Guerra civile spagnola e volontariato internazionale: il caso italiano in prospettiva comparata

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1 Guerra civile spagnola e volontariato internazionale Il caso italiano in prospettiva comparata Enrico Acciai Università degli Studi della Tuscia 1. Premessa Quello del volontariato internazionale durante la guerra civile spagnola è un tema ancora oggi in grado di suscitare dei vivaci dibattiti: sono passati pochi anni da quando, nell'autunno del 2007, il governo polacco propose di cancellare le pensioni dei volontari suscitando una reazione sdegnata del primo ministro spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero. Ma perché quest’ostinazione? La guerra civile spagnola, e con essa il fenomeno del volontariato, deve essere accosta alle vicende della seconda guerra mondiale: se i traumi ad essa legati sono ancora ben presenti nella memoria collettiva europea, si può dire altrettanto riguardo a quelli derivati dal conflitto iberico. «Gli ultimi rigurgiti di memorie laceranti», ha recentemente scritto Tony Judt, «non devono essere intesi come sinistra prova del “peccato originale” dell'Europa. […] L'Europa non sa rientrando nel suo inquietante passato di guerra: al contrario, ne sta uscendo». 1 Si tratta però di un processo lungo e complicato. Il 2006, l'anno delle celebrazioni per il settantesimo anniversario dallo scoppio della guerra civile, ci ha dimostrato in maniera lampante quanto nella Spagna di oggi la guerra civile sia ancora in grado di toccare nel profondo la società civile. 2 Anche in quell'occasione, così com'era successo dieci anni prima, gli ex-combattenti stranieri hanno occupato un ruolo importante nelle celebrazioni; crediamo quindi che sia tanto attuale quanto tutt’altro che scontato tornare a parlare di quel volontariato. Il caso italiano merita poi un'attenzione particolare: oltre a mancare un lavoro di sintesi sull'intervento dell'antifascismo italiano, non ci sono ancora neanche certezze riguardo il numero totale di volontari. 3 1 Tony Judt, Dopoguerra – Com'è cambiata l'Europa dal 1945 ad oggi, Milano, Mondadori, 2007, pp. 14- 15. 2 Si veda, a questo proposito, il bel saggio di François Godicheau, “Après le soixante.dixième anniversaire de 1936: vers une histoire en débat?”, in: Mélanges de la Casa de Velazquez, 38 (2008), pp. 271-290. Un altro testo di riferimento riguardo il tema della memoria è: Julio Arostegui, François Godicheau (a cura di), Guerra Civil – Mito y memoria, Madrid, Marcial Pons, 2006. 3 Negli elenchi pubblicati dall'Aicvas [Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna] si è sempre parlato di poco più di 4.000 uomini (AA. VV., La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 – Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, AICVAS, 1996). In realtà, come vedremo in questo nostro intervento, crediamo

Transcript of Guerra civile spagnola e volontariato internazionale: il caso italiano in prospettiva comparata

  1    

Guerra  civile  spagnola  e  volontariato  internazionale  

Il caso italiano in prospettiva comparata

Enrico Acciai Università degli Studi della Tuscia

1. Premessa

Quello del volontariato internazionale durante la guerra civile spagnola è un tema ancora oggi

in grado di suscitare dei vivaci dibattiti: sono passati pochi anni da quando, nell'autunno del

2007, il governo polacco propose di cancellare le pensioni dei volontari suscitando una

reazione sdegnata del primo ministro spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero. Ma perché

quest’ostinazione? La guerra civile spagnola, e con essa il fenomeno del volontariato, deve

essere accosta alle vicende della seconda guerra mondiale: se i traumi ad essa legati sono

ancora ben presenti nella memoria collettiva europea, si può dire altrettanto riguardo a quelli

derivati dal conflitto iberico. «Gli ultimi rigurgiti di memorie laceranti», ha recentemente

scritto Tony Judt, «non devono essere intesi come sinistra prova del “peccato originale”

dell'Europa. […] L'Europa non sa rientrando nel suo inquietante passato di guerra: al contrario,

ne sta uscendo».1 Si tratta però di un processo lungo e complicato. Il 2006, l'anno delle

celebrazioni per il settantesimo anniversario dallo scoppio della guerra civile, ci ha dimostrato

in maniera lampante quanto nella Spagna di oggi la guerra civile sia ancora in grado di toccare

nel profondo la società civile.2 Anche in quell'occasione, così com'era successo dieci anni

prima, gli ex-combattenti stranieri hanno occupato un ruolo importante nelle celebrazioni;

crediamo quindi che sia tanto attuale quanto tutt’altro che scontato tornare a parlare di quel

volontariato. Il caso italiano merita poi un'attenzione particolare: oltre a mancare un lavoro di

sintesi sull'intervento dell'antifascismo italiano, non ci sono ancora neanche certezze riguardo il

numero totale di volontari.3

                                                                                                               1 Tony Judt, Dopoguerra – Com'è cambiata l'Europa dal 1945 ad oggi, Milano, Mondadori, 2007, pp. 14-15.

2 Si veda, a questo proposito, il bel saggio di François Godicheau, “Après le soixante.dixième anniversaire de 1936: vers une histoire en débat?”, in: Mélanges de la Casa de Velazquez, 38 (2008), pp. 271-290. Un altro testo di riferimento riguardo il tema della memoria è: Julio Arostegui, François Godicheau (a cura di), Guerra Civil – Mito y memoria, Madrid, Marcial Pons, 2006.

3 Negli elenchi pubblicati dall'Aicvas [Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna] si è sempre parlato di poco più di 4.000 uomini (AA. VV., La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 – Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, AICVAS, 1996). In realtà, come vedremo in questo nostro intervento, crediamo

  2    

Le decine di migliaia di volontari che accorsero in Spagna, tra il 1936 ed il 1939, da ogni parte

del mondo lo fecero principalmente perché vedevano nei fascismi, e nelle loro politiche

aggressive, delle minacce ai loro “mondi privati”. Nelle prossime pagine ci concentreremo sul

caso italiano, ed in particolare su le due principali formazioni che “accolsero” i volontari

italiani: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso (una colonna composta principalmente da

anarchici che combatté sul fronte aragonese) ed il Battaglione Garibaldi delle Brigata

Internazionali (la principale esperienza dell’antifascismo italiano in Spagna). Si cercheranno di

individuare le peculiarità di queste due esperienze rispetto al complesso del volontariato

internazionale. Cercheremo di dimostrare come chi scelse di partire non fu né un eroe

romantico né, tanto meno, un mercenario al servizio di Stalin ma, più semplicemente, si trattò

di uomini pienamente inseriti nelle contraddizioni e nei conflitti del proprio tempo. Le ricerche

degli ultimi anni sui diversi casi nazionali sono state caratterizzate da una rinnovata, o a volte

trovata, centralità dei volontari e delle loro vicende personali; una strada che si è rivelata quella

giusta per riuscire, finalmente, ad analizzare la complessità e le contraddizioni di un fenomeno

centrale nella storia europea del XX secolo: poter osservare «da una prospettiva individuale un

fenomeno che finora è stato studiato unicamente in modo collettivo», ha recentemente

osservato Lourdes Prades, si può rivelare la giusta via per andare ancora più a fondo nella sua

stessa comprensione.4

2. Guerra civile spagnola e volontariato internazionale: l’origine del contributo

italiano

Nell’estate del 1936 una parte dell’esercito cercò di rovesciare il legittimo governo, il tentativo

non solo fallì ma diede il via ad una guerra civile che sarebbe durata quasi tre anni.5 A metà

luglio la Spagna era praticamente divisa in due e nel giro di poche settimane quello spagnolo

divenne un conflitto dalle spiccate caratteristiche internazionali: il sostegno italo-tedesco agli

insorti non si fece attendere, mentre le democrazie europee abbandonarono ben presto al suo

destino quella spagnola.6 Sin dai primi momenti, in molti cominciarono ad accorrere in Spagna

                                                                                                               che questa cifra dovrà essere necessariamente rivista al rialzo.

4 Maria Lourdes Prades i Artigas, “I miliziani delle Brigate Internazionali della guerra civile spagnola e la memoria storica, un sistema di informazione digitale”, in Spagna Contemporanea, 36 (2009) p. 194.

5 Riguardo alle prime fasi del conflitto spagnolo si veda: Angel Viñas, La soledad de la República – El abandono de las democracias y el viraje hacia la Unión Soviética, Barcellona, Critica, 2006.

6 Ivi, pp. 45-52.

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per offrire il proprio sostegno alla causa repubblicana: «vidi negli invasori della Spagna»,

avrebbe poi ricordato un ex-volontario inglese, «quelle stesse persone che avevo combattuto

per tutta la vita».7 Quel fenomeno volontaristico che avrebbe avuto nelle Brigate internazionali

la sua declinazione più celebre si andò delineando sin dai primi momenti. Durante le settimane

a cavallo tra il luglio e l’agosto, Barcellona fu letteralmente invasa da una moltitudine umana:

rapidamente si diffuse la consapevolezza che quello spagnolo sarebbe stato un conflitto

destinato a travalicare, almeno a livello simbolico, il limite geografico dei Pirenei.8

L’Europa del 1936 era un continente con un alto numero di esiliati e di rifugiati politici, uomini

e donne che avrebbero costituto la base di quel volontariato. C’erano gli ungheresi che avevano

sostenuto al rivoluzione di Béla Kun e che poi erano stati vittime del regime dell’ammiraglio

Horthy, i polacchi oppositori del generale Pilsudski, i greci che scappavano a Metaxas e poi i

rumeni e gli jugoslavi, per non citare i casi più noti dei tedeschi e degli austriaci antinazisti (a

cui andrebbero sommati gli esuli ebrei) e degli italiani antifascisti. Nella sola Francia erano

presenti circa due milioni e mezzo di esiliati provenienti da mezza Europa e costituivano più

del 5% della popolazione.9 Fu questo il variegato universo umano che per primo si rese conto

della natura ideologica che andava assumendo la guerra civile spagnola e fu da allora che

impedire la vittoria dei militari insorti divenne, per molti, un imperativo: «avevano ben chiaro

che il fascismo costituiva una minaccia internazionale e che la Spagna era il luogo appropriato

dove combatterlo».10

I passaggi della frontiera franco catalana di Port-Bou si fecero progressivamente più intensi. Il

30 luglio l’ambasciatore repubblicano a Parigi, Alvaro de Albornoz, riferì come nei suoi uffici

si presentassero, giornalmente, antifascisti italiani e tedeschi che si offrivano per partire per la

Spagna.11 A fine agosto, un informatore fascista presente a Barcellona avrebbe riportato, forse

esagerando le cifre, che da quando era cominciato il conflitto arrivavano regolarmente, via

Port-Bou, due treni al giorno «carichi di volontari rossi e fra questi una media di 60-70 italiani

                                                                                                               7 Richard Baxell, British Volunteers in the Spanish Civil War, Londra, Warren&Pell, 2007, p. 50

8 Cfr. Remi Skoutelsky, “L’engagement des volontaires françias en Espagne républicaine”, in Le Mouvement social, 181 (1997).

9 Michael Jackson, Fallen Sparrows. The International Brigades in the Spanish Civil War, Philadelphia, American Philosophical Society, 1994, p. 42.

10 Julián Casanova, República y guerra civil, Madrid, Critica/Marcial Pons, 2007, p. 276-277.

11 “Telegramma dell'ambasciatore spagnolo a Parigi”. 30/07/1936. Caja RE-154, Carpeta 33, Archivo Ministerio Asuntos Exteriores, Madrid (AMAE).

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al giorno».12 Secondo i dati raccolti da Rémi Skoutelsky, alla fine di agosto sarebbero stati già

presenti in Catalogna almeno 280 volontari francesi; per una fase nella quale ancora non era

organizzato un sistema di reclutamento su vasta scala si tratta di un dato significativo.13

Nel giro di pochi giorni, visto il grande afflusso di stranieri verso la Catalogna, a Barcellona

cominciarono ad organizzarsi dei gruppi “internazionali” che si affiancarono alle colonne di

miliziani in formazione.14 Tra questi ci fu anche la Sezione Italiana della Colonna Ascaso. Una

colonna che si formò per l’iniziativa dell’anarchico Camillo Berneri e del fondatore di GL,

Carlo Rosselli, e che avrebbe visto passare tra le sue fila quasi 650 antifascisti italiani, in larga

parte anarchici.15 Questo primo gruppo italiano, inquadrato nella colonna libertaria intitolata a

Francisco Ascaso, partì da Barcellona per il fronte aragonese la sera del 19 agosto ed

inizialmente contò su circa 130 volontari (non pochi se si considera che la guerra civile era

scoppiata da appena un mese). Nel giro delle settimane successive, cominciò poi a prendere

forma anche il progetto delle BI [Brigate Internazionali]: nonostante le notizie diffuse dalla

stampa nazista e da quella dell’estrema destra francese che parlavano di una legione straniera

gestita dai sovietici già da fine luglio, questo corpo sarebbe apparso sui campi di battaglia

solamente durante i primi giorni di novembre.16 Non essendo questa la sede per entrare nel

complesso dibattito sulla loro formazione, basterà ricordare che le BI con ogni probabilità non

sarebbero potute nascere senza l’iniziativa che venne da Mosca ma, nonostante questo, è

inopportuno definirle, come hanno fatto Dan Richardson e altri, l’armata del Comintern o un

«esercito sovietico in terra spagnola».17

La brigata a maggioranza italiana, passata alla storia con il nome prima di battaglione e poi di

brigata Garibaldi, fu la XII. Come vedremo meglio in seguito, quello italiano fu un contributo

                                                                                                               12 “Relazione informatore C20/67”. 26/08/1936. Divisione Polizia Politica (DPP), Fondo per Materia (FM) Pacco 50, Fascicolo 1, Archivio Centrale dello Stato, Roma (ACS).

13 Skoutelsky, L'engagement des volontaires... cit., pp. 8-9.

14 Sulla questione delle milizie durante le prime fasi della guerra civile spagnola si veda il saggio: Michael Alpert, El ejército popular de la República (1936-1939), Barcellona, Crítica, 2007, pp. 35-92.

15 Per quanto riguarda la Sezione Italiana della Colonna Ascaso mi permetto di rimandare alla mia tesi di dottorato: Enrico Acciai, Viaggio attraverso l’antifascismo. Volontariato internazionale e guerra civile spagnola: il caso della Sezione Italiana della Colonna Ascaso, XXII Ciclo di Dottorato, Università degli Studi della Tuscia. I comunisti ed i socialisti che presero parte a questa esperienza lo fecero a titolo personale e, a volte, andando contro le direttive dei propri partiti.

16 Rémi Skoutelsky, Novedad en el frente – Las Brigadas internacionales en la Guerra Civil, Madrid, Temas de Hoy, pp. 71-98.

17 Ronald Radosh, Mary Habeck, Grigory Sevostianov, España traicionada - Stalin y la guerra civil, Barcellona Planeta, 2002, [ed. orig. Spain betrayed, 2001] p. 146.

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peculiare al fenomeno inter-brigatista: tra i garibaldini ci fu, infatti, una varietà politica che non

conobbe nessun altro gruppo nazionale. «Fate sapere che anche i comunisti italiani», recitava

una nota del comitato centrale del PCd’I redatta pochi giorni dopo la vittoria di Guadalajara e

indirizzata ai propri militanti, «lottano oggi per la conquista della democrazia, della libertà, non

si pongono come obbiettivo politico attuale un’Italia sovietica, pur senza rinunciare al loro

obbiettivo finale. In questo momento, il problema essenziale è di unire tutti gli antifascisti e

tutti coloro che soffrono della situazione creata dalla catastrofe politica di Mussolini, senza

eccezioni».18 La scelta di intitolare il gruppo a Giuseppe Garibaldi, l’eroe per antonomasia del

risorgimento, è rappresentativa della ricerca di un consenso che fosse il più ampio e condiviso

all'interno del mondo dell’antifascismo italiano, questa fu approvata durante una riunione dei

primi commissari politici italiani che si tenne la mattina del 4 novembre. In quell’occasione

furono scelti anche i nomi delle quattro compagnie italiane che avrebbero fatto parte della XII

brigata (Sozzi, De Rosa, Angeloni e Gramsci) e fu presentato Randolfo Pacciardi,

repubblicano, come comandante della formazione.19

Le due esperienze dell'antifascismo italiano in Spagna ebbero storie tra di loro molto diverse.

La Sezione Italiana, come avrebbe ricordato anche uno dei suoi componenti, a partire dalla fine

del dicembre 1936 dovette fare i conti con l'abbandono del fronte da parte di Carlo Rosselli e

dei militanti di GL.20 Rosselli aveva tentato, fallendo e creando delle tensioni in seno alla

Sezione Italiana, di favorire un'unione tra le due colonne italiane presenti in Spagna

nell'inverno del 1936; ancora nel successivo gennaio, dalle pagine del periodico “Giustizia e

Libertà”, avrebbe lanciato un appello per una «legione unica» che unisse tutti gli italiani.21 Il

resto della Sezione Italiana sopravvisse fino all’aprile 1937, quando i suoi membri, ormai tutti

anarchici, non volendo cedere alla militarizzazione portata avanti dalle autorità repubblicane

decisero di sciogliere il gruppo. Molti dei reduci si sarebbero trovati, rientranti dal fronte, a

Barcellona durante gli scontri del maggio di quell’anno. Il Battaglione Garibaldi condivise

invece la propria storia con quella delle BI. Nella primavera del 1937, mentre la Sezione

                                                                                                               18 “Lettera del Comitato Centrale del Pcd’I”. Marzo 1937. Fondi del Comintern (FC), fascicolo 545-3-152, folio 16, Centro Russo per la Conservazione degli Archivi di Storia Politica e Sociale, Mosca (RGASPI).

19 Antonio Roasio, “Memorandum Organizzazione del Battaglione Garibaldi”. 24/06/1937. FC, fascicolo 545-3-174, folio 65, RGASPI.

20 Umberto Marzocchi, “Ricordando Camillo Berneri e gli avvenimenti della rivoluzione spagnole del 1936-37” in: AA. VV., Camillo Berneri nel cinquantesimo della morte, Pistoia, Edizioni Archivio Famiglia Berneri, 1986, p. 67.

21 Carlo Rosselli, Scritti dall’esilio – Volume II, dallo scioglimento della Concentrazione Antifascista alla Guerra di Spagna, Torino, Einaudi, 1992, p. 449.

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Italiana si stava sciogliendo e alcune settimane dopo la celebre vittoria di Guadalajara, la

Garibaldi divenne una brigata autonoma composta esclusivamente da italiani e spagnoli.22 La

colonna sopravvisse fino all'autunno del 1938, quando il governo repubblicano prese

unilateralmente la decisione di ritirare i volontari stranieri e, di fatto, sancì lo scioglimento delle

BI.23

3. Ritratti di gruppo: per una prosopografia della Sezione Italiana e della Brigata

Garibaldi

Si cercheranno ora di fare alcune riflessioni partendo dai dati biografici di coloro che fecero

parte della Sezione Italiana e del Battaglione Garibaldi. Prima si rende però necessario un

chiarimento riguardo ai dati che si andranno ad utilizzare: negli ultimi anni chi scrive ha

elaborato una base di dati per ciascuno dei due gruppi di antifascisti italiani. Nel caso della

Sezione Italiana, il database è stato realizzato partendo da dei fondi documentali dell’Archivo

general de la guerra civil española di Salamanca, dove si è scoperto essere conservate (divise

tra le casse PS Barcelona 454, PS Barcelona 455, PS Madrid 485, PS Madrid 486 e PS Madrid

487) le carte dell’ufficio di arruolamento del gruppo. Per quanto riguarda i garibaldini si è

invece lavorato partendo da due liste conservate negli archivi del Comintern: la prima, più ricca

di informazioni, risale all’estate del 1938 e comprende circa 700 nomi; la seconda invece, più

scarna di dati, porta la data del 3 maggio 1938 ed elenca alfabeticamente i poco più di 2.300

italiani presenti nella brigata Garibaldi in quel momento.24 In entrambi i casi, i dati sono poi

stati incrociati con quelli, sia inediti sia editi, rintracciabili in Italia. Per i primi abbiamo fatto

riferimento a due importanti fondi dell’Archivio Centrale dello Stato: il Casellario Politico

Centrale e la Divisione Polizia Politica – Fascicoli Personali. I dati editi sono invece quelli già

raccolti in due lavori biografici: il primo è La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 frutto degli

sforzi dell’Aicvas e pensato per raccogliere le biografie dei circa 4.000 volontari italiani in

Spagna, mentre il secondo è il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, realizzato in anni

più recenti con il patrocinio della Fondazione Franco Serantini.25 I dati che emergono da queste

due basi di dati, se considerati in prospettiva comparata con gli altri casi nazionali, determinano

                                                                                                               22 “Relazione di Luigi Gallo”. s/d. FC, fascicolo 545-1-073, folio 66, RGASPI

23 Mirta Núñez Diaz-Balart, La disciplina de la conciencia: las Brigadas Internacionales y sy artillería de papel, Barcellona, Flor del Viento, 2006, pp. 114-115 e Skoutelsky, Novedad en el Frente... cit., pp. 385-391.

24 Fascicolo 545-6-472 e fascicolo 545-6-473, RGASPI.

25 AA. VV., La Spagna nel nostro cuore... cit. e AA. VV., Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (Volumi 1 e 2), Pisa, BFS, 2003/2004.

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un quadro molto interessante del volontariato italiano in Spagna.

Iniziamo  da  un  dato  sostanziale  per  capire  chi  furono  i  volontari  italiani:  quale  fu  la  loro  

età  media?   Incrociando   i   dati   dei   due   gruppi   emerge   una  media   di   35   anni.   Gli   italiani  

furono   quindi   sostanzialmente   più   “adulti”   rispetto   ai   loro   compagni   d’armi   inglesi   o  

francesi.    

 Età   Italiani  B.  Garibaldi   Italiani  S.  

Italiana  

Francesi   Inglesi   Tedeschi   Jugoslavi  

Under  21   1,2%   1,3%   2,6%   4,2%   2,2%   1,9%  

21-­‐25   8,9%   6,8%   24,8%   32,1%   20,4%   19,7%  

26-­‐30   17,4%   16,5%   32,6%   23,6%   26,7%   29%  

31-­‐35   28,3%   25,3%   21,9%   20,4%   22,1%   25,4%  

36-­‐40   26,2%   29,9%   13,7%   12,3%   17,7%   16,4%  

Over  40   17,7%   19,9%   4,4%   7,3%   10,9%   7,4%  

 Fig.  3.1  –  Età  media26  

 

Come   si   evince   dai   dati   contenuti   nella   tabella   3.1,   le   differenze   rispetto   ad   altri   casi  

nazionali   sono   sensibili   e,   per   trovare   degli   elementi   di   contatto,   questi   andrebbero  

cercati  in  relazione  più  ai  volontari  jugoslavi  e  a  quelli  tedeschi  che  non  a  quelli  inglesi  o  

francesi.  Ancora  più  giovani,  e  quindi  più  lontani  dagli  italiani,  gli  statunitensi,  il  cui  dato  

oscillò  tra  i  23  ed  i  25  anni.27  Gli  italiani  erano  nati  in  larga  parte  nel  decennio  che  va  dal  

1898   al   1908,   l’anno   che   ricorre  maggiormente   è   il   1903,   e   non   pochi   di   loro   avevano  

preso   parte   alla   prima   guerra   mondiale:   tra   i   garibaldini   che   dichiararono   di   aver  

ottemperato  agli  obblighi  di   leva,  ben   il  37%  aveva  partecipato  a  quel  conflitto.  Uno  dei  

personaggi  de  L’Espoir  di  André  Marlaux  nota,   forse  esagerando,   come  durante   il  primo  

inverno   in   Spagna   almeno   il   60%   degli   italiani   avesse   più   di   45   anni!28   Gli   unici   che  

poterono  competere  in  anzianità  furono  i  tedeschi,  tra  i  quali  quasi  il  30%  aveva  più  di  36  

                                                                                                               26 Per il caso inglese, quello francese, quelle tedesco e quello jugoslavo si veda, rispettivamente: Baxell, British Volunteers..... cit., p. 24; Skoutelsky, L'espoir guidait leurs..... cit., p. 142; Michael Uhl, Mythos Spanien. Das erbe der internationalen Brigaden in der DDR, Bonn, Dietz, 2004, p. 60 e Hervé Lemesle, “Les volontaires yougoslaves en Espagne republicaine: un contingent specifique?”, in: Stanislav Demidijuk, Rémi Skoutelsky, (a cura di), Nouveaux regards sur les Brigades Internationales: Espagne 1936-1939, Barcellona, Indigene Editions, 2010, p. 40.

27 Skoutelsky, Novedad en el frente.... cit., p. 172.

28 André Malraux, L'Espoir, Parigi, Gallimard, 1937, p. 521.

  8    

anni.29  

Essere  più   “maturi”   significava  aver  conosciuto   il  periodo  della   “guerra  civile”  dei  primi  

anni  venti:  la  nascita  del  fascismo,  le  violenze  squadriste  e  l’avvento  al  potere  di  Mussolini  

erano  eventi  traumatici,  spesso  nel  senso  più  letterale  del  termine,  che  avevano  segnato  la  

vita  della  maggioranza  dei  futuri  volontari  in  Spagna.30  Esiste  un  altro  dato  che  può  essere  

utile   per   trovare   un   sottile   filo   rosso   che  metta   in   relazione   la   scelta   di   partire   per   la  

Spagna   con   quel   periodo   della   storia   italiana:   prendendo   in   considerazione   tre   grandi  

provincie  (quella  di  Bologna,  quella  di  Firenze  e  quella  di  Torino),  si  scopre  che  la  maggior  

parte  dei  volontari,  ben   il  70%,  era  originaria  non  del   capoluogo  bensì  delle  aree   rurali  

circostanti.  Sappiamo  come  quella   fascista   fosse  una  violenza   legata  al   territorio  e  come  

colpisse   duramente   soprattutto   nei   centri  minori:   in   una   dimensione   piccola,   piuttosto  

che   in   una   grande   città,   era   più   facile   essere   pubblicamente   conosciuti   come   “rossi”   e  

cadere   quindi   vittima   delle   violenze.31   Ci   furono   poi   anche   una   quarantina   di   reduci  

dall’effimera   esperienza   antifascista   degli   Arditi   del   Popolo,   tra   di   loro   Antonio   Roasio,  

Francesco  Leone,  Antonio  Cieri,  Virgilio  Gozzoli  e  il  pratese  Dino  Saccenti.32  Chi  era  troppo  

giovane  per  avere  un  ricordo  diretto  di  quel  periodo,  non  di  rado  veniva  da  una  famiglia  

che   ne   aveva   potuto   tramandare   la   memoria;   nel   breve   profilo   biografico   redatto   da  

Edoardo  D’Onofrio  su  Luigi  della  Puppa,  benché   fosse  nato  solo  nel  1918,  era  segnalato  

come  questo  veniva  da  una  famiglia  duramente  colpita  delle  violenze  e  dei  soprusi  fascisti  

e  poi  costretta  all’emigrazione.33  

La  memoria,  in  prima  persona  o  raccontata,  di  quei  primi  anni  venti  sarebbe  quindi  stata  

ben   presente   al  momento   di   arruolarsi   nelle   BI;   chi   partì   per   la   Spagna   aveva,   in   linea  

generale,  dovuto  abbandonare  l’Italia  abbastanza  presto,  il  47%  se  n’era  andato  prima  del  

                                                                                                               29 Interessante il caso canadese. Come ha recentemente rilevato Michael Petrou, si registrò un volontariato stranamente “adulto”: la maggior parte dei volontari ebbe un’età compresa tra i 30 ed i 40 anni. Questo dato trova una spiegazione nella sostanziale coincidenza tra quei volontari canadesi e degli europei recentemente emigrati, a volte per motivi politici, in nord America (Michael Petrou, Renegades. Canadians in the Spanish Civil War, Toronto, Ubc Press, 2008, p. 13).

30 Cf. Fabio Fabbri, Le origini della guerra civile. L'Italia dalla guerra al fascismo (1918-1921), Torino, UTET, Torino.

31 Marco Palla, “Il fascismo” in: A. VV (a cura di), Storia d'Italia - Le regioni dall'Unità ad ogg: l'Emilia Romagna, Torino, Einaudi, 1997, p. 581.

32 Cfr. E. Francescangeli, Arditi del Popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Odarek, Roma 2000.

33 “Profilo biografico di Luigi della Puppa”. 16/09/1940. FC, fascicolo 545-6-488, folio 11, RGASPI.

  9    

1926.   Secondo   Pierre   Milza,   l’emigrazione   dei   primi   anni   venti,   non   ancora   definibile  

“antifascista”   in   senso   stretto,   era   però   sostanzialmente   formata   dai   militanti   e   dai  

dirigenti  del  movimento  operaio  più  colpiti  dallo  squadrismo;  fu  in  questa  prima  ondata  

che   si   confusero   anche  molti   dei   futuri   volontari   in   Spagna.34   I   flussi   in  uscita   in  quegli  

anni  erano  caratterizzati:  «dalla  nutrita  presenza  di  lavoratori  la  cui  decisione  di  spostarsi  

all’estero  nasceva  non  solo  da  ristrettezze  economiche  patite  in  Italia,  ma  anche,  e  in  molti  

casi   soprattutto,  dal  bisogno  di   “cambiare  aria”,  di   abbandonare   luoghi  di   residenza  nei  

quali  la  vita  si  era  fatta  rischiosa  ed  insostenibile  a  causa  degli  attacchi  dello  squadrismo  

fascista  e   la  possibilità  stessa  di  conservare  o   trovare  un’occupazione  era  compromessa  

dalle  intimidazioni,  dall’emarginazione  sociale  e  dai  veri  e  propri  “bandi”  con  cui  i  fascisti,  

divenuti   padroni   del   territorio,   colpivano   i  militanti   più   in   vista,   sul   piano   locale,   della  

sinistra  politica  e  sindacale».35    

Quest’insieme   di   dati   inducono   a   riflettere   sull’importanza   della   categoria   di  

“generazione”  messa  in  relazione  al  volontariato  in  Spagna.  Stéfanie  Prezioso,  nel  suo  bel  

volume  su  Fernando  Schiavetti,  è  stata  in  grado  di  mostrare  come  i  traumi  vissuti  da  tutta  

una  generazione  di  europei  incisero  profondamente  sulle  scelte  che  questa  avrebbe  fatto  

negli   anni   compresi   tra   le   due   guerre   mondiali.36   La   spiegazione   che   vorrebbe  

l’impulsività   ed   il   radicalismo,   tipici   dell’ardore   giovanile,   alla   base   del   volontariato,  

mentre  può  anche  funzionare  per  i  britannici  o  per  gli  statunitensi  entra  decisamente  in  

cortocircuito   con   gli   italiani.   Crediamo   che   le  motivazioni   che   spinsero   degli   uomini   di  

mezza  età  ad  abbandonare  i  propri  impieghi  e  le  proprie  famiglie  (il 41,1% dei partecipanti

alla Sezione Italiana era sposato, mentre il 26,3% aveva almeno un figlio) vadano  ricercate  

nel  periodo  a  cavallo  tra  gli  anni   ’20  e   ’30;  nell’impossibilità  di  vivere  nel  proprio  paese  

d’origine;   nelle   difficoltà,   socioeconomiche,   e   nel   senso   di   sradicamento   dato   dalla  

condizione   di   esule;   nell’inevitabile   precoce   presa   di   coscienza   del   fascismo   come  

problema   non   esclusivamente   italiano;   nel   sentimento   di   profonda   impotenza   dinnanzi  

all’aggressività  internazionale  fascista.  

In   virtù   di   queste   considerazioni   sul   lungo   periodo   “a   ritroso”,   può   essere   interessante  

                                                                                                               34 Pierre Milza, Voyage en Ritalie, Parigi, Payot, 1995, p. 261.

35 Leonardo Rapone, “Emigrazione italiana e antifascismo in esilio”, in: Archivio Storico dell'Emigrazione Italiana", 1 (2008), p. 53.

36 Stefanie Prezioso, Itinerario di un "figlio del 1914" - Fernando Schiavetti dalla trince all'antifascismo, Manduria, Lacaita, 2004.

  10    

fare  alcune  considerazioni  sulle  regioni  italiane  di  origine  dei  volontari.    

 Regione   Garibaldi     Percentuale   S.  Italiana   Percentuale  

Emilia-­‐Romagna   253   15,6%   91   21,2%  

Lombardia   184   11,4%   42   9,8%  

Veneto   184   11,4%   31   7,2%  

Toscana   163   10%   71   16,5%  

Piemonte   143   8,8%   29   6,7%  

Friuli  Venezia-­‐Giulia   138   8,5%   17   3,9%  

Liguria   59   3,6%   21   4,9%  

Marche   48   2,9%   18   4,2%  

Umbria   45   2,7%   13   3%  

Sicilia   45   2,7%   10   2,3%  

Sardegna   42   2,6%   14   3,2%  

Trentino  Alto-­‐Adige   42   2,6%   9   2,1%  

Calabria   31   1,9%   5   1,1%  

Lazio   25   1,5%   8   1,8%  

Puglia   24   1,4%   3   0,7%  

Abruzzo   13   0,8%   5   1,1%  

Campania   11   0,6%   9   2,1%  

Valle  d’Aosta   6   0,3%   1   0,2%  

Molise   4   0,2%   -­‐   -­‐  

San  Marino   3   0,1%   -­‐   -­‐  

Basilicata   2   0,1%   -­‐   -­‐  

Altro/Estero   149   9,2%   31   7,2%  

 Fig.  3.2  –  Provenienza  regionale  dei  volontari  italiani  (1)  

 

Dai   dati   emerge   inequivocabilmente   una   preponderanza   di   volontari   provenienti   dalle  

regioni   del   centro-­‐nord;   ancora   una   volta   questa   cartina,   com’era   scontato   aspettarsi,  

tende   a   combaciare   con   quella   delle   violenze   squadriste.   Emilia-­‐Romagna,   Lombardia,  

Veneto  e  Toscana  furono  duramente  colpite  nel  triennio  1920-­‐1922;  come  ha  sottolineato  

Giulia  Albanese,   la  conflittualità  sociale  raggiunse   in  queste  aree   livelli   talmente  alti  che  

dal   gennaio  1921  aumentò   il   ricorso  all’espressione   “guerra   civile”.37   Le   lievi  differenze  

regionali   tra   garibaldini   e   componenti   della   Sezione   Italiana,   rispecchia   quella   che   fu   la                                                                                                                  37 Giulia Albanese, La marcia su Roma, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 26.

  11    

diversa   composizione   politica   delle   due   formazioni:   Emilia-­‐Romagna   e   Toscana,   per   il  

caso  della  Sezione  Italiana,  erano   le  regioni  con  una  tradizione   libertaria  più  sviluppata.  

Resta   però   un   dato   significativo   che   emerge   chiaramente   dalla   figura   3.3:   le   aree   di  

origine  dei  volontari  coincidono  sostanzialmente  con  quelle  che  hanno  una  tradizione  di  

politicizzazione   più   forte.   Nel   corso   della   seconda   metà   dell’ottocento,   la   bassa   area  

padana  e  le  campagne  romagnole  furono  le  culle  del  primo  associazionismo  politico,  dove  

videro   la   luce  prima   i  movimenti  anarchico  e   repubblicano  e  poi  quello  socialista.  Fu   in  

queste  zone  che  sorsero  le  prime  società  di  mutuo  soccorso,   i   luoghi  dove  prese  il  via  la  

politicizzazione   delle   classi   subalterne   italiane.   Se   è   forse   azzardato   voler   mettere   in  

relazione   diretta   la   scelta   del   1936   con   un   quadro   di   così   lunga   durata,   crediamo  

ugualmente   che   si   possano   individuare   delle   tradizioni,   tramandate   magari   a   livello  

familiare,  che  possono  sicuramente  aver   influito  nella   formazione  politica  ed  umana  dei  

futuri   volontari.   L'immagine   3.3   ci   dimostra,   senza   lasciare   adito   a   dubbi,   quanto   sia  

importante  analizzare  il  volontariato  internazionale  in  Spagna  attraverso  delle  categorie  

che  prevedano  la  lunga  durata.  

 

   

Fig.  3.3  –  Provenienza  regionale  dei  volontari  italiani  (2)  

 

Quello   italiano,   oltre   ad   essere   “adulto”,   fu   un   volontariato   particolarmente   “precoce”.  

  12    

Nella   figura   3.4   si   possono   vedere   gli   arrivi   mensili   in   Spagna   (dei   1.865   per   i   quali  

abbiamo   il   dato)   ed   emerge   chiaramente   come  questi   si   concentrarono  nelle  prime   fasi  

del   conflitto   (si   deve   ricordare   che   dall'aprile   del   1937   la   Sezione   Italiana   si   sarebbe  

sciolta  ed  ad  accogliere  gli   italiani  sarebbe  rimasta  solo  il  Battaglione  Garibaldi).  Il  mese  

che  segnò  il  valore  più  alto  è  l’ottobre  del  1936  con  ben  321  ingressi,  seguito  dai  265  del  

mese  successivo.      

 

   

Fig.  3.4  –  Ingressi  mensili  in  Spagna  

 

 

Dall’aprile   del   1937   (56),   gli   arrivi   conobbero  un  progressivo   calo   fino   ad   assestarsi   su  

una  media,   nel   successivo   anno   e  mezzo,   di   25   ingressi  mensili.   Queste   cifre,   relative   a  

circa  2.000   volontari,   dovrebbero   essere  moltiplicate   per   2   volte   e  mezzo  per   avere  un  

dato  vicino  a  quello  reale.  Il  dato  saliente  è  sicuramente  quello  che  vide  quasi  il  60%  degli  

italiani  arrivare  entro  la  fine  del  1936,  quando  le  Brigate  Internazionali  potevano  vantare  

solo  poche   settimane  di   vita.  Rivolgendosi   agli   altri   casi   nazionali   emerge   la   peculiarità  

italiana.  Gli  inglesi,  ad  esempio,  ebbero  un  primo  picco  di  arrivi  a  cavallo  tra  il  1936  ed  il  

1937,  con  un  ritardo  rispetto  al  caso  italiano,  ma  poi  ne  ebbero  un  altro  tra   il  gennaio  e  

l’aprile   dell’anno   successivo   ed   in   ogni   caso   ebbero   un   andamento   più   omogeneo   negli  

arruolamenti.38   Se   gli   inglesi   aspettarono   che   fosse   ben   organizzato   un   sistema   di  

arruolamento,   gli   italiani   tesero   a   partire   sullo   slancio   emotivo   delle   prime   notizie;   ne  

                                                                                                               38 Baxell, British Volunteers..... cit., p. 20.

  13    

sono   testimonianza   i   quasi   300   arrivi   (il   15%   del   totale)   entro   il   settembre,   quando  

ancora  non  erano  neanche  state   istituite   le  BI  e   la  Sezione  Italiana  aveva  pochi  giorni  di  

vita.  Lo  stesso  fatto  che  nei  mesi  di  ottobre  e  di  novembre,  quando  il  Comitato  Centrale  del  

PCd’I   “aprì”   ufficialmente   l’arruolamento,   se   ne   registrassero   in   poche   settimane   quasi  

600   è   un  dato   sintomatico:   evidentemente,   tra   i  militanti   comunisti   doveva   esserci   una  

volontà  diffusa  di  partire  per  la  Spagna  che  letteralmente  esplose  quando  il  partito  diede  

il  via  libera.  

Se  si  vuole  riflettere  su  questi  dati  ci  si  dovrà  concentrare,  visto  il  suo  ruolo  egemonico  tra  

le  forze  antifasciste  impegnate  in  Spagna  e  che  fu  l'unica  forza  politica  ad  organizzare  un  

sistema  di  arruolamento,  sul  partito  comunista.   Il  PCd’I  s’impegnò  a   fondo  nel   favorire   i  

reclutamenti;  nel  gennaio  del  1937  un  confidente  fascista,  parlando  del  dipartimento  delle  

Alpi  Marittime,  riferì  come  lì  si  facesse  il  possibile  per  convincere  a  partire  i  «militanti  del  

partito  di  provata  fede  politica».39  A  Charleroi,  invece,  sempre  secondo  fonte  fascista,  per  

gli   arruolamenti   sarebbe   stata   istituita   una   commissione   presieduta   da   un   dirigente  

socialista   e  da  uno   comunista.40   Le   cose  andarono  bene   finché   il   numero  di   volontari   si  

mantenne  alto,  ma  quando,  a  partire  dal  giugno  del  1937,  ci   fu  un  vero  e  proprio  crollo,  

emersero   alcune   tensioni   in   seno   alla   dirigenza   comunista.   In   una   riunione   della  

segreteria   del   novembre   di   quell’anno   si   palesò   un   certo   nervosismo   tra   i   massimi  

dirigenti  del  partito.41  Solo  il  mese  precedente  Palmiro  Togliatti  aveva  mandato  una  dura  

lettera  alla   segreteria  nella  quale   riferiva   i  problemi   che  aveva   trovato  durante  una  sua  

recente   visita   alla   Garibaldi;   «la   situazione   è   cattiva   per   quanto   riguarda»,   scriveva  

Togliatti/Ercoli,  «la  composizione  nazionale  della  brigata.  Tra  gli  elementi  che  si  battono  

in   prima   linea   gli   italiani   non   sono   più   del   9%.   […]   Bisogna   ad   ogni   costo   rafforzare   il  

reclutamento   e   inviare   in   un   periodo   di   tempo   molto   breve,   altri   compagni   italiani.  

Reclutare  in  Francia,  in  Svizzera.  Prendere  misure  speciali  per  il  reclutamento  in  Italia.  Lo  

stesso  vale  per   il   reclutamento  negli   Stati  Uniti   e  nell’America  del   Sud.   Se  non   si  hanno  

rapidamente  risultati  notevoli,  la  situazione  della  brigata  peggiorerà  sotto  tutti  i  punti  di  

                                                                                                               39 “Relazione fiduciaria”. 12/01/1937. Dir Gen PS, DAGR, 1937 busta 62, 1936-1937 primo fascicolo, ACS.

40 “Nota del direttore capo della Divisione Polizia Politica”. 15/12/1936. Dir Gen PS, DAGR, 1937 busta 62, 1936-1937 primo fascicolo, ACS.

41 “Verbale della riunione di segreteria”. 12/11/1937. FPCdI, fascicolo 1434 – Verbali delle riunioni della segreteria del Pcd’I, Archivio Fondazione Gramsci, Roma (AFG).

  14    

vista».42  L’attitudine  dei  dirigenti  comunisti  verso  il  reclutamento  lascia  intravedere  una  

questione   fondamentale  del   volontariato   che   sicuramente  meriterebbe  uno   studio   serio  

ed   approfondito:   la   lontananza   tra   la   percezione   che   ebbero  di   se   i   combattenti   (che   si  

sentivano,   in   tutto  e  per   tutto,  volontari)  e  quella  che   invece  ne  ebbero   i  vertici  politico  

militari   delle   BI   (che   li   considerarono   dei   militari).   Il   comitato   centrale   del   PCd’I,   nel  

momento  in  cui  gli  arruolamenti  subirono  un  calo  fisiologico  (inevitabile  dopo  lo  slancio  

iniziale)   rispose   invocando   una  maggiore   propaganda   e   non   considerando   come   quella  

volontaristica   fosse   una   scelta   personale;   una   scelta   che   andava   ad   investire  

pesantemente   la   sfera   degli   affetti   e   che   era,   per   questo,   difficilmente   influenzabile.   Lo  

slancio   dei   primi   mesi   sommato   e   la   “fiacca”   dei   successivi   contribuiscono   a   definire  

meglio   le   caratteristiche   del   volontariato   italiano   e,   ancora   una   volta,   a   metterlo  

necessariamente   in   relazione   con   le   sofferenze   patite   dagli   antifascisti   durate   il  

quindicennio  precedente:  coloro  che  avevano  maturato,  nel  corso  degli  anni,  i  presupposti  

che  li  avrebbero  portati   in  Spagna,  scelsero  di  partire  non  appena  questo  fu  possibile.  Si  

trattò,  più  che  in  altri  casi  nazionali,  di  una  scelta  influenzata  dallo  slancio  emotivo.    

Continuiamo  il  nostro  ritratto  di  gruppo.  Ancora  oggi,  uno  tra  i  luoghi  comuni  più  diffusi  

sui   volontari   spagnoli   è   quello   che   questi   avrebbero   formato   “un’armata   di   poeti   e   di  

scrittori”.  Il  caso  italiano  non  potrebbe  essere  più  lontano  da  questo  stereotipo;  secondo  i  

dati   da   noi   raccolti,   i   mestieri   più   ricorrenti   dichiarati   al   momento   dell’arruolamento  

furono:  muratore  (17%),  operaio  (10%),  contadino/bracciante  (8,5%)  minatore  (7,6%)  e  

meccanico   (6,3%).   A   chiudere   la   lista   c’era   uno   0,49%   di   studenti,   ed   uno   0,2%   di  

avvocati.  Tra  i  643  componenti  del  Battaglione  Garibaldi  per  i  quali  si  è  trovato  anche  il  

livello  d’istruzione,  ci  furono  53  (8,2%)  con  la  licenza  media,  20  (3,1%)  diplomati  e  solo  9  

(1,3%)   laureati;   il   resto   (86,9%),   esclusi   due   analfabeti,   aveva   frequentato   le   scuole  

elementari.  La  maggior  parte  dei  volontari  italiani  erano  quindi  salariati  con  un’istruzione  

non  molto  alta,  un’immagine  diametralmente  opposta  rispetto  a  quella  del  “combattente  

intellettuale”.  Potremmo  invece  dire  che  gli   italiani   furono  lo  specchio  fedele  del  mondo  

dal  quale,  in  larga  maggioranza,  provenivano:  quello  dell’emigrazione  antifascista.  

L’ultimo  dato  che  ci  aiuterà  ad  avere  un  ritratto  di  gruppo  abbastanza  completo  è  quello  

concernente  l’appartenenza  politica.  Come  si  è  visto,  il  processo  di  arruolamento  venne  in  

larga  parte  gestito  dai   comunisti   e   già   si   è  detto   riguardo  alla   loro  egemonia   sull’intero                                                                                                                  42 Palmiro Togliatti. “Lettera di Ercoli”. 04/10/1937. FPCdI, fascicolo 1440 – Corrispondenza di Ercoli con la dirigenza del Pcd’I, AFG.

  15    

sistema   interbrigatista.   Gabriele   Ranzato   ha   avuto   moto   di   sottolineare   come   ci   sia  

«un’inerzia   fronte   populista   nel   continuare   a   dire   che   nelle   Brigate   Internazionali   si  

batterono  fianco  a  fianco  comunisti,  anarchici,  socialisti,  repubblicani,  ecc.  Fianco  a  fianco  

si»,   continua   Ranzato,   «ma   in   una   proporzione   di   almeno   2/3   contro   1/3».43  

Effettivamente,  molti  dei  vertici  politico  militari  della  Garibaldi  arrivarono  direttamente  

da  Mosca;   in  una  lista  conservata  negli  archivi  del  PCd’I  sono  elencati  ben  45  quadri  del  

partito   che,   tra   il   1936   ed   il   1937,   erano   stati   inviati   in   Spagna   direttamente   dal  

Comintern,  tra  di   loro  anche  Angelo  Irico,  Antonio  Roasio  e  Aldo  Morandi.44  Questa  lista  

contiene   i   nominativi   di   buona   parte   dei   commissari   politici   e   dei   comandanti   militari  

della   Garibaldi;   secondo   i   nostri   calcoli   almeno   il   75%   dei   commissari   politici   e   degli  

ufficiali   furono   comunisti.   Non   si   deve   però   dimenticare   che,   per   il   caso   italiano,   a  

“bilanciare”,  in  parte,  la  preminenza  politica  comunista  ci  fu  la  Sezione  Italiana  con  la  sua  

maggioranza  libertaria.  La  tabella  3.5  mostra  la  composizione  politica  delle  due  colonne.  

 Famiglia  politica   B.  Garibaldi     Sezione  Italiana  

Anarchico   4,5%   60,8%  

Antifascista   9,1%   8,2%  

Cattolico   1,4%   -­‐  

Comunista   71,1%   14,1%  

Democratico   0,5%   0,6%  

Giellista   0,5%   6,6%  

Repubblicano   1,4%   2,8%  

Socialista   10,8%   6,5%  

 Fig.  3.5  –  Appartenenza  politica,  in  percentuale,  dei  volontari  della  

brigata  Garibaldi  e  della  Sezione  Italiana  

 

 

Rimanendo   solo   sulle   Brigate   Internazionali,   se   si   confrontano   i   dati   sugli   italiani   con  

quelli  che  si  hanno  per  altre  nazionalità  si  può  constatare  come  quello  garibaldino  sia   il  

caso   che   presenta   una   maggiore   eterogeneità   politica:   gli   inglesi   furono   in   gran   parte                                                                                                                  43 Gabriele Ranzato, “Ripensare la guerra di Spagna” in: Enzo Collotti (a cura di), Fascismo e antifascismo – Rimozioni, revisioni, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 143.

44 “Elenchi di emigrati politici partiti dall'URSS (1936-1938)”. s/d. FPCdI, fascicolo 65 (secondo inventario), AFG.

  16    

comunisti   (87%)   con   una   discreta   presenza   socialista   (il   10%),  mentre   tra   i   francesi   ci  

furono  meno  comunisti  (64%)  ma  i  socialisti  furono  una  minoranza  molto  piccola  (1,8%)  

e  molti  volontari  non  risultavano  iscritti  ad  alcun  partito.45  Anche  gli  statunitensi  furono  

in   maggior   parte   se   non   comunisti,   quanto   meno   simpatizzanti   o   iscritti   alle   centrali  

sindacali   vicine   a   quel  movimento.46   Crediamo   quindi   che   la   peculiarità   italiana   risieda  

non   tanto  nella  percentuale  di   comunisti   presenti   in   Spagna  quanto  più  nella   varietà  di  

forze   politiche   coinvolte   tanto   nell’esperienza   della   Garibaldi   quanto   in   quella   della  

Sezione  Italiana.    

4. Conclusioni

Questi brevi ritratti di gruppo ci consegnano un’immagine, forse inconsueta, del volontariato

italiano; un’immagine per larghi tratti inaspettata, ma, al contempo, sicuramente interessante.

Uomini di mezza età, spesso con qualche capello bianco in più di quanto potessimo pensare,

che lasciarono, nel giro di pochi giorni, le proprie famiglie; volontari che partirono per la

Spagna ben coscienti del problema fascista in Europa perché ne avevano sperimentato la

violenza sulla propria pelle. Si trattò quindi di un volontariato che non può non avere legami

fortissimi, indissolubili, con la storia europea tra le due guerre mondiali, con la storia di quella

“Guerra Civile Europea” che si combatteva ormai dal 1914. Gabriele Ranzato si è chiesto, in

apertura del suo Eclissi della democrazia, che cosa unisse Esmond Romilly, rampollo di una

facoltosa famiglia inglese e nipote di Winston Churchill, e Giovanni Cuccagna, un meccanico

perugino che aveva la 4ª elementare e che appena sapeva leggere; «Perché così diversi erano

andati in Spagna a fare la guerra dalla stessa parte del fronte?»47 Entrambi avrebbero molto

probabilmente risposto che erano accorsi in Spagna per combattere il fascismo e per difendere

la democrazia. Come ci hanno dimostrato i dati citati, chi avrebbe combattuto in Spagna lo

avrebbe fatto perché sentivano l'antifascismo come una necessità europea e non solo italiana.

«L'antifascismo fu il collante di quell'epoca» avrebbe ricordato un ex-volontario francese,

«all'interno di quel campo potevano coesistere diverse tendenze, ma tutte erano unite dalla

comune volontà di intralciare il cammino al fascismo. Quello fu l'elemento essenziale del

nostro tempo».48 Lanciotto Corsi, era un anarchico originario di Livorno, in quell’estate del

                                                                                                               45 Baxell, British Volunteers..... cit., p. 22 e Skoutelsky, L'espoir guidait leurs..... cit., p. 154.

46 Jackson, Fallen Sparrows..... cit., pp. 85-86.

47 Gabriele Ranzato, L'eclissi della democrazia – La guerra civile spagnola e le sue origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 3-6.

48 Skoutelsky, Novedad en el frente, cit., p. 193

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1936 aveva 43 anni, era sposato ed aveva 3 figli; il 20 agosto scrisse una lettera alla moglie per

renderla partecipe della decisione di partire: «Debbo metterti al corrente che fra giorni partirò

per la Spagna»,  diceva  in  apertura,  «giacché non mi è dato lottare la stessa causa in terra natale

lotterò in terra di Spagna poiché l’avversario è lo stesso nemico».49

 

                                                                                                               49 Lanciotto Corsi, “Lettera alla moglie” 20/08/1936. CPC b. 1486, f. 13436 Corsi Lanciotto, ACS.