Un'esperienza di consulenza filosofica interculturale

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI NAPOLI “FEDERICO II” MASTER INTERUNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN “CONSULENZA FILOSOFICA” A.A. 2008-2009 CONSULENZA FILOSOFICA E INTERCULTURA Candidati: Nicola Castaldo

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI NAPOLI “FEDERICO

II”

MASTER INTERUNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN

“CONSULENZA FILOSOFICA”

A.A. 2008-2009

CONSULENZA FILOSOFICA E INTERCULTURA

Candidati:Nicola Castaldo

Pia Pucci

1. L’identità e il riconoscimento nella prospettiva dell’intercultura : un

dibattito aperto

A partire dalla scoperta del cogito cartesiano, la

riflessione sull’identità e sulla soggettività è diventa

una chiave decisiva di comprensione del nostro tempo.

Il cogito apre la nostra modernità filosofica, ma

sappiamo che l’identità cartesiana, rigida e

monolitica, si definisce e si costruisce attraverso

l’esclusione dell’Altro, di ciò che non appartiene al

mondo della ragione. Inevitabile il riferimento

all’importante analisi che Michel Foucault dedicò alla

costruzione della follia, speculare a quella della

ragione cartesiana1. Nella sua Storia della follia, Foucault

scriveva che se c’è la possibilità di pensare una

ragione assoluta, come principio di verità e certezza, è

solo perché è stato compiuto un atto costitutivo

attraverso il quale si esclude ciò che realmente può

minacciare la fondatezza della ragione in modo radicale:

la follia, ciò che la ragione non è. La follia, ovvero

l’altro dalla ragione, può però fondare la mia

saggezza: se penso potrò sempre essere sicuro e al

riparo dalla minaccia dell’insensatezza, la mia identità

non è più costantemente minacciata da ciò che risulta

essere semplicemente “l’assenza d’opera", l’agire non

conforme ad un fine, la mancanza totale di progettualità

nell’esistenza.

Il mondo moderno ha voluto gestire l’Altro, tentando

quando possibile di assimilarlo a sè, o semplicemente di

ignorarlo, finchè tale rigidità escludente si è via via

sgretolata in seguito alle varie critiche interne allo

1 Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, BUR, Biblioteca Univ. Rizzoli, 1972, 1998.

stesso dibattito filosofico: a partire dalla critica

empirista al soggetto cartesiano, fino alla totale

decostruzione dell’identità elaborata da Nietzsche e

Freud, la modernità ha cominciato a fare i conti con

l’impossibilità, per l’uomo, di pensarsi come una realtà

monolitica e completamente trasparente a se stessa e

agli altri.

La questione dell’altro - dell’altro che è in noi e

fuori di noi- è da sempre parte integrante delle

riflessioni filosofiche sull’indentità; e lo è sempre di

più in quanto le società multiculturali sembrano

riflettere proprio tale questione, ponendoci di fronte

alla necessità di trovare delle modalità di

comunicazione con gli altri che salvaguardino identità,

differenze e riconoscimento dei diritti. Chiaramente

sembra essere proprio questo, oggi, uno dei nodi più

difficili da sciogliere : come integrare, realmente, il

problema del riconoscimento dei diritti dell’uomo con

quello della tutela delle differenze? E’ realmente

possibile parlare di diritti universali dell’uomo? Non è

certo questa la sede per affrontare una questione che ,

comunque, resta forse senza risposte definitive. Da

tempo, ormai, il problema del rapporto tra

riconoscimento e identità è al centro di molti

dibattiti. Rifacendoci alle efficaci riflessioni di

Taylor e Habermas2 , potremmo dire che la questione è

sostanzialmente questa: o si persegue una politica

dell’uguale riconoscimento, conferendo pari dignità a

ciò che universalmente è ritenuto “uguale”; oppure si

difende una politica della differenza che riconosca

l’identità unica di ciascuno. Tale politica,

chiaramente, richiede una differenziazione, dunque il

riconoscimento di qualcosa che non può essere condiviso

da tutti. In questo dibattito Habermas e Taylor prendono

una posizione abbastanza netta. Taylor difende la

posizione comunitarista secondo la quale il sistema dei

diritti è inevitabilmente cieco verso le differenze:

2 J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano 1998.

ogni Stato dovrebbe dunque anche promuovere una

determinata cultura e minoranza. Laddove è in gioco la

sopravvivenza di determinate comunità è necessario che

il liberalismo dei diritti sappia fare una passo

indietro e sottoporre il proprio sistema uniformizzante

a delle variazioni, scegliendo la sopravvivenza

culturale rispetto al trattamento uniforme. Secondo

Habermas, invece, una teoria dei diritti non è

necessariamente cieca verso le differenze culturali: non

quando alla base del sistema dei diritti ci sono le

reali volontà particolari della società. In fondo,

Habermas nota come una reale politica del riconoscimento

delle minoranze non debba far altro che riconoscere i

suoi membri come “individui” .

Non è possibile, forse, sciogliere questa questione così

problematica dal punto di vista filosofico, ma

sicuramente ciò che può essere condiviso è la

possibilità, e la necessità di pensare realmente all’

identità come ad un progetto, ad un divenire includente

l’altro.

La costruzione di un’identità, infatti, è un processo

che comporta sempre delle scelte: cosa includere o

escludere dai confini della nostra “costruzione” è un

fatto puramente arbitrario; possiamo dire, con Remotti3,

che “l’identità (…) non inerisce all’essenza di un oggetto; dipende invece

dalle nostre decisioni”. Se l’identità è un problema di

confini, decidere l’identità non vuol dire scoprirli,

magari nascosti sotto un’apparenza ingannevole, ma scegliere

in che modo tracciarli, decidere come costruire gli

oggetti, gli individui, e in che modo organizzare la

realtà connettendo e organizzando i suoi diversi

elementi.

Questa scelta di organizzazione è, come si è visto,

totalmente arbitraria e nel costituirsi essa esclude

necessariamente tante altre possibilità di connessioni,

tante altre configurazioni di identità ugualmente

legittime. Esse rappresentano la possibilità di

sovversione delle identità costituite:l’insieme delle3 R. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Bari, 1996.

scelte potenziali, le possibilità alternative di tagli e

configurazioni che contrastano la rigidità e la pienezza

dell’identità.

Remotti sottolinea come sia inevitabile la tensione tra

identità e alterità: l’identità si costruisce a scapito dell’alterità,

riducendo drasticamente le potenzialità alternative; è interesse perciò

dell’identità schiacciare, far scomparire dall’orizzonte l’alterità

Ma l’alterità ritorna. Le identità che cercano

continuamente di negarla vedono il loro tentativo

frustrato; perché la condizione di particolarità

dell’identità può essere volutamente mascherata e

negata, ma non cancellata: ogni identità avverte così,

in modo più o meno traumatico, più o meno evidente, una

sorta di ferita nel suo intimo, una breccia che mina la

propria illusione di universalità e completezza.

L’alterità rivela, insomma, l’identità come una

finzione, una maschera, indispensabile e irrinunciabile,

ma comunque sempre arbitraria. E’ chiaro che, in una

logica dell’identità pura e forte, l’altro non possa che

assumere le sembianze di un fantasma minaccioso, e come

sia breve il passo dal sentire in pericolo la propria

legittimità all’armarsi e corazzarsi contro ogni

intrusione, oppure a sferrare azioni di soppressione

dell’alterità.

Si può pensare, allora, ad un modo diverso di

concettualizzare il rapporto tra identità e alterità:

non più una tensione conflittuale, di negazione e

rifiuto dell’altro, ma il riconoscimento dell’alterità

non solo nella sua inevitabilità, ma anche nel suo

essere coessenziale all’identità. Ammettere, cioè, che

alterità e identità sono intrinsecamente legate nella

loro formazione: innanzitutto perché l’alterità stessa

viene prodotta dal processo di costruzione

dell’identità; in secondo luogo perché l’identità è

fatta anche di alterità ed è continuamente costretta a

negoziare con essa i suoi confini. In questa

prospettiva, l’identità non è più una costruzione

compatta e immutabile, ma risulta il frutto di un

processo continuo di contrattazione con l’altro, che

viene nel tempo, metabolizzato e ridefinito, come viene

ridefinita e continuamente alterata l’identità.

Oggi più che mai, dunque, si pone l’esigenza di mettere

in discussione una concezione forte dell’identità in

vista di una concreta prospettiva interculturale.

L’interculturalità rinvia ad un impegno comune che ha

come fine l'incontro attivo tra soggetti portatori di

culture differenti, aperti al dialogo, disposti a

modificare e a farsi modificare dagli altri.

L'intercultura è anzitutto riconoscimento dell'altro e

relativizzazione del proprio sistema di valori ed idee

per evitare di spiegare ed interpretare i sistemi di

vita degli altri attraverso le nostre categorie

concettuali. L'intercultura, quindi, richiede di fare i

conti con le proprie contraddizioni interne e di

rimuovere le gabbie concettuali che distinguono le

"nostre" dalle "loro" pratiche.

Le prassi politiche interculturali si differenziano da

quelle multiculturali perché il loro fine è l'incontro e

lo scambio tra culture piuttosto che il mero

riconoscimento dei diritti degli specifici gruppi

sociali. Ma è solo lasciandosi alle spalle l’illusione

della possibilità di una identità forte ed unica che è

possibile, realmente, parlare di inerculturalità; solo

la consapevolezza che ognuno di noi ha tante identità

differenti, è che queste, o almeno alcune di queste,

non sono un dato naturale a cui doversi necessariamente

uniformare, può portare ad una concezione includente

dell’identità4. E’ chiaro che questa è la sfida più

difficile e, volendo usare delle categorie forti , è una

sfida difficile per noi “occidentali” e per il

molteplice mondo dei migranti, in cui spesso il

trincerarsi dietro una forte appartenenza ai gruppi

resta l’unica difesa possibile.

In questo senso tali prassi non possono che essere

lette in chiave progettuale, come l’obiettivo verso il

quale far convergere gli sforzi teorici e pratici di chi4 A. Sen, Identità e violenza,Laterza, Bari, 2006.

non riesce a stare al mondo senza pensare anche al mondo.

2. L’esperienza di tirocinio: un progetto di laboratorio

filosofico su “identità e differenza nella prospettiva dell’interculturalità.

Il nostro tirocinio si è svolto presso lo sportello

Immigrati della Provincia di Napoli. la prima volta che

abbiamo messo piede all'interno dello sportello, ci è

subito parso chiaro che non sarebbe stato facile

ritagliarci immediatamente un ruolo netto e ben definito

all'interno di quella struttura. Lo sportello è

frequentato quotidianamente da una moltitudine di

persone di diversa provenienza: cinesi, sirilankesi,

uomini e donne provenienti dall'est Europa o dal

continente africano; persone giunte in Italia, a Napoli,

per i più disparati motivi che cercano presso quel luogo

un aiuto per orientarsi fra la burocrazia e i mille

problemi quotidiani, grandi o piccoli, che l'Italia di

oggi prospetta allo straniero. Ci sono persone che

chiedono ausilio per un permesso di soggiorno o per

ricevere quanto gli spetta da un datore di lavoro.

C'è poi chi un lavoro non ce l'ha ancora e si reca

presso lo sportello per trovarlo, o, come ci è capitato,

chi è alla ricerca di un familiare venuto in Italia

tempo fa e poi scomparso,recluso all'interno di una casa

di cura o di una prigione.

In questo contesto, non certo facile, operano i

mediatori culturali e gli operatori dell'associazione

Less (Lotta all'Esclusione Sociale) che gestisce per

conto all’Assessorato alla Pace, Cooperazione

Internazionale e Immigrazione della Provincia di Napoli,

lo sportello.

Quotidianamente gli operatori cercano di fare tutto il

possibile per aiutare i migranti che si rivolgono loro,

fornendo servizi di orientamento e accompagnamento al

lavoro, assistenza legale e guida ai servizi, creando

sinergie con tutte le comunità di migranti presenti sul

territorio.

Difficilmente dunque un operatore, impegnato nelle

tante attività che ogni giorno coinvolgono lo sportello,

poteva dire a noi aspiranti consulenti filosofici cosa

fare o come farlo. Dopo una prima fase di

disorientamento, in cui abbiamo dovuto rimboccarci le

maniche per studiare e comprendere il contesto in cui

eravamo chiamati ad operare, abbiamo iniziato, nei

limiti delle nostre possibilità, a dare una mano in ogni

modo nelle varie attività quotidiane dello sportello.

Dal calcolo del TFR fino alla compilazione del modulo

per la richiesta di permesso di soggiorno, ci siamo

impegnati per entrare all'interno dell'istituzione e del

suo funzionamento al fine di comprendere in che modo

fosse possibile agire, con gli strumenti della

filosofia, in una situazione in cui le persone che ci

trovavamo davanti avevano innanzitutto bisogno di un

tetto, di un lavoro, o di assistenza legale.

Durante il lavoro allo sportello siamo venuti a

conoscenza del progetto I.A.R.A. (Integrazione

Accoglienza Rifugiati e Richiedenti Asilo) che è

inserito all'interno del programma nazionale di

protezione per i rifugiati e i richiedenti asilo

(S.P.R.A.R.).

Il progetto I.A.R.A. nasce nel 2004 e fornisce agli

aventi diritto oltre al vitto, un assegno mensile per le

spese personali oltre a assistenza legale e sanitaria,

inserimento scolastico per i minori e dei corsi di

alfabetizzazione . In particolare il progetto prevede 19

posti di accoglienza, suddivisi tra singoli, famiglie e

donne con prole. Fin dall’inizio il progetto si è posto

l’obiettivo di garantire un numero crescente di servizi

di orientamento e tutela ai RARU presenti sul territorio

napoletano, tra gli altri, vengono garantiti i seguenti

servizi: Redazione della memoria personale del

richiedente asilo; Reperimento e traduzione di tutti i

documenti che possano supportare quanto dichiarato dal

richidente asilo in relazione all’asserito fondato

timore di persecuzione; Iscrizione al Servizio Sanitario

Nazionale ed accompagnamento ai servizi sanitari; cura

della procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno

ecc.

Proprio entrando in contatto con alcuni dei beneficiari

del progetto I.A.R.A abbiamo avuto modo di intraprendere

la nostra attività di consulenza all'interno dello

sportello immigrati.

Le nostre conversazioni nate per caso hanno inizialmente

riguardato l'importanza che la filosofia può avere

nell'aiutare a prendere delle decisioni nella vita di

tutti i giorni.

In particolare, uno dei giovani richiedenti asilo ci ha

parlato di come avesse trovato particolarmente utile per

orientarsi nel mondo le quattro regole del metodo

cartesiano. Da queste conversazioni da prima sporadiche

e poco approfondite , ma poi sempre più puntuali e

frequenti, abbiamo tratto lo spunto per presentare ai

responsabili dello sportello un progetto.

Abbiamo pensato ad un percorso che ci vedesse coinvolti,

assieme ai richiedenti asilo (provenienti in questo caso

tutti da Burkina Faso), in degli incontri organizzati e

regolari, durante i quali poter discutere di tutti

quei temi di cui i migranti fino ad allora non avevano

potuto parlare, non trovando lo spazio per affrontarli

adeguatamente. Quest'idea ha suscitato subito

l'entusiasmo sia dei rifugiati, desiderosi di trovare

anche uno spazio di confronto e di espressione, sia dei

responsabili del progetto I.A.R.A., felici di poter

affiancare alle attività culturali già presenti per i

migranti (corsi di teatro, corsi di lingua ecc.), un

momento di ulteriore crescita non solo per i

partecipanti al progetto ma per gli stessi operatori

dello sportello.

Abbiamo iniziato così ad elaborare un percorso condiviso

che attraverso la lettura di testi filosofici ci

permettesse di trattare l'ampio tema

dell'interculturalità per coinvolgere in nostri

interlocutori in un dibattito che riguarda tutti da

vicino e che è risultato essere di straordinario

interesse per i nostri amici del progetto I.A.R.A.

Il laboratorio

In questo laboratorio abbiamo proposto un percorso di

lettura, dibattito e confronto sul tema dell’identità e

del riconoscimento a partire dall’analisi di alcuni

testi filosofici che riteniamo fondamentali per lo

sviluppo di questa riflessione.

Il progetto è stato inteso sin dall’inizio come percorso

chiaramente aperto: esso è stato dunque modificato ed

arricchito dalle suggestioni che sono emerse nel corso

degli incontri. In particolare un ragazzo ha mostrato un

interesse entusiasmante per questo laboratorio,

contribuendo con testi filosofici da lui cercati

autonomamente e , soprattutto, arricchendo noi stessi

attraverso i racconti, atroci e dolorosi, sulla sua

vicenda e sulla storia del suo Paese da cui è stato

costretto a scappare, a soli 27 anni, per motivi

politici.

Eppure, e questo dovrebbe farci riflettere tanto, in più

occasioni il ragazzo ha addirittura detto di rimpiangere

la violenza e le persecuzioni della sua terra, rispetto

alla non – vita che l’Italia gli sta facendo vivere. In

attesa dell’asilo politico, questa persona è

praticamente in un non luogo, non sa quale futuro lo

attenda e intanto vive un presente in una realtà che

ancora non sa realmente includere. In questa fase

abbiamo messo in atto un'azione di consulenza filosofica

personale rilevando come fosse poco utile rimpiangere

una scelta per ora non reversibile, sottolineando

proprio come le scelte più difficili e in qualche misura

irreversibili, che segnano l'esistenza , siano quelle

che contribuiscono a formare una soggettività forte in

un mondo dove la realtà virtuale del consumismo

imperante, fatta di scelte transitorie , instabili e

riproducibili, da luogo ad una completa de-

soggettivazione delle persone. In ogni caso non

sorprende, dunque, che proprio questa persona legga la

sua cultura di appartenenza come un patrimonio prezioso

da difendere ad oltranza, rifiutando, legittimamente,

qualsiasi discorso di natura universalistica ed

assimilatoria.

Dagli incontri con questa persona, in seguito ne

raccontiamo uno particolarmente significativo, abbiamo

imparato molto anche e forse soprattutto noi.

La struttura di fondo su cui abbiamo lavorato nei vari

incontri è la seguente:

Il cogito e la fondazione del soggetto moderno:

Cartesio, lettura dalle Meditazioni Metafisiche.

La critica empirista al cogito cartesiano: letture di

testi di Locke e Hume.

L’io incontra l’altro:

Hegel e il problema del riconoscimento: letture

dalla Fenomenologia dello

spirito e dalla filosofia dello spirito Ienese.

Il tema del riconoscimento nella prospettiva

psicoanalitica : Lacan, lo stadio dello specchio

Riconoscimento e multiculturalismo

Honnet, lotte sociali per il riconoscimento

Universalismo o tutela delle differenze? :

Habermas e Taylor a confronto

La critica al multiculturalismo

contemporaneo : Slavoj Žižek

Il riconoscimento giuridico dell’uguaglianza

La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e

del cittadino

Una critica all’uomo della dichiarazione dei diritti

dell’uomo: Marx

Decolonizzazione e lotte per il riconoscimento :

L'importanza dell'opera di Franz Fanon

3. Un incontro particolare

I nostri incontri si sono succeduti con cadenza

settimanale divenendo sempre più interessanti e

coinvolgenti per tutti i partecipanti. In una prima fase

abbiamo dovuto superare alcune difficoltà prima fra

tutte la diffidenza degli stessi partecipanti. I ragazzi

che hanno partecipato al nostro laboratorio filosofico

erano tutti, come già detto, dei rifugiati politici in

attesa del riconoscimento del proprio status da parte

delle autorità italiane. La lontananza dalla propria

terra, dalla famiglia e le enormi difficoltà che lo

sradicamento dal proprio ambiente culturale e dal

proprio universo simbolico comportano, hanno fatto si

che queste persone non si sentano a loro agio in un

paese che pone loro enormi difficoltà dal punto di vista

burocratico e umano, ostacolando e quasi impedendo il

cammino verso la loro completa integrazione.

Da qui deriva una diffidenza verso l'uomo occidentale

che a volte si rivolge nei confronti degli stessi

operatori dello sportello e, di riflesso, anche verso

noi consulenti filosofici . Abbiamo superato, nel corso

dei nostri incontri, questa diffidenza iniziale

sviluppando un dibattito sempre aperto e franco che ha

permesso ai partecipanti al laboratorio filosofico, di

scoprire l'importanza e l'utilità del pensiero critico e

della discussione dei concetti filosofici. Un secondo

elemento inizialmente problematico è stato la lingua. I

ragazzi che hanno partecipato agli incontri sono tutti

originari del Burkina Faso, e, nonostante parlassero un

buon Italiano, abbiamo dovuto lavorare alla

chiarificazione delle parole e dei concetti chiave dei

testi filosofici che di volta in volta abbiamo

analizzato per permettere di far emergere dal linguaggio

quelle sfumature di senso necessarie allo sviluppo della

discussione filosofica.

Le persone che hanno frequentato il laboratorio hanno

cosi raggiunto un grado di consapevolezza e di

coinvolgimento sempre crescente appassionandosi in

maniera esponenziale alle discussioni proposte. Proprio

durante uno degli ultimi incontri presso la sede dello

sportello immigrati ha avuto luogo un dibattito molto

serrato e animoso che è emblematico del notevole impatto

personale, ma anche socio-politico e culturale, che gli

incontri di consulenza hanno avuto sui partecipanti.

Durante la lettura di un passo di Marx, che prendeva in

considerazione la dichiarazione dei diritti dell'uomo

mettendone in evidenza limiti e contraddizioni

intrinseche, uno dei partecipanti ha preso le difese

della prospettiva universalistica evidenziando come

alcuni valori abbiano un importanza universale al di la

delle specificità culturali pur essendo stati

concepiti, e a volte imposti, dal pensiero

occidentale. A questo punto un giovane rifugiato

politico (di cui abbiamo in

precedenza accennato), costretto a lasciare la propria

terra poco più che ventenne

per aver costituito un'associazione culturale, con lo

scopo di far riscoprire ai suoi

concittadini le origini e l'importanza della cultura

africana, si è lanciato in un'appassionata difesa della

specificità delle culture locali come rivendicazione di

un'identità specifica, rilevando come i concetti di bene

e male, giustizia e ingiustizia, siano relativi alle

singole culture di appartenenza. Avevamo davanti a noi

un'incarnazione del dibattito odierno fra

multiculturalisti e universalisti.

Mentre l'universalista accusava il suo compagno di

difendere pratiche palesemente

lesive della dignità umana quali la pena di morte o la

mutilazione genitale,

femminile, il multiculturalista paragonava,ironicamente,

il suo interlocutore agli intellettuali africani (di

cui parlava Fanon in un passo letto poco prima5) che5 Franz Fanon: I dannati della terra, Einaudi 1961, 2007, Torino.

durante il periodo della colonizzazione europea

dell'Africa si appiattirono su posizioni culturali

occidentali contribuendo dapprima all'affermazione del

regime coloniale, e, durante la decolonizzazione, al

fallimento di ogni prospettiva di rinascita culturale,

politica e sociale dell'Africa. Il dibattito era giunto

ad una contrapposizione frontale da cui era difficile

uscire.

A quel punto nel tentativo di trovare una sintesi

feconda che evidenziasse le contraddizioni interne

ad ognuna delle due posizioni per cercare un terreno di

scambio più fecondo, siamo ricorsi alla lettura di un

breve passo del dissacrante

autore sloveno Salvoj Žižek6. Con l'aiuto del testo del

filosofo abbiamo evidenziato

come il punto di vista dell'universalismo liberale

possa nascondere una posizione di non dichiarata

superiorità eurocentrica. L'universalistà liberale

occupa il posto vuoto dell'universale riempiendolo di6 Slavoj Žiżek, Il soggetto scabroso, Raffello Cortina Editore, Milano 2000

contenuti in apparenza neutri ma in realtà

eurocentrici, tollerando l'Altro solo finchè esso è

l'Altro della cucina etnica, del folclore ecc. ; ma è

pronto a giudicarlo un barbaro o un terrorista non

appena viene a contatto con l'Altro reale.

L'atteggiamento multiculturalista rischia di chiudere

l'altro nella sua gabbia culturale impedendogli rapporti

con le altre culture.

Il filosofo sloveno sottolinea inoltre come la

politicizzazione delle lotte pere il riconoscimento

delle identità possa nascondere il fatto che mai come

nel nostro tempo esiste un'omologazione e uno

sradicamento culturale quasi totale causato dalla

diffusione globale del sistema capitalistico che diviene

l'unico orizzonte possibile della vita umana.

Per questo il sistema ingloba al suo interno le lotte

politiche per il riconoscimento ma è pronto a reprimere

e a soffocare ogni messa in discussione del sistema

stesso. Troppo o troppo poco dunque. Assieme alle

persone presenti all'incontro siamo giunti alla

conclusione che se l'atteggiamento liberale

universalista non riesce a comprendere il radicamento e

la condivisione a volte anche da parte delle vittime di

alcune pratiche socio-culturali dell'Alterità, anche

quando esse appaiono barbare e crudeli ( le vittime

della clitoridectomia la percepiscono spesso come modo

per riaquisire una dignità propriamente femminile);

d'altra parte il multiculturalismo manca di comprendere

che l'Altro è scisso in se stesso ovvero che i membri di

un'altra cultura lungi dall'identificarsi interamente

con le convinzioni sociali possono rifiutarle e

rivoltarsi contro di esse usando come catalizzatore che

da il via alla protesta contro le costrizioni culturali,

proprio il concetto “occidentale” di diritti umani.

Proprio per queste intrinseche contraddizioni interne ad

ogni cultura c'è vera comunicazione solo quando si

lavora assieme, con le proprie specificità, ad un

progetto comune, la solidarietà che si sviluppa in una

“lotta comune”. Abbiamo descritto quanto avvenuto in uno

dei nostri incontri per dare un'idea di come abbaiamo

operato durante le nostre sedute di consulenza

filosofica di gruppo.

La vivacità intellettuale e l'interesse che i

partecipanti hanno dimostrato (chi più chi meno in base

alla possibilità di frequentazione) ci fanno ritenere

sicuramente riuscita quest'esperienza di tirocinio.

L'attività svolta durante il tirocinio ha suscitato

l'interesse non solo dei partecipanti, ma anche di

persone esterne allo sportello, che ci hanno voluto

osservare e prendere parte nelle nostre discussioni

settimanali. Sicuramente molti aspetti del metodo da noi

adottato sono migliorabili e perfettibili, tuttavia come

prima esperienza concreta di consulenza filosofica

riteniamo di aver raggiunto l'obbiettivo di mettere in

campo una prassi filosofica che ha reso tutti i

partecipanti più consapevoli e più aperti alla fine del

ciclo di incontri, in primo luogo noi stessi. Perciò

siamo certi dell'importanza della consulenza filosofica

in ambito interculturale, sopratutto in un periodo di

grande confusione e contrapposizione, al livello

nazionale, su questi temi. Il dialogo ha sempre la

capacità di avvicinare le persone e di abbattere

barriere, un dialogo filosofico può contribuire a

costruire una nuova cultura di convivenza e

collaborazione fra tutti gli attori in gioco in questa

grande sfida dell'integrazione cui il nostro tempo ci

pone di fronte. Ci auguriamo dunque di poter continuare

il nostro laboratorio aprendolo ad un numero sempre

maggiore di persone con l'aiuto dei nostri amici

rifugiati che hanno partecipato alla nostra esperienza

di tirocinio e , confidando nella disponibilità della

direzione dello sportello immigrati, presenteremo un

progetto in tal senso.

Bibl

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