è stata continuamente al centro del dibattito

politico amministrativo, ma non è sempre stato così. Storicamente la Francia ha

avuto percorsi di “centralizzazione” e “decentralizzazione” nel corso dei secoli,

basti pensare alle riforme attuate dal Cardinale Richelieu per portare il potere e il

controllo del territorio a Parigi, sotto il controllo del Re, combattendo quindi la

frammentazione allora esistente per cui ogni Provincia aveva Leggi e Statuti

propri che rispondevano a logiche di potere locale gestito dai possedenti fondiari

(allora i nobili) che impedivano alla neonata economia dei commerci di

svilupparsi. Nacque così la monarchia assolutistica francese, sull’equilibrio tra gli

interessi della nascente classe sociale dei commercianti sempre più influente e i

nobili proprietari terrieri. La rivoluzione del 1789, e subito dopo Napoleone

7

Bonaparte, fecero tavola rasa dell’allora vigente sistema e nacque una nuova

organizzazione dei “communes et départments” con statuti uguali su tutto il

territorio nazionale, sistema che è sostanzialmente sopravvissuto fino ad oggi ed

ha influenzato persino i territori non Francesi su cui Napoleone governò come

l’Italia dove, come vedremo, l’impostazione Napoleonica ha segnato il diritto

amministrativo fino ai giorni nostri. Per tali motivi non si può individuare nel

percorso francese un modello unico e le spinte centrifughe e centripete (autorità

prefettizia e assemblee locali) hanno caratterizzato la storia amministrativa

francese molto di più di quello che non si possa percepire da una prima lettura del

suo diritto amministrativo.

Avvicinandosi ai tempi nostri arriviamo all’anno 1970 quando in Francia, con

legge, si estendono le libertà dei municipi riducendo il potere dei Prefetti e, subito

dopo, inizia un operazione di riduzione del numero dei municipi incentivando la

strada delle fusioni. L’obbiettivo proposto non fu raggiunto, fallì clamorosamente

tanto che la riduzione si limitò a portare il numero di municipi da 38.600 a 36.600

avendo incontrato la forte opposizione sia da parte dei politici, che dei cittadini3 .

Solo dal 1982, grazie alla presenza di un Presidente appoggiato da una solida

maggioranza parlamentare, viene emanata una riforma che trasferiva il potere

amministrativo dei Prefetti al Presidente dei dipartimenti eletti dalle assemblee

ponendo fine al sistema Napoleonico e iniziando un susseguirsi di altri

trasferimenti di funzioni dallo Stato Centrale agli enti locali. Per rispondere

all’aggravio di attività amministrativa dovuta alle nuove funzioni sono nati gli enti

3 Robert Hertzog, in Local government in the Member States of the European Union: a comparative legal perspective, Angel-

Manuel Moreno, INAP 2012

8

di cooperazione inter municipali, figure intermedie rafforzate, a volte , da una

autonomia (e responsabilità) impositiva.

Anche i dipartimenti hanno avuto vita difficile, una prima riforma per dargli

maggior autonomia viene bocciata e causa persino le dimissioni del Presidente De

Gaulle nel 1969. Solo successivamente, dal 1972 al 1986, le riforme vengono

approvate prevedendo la nascita di comunità territoriali più vaste dei singoli

municipi e più adatte a gestire i poteri trasferiti dallo Stato centrale creando

economie di scala interessanti e capaci di bilanciare l’inevitabile aumento dei costi

di gestione che provocava il fenomeno di bilanci “fuori gestione”.

Oggi la crisi economica e finanziaria ha imposto il drastico taglio della spesa

pubblica incentivando, come previsto da una legge del 2010, le

aggregazioni/unioni a tutti i livelli di enti locale e che, come in passato, non trova

particolari appoggi tra i politici.

Il costo degli enti locali francesi si suddivide come segue :

* Fonte: Robert Hertzog, Local Government in France

% Costi Complessivi

Municipalità

Dipartimenti

Regioni

9

Ricordiamo che il potere amministrativo in Francia è esercitato tramite due linee

direttrici principali.

La prima appartiene al Prefetto, nominato con decreto presidenziale e rappresenta

l’autorità dello Stato. Il Prefetto ha sempre rappresentato lo strumento prediletto

per il rafforzamento del potere centrale e dal 1982 ha iniziato a essere

gradualmente spogliato dei suoi poteri in un azione di de localizzazione del potere

Statale centrale a favore degli enti locali rappresentati da 36,791 Municipi, 2.599

Comunità, 15.099 Unioni, 4.039 Distretti e 26 Regioni (comprendenti i territori

oltremare).

La maggior frammentazione la si evince nei municipi dove sono ben 14.351 quelli

con meno di 300 abitanti, 20.233 hanno meno di 500 abitanti, 27.200 meno di

1000 abitanti, 866 municipio superano i 10.000 e solo 39 hanno più di 100.000

abitanti.

L’alta frammentazione è stata affrontata con lo stimolo ad una intensa

cooperazione inter-municipale che al 2010 coinvolge ben 35.041 municipi con

58,8 milioni di abitanti. Le forme di cooperazione proposte dal basso non sono

uniche e la scelta tra i diversi modelli a cui aderire è stata lasciata agli stessi

municipi che così hanno potuto muoversi adattando le scelte alle specifiche realtà

territoriali. Entità singole, multiple e sindacati misti sono alcuni esempi anche se

di fatto il perimetro ottimale (ambito territoriale ottimale) è stato raggiunto

raramente e sembra inevitabile un ulteriore intervento legislativo dall’alto.

b.) la Costituzione francese

10

L’art.34 della vigente costituzione riconosce il diritto all’autogoverno locale nel

contesto delle leggi determinate dal parlamento dove il Senato , organo dove

siedono eletti negli enti locali, rappresenta la garanzia che gli interessi locali siano

tutelati.

L’art.72 della vigente costituzione elenca le municipalità, i dipartimenti e le

regioni prevedendo la possibilità di crearne di nuove. Garantisce il diritto alla

“libre administration” nei limiti della legge e nel rispetto delle altre autonomie (tra

governi locali non ci sono poteri concorrenti).

La funzione (e obbligo) dello Stato è quella di garante della legalità delle

decisioni prese a livello locale mentre il comma 2 dell’art.72 attribuisce

l’autonomia finanziaria per gli enti locali insieme al principio dell’equo

trasferimento e compensazione se nuove funzioni vengono trasferite dallo Stato

(tralasciamo di analizzare qui la regolamentazione dei territori d’oltremare).

La chiave di lettura della costruzione amministrativa francese è nella definizione

di “libre administration” degli enti locali, così come citata dagli articoli 34 e 72

della costituzione, che soprattutto con le riforme degli ultimi anni è stato al centro

delle sentenze della Corte Costituzionale chiamata sempre più spesso a dirimere

vertenze da quando, nel 2009, la possibilità di presentare ricorso alla Corte è stato

esteso. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha espresso posizioni

equilibrate mantenendo, insieme al Consiglio di Stato, un ruolo determinante per

tutelare lo Stato e il suo sistema legale unitario.

Curioso l’impatto che la Carta Europea delle autonomie locali, fortemente voluta

dal governo francese di allora e adottato immediatamente (15/10/1985) ha avuto

in Francia. Essa ha valore di legge superiore ma questo non è bastato a fargli

11

avere un impatto concreto nella normativa locale. Ad esempio, solo con la riforma

del 2003 è stato adottato il principio della sussidiarietà e il monitoraggio europeo

previsto dalla Carta non è mai stato compiutamente accettato e inserito nel diritto

amministrativo della Francia.

Un ruolo importante nel diritto francese lo giocano i codici, ossia le raccolte

generali delle leggi suddivise per settori. La consolidazione delle normative

amministrative francesi si chiama CGCT (Code géneral des collectivités

territoriales) dove leggi e decreti sono organizzati in articoli e suddivisi in capitoli

secondo uno schema logico.

c.) La situazione attuale

La reale applicazione del principio di autonomia degli enti locali francesi come

previsto dall’art. 72 della Costituzione è quindi avvenuta molto più lentamente di

come si possa immaginare. Le competenze degli enti locali sono sempre state di

fatto limitate e il trasferimento delle stesse dallo Stato Centrale è avvenuto solo

per “lotti” dovendo superare fortissime resistenze. Ad esempio solo nel 2004 sono

state trasferite ai Municipi alcune funzioni come l’assistenza sociale, i dipendenti

scolastici, la viabilità nazionale con il personale per la manutenzione e alle

Regioni, il personale non insegnate delle scuole, le ferrovie regionali, i

monumenti. Il trasferimento è avvenuto dopo l’inserimento formale nella

Costituzione del principio di compensazione ed equità finanziaria (avvenuto nel

2003) per cui ogni trasferimento di funzione deve portare con se l’equa risorsa

finanziaria (il budget dei dipartimenti è passato dai 43 miliardi di euro del 2003 ai

68,5 euro del 2009).

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Il meccanismo di trasferimento dei poteri amministrativi e delle relative risorse ha

creato una forte pressione sui governi locali che si sono ritrovati a dover spendere

cifre considerevolmente più alte e mai viste, ma con vincoli di obbiettivo ben

precisi trattandosi di servizi già in essere dove un peggioramento della qualità del

servizio erogato sarebbe stato subito imputato, da parte degli elettori, alla sola

male gestio del municipio. Immancabili sono sorte contestazioni sull’entità degli

importi trasferiti dallo Stato Centrale e non sono mancati i ricorsi alla Corte

Costituzionale con esiti alterni.

Il percorso delle riforme avvenuto in Francia appare quindi piuttosto accidentato,

poco lineare e a macchia di leopardo da cui non può stupire che sia stato

accompagnato da innumerevoli critiche e dibattiti. Le prime denunce sulla

tortuosità e irrazionalità delle norme che distribuivano le competenze locali

furono affrontate nel 2009 da una apposita commissione, la Commissione

Balladur4.

Uno dei problemi emersi riguardava la competenza degli enti locali che,

potenzialmente, si estendeva su qualunque tema. Essa creava una sovrapposizione

di azioni e una concorrenza di spesa pur non moltiplicando gli enti competenti.

La prima proposta del governo centrale fu di specializzare i dipartimenti e le

regioni prevedendone le competenze per legge, proposta respinta dal parlamento

nel 2009; la seconda proposta, presentata l’anno dopo, viene approvata, ma il

principio di specializzazione conteneva così tante deroghe ed eccezioni che ancor

4 Balladur fu nominato Presidente del “Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des

institutions” dal Presidente Sarkosy per proporre una riforma organica delle istituzioni della 5° Repubblica Francese. Le sue

conclusioni hanno ispirato la riforma del 2008. Essa si è rifatta ai lavori della commissione Vedel del 1992 e sarà seguita nel 2012

dalla Commissione Hollande per il rinnovo e la deontologia della vita pubblica incentrata sul tema dei cumuli di mandato e dei

conflitti di interessi. Nel 2008 ha accettato di presiedere la commissione incaricata, sempre da Nicolas Sarkozy, di ridisegnare il

sistema delle autonomie locali in Francia, che si è insediata ufficialmente il 22 ottobre 2008 e che ha presentato il suo rapporto al

presidente della Repubblica il 5 marzo 2009.

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oggi se ne pagano le conseguenze e non si prevedono schiarite nel prossimo

futuro.

Attualmente gli enti locali sono tre:

i Municipi, i Dipartimenti e le Regioni.

I Municipi godono della cosiddetta “clausola generale di competenza” per tutto

quanto sia di rilevanza per l’ente locale e questo principio è stato interpretato dalle

Corti con la massima ampiezza possibile. Sport, cultura, ambiente, sviluppo

economico, cooperazione con autorità straniere, trasporti (aeroporti e porti), sono

solo alcuni dei temi in cui i municipi hanno poteri decisionali senza dimenticare la

pianificazione urbanistica. Il Sindaco mantiene anche la funzione di autorità di

governo per alcune questioni come il registro di stato (anagrafe) mentre al Prefetto

è lasciata la competenza di governare le forze dell’Ordine.

I dipartimenti (départements) hanno competenze varie.

La più importante risiede nella assistenza sociale a cui si aggiungono il personale

scolastico non docente, la viabilità, comprese alcune strade nazionali, trasporti

locali e scolastici, archivi pubblici, l’acqua, e, non da ultimo, i dipartimenti

offrono consulenza per gli investitori.

Sopra di essi abbiamo le regioni, tradizionalmente detentori di una leadership nei

settori dello sviluppo economico specialmente nell’erogare contributi a progetti

privati tema principale delle lotte di competenza con gli altri enti locali. In effetti

se si analizza la spesa delle regioni francesi si può capire meglio la situazione:

su un totale di 26.5 miliardi del 2010, l’educazione ha contribuito per 7 md, i corsi

professionali per 5,3. Il resto si divide tra il supporto al trasporto ferroviario

regionale dove la regione si accolla il deficit della gestione (SNCF) e la spesa per

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l’istruzione universitaria. Sempre per il principio della competenza generale

alcune regioni sono proprietarie di aeroporti, porti e strutture logistiche varie e

non disdegnano un certo attivismo nella cooperazione internazionale.

d.) Gli enti locali

I comuni (communes), chiamati municipalità, hanno statuti nati su base comune

ma con notevoli differenze tecniche in ordine ad elezioni, bilancio, accesso alle

agevolazioni, gestione del personale, salario. Parigi è l’unico caso di territorio

contemporaneamente municipio e dipartimento con la concentrazione dei poteri

nelle mani dello stesso Sindaco e del Consiglio Comunale.

Per gestire la complessità territoriale e bilanciare la concentrazione di poteri le

città di Parigi, Marsiglia e Lione sono suddivise in “communes

d’arrotondissment” tutte con il loro Sindaco e il loro consiglio, oltre al personale

amministrativo.

Il consiglio comunale è composto da 9 membri per i Comuni sotto i 100 residenti

fino a 69 membri per i Comuni sopra i 300mila residenti. Sono eletti per sei anni.

Per essere eletti sindaco al primo turno serve la maggioranza assoluta dei votanti

che non possono essere meno del 25 % degli aventi diritto, in tutti gli altri casi i

due più votati passano al secondo turno dove basta la maggioranza relativa dei

votanti. Per le elezioni dei consiglieri la legge prevede che chi vince al primo

turno, superando il 50% dei voti espressi, ottenga la maggioranza dei seggi e tutti

coloro che hanno superato lo sbarramento del 5% si suddividano i restanti. Nel

caso che nessuno abbia raggiunto la vittoria al primo turno, nel secondo turno si

ripresentano le liste che hanno superato uno sbarramento al 10% dove

15

nuovamente chi ottiene la maggioranza relativa prende la maggioranza assoluta

dei seggi. Al potere centrale, ossia il governo, è consentito di decretare lo

scioglimento del Consiglio Comunale per impossibilità di adempiere ai propri

doveri indicendo a breve nuove elezioni.

Al Consiglio Comunale spetta la competenza esclusiva per alcuni atti come

l’adozione del Bilancio, la definizione delle aliquote delle tasse, le norme

urbanistiche e l’autorizzazione al Sindaco di firmare contratti e prestiti.

e.) IMC: Inter-Municipal cooperation

Un'altra particolarità francese risiede nella grande varietà delle tipologie di

cooperazioni intercomunali possibili e chiamate “Établissement public de

coopération intercommunale” (EPCI) ossia quelle strutture amministrative

francesi rette dalle disposizioni della quinta parte del Codice generale delle

collettività territorialità. Si tratta di raggruppamenti di comuni che hanno scelto di

gestire più funzioni in comune. Le EPCI hanno avuto uno sviluppo veloce solo

dopo l’entrata in vigore della Legge Chevènement (giungo 1999).

Attualmente la loro diffusione è altissima, in genere funzionano discretamente ma

sono tantissime e la loro parcellizzazione non ha agevolato la riduzione reale dei

costi delle amministrazioni. Per alcuni l’obbiettivo prossimo venturo sarà proprio

la riduzione per il tramite di fusioni che le rendano più solide ed efficienti.

La nascita delle prime idee di IMC viene individuata nel 1890, con l’istituzione

dei “Syndicat”, una sorta di unione tecnica. Nel 1959 si autorizzano unioni con

competenze limitate non solo agli aspetti “tecnici” e si supera il limite della loro

16

approvazione all’unanimità riducendo il quorum al 50% dei comuni partecipanti e

ai 2/3 della popolazione o viceversa.

Negli anni 60 e 70 si formarono migliaia di unioni anche a seguito del boom

economico che richiedeva alla politica risposte efficienti e veloci ai repentini

cambiamenti.

La particolarità nel percorso istitutivo delle Unioni è che il Prefetto è chiamato a

far da garante del processo, finanche a stimolarlo.

L’IMC è un ente di secondo livello e come tale i membri della sua assemblea sono

eletti dai consigli comunali. La stessa assemblea chiamata “syndacat de

communes” elegge al suo interno il Presidente e il suo vice che hanno poteri

esecutivi. Le risorse di bilancio sono esclusivamente gli introiti pagati dagli utenti

per i servizi erogati insieme ai contributi erogati dai Comuni e calcolati in base a

criteri5 stabiliti nello Statuto.

Nel 1992 un nuovo provvedimento propone nuove forme di unioni accompagnate

da un maggior centralizzazione delle competenze e delle tassazioni, ma la

diffusione di queste fu lenta e contrastata proprio dalla complessità delle regole e

solo nel 1999 il Parlamento adotta, dopo una lunga gestazione, la legge sulla

“semplificazione della cooperazione inter-municipale” che ha ridotto i modelli di

cooperazione a tre soli.

Malgrado lo scetticismo di molti i processi di aggregazione e semplificazione

procedettero a ritmo serrato e nel 2005 si possono dire essere quasi esauriti.

Le ragioni di questo successo sono da ritrovarsi in diversi aspetti. Hanno

sicuramente svolto un ruolo predominante gli incentivi economici, uno in

5 Numero di abitanti, studenti iscritti alle scuole, lunghezza delle strade, capacità fiscale di ogni comune, etc)

17

particolare: la esclusività conferita alle unioni per la tassazione delle attività

economiche.

Lo scopo di questo trasferimento della capacità impositiva dai Comuni alle Unioni

per le attività di impresa aveva due ragioni:

primo uniformare nei territori il trattamento fiscale delle aziende semplificando il

peso della burocrazia;

secondo, essendo una delle tasse più redditizie, avrebbe permesso effettivamente

alle Unioni di aver più voce nel capitolo della pianificazione dei servizi da

erogare;

Alla data del 1/1/2011 le comunità inter-municipali sono ben 2599 e coinvolgono

35.041 Comuni pari al 95,5% del totale e coinvolgono il 91.2% della popolazione.

I tre tipi di IMC sono:

- Communautés de communes (CC), specifiche per i comuni rurali e le piccole

città6

- Communautés d’agglomération (CA), specifiche per le città più grandi7

- Città Metropolitane (CU), ove ci siano almeno 55mial residenti8

Nella tabella sottostante riportiamo lo schema riepilogativo.

6 Senza limiti si numero queste comunità oggi sono 2387 con un popolazione di 28 milioni

7 Almeno 50mila abitatni e una città con più di 15mila, oggi sono 196 e coinvolgono 23,7 milioni di cittadini

8 Sono 16 in tutta Francia per 7,7 milioni di residenti

18

9

Le prime modifiche al sistema sono frutto del lavoro della commissione e sono

state inserite nella legge del 16/12/2010. Le previsioni normative vanno tutte nella

direzione di agevolare le Unioni tra municipalità appartenenti alla stessa comunità

territoriale ma non sembra che le indicazioni siano state recepite con grande

entusiasmo.

Questa la situazione fotografata al 2006 dalla quale emerge chiaramente il

successo delle CC (2389 communautès de communes, coinvolgenti 29.735

comuni e 26 milioni di cittadini).

10

9 Tabella tratta da : Il sistema di cooperazione intercomunale in Francia, Luigi Bobbio, 2008, Osservatorio sulla riforma

amministrativa (Regione Piemonte) 10

Tabella tratta da : Controverse sur l’intercommunalitè , Annuaire des collectivitès locale, Tome 26, 2006, pp. 475-484

19

f.) I Dipartimenti

I 101 dipartimenti francesi (inclusi quelli oltremare) sono una presenza

tradizionale nel panorama francese.

L’espansione degli IMC ha dato il via al dibattito sulla residua utilità di questi enti

stretti ormai proprio tra l’espansione di competenze delle IMC e le Regioni, ma le

resistenze sono ancora molto forti.

Ricordiamo che il Consiglio dipartimentale ha competenze specifiche sulla

gestione di alcuni servizi pubblici quali l’assistenza sociale, le strade, la

costruzione e manutenzione delle scuole secondarie, oltre ad erogare supporto per

le IMC e i Comuni.

I dipartimenti fino al 1982 erano un’emanazione diretta del potere statale.

La successiva legge elettorale dei dipartimenti francesi è stata studiata per

determinarne la maggior stabilità possibile.

Il conseillers généraux è eletto per sei anni, la metà dell’assemblea si rinnova ogni

tre anni e la legge elettorale prevede il doppio turno e l’astensione è storicamente

elevata. Dal 2014 è prevista l’unione delle cariche di consigliere regionale e

dipartimentale facendo così diventare oscuro il futuro di quest’organo.

Il problema maggiore dei dipartimenti è sempre stata la gestione di bilancio dato

che le principali materie di loro competenza hanno conti inevitabilmente sempre

in sofferenza (Assistenza sociale e scuola) sia perché la loro erogazione è in

continua crescita, sia perché non finanziate direttamente da una tariffa.

g.) Le Regioni

20

Le regioni sono l’ente di primo livello più giovane nel panorama normativo

francese dato che sono state introdotte del 1959 come distretti amministrativi

statali con compiti di guidare lo sviluppo economico locale coordinandolo con le

decisioni nazionali.

Non hanno alcun potere legislativo e tantomeno regolativo. La loro competenza

originaria riguarda la sola pianificazione dello sviluppo regionale e la verifica dei

piani finanziari di interesse regionale portati avanti da altri enti governativi. Dalla

loro nascita si sono aggiunte altre competenze, portando il peso finanziario delle

regioni al 13% del budget complessivo degli enti locali francesi, mentre serve

sottolineare che alcune regioni, come la Corsica, hanno competenze speciali più

ampie.

Il consiglio regionale è sempre eletto per 6 anni anche se gli eletti nel 2010

scadono anticipatamente quest’anno (2014) per riallineare tutte le elezioni

amministrative e poter applicare l’ultima riforma alla legge elettorale. La nuova

legge come già ricordato sopra, intervenuta anche per dare maggior stabilità alle

maggioranza che escono dalle elezioni, prevede che il consigliere territoriale

eletto sieda sia nel consiglio regionale che in quello del dipartimento.

Un funzione importante la svolge il Consiglio Consultivo Economico, Sociale e di

Sviluppo Regionale (CESER), nel quale sono rappresentati i vari interessi

regionali tra cui i Sindacati, le Università e le Associazioni. Il Consiglio rilascia

un parere sul bilancio annuale e ogni qualvolta lo richiede il Presidente.

h.) Risorse Umane

21

I dipendenti pubblici impegnati negli enti locali erano 1.825.000 nel 2011. Circa

1.4 milioni sono funzionari a tempo indeterminato reclutati tramite bando mentre

il resto sono dipendenti a tempo determinato.

La normativa nazionale regolante il pubblico impiego risale al 1940 ma è

applicata solo ai dipendenti statali. Gli enti locali hanno avuto sempre le mani

libere nella gestione delle assunzioni facendo emergere pratiche clientelari e

rendendo spesso insufficienti le qualifiche degli assunti rispetto alle mansioni

attribuite.

Nel 1970 il governo istituisce una nuova agenzia, il centro nazionale della

funzione pubblica territoriale (CNFPT) con lo scopo di organizzare corsi di

aggiornamento e specializzazione dei dipendenti pubblici degli enti locali al fine

di migliorarne la produttività.

Finanziata direttamente tramite le imposte sulle buste paga dei dipendenti pubblici

l’agenzia ha aperto diverse scuole distribuite in tutto il territorio francese. Nel

1983 e nel 1984 interviene una nuova e profonda riforma del contratto dei

dipendenti pubblici che vengono prima divisi in tre categorie (dipendente statale,

dipendente ente locale, dipendente ospedaliero) e poi si procede alla organizzare e

regolamentazione delle assunzioni e delle carriere. Nella specie per essere assunti

come dipendenti locali è necessario superare uno specifico esame dopo il quale si

è ammessi, per tre anni, in una lista a disposizione degli enti locali che cercano

personale. La normativa uniforme e la gestione “centralizzata” del personale

soprattutto per le piccole realtà ha permesso di aumentare la mobilità (le mansioni

e cariche sono uniformi) e ha migliorato notevolmente le competenze dei

dipendenti.

22

i.) Criticità e successi

Nel 2005 il tema del inter-comunalità esplode nei dibattiti pubblici. Il generale

consenso che le Unioni ebbero fino a quel momento sembra crollare e lasci spazio

ad un forte pessimismo.

Molti addebitavano proprio al sistema intercomunale la causa principale

dell’aumentare delle imposte locali, fenomeno che non poteva certo trovare

sostenitori tra i cittadini. Per questo troviamo una notevole mole di studi elaborati

da diverse commissioni di vario livello sul tema delle unioni comunali.

Tra giugno 2005 e febbraio 2006 escono ben 5 rapporti che trattano il tema. A

giugno 2005 viene pubblicato “Communes, intercommunalites, quels devenires?”

di M.Pierre-Jean Roset per conto del Consiglio Economico e Sociale (CES) , a

luglio 2005 esce il Rapporto Mariton dal nome del deputato che lo ha redatto per

conto dell’Assemblea Nazionale e intitolato “Rapporto sull’evoluzione della

fiscalità locale” a ad ottobre 2005 esce il polemico “Le livre noir de

l’intercommunalité” dei deputati Beaudin e Pemezéc, a Novembre è la Corte dei

Conti a pubblicare un rapporto intitolato: “L’intercommunalite en France” e a

febbraio 2006 è l’osservatorio sulla decentralizzazione del Senato della

Repubblica a pubblicare un rapporto dal titolo “L’intercommunalité a fiscalité

propre”.

I temi principali trattati esaustivamente dagli studi sono11

:

1.) La fotografia dello stato di fatto

2.) Il finanziamento degli enti locali in rapporto alle nuove funzioni e alla

pressione fiscale

11

Annuaire des collectivités locales , Année 2006 ,Volume 26 ,Numéro 26 (pp. 475-484)

23

3.) Il ruolo dell’ inter-communalità nella riforma dello Stato

La tabella riassuntiva delle caratteristiche degli EPCI al 200612

conferma il

successo che hanno avuto e la direzione intrapresa dai singoli Comuni. In

particolare la scelta di procedere con aggregazioni a fiscalità propria aveva

coinvolto la metà delle aggregazioni esistenti.

Nello specifico del tema della fiscalità molti sono gli studi che concordano che, se

da una parte si è avuto un notevole successo grazie alle agevolazioni date alle

intercomunalità anche per finaziare autonomamente i servizi erogati tramite il

coinvolgimento dei dipartimenti e delle regioni e l’eliminazione della concorrenza

fiscale tra comuni, dall’altra parte si mette in guardia sul rischio di un aumento

dell’imposizione locale dovendo partecipare direttamente alle spese locali.

Non ultimo si analizzavano i problemi della rappresentatività democratica

all’interno degli EPCI. In essi è cresciuto molto il potere dei consigli

intercomunali parallelamente ad un aumento dei poteri del Prefetto (per effetto

della de-concentrazione territoriale), ossia due soggetti il cui mandato non è

espressione diretta della volontà dei cittadini ma ha natura “technocratique”.

Se da una lato è vero che non avendo legittimazione democratica essi si

sottraggono alla responsabilità diretta verso i cittadini, è stato evidenziato come

l’assenza di natura politica di questi organi, sostanzialmente esecutivi e tecnici, li

dovrebbe portare ad agire secondo logiche “puramente” economiche.

Solo con le prossime elezioni questi enti di secondo livello avranno per la prima

volta un elezione diretta dove sarà indicato quale consigliere comunale sarà

destinato a sedere anche nel EPCI, questo dopo aver superato la resistenza di

molti Sindaci, in particolare quelli delle grandi aree urbane che hanno sempre

12

Vedi nota 8

24

difeso la capacità degli organismi sovracomunali di governare politiche e servizi

territoriali di grandi dimensioni. Da una parte si evidenzia come sia aumentata

l’integrazione grazie agli interventi resi più efficaci dall’allontanamento della

gestione dei servizi dalla politica e agli interessi legati alle sole elezioni di

“quartiere”, dall’altra ci si sofferma sulla loro “opacità” istituzionale nel momento

in cui diventano interlocutori di politiche dipartimentali e regionali come livello

intermedio di governo che porta ad aumentare la complessità del sistema locale

francese e a diminuirne la democraticità e trasparenza13

.

Il rapporto Mariton è molto meno cauto del CES e individua proprio nell’aumento

delle EPCI la prima causa dell’aumentata imposizione fiscale locale. Al suo

interno si crea una forte divisione tra chi accusa le inter-municipalità di essere una

fucina di poltrone e chi le difende. Ad ogni modo si evidenziano i punti critici

come l’aumento delle competenze di governo degli enti locali aggregati e le

differenze nella attribuzione delle competenze, ma il rapporto non perde di vista il

suo scopo, ossia censire la situazione delle riforme attuate.

Nel decennio 1993/2003 la spesa complessiva dei Comuni è aumentata di ben 3.9

volte14

e non si sono avuti effetti benefici nel quadro complessivo delle spese

delle EPCI, anche esse aumentate comparando il dato aggregato di riferimento

delle precedenti spese dei Comuni dove i costi per le funzioni sono passate dai

62,9 miliardi di euro del 1992 ai 78,4 spesi dagli EPCI nel 2003.15

Lo studio della Corte dei Conti e quello dell’Assemblea Nazionale hanno

entrambi concluso evidenziando due elementi comuni:

13

Il sistema di cooperazione intercomunale in Francia, Luigi Bobbio, 2008, Osservatorio sulla riforma amministrativa (Regione Piemonte) 14

13

Annuaire des collectivités locales , Année 2006 ,Volume 26 ,Numéro 26

25

-Un primo elemento riguarda la difficoltà di evidenziare i vantaggi ottenuti dalle

EPCI nelle economie di scala sia perché già inglobate nelle vecchie “syndacale”

sia perché la carenza di dati statistici relazionati alla qualità del servizio erogato

rende difficile far comparazioni.

-Un secondo elemento è direttamente correlato alla caratteristica dell’impianto

normativo di cooperazione che il legislatore ha imposto ai comuni specialmente a

livello fiscale.

Sia la normativa della fiscalità addizionale che quella della “taxe professionelle

unique” non hanno permesso una completa padronanza della gestione finanziaria.

La fiscalità addizionale non prevede alcun coordinamento esplicito tra le politiche

comunali e intercomunali quindi , al passaggio di competenze dai comuni alle

EPCI e al contestuale calo delle spese dei comuni, non corrisponde

necessariamente la riduzione dell’imposizione addizionale comunale che mantiene

cosi inalterate le proprie entrate. D’altra parte la complessità della “taxe

professionelle unique” con il suo sistema a due livelli, pur permettendo un

coordinamento tra le politiche fiscali e finanziarie dei comuni e delle EPCI ha

avuto un approccio molto difficile e poco compreso negli aspetti dinamici.

Altri temi, altrettanto importanti, meritano l’attenzione degli studiosi come gli

aspetti dell’impatto sociale delle EPCI e il benessere dei cittadini.

Un esempio e tema di sicuro impatto, poco valutato, è stato l’aumentato afflusso

ai servizi erogati nel comune centrale di cittadini residenti nei comuni limitrofi.

Questi, accedendo ai servizi erogati nel solo comune centrale, ma paganti le tasse

nei comuni di residenza, hanno creato squilibri nella gestione finanziaria dei

rapporti Comune-EPCI dato che i costi per l’aumento dei flussi di cittadini non

26

vengono contabilizzabili e la congestione nei punti di erogazione sono all’ordine

del giorno facendo percepire uno scadimento del servizio.

Anche le incertezze nelle strategie adottate per le riforme delle organizzazioni

territoriali da parte del governo hanno giocato un ruolo non indifferente.

Sono proprio le relazione della Corte dei Conti e del Senato a denunciare che le

fluttuazioni nelle strategie adottate sono una causa importante dei risultati

contrastati emersi.

Il rapporto del Senato evidenzia, ad esempio, che il legislatore ha considerato

l’intercomunalità a fiscalità propria come il prolungamento naturale

dell’intercomunalità “syndacale” del 1890.

In realtà i Syndacates erano semplici associazioni di Comuni per mettere in

comune i mezzi per assicurare servizi che da soli non sarebbero stati in grado di

erogare. Essi nascevano su base strettamente volontaristica, con voto unanime e i

Comuni sceglievano le competenze delegate. Non vi era alcun potere autonomo o

di ripartizione fiscale tra i Comuni.

Quindi i syndacat apparivano come il miglior alleato dell’immobilismo

istituzionale e ostacolo ad una vera e profonda riforma amministrativa. Al

contrario i distretti e le comunità, normate nel 1959, creati con la sola

maggioranza qualificata, gestiscono competenze obbligatorie previste dalla

norma, possono alzare le imposte, ricevono fondi e sostegno in base al grado di

integrazione. Per le EPCI è esemplificativo del cambio di passo la seguente

definizione estrapolata dal Codice generale delle collettività territoriali (CGCT):

“Le EPCI a fiscalità propria hanno lo scopo di elaborare progetti comuni di

sviluppo all’interno del perimetro solidaristico”,

27

principio che ha elevato e distinto notevolmente queste dalle vecchie Syndacat.

La presenza della possibilità di gestire una fiscalità propria non ha messo le stesse

completamente al riparo da notevoli incongruenze. Fino al 1999 in alcune EPCI i

membri delle assemblea potevano essere semplici cittadini senza essere anche

consiglieri nei loro comuni, perdendo così il coordinamento delle politiche

comunamli e intercomunali e limitando la legittimazione democratica con cui gli

EPCI imponevano nuove tasse.

Il legislatore ,tutto sommato, sembra aver sempre voluto favorire l’illusione che le

inter-comunalità fossero subordinate ai Comuni. Anche il principio di libera

associazione non ha mai avuto, nella dottrina francese, un definizione chiara che

ne stabilisse i confini in modo preciso e pertanto incontriamo posizioni ondigave

tra il concetto volontaristico delle aggregazioni e l’obbligo normativo che avrebbe

dovuto essere applicato materialmente dal Prefetto ma che , sia il rapporto del

Sentato che della Corte dei Conti, hanno accusato di aver avuto poca ambizione

nel ruolo di promotori delle aggregazioni.

Altro tema interessante, affrontato dalla normativa del 1999, è l’indicazione della

necessità di individuare gli ambiti territoriali ottimali: i territori dovevano essere

uniti e senza enclave, con l’obbiettivo di rafforzare la loro coerenza geografica ed

economica. Due erano le soglie di popolazione necessarie per costituire le EPCI,

500mila abitanti per le comunità urbane e 50mila per quelle le comunità

agglomerate. Quanto successo negli anni successivi alla riforma del 1999 indica

che non si è sempre raggiunto l’obbiettivo di individuare territori veramente

uniformi e pertinenti. Molto spesso i Prefetti hanno preferito rimettersi alle

individuazioni territoriali già fatte dagli eletti piuttosto che intervenire con una

28

reale opera di razionalizzazione16

e non si può non notare un certo “disordine

intercomunale” e una certa opacità in talune scelte.

Al “disordine intercomunale” non è mancato, a volte, l’abbinamento con una

insufficiente determinazione della suddivisione delle competenze tra comuni e

aggregazioni, tema che ha dato luogo a dibattiti senza fine tra gli eletti locali,

senza che alcuna delle soluzioni proposte abbia mai dato la sensazione di poter

essere risolutiva.

La Corte dei Conti ha voluto sottolineare come il confine tra le competenze sia

determinabile solo in presenza di un chiaro progetto di sviluppo e di un patto

finanziario tra i Comuni e le Intercomunalità che, troppo spesso, è mancante.

La soluzione a questa situazione di incertezza è arrivata con la legge del

13/08/2004 che ha imposto un slittamento al 2006 della definizione da parte dei

soggetti coinvolti dell’interesse comunitario, al di la di quel termine, in assenza

di una delibera, le competenze trasferite sono esercitate in assoluta autonomia da

parte delle Intercomunalità.

Sempre dal 1999, senza rimettere in discussione la “tax professionnelles”, la legge

autorizza l’applicazione di una tassazione, sulla proprietà fondiaria e abitativa,

addizionale alle tasse locali. Questo regime misto è stato applicato solo

marginalmente nel caso in cui la TPU non era sufficiente a garantire la copertura

dei costi o dove l’applicazione della TPU era difficile.

La TPU in sostanza non ha risolto tutti i problemi di Bilancio delle EPCI. I rischi

più evidenti sono collegati agli effetti della congiuntura economica a cui si sono

aggiunti i tagli nei trasferimenti dallo Stato centrale e soprattutto le limitazioni dei

margini di manovra con l’aumentare della pressione fiscale. 16

Annuaire des collectivités, Tome 26, 2006, Controverses sur l’intercommunalité, pag. 482

29

Da un lato si sono ridotte le entrate fiscali per la crisi economica, dall’altro si è

limitata l’autonomia delle EPCI limitando i margini di manovra per aumentare le

aliquote. Tutto questo è successo mentre dal Legislatore arrivavano forti pressioni

perché le EPCI assumessero sempre più competenze (e quindi costi) azzerando

inevitabilmente gli effetti positivi per i Bilanci ottenuti con le economie di scala.

Le contraddizioni , anche negli esiti che si leggono nei diversi rapporti, appaino

molto evidenti quando anche il rapporto Mariton evidenzia il rischio di aumento

della pressione fiscale senza spiegare come possano le EPCI gestire progetti di

una si fatta importanza senza risorse appropriate.

Un accusa non da poco per le EPCI è stata quella di essere “coquilles vides”, ossia

gusci vuoti.

Per rispondere a questa accusa si è passati dalla mera analisi quantitativa dei dati

ad un analisi qualitativa e come evidenziato nelle pagine precedenti, la Corte dei

Conti non ha lesinato critiche per come, nella pratica, sono state interpretate le

EPCI nella fase applicativa, in particolare dai politici.

In conclusione non possiamo non evidenziare che il successo quantitativo delle

EPCI francesi, analizzato sotto l’aspetto dell’appagamento delle erogazione delle

funzioni collettive, vada trattato con una certa cautela.

La stessa Corte dei Conti, non senza essere stata attaccata per le sue conclusioni,

afferma che non sono poche le EPCI che si sono trasformate in semplici agenzie

di riscossione per lo Stato centrale rinunciando a sviluppare veri progetti

intercomunali.

30

La timidezza nell’affrontare il tema della rappresentatività democratica a fronte

della profondità dell’intervento nella gestione delle funzioni ha aggravato la

percezione di groviglio amministrativo da parte dei cittadini.

2.3 Germania

a.) introduzione

Con circa 82 milioni di abitanti la Germania è la nazione più popolosa della

Europa comunitaria. Circa un terzo della popolazione vive in città con più di

100mila abitanti, una situazione simile ad altri paesi europei ma emergono

differenze se guardiamo al numero di città presenti (83), la maggioranza delle

quali sono negli “Alte Bundesländer”.

La struttura istituzionale tedesca è costruita su tre livelli di governo (federale,

nazionale e locale). Troviamo 16 Lander, di cui 3 città-stato, 408 Distretti (Kreise)

di cui 301 distretti rurali (Landkreise) e 107 città-distretto ( reisfreie St dte) e

12.302 comuni (gemeinde).

Mentre in Italia continua lo scontro tra l’Anci (Associazione nazionale comuni

italiani), l’Upi (Unione province italiane) e il governo sull’abolizione delle

province e l’accorpamento dei comuni, la Germania prosegue da tempo sul fronte

delle riforme territoriali con obbiettivi mirati e una forte azione dal basso che

come vedremo è voluta anche per ottenere il coinvolgimento attivo degli attori

veri delle riforme che sono gli stessi enti locali.

Fin dagli anni ‘70 i Länder tedeschi sono impegnati in una vasta opera di

ottimizzazione della struttura amministrativa tedesca che tocca i diversi gradi di

31

governo locale. Efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa sono la parola

d’ordine e l’obbiettivo dichiarato ogni azione riformatrice in Germania. I comuni

stessi, con svariate fusioni, alcune volontarie, altre imposte dall’alto, sono i primi

soggetti coinvolti. Dagli originari 24.000 comuni all’inizio degli anni ’80 il

percorso intrapreso ha ridotto i Comuni ad appena 8000.

Con la caduta del Muro, anche le neocostituite regioni orientali hanno dovuto

ridisegnare la carta delle istituzioni vicine al cittadino per comprimere gli sprechi

e semplificare il quadro giuridico. Anche i Landkreis, ossia i livelli di governo

intermedi tra comuni e Länder, sono stati interessati dall’opera di

razionalizzazione.

Da dodici si passa a soli sei, il più grande dei quali ha dimensioni maggiori del

Land della Saar e i nuovi nomi dei Landkreise li hanno decisi i cittadini con un i

referendum.

Il Landkreis o circondario, viene spesso assimilato alle nostre province. In realtà è

una “unione di comuni”, aggregatisi per coordinare tra loro l’erogazione di

determinati servizi.

Si tratta cioè di un livello di governo territoriale bottom-up e non top-down come

quello creato in Italia con le province.

Proprio perché istituite Bottom-Up non esiste un elenco predeterminato delle

competenze uguale per tutti i Landkreise. Senza contare che le città principali

ossia le Kreisfreie Städte, città libere dal circondario quelle che noi definiremmo

capoluogo, sono di norma escluse dall’amministrazione dei circondari e non

condividono con nessun altro comune le loro competenze.

32

La disciplina dei Landkreise è affidata dalla Legge fondamentale dei singoli

Länder e non alla Federazione. E per questo l’iniziativa legislativa per le riforme

parte dalle regioni o dagli stessi Kreise e non dallo Stato centrale.

Le differenze con la situazione italiana sono evidenti. I recenti progetti del

Governo sanciscono l’assoluto fallimento del ruolo delle nostre Regioni o di altri

organi come il Consiglio delle autonomie locali, previsto dall’art. 123 della nostra

Costituzione e come vedremo oltre , le differenze di approccio al problema sono

numerose.

Non per questo in Germania sono mancate le proteste e i ricorsi.

Nel caso del Meclemburgo, il Tribunale costituzionale del Land ha messo fine alle

polemiche rigettando il ricorso delle città libere di Wismar e Greifswald che cosi

sono state inglobate nei nuovi macrocircondari.

Le critiche principali, a sostegno della loro resistenza, erano legate alla perdita

della competenza in materia scolastica, di raccolta dei rifiuti e dell’assistenza

sociale mentre i favorevoli richiamavano i vantaggi messi in luce dal

Landesrechnungshof (la Corte dei Conti del Land) in termini di economie di scala

e riduzione della spesa pubblica , circa 40/50 milioni di euro annui.

Il parlamento del Kreis Müritz aveva quarantasette deputati mentre il nuovo

macrocircondario ne ha solo diciassette, un tema spesso al centro del dibattito

italiano.

Il calo demografico di alcune zone aveva fatto ridurre le entrate a tal punto che era

rimasto solo il denaro per pagare il personale amministrativo: un costo di circa

200 euro a cittadino, quasi il doppio rispetto al vicino Schleswig-Holstein.

33

Con la diminuzione dei fondi strutturali comunitari e dei sussidi provenienti dal

Solidarpakt, il programma per lo sviluppo dei territori dell’ex Germania-Est che si

esaurirà presto la scelta di unire le forze sembra indiscutibilmente l’unica strada

percorribile avendo come obbiettivo il mantenimento di standard di erogazione

dei servizi all’altezza della aspettativa dei cittadini tedeschi, per questo, in

Germania, la questione delle Unioni dei Comuni ha trovato difficilmente posizioni

contrapposte in base agli schieramenti politici quanto piuttosto posizioni calate

nello specifico singolo caso.

La Corte dei Conti, tramite la voce del suo presidente, reclama la necessità che

anche nei territorio dell’ex Germania occidentale si proceda con la drastica

riduzione del numero dei Comuni dato che su 814 comuni del Meclemburgo,

quasi 300 hanno meno di 500 abitanti.

b.) Percorso Storico

Ricordiamo che la Repubblica federale di Germania è uno Stato federale,

accentrato e cooperativo, contrassegnato dalla presenza forte del cancellierato e da

una struttura amministrativa policentrica dove il federalismo tedesco, insieme a

quello austriaco, rappresenta un esempio di sistema federale composto da Stati

unitari (Länder), decentralizzati in senso federale.

Dopo la Restaurazione la Germania era ancora divisa in numerose città-Stato e

Stati indipendenti che sono stati guidati verso l’unità dall’egemonia della Prussia,

un processo iniziato un secolo dopo quello francese come successo per la

codificazione ( BGB vs Codice Napoloenico).

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

34

Il congresso di Vienna sancì il diritto della Prussia a costituire la Confederazione

Tedesca (Deutscher Bund) con alcune caratteristiche di Stato Federale: potere

legislativo distribuito tra regioni e centro, presenza di una camera alta (Bundesrat)

formata da rappresentanti delle regioni (tuttavia, i poteri più significativi erano

concentrati nella camera bassa).

La Costituzione tedesca del 1945, la cosiddetta “Legge Fondamentale”

(Grundgesetz), fu elaborata prevalentemente da esperti tedeschi e soprattutto dai

responsabili delle amministrazioni dei Länder insediati dagli occupanti. Essa

definisce la Repubblica federale di Germania come Stato federale a governo

parlamentare.

La Legge Fondamentale prevede al centro due camere: il Bundestag, eletto a

suffragio universale e il Bundesrat, composto da delegati dei Länder normalmente

sostituiti quando cambia il governo del Land. Il numero dei Länder,

originariamente di 11, passò a 16 dopo la riunificazione del 3 ottobre 1990.

La Costituzione prevede un Presidente federale (Capo dello Stato) eletto per

cinque anni da un’apposita Assemblea federale formata da membri del Bundestag

e da rappresentanti dei Länder. Le sue competenze spaziano dalla nomina del

Cancelliere allo scioglimento del Bundestag, dalla proclamazione dello stato di

emergenza amministrativa alla promulgazione delle leggi.

In generale, i Länder esercitano la funzione legislativa per le materie loro

attribuite dalla Costituzione, mentre per le restanti materie implementano o

applicano le leggi federali (art. 83).

35

L’istruzione, ad esempio, è completamente affidata ai Länder, residuando alla

federazione la determinazione dei principi generali che riguardano l’istruzione

superiore;

La responsabilità del servizio sanitario è affidata in modo non esclusivo alle

autorità locali: alcuni servizi possono anche essere forniti dai Länder o da altre

istituzioni parastatali, tra cui le comunità religiose;

I fondi per l’assistenza sociale sono forniti dalla federazione, ma l’erogazione dei

servizi avviene a livello locale. La Costituzione (all’art. 28) garantisce alle

autorità locali/regionali la totale autonomia amministrativa.

c.) Governo Locale

Il governo locale ha dunque una lunga e solida tradizione in Germania:

il diritto di autogoverno è garantito dalla Costituzione federale ed è presente

altresì in ogni Costituzione di ciascuno Stato. L’art. 28 della Costituzione assegna

agli enti locali di base (Gemeinde, Staedte e Kreise) la responsabilità per tutte le

materie locali mentre l’organizzazione e la struttura interna degli enti è di

competenza dei Laender è causa delle grandi differenze tra un Land e l’altro.

Due sono i livelli di governo locale: municipale/comunale (Gemeinde), e

distrettuale/provinciale (Kreise), formato da aggregazioni di municipalità.

Il principale compito degli enti locali è la regolamentazione dei servizi pubblici

locali. Essi sono i responsabili dell’attuazione della legislazione federale e statale,

relativamente al Land di appartenenza.

I comuni hanno la piena responsabilità delle prestazioni sociali: garantiscono ad

esempio l’erogazione di sussidi per l’accesso agevolato ai servizi abitativi e

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

!*

36

assistenziali che sono si pagati dalle autorità locali ma finanziati dal governo

federale.

Ai comuni fa capo anche la produzione diretta di servizi generali, ad esempio la

polizia locale. Sono inoltre direttamente responsabili dell’assistenza agli indigenti,

tramite la costituzione di un fondo che finanzia le attività di ospizio e ricovero.

I comuni mettono a disposizione gli edifici scolastici, sia per i giovani che per gli

adulti (per le iniziative di formazione permanente); sono responsabili della

presenza e del funzionamento di istituzioni culturali quali le biblioteche, i musei, i

teatri, le orchestre e le scuole di musica; mettono a disposizione delle scuole e

delle associazioni sportive gli impianti necessari.

Nel campo tecnico, le autorità locali regolamentano l’utilizzo del territorio, la

viabilità e i parchi e sono responsabili della redazione dei piani di sviluppo locali.

Dove la fornitura di elettricità, di gas e di acqua non è stata data in gestione ad

aziende private, sono gli stessi comuni ad occuparsene. I comuni o le province

sono, inoltre, responsabili dello smaltimento delle acque fognarie e dei rifiuti, la

cui regolazione è competenza del Land di appartenenza. I comuni possono

scegliere tra molteplici modelli alternativi di organizzazione per svolgere le

proprie funzioni. I servizi di loro competenza possono essere forniti, per esempio,

ricorrendo alla gestione diretta o in economia, alla gestione da parte di imprese di

proprietà del governo locale o di imprese possedute dai comuni ma regolate dal

diritto privato, o alla fornitura da parte di soggetti privati che hanno ottenuto

l’abilitazione a operare.

Gruppi di comuni possono anche formare delle autorità ad hoc (Zweckverbände)

per realizzare specifiche funzioni. Le competenze del governo locale sono

37

regolate dal principio di sussidiarietà: la responsabilità primaria per le questioni

locali risiede nei comuni e nelle province e solo nel momento in cui queste

istituzioni non fossero in grado di svolgere le proprie funzioni il Land sarebbe

autorizzato a farsene carico.

Le entrate degli enti locali si distinguono secondo la costituzione in due tipologie:

tasse esclusive di competenza Federale o dei Laender o tasse condivise tra i

diversi enti. E’ previsto, oltre allo schema verticale di cui sopra, anche uno

schema orizzontale equitativo, cosiddetta di perequazione, a favore dei territori

disagiati. A giocare un ruolo preponderante sia per la loro incidenza sul totale

delle imposte sia per la possibilità degli enti locali di governare autonomamente

una parte dell’aliquota sono le imposte impersonali, ossia quelle sulla proprietà e

sulle attività d’impresa

Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, sulla scia di un modello di riforma

degli enti locali comune a tutto il nord europa, sono state promosse dai Länder

riforme che hanno portato ad un consistente allargamento delle dimensioni

minime dei comuni portate a 9.000 abitanti e in alcuni Länder a 30.000, e si è

assistito a divere fusioni. Queste riforme miravano a raggiungere una migliore

efficienza amministrativa dei comuni senza, tuttavia, perdere di vista il problema

di garantire un’adeguata rappresentanza democratica alle istituzioni così allargate,

istituendo meccanismi di elezione diretta dei sindaci.

I fondi necessari allo svolgimento delle funzioni di Gemeinde e Kreise

provengono, come sopra detto, da tributi locali (principalmente sugli immobili e

sulle attività commerciali) e in larga misura da trasferimenti dei Länder e dalla

federazione attraverso la perequazione fiscale (Finanzausgleich). Uno dei

38

problemi maggiori incontrato in Germania nello sviluppo della cooperazione è

stato proprio determinato dall’autonomia nel determinare le aliquote delle imposte

di competenza municipale che hanno spinto, inevitabilmente, i vicini a

considerarsi in primo luogo come dei concorrenti nell’accaparrarsi i cittadini per i

quali la riduzione delle imposte rappresenta un offerta sempre molto interessante

nella decisione di dove andare a vivere rendendo così la cooperazione tra comuni

più difficile.

d.) situazione attuale

Il dibattito sulla riforma della pubblica amministrazione ha inevitabilmente

investito i governi locali, proprio per la struttura Bottom UP tedesca che non

poteva prescindere da essi.

Un esempio di coordinamento dell’azione di riorganizzazione arriva dall’agenzia

comunale per la razionalizzazione dell’amministrazione, ommunale

Gemeinschaftsstelle für Verwaltungsvereinfachung (KGSt). Un ente molto attivo

nel suggerire, e quindi coordinare, le riforme da farsi. Essendo un ente autonomo,

al quale partecipano tre città-Stato e un buon numero di municipalità, fornisce

suggerimenti a tutti i suoi membri, sotto forma di pareri e relazioni su tutte le

questioni, in particolare riguardo a personale, finanza, organizzazione. Ogni tre

anni il KGSt organizza un forum, palestra di discussione e confronto per

funzionari delle amministrazioni ed esperti delle varie discipline e metodologie di

analisi ed intervento organizzativo. Recentemente il KGSt ha anche effettuato

confronti tra i servizi erogati dagli enti partecipanti, punto di partenza per

innescare azioni emulative o di benchmarking, ed ha svolto azioni di supporto

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

*

39

delle società di consulenza interessate a intervenire a supporto delle

amministrazioni. Nell’ultimo decennio gli enti locali tedeschi hanno fornito un

contributo rilevante per modernizzare la pubblica amministrazione e realizzato

con successo considerevole le riforme loro proposte.

Si può affermare che in questo processo gli enti locali abbiamo reinterpretato il

proprio ruolo, con un’enfasi che passa dalla funzione tradizionale di autorità

pubbliche a quella di fornitori di servizi e che il maggior orientamento ai bisogni

dei cittadini e degli utenti abbia aperto nuovi canali e offerto nuove occasioni per

una rinnovata partecipazione del cittadino alla vita politica e amministrativa

locali.

Oggi gli enti locali operano in misura crescente come promotori/erogatori di

servizi rivolti ai cittadini stimolando proprio per questo i processi di

identificazione dei cittadini stessi con i propri rappresentanti politici. I processi

sono facilitati dalla consapevolezza che nel sistema tedesco operano istituzioni i

cui sforzi sono tesi a migliorare la propria efficienza. L’orientamento al cittadino,

la maggiore visibilità del programma politico degli eletti, il monitoraggio dei

fornitori di servizi operanti in concorrenza, la domanda di maggior efficienza

nella gestione economica sono tutti fattori che stanno incidendo sul

funzionamento degli enti locali. In questo senso si potrebbe sostenere che il

processo di globalizzazione, almeno in un’accezione europea, stia attualmente

investendo il funzionamento delle PA tedesche. In tale contesto si stanno

sviluppando ulteriori azioni, quali ad esempio:

• uso sistematico delle nuove contabilità (dei costi, per centro di costo o per linea

di attività) e dei processi di responsabilizzazione delle unità organizzative

40

decentralizzate sull’uso delle risorse, come base di valutazione dei nuovi prodotti

forniti dalla PA e delle strategie di controllo orientate al risultato;

• utilizzo di forme di contract management e obbligo di reporting, come base per

una maggiore trasparenza del funzionamento delle amministrazioni e per una

puntuale attribuzione di responsabilità personali sui risultati conseguiti;

• adozione di cultura e tecniche di gestione del personale ispirate ai moderni

principi di sviluppo delle risorse umane, con adozione di strumenti incentivanti;

• ricorso a confronto fra le performance conseguite da enti diversi, inteso non più

come fatto eccentrico e “politicamente scorretto”, ma come utile prassi ordinaria,

dalla quale trarre stimoli per un miglioramento emulativo.

A quest’ultimo proposito, qualche semplice dato. Ad oggi risultano in funzione

ben 85 circuiti di benchmark ed un’altra quindicina sono in progettazione; essi

riguardano più di 600 servizi diversi, per la cui realizzazione lavorano più di

3.000 operatori pubblici. Si tratta, quindi, di una realtà di dimensioni ancora molto

ristrette, seppure con buone potenzialità di sviluppo. I dati così raccolti sono

disponibili nel database IKON (rete IKO), recentemente elaborato e accessibile a

tutti gli enti locali aderenti.

e.) L’operato della fondazione Bertelsmann

La Fondazione Bertelsmann, fondata nel 1977 al fine di onorare (continuandolo

nel tempo) l’impegno socio-politico e culturale delle famiglie Bertelsmann e

Mohn, ha predisposto e realizzato numerosi progetti sulla riforma

dell’amministrazione, da sola o in collaborazione con l’Istituto per l’Impiego,

numerosi Ministeri nazionali, autorità locali tedesche e internazionali. Tra i temi

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

*

41

trattati figurano il performance oriented management, il confronto tra le

prestazioni delle autorità di polizia e tra le iniziative intraprese la costituzione di

“autorità per il futuro” e della rete internazionale cities of tomorrow. Tra le

iniziative più recenti della Fondazione, particolarmente attiva su tematiche

dell’evoluzione delle forme di governo, figura la preparazione di una griglia

valutativa sulla governance negli enti locali, presentata ad un convegno

internazionale promosso dall’Università di Stoccarda (Proehl 2002).

L’idea di fondo che la fondazione ha sempre cercato di diffondere è che una

buona governance locale rafforza la democrazia in quanto canalizza tutte le risorse

localmente disponibili (rappresentate dai governi locali, dai cittadini e da tutti gli

altri partner: la comunità degli affari, le NPO, le istituzioni culturali, religiose e

civili, ecc) verso uno sviluppo locale funzionale a una migliore qualità della vita.

Per produrre gli effetti desiderati, la triangolazione pubblico-privato-terzo settore

richiede congiuntamente nuove partnership e uno stretto controllo democratico. Di

seguito sono riportate alcune azioni suggerite dalla Fondazione:

-Più democrazia e migliore qualità di vita nelle Comunità.

Una buona governance si realizza con una democrazia locale caratterizzata da

una cooperazione vivace con spirito di partnership fra il consiglio comunale,

l’esecutivo, l’apparato amministrativo, i cittadini e tutti i soggetti espressi dalla

società civile.

-Modellare la politica futura su obiettivi di policy comuni

Affinché un ente locale sappia fare fronte in modo pienamente adeguato alle sfide

del futuro, deve sapere sviluppare e realizzare una visione che sia globalmente

condivisa dai cittadini e dai loro rappresentanti politici.

42

-Realizzare partenariati con maggior collaborazione e partecipazione

La compartecipazione efficace dei governi locali con i cittadini, con gli altri livelli

di governo, con soggetti del settore privato e del terzo settore, all’interno e

all’esterno dei confini comunali, costituisce un fattore vitale per la soluzione

fruttuosa dei problemi.

-Garantire un’amministrazione efficace ed efficiente con maggior cooperazione

All’interno di un buon contesto di governance, l’organizzazione amministrativa

deve essere efficace, efficiente, trasparente, competitiva e orientata ai servizi.

Occorre, a tale fine, promuovere la cooperazione e la partecipazione non soltanto

con i partner esterni, ma anche all’interno dell’organizzazione stessa,

verticalmente ed orizzontalmente. Questa cooperazione è responsabile della

qualità e dell’efficienza dei servizi, prodotti direttamente o acquisiti mediante

contratto sul mercato. Per stimolare azioni di questo tipo conviene che l’ente

locale elabori e renda pubblici dati e relazioni che diano conto del livello di

realizzazione degli obiettivi comuni.

-Abbinare il management strategico con una elevata trasparenza

La realizzazione degli obiettivi condivisi di policy deve avvenire tramite processi

ad un tempo trasparenti e strategici. Ciò avverrà se tutte le politiche e le azioni

realizzate sono rese pubbliche e valutate, adottando la prospettiva tipica della

policy analysis, secondo la quale la valutazione viene usata per correggere e

migliorare le politiche future. All’interno di questo processo conviene prevedere

anche l’utilizzo di misure e indicatori di qualità della vita come strument i

essenziali per esprimere valutazione pregnanti.

-Preparare il bilancio comunale con maggiore attenzione alle risorse

43

Come noto, la parola finale sul bilancio comunale spetta al consiglio. Tuttavia, il

coinvolgimento dei cittadini nella fase iniziale della sua predisposizione, quando

si tratta di definire le priorità, aumenta la trasparenza e l’accettabilità dell’intero

processo di bilancio. Una procedura maggiormente aperta ai contri buti di soggetti

esterni aumenta inoltre le possibilità che ai finanziamenti con fondi propri

dell’ente locale si affianchino finanziamenti privati e provenienti da altri livelli di

governo.

-Innovare e apprendere gli uni dagli altri

La trasparenza, la comunicazione degli obiettivi delle politiche e il pieno sviluppo

della dimensione dei risultati sono aspetti che qualificano e migliorano la

governance. L’adozione senza timori di pratiche diffuse di benchmarking e la

creazione di reti di informazione con altri comuni offrono significative occasioni

di apprendimento e di scambio delle innovazioni.

-Indicatori di qualità della vita: il network cities of tomorrow

La Fondazione Bertelsmann è stata tra le sostenitrici, negli anni ’90, della

creazione del network cities of tomorrow, che raccoglie comunità locali tedesche

e di altri Paesi. Il funzionamento della rete è scandito da cicli di lavoro biennali,

ciascuno caratterizzato da obiettivi specifici.

Tra i più significativi ricordiamo: l’amministrazione di qualità, la progettazione

strategica, strategie alternative per la fornitura dei servizi, politiche di sviluppo del

personale, partecipazione dei cittadini, concorrenza orizzontale (ovvero tra enti

omologhi) (primo ciclo, 1995-96); costruire la fiducia nell’ente locale, gestire le

informazioni strategiche (ICT), vivere la società multietnica, favorire lo sviluppo

economico locale (secondo ciclo, 1996-97); promuovere l’occupazione,

44

migliorare lo stile di vita di bambini, adolescenti ed anziani nella città (in un ciclo

successivo).

Filo conduttore costante tra tutti i temi trattati è stata la costruzione di una

strategia generale per la gestione dell’innovazione.

f.) La governance tedesca

Il modello tedesco non prevede autorità propriamente preposte alla regolazione

della governance. La regolazione economica in ambito di fornitura di servizi

locali come ad esempio lo smaltimento rifiuti e la fissazione delle relative tariffe

è affidata dalle leggi federali alle amministrazioni locali. Di fatto queste ultime

svolgono un’ampia gamma di funzioni di regolazione, nelle materie che rientrano

direttamente nella propria sfera di responsabilità e in altre nelle quali invece

operano su mandato dei governi superiori. Le municipalità, ad esempio, sono

tenute a garantire determinati standard, pur nell’ambito di una totale autonomia

organizzativa, standard fissati con leggi federali in materia di fornitura di servizi

di pubblica utilità (quali la produzione e distribuzione di energia elettrica e

acqua): è una situazione tipica dei rapporti inter-istituzionali del federalismo

tedesco.

Sono quindi alcuni principi posti alla base della Costituzione (anche “materiale”)

tedesca, i principi del federalismo e della sussidiarietà, che spiegano l’assenza

sostanziale di forme e strumenti di controllo esterni rispetto all’attività svolta dalle

municipalità.

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

*

45

La legge federale garantisce alle municipalità totale autonomia finanziaria e gli

enti locali non possano contare sul sostegno finanziario del bilancio statale per

sanare eventuali gestioni deficitarie.

I comuni sono direttamente responsabili della determinazione delle tariffe dei

servizi offerti, congiuntamente al gestore dei servizi stessi. La normativa che

regola la formazione dei prezzi si fonda sui principi sanciti dagli ordinamenti

comunali (Kommunalabgabengesetze).

Nonostante le forti radici cooperative del federalismo tedesco, la crescente

collaborazione intergovernativa viene vista, in alcuni casi, come una minaccia per

l’indipendenza dei L nder e conseguentemente per il loro ruolo politico. La

ricerca di una linea di demarcazione meglio definita dei compiti e delle

responsabilità finanziarie rispettive di governo federale e dei Länder costituisce

oggetto di confronto continuo tra i due livelli di governo e caratterizza la vita

politica del Paese. Ultimamente i Länder chiedono un proprio ruolo autonomo nel

processo decisionale dell’Unione europea, che per essere realizzato richiederebbe

un emendamento alla Costituzione federale.

La governance interistituzionale in Germania assume particolare rilevanza

soprattutto in ambito locale, dove sono stati realizzati modelli ed esperienze

diversi. A livello centrale, invece come già illustrato è il particolare carattere

cooperativo del federalismo tedesco stesso a determinare una situazione

tipicamente di governance interistituzionale.

La devolution non è un tema dibattuto in Germania dato che già nel secondo

dopoguerra, riprendendo la storia costituzionale del Paese precedente al periodo

nazista, la Germania è stata ridisegnata come Stato federale decentralizzato.

46

Sebbene la Costituzione tedesca mirasse a creare la cornice istituzionale per uno

Stato federale nel quale fosse garantita la massima autonomia ai Länder, nel corso

della vita della Repubblica questa impostazione è stata progressivamente mitigata

in favore di una crescente compenetrazione fra i due livelli di governo.

Da un lato le competenze attribuite al governo federale per determinate materie

lasciano poco spazio per un intervento legislativo a livello statale, dall’altro i

Länder sono coinvolti direttamente e in maniera talvolta determinante nel

processo decisionale centrale.

Il modello attuale del federalismo tedesco viene definito di tipo cooperativo

perché si fonda su una cooperazione inter-istituzionale fra i vari livelli di governo

e sul coordinamento delle politiche fiscali.

Il coordinamento delle politiche fra i vari livelli di governo è istituzionalizzata in

una serie di organi, il più importante dei quali è il Consiglio di Programmazione

Finanziaria (Finanzplanungsrat), costituito dai Ministri delle Finanze dei Länder,

dal Ministro federale dell’Economia e dai rappresentanti degli enti locali. La

funzione del Consiglio, che rappresenta un forum di discussione utile al processo

decisionale, è consultiva.

Quanto alla partecipazione dei Länder al processo decisionale centrale, si

sottolinea il fatto che in Germania il livello di governo statale ha una rilevanza

maggiore rispetto ad altri Stati federali.

I Länder sono responsabili di una serie di politiche di primo piano, quali ad

esempio l’istruzione e la giustizia, ma entrano con i loro governi a far parte

direttamente del processo decisionale federale. Nella seconda camera, il

Bundesrat, siedono, infatti, i rappresentanti dei governi dei Länder.

47

g.) Il rinnovamento della politica dal basso

Si possono identificare due tendenze delle riforme che hanno coinvolto

l’amministrazione locale tedesca:

-riforme che puntano a migliorare la partecipazione dei cittadini;

- riforme che mirano a conseguire una maggiore efficienza per gli enti locali;

Negli anni ’80 è stata la prima linea a prevalere, mentre negli anni ’90 sono state

intraprese anche in Germania riforme ispirate al secondo concetto.

Le riforme degli anni ’80 sono il futto di un processo che è stato chiamato die

Erneuerung der Politik von Unten: il rinnovamento della politica dal basso.

Questo processo mirava all’istituzionalizzazione della partecipazione dei cittadini

dal basso, vale a dire alla creazione di meccanismi e strumenti per favorire

l’accesso dei cittadini al processo decisionale a livello locale. Dal momento che le

leggi che regolano e delineano la struttura del governo locale sono emanate dai

Länder, ne consegue che in Germania coesistono più modelli di governo locale.

Contrariamente alle tendenze in atto in altri Paesi, poca attenzione riscuotevano

temi come il contract management e il controllo dei costi. Il dibattito

sull’amministrazione pubblica era concentrato sul rinnovamento della politica dal

basso. Questo processo mirava a scardinare l’impostazione centralista, gerarchica

e tecnocratica dell’amministrazione pubblica, in favore di una strategia

decentralizzata, su scala ridotta, basata sulla cooperazione orizzontale, sulla

trasparenza e sulla ricerca di una maggiore partecipazione dei cittadini17

. Le

parole chiave erano quindi partecipazione e consenso e non efficienza e efficacia.

17

Hendriks F., Tops P., 1999

* Paragrafo tratto da Quaderni Formez - Centro di Formazione Studi (dicembre 2004) - disponibili al link: http://biblioteca.formez.it/webif/media/Germania.pdf

*

48

Negli anni ’60 e ’80 le forze, che nascevano intorno a interessi diversi, dalla

questione ambientale all’opposizione al nucleare, dalla rivendicazione delle pari

opportunità per le donne alla lotta contro le discriminazioni degli omosessuali,

hanno esercitato pressioni sul sistema dell’amministrazione pubblica, sollecitando

riforme in senso democratico a livello nazionale, ma soprattutto a livello locale.

Determinante in questo processo è stata la nascita, nel 1981, del Partito dei Verdi

(die Grünen), che si è fatto interprete di queste istanze. La rete dei movimenti

sociali otteneva, così, un supporto politico. Accanto ai Verdi, un ruolo importante

nella promozione delle riforme è stato giocato da un gruppo di pressione, die

Bürgerinitiativebewegung (il movimento di iniziativa dei cittadini), costituito da

cittadini e operante a livello locale. Questo movimento richiedeva un maggiore

coinvolgimento dei cittadini nell’ambito della pianificazione territoriale e della

partecipazione democratica alla vita pubblica delle città.

Le riforme adottate in molti Länder per rispondere a queste richieste non

rappresentano, per la verità, una rottura col passato. Spesso sono stati

istituzionalizzati meccanismi per garantire una maggiore partecipazione della

società civile, che erano già operanti nella prassi. Ad esempio, molte iniziative

hanno interessato il mercato del lavoro locale e le politiche sociali, dove sindacati,

camere di commercio e altre organizzazioni erano già coinvolte.

Anche le reti di organizzazioni svolgono un ruolo importante con funzioni

diversificate. Alcune costituiscono esclusivamente un forum per facilitare la

definizione collettiva di un percorso di sviluppo dell’area. Altre svolgono un ruolo

più attivo. Nonostante le reti spesso si formino spontaneamente e su un piano

informale, nel momento in cui esse vengono ufficialmente inserite nel processo

49

della pianificazione territoriale la cornice istituzionale prevale sullo spontaneismo.

Funzioni e responsabilità vengono chiaramente definite e distribuite fra i vari

soggetti.

h.) La suddivisione del Enti Locali

COMUNI (GEMEINDEN), CIRCONDARI (KREISE), UNIONI DI COMUNI

(GEMEINDEVERBÄNDE)

In assenza di una riserva costituzionale a favore del Bund, la disciplina del diritto

comunale spetta ai L nder, che sono tenuti a rispettare i principi di cui all’art. 28

LF. Tale articolo stabilisce esclusivamente quali siano gli Enti locali di rilievo

costituzionale (Comuni, Circondari e Unioni dei Comuni) e ne disciplina a grandi

linee gli elementi necessari e le garanzie essenziali di autonomia.

Tali Enti devono rispettare i principi fondamentali della Costituzione e prevedere

un organo elettivo, sono titolari di diritti ed obblighi giuridici.

Ai Comuni è garantito «il potere di disciplinare sotto la propria responsabilità e

nel rispetto della legge tutti gli affari della comunità locale»: ciò implica che tutte

le funzioni amministrative che interessano la comunità locale si presumono di

competenza comunale (competenza primaria).

Nella garanzia dell’auto-amministrazione trova fondamento anche la

responsabilità finanziaria del Comune, cui corrispondono entrate finanziarie

proprie.

Per quanto concerne i Circondari, la Legge fondamentale nulla dice in ordine

all’estensione della relativa autonomia, aspetto da cui si evince, come più volte

ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, che il Circondario, a differenza dei

50

Comuni, non è titolare di una competenza primaria sugli affari del proprio ambito

territoriale, bensì solo dell’esercizio di funzioni espressamente attribuite dalla

legge del Land.

Benché la Legge fondamentale non abbia disegnato un modello unitario di Enti

locali, la legislazione dei Länder, pur con inevitabili differenziazioni, si

caratterizza per una certa convergenza in ordine alla struttura costitutiva degli Enti

e alla disciplina delle competenze.

In relazione alla garanzia costituzionale di un ambito di autonomia amministrativa

propria del Comune su tutti gli affari della comunità locale, dottrina e

giurisprudenza hanno distinto fra gli «affari inerenti l’autonomia amministrativa»

del Comune, che ricadono nell’ambito operativo proprio dell’ente locale, e gli

«affari su incarico», che rientrano nell’ambito operativo delegato all’ente locale

da parte del Land.

Gli «affari inerenti l’autonomia amministrativa» comunale sono quelli che

originano e si sviluppano nell’ambito della comunità locale: nel silenzio della

Costituzione, la dottrina e la giurisprudenza hanno fatto rientrare in questa

categoria la gestione del territorio, l’amministrazione del patrimonio comunale,

l’approvvigionamento idrico, la fornitura di energia elettrica e gas, la

conservazione e la promozione della cultura locale, la polizia urbana, il trasporto

locale, le questioni relative alla potestà dei Comuni di provvedere al reclutamento

di personale e al reperimento di risorse finanziarie, la pianificazione e

l’organizzazione territoriale, i servizi cimiteriali, ecc.

In tutte queste materie, il Comune gode di una competenza generale, in base alla

quale può decidere come e se occuparsi di un determinato affare.

51

Gli «affari su incarico», invece, sono quei compiti che ricadono nell’ambito

amministrativo e operativo assegnato dal Land al Comune, quali, ad esempio, il

rilascio dei passaporti e delle carte d’identità, l’istituzione e l’organizzazione delle

commissioni edilizie, il vaglio delle domande di risarcimenti di guerra e la loro

assegnazione, ecc.

All’ampia autonomia amministrativa riconosciuta ai Comuni fa riscontro un

diffuso sistema di controlli esercitati dagli organi amministrativi del Land che

vigilano sull’operato dell’amministrazione locale.

Il controllo è di legittimità quando concerne atti adottati dai Comuni nell’esercizio

della loro autonomia amministrativa; è di merito quando concerne atti relativi

all’ambito operativo loro assegnato dal Land.

La legge disciplina diversi dispositivi di controllo di legittimità:

-l’autorità del Land competente a esercitare il controllo di legittimità può

provvedere a raccogliere informazioni sull’attività dell’amministrazione locale;

-può annullare un atto comunale o richiederne l’annullamento al Comune stesso;

-può domandare al Comune di adempiere alle proprie obbligazioni entro un

termine appropriato;

In ultima istanza, la suddetta autorità può provvedere alla nomina di un

commissario che svolga tutti o alcuni compiti in luogo dell’organo comunale

competente, con oneri a carico dell’amministrazione comunale.

L’autorità di controllo dispone anche di strumenti preventivi che impediscono agli

atti

illegittimi di perfezionarsi (riserva di autorizzazione), o che rendono possibile un

controllo immediato (riserva di denuncia).

52

Tutti i provvedimenti dell’autorità di controllo sono impugnabili.

Il controllo di merito mira, invece, ad accertare, in caso di provvedimenti

discrezionali, l’opportunità e la proporzionalità dell’attività dell’amministrazione

locale.

Le autorità di controllo possono impartire istruzioni vincolanti per il

comportamento futuro de Comune, oppure predisporre correzioni e procedere

all’annullamento di misure già prese. Il Comune può eccepire dinanzi a un

tribunale amministrativo che il controllo di merito abbia inciso sul suo diritto di

auto-amministrarsi.

La distinzione fra affari inerenti l’autonomia delle amministrazioni locali e affari

delegati dallo Stato è di grande rilievo giuridico: nel primo caso, infatti, i Comuni

godono di un’alta tutela giuridica contro leggi dello Stato federale e dei Länder

attraverso il Tribunale costituzionale federale e quello del Land (art. 93 LF); nel

secondo caso, invece, i Comuni, godono della sola tutela presso la giurisdizione

amministrativa. Qualora la violazione del diritto all’autonomia amministrativa sia

contenuta in un atto regolamentare del Land, i Comuni possono adire in via diretta

i tribunali amministrativi per il controllo di legittimità.

i.) L’ordinamento dei Comuni

I Comuni sono innanzitutto costituiti da un organo di rappresentanza dei cittadini

che, a seconda del Land, prende il nome di:

Consiglio comunale - Gemeinderat

Consiglio - Rat

Rappresentanza cittadina - Stadtvertretung

53

Assemblea elettiva della città - Stadtverordnetenversammlung

L’organo rappresentativo è competente per tutti gli affari essenziali del Comune,

emana le ordinanze e i regolamenti, delibera su tutte le misure rilevanti e nomina

le cariche comunali più importanti. Accanto all’organo rappresentativo e

deliberante, è previsto un organo di vertice, monocratico o collegiale, che si

occupa della preparazione e dell’esecuzione di tutte le delibere dei Consigli

comunali e che è a capo dell’apparato amministrativo comunale. Nella prassi

amministrativa tedesca si suole distinguere fra i seguenti quattro modelli di

organizzazione comunale:

-il modello magistratizio (Magistratverfassung);

-il modello del borgomastro (Bürgermeisterverfassung);

-il modello tedesco-meridionale (Süddeutsche Ratsverfassung);

-il modello tedesco-settentrionale (Norddeutsche Ratsverfassung).

Nel modello magistratizio, l’organo al vertice dell’amministrazione comunale,

detto Magistrat, è un collegio costituito da consiglieri di carriera e volontari,

presieduto dal borgomastro, il quale è eletto direttamente dai cittadini.

Nel secondo e nel terzo modello l’organo di vertice è il borgomastro, autorità

monocratica, eletta rispettivamente dal Consiglio comunale e dalla cittadinanza.

Nel modello tedesco-settentrionale, voluto dagli inglesi nelle loro zone di

occupazione, il Consiglio è il solo vero e proprio organo amministrativo del

Comune, mentre il borgomastro, che lo presiede, ha solo compiti di

rappresentanza. I compiti dell’amministrazione, in specie la preparazione e

l’esecuzione delle delibere consiliari, sono svolti dal «direttore comunale»

54

(Gemeindedirektor), carica non elettiva, ma tecnica, nominato dal Consiglio tra

funzionari competenti.

Negli ordinamenti comunali si riscontra un progressivo incremento di più incisive

forme di partecipazione popolare (audizione di cittadini in Consiglio comunale o

in commissioni comunali, diritto di proposta dei cittadini al Consiglio comunale,

diritto di rivolgere quesiti, di muovere obiezioni al progetto di bilancio comunale)

e di democrazia diretta.

l.) Unioni di Comuni e i circondari

Le «Unioni di Comuni» si collocano su un livello amministrativo immediatamente

superiore rispetto ai Comuni. Al riguardo, l’art. 28, c. 2 LF stabilisce che «anche

le Unioni di Comuni, nel loro ambito di funzioni legislativamente determinato,

godono del potere di autoamministrazione sulla base delle leggi».

Essi sono enti territoriali di diritto pubblico, dotati di un proprio statuto, di

un’assemblea dei rappresentanti degli Enti e di un presidente. Benché enti di

rilievo costituzionale federale, le Unioni di Comuni non sono enti necessari, ma

aggregazioni di Comuni su base volontaria anche se spesso tale elemento è frutto

delle concrete pressioni del Land, supportate da incentivi finanziari. Costituite

secondo legge per svolgere nel modo economicamente più razionale e sostenibile

i compiti eccedenti la capacità operativa dei singoli Comuni.

Il loro ambito di competenze è definito per legge, che può loro attribuire sia

materie tipicamente rientranti nell’autonomia comunale, sia l’attuazione di

competenze dell’amministrazione del Land. In tema di controlli valgono

considerazioni analoghe quelle fatte per i Comuni. Un discorso a parte merita il

55

Consorzio comunale finalizzato (kommunaler Zwecksverband) che è un insieme

volontario o obbligatorio di Comuni costituito con uno specifico mandato, talvolta

a termine, relativo a singoli compiti amministrativi.

Il Circondario (Kreis o Landkreis), ente territoriale di diritto pubblico presente in

tutti L nder e previsto dall’art. 28 LF, è un tipico ente intermedio tra il livello

comunale e quello regionale, assimilabile alla provincia italiana o al dipartimento

francese, ma con elementi differenziali. Nel prevedere tale ente, la Legge

fondamentale non ne definisce, come invece per i Comuni, un ambito primario di

competenza, ma garantisce solo il carattere democratico e rappresentativo della

relativa struttura.

In tutti i L nder il Circondario si articola in tre organi fondamentali: l’Assemblea,

la Commissione e il Presidente.

La competenza circondariale, di carattere sussidiario rispetto a quella comunale, è

definita dalla legge di ciascun Land. La divisione dei compiti ricalca il modello

comunale, per cui è dato distinguere gli «affari inerenti l’autonomia

amministrativa del Circondario» come i piani di sviluppo economico, tutela

dell’ambiente e del territorio rurale, sanità, scuole professionali, centri giovanili,

strade distrettuali, assistenza sociale, smaltimento rifiuti dagli «affari su incarico o

su istruzione », consistenti in materie in cui il Circondario esercita compiti

amministrativi delegati per conto del Land. L’ampiezza di ciascuna delle due

categorie di affari varia in ragione della legislazione del Land.

Anche la vigilanza del Land sull’operato del Circondario rispecchia il modello

comunale di controllo sugli atti.

56

Per quanto concerne, poi, i rapporti tra Comuni e Circondari, da un confronto

delle diverse normative, possono individuarsi le seguenti tipologie:

- Comuni che fanno parte di un Circondario (kreisangehörige Gemeinden): a tale

categoria appartengono di regola i Comuni di minori dimensioni, sul cui territorio

il Circondario è competente nelle materie di sua spettanza.

- Città (trattasi dei Comuni di medie dimensioni) appartenenti a un Circondario

(kreisangehörige St dte), cui la legge ha attribuito anche l’esercizio di alcune

funzioni circondariali.

I Circondari che le includono, quindi, hanno una competenza residuale nel

territorio di tali Città e piena, invece, nel resto del territorio ove insistono Comuni

minori.

- Città extracircondariali (Kreisfreie Städte): si tratta dei Comuni di maggiori

dimensioni, che svolgono in proprio oltre alle funzioni comunali anche in toto

quelle circondariali, assimilabili ad enti di ambito metropolitano. In tal caso il

territorio circondariale e comunale coincidono.

Nella esperienza tedesca si rinvengono, inoltre, i Consorzi “superiori”, enti

aggregativi di Circondari e talvolta anche di Comuni per provvedere a compiti di

natura ‘supercircondariale’. I Consorzi superiori hanno organizzazioni differenti

da Land a Land.

m.) Il progressivo riordino territoriale degli Enti locali

L’ordinamento territoriale tedesco si caratterizza dunque per una costante

attenzione da parte dei Länder, al riordino dei Comuni e Circondari, al fine di

ridurne il numero attraverso incorporazioni e fusioni, nell’ottica di una gestione

57

più razionale ed economicamente sostenibile degli ambiti territoriali. In ciò,

peraltro, i Länder sono stati sempre sostenuti dal Governo federale, che, attesa

l’impossibilità di realizzare riforme territoriali degli stessi ex art. 29 LF, ha visto

nel riordino degli Enti locali sollecitata dai Länder una possibile strada per

ottenere una reale riduzione dei costi e un’ottimizzazione della gestione del

territorio.

In una prima fase alcuni Länder hanno privilegiato le fusioni spontanee e

volontarie, sulla base di accordi di diritto pubblico tra gli enti interessati previsti

da apposite leggi che preordinavano il percorso verso la fusione, anche attraverso

nuove forme giuridiche di unioni di comuni o prevedendo particolari sovvenzioni

e misure finanziarie premiali. Laddove i Länder hanno riscontrato resistenze, oltre

all’adozione di leggi che introducevano forti penalizzazioni finanziarie nei

confronti degli enti restii al riordino, l’accorpamento è avvenuto per legge o, in

casi di minore importanza, con decreto governativo a contenuto normativo.

La legittimità costituzionale dei processi di accorpamento territoriale, di fronte

alle eccezioni di incostituzionalità mosse dagli enti interessati è stata più volte

affermata dal Tribunale costituzionale federale (ordinanza 27.11.1978) che ha

precisato che «la garanzia costituzionale dell’autonomia comunale tutela il

Comune come livello istituzionale necessario, ma non può impedire al legislatore

di preordinare progetti di riordino territoriale che portino a fusioni o

incorporazioni di Comuni, per motivi di utilità generale, sentiti gli enti territoriali

coinvolti». Il Giudice costituzionale si è, comunque, riservato, caso per caso, di

verificare se il legislatore statale abbia bilanciato accuratamente tutti i motivi

attinenti al bene della collettività, così come vantaggi e svantaggi della

58

regolamentazione statale e se l’intervento legislativo sia appropriato, necessario e

proporzionale.

Le riforme territoriali portate avanti in una prima fase tra il 1968 e il 1978 (e poi

riprese dopo la riunificazione nei L nder dell’Est), hanno conseguito risultati

considerevoli, sia per quanto concerne i Comuni, ridotti da 24.282 a 8505 (-65%,

con punte di -80% in alcuni Länder), sia per i Circondari, ridotti da 425 a 237, (-

44,7%).

Il processo di riordino territoriale ha, ovviamente, interessato i Comuni di minori

dimensioni, determinandone una netta diminuzione. In particolare, nel periodo

1968-1989 i Comuni inferiori a 500 abitanti sono passati da 10760 a 1735; quelli

tra 500 e mille abitanti da 5706 a 1400; quelli tra 1000 e 2000 abitanti da 3850 a

1631; quelli tra 2000 e 5000 abitanti da 2406 a 1699.

La riduzione di Comuni e Circondari ha comportato un ridimensionamento del

numero di amministratori di enti locali: nei Circondari si è passati da 15.615 a

13.286 amministratori (- 14,9%); nelle Città extra circondariali da 5441 a 4169 (-

23,4%); nei Comuni da 216.248 a 128.191 (-40,7%).

Il processo di riordino ha conosciuto una sua seconda fase dopo la riunificazione,

tra il 1991 e il 1994, per riordinare i territori della ex Germania Est, in

considerazione della eccessiva parcellizzazione della popolazione in troppi piccoli

Comuni, conducendo al dimezzamento del numero dei Circondari, passati da 189

a 92 e alla riduzione di circa il 17% del numero dei Comuni, passati da 7622 a

6293.

n.) Conclusioni

59

La situazione tedesca come abbiamo visto è assai diversa dalla situazione

Francese e come vedremo in seguito anche da quella Italiana. Ogni Stato tedesco

ha una vera e propria “personalità giuridica” autonoma con una propria

costituzione e quindi le proprie norme per la suddivisione dei poteri e

dell’organizzazione degli enti locali. La competenza legislativa può essere

esclusiva, concorrente o regolata da una legislazione quadro mentre il potere

esecutivo resta concentrato nei Laender. I diversi tipi di cooperazione sperimentati

in Germania partono da un approccio “informale” alla cooperazione. Un

approccio seguito spesso dalle conferenze regionali soprattutto negli anni ’90

quando era necessario diffondere, confrontarsi e studiare il tema delle riforme

degli enti locali. Il primo vantaggio di quest’approccio è dato dalla motivazione

dei partecipanti che si sono sentiti coinvolti prima ancora che le decisioni fossero

prese effettivamente.

La Kooperationshoheit (potere di cooperazione), distinto tra negativo e positivo,

ossia tra quello imposto e quello volontaristico, è stato definito dalla Dottrina

come uno strumento di azione che “apre” la protezione costituzionale dell’art.28

comma 2 e diversi sono stati gli studi dottrinali per incernierare la legittimazione

della limitazione del potere di autogoverno a favore di un esercizio indiretto delle

funzioni compensato da poteri di istruzione e partecipazione nel rispetto del

cosidetto Ubermassverbot, ossia il divieto di eccesso legislativo, caratteristica

del diritto tedesco che indica la tutela dall'eccessiva ingerenza da parte del

legislatore in relazione ai diritti fondamentali, il riferimento al rispetto del

principio di proporzionalità è calzante. In tal senso influisce la questione dei

confini comunali entro i quali i Comuni hanno autonomia legislativa mentre le

60

Unioni, operando oltre i confini degli stessi Comuni facendo venire meno la loro

competenza e di non poco conto, in tal senso, sono i conflitti di competenza che si

possono verificare tra Zweckverband (Unioni) e reis essendo quest’ultimo anche

esso portatore della protezione costituzionale. Interessante, a tal proposito,

l’interpretazione prevalente data in Germania al problema: se la competenza del

reis non è comprimibile data la tutela costituzionale lo è quella dell’Unione che

nasce come organo di secondo livello per sopperire il difetto di capacità dei

Comuni di gestire le loro funzioni originarie.18

L’eventuale obbligatorietà della

collaborazione imposta dal Land o dal Bund troverebbe un solo limite nella

facoltatività dell’azione trasferita, ove essa fosse una funzione obbligatoria la

coercizione sarebbe plausibile, non quando la loro azione fosse facoltativa e

comunque deve rispettare il Ubermassverbot. In Germania la scelta delle Unioni è

preferita anche per questo motivo, il trasferimento dei compiti all’ente associativo,

rispetto alla fusione, consente la conservazione dell’autonomia politico-

democratica e dell’identità dei piccoli Comuni. Dunque la rappresentatività della

cittadinanza ha avuto, e detiene tuttora, un livello di importanza non trascurabile e

tutt’ora fortemente tutelato come dimostrato da numerose sentenze delle corti

costituzionali. In conclusione possiamo sottolineare come in Germania gli esiti

migliori della cooperazione intercomunale si riscontrino laddove vi sia un

iniziativa dal basso tale che la condivisione della funzione provenga da una

spontanea iniziativa dei Comuni partecipanti. In tale caso ci troviamo di fronte ad

un emanazione di quel diritto tutelato costituzionalmente di autoamministrazione.

Nei casi di associazione obbligata e imposta è assolutamente necessario che i suoi

presupposti siano adeguatamente precisati e circoscritti. 18

Shmidt-Jortzig, Kooprationshoheit, in A.V. Mutius, Selbsterwaltung

61

E’ interessante addentrarsi nei diversi sistemi di rappresentatività previsti per le

diverse Unioni dove , escludendo quelle territoriali che possiedono un assemblea

eletta direttamente dalla comunità locale (Verbandsgemeinde e Samtgemeinde)

tutte le altre sono enti di secondo livello dove nell’assemblea sono rappresentati

tutti i membri per il tramite di almeno un componente per Comune

nominato/eletto dall’organo rappresentativo dell’ente stesso o

dall’amministrazione comunale a secondo della previsione statutaria. E’

interessante rilevare che per mantenere la corretta rappresentatività tra i diversi

membri si trovano statuti che prevedono un numero diverso di membri in funzione

dei residenti o un unico rappresentante con voto multiplo, sempre e comunque da

esercitare unitariamente. I componenti dell’assemblea sottostanno a due vincoli

nei confronti dei loro mandanti, il diritto di istruzione e il diritto di revoca.

Ricordiamo che le unioni si finanziano , prevalentemente , tramite tasse , tariffe e

corrispettivi e sono previsti anche casi di trasferimenti a sostegno di singoli

comuni con particolari meccanismi di perequazione finanziaria. La diffusione

della cooperazione in Germania è dunque particolarmente diffusa e presenta

soluzioni organizzative tra le più diverse. La rigidità della disciplina pubblicistica

ha stimolato spesso gli enti a trovare forme di cooperazione di tipo privatistico o

più informali soprattutto su temi non obbligatori. La coesistenza nel dettato

costituzionale di due principi apparentemente antitetici come la effettività

dell’azione amministrativa e l’autonomia organizzativa ha di fatto favorito la

volontaria allocazione dei compiti presso livelli amministrativi più alti per

assicurarne la regolare erogazione.

62

Totale Comuni Totale Abitanti Comuni fino a

5mila abitanti

% comuni % abitanti

11.933 82milioni 9.375 76% 16%

2.4 Italia

a.) Percorso Storico

In Italia la presenza e l’importanza dei Comuni risale al periodo medioevale19

quando le

nascenti borghesie mercantili riuscirono a prender le redini dei governi delle città

costituendo associazioni volontarie chiamate “universitates” soprattutto nelle zone

settentrionali. Fu solo con il dominio napoleonico che venne introdotto un sistema di

organizzazione dei poteri locali piramidale-gerarchico, che rispecchiava quello francese.

Il territorio era ripartito in dipartimenti, distretti, cantoni (a soli fini elettorali) e comuni.

Al dipartimento era preposto un prefetto, nominato dal Ministro dell'Interno, al distretto

un sottoprefetto e al Comune un Podestà che era al contempo capo dell'ente e delegato

del Governo. Con la caduta di Napoleone e la restaurazione dei precedenti ordinamenti

monarchici, il nuovo sistema di organizzazione amministrativa fu generalmente

mantenuto essendosi rivelato efficiente20

. Così fece anche il Regno di Sardegna, la cui

legislazione fu estesa a tutto il territorio nazionale nell’anno 1965 (legge n. 2248) dando

finalmente attuazione alla previsione dell’art. 74 dello Statuo Albertino entrato in vigore

dal 1848. In base a questa legge il territorio dello stato era diviso in province con a capo

il prefetto, circondari con a capo il sotto-prefetto e comuni con a capo il sindaco, che

manteneva l'ambigua natura di rappresentante della collettività e di organo locale dello

19 M.S. Giannini, I comuni, ISAP, Vol I, 1967 20 L.Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna, Il Mulino,1983

63

Stato. Questa legge, oltre un secolo e mezzo orsono, prevedeva la facoltà per i Comuni

di formare tra di loro dei consorzi per esercitare “funzioni di scambievole interesse”.

Tale istituto era rivolto agli enti che, per l’esigua popolazione e le scarse risorse, non

avevano una dotazione, in termini di mezzi e risorse, bastevole per svolgere le stesse

autonomamente e per i quali “ la popolazione affezionatissima al proprio comune, non

consentiva la fusione con i loro contermini maggiori.” I Comuni potevano quindi

provvedere in modo congiunto, mediante l’istituto del consorzio di servizi e funzioni

obbligatori di cui è restata traccia nelle leggi speciali che hanno istituito i consorzi per la

costruzione delle strade, delle opere idrauliche, di bonifica e irrigazione.

Un cenno lo meritane anche la Legge n.5865 del 1888, con cui venne introdotta la

Giunta Provinciale e soprattutto una Legge voluta da Giolitti, la nr.103 del 1903, con

cui, attraverso la municipalizzazione dei servizi di pubblico interesse, cercò di

disinnescare il crescente pericolo autonomista e delle spinte centrifughe.

Dopo il 1903 la produzione giuridica del Regno d’Italia in materia di enti locali rileva

una progressiva tendenza espansionistica per cui la legislazione dello Stato si

sovrappose gradualmente alla legislazione comunale e tolse praticamente ai Comuni la

possibilità di municipalizzare i servizi. Formalmente era in vigore la legge del 1903, nei

fatti era svuotata dall’interno21

, un fatto che in Italia si è ripetuto in diverse epoche.

Il sindaco veniva nominato con regio decreto fra i consiglieri comunali. Solo nel 1889

fu introdotta l'elezione da parte del consiglio comunale, sempre tra i suoi membri e la

durata del mandato era di 4 anni con possibilità di rielezione.

La previsione di principio enunciata già nel 1865, trova applicazione solo nel periodo

fascista. Sono due i decreti di questo periodo per noi importanti da citare, il R.D. 2839

21 M.S.Giannini, I Comuni, cit

64

del 1923 e il R.D. 383 del 1927. Essi soppressore coattivamente circa 2000 Comuni di

piccole dimensioni a testimonianza di come già allora , da parte del governo, esistesse la

percezione del problema dell’eccessiva frammentazione dei comuni in unità di esigue

dimensioni. In fine ricordiamo il Regio Decreto n.383/1934 che conferì al Governo il

potere, da esercitarsi entro due anni, di eseguire una generale revisione delle

circoscrizioni comunali al fine di prevenire ad un ampliamento, a una riunione, o

comunque alla modificazione delle stesse. Nel 1934, in modo autoritario ma efficace,

entra in vigore il Testo Unico della legge Comunale e Provinciale che stabilisce la

facoltà di accorpare i Comuni inferiori a 2mila abitanti e privi dei mezzi per provvedere

adeguatamente ai pubblici servizi. L’effetto di questa norma fu la soppressione o

aggregazione di circa 2184 comuni di modeste dimensioni.

Nel 1921 esistevano in Italia 9124 Comuni e tra l’anno 1922 e 1945 i Comuni soppressi

furono 2165, di questi 468 furono subito ricostituiti con la Costituente e nel 1951 i

Comuni censiti erano 7804 mentre altri 8 si costituiscono nel 1952. Ricordiamo inoltre

che la Costituzione Repubblicana aveva riservato da subito alle Regioni la competenza

delle circoscrizioni comunali (Art. 117 e 133).

Con l'avvento del fascismo, gli organi democratici comunali erano stati soppressi e

sostituiti da organi di nomina governativa ritornando ad uno schema “napoleonico”. Il

Comune di Roma fu trasformato in Governatorato (R.D.L. 28 ottobre 1925, n. 1949). In

seguito fu introdotta la figura del podestà, inizialmente nei comuni con meno di 5.000

abitanti con il R.D.L. n. 237 del 1926 e poi in tutti gli altri con il R.D.L. n. 1910 del

1926. Tali leggi di riforma, confluite poi nel Testo unico della legge comunale e

provinciale del 1934, delinearono un sistema nel quale tutte le funzioni in precedenza

spettanti al Sindaco, alla Giunta e al Consiglio Comunale, venivano attribuite a un unico

65

organo, il podestà, nominato con regio decreto per cinque anni ma revocabile in ogni

momento. Il podestà era affiancato da una consulta municipale composta da almeno 6

consultori nominati dal prefetto o, nelle grandi città, dal ministro dell'interno, con sole

funzioni consultive su alcune materie indicate dalla legge e su tutte le altre questioni che

il podestà avesse ritenuto di sottoporgli. Nei comuni con più di 5.000 abitanti il podestà

poteva essere affiancato da uno o due vice-podestà, secondo che la popolazione fosse o

meno superiore a 100.000 abitanti, nominati dal ministro dell'interno. La città di Roma

aveva un ordinamento differenziato, essendo le funzioni municipali attribuite a un

governatore, coadiuvato da un vicegovernatore, sempre di nomina regia, e dalla consulta

di Roma, costituita da 12 consultori nominati dal ministro dell'interno.

b.) Il periodo repubblicano

In seguito alla caduta del fascismo il sistema elettivo fu ripristinato ma solo con la legge

n.142 del 1990 si disciplinano organicamente gli enti territoriali dopo la costituzione

della Repubblica.

La Costituzione Repubblicana gioca un ruolo importante nelle linee di sviluppo della

materia. L’art. 5 riporta che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le

autonomie locali” evidenziando quindi due principi, quello dell’autonomia e quello del

decentramento pur restando in un ordinamento unitario.

L’art.114 della Costituzione, nella formulazione originaria, richiamava un quadro

istituzionale suddiviso in Regioni, Province e Comuni a cui l’art 115 forniva autonomia

e l’art 128 ne richiamava la piena autonomia all’interno delle leggi generali dello Stato

che ne determinano le funzioni.

66

Nel 1953 con la legge n. 71 , formata da un solo articolo a firma di Einaudi Presidente e

De Gasperi-Scelba per il Governo, fu riconosciuta la possibilità ai Comuni, riuniti o

soppressi durante il fascismo, di ricostituirsi anche in assenza del requisito minimo

demografico che scendeva a soli 3000 abitanti. Questa proposta di legge è frutto di tre

senatori democristiani (Rosati-Bareggi-Cemmi) che esordivano nella loro presentazione

invocando a gran voce l’antica libertà comunale soppressa e sovvertita nel ventennio.

Nei lavori preparatori di tale legge22

troviamo alcuni dati interessanti. I comuni censiti

sono 7804 (alla data del 4 nov 1951), di questi ben 4427, ossia il 56,72 % ha una

popolazione inferiore ai 3000 abitanti e di questi ben 1192 sono inferiori ai 1000

abitanti. Di questi ultimi poi sono 981 quelli dislocati nell’Italia settentrionale, cioè non

nelle zone storicamente meno progredite. A quel epoca il paragone con altri Stati

contigui era favorevole all’Italia. La Francia contava circa 38mila comuni con una

popolazione media di poco superiore ai mille abitanti, la Svizzera contava 3118 comuni

con una popolazione media di 1304 abitanti.

Il deputato relatore alla Camera suggerisce di non avversare per formulazione astratta il

ripristino delle autonomie comunali quanto piuttosto di provvedere ad adeguare “più

convenientemente il sistema legislativo vigente per le amministrazioni locali in rapporto

alle situazioni reali”. Chissà cosa direbbe, a distanza di oltre 60 anni e alla luce della

situazione attuale del processo di riduzione dei piccoli comuni, quello stesso deputato.

Tra gli argomenti affrontati nell’occasione non mancò il dibattito sulla preoccupazione

della “consistenza finanziaria” dei piccoli comuni. I favorevoli alla ricostituzione dei

piccoli comuni hanno ricordato la particolarità geografica del nostro territorio con la tesi

era che i 3000 abitanti minimi fossero un numero sensato per le zone pianeggianti o in

22 Camera dei Deputati, Relazione della 1a Commissione Permanente N. 1648-A

67

riva al mare ma non per quelle zone di frazioni lontanissime tra di loro in terreni

impervi e di scarsissima comunicazione.

Già allora si anticipava dunque una distinzione tra i diversi comuni che poi ha trovato

posto nelle normative : i comuni hanno una diversa classificazione che va da urbani a

rurali e di montagna. Ad ogni modo i primi 15 anni di epoca repubblicana trascorrono

nel faticoso lavoro di eliminare i contrasti tra la Costituzione e gli istituti o le tracce

normative di origine fascista rimasti in vigore nella normativa sulle autonomie regionali

e locali. Tra gli anni sessanta e settanta si inizia a discutere di come attuare le previsioni

costituzionali e poi, fino agli anni novanta si interviene finalmente con le norma

attuative delle previsioni costituzionali che modificano l’assetto ereditato

aggiornandolo gradualmente ai principi dello sviluppo delle autonomie locali.

c. Le autonomie locali fino agli 90

La caratteristica “forma di governo” dei Comuni italiani fino al 1990 è rappresentata

dalla centralità del Consiglio comunale, unico organo eletto direttamente dal corpo

elettorale con un sistema proporzionale, che a sua volta eleggeva il Sindaco. Il

Consiglio esercitava i poteri ‘politici’ e di gestione di cui il Sindaco era l’esecutore

mentre il controllo formale sulla regolarità degli atti spettava al Segretario Comunale,

organico del Ministero dell’interno ed, ex art. 130 della Costituzione, al Co.Re.Co.

organo regionale (controllo preventivo). Di fatto, come già ricordato, fino agli anni ’70

si assiste solo alla rimozione dall’ordinamento esistente delle norme inserite durante il

periodo fascista ed in contrasto con la nuova Costituzione e ci si concentra sulla

ricostituzione degli organi elettivi nei comuni e nelle province. Ogni proposta di

intervento normativo teso al decentramento fallisce prima ancora di nascere.

68

L’assoggettamento degli enti locali allo Stato centrale è totale e tutte le competenze

esercitate dagli Enti locali restavano comunque statali. La situazione appare

radicalmente diversa rispetto ad oggi non solo dal punto di vista della gestione del

potere tra i vari organi istituzionali ma anche sotto l’aspetto della funzione della stessa

burocrazia dell’ente locale. Considerando che sia l’attività di indirizzo che di adozione

dell’atto erano di competenza dell’organo politico, assessore o sindaco, è evidente la

marginalità dell’apparato burocratico, soprattutto allorquando confrontato con il sistema

vigente. I dipendenti esercitavano, in sostanza, attività istruttorie all’adozione del

provvedimento. Anche l’assenza di un regime proprio delle entrate, non erano infatti

previsti tributi locali, con il trasferimento di tutte le risorse dal centro, aveva creato una

sostanziale irresponsabilità degli enti locali per le spese assunte generando un

sostanziale inefficienza del sistema e una totale mancanza di stimoli a gestioni efficaci.

Le principali difficoltà erano legate al fatto che il Consiglio Comunale esercitava un

eccessiva concentrazione di funzioni con conseguenti difficoltà, rallentamenti e

politicizzazione degli atti. I Consiglieri chiamati a esercitare le funzioni amministrative

prevalentemente non erano di carriera amministrativa quindi non erano dotati delle

necessarie competenze e in tale quadro normativo la Giunta esercitava solo funzioni di

stretta esecuzione. Emersa l’incapacità dei consigli di amministrare iniziano le prime

modifiche per cercare soluzioni più snelle ed efficienti. Alcune anticipazione sono

modelli poi tradotti nella L. 142/1990.

Dagli anni novanta inizia una nuova fase anche in Italia, probabilmente influenzata dalla

ratifica nel 1989 della Carta Europea dell’Autonomia locale.

Nel 1990 entra in vigore la L.142 “Ordinamento delle autonomie locali”, poi abrogata

dal Tuel, che prevede:

69

- L’incentivazione dei processi di fusione tra Comuni con popolazione

inferiore ai 5000 abitanti anche attraverso la formula dell’Unione quale tappa

intermedia;

- Lo sviluppo delle formule d’associazione e collaborazione tra comuni

attraverso le convenzioni, i consorzi, le unioni e gli accordi di programma;

- La nuova disciplina delle Comunità montane;

L’Ordinamento delle Autonomie Locali all’art. 26 prevedeva le “Unioni di Comuni”

ma in previsione di una loro fusione:

“Due o più comuni contermini, appartenenti alla stessa provincia, ciascuno con

popolazione non superiore a 5.000 abitanti, possono costituire una unione per

l'esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi.”

In questo articolo è ridondante il concetto di fusione tra comuni, addirittura prevedendo

la fusione, cosi come stabilita dagli articoli della Costituzione, di diritto e in via del tutto

obbligatoria da parte della Regione quando questa eroghi all’Unione di Comuni dei

contributi aggiuntivi. Vincoli, obbiettivi e dichiarazioni di principio che certo non

stimolavano gli amministratori locali ad iniziare il percorso dal basso.

Nel 1993, con la legge n. 81, venne introdotta l'elezione diretta del sindaco e la nomina

dei componenti della giunta da parte dello stesso. Di fatto la norma riduce la centralità

del consiglio comunale e in questo modo la forma di governo del comune, in

precedenza riconducibile al modello parlamentare, venne avvicinata al modello

presidenziale mentre, ricordiamo, la forma dello Stato centrale rimane saldamente legata

alla centralità parlamentare come definita dalla Costituzione Repubblicana. La stessa

legge aveva fissato in quattro anni la durata del mandato del sindaco (art. 2) poi

allungato a cinque (art. 51 del D. Lgs. n. 267/2000). Le ragioni sostanziali del perché gli

70

enti locali in Italia abbiano faticato cosi tanto nel ritagliarsi un ruolo attivo si possono

ricondurre alla situazioni post bellica. Dopo il «soffocamento» delle libertà locali

attuato dal fascismo (Trentin 1929), la difficoltà dei comuni a raggiungere, nel

dopoguerra, una condizione di sufficiente autonomia è riconducibile anche al ruolo

giocato dai partiti, che finirono per svolgere una funzione di supplenza nei confronti di

una rete amministrativa che stentava a riorganizzarsi. Ponendosi, dunque, il problema

della mancata autonomia dei corpi intermedi, è impossibile non fare i conti con la

centralizzazione indotta dai partiti, l'attività verticistica dei quali rispondeva del resto, ai

bisogni della ricostruzione. Si sovrapponevano, così, due centralismi: il tradizionale

centralismo amministrativo dello Stato unitario, organizzato per ministeri, e il

centralismo dei partiti, a caccia di consenso e di voti sul territorio .

Alla Giunta viene trasferito l’esercizio reale delle funzioni amministrative nei casi in cui

c’è la sussistenza dei requisiti d’urgenza, atti che ottenevano quindi solo

successivamente la ratifica consiliare. La strada individuata aveva un evidente impatto

istituzionale e politico: la Giunta, espressione della maggioranza del consiglio,

esautorava, nei fatti, il ruolo del consiglio. Il Paradosso di questo primo intervento è

dato dalla sostanziale insindacabilità degli atti di Giunta perché di fatto non erano

rispettati neanche i principi previsti dall’ordinamento. Ritroviamo infatti l’assenza di

termini di vigenza dei provvedimenti adottati in attesa di ratifica e il merito

dell’esercizio d’urgenza era considerato elemento di valutazione ex post. Questi due

semplici elementi rendevano insindacabili gli atti da parte degli organi giurisdizionali.

Inoltre non essendo intervenuti con una netta distinzione di funzioni tra Giunta e

Consiglio, le delibere venivano comunque trasmesse a con la conseguenza di una

cronica mancanza di tempo e di competenze per l’approfondimento e di sovente si

71

otteneva una ratifica automatica. Si possono schematizzare tre situazioni tipiche riferite

a tre classi dimensionali dei Comuni:

-nei Comuni sotto i 5.000 abitanti il ruolo dei sindaci diventava determinante anche per

il legame personale con i consiglieri che si limitavano a ratificare ma proprio in questo

caso il consiglio, numericamente contenuto, avrebbe potuto operare nel rispetto dei

principi dell’ordinamento;

-per i comuni di grandi dimensioni ove si potevano trovare anche 80 consiglieri, era

maggiormente comprensibile la “variante applicativa di sistema”;

- nei comuni medi il sistema formalizzato funzionava. La giunta effettivamente era

organo di stretta esecuzione.

d.) verso il TUEL (267/2000)

Nel 1990, come già accennato, probabilmente anche sotto la spinta e l’influenza di

quanto succedeva nel resto d’Europa, il legislatore italiano aveva iniziato ad affrontare

il tema della riduzione del numero di comuni con il contestuale innalzamento della

media di abitanti per Comune che non avrebbe dovuto essere inferiore a 10mila.

La legge 142/90 aveva iniziato ad affrontare la questione , prevedendo come regola che,

per l’istituzione di nuovi Comuni, si dovesse rispettare la nuova e più alta soglia

demografica di 10.000 abitanti assegnando alle Regioni il compito di introdurre

programmi quinquennali di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei

piccoli Comuni.

In questo quadro, come sopra detto, il ruolo delle unioni di Comuni fu concepito

esclusivamente come uno stadio preliminare alla successiva fusione. Si trattava, infatti,

di una forma di gestione associata da sperimentare per il periodo massimo di dieci anni,

72

trascorsi i quali, senza che si fosse conclusa la fusione dei singoli Comuni, l’unione

sarebbe stata sciolta.

Queste norme non hanno prodotto risultati significativi, probabilmente perché

puntavano soprattutto sulla fusione dei Comuni per ridurne il numero tralasciando di

considerare che un tale percorso avrebbe incontrato ostacoli insormontabili dovuti al

radicamento culturale e storico verso il proprio campanile.

Nel 1999 la legge n. 265, cosiddetta Napolitano-Vigneri, introduce alcune significative

novità in materia di autonomia ed ordinamento comunale, modificando (e integrando) la

legge 8 giugno 1990, n. 142 e definendo in modo più completo, rispetto alla normativa

precedente, gli spazi di autonomia dei Comuni. Sul terreno della valorizzazione

dell'impianto autonomistico, questa legge attua un rilevante ammodernamento

dell'ordinamento di tutti gli enti locali, tentando di adeguare i principali istituti della

legge n. 142 alle innovazioni in atto nel nostro ordinamento (soprattutto a quelle emerse

nell'ambito del processo riformatore delle leggi Bassanini), e allo stesso tempo cercando

di aggiornare e consolidare l'impianto esistente, alla luce dell'esperienza applicativa

consolidatasi a partire dall'emanazione della legge del 1990. E' dunque una legge che,

proseguendo nella complessa strategia riformatrice del sistema di governo locale, si

propone di rivisitarne la materia per conferirle maggiore organicità e completezza, senza

tuttavia modificare del tutto le caratteristiche di fondo del sistema amministrativo

locale.

Fra i punti più innovativi della legge c'è sicuramente quello di aver compiuto progressi

rilevanti in materia di autonomia normativa locale, e, in particolare di aver ampliato gli

spazi di autonomia riconosciuti allo statuto. Su questo versante la riforma tende a porre

rimedio ad una delle grandi contraddizioni della legge n. 142 del '90, ossia quella di

73

aver riconosciuto per la prima volta l'autonomia statutaria a Comuni, e Province, e allo

stesso tempo averla rinnegata coprendo gli spazi riservati alla normativa autonoma con

discipline statali troppo puntuali e dettagliate.

Per questa ragione l’obiettivo perseguito dalla legge 265, i cui contenuti sono stati poi

trasferiti nell’attuale Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), era quello di produrre un

consistente aumento del numero delle unioni su base volontaria, cioè senza un progetto

di accorpamento imposto dall’alto, sorretto da un’opera di promozione iniziata con la

legge finanziaria del 1999. Tutto ciò nella convinzione, da parte del legislatore, che

fosse comunque utile, indipendentemente dall’eventuale fusione, che si praticasse

l’esercizio associato delle funzioni comunali, così da poter finalmente essere in grado di

stimolare il trasferimento delle funzioni di maggiore rilevanza in una struttura collettiva

ottenendo gli auspicati benefici nella riduzione dei costi. La legge Vigneri-Napolitano,

significativamente intitolata “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli

enti locali'', ha così posto mano a un generale riordino della legislazione in materia,

delegando il governo a predisporre un Testo Unico in materia di ordinamento degli Enti

locali avente ad oggetto l’attività deliberativa e di amministrazione attiva nonché la

finanza e la contabilità. Sulla base dei criteri e principi direttivi presenti nella legge

delega, il Governo ha quindi adottato il Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 18 agosto

2000, n. 267) che rappresenta simbolicamente la conclusione del decennio di riforme

iniziato con la legge 142/1990.

L’entrata in vigore del Tuel (D.lgs 267/2000) crea finalmente anche in Italia un corpo

normativo omogeneo con alcune novità importanti come l’adeguamento degli Statuti e

dei Regolamenti, la responsabilizzazione diretta dei dirigenti, i tributi locali, una

maggiore autonomia nelle assunzioni di personale, i bilanci e i controlli. Gli articoli dal

74

nr. 30 al 35 del Tuel regolano le forme associative per le gestioni associate dei servizi

prevedendo cinque situazioni:

- Convenzioni

- Consorzi

- Unioni di Comuni

- L’esercizio associato

- Gli accordi di programma

La visione del legislatore è quella di lasciare al piccolo Comune massima libertà di

scelta ma di dargli dei modelli e delle scelte allorquando si rendesse conto che da solo

non è più in grado di erogare i servizi richiesti dalla cittadinanza. L'Unione tende quindi

ad assumere un carattere polifunzionale, spettando all'atto costitutivo ed al regolamento

la delimitazione effettiva dell'ambito di attività ad essa demandate.

In sintesi e in modo meno generico possibile per il legislatore lo scopo dell'Unione è

promuovere lo sviluppo dell'intero territorio sul quale la stessa insiste e promuoverne la

crescita delle comunità che la costituiscono, attraverso la gestione collettiva ed unitaria

delle funzioni a tale ente attribuite ma mantenendo in capo ai singoli Comuni le funzioni

e le relative competenze che più da vicino ne caratterizzano le specifiche peculiarità.

In tale sistema normativo, orientato verso l’associazionismo malgrado un inefficacia

concreta, si è innestata la riforma costituzionale del 2001.

e.) La riforma del Titolo V

Il titolo V è stato riformato con la legge Costituzionale nr. 3 del 2001 che voleva dare

piena attuazione all’art. 5 della Costituzione riconoscendo le autonomie locali quali enti

esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica. Il nuovo art. 118, in

75

particolare, ha codificato a livello costituzionale i principi di sussidiarietà, adeguatezza

e differenziazione, in base ai quali il legislatore ha attribuito tutte le funzioni

amministrative ai Comuni, salvo che – per assicurarne un esercizio unitario – si renda

necessario conferirle a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato omettendo di

citare le Unioni di Comuni.

Il principio di Sussidiarietà è un principio normativo per il quale i poteri devono essere

assegnati al livello di governo più basso possibile, cioè quello più vicino ai cittadini,

purché sia in grado di gestirli in modo adeguato. La storia legislativa italiana dell’ultimo

decennio ha però fallito integralmente l’opera attuativa della riforma che alla fine è

perennemente in mezzo al guado, applicata nei principi spesso solo ove gli enti locali

hanno voluto e potuto perché insieme alle funzioni sono arrivate anche le risorse, vedi le

Regioni rispetto al caso dei Comuni.

Per realizzare sinergie ed economie di scala nel frattempo l’ordinamento ha previsto

varie forme associative, tra le quali l’Unione di Comuni è quella dotata delle maggiori

potenzialità in termini di integrazione ed oggi risulta l’unica perseguita e stimolata dal

legislatore.

Per il legislatore è importante trasferire le funzioni alle Unioni in modo che le leggi

statali e regionali, di attuazione dell’art. 118 Cost., possano contare sull’esistenza di un

ambito territoriale adeguato alla gestione delle funzioni conferite dalle stesse leggi e si

possa evitare di dover ricorrere alla loro allocazione in capo a diversi livelli di governo

come la Città Metropolitana, la Provincia, la Regione o lo Stato.

I ripetuti interventi modificativi della legge n. 142/1990 e le rilevanti innovazioni

legislative susseguitesi nell'arco di un decennio, ma soprattutto la ristrutturazione

organizzativa recata dalla legge n. 127/1997 e le nuove funzioni attribuite alle

76

autonomie dalla legge n. 59/1997 e relativi decreti di attuazione, hanno quindi imposto

una revisione organica a livello ordinamentale degli enti locali. La Costituzione non

definisce il principio di sussidiarietà, ma lo riconosce e lo pone alla base della stessa

strutturazione dello Stato, costituito dagli enti territoriali, elencati partendo dal più

vicino al cittadino (il comune); attribuisce inoltre le funzioni amministrative ai diversi

enti alla stregua dello stesso principio, cioè assegnandone la generalità ai comuni e agli

enti di ambito territoriale più ampio solo quelle che meglio sono esercitate a livello

superiore. Fanno, infine, da corollario al principio di sussidiarietà, quelli di

differenziazione (degli ordinamenti) e di adeguatezza (del complesso di funzioni

attribuite alla dimensione degli enti).

Il percorso indicato dalla Legge Vigneri-Napolitano si caratterizzava, come abbiamo

visto, per il riconoscimento di una più ampia autonomia degli enti locali all’interno

della quale assumono rilievo centrale l’autonomia statutaria e regolamentare e un

atteggiamento di favore verso la gestione sovracomunale delle funzioni di competenza

tra più enti locali incentivando le funzioni e le unioni oltre a introdurre una nuova

disciplina per le comunità montane.

I principi enunciati come fondamentali e guida delle scelte sono sempre gli stessi:

razionalizzare l’utilizzo delle risorse, ottenere le economie di scala, migliorare ed

incrementare i servizi ai cittadini, diminuire l’incidenza della tassazione, ottenere

contributi economici straordinari, diventare competitivi, mantener la propria autonomia,

acquisire voce e peso nelle scelte di sviluppo, ma tutto questo presupponeva che chi era

chiamato in causa, l’ente locale, sapesse far tesoro della propria autonomia attivandosi

nella costruzione di un sistema di governo locale atto a raggiungere gli obbiettivi

sollecitati dal legislatore.

77

f.) Le Unioni del TUEL

L'Italia registra, nel 2011, 8.092 Comuni23

, di questi, in base agli ultimi dati ISTAT

dell'anno 2011, circa 500 superano i 15.000 abitanti, circa centocinquanta superano i

50.000 abitanti, tra cui 80 capoluoghi di provincia (37 capoluoghi hanno invece

popolazione inferiore ai 50.000 abitanti). Le principali differenze rispetto alla

numerosità della popolazione riguardano il Piemonte composto da 1.206 Comuni

(media: un Comune ogni 3.700 abitanti), la Toscana con 287 comunità (media: 13.065

abitanti), e il Molise da 136 (media: 2.351 abitanti).

Nel 1861, anno dell'unità d'Italia, i comuni erano 7.720, in corrispondenza del

censimento del 1921 è stato registrato il maggior numero di comuni circa 9.195, mentre

al censimento successivo del 1931 si registrarono 7.311 comuni, valore minimo mai

raggiunto grazie ai già descritti accorpamenti imposti dal governo fascista.

L’associazionismo ha avuto uno sviluppo, sotto forma di Unioni di Comuni, che in

pochi anni ha portato le unioni da un numero veramente esiguo, 67 nel 2000, a ben 352

unità nel 2011, registrando in un decennio un aumento del 425%, interessando 1.752

Comuni e coinvolgendo una popolazione di circa 6,5 milioni di abitanti, a fronte dei

quasi 5 milioni del 2000. Non certo un successo esplosivo ma comunque un dato

rilevante, considerando anche che più dell’80% dei Comuni interessati ha una

popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Tale incremento è stato possibile in seguito alla

rimozione di una serie di vincoli legislativi che, originariamente pensati per favorire la

fusione tra comuni di piccole dimensioni, ne riducevano, di fatto, l’autonomia locale.

Tabella Anci suddivisione geografica 2011 24

23 Elaborazione Ancitel, su dati ISTAT 2011 24 Dati raccolti ed elaborati da ANCITEL2011, Area Piccoli Comuni/Unioni di Comuni.

78

L’Unione indicata dal Tuel, nell’intenzione del legislatore, non si limita ad essere una

risposta alle problematiche dei piccoli comuni, ma cerca di andare oltre il mero confine

territoriale considerando l’importanza di partecipare alla programmazione territoriale

regionale (forse cercando di riprendere il successo del modello tedesco). Essa ha

personalità giuridica come pure la qualifica di ente locale (art.2 e 32 del Tuel) mentre la

Costituzione nel nuovo titolo V tace al riguardo.

L’Unione, sulla carta, sembra la miglior soluzione per superare lo scoglio della

geografia e delle resistenze campanilistiche, storiche e sociali. Il legislatore inoltre

conferisce alle Regioni il compito di svolgere la funzione amalgamante (quello che in

Francia hanno fatto i Prefetti ed in Germania i Land).

Il legislatore nell’elaborare le caratteristiche organizzative delle Unioni ha descritto

regole sintetiche e minime, le cui attuazioni possono essere molto diverse fra di loro

proprio perché venissero costruite in funzione delle singole esigenze territoriali ed

istituzionali.

Tra gli elementi determinati ci sono la presenza di un presidente eletto tra i Sindaci dei

Comuni dell’Unione e un consiglio nominato sempre tra i consiglieri dei singoli comuni

con la garanzia della rappresentanza delle minoranze. Alle Unioni competono gli introiti

derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati,

79

semplificando cosi le procedure di accertamento e riscossione ed evitando inutili

passaggi attraverso i comuni impositori, questo almeno nelle ottimistiche previsioni del

legislatore. Alle regioni è lasciato il compito di prevedere gli ambiti territoriali ottimali

di gestione delle funzioni associate e questa è una delle prima previsioni che ha “legato

le mani” a quei comuni che non essendo preparati al tema non hanno espresso da subito

le proprie osservazioni in materia. D’altro canto doveva essere previsto dallo stesso

legislatore che i Comuni delle zone disagiate sarebbero stati quelli che avrebbero

dimostrato una maggior reticenza nell’avvicinarsi al tema delle Unioni non solo perché

storicamente gelosi della loro municipalità e indipendenza ma anche perché questa era

la condizione naturale in cui erano costretti dalla geografia e la “chiusura” ad ogni

forma di collaborazione non era tanto per cattiva volontà quanto per cultura indotta …

aiutati che dio ti aiuta, non aspettarti nulla da chi, benché sia tuo vicino e vive anche a

pochi Km non può raggiungerti perché, ad esempio, la neve ha bloccato la strada.

La decisione sull’ambito territoriale vincola tutto il processo e come vedremo in seguito

può presentare ostacoli al successo dell’Unione stessa.

g.) Situazione attuale

Anche in Italia abbiamo dunque assistito, sotto la spinta della crisi economica, al

perenne dibattito sulla riforma dell’ordinamento degli enti locali e ad una sostanziale

continua metamorfosi kafkiana che nel suo lento fluire, accompagnato da violente e

improvvise accelerazioni, non permette di comprendere a fondo quale sia il modello di

amministrazione locale che si vuole adottare. A oltre 10 anni dalla approvazione della

riforma del titolo V della Costituzione essa non è ancora stata attuata completamente e

l’ordinamento vigente è in continuo conflitto tra i principi precedenti, vedi il T.U.E.L.

80

che è antecedente ad essa, ed i principi enunciati nella riforma ma che non hanno

trovato ancora una concreta attuazione normativa. Se il quadro normativo risulta

piuttosto confuso la colpa è ascrivibile anche al trasferimento al tavolo delle riforme

delle contrapposizioni tra i due principali schieramenti politici di questo decennio, il

PDL di Silvio Berlusconi che per aver l’appoggio della Lega Nord di Bossi ha

appoggiato la richiesta di riforme federaliste e il Partito Democratico, storicamente

molto radicato nel territorio a livello di enti locali e che ha sempre sospettato di tutte le

proposte di modifica vedendole, in primis, come tentativi di sovvertire e attaccare

proprio la loro preminenza nel controllare gli enti locali.

L’unico obbiettivo che emerge, al di la degli slogan legati alle tensioni politiche

momentanee, soprattutto per le dichiarazioni programmatiche che accompagnano i

diversi provvedimenti, è la riduzione della spesa pubblica.

Risale al 2001, come abbiamo visto, la modifica del Titolo V della Costituzione che ha

fatto delle autonomie locali il baricentro dell’amministrazione pubblica. Questa scelta

ha prodotto un costante incremento delle funzioni amministrative esercitate a livello

locale e soprattutto un aumento del carico di lavoro e di responsabilità per i relativi

apparati che contemporaneamente sono sottoposti ad una drastica cura dimagrante . Gli

anni successivi alla riforma del Titolo V della Costituzione hanno immediatamente fatto

capire quali erano i problemi dell’attuazione concreta di tale riforma. La tecnica

legislativa utilizzata è stata pesantemente criticata per la sua approssimazione e quasi

“improvvisazione”25

, cosi come i tanti dubbi di legittimazione costituzionale di alcune

norme hanno portato molti ad invocare, a volte la riscrittura, a volte la corretta

applicazione.

25 V.Tondi della Mura, La riforma delle Unioni di Comuni fra Ingegneria e approssimazione istituzionali, in Federalismi, 2/2012

81

Ad un analisi esterna, non può non evidenziarsi come tutti gli interventi siano

concentrati nel porsi come obbiettivo il contenimento dei costi, dimenticandosi sempre

il tema del buon andamento delle amministrazioni locali, facendo si che le logiche

istituzionali risultassero del tutto marginali rispetto al tema economico, probabilmente

proprio per gli scontri in atto a livello politico dove, tralasciato il principio del

contenimento della spesa pubblica che nessuno si sentiva di contestare, su tutto il resto

si continuava a dire tutto e il contrario di tutto senza avere un chiaro obbiettivo della

riforma.

Spesso, per giustificare la richiesta di un intervento sulla spesa, si è richiamata la

necessità di adempiere ad obblighi imposti dalla BCE26

e dal Parlamento europeo

travisando, forse di proposito, che l’intervento del Parlamento Europeo ha solo

richiamato gli Stati all’esigenza di articolare le competenze secondo un principio di

efficienza, non mettendo in alcun dubbio il principio delle autonomie locali mentre la

orami famosa lettera di Trichet dell’agosto 2011 chiedeva solo “un miglioramento

dell’efficienza e della capacità di assecondare le imprese italiane”. In questo percorso

accidentato non si può non inserire la variabile della “questione morale” dove la

profonda crisi e la sfiducia dell’opinione politica verso la politica ed i suoi costi ha

soffiato sul vento dei tagli indiscriminati e non organici. Anche una valutazione sui

tempi di attuazione delle proposte contenute nelle riforme evidenzia come essendo di

fronte a tempi tutt’altro che rapidi nella loro attuazione, esse si possano ritenere azioni

strutturali piuttosto che congiunturali.27

Come già detto la maggior parte delle norme riformatrici sono frammentate in numerosi

testi normativi statali, spesso articoli di leggi finanziarie o decreti contenenti le manovre

26 Lettera del 5 agosto 2011 spedita dal presidente della BCE Trichet al governo italiano in cui si esprime la necessità di una

revisione dell’efficienza dell’amministrazione pubblica abolendo o fondendo alcuni strati amministrativi intermedi (vedi provincie) 27

G.D’Auria, La Manovra d’Agosto, in GDA, 2012

82

correttive. Il percorso attuativo della riforma costituzionale del 2001 attraverso

l’attuazione della delega legislativa (Legge 131/2003) è stato presto abbandonato perché

ne il governo ne il Parlamento sono riusciti a portare a termine la complessa riforma. Il

passaggio di competenze dallo Stato agli enti locali (Regioni in particolare) con la sola

riserva al legislatore statale degli “organi di governo, sistema elettorale e funzioni

fondamentali di Comuni, Provincie e Città metropolitane” non ha di fatto regalato un

autonomia reale agli enti locali atteso che la materia della finanza pubblica è restata

saldamente nelle mani del legislatore statale.

Le iniziative legislative regionali intercorse in questi anni, nelle materie a loro delegate,

sono state quasi sempre obbligate e indirizzate dal legislatore statale che ha finito per

condizionare fortemente anche gli spazi entro cui gli enti locali avrebbero potuto

effettivamente esercitare la loro autonomia. Emblematica a tal riguardo la vicenda delle

comunità montane. Pur avendo la Corte Costituzionale riconosciuto la più ampia

autonomia di intervento da parte del legislatore regionale28

, il venir meno del

finanziamento da parte dello Stato, giustificato dall’esigenza della riduzione della spesa

pubblica, ha condotto la maggioranza delle Regioni alla decisione forzata della loro

soppressione. Si possono notare facilmente le differenza nell’effettiva applicazione dei

principi federalisti tra il sistema italiano e quello tedesco dove l’autonomia dell’ente

pubblica è tutelata costituzionalmente con un limite individuato, soprattutto dalla

dottrina, nell’efficienza dell’esecuzione della propria funzione che però non è solo una

mera enunciazione dogmatica ma un principio sentito. Il diritto esclusivo di esercitare la

funzione è bilanciato dall’obbligo di erogare un servizio efficiente secondo certi criteri

standard. Il modello italiano applicato in questi anni, come si desume dalle riforme,

28 Tubertini, Riflessioni sullo stato attuale e futuro delle comunità montane nel quadro delle forme associative tra enti locali, in

Astrid Rassegna, n.3/12

83

forse riconosce questo problema, ossia di contemperare il diritto con un obbligo, ma

memore della sua cultura di Stato centrale ha trovato la presunta soluzione nel rinviare

alla competenza regionale ma solo entro limiti ben precisi, finendo per collocare la

legge regionale in una dimensione meramente esecutiva-attuativa di scelte d’indirizzo

operate dall’altro e quando così non è stato si sono accesi violenti scontri arrivati fino

alla Corte Costituzionale che hanno creato ulteriori incertezza.

h.) i Comuni oggi

Per quanto concerne le caratteristiche che un centro municipale debba avere per essere

considerato “piccolo ” la dimensione demografica è la prima a risaltare e definire e a

determinarne gran parte dei problemi che li affliggono, dovuti spesso – come si vedrà –

alla difficoltà di garantire quella qualità e quantità di servizi efficienti in un bacino

d’utenza limitato. Gran parte dei comuni italiani conta solo poche migliaia di abitanti, e

sono centinaia, soprattutto nelle aree montane e insulari, quelli che non superano i 1000

residenti.

Il peso dei piccoli comuni, nel contesto italiano, risulta evidente nella seguente tabella:

84

Alla variante demografica corrisponde la variante geografica di notevole disomogeneità

che caratterizza tutta l’Italia rendendo estremamente difficile sintetizzare dei modelli

per la sola fascia di abitanti. Problema che, come visto, già ai tempi dell’Unità d’Italia

fu rilevato.

Se le condizioni geografiche sono sostanzialmente rimasto invariate nel corso degli anni

la perdita di popolazione è stato invece un aspetto particolarmente preoccupante nella

realtà dei piccoli comuni. La riduzione degli abitanti comporta la riduzione delle risorse

per l’erogazione dei servizi e quindi una progressiva difficoltà nell’erogare i servizi fino

alla loro rarefazione. Spesso, pur di non arrivare alla chiusura, i piccoli comuni cercano

di mantenere i servizi aperti ad ogni costo e questo incide sulla qualità degli stessi che

non riescono a soddisfare e tantomeno a competere con gli aumentati standard richiesti

dai cittadini ed erogati dai comuni più grandi, l’effetto perverso è che la distanza tra i

piccoli comuni e i grandi centri urbani aumenta ancor di più creando una popolazione

che ha un accesso ai servizi di serie A e una popolazione di serie B. Al degrado sociale

si accompagna molto spesso anche il degrado ambientale per un territorio dove alla

rarefazione della popolazione si accompagna l’abbandono della normale manutenzione,

soprattutto nei territori rurali e montani dove antiche consuetudine e il rispetto delle

buone regole creavano le migliori condizioni per una stretta collaborazione dei membri

della comunità, pratiche oggi scomparse.

La risposta data a queste problematiche è stata principalmente nel suggerire di

raggiungere economie di scala tali da permettere di migliorar o mantenere l’erogazione

dei servizi anche in questi comuni cercando di trovare un equilibrio sostenibile tra

investimenti ragionevoli, costi sostenibili e servizi erogati. La cooperazione e

l’associazionismo , nelle loro diverse forme, sono la strada indicata a più riprese e, a

85

seconda del momento, con diversi gradi di obbligatorietà da parte del legislatore

italiano, esattamente come successo in Germania e Francia ma con una peculiarità tutta

nostra e più sopra ricordata: a latere dei progetti di riforma, rimasti per lo più incompiuti

e impantanati nelle lotte politiche, sono intervenute modifiche legislative urgenti legate

alle esigenze di equilibrio del Bilancio Statale, spesso proprio solo in contesti relativi

alle materie finanziarie, senza una progettualità complessiva istituzionale come abbiamo

visto esserci sempre stata in Germania. Proprio la natura emergenziale degli interventi,

spesso totalmente privi di un percorso di condivisione con i soggetti degli stessi

interventi, ossia gli enti locali, se non anche in contrasto con i percorsi delle riforme o

comunque in modo non organico, hanno creato ulteriori freni e ritardi ad una effettiva

modernizzazione reale degli enti locali italiani in termini di efficienza e qualità.

i.) L’esempio Toscano

La leggere regionale toscana nr. 68 del 2011 -norme sul sistema delle autonomie locali-

deriva direttamente dalla riforma dell’art.117 della Costituzione per cui alle Regioni

spetta la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata

alla legislazione dello Stato e quindi il potere regolatore del sistema delle autonomie

locali. Ai Comuni, sempre per disciplina dell’art 117 della Cost. spetta la potestà

regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle

funzioni loro attribuite.

La legge regionale toscana nr.68 del 2011, composta da ben 117 articoli, abroga la nr.77

del 1995 -Sistema delle autonomie in Toscana: poteri amministrativi e norme generali

di funzionamento- che era composta da soli 21 articoli e prevedeva, all’art. 11, lo

stimolo alle fusioni per i Comuni inferiori ai 5000 abitanti e il richiamo ai percorsi delle

86

convenzioni, dei consorzi e delle unioni. Fin dal 1995 si prevede l’istituzione del

Comitato delle Autonomie Locali (CAL) per il conseguimento delle finalità stabilite

dalle norme regionali. Un comitato, che seppur non conosciuto dal pubblico e con poca

visibilità reale, ha idealmente lo scopo di permettere alle cariche elettive locali più

significative di trovare lo spazio per partecipare ed esprimersi sulle riforme necessarie

per rendere efficienti e efficaci gli enti locali che loro stessi amministrano. Le Unioni,

volontarie incontrano da subito un limite geografico: sono limitate ai Comuni

appartenenti alle stesse Province; probabilmente per evitare “disordini” nei confini

amministrativi che avrebbero complicato l’attività di servizi erogati a livello provinciale

e così è rimasto anche nella legge del 2011 e la questione, esplosa con la discussione

sulle proposte di accorpamento e ora abrogazione delle Provincie, non è ancora stata

risolta oggi.

Se nel 1995 i “Comuni esercitano la generalità delle funzioni amministrative di tipo

gestionale non riservate, secondo i criteri della presente legge, alla Regione, alle

Province o ad altri enti locali, in armonia con quanto disposto dall’art. 9, comma 1,

della legge 8 giugno 1990, n. 142” nel testo del 2011, che non può prescindere dal

TUEL vigente, non si specifica alcunché sull’autonomia gestionale dei Comuni mentre

nel Capo III si dettagliano le norme sul funzionamento delle Unioni.

Il preambolo della legge esprime la necessità di procedere nel riordino della normativa

regionale di settore avviando, al tempo stesso, un più ampio percorso di riforma

complessiva dell’ordinamento locale, volto ad accrescerne l’efficienza ed a ridurne i

costi di funzionamento, quindi ancora una volta l’obbiettivo principe della norma ha un

contenuto finanziario e tralascia, o perlomeno considera secondari ricercare processi di

miglioramento della formazione delle decisioni politiche interne dei Comuni. Si prevede

87

invece un apposita commissione congiunta tra il Consiglio Regionale e il Consiglio

delle autonomie locali (CAL), a cui viene attribuito il compito di elaborare, sulla base

degli approfondimenti necessari e nelle more della definizione del quadro normativo

nazionale, proposte per il riordino dell’ordinamento regionale degli enti locali e per

l’individuazione dei principi, delle norme e delle politiche della cooperazione tra la

Regione egli enti locali stessi. Con l’istituzione della commissione congiunta si mira a

valorizzare il ruolo del CAL quale organo di rappresentanza del sistema delle autonomi

e locali della Toscana;

Si dà attuazione alle norme del decreto legge 78/2010 convertito, con modificazioni,

dalla legge 122/2010, per l'esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali

dei comuni; Per dare piena attuazione a tali norme statali, che dispongono sull'esercizio

associato obbligatorio, mediante convenzione o unione, delle funzioni fondamentali dei

comuni, si dettano anzitutto norme integrative su dette forme associative, nel rispetto

della ripartizione delle competenze legislative stabilita dall'articolo 117 della

Costituzione e degli orientamenti assunti dalla Corte costituzionale circa il carattere

tassativo delle materi e indicate dalla lettera p) del secondo comma dell'articolo 117

stesso le norme integrative regionali sono comunque dettate nell'ambito dei principi del

d.lgs. 267/2000 (TUEL);

Le Unioni secondo la legge regionale hanno l'obiettivo di assicurare il buon

funzionamento di un soggetto che è destinato ad assolvere ad un ruolo nuovo e di

grande rilievo per i comuni di minore dimensione demografica obbligati dalla legge

dello Stato all'esercizio associato delle funzioni fondamentali. L'unione deve perciò

essere dotata di organi che siano in grado di costruire un indirizzo politico-

amministrativo unitario e deve funzionare con continuità.

88

Già il DL 78/2010 all’art. 14 comma 30 aveva stabilito che le Regioni, nelle materie di

cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individua con propria

legge, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle

autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni

fondamentali e così la legge regionale prevede l'identificazione di 37 ambiti di

dimensione territoriale adeguata , nei quali sono compresi tutti i 90 comuni tenuti a

detto esercizio, identificati sulla base delle soglie di popolazione definite dalle norme

statali.

Se in passato l’obbiettivo dichiarato era stimolare la fusione tra Comuni, con la nuova

legge, probabilmente consci del mancato raggiungimento di tale obbiettivo malgrado

l’imposizione dall’alto, le fusioni non sono più centrali e ci sono meno vincoli ma non

si rinuncia a specificare, al punto 17 delle considerazioni introduttive, che l’obbiettivo,

malgrado il rafforzamento delle Unioni resta proprio la fusione:

“17. Si favoriscono processi aggregativi, anche attraverso l’incentivazione

all’istituzione delle stesse unioni di comuni, che possano portare nel tempo a fusioni. E’

stabilito, perciò, il principio che la Regione promuove i processi di fusione, in

particolar e dei comuni tenuti all’esercizio obbligatorio di funzioni fondame nt ali,

dandovi attuazione attraverso la previsione di contributi regionali di sostegno alle

fusioni, di disciplina degli effetti della fusione, di impegni specifici per raggiungere

intese e promuovere le leggi di fusione;”

All’art.1 della nuova legge è sintetizzato lo scopo della stessa ed emerge in maniera

evidente la volontà di intervenire sul lato economico, ora definita cooperazione

finanziaria:

89

“La presente legge detta norme sul sistema delle autonomie in Toscana, definendo gli

strumenti per la cooperazione finanziaria e l'attuazione della legislazione statale

sull'esercizio associato delle funzioni fondamentali dei comuni, per il riordino di enti, e

per lo sviluppo delle politiche in favore dei territori montani e disagiati, anche

insulari.”

All’art 6 si precisa cosa si intenda per cooperazione mediante l'organizzazione dei flussi

informativi, la condivisione dei dati finanziari e tributari, la gestione del patto di

stabilità territoriale, il potenziamento delle azioni di contrasto all'evasione fiscale e

l'adozione di misure per la riduzione dell'indebitamento degli enti locali. Il cittadino in

quanto tale, come cliente e usufruitore di un servizio pagato con i soldi pubblici sembra

scomparire totalmente dal panorama del legislatore toscano mentre opera e definisce gli

enti locali. Il dato centrale, su cui sembra costruito tutto l’impianto e i conseguenti

processi, è focalizzato sulla riscossione delle imposte e sul passaggio di dati tra i diversi

livelli di enti locali. Il legislatore toscano aveva già chiaro dove si andava a parare per la

tassazione locale, infatti il sistema catastale deve diventare “connesso” tra tutti gli enti e

l’altra direttrice è la gestione di un sistema informativo unico per monitorare la spesa

degli enti locali.

La Regione si riserva una certa autonomia di intervento economico perequativo a favore

di comuni per i quali lo ritiene necessario e inserisce nella legge norme di primalità

indirizzate a promuovere comportamenti virtuosi. Questo succede prima ancora di

definire quali siano gli organi delle Unioni e i loro principi di funzionamento di cui al

Titolo III. Infatti tutto il Titolo II norma primalità e stimoli per pratiche virtuose

preminentemente rilevanti ai soli fini del patto di stabilità, un po’ come se volessi

definire il modo di attribuire un punteggio di una gara prima ancora di aver definito che

90

tipo di gara sia. Le norme regolatrici delle Unioni, enti di secondo livello, prevedono la

presenza come consiglieri di tutti i Sindaci e dei consiglieri dei singoli comuni nel

numero di uno ciascuno per la maggioranza e uno scelto tra le liste non collegate al

Sindaco impedendo cosi che eventuali defezioni tra le maggioranze dei singoli comuni

possano di fatto spostare gli equilibri dentro il consiglio dell’Unione. L’unione è retta da

una giunta composta di diritto dai Sindaci dell’Unione e tra questi, la giunta stessa o il

consiglio dell’Unione, sceglie il Presidente.

La Giunta e il Consiglio esercitano le funzioni attribuite dalla legge, dallo statuto e dai

regolamenti e compiono tutti gli atti rientranti nelle funzioni di governo che non siano

riservati, dalla legge e dallo statuto, al consiglio o al presidente. La Giunta adotta i

regolamenti sull'organizzazione degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei principi

stabiliti dallo statuto e degli indirizzi deliberati dal consiglio. Un’altra norma che aiuta

nell’individuare luci e ombre della legge regionale toscana è l’art.42 comma 2 quando

stabilisce che i Comuni sono tenuti a trasferire all'Unione le risorse finanziarie

sufficienti alla copertura integrale delle spese per il funzionamento dell’Unione stessa, e

comunque allo svolgimento delle funzioni, dei servizi e delle attività dell'ente. Nessun

autonomia impositiva è quindi prevista a favore dell’Unione, lasciando sostanzialmente

in un guado il Presidente dell’ente che, seppur dotato formalmente dei poteri per

caratterizzare con la sua Giunta le line guida dell’Unione, è poi totalmente vincolato alla

effettiva disponibilità del singolo comune di trasferire le risorse, evidenziando dunque

una totale discrasia tra i poteri di governare dell’Unione e la effettiva possibilità di

attuare tale potere.

Il problema di fondo sembra risiedere nei motivi stessi che il legislatore mette a

fondamento della legge: principalmente motivi di contenimento e razionalizzazione

91

della spesa pubblica senza considerare che i risparmi economici ottenibile nelle gestioni

dei Comuni non possono prescindere da modelli di erogazione dei servizi che

dovrebbero garantire livelli qualitativi in linea con la media nazionale senza creare

quindi cittadini di serie A (comuni metropolitani) e di serie B (comuni rurali) e che, tali

risparmi, sebbene facilmente individuabili e misurabili in termini numerici, non sono

assolutamente altrettanto facilmente ottenibili nella reale azione di governo del territorio

se non accompagnati da un contemporaneo miglioramento dell’efficacia ed efficienza

della macchina amministrativa, sia nei mezzi che nella preparazione del personale e i

tagli ai capitoli di spesa hanno spesso proprio impedito qualsivoglia investimento in tal

senso.

Resta materia oscura e completamente ignorata dalla legge regionale la questione dei

rapporti tra i Consigli e le Giunte dei Comuni con quelle dell’Unione. In pratica il

trasferimento della funzione fondamentale all’Unione, che sembra un atto tutto

sommato semplice, lo è solo nell’ipotesi che l’Unione sia un passaggio verso la fusione

dove gli organi dell’Unione stessa si preparano alla assunzione di tutte le responsabilità,

politiche, amministrative e tecnica nell’erogazione del servizio.

Emerge poi un altra contraddizione, di fatto abbiamo visto che le attuali Unioni hanno

iniziato a costituirsi solo quando la questione delle fusione è stata accantonata o

comunque messa in disparte, però l’impianto delle stesse è rimasto sostanzialmente lo

stesso di prima e prevede lo spostamento delle funzioni verso l’Unione non solo dal

punto di vista dell’erogazione del servizio ma anche della programmazione politica in

vista, appunto, del successivo passaggio alla fusione che a quel punto appare come un

evento naturale e conseguenziale alla inutilità concreta dei singoli Comuni spogliati di

tutte le loro funzioni. Dalla lettura combinata della legge regionale toscana nr. 68/2011

92

e di uno Statuto come quello dei Colli Marittimi Pisani si evince che i percorsi di

governance tra i singoli comuni e l’Unione son un tema totalmente assente, la domanda

del perché sia capitato, malgrado la autonomia lasciata ai Comuni dalle riforme

autonomiste la dice lunga sulla impreparazione degli amministratori locali a gestire un

processo cosi delicato.

All’art 3 troviamo dettagliate le finalità dell’Unione:

Art. 3 - Finalità

1. L’Unione si costituisce allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di

funzioni e servizi di

competenza dei Comuni aderenti. A tal fine essa rappresenta l’ambito ottimale per la

gestione associata delle funzioni e dei servizi.

2. L’Unione si pone altresì la finalità strategica di perseguire obiettivi di:

a) pari opportunità (garantire a tutti i cittadini dell’area i medesimi diritti di accesso

ai servizi);

b) efficienza e contenimento dei costi, ottimizzando il rapporto tra i costi stessi e la

qualità del servizio, attraverso le economie di scala derivanti dall’uso integrato dei

fattori di produzione interni ed esterni all’ente, in direzione di una tendenziale

riduzione dei costi;

c) efficacia (aumentare la specializzazione degli addetti per un miglior servizio al

pubblico) e maggiore qualità dei servizi;

d) sviluppo di politiche integrate unitarie, per impiegare al meglio le vocazioni e

potenzialità di ciascun territorio, ricercando l’armonizzazione dei regolamenti in

tutti i campi;

e) peso politico dell’area (elevare la forza contrattuale della zona rispetto ai livelli

politici e amministrativi sovra ordinati);

f) adeguatezza dimensionale (i difficili problemi di ordine ambientale, economico,

sociale e migratorio richiedono enti strutturati per gestire risposte complesse);

93

g) valorizzazione e sviluppo professionale delle competenze, ampliando le

possibilità di utilizzazione delle professionalità;

h) salvaguardare le peculiarità ambientali del territorio. Tutelare il patrimonio

artistico, paesaggistico, culturale e le tradizioni locali;

i) valorizzazione della partecipazione, dell’informazione e della trasparenza, in

applicazione delle leggi nazionali e regionali vigenti;

Tutti temi, materie e valori, che seppur condivisibili, non trovano puntuale riscontro in

alcuna parte dello Statuto e non individuano quali risorse e mezzi il Presidente abbia a

disposizione per intervenire concretamente.

All’art 9 troviamo la descrizione delle funzioni dell’Unione:

Art. 9 - Funzioni dell’Unione

1. L’Unione esercita, in luogo e per conto di tutti i comuni partecipanti, le funzioni

fondamentali e i servizi stabiliti dalla legge. E precisamente:

a)organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e

controllo;

b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi

compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

d) pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la

partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di

coordinamento dei primi soccorsi;

f) organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero

dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;

g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle

relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto

comma, della Costituzione;

94

h) edilizia scolastica (per la parte non attribuita alla competenza delle province),

organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

2. I Comuni aderenti possono altresì conferire all’Unione ulteriori funzioni oltre che

compiti di rappresentanza generale nell’interesse dei Comuni aderenti.

3. L’Unione può, a richiesta, fornire servizi anche a favore di enti pubblici terzi,

sempre ché le attività richieste siano incluse nell’insieme di funzioni già attivate e

con addebito dei costi relativi, previa stipula di convenzione regolatrice dei rapporti.

4. L'Unione assuma l'esercizio di funzioni di altri soggetti pubblici, diversi dagli enti

locali, per esercitarle

limitatamente al territorio dei comuni associati.

Terminata l’elencazione delle funzioni, che non aveva a mio parere bisogno di entrare

nel dettaglio essendo funzioni di competenza comunale già stabilite dalla legge, all’Art

11 si trova un breve accenno agli standard qualitativi di erogazione dei servizi che nel

medio periodo deve indirizzarsi verso un livello omogeneo di servizi e tariffe, ancorché

potenzialmente variabile entro un intervallo contenuto e prestabilito in rapporto a

specificità territoriali e situazioni storiche consolidate, senza perder di vista la necessità

di conseguire condizioni di pari opportunità e trattamento per i cittadini residenti nei

Comuni aderenti. La stessa norma prevede un eccezione importante e lascia salva la

facoltà per il singolo ente aderente di prevedere e richiedere all’Unione standard di

servizio superiori al livello comune deciso ed applicato. Per farlo deve anche conferire

all’Unione medesima le necessarie risorse aggiuntive sulla base della quantificazione

effettuata dagli organi tecnici. Anche qui emerge l’ambiguità di chi, in sostanza, prenda

le decisioni. I Comuni o l’Unione? e sulla base di quali poteri reali ed effettivi può il

Presidente dell’Unione pianificare azioni e obbiettivi comuni? Se rimane chiaro che il

Comune possa chiedere all’Unione un servizio su misura, è sicuramente più oscuro e

95

carente di reali strumenti regolatori il percorso tramite il quale un Comune può

prevedere standard di livelli diversi, atteso che l’ufficio che li determina risponde alla

Giunta dell’Unione e non ai Comuni. In pratica abbiamo una riserva di competenza di

indirizzo politico al Comune membro senza però che questa sia inserita in un chiaro

percorso istituzionale utile ad evitare conflitti.

Se scindiamo il ruolo del Sindaco-Assessore e dei consiglieri nominati nel consiglio

dell’Unione e guardiamo allo Statuto del singolo comune di appartenenza sorge chiara

la domanda: fin dove e con quale incisività può spingersi il singolo Comune con la sua

Giunta e il suo Consiglio Comunale nel chiedere? E fin dove può incidere nelle

politiche di programmazione dell’Unione?

Se il succitato Art. 9 conferisce all’Unione il potere di esercitare le funzioni

fondamentali e i servizi stabiliti esso stesso determina che ciò avviene solo “in luogo e

per conto di tutti i comuni partecipanti”, quindi possiamo presumere che avvenga per

delega di esercizio o mediante una qualche forma di intesa o convenzione approvata dal

singolo consiglio comunale su proposta della sua giunta, ma allo stato attuale non vi è

traccia di un percorso istituzionale regolamentato atto soprattutto ad impedire i possibili

conflitti che si possono verificare. Emerge che non si è valutato un aspetto non

indifferente circa lo sviluppo sociale ed economico dei cittadini e la valorizzazione del

territorio, temi su cui gli enti locali dovrebbero impostare la propria attività

confrontandosi quotidianamente attraverso canali predisposti appositamente e in cui agli

interlocutori siano conferiti i poteri di incidere con ruoli chiaramente riconoscibili anche

per i cittadini e soprattutto per le imprese. Da questo punto di vista, è logico che quanto

più un soggetto pubblico è dotato della forza, delle competenze e del potere contrattuale

necessari, tanto meglio può corrispondere alle esigenze della popolazione e del

96

territorio, misurandosi attivamente con i problemi e operando le scelte che gli

competono. Nel caso di specie si evidenzia come la delega all’Unione dovrebbe dar vita

ad un rapporto particolare tra delegante e delegato, da non confondersi con un rapporto

di gerarchia. Nel diritto amministrativo il rapporto nascente dalla delega è un rapporto

di supremazia, in cui il delegante è titolare di alcuni poteri e diritti sul delegato, il quale

a sua volta è in posizione di soggezione e di obbligo. Per la delega, infatti, non si

richiede il consenso del delegato, il quale non può né rifiutare né restare inerte, tant’è

che è previsto il potere sostitutivo del delegante in caso di inerzia del delegato. Quando

la delega conferisce il potere di esercitare una competenza «entro i limiti delle direttive»

del delegante, il delegato gode di una circoscritta discrezionalità nell’eseguire le

istruzioni impartite; l’inosservanza delle direttive può dar luogo a responsabilità perché

le direttive non sono soltanto una prescrizione alla persona ma anche un limite ai poteri

e alle facoltà conferite con la delega, da cui deriva l’illegittimità del provvedimento

eventualmente emanato in contrasto, ma di tutto questo non vi è alcuna traccia.

L’attuale inquadramento istituzionale che si legge dallo Statuto corrisponde più al caso

di una delega in bianco all’Unione ed in particolare alla Giunta dell’Unione dove,

presumiamo, il legislatore abbia ritenuto sufficiente la presenza del Sindaco come tutela

e garanzia degli interessi del singolo Comune. Qui il Sindaco può enunciare le proprie

direttive che però non provengono da un percorso condiviso con le istituzioni

rappresentativi del proprio territorio (consiglio comunale e giunta) ed egli siede in

minoranza. Questo vuoto, o meglio assenza di coordinamento tra i tavoli istituzionali

esistenti, impedisce di vedere l’Unione dei Comuni per quello che altrove (vedi Francia

e Germania) ha rappresentato.

97

L’Unione dei Comuni dovrebbe principalmente risolvere i problemi nella erogazione

dei servizi grazie ad una maggior competenza tecnica rispetto all’ufficio del piccolo

Comune e grazie ad una migliore condivisione delle risorse disponibili, producendo nei

fatti una migliore idoneità o abilità nell’eseguire gli atti e quindi la funzione

amministrativa. Dovrebbero essere in conclusione proprio le norme di competenza,

espressione non di una mera esigenza di divisione del lavoro, a determinare i processi di

formazione delle direttive in cui non si può prescindere da una determinazione precisa

di chi abbia la responsabilità politica di programmazione e indirizzo ai vari livelli.

I modelli organizzativi e gestionali dovrebbero prevedere l’iter con cui la delega, che

attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla

specifica natura delle funzioni delegate, possa prender vita coinvolgendo effettivamente

le istituzioni preposte alla rappresentanza democratica ma questo, per ora, non risulta

essere espressamente previsto. La giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato la

necessità imprescindibile di uno specifico e puntuale contenuto della delega, che deve

essere dettagliata, articolata ed esplicita nel definire compiti e funzioni e non può essere

una delega in bianco come successo fino ad ora.

Il mantenimento da parte dei Comuni degli Statuti vigenti al momento della nascita e

costituzione delle Unioni probabilmente risponde alla necessità politica di sotto pesare

l’influenza dell’Unione stessa sul futuro del Comune. Non si fanno intravedere ai

Consiglieri la perdita di potere che, formalmente, sembra non esserci dato che le loro

competenza Statutarie restano invariate. Il passaggio delle prime funzioni dai Comuni

alla Unione avviene con convenzioni che si limitano a stabilire la distribuzione dei costi

tra i membri dell’Unione e determinano il funzionamento e l’organizzazione dell’ufficio

stesso all’interno dell’Unione, compito che per statuto dell’Unione spetterebbe alla

98

Giunta dell’Unione e non certo alle convenzioni con i singoli membri, quindi si ignora

completamente la natura e l’obbiettivo della delega stessa, ossia la regolamentazione del

rapporto tra singolo Comune membro e l’ufficio dell’Unione finanche a travilacarla.

Nella convenzione regolante il passaggio della funzione delle Polizia Municipale

dell’Unione dei Colli Marittimi Pisani è previsto un “sistema direzionale” (art.9) così

articolato:

- il Presidente della Giunta dell'Unione coordina in generale l'attività di Polizia

Locale del territorio dell'Unione, nel rispetto delle specifiche prerogative dei

Sindaci fissate dalla legge;

- la Giunta dell'Unione definisce le direttive e gli indirizzi della gestione del servizio

e ne verifica l'attuazione;

- il Comandante del Corpo/Responsabile del servizio coordina l'impiego tecnico-

operativo degli addetti sulla base delle esigenze del servizio ed assolve le funzioni

di cui all'art.9 della Legge 65/1986, delle Leggi Regionali in materia e di quelle

previste dal Regolamento del Corpo, inoltre, ha il compito di recepire le direttive

generali dei Sindaci elaborando piani operativi, uniformare tecniche operative ed

organizzative del servizio, aggiornare il personale, relazionare il Presidente e la

Giunta dell'Unione sul funzionamento e sull'efficacia del servizio.

- Il Comandante dei Corpo/Responsabile del servizio è responsabile della gestione

operativa dei personale e delle risorse strumentali affidategli e svolge le funzioni

organizzative e gestionali in modo da attuare le direttive e gli obiettivi determinati

dalla Giunta dell'Unione.

Una prima e semplice contraddizione di processo la si individua quando stabilisce che la

Giunta dell’Unione e il Presidente definiscono le direttive e gli indirizzi della gestione

con l’unico limite delle prerogative dei Sindaci fissati dalle leggi mentre il Comandante

del Corpo ha il compito di recepire le direttive generali dei Sindaci. Quindi a chi

99

risponde il Comandante del Corpo? Quali direttive sono più pregnanti, quelle dei

Sindaci o della Giunta o del Presidente dell’Unione? Cosa succede se le direttive della

Giunta, dove un sindaco è un minoranza, fossero in contrasto con quelle dei Sindaci?

La questione delle prerogative dei Sindaci facente la funzione di ufficiali di governo con

le responsabilità della gestione della Sicurezza e di polizia giudiziaria, funzioni

affidategli dalla legge, dove pur non avendo un vero potere di indirizzo quanto piuttosto

un obbligo di esercizio non sembra essere un problema. Esse sono state delegate

all’Unione senza bisogno di specificare i contenuti della delega in quanto già definiti

proprio nel limite delle prerogative determinate dalla legge e restava solo da definirne

l’obbligatorietà del rispetto per il delegato, ossia l’Unione, cosa puntualmente fatta.

Risolto questo aspetto resta dunque assolutamente carente la definizione di come gestire

la definizione delle linee guida (direttive) per l’ufficio e neanche la definizione delle

regole per la determinazione delle quote parte dei costi aiuta a ritrovare il bandolo della

matassa.

Rispetto ad altre regioni italiane in Toscana si è quindi proceduto rimanendo

nell’ambiguità di considerare le Unioni ancora come strumento per arrivare alle fusioni

e quindi, di fatto, tutto il processo della loro nascita ha l’obbiettivo di “svuotare” le

competenze dei singoli membri trasferendoli tout-court al nuovo ente, con una delega in

bianco cosi che, alla fine del processo, emerga una sostanziale inutilità dei singoli

comuni rimasti, facilitando di fatto la fusione.

Per valutare un approccio diverso si prenda l’esempio dell’Unione di Comuni nell’alta

Padovana29

dove gli organi sono così definiti: il Presidente, il Vicepresidente, il

Consiglio di Amministrazione, il Comitato, le Commissioni. L’uso terminologico di

29 Corso per Master in Regolazione politica dello sviluppo locale, LE UNIONI DEI COMUNI Relatore:Prof. Paola Santinello, A.A. 2005/2006

100

parole come Consiglio di Amministrazione e Comitato lascia intendere chiaramente una

diversa visione di cosa sia l’Unione, non un surrogato più grande dei singoli comuni

bensì un fornitore di servizi ai singoli comuni. Nelle commissioni si è creato un secondo

anello di congiunzione tra Comuni e Unioni oltre al Sindaco. Esse sono composte

dall’Assessore competente per materia per ogni Comune dell’Unione, e da tre

componenti del Comitato stesso, hanno funzioni propulsive, consultive e di studio per

ciascuna funzione trasferita all’Unione. Se pensiamo alla situazione francese e tedesca

risalta subito che in Italia , pur lasciando piena libertà di organizzazione agli Enti

Locali, nel caso Toscano le Unioni hanno tratto impulso dal solo scopo di rispettare la

norma generale e accedere ai contributi lasciando cadere in secondo piano l’elemento

fondamentale della politica che è la ricerca di intese programmatiche per stimolare

progetti di sviluppo che coinvolgano tutti gli enti territoriali responsabili di un territorio

sia in senso orizzontale (comuni-comuni) che verticale (comuni-unioni-province-

regione).

Tornando ad analizzare lo Statuto dell’Unione dei Colli Marittimi Pisani emergono

almeno altre due evidenti contraddizioni. La prima riguarda la suddivisione dello

Statuto stesso che non ha una ripartizione sistematica e logica all’insegna della

tradizione giuridica italiana. Nel titolo I , norme generali, assente una forte enunciazione

di principi ispiratori, troviamo già all’articolo 5 e 6 le norme per lo scioglimento e

recesso dall’Unione, quasi che uno dei problemi più sentiti al momento della

costituzione dell’Ente non fosse il perché e il come si volesse stare insieme ma piuttosto

il come e quando si potesse recedere. Il titolo II si occupa dell’organizzazione degli

organi dell’Unione ( Presidente, Giunta, Consiglio e Commissioni) , perfette copie dei

conosciuti organi dei Comuni, il titolo III e IV, senza capire perché, si occupano della

101

organizzazione amministrativa e gestionale entrando in dettagli regolamentari che nulla

hanno a che fare con uno Statuto, il titolo V si occupa dei rapporti con i cittadini e della

trasparenza mentre il tiolo VI prevede le norme finali e transitorie dove l’unico articolo

veramente importante sembra il nr. 54 dove si stabiliscono le procedure per le modifiche

statutarie che, in linea con le disposizioni del TUEL, rimandano la competenza ai

singoli consigli comunali su iniziativa degli stessi o della Giunta dell’Unione,

tralasciando però completamente di prevedere un iter propositivo dello stesso Consiglio

dell’Unione che coinvolga la Commissione competente, strada logica se si vuol tutelare

una certa unità di intenti attraverso un luogo di mediazione ove siano tutti rappresentati.

Il percorso tedesco insegna proprio la necessità di un approccio culturale di dialogo tra i

soggetti coinvolti che qui è totalmente trascurato. L’unica previsione che sembra essere

stata presa in considerazione è il rispetto della sovranità dei singoli enti locali che si

associano, per cui ogni modifica debba da loro essere approvata, nessun dibattito o

proposta in merito al come si possa fare un accordo sulle eventuali modifiche è stato

preso in considerazione. Il che lascia capire che l’ipotesi di eventuali modifiche non è

stato preso in considerazione nella veste propositiva e coordinata ma solo nell’ipotesi di

contrasti.

La riorganizzazione interna delle risorse è un altro tema estremamente problematico. Il

legislatore è ben conscio che per riorganizzare gli uffici servano investimenti economici

concreti e agisce di conseguenza dettando norme che elargiscono contributi a chi decide

di avviare il percorso (prima per le Unioni ora per le fusioni). Quello che manca

totalmente è una concreta proposta di modelli di riferimento che rispettino la diversità

sociale, economica, dimensionale e geografica delle tante realtà italiana e permettano

alle comunità di scegliere quello che si ritiene più idoneo. L’Unione dei Colli Marittimi

102

Pisani, cinque comuni con circa 8000 abitanti, ha preso come modello di riferimento la

vicina Unione della Val d’Era, 13 Comuni aderenti, oltre 116.000 abitanti e circa 621

Kmq di territorio che rappresenta ad oggi una delle più grandi unioni di comuni italiane,

evidente che i due soggetti hanno ben poco in comune soprattutto nella organizzazione

degli uffici dove le risorse e le esigenze dell’uno non sono minimamente comparabili

con l’altro a partire dalla gestione e definizione dell’organigramma del personale.

I. conclusioni

Le conclusioni non sono facili da scrivere essendo tutti noi ancora in mezzo a un

percorso di riforme non concluso e soprattutto in gran parte ancora non attuate. Mentre

le esperienze e i percorsi non sono conclusi si discute di modifiche in corso d’opera

(Del Rio) proprio in queste ore. Preme però evidenziare che gli elementi esperienziali

dei percorsi francesi e tedeschi sono rimasti, nel percorso italiano, presenti solo nelle

enunciazioni di principio e nel sottofondo delle applicazioni. Probabilmente per una

diversa visione ed esperienza culturale storica dei nostri amministratori sulla quale non

si è intervenuto al momento di conferirgli l’autonomia di gestione e costruzione delle

Unioni.

Di certo, oggi, lo Stato centrale mantiene il controllo della spesa locale con un mezzo

assai semplice, il controllo assoluto sulle risorse economiche grazie ai tagli. Tagliati i

trasferimenti e introdotte le imposte locali, i Sindaci , pur ricevendo l’autonomia, si

sono trovati a gestire non solo la responsabilità della spese ma anche la reperibilità delle

stesse risorse e non solo per i progetti straordinari ma anche per la semplice spesa

corrente. Così, invece di concentrarsi sulla organizzazione dell’ente alla luce della

nuova autonomia si sono preoccupati, nella migliore delle ipotesi, di organizzare

103

l’esazione delle tasse e contenere gli effetti dei tagli mentre nella peggiore delle ipotesi

si sono messi alla finestra e hanno atteso non si sa bene cosa.

La cronica carenza di personale aggravata dal blocco delle assunzioni e dalla mancanza

di aggiornamento per il personale si è tradotta, specialmente nei Comuni più piccoli, in

un grave e costante calo qualitativo a causa del mancato e fisiologico turnover con

personale nuovo, magari appena uscito dalle università o dai corsi di specializzazione e

quindi più preparato e aggiornato soprattutto nell’uso dei nuovi mezzi telematici, uno

dei cardini per l’ammodernamento e per far ricrescere l’efficienza dei nostri piccoli

comuni,

Se paragoniamo l’attuale sistema delle amministrazioni locali ad una piramide troviamo

alla base i piccoli comuni che reggono il peso di tutta la struttura senza essere non solo

dimensionati ma neanche qualitativamente pronti per farlo. L’intervento attivato dal

legislatore è stato solo volto a cercare soluzioni dimensionali, stimolando l’aumento

della misura dei blocchi alla base unendoli tra loro, ma se essi sono composti di

materiale friabile la soluzione non può reggere oltre il primo breve momento. Ove la

debolezza delle Unioni si evidenzierà compiutamente si renderà necessaria e inevitabile

la fusione dei Comuni membri dato che la retrocessione degli stessi dall’Unione, anche

se politicamente voluta, non troverebbe più le risorse per essere compiuta veramente.

Allo stato attuale, preso atto della vigente normativa, ai Sindaci non è precluso un

percorso di difesa del loro comune che dovrebbe essere inteso non come erogatore di

servizi in proprio inteso ma come punto di incontro e di raccolta delle esigenze del

proprio territorio che poi, istituzionalizzate, vengono trasferite all’Unione per

provvedere ad una corretta risposta.

104

Il dimensionamento geografico minimo, proprio per le peculiarità territoriali italiane,

non può essere determinato in un numero di abitanti uniforme per tutta Italia ma

andrebbe perlomeno corretto sia con un indice relativo alla tipologia del comune (ad

esempio pianura, montagna, collina) come pure con un valore correttivo collegato alla

superficie del territorio governato correlato all’indice di densità abitativa.

La rivisitazione delle logiche degli ambiti territoriali ottimali può sembrare un dettaglio

rispetto ai grandi problemi che si incontrano sul percorso della ottimizzazione del

sistema amministrativo italiano ma le tecniche attuate per determinarli portano con se

uno dei motivi dei ripetuti fallimenti: lo scarso coinvolgimento della popolazione locale

nelle decisioni di come e perché intraprendere un determinato percorso e non un altro

per arrivare all’obbiettivo.

Un primo intervento rapido e di cui i singoli comuni partecipanti alle Unione possono

farsi carico è la costruzione di un percorso bidirezionale tra singolo comune e Unione

nella gestione delle linee di indirizzo politiche che si distingua rispetto al percorso

unilaterale che coinvolge l’organizzazione del personale e delle risorse.

Testi finita di scrivere a Riparbella (PI) – 15 giu 2014

Alessandro Lucibello Piani

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