Il Movimento reale. Tucidide sulla guerra e l'uomo, in C. Altini (ed.), Guerra e pace. Storia e...

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35 1. La guerra, è stato osservato, costituiva per i Greci un fatto naturale, «come la nascita e la morte» 1 : non è certo per caso che il testo fondatore della cultura ellenica, l’Iliade di Omero, proprio di una guerra cantasse. In un simile contesto la scelta di Tucidide, che aveva «narrato la guerra tra i Pelo- ponnesiaci e gli Ateniesi» (I 1) 2 , non sembra dunque avere nulla di sorprendente. Eppure, come sempre nel caso di Tu- cidide, le cose sono più complesse e il rapporto con la tradi- zione molto più articolato. Dedicando i suoi sforzi alla ricostruzione e alla narrazione di una guerra, Tucidide s’in- serisce certamente in una tradizione consolidata. Ma la ripre- sa di temi tradizionali è a sua volta strumentale ad un discorso assolutamente peculiare, che rovescia di fatto numerosi ca- pisaldi del mondo greco. È questo quanto inevitabilmente ri- sulta quando si pensa la guerra rigorosamente (akribeia: I 22, 2; V 26, 5). 2. Per affrontare il problema e verificare in che modo Tu- cidide sviluppa il suo ragionamento, occorre fare un passo in- dietro e considerare in che modo i Greci valutassero la guerra. Per fare questo la soluzione più semplice è tornare ad Omero, a cui in un modo o nell’altro, polemicamente o no, tutti gli scrittori greci successivi avrebbero guardato. Nell’Iliade, testo fondatore in cui si depositano diversi momenti della civiltà MAURO BONAZZI IL MOVIMENTO REALE. TUCIDIDE SULLA GUERRA E L’UOMO 1 A. Momigliano, Some Observations on Causes of War in Ancient Hi- storiography, in Id., Studies in Historiography, London, Weidenfeld and Nicolson, 1966, pp. 112-126. Un’utile presentazione si legge in Y. Garlan, L’uomo e la guerra, in J.-P. Vernant (a cura di), L’uomo greco, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 55-86. 2 Le traduzioni di Tucidide provengono da Tucidide, La guerra del Pe- loponneso, trad. it., Torino, Einaudi-Gallimard, 1996.

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1. La guerra, è stato osservato, costituiva per i Greci unfatto naturale, «come la nascita e la morte»1: non è certo percaso che il testo fondatore della cultura ellenica, l’Iliade diOmero, proprio di una guerra cantasse. In un simile contestola scelta di Tucidide, che aveva «narrato la guerra tra i Pelo-ponnesiaci e gli Ateniesi» (I 1)2, non sembra dunque averenulla di sorprendente. Eppure, come sempre nel caso di Tu-cidide, le cose sono più complesse e il rapporto con la tradi-zione molto più articolato. Dedicando i suoi sforzi allaricostruzione e alla narrazione di una guerra, Tucidide s’in-serisce certamente in una tradizione consolidata. Ma la ripre-sa di temi tradizionali è a sua volta strumentale ad un discorsoassolutamente peculiare, che rovescia di fatto numerosi ca-pisaldi del mondo greco. È questo quanto inevitabilmente ri-sulta quando si pensa la guerra rigorosamente (akribeia: I 22,2; V 26, 5).

2. Per affrontare il problema e verificare in che modo Tu-cidide sviluppa il suo ragionamento, occorre fare un passo in-dietro e considerare in che modo i Greci valutassero la guerra.Per fare questo la soluzione più semplice è tornare ad Omero,a cui in un modo o nell’altro, polemicamente o no, tutti gliscrittori greci successivi avrebbero guardato. Nell’Iliade, testofondatore in cui si depositano diversi momenti della civiltà

MAURO BONAZZI

IL MOVIMENTO REALE.TUCIDIDE SULLA GUERRA E L’UOMO

1 A. Momigliano, Some Observations on Causes of War in Ancient Hi-storiography, in Id., Studies in Historiography, London, Weidenfeld andNicolson, 1966, pp. 112-126. Un’utile presentazione si legge in Y. Garlan,L’uomo e la guerra, in J.-P. Vernant (a cura di), L’uomo greco, trad. it.,Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 55-86.

2 Le traduzioni di Tucidide provengono da Tucidide, La guerra del Pe-loponneso, trad. it., Torino, Einaudi-Gallimard, 1996.

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greca, l’antichissima civiltà palaziale e il nuovo mondo dellapolis, la guerra costituisce di fatto un’esperienza inevitabile,di fronte a cui gli uomini reagiscono in due modi differenti, enon facili da tenere insieme. Da un lato, come ben sottolineatoin un celebre articolo di Simone Weil, abbiamo un sentimentodi pietà per l’orrore a cui l’uomo è esposto, che si traduce inuna condanna della violenza bellica: l’Iliade «poema dellaforza» è tutto meno che una esaltazione del conflitto3. D’altrocanto, si trova però un riconoscimento dell’importanza dellaguerra nella vita umana: nonostante tutto, la pietà che ac-compagna le sventure umane non si risolve in una condannatout court della guerra, che rimane un momento decisivo nellavita degli uomini. La guerra gioca anzi un ruolo fondamen-tale perché è il contesto in cui gli uomini possono mostraredavvero quello che valgono, conquistando quell’immortalitàche li può mettere al riparo dallo scandalo della morte. Farela guerra è insomma l’attività umana per eccellenza, quella chemeglio di tutto permette di distinguere tra chi veramente valee chi no: «polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tuttere; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni faschiavi gli altri liberi»4.

Il riconoscimento dell’importanza della guerra ha anchegiocato un ruolo nella nascita della storia come disciplina au-tonoma di sapere: «solo la guerra sembra, agli storici greci, unsoggetto davvero degno di memoria: essa fornisce il tema uni-ficatore delle loro opere»5. Esemplare a questo proposito è ilproemio delle Storie di Erodoto: «Questa è l’esposizione dellericerche di Erodoto di Alicarnasso perché le imprese degli uo-mini col tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi (me-gala) e meravigliose così dei Greci come dei Barbari rimanga-no senza gloria, e inoltre per mostrare per quale motivo ven-nero a guerra fra loro»6. Compito del poeta, e cifra della su-periorità di Omero, era la capacità di ricordare la grandezza

3 Cfr. S. Weil, L’«Iliade» poema della forza, in Id., La Grecia e le intuizioniprecristiane (1940), trad. it., Torino, Borla, 1967, pp. 11-41.

4 Eraclito, DK 22B53, trad. it. in I presocratici. Testimonianze e fram-menti, 2 voll., Roma-Bari, Laterza, 1986, vol. I, p. 208.

5 Y. Garlan, L’uomo e la guerra, cit., p. 55.6 Erodoto, Storie, trad. it., 4 voll., Milano, BUR, 2009, vol. I, pp. 74-75.

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delle imprese degli eroi garantendo loro l’immortalità. Obiet-tivo dello storico è quello di sostituirsi al poeta, garantendo asua volta che le vere e grandi imprese degli uomini sopravvi-vessero al tempo. Arriviamo così a Tucidide, che a sua volta,raccontando la guerra «più grande» (I 1, 2), si proponeva diconseguire un risultato destinato a durare «per sempre» (I 22,4). Le affinità sembrano chiare. In che senso allora la posi-zione di Tucidide si distingue da questa tradizione?

3. Una risposta inizia ad affiorare se si considerano in-sieme due celebri passi. Nella prima pagina del suo scritto,presentando il tema della sua narrazione e giustificandonel’importanza, Tucidide scrive:

Tucidide Ateniese ha narrato la guerra (ton polemon) tra i Pelo-ponnesiaci e gli Ateniesi. Si mise all’opera subito, ai primi sintomi,immaginando che sarebbe stata grande (megan) e la più memorabilerispetto a tutte le precedenti: lo arguiva dal fatto che entrambi af-frontavano la guerra mentre erano al culmine delle loro forze in ognisettore dell’apparato bellico, e dalla constatazione che il resto delmondo greco si schierava o con gli uni o con gli altri, chi subito e chinelle intenzioni. Fu il più grande sconvolgimento (kinesis […] me-giste) prodottosi nel mondo greco e, in certa misura, in quello nongreco: insomma per la gran parte dell’umanità (I 1, 1-2).

Tucidide ha dunque deciso di raccontare la guerra traAtene e Sparta, perché è stata la più grande: questa afferma-zione è ripetuta due volte e una lunga parte del primo libro (lacosiddetta archeologia) verrà dedicata proprio a confermareuna simile tesi. In sé, e basta a questo proposito confrontare lapagina di Tucidide con quella di Erodoto, non si tratta diniente di nuovo, perché la rivendicazione di grandezza è ilmodo tradizionale con cui si sottolinea l’importanza del pro-prio scritto7. Più interessante è invece il termine che Tucidide

7 A proposito del criterio della grandezza, e di come Tucidide lo usi inpolemica con gli scrittori precedenti, cfr. L. Canfora, La préface de Thucy-dide et la critique de la raison historique, in «Revue des Études grecques»,90, 1977, pp. 455-464.

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usa per descrivere l’oggetto della sua narrazione: se nella primafrase si usa, come c’era d’aspettarsi, polemos, successivamentesi legge kinesis. La traduzione sopra riportata ha «sconvolgi-mento»; il greco, più letteralmente, ha «movimento»: «fu il piùgrande movimento». L’impiego di questo termine è certamentepiù originale: è un primo esempio del modo in cui Tucididecerca di riappropriarsi delle parole per veicolare nuovi signifi-cati. Detto in altro modo, si tratta di una prima prova di quelloche lo storico continuamente farà nel seguito della sua opera,vale a dire cercare di ricavare dall’analisi rigorosa e puntuale disingoli fatti conclusioni di carattere generale8. Questo sforzodi astrazione, il modo scelto da Tucidide per «cogliere la realtàin una forma più rigorosa» secondo relazioni di causa ed ef-fetto9, è sicuramente un elemento importante dello stile di pen-siero tucidideo, di cui conviene tenere dovuto conto.

Significativamente, kinesis e i termini affini non occorronofrequentemente nello scritto tucidideo. Usato all’inizio congrande enfasi, il termine sembra poi retrocedere sullo sfondo.Ma è proprio questa parsimonia che rende ancora più signi-ficativo quello che si legge in un’altra pagina non meno fa-mosa, l’esordio dell’analisi della guerra civile di Corcira:

A tal punto di crudeltà giunse questa guerra civile (stasis); eparve ancora più crudele perché fu tra le prime: in seguito ne fusconvolto, per così dire, tutto il mondo greco (pan hos eipein toHellenikon ekinethe); in ogni città vi erano lotte fra i capi del par-tito popolare, che chiedevano l’intervento di Atene, e gli oligarchi,che chiedevano quello di Sparta (III 82, 1).

8 Sulla tendenza tucididea alla generalizzazione universalizzante cfr. J.de Romilly, Le discours des Lacédemoniens (IV 17.20) et la tendance à la gé-néralité dans l’histoire de Thucydide (1985), in Id., L’invention de l’histoirepolitique chez Thucydide, Paris, Éditions Rue d’Ulm, 2005, pp. 89-94.

9 J. de Romilly, L’utilité de l’histoire selon Thucydide (1956), in Id., L’in-vention de l’histoire politique chez Thucydide, cit., p. 20: «Il est du resteaisé de voir à quoi correspond ce goût pour l’abstraction, aussi sensibledans son style que dans sa pensée: il correspond au désir d’atteindre unevérité qui se présente avec l’évidence de l’intelligible. L’abstraction, eneffet, ne fuit pas la réalité, tout au contraire […]: loin de la fuir, elle entendl’atteindre sous une forme plus rigoureuse, en précisant des relations decause à effet, en isolant des facteurs bien déterminés».

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Ekinethe: la traduzione corretta di «sconvolto» sarebbe«mosso»; «in seguito ne fu mosso, per così dire, tutto il mondogreco». Per chi considera la cura con cui Tucidide dosa le pro-prie parole e la particolarità del termine usato, il parallelo trail prologo e la riflessione su Corcira non sono certo casuali10.Al contrario è proprio riflettendo su questo collegamento chela posizione di Tucidide inizia a delinearsi. In effetti, è facileosservare che le scelte linguistiche di Tucidide non sono maineutrali, ma mirano a provocare il lettore. Intanto, vale la penadi registrare il gioco di parole. Stasis in greco significa sì guerracivile; ma letteralmente indica riposo, quiete. La sovrapposi-zione virtuale tra stasis e kinesis, tra quiete e movimento, unaspecie di ossimoro dunque, sarebbe probabilmente suonatasorprendente alle orecchie di un greco. Ma il vero elemento dirottura è un altro ed è dirompente. Per i greci polemos e stasissono due attività ben distinte che nulla hanno a che fare. Da unlato c’è polemos, la guerra contro il nemico che dà la gloria alcombattente e procura il benessere alla comunità; dall’altro c’èinvece stasis, l’infame conflitto civile che è alla base della rovinadella comunità11. Tucidide, grazie al termine medio kinesis,equipara le due attività12. Il seguito del passo chiarisce il sensodi questa relazione:

E mentre in tempo di pace sarebbe mancato loro il pretesto, eneppure sarebbero stati propensi a chiamarli, in stato di guerra (po-lemoumenon) questi interventi, richiesti da chi intendeva prendereiniziative eversive, venivano garantiti volentieri all’una come all’al-tra parte in lotta al fine di nuocere agli avversari e al tempo stessoguadagnarsi alleati. Molte gravi sciagure colpirono le città lacerate

10 Così anche W.R. Connor, Thucydides, Princeton, Princeton Univer-sity Press, 1984, pp. 103-104.

11 Fondamentali a questo proposito sono C. MacLeod, Thucydides onFaction, in «Proceedings of the Cambridge Philological Society», 205,1979, pp. 52-68 e N. Loraux, Thucydide et la sédition dans les mots (1986),in Id., La tragédie d’Athènes. La politique entre l’ombre et l’utopie, Paris,Seuil, 2005, pp. 84-87.

12 Vale la pena di osservare che nel testo stasis è a più riprese associataa kinein: particolarmente importante è Tucidide, La guerra del Pelopon-neso, cit., VIII 48, 1, vale a dire l’inizio del racconto della stasis ateniese;cfr. inoltre III 75, 2; IV 76, 4 e 89, 2; V 25, 1; VI 34, 3; VIII 71, 2.

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dalla guerra civile (kata stasin), quali accadono e sempre acca-dranno fino a che la natura umana resterà uguale a se stessa, mache si identificano, si attenuano e prendono forma differente a se-conda del prodursi di alterne vicende. In tempi di pace infatti gliStati e i singoli individui, liberi dalla stretta di imperiose necessità,sono animati da sentimenti migliori (tas gnomas). Ma la guerra, por-tando via le comodità delle consuetudini d’ogni giorno, è maestradi violenza (biaios didaskalos), e rende conforme alle circostanzel’indole dei più (tas orgas) (III 82, 2).

Come si ricava da questo passo, stasis appare come laforma culminante della guerra, come l’esito a cui ha condottola guerra del Peloponneso: la guerra (polemos) è in altre paroleciò che pone le condizioni di possibilità per il conflitto civile(stasis), che non sempre emerge ma che, quando emerge, co-stituisce il vertice di polemos, la realizzazione più completadelle potenzialità scaturite dallo scatenarsi della guerra. Latradizione politica greca si è costantemente preoccupata diesorcizzare il fantasma della stasis, trattandolo come una ca-lamità meteorologica o un’epidemia. Ben diversi sono i risul-tati a cui giunge l’analisi di Tucidide, in cui «queste due formedi conflitto, che introducono il movimento nel mondo greco,vanno insieme»13.

E si può anche procedere oltre. Come ha mostrato acuta-mente uno studioso moderno, la centralità della stasis non silimita infatti alle sole pagine di Corcira: in realtà tutto loscritto di Tucidide è construito intorno al problema della sta-sis nella misura in cui, secondo Tucidide, la guerra del Pelo-ponneso altro non è stata che un’unica e immensa stasisall’interno della «nazione» greca14. Il parallelo tra il passo suCorcira e il proemio gioca dunque un ruolo fondamentale nel-l’economia del testo tucidideo: Tucidide ha deciso di raccon-tare la guerra del Peloponneso perché è stata la kinesis piùgrande, e la guerra del Peloponneso è stata la kinesis più

13 N. Loraux, Thucydide et la sédition dans le mots, cit., p. 85.14 Si tratta di J.J. Price, Thucydides and Internal War, Cambridge, Cam-

bridge University Press, 2001, che continua però a distinguere tra polemose stasis (cfr. ad esempio p. 70), contrariamente a quanto sostenuto in questepagine sulla scorta di N. Loraux, Thucydide et la sédition dans le mots, cit.

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grande perché ha prodotto una stasis globale, che è il verticedella guerra, la sua più completa realizzazione. La stasis, in-somma, non significa banalmente l’esplosione di un irrazio-nale incomprensibile, ma è piuttosto la radicalizzazione dimeccanismi già attivi nel normale svolgimento degli eventiumani15. I materiali sono tradizionali, non certo le conclusioni.

4. L’identificazione virtuale tra polemos e stasis gioca dun-que un ruolo strategico nel discorso tucidideo: è nella stasische si realizzano tutte le potenzialità del «movimento» dellaguerra; nella stasis, insomma, si comprende il significato el’importanza della guerra. Il perché è chiaro, ed è ancora unavolta esplicitamente affermato da Tucidide proprio nelle bat-tute iniziali della riflessione su Corcira, quando – ed è benericordare che si tratta di un fatto raro – fa sentire la propriavoce. «Fino a che la natura umana resterà uguale a se stessa»(III 82, 2)16: l’analisi della stasis (e dunque della guerra) è im-portante perché ci permette di comprendere qualcosa di so-stanziale a proposito della natura dell’uomo (III 82, 8)17.Polemos e stasis sono il prodotto più importante dell’attivitàumana; nella loro analisi, e in particolare nell’analisi del ver-tice di polemos che è la stasis, si potrà dunque comprenderela natura dell’uomo. In che cosa consiste questa natura?

5. Le considerazioni generali e conclusive (III 82-83), cheaccompagnano l’analisi minuziosa delle vicende di Corcira

15 Cfr. P. Ponchon, La rationalité tragique. Essai sur la constitution d’uneforme de pensée d’Héraclite à Thucidyde et sur sa critique platonicienne, Dis-sertazione di Dottorato, Clermont-Ferrand, Universitè Blaise Pascal Cler-mont-Ferrand II, 2010, p. 686: «La stasis n’apparait pas tant comme lavenue brutale d’un irrationnel caché qui activerait des principes maléfiquesque comme la radicalisation des mécanismes déjà en jeu dans le reste dudéroulement des événements, y compris le long processus de civilisation».

16 Sul termine impiegato, anthropos e non aner, cfr. le osservazioni diN. Loraux, La guerre civile grecque et la représentation anthropologique dumonde à l’envers (1995), in Id., La tragédie d’Athènes. La politique entrel’ombre et l’utopie, Paris, Seuil, 2005, pp. 61-79, qui p. 78.

17 Cfr. ad esempio C. MacLeod, Thucydides on Faction, cit., p. 58.

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(III 70-81) e che serviranno da modello per tutte le altre sta-seis di cui si parlerà in seguito, sono state oggetto di analisi in-finite da parte degli studiosi moderni e dei lettori antichi. Ineffetti, la densità e compressione del linguaggio sono tali darendere poco perspicui alcuni passaggi chiave dell’analisi tu-cididea. Il senso complessivo rimane comunque chiaro.Dando prova ancora una volta di grandissima autonomia in-tellettuale e di un certo gusto per la provocazione, Tucididesuggerisce che il risultato più traumatico della stasis non con-siste nella serie di violenze efferate che si scatenarono nei con-flitti civili (III 81, 5: supplici uccisi nei templi, padri cheuccidono i figli), ma riguarda i discorsi e le parole.

Il problema non sono tanto gli erga, quanto i logoi che di-ventano strumento del conflitto e non più un modo per rap-presentare in modo condiviso la realtà. Le violenze che siscatenano, gli erga, non sono altro che il risultato di questa in-comunicabilità, della perdita di un terreno comune tra le partiche si affrontano. Quello che importa sottolineare nell’analisidella stasis è insomma la crisi del logos, ed è qui che si arrivaa conoscere qualcosa dell’uomo, della sua natura. Il motivodominante dell’analisi tucididea del comportamento degli uo-mini durante la guerra civile è costituito dal passaggio dallaragione alla passione, dalla gnome all’orghe per usare i terminidello storico18. Il risultato finale della stasis è la scomparsa del-l’intelligenza e il trionfo delle passioni (III 83, 4)19.

18 Sul vocabolario psicologico di Tucidide, cfr. lo studio classico di P.Huart, Le vocabulaire de l’analyse psychologique dans l’œuvre de Thucy-dide, Paris, Klincksieck, 1968; più specificamente cfr. J.J. Price, Thucydideson Internal War, cit., pp. 24 e 59.

19 A conclusioni analoghe si arriva anche a partire da un’altra caratte-ristica dello scritto tucidideo: è stato giustamente osservato (H. Westlake,Individuals in Thucydides, Cambridge, Cambridge University Press, 1968)che la presenza degli individui aumenta considerevolmente nella narra-zione a partire dalla pace di Nicia; la spiegazione più ragionevole è proba-bilmente da imputarsi all’idea che il progressivo disfacimento delle strut-ture comunitarie lasciò sempre più spazio alle azioni dei singoli, tesi al per-seguimento del proprio interesse e alla realizzazione dei propri bisogni edesideri: «one of the consequences of the Peloponnesian War was the re-placement of civic devotion by self-devotion and the corruption or disap-pearance of intelligence coupled with virtue» (J.J. Price, Thucydides on

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Anche in questo caso la posizione di Tucidide diventa in-teressante se inserita nel contesto intellettuale del suo tempo.L’idea che l’uomo sia composto da ragione e passione noncostituisce certo una novità nel mondo greco: è la tesi di granlunga dominante. Ma, da Esiodo in poi, la riflessione antro-pologica greca si era ritrovata nella convinzione che ciò cheveramente e propriamente caratterizzava l’essere umano fosseproprio la capacità razionale – una capacità che, permettendoagli uomini di stabilire valori e regole (sintetizzando: dike enomos), li aveva aiutati ad uscire dal mondo animale gover-nato dalla semplice legge dei bisogni e della forza20. Questaconvinzione nella specificità umana è un tratto costante dellaspeculazione greca, che spiega di conseguenza anche il per-ché della critica tradizionale della stasis, un comportamentobestiale che ripiomba gli uomini nel mondo animale21.

Su questo sfondo la tesi tucididea non potrebbe essere piùprovocatoria: la ragione e la giustizia sono certo costituentiimportanti dell’essere umano, ma non quelli fondamentali,perché più importante ancora è la componente passionale,quella spinta irrazionale che guida nel profondo le azioni degliuomini e a cui persino la ragione è sottomessa. Una spinta nonsempre è facile da riconoscere, perché normalmente conte-nuta dalle convenzioni sociali («in tempo di pace…», III 82,2), ma che diventa evidente quando queste convenzioni ven-gono meno, vale a dire allo scoppio dei conflitti22. Ecco spie-gata l’importanza di quel movimento che sono polemos estasis: causate dalla passione umana che agisce sempre (anchese non sempre in modo visibile) esse ci aiutano poi a scoprirela natura passionale profonda dell’essere umano.

Vale la pena di osservare che Tucidide, sempre attento allinguaggio, aveva espresso la sua posizione fin da subito, fin

Internal War, cit., p. 263, a cui si rinvia per un’analisi dettagliata del trionfodell’orghe sulla gnome nel passo su Corcira, pp. 6-78).

20 Esemplare a questo proposito è Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 274-281.21 Cfr. N. Loraux, La guerre civile grecque, cit., soprattutto i testi citati

alle pp. 71-72.22 Non meno importante, ma più raro, è lo scoppiare di una pestilenza,

come quella descritta nel secondo libro (Tucidide, La guerra del Pelopon-neso, cit., II 47-53); cfr. W.R. Connor, Thucydides, cit., pp. 100-101.

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dal primo aggettivo usato per descrivere la stasis: ome (III 82,1).Ome, crudele, è strettamente legato a crudo e rappresentala pratica tipicamente animale del mangiare carne cruda inopposizione alla cottura dei cibi che è distintiva della civiltàumana23. Il movimento rivelatore della stasis ha permesso diverificare che il mondo dell’uomo non è poi così diverso dalresto del mondo animale: non si nega naturalmente la di-mensione del logos, ma semplicemente lo si subordina allaforza delle passioni. Tucidide non è certo il solo a coltivareuna simile idea «bestiale» di uomo24, ma è probabilmentequello che con maggiore precisione (akribeia, I 22, 4 e V 26)ha sviluppato il tema25. L’analisi della guerra del Peloponnesoha permesso insomma di rovesciare radicalmente l’immagine

23 Così anche W.R. Connor, Thucydides, cit., p. 82, nota 35. Cfr. Tuci-dide, La guerra del Peloponneso, cit., III 36, 4 e soprattutto III 94, 5, dovesi parla della tribù la più barbarica, gli Euritani, che «parlano una linguaassolutamente incomprensibile e mangiano carne cruda (omophagoi)».Come ha osservato N. Loraux, La guerre civile grecque, cit., p. 212, nota 91,è significativo osservare che tutte le occorrenze del termine sono racchiusenel terzo libro. Un altro termine rivelatore della posizione di Tucidide èpleonexia, cfr. M. Bonazzi, La giustizia, la forza, l’uomo. Qualche osserva-zione a proposito di Tucidide, in L. Palumbo (a cura di), Logon didonai. Lafilosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Ca-sertano, Napoli, Loffredo, 2011, pp. 233-243.

24 Un parallelo significativo si legge nelle Nuvole di Aristofane, vv.1427-1429; interessante è poi il confronto con Antifonte DK 87B48, a pro-posito del quale cfr. M. Bonazzi, L’uomo, gli dei, le bestie. A proposito del-l’antropologia di Antifonte, in «Elenchos», 27, 2006, pp. 101-115. Di questastessa temperie culturale si ricorderà poi Platone, quando farà dire a Cal-licle che per capire che la giustizia umana consiste nella legge del più fortebasta guardare cosa fanno gli animali (Platone, Gorgia, 483d: en tois alloiszoois, «tra gli altri animali» – altri oltre agli uomini!).

25 In un interessante articolo L. Edmunds (Thucydides’ Ethics as Re-flected in the Description of Stasis, in «Harvard Studies in Classical Philo-logy», 79, 1975, pp. 73-92) ha osservato che l’analisi dei fatti di Corcirasembra ricalcare il mito delle cinque razze di Esiodo: d’accordo conEsiodo, Tucidide rappresenterebbe il mondo di Corcira nei termini del-l’età del ferro esiodea (Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 174-201). Questa in-teressante osservazione non contrasta con le presenti analisi, perché leaffinità tra Tucidide e Esiodo si fondano in realtà su una grande differenzadi fondo: è vero che tanto Esiodo quanto Tucidide descrivono la realtà deiloro giorni come segnata da forza e violenza. Ma per Esiodo questo signi-fica un tradimento della vera natura degli uomini; per Tucidide invece unarivelazione di ciò che veramente conta.

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della guerra e dell’uomo che la tradizione greca aveva svilup-pato nel corso di generazioni.

6. Per comprendere appieno la posizione di Tucidide, oc-corre fare una precisazione a proposito della relazione checorre tra passione e ragione negli esseri umani. Affermare ilprimato della componente passionale, avvicinando uomini eanimali, non significa certo negare la presenza o l’importanzadella ragione: significa semplicemente subordinarla. E anchequesto diventa interessante se lo si rapporta con la tradizione:mentre il pensiero tradizionale descrive la stasis come unostato puramente bestiale, in cui l’uomo finisce per disuma-nizzarsi, la discussione tucididea della stasis non trascura maila presenza del logos. Semplicemente il logos viene subordi-nato alle passioni; diventa suo strumento, il mezzo più effi-cace che gli uomini possiedono per realizzare i propri obiet-tivi (passionali)26.

Di nuovo, è facile osservare che le conclusioni di Tucididenon mancano di una grande carica di provocatorietà, so-prattutto se si espande il discorso e si pensa alla giustizia, quelprincipio che la ragione stabilisce per regolare la vita degliuomini: tradizionalmente, la giustizia costituirebbe insommaquello che il logos stabilisce o trova per aiutare gli uomini auscire dal mondo animale costruendo un mondo umano27. InTucidide le cose vanno diversamente, perché come il logos èstrumento della passione, così lo sarà anche la giustizia, cherisulterà in ogni caso dipendente o subordinata all’interesse.È una tesi che gli Ateniesi28 in particolare difendono a più ri-

26 Cfr. W.R. Connor, Thucydides, cit., p. 101: «Language has now be-come an agent of violence, intensifying rather than alleviating the kinesisand the destruction».

27 I due verbi (stabilire e trovare) vogliono introdurre, senza prendereposizione, le due opzioni di una giustizia convenzionalista e di una giusti-zia divina o assoluta; cfr. Protagora DK 80C1 per la prima opzione e il giàcitato Esiodo per la seconda (Le opere e i giorni, vv. 274-281); in generalerimando a M. Bonazzi, I sofisti, Roma, Carocci, 2010, pp. 83-93.

28 E non solo gli Ateniesi, se si considera anche il discorso dei Corci-resi nel dibattito con i Corinzi in Tucidide, La guerra del Peloponneso, cit.,I 32-43.

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prese in tanti discorsi29 e che troverà un’icastica formulazionein una pagina della Repubblica di Platone: la giustizia, comeTrasimaco dirà a Socrate, è l’utile del più forte30. La giustizianon è insomma quel principio o valore intorno a cui si co-struisce il consenso e la comunità: è un altro strumento dellalotta politica, che serve a sanzionare la superiorità di unaparte sull’altra (cfr. III 82, 8).

7. Indubbiamente, il racconto tucidideo della guerra delPeloponneso e le considerazioni di carattere generale chequesto racconto fa emergere intrattengono un rapporto com-plesso con il mondo intellettuale greco. Lavorando su mate-riali tradizionali, riprendendo tesi diffuse, Tucidide arriva aconclusioni radicalmente differenti. L’analisi della guerra, po-lemos, ci ha permesso di capire l’importanza di stasis, che asua volta costituisce un osservatorio privilegiato per indivi-duare le cause profonde che muovono gli uomini. Partito dal«movimento» della guerra Tucidide è arrivato alla causa ul-tima di quel movimento, ritrovandola nelle passioni e nei de-sideri umani, che a loro volta possono essere rappresentate intermini di movimento. Astraendo al massimo, lo scritto diTucidide è una riflessione sul movimento.

L’importanza di questo tema è stata ben colta da LeoStrauss, che proprio sull’opposizione tra movimento e quieteha sviluppato la sua interpretazione di Tucidide31. In effetti,è interessante osservare con Strauss che i grandi protagoni-sti dello scritto tucidideo, gli Ateniesi, sono caratterizzati ri-

29 Cfr. ibidem, I 76, 2 (a Sparta); III 37-48 (ad Atene; cfr. in particolareCleone in III 38, 1); V 105, 1-4 (a Melo; dove si dice degli Spartani chepiù di tutti «considerano le cose utili giuste»). In generale, cfr. M. Heath,Justice in Thucydides’ Athenian Speeches, in «Historia», 39, 1990, pp. 385-400; J.J. Price, Thucydides on Internal War, cit., pp. 83-103.

30 Platone, Repubblica I 339a.31 I tre testi di riferimento sono il terzo capitolo di L. Strauss, La città

e l’uomo, trad. it., Genova, Marietti, 2010, e due articoli: Tucidide: il si-gnificato della storia politica e Osservazioni preliminari sugli dei nell’operadi Tucidide, in Id., Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico del-l’Occidente, trad. it., Torino, Einaudi, 1998, pp. 86-119 e 403-421.

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correndo continuamente al vocabolario del movimento. Èuna presentazione che emerge nettamente fin dall’inizio,quando i Corinzi, durante l’assemblea a Sparta, concludonoil loro discorso osservando che gli Ateniesi possono sostan-zialmente essere descritti in un solo modo: come coloro che«non hanno mai pace e che mai ne concedono agli altri» (I70, 9). La conclusione dello scritto, con la spedizione in Si-cilia e lo scoppio della guerra civile, mostra le conseguenzedi tutto ciò.

Se le cose stanno così, si potrebbe però sollevareun’obiezione, proprio prendendo spunto dall’interpreta-zione di Leo Strauss. Accanto agli Ateniesi ci sono anchegli Spartani; e se gli Ateniesi rappresentano il movimento,gli Spartani rappresentano la quiete (come i Corinzi rinfac-ciano loro nel primo libro, cfr. I 71, e come gli Ateniesi spie-gano ai Meli nel quinto libro, cfr. V 109). Ora, non è forsevero che gli Spartani hanno vinto la guerra? E questo datodi fatto non mostra allora che non è vero che prevale sem-pre la passione?

Questo aspetto è sicuramente importante: è vero che Tu-cidide apprezza la moderazione e la cautela spartana; ed èvero in generale che la sua convinzione profonda è che soloquando gnome, la ragione, controlla l’orghe, la passione, pos-sono arrivare risultati positivi per gli uomini. Il celebre elogiodi Pericle a II 65 ne è la prova più evidente. Ma proprio ilcaso di Pericle, che la sorte aveva fatto uscire di scena moltoin fretta, mostra quanto siano numerosi gli ostacoli che sifrappongono all’esercizio e al successo dell’intelligenza.Quanto agli Spartani si potrebbe invece osservare che, sepure più di tutti hanno dato prova di moderazione, non perquesto si possono ritenere al sicuro dalla tentazione di darelibero corso alla loro passione di dominio. Come gli stessiAteniesi osservano (I 76, 1-3 e V 105, 4), anche gli Spartaniavrebbero fatto quello che essi fecero se si fossero trovati alloro posto. Tucidide probabilmente non sopravvisse allaguerra e non poté dunque verificare che questa profezia sisarebbe puntualmente verificata negli anni post-bellici,quando Sparta avrebbe velocemente dilapidato il capitale dicredito e di potere faticosamente conquistato durante la

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guerra32. Ma, per un osservatore attento come lui, tutto era infondo già chiaro nel comportamento che essi adottarono negliultimi anni di guerra, quando iniziarono le trattative con Tis-saferne per il controllo delle colonie ioniche. Insomma, il ruolodegli Spartani, se pure ci aiuta a precisare meglio la posizionedi Tucidide, non basta a rovesciare l’interpretazione che si stadelineando, perché Sparta non costituisce una vera alternativaad Atene, da questo punto di vista. Il centro della riflessione tu-cididea sono e rimangono gli Ateniesi: il tema di fondo dellaGuerra del Peloponneso rimane la «tragedia di Atene»33.

In altre parole, è vero che in linea di principio la gnome puòcontrollare le spinte della passione: questo è quanto fecero Pe-ricle e gli Spartani. Ma ha probabilmente ragione chi ritieneche, secondo Tucidide, a prevalere sono alla fine sempre gli im-pulsi irrazionali. Sono questi il vero motore delle azioni umane,come avrebbe osservato uno dei tanti Ateniesi che si affacciasulla scena dello scritto tucidideo, quel Diodoto che, durante ildibattito sulla sorte da riservare a Mitilene, arrivò a dire che:

Tutti, singoli o Stati, sono portati dalla natura a sbagliare, e nonvi è legge che possa impedirlo, poiché le pene gli uomini le hannogià provate tutte […]. È semplicemente impossibile, e chi lo pensadà prova di grande stoltezza, che la natura umana, quando sia pro-tesa con tutte le sue forze (prothymos)34 a raggiungere un obiettivo,ne possa venire dissuasa dalla forza di leggi o per timore di qual-cos’altro (III 45, 3 e 7)35.

32 Si consideri ad esempio la brillante ricostruzione di M. Scott, Dallademocrazia ai re. La caduta di Atene e il trionfo di Alessandro Magno, trad.it., Roma-Bari, Laterza, 2012.

33 L’espressione è di P. Vidal-Naquet, Préface, in Thucydide, La guerredu Péloponnèse, Paris, Gallimard, 2000, p. 28. Sul tema «tragico» in Tuci-dide fondamentale è H.-P. Stahl, Thucydides. Man’s Place in History (1966),trad. inglese, Swansea, The Classical Press of Wales, 2003; per un’analisipiù sintetica rimando a M. Bonazzi, La giustizia, la forza, l’uomo, cit., pp.238-239, 241-242.

34 Non sfugga nell’avverbio la presenza di thymos, termine tradizio-nalmente impiegato in riferimento alla componente passionale: il terminethymos, non frequente in Tucidide, è da lui usato nel senso di «impulsionviolente, irréfléchie», cfr. P. Huart, Le vocabulaire de l’analyse psychologi-que dans l’œuvre de Thucydide, cit., p. 40.

35 Non è questa la sede opportuna per sollevare la complicatissima que-

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Sono proprio affermazioni come questa che spiegano l’im-portanza di quel maestro violento (biaios didaskalos) che èstata la guerra36: maestro violento non soltanto perché ha in-segnato agli uomini la violenza, ma anche e soprattutto per-ché, insegnando loro la violenza, gli ha rivelato il fondooscuro della loro natura.

stione del ruolo della necessità in Tucidide. Nella sua dettagliata analisi M.Ostwald, Ananke in Thucydides, Atlanta, Scholars Press, 1988, pp. 63 e65, ha negato che si possa parlare di un Tucidide determinista. Resta peròil fatto che questa eventualità è comunque implicita in prese di posizionecome quelle di Diodoto.

36 Si noti ancora una volta il gioco ossimorico, visto che il maestro do-vrebbe insegnare persuadendo, cfr. C. MacLeod, Thucydides on Faction,cit., p. 53.