Formazione delle mie brame. Lezioni di leadership e management costruiscono il futuro del...

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IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO SI CMP ROSERIO [MILANO] PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE S’IMPEGNA A PAGARE IL DIRITTO FISSO DOVUTO Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano Rivista periodica Anno 1 numero 3 dicembre 2010 Formazione delle mie brame Lezioni di leadership e management costruiscono il futuro del volontariato L’analisi Né eroi né supertecnici La sfida della formazione si gioca sulla Terza via Ghiringhelli Una gestione d’eccellenza è garanzia di efficienza per l’azione dei volontari dossier

Transcript of Formazione delle mie brame. Lezioni di leadership e management costruiscono il futuro del...

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Centro servizi per il volontariato nella provincia di MilanoRivista periodicaAnno 1 numero 3 dicembre 2010

Formazione delle mie brameLezioni di leadership e managementcostruiscono il futuro del volontariato

L’analisi Né eroi né supertecniciLa sfida della formazionesi gioca sulla Terza via

GhiringhelliUna gestione d’eccellenza

è garanzia di efficienzaper l’azione dei volontari

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piazza Castello, 3 - 20121 Milano - tel. 02.4547.5850 - fax 02.4547.5458 www.ciessevi.org

Vdossierrivista periodica Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano

dicembre 2010anno 1numero 3

Registrazione del Tribunale di Milano n. 550 del 1/10/2001

EditoreAssociazione Ciessevipiazza Castello 320121 Milanotel. 02.45475850fax 02.45475458email [email protected]

Direttore ResponsabileLino Lacagnina

RedazioneElisabetta BianchettiPaolo Marelliemail: [email protected]

Hanno collaborato Sandrine GreffetElena MartaMarco PietripaoliGiorgio Sordelli

Progetto editorialePaolo Marelli

Progetto grafico e impaginazioneFrancesco CamagnaSimona Corvaiaemail [email protected]

StampaIl Papiro soc. coop. soc. Onlusvia Baranzate 72/7420026 Novate Milanese (MI)

Stampa in carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) che garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Inchiostri derivati da fonti rinnovabili (oli vegetali).

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purchè venga citata la fonte.

Sommario

L’editorialeDirigenti si diventa con inventiva, umiltà e strategie vincenti A PAGINA 5

L’analisi Né eroi né supertecnici. La sfida della formazionesi gioca sulla Terza via A PAGINA 9

L’autocritica Quel nervo scoperto che frena la crescita delle nostre realtà A PAGINA 15

Magatti Come trasmettere il valore dell’altruismo nella “società liquida” A PAGINA 19

GhiringhelliUna gestione d’eccellenza è garanzia di efficienza per l’azione dei volontari A PAGINA 23

BruscaglioniProgrammi ad personam. Perché la flessibilità è il cuore dei nuovi corsi A PAGINA 31

Salomone Investire nella gratuità, l’esperienza che plasmail know how per la vita A PAGINA 35

MartaLa mission possibile: associazioni educatei giovani volontari A PAGINA 40

Nuove frontiere E-learning, e-training: ecco come si formanoi volontari a distanza A PAGINA 45

Lezione parigina Grazie al “passaporto” in Francia la solidarietà entra nel curriculum A PAGINA 52

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La formazione è indispensabile,tanto che per vincere le nuove

sfide occorre ritornare a scuola. E i primi che devono tornarci

sono leader e manager delle nostre organizzazioni

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Dirigenti si diventa con inventiva, umiltà e strategie vincenti

L’editoriale

di Lino Lacagnina, presidente Ciessevi

«N ON POSSIAMO PRETENDERE CHE LE CO-SE CAMBINO, se continuiamo a farele stesse cose», scriveva Albert Einstein. Questa

frase era tra gli auguri che mi sono arrivati di buon anno. Leparole dello scienziato mi hanno molto colpito, non tanto perla loro originalità, ma quanto per la loro disarmante semplici-tà. Einstein ci fa constatare come la soluzione dei nostri pro-blemi, sui quali sociologi, psicologi, antropologi, politologi siaffannano quotidianamente nei talk show delle reti televisive,in realtà è semplice ed è sotto gli occhi di tutti.

Come nella frase del danese Hans Christian Andersen, in “Ivestiti nuovi dell’imperatore”, quando il bambino esclama «ilRe è nudo!» e squarcia quel velo invisibile che copriva gli oc-chi di tutti coloro che, per conformismo e opportunismo, nonvolevano vedere. Ritornando al biglietto d’auguri, Einstein con-tinuava così:

L’editoriale

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«E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi stra-tegie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato».

Forse dovremmo anche noi chiederci come mai continuiamoa fare le stesse cose. Ma soprattutto perché non siamo capaci difarne altre? Perché il nuovo e l’imprevisto ci spaventano? E an-cora: perché non lasciamo che i giovani, con la loro “inventiva”,permeino la realtà con il loro entusiasmo e la loro forza vitale?Perché fatichiamo ad accettare che siano le nuove generazionia cambiare il mondo? Da ultimo: perché non siamo preparati adaffrontare una realtà che sfugge alle nostre categorie ed è in con-tinuo cambiamento?

Rispondere a questa lista di domande vorrebbe dire sotto-porsi a un’autocritica senza sconti, vorrebbe dire prendere co-scienza dei propri limiti ed errori, vorrebbe dire interrogarsi suchi siamo e su cosa facciamo. Domande che ci mettono davan-ti ad uno specchio. Specchio che ci riflette l’immagine di comenon siamo preparati ad affrontare le nuove sfide che il volonta-riato incrocia nel proprio cammino di crescita.

Riconoscere e ammettere le proprie insufficienze potrebbepersino essere accettabile. Ciò che non è accettabile, invece, èl’assenza della consapevolezza di questa impreparazione e in-competenza. Tanto più che abbiamo acquisito una posizione diresponsabilità nei confronti della società. Dobbiamo, insieme, es-sere capaci di risolvere tutti i problemi che si pongo innanzi anoi. Peccato, perchè a volte non ci rendiamo conto che sia così.Infatti continuiamo per la nostra strada, facendo le stesse cose disempre, illudendoci che, con i soliti vecchi e cari strumenti diuna vita, sapremo affrontare anche le nuove sfide.

Commettiamo un errore. Per vincere le nuove scommesseche si profilano all’orizzonte occorre ritornare a scuola. E i pri-mi che devono tornarci sono proprio i leader e i manager dellenostre organizzazioni. Perché la formazione è l’unico strumen-to veramente innovativo che consente di far sorgere «l’inventi-va, le scoperte e le grandi strategie», di rinnovare gli approcci egli strumenti per affrontare questa realtà in continuo divenire,per superare le “crisi” che incalzano.

Ecco perché questo terzo numero di Vdossier del 2010 è de-dicato alla formazione analizzata a tutto tondo: da chi ne ha bi-

sogno ai contenuti tecnici, organizzativo-strategici, motivaziona-li. E poi le modalità e gli strumenti per accrescere le proprie co-noscenze. E ancora una formazione personalizzata, oppure a di-stanza grazie alle nuove tecnologie. Senza tralasciare il confrontocon altri esempi come quello francese dove anche la formazionee l’esperienza di volontariato diventa un’acquisizione di compe-tenze certificata da un “passaporto” da poter spendere a livelloprofessionale e curricolare.

Proprio su questo tema la parlamentare europea Marian Har-kin, in occasione del 2011 Anno europeo del volontariato, ha pro-posto il Passaporto europeo, simile a Europass. Uno strumentoattraverso il quale i volontari possano ricevere crediti o vedersi ri-conosciuta la loro esperienza di volontariato anche nel mondodel lavoro. Una decisione che dipenderà dalla determinazione dicoloro che sono a Bruxelles e Strasburgo e dalla capacità del vo-lontariato nel sensibilizzare la Commissione e il Parlamento eu-ropei su questo tema.

Concludo soffermandomi sull’aspetto motivazionale. Il mon-do del volontariato ha una straordinaria ricchezza e davanti a séha un Paese gravemente “malato”. La cura che proponiamo è lamissione stessa del volontariato che consiste nello sviluppareun’alfabetizzazione pedagogica delle persone. Una scuola di for-mazione alla solidarietà e alla corresponsabilità. Perché solo daqui passa il nostro futuro di comunità civile.

E i primi che devono affrontare questo compito sono le orga-nizzazioni di volontariato e loro leader, i quali devono formarsiin modo inappuntabile per svolgere la loro missione. Concludocon un pensiero di Sant’Ambrogio: «Voi pensate: i tempi sonocattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene emuterete i tempi!».

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Per essere efficace la formazionedeve essere accompagnata

da processi di revisioneorganizzativa all’interno

delle associazioni: i due processidevono camminare a braccetto

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Né eroi né supertecniciLa sfida della formazionesi gioca sulla Terza via

L’analisi

IL VOLONTARIATO PER ANTONOMASIA è esperienza del fare. Chisi impegna volontariamente, e quindi con disinteresse per-sonale, lo fa per portare un proprio contributo alla comu-

nità, intesa sia nella dimensione più circoscritta (alcune per-sone in stato di bisogno) che in quella più ampia (le persone delproprio quartiere, città, nazione, mondo, ma anche a favore deibeni ambientali e culturali).

I volontari sono cittadini fortemente orientati al fare, perché iltempo e il denaro sono risorse limitatissime e occorre massimiz-

zare le poche disponibili per far fron-te a tanti bisogni e necessità esistenti.

È questa bella e significativa carat-teristica del volontariato che ne facontemporaneamente la forza e la de-bolezza, perché, come sappiamo, afianco dell’azione occorre porre ilpensiero e le strategie utili per far ren-dere al meglio l’azione operativa.

Marco Pietripaoli,direttore di Ciessevi,osserva che leassociazioni hannoun bagaglio di competenzeorganizzativo stra-tegiche insufficienti

di Marco Pietripaoli

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Ma ben presto anche i volontari si sono resi conto che labuona volontà, la generosità, l’amore non bastano. Occorronosempre più volontari preparati, competenti ed esperti. Il temadella “professionalità” non è ad appannaggio soltanto delle per-sone retribuite; oggi occorre professionalità anche da parte deivolontari. Un volontario che opera in un’associazione che di-stribuisce pasti ai senza fissa dimora, non solo deve saper sco-dellare bene, ma anche entrare in relazione con persone fragi-li, lavorare in armonia nel gruppo degli altri volontari, coltivarele proprie motivazioni per essere pronto a superare i momentidi difficoltà, discutere in assemblea le scelte di bilancio e leconvenzioni della propria organizzazione. Queste sono soloacune competenze e conoscenze che un cittadino volontariopuò e deve acquisire nel tempo, sia personalmente che grazieall’associazione di appartenenza.

È per questo che le organizzazioni di volontariato più evo-lute pongono attenzione ed energie in percorsi formativi mira-ti ad accrescere le competenze dei propri volontari. Ne va nonsolo della qualità del servizio offerto, ma anche della credibi-lità dell’associazione stessa. Avere volontari preparati è un in-vestimento per il futuro della propria missione; investire in for-mazione diventa quindi una priorità. Si passa da organizzarealcune serate informali, a veri e propri corsi intensivi residen-ziali, da tirocini sul campo al dibattito e studio di documentie volumi.

Le forme sono le più eterogenee e non è oggetto di questocontributo entrare nel merito delle diversificate metodologie estrategie di apprendimento da utilizzare con questi adulti.

Vorrei solo evidenziare che nell’ambito dello sviluppo del-l’apprendimento delle persone, ancorché volontarie, si utiliz-zano sia attività informali che formali. Le prime non sono pia-nificate, ma possono avere origine dall’iniziativa diretta delsoggetto, o di gruppi presenti nell’organizzazione e dipendonodall’intensità di scambi con altri volontari e responsabili nel-l’ambito dell’associazione. Sono il frutto di un sistema di rela-zioni sociali che avvengono all’interno dell’organizzazione erispondono quindi a esigenze molto variegate e composite. Leseconde invece sono volute, pianificate e strutturate dall’orga-

L’analisi

nizzazione su obiettivi specifici e secondo programmi esplici-ti. Rispondono a una razionalità organizzativa solitamenteorientata all’efficienza, allo sviluppo e al miglioramento dellerisorse umane.

Entrambe sono importanti ed utili, ma l’attività formativadi solito è orientata ad affrontare obiettivi di apprendimentodi breve-medio termine e ha quindi un carattere formale.

Occorre pertanto porsi con chiarezza e lucidità obiettivi eambiti per la programmazione delle iniziative formative, affin-ché siano davvero produttive e sostengano le persone nel pro-prio compito volontario. Questo perché, se è pur vero che ilvolontario opera in modo disinteressato e gratuito, questo nonsignifica che non debba essere posto nelle condizioni miglioriper trarre soddisfazione dal proprio impegno: solo grazie a que-sto possiamo aspirare a una sua continuità e a un permanentemiglioramento d’azione.

Tre mi sembrano essere gli ambiti d’intervento dell’azioneformativa:

il primo riguarda il sostegno alla dimensione motivaziona-le: l’aiutare a meglio definire il perché del proprio impegno,a definire l’orizzonte di senso che aiuta ad introiettare e acondividere le finalità ultime del proprio agire e quelle del-l’organizzazione a cui si appartiene. Mauro Magatti nel pri-mo numero di Vdossier ben esplicitava quanto sia fonda-mentale per il volontariato oggi, nella crisi sociale eculturale che attraversa, essere consapevole e capace di co-municare il senso del proprio agire. Occorre riscoprire i mo-tivi per cui è nata la propria organizzazione, la mission at-tuale e saperli condividere con gli altri.

Il secondo ambito concerne il supporto alla dimensione tec-nica-operativa. Se il volontario è l’uomo e la donna del fa-re, debbono saper fare bene. Occorrono specifiche compe-tenze legate al cosa si fa: trasportare un ammalato,relazionarsi con un alcolista, piantare un albero, far studia-re uno studente svogliato sono competenze che si possonoimparare dalla pratica, dal confronto con altri volontari, maanche dallo studio, dall’apprendimento e da persone più

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esperte. E oggi si aprono nuove frontiere per l’impegno dicittadinanza e quindi nuovi campi sono da studiare ed ap-profondire.

Il terzo ambito è inerente allo sviluppo della dimensione or-ganizzativo-strategica. Occorre un alto senso di responsabi-lità e di visione per governare un’organizzazione di volonta-riato. Il volontario bohémien ha dato un contributofondamentale, ma ha fatto il suo tempo, ricordava GiorgioVittadini nel secondo numero di Vdossier. Il volontariato mo-derno ha bisogno di soci e dirigenti che si domandino comegestire la complessità e si assumano l’onere di scelte corag-giose e innovative, ma anche si dotino di strumenti moderni,perché senza di essi si è sopraffatti da un mondo complessoche non perdona errori. Quest’ultima dimensione è quella su cui concentrare l’at-

tenzione perché può essere considerata il nervo scoperto delvolontariato. Abbiamo infatti bisogno di un volontariato chenon si pensi solo come aiuto nelle situazioni di bisogno o diemergenza, ma che sia consapevole del proprio ruolo di lega-me sociale e quindi di cerniera essenziale nel diffondere ilprincipio di reciprocità sia tra i cittadini, che tra le organizza-zioni di Terzo Settore, ma pure con le istituzioni.

Il volontariato oggi gode di una tale credibilità tra gli italia-ni che può e deve assumersi la responsabilità di promuovereuna nuova cultura della coesione sociale. Ma per far questo ser-vono dirigenti che trasformino le proprie organizzazioni instrutture efficienti, trasparenti, attrattive, comunicative, aper-te all’innovazione, specialiste nel coinvolgere giovani, capacidi rendicontare le dimensioni economiche e sociali, esperte dicooperazione interistituzionale, senza al contempo snaturarnele finalità e le logiche operative.

Per poter sprigionare tutte queste potenzialità del volonta-riato, i coordinatori e i responsabili delle associazioni necessi-tano di luoghi e contesti formativi. Non si tratta di iscriversi acorsi universitari, ma di considerare che sono necessarie com-petenze diverse: se una persona è stata capace di accompagna-re disabili, educare bambini, spegnere un incendio, non è det-

to che con uguale maestria sappia condurre una riunione diadulti, interpretare un bilancio sociale, relazionarsi con un sin-daco, stendere una proposta di legge.

Oggi l’equilibrio dinamico di qualsiasi organizzazione è da-to dalla capacità di regolare un adattamento continuo tra obiet-tivi, strategie e risorse a disposizione, tra sviluppo tecnologi-co e sviluppo delle risorse umane. Tale congruenza dovrebbeessere pervasiva di tutti e tre i livelli di gestione di un’orga-nizzazione di volontariato:

individuale, con una coerenza tra competenze tecniche eabilità di gestione dei processi sociali; di gruppo, con una coerenza tra strutture di coordinamen-to e processi di gruppo e leadership; di sistema organizzativo con un coerenza tra strategie,strutture e tecnologie da un lato e cultura e obiettivi orga-nizzativo dall’altro.

Ecco che nelle organizzazioni di volontariato e tra le orga-nizzazioni stesse servirebbero maggiori e migliori occasioni diformazione permanente dedicata in modo particolare ai qua-dri e dirigenti; una formazione che permetta di alternare mo-menti di lavoro e di studio. Non quindi itinerari prestabiliti,corsi rigidi di lunga durata, ma moduli interconnessi, che pos-sano essere frequentati secondo il bisogno di approfondimen-to: quindi una formazione articolata e flessibile, quasi perso-nalizzata.

O meglio percorsi formativi che ogni quadro e dirigentepossa costruirsi e utilizzare, portando il proprio contributoesperienziale come valore aggiunto agli eventi formativi.

E’ da evidenziare che la formazione da sola non è mai lasoluzione taumaturgica ai problemi e alle difficoltà di un’or-ganizzazione. Per essere efficace la formazione dovrebbe es-sere accompagnata da processi di revisione organizzativa atti-vati all’interno delle associazioni: percorsi formativi e processiorganizzativi debbono viaggiare a braccetto.

Se poi tutto ciò avvenisse anche con iniziative che facili-tano il ricambio generazionale, offrendo opportunità di as-sunzione di responsabilità a più giovani leader, tutto il volon-

L’analisi

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tariato ne trarrebbe vantaggio. Occorrono infatti dirigenti chelascino spazio alla crescita delle “seconde linee”, che attivinouno stile dirigenziale più collegiale con un sistema di respon-sabilità a base ampia, così da garantire continuità anche nelfrequente ricambio nelle organizzazioni. Spesso quando vienea mancare il “presidente carismatico” si vengono a creare gros-se difficoltà nelle associazioni: ciò può essere evitato con l’ap-porto di nuova linfa da parte dei più giovani. E i volontari, pertempo coinvolti nei processi decisionali, saranno in grado disupportare con efficacia il governo dell’associazione.

Credo che sia tempo di raccogliere la proposta avanzata daStefano Zamagni, sempre nel primo numero di Vdossier, di unavera e propria “scuola” del volontariato. Una “scuola” aperta atutti, perché i dirigenti d’oggi possano crescere nell’eserciziodel proprio ruolo e perché altri volontari possano divenire i di-rigenti di domani. Una scuola che raccolga le migliori espe-rienze del volontariato stesso, da coniugare con i contributiprovenienti dal mondo universitario, delle imprese, delle altrerealtà del Terzo settore e delle istituzioni pubbliche. Una scuo-la che abbia le caratteristiche descritte precedentemente e quin-di non cattedratica, che parta dalla pratica vissuta nelle orga-nizzazioni di volontariato, chepermetta scambi di reciprocitàche contaminino i diversi mondie linguaggi.

Perché per essere riconosciutocome soggetto capace di promuo-vere la nuova cultura della coe-sione sociale, il volontariato ne-cessita di dialogare con nuovi ediversi soggetti. E allora non vedoluogo migliore di un’aula dove af-frontare questa impegnativa sfidaper scrivere un capitolo nel gran-de libro del non profit.

Francesco FraccaroliApprendimento e formazionenelle organizzazioniIl Mulino, Bologna 2007

Eugénie VeglerisManager con la filosofiaApogeo, Milano 2008

Piergiorgio ReggioIl quarto potere. Guidaall’apprendimentoesperienzialeCarocci, 2011

Domenico Lipari Progettazione e valutazionenei processi formativi Edizioni Lavoro, 2009

Etienne WengerComunità di pratica.Apprendimento, significato e identità Raffaello Cortina, 2006

GRANDANGOLO

Quel nervo scoperto che frena la crescita delle nostre realtà

L’autocritica

Maurizio Ampollini,presidente di AnpasLombardia, osservache sulle competenzeorganizzativo-strategiche occorreràinvestire molto negli anni a venire

Maurizio Ampollini, presi-

dente di Anpas Lombardia,

ha ragione il direttore Pie-

tripaoli quando sostiene che l'aspet-

to motivazionale e strettamente tec-

nico della formazione sono un passo

avanti rispetto all'ambito organizza-

tivo-strategico?

In linea di principio ritengo chedebbano andare di pari passo,

ma la considerazione ha una suaragione d’essere che va calatanel contesto. Nelle associazionidi pubblica assistenza da sem-pre la formazione tecnica dei vo-lontari del soccorso è stato unodei punti di forza ed è condiciosine qua non per entrare nellenostre associazioni. La motiva-zione è quasi implicita in unpercorso formativo per chi deci-de di operare in un ambito di ur-genza ed emergenza. L’ambitoorganizzativo e strategico, inve-ce, concerne la dirigenza e tenu-to conto delle dimensione di“impresa sociale” delle nostrerealtà è a sua volta un ambitoineludibile sul quale AnpasLombardia sta ritenendo di do-

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L’autocritica

ver molto investire negli anni avenire.

Una fragile formazione organizza-

tivo-strategica di dirigenti e pre-

sidenti penalizza le associazioni?

Sicuramente. Tanto che è ormaiinconcepibile ricoprire un ruoloin un’associazione di pubblicaassistenza senza attivarsi per dar-si una minima formazione chetenga conto delle conoscenze mi-nime sulla prassi amministrati-va, la gestione economica, l’orga-nizzazione dei servizi, la tuteladella sicurezza e della privacy, lalegislazione sanitaria

Una carenza di leadership e ma-

nagement da parte di coloro che

sono al timone delle organizza-

zioni in quale tipo di difficoltà

fanno precipitare le associazioni?

La risposta mi sembra ovvia so-prattutto in una realtà come quel-la delle associazioni di pubblicaassistenza. Oltretutto, svolgendoun servizio di pubblica utilitàqual è il trasporto in ambulanzaed avendo anche in molti casi deidipendenti, la preoccupazione èancora maggiore. Già in qualchecaso siamo dovuti intervenireper evitare che delle situazioniandassero verso il tracollo. Se vo-gliamo questa è la forza del vo-lontariato organizzato in rete.Perchè “Piccolo è bello” è unoslogan ad effetto, ma la realtà èben diversa. Se proprio dobbia-mo dirla tutta uno dei maggiorelimiti che oggi caratterizza il vo-lontariato italiano è invece pro-

prio il “nanismo” delle associa-zioni. Il proliferare continuo edesponenziale del loro numerosenza che sentano il bisogno diaderire ad organizzazioni di se-condo livello, o a coordinamentiterritoriali e/o tematici spesso è lariprova di un’autoreferenzialitàfine a se stessa. Continuando suquesta strada non si fa certo unbuon servizio al volontariato ita-liano; anzi i segni della crisi giàsono evidenti. Nelle grandi orga-nizzazioni è poi venuto il mo-mento di chiarire meglio le di-stinzioni tra il ruolo tecnico equello “politico” che vanno co-munque entrambi rafforzati. Il ri-schio infatti è che ci si illuda diprocedere, come si è sempre fat-to, senza dotarsi di figure prepa-rate e in grado di coordinare l’at-tività con tutto ciò che neconsegue. Ma anche l’inserzionedi figure dirigenziali forti, in as-senza di una leadership autore-vole è pericolosa e porta versoderive aziendalistiche.

Poca formazione organizzativo-

strategica si traduce in azioni di

volontariato da parte delle as-

sociazioni meno efficienti ed ef-

ficaci?

Bisogna che il volontariato sirenda conto che il contesto socia-le in cui oggi opera è ben diversoda quello del passato: non più unruolo di supplenza al serviziopubblico, ma un ruolo da prota-gonista come la corretta applica-zione del principio di sussidia-rietà richiede. Sotto questo

profilo anche la legge 266/91 èvecchia e bisognosa di modifichesostanziali. Un’organizzazione divolontariato che non sa conte-stualizzare la sua azione e non hauna visione del proprio futuro amedio termine rischia di non ser-vire a niente o a nessuno. Lagrandezza del volontariato italia-no, che era l’anima del Terzo set-tore nel nostro Paese, rischia divenire meno. Sempre più assi-stiamo al tentativo degli enti lo-cali, e non solo, di “utilizzare” ilvolontariato come mano d’operaa costo zero. In queste circostan-ze il ruolo del volontariato, che èesercizio di cittadinanza attiva,viene meno. In sintesi, non è chesia necessariamente meno effi-ciente o efficace, ma senza consa-pevolezza c’è il rischio che di-venti strumentale.

Uno scarso know how organizza-

tivo-strategico da parte di diri-

genti e presidenti tiene lontani i

potenziali volontari dall'impegno

alla gratuità?

L’impegno alla gratuità, il reclu-tamento di nuovi volontari, lacapacità di dialogare con le isti-tuzioni facendosi latori di pro-poste motivate e sostenibili sonovalori che non si improvvisanoe che richiedono anche stru-menti applicativi coerenti. Nonci si può lamentare che i giovaninon “vogliono più fare volonta-riato” e poi non essere disponi-bili al cambiamento, a coglierenuove proposte, a lasciare spa-zio agli altri. Le associazioni so-

no organismi vivi in virtù dellescelte fatte, ecco perché possonoprosperare o languire. Attenzio-ne poi che non scegliere equiva-le quasi sempre a scegliere malee l’immobilismo è un male assaidiffuso.

A cura di Fortunati F., Guerra L.Sviluppo, merito, competenze,occupazione. Come valorizzare lerisorse umane per attraversare lacrisi e accompagnare la ripresa Franco Angeli, 2009

Stefano GhenoLa formazione generativa. Unnuovo approccio all'apprendimentoe al benessere delle persone edelle organizzazioniFranco Angeli, 2010

Maura Di MauroOrganizzazioni e differenze.Pratiche, strumenti e percorsiformativiFranco Angeli, 2010

Pino De Sario La riunione che serve. Metodicollaudati per incontri di lavoro a«forte-relazione», costruttivi econcretiFranco Angeli, 2008

A cura di Marco Rotondi Formazione di valore. Comesviluppare valori per la societàdella conoscenzaFranco Angeli, 2006

Etienne WengerComunità di pratica.Apprendimento, significato eidentità Raffaello Cortina, 2006

Manfred Kets de Vries Figure di leader. Le sfide dellaleadership nei cambiamenti dellavita organizzativaRaffaello Cortina, 2010

Edgar H. Schein Le forme dell'aiuto. Come costruire e sostenere relazioni efficaciRaffaello Cortina, 2010

GRANDANGOLO

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Come trasmettereil valore dell’altruismo nella “società liquida”

Magatti

VOLONTARI NON SI NASCE, ma si diventa con una buonapreparazione. «E il primo gradino della formazione percostruire una forma mentis basata sulla solidarietà

umana e l’impegno civile, è la caratteristica che contraddi-stingue il volontariato rispetto a tutte le altre attività non pro-fit». Da una parte esso promuove la cultura dell’altruismo edella generosità, dall'altra influenza la realtà sociale, parte-cipando attivamente alla correzione degli ostacoli che gene-rano svantaggio e degrado.

«Eppure nessuna azione di vo-lontariato può essere efficace, senon è profondamente motivata. C’èuna vocazione al volontariato, chepuò avere radici religiose, etiche,umanitarie, sociali, politiche e cul-turali. Non è soltanto la passioneper l'edificazione di un mondo mi-gliore, ma è anche la caparbietà di

Il sociologo MauroMagatti, dell’UniversitàCattolica, disegna una mappa culturaleper orientarsi in un mondo segnatodal fallimento del turbo-capitalismo

Diffondere i valori del volontariatodiventa difficile in un mondo

sempre più votato al cultodell’esteriorità più che orientato

alla ricerca del senso profondodell’essere e dell’agire,

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no di diventare sempre più un miraggio in un mondo domina-to dal turbo-capitalismo. «Direi che c’è zero spazio per la ge-nerosità e la solidarietà - sostiene il docente di sociologia - per-ché lo spazio è tutto dall’altra parte. Da un lato, c’è l’altruismo,dall’altro un modello che è ricco solamente in apparenza, cheoffre solo in copertina più scelte, più libertà, più attrattive. Ma,poi, sotto la scorza della superficie si scopre che non è così. Sifatica a trovare un senso alla realtà, alle azioni, alle attività ditutti i giorni. Si fa fatica ad ancorarsi a un mondo senza consi-stenza, dove l’altruismo è sempre affrontato in un contesto digiustizia, di morale. Ma l’altruismo deve essere vissuto in unasfera esistenziale. Se modelliamo il nostro stile di vita e i no-stri gesti quotidiani su un sistema di valori basato sulla gene-rosità, allora possiamo compiere buone azioni, possiamo bat-terci per buone cause, possiamo immaginare che la realtàacquisti consistenza».

In una società “liquida”, in un mondo sempre più votato alculto dell’esteriorità più che orientato alla ricerca del sensoprofondo dell’essere e dell’agire, far circolare e diffondere i va-lori fondanti del volontariato diventa un’impresa a dir poco ar-dua. O comunque «è molto difficile» ammette Magatti. «Nonsoltanto la società è liquida, ma l’orizzonte entro il quale cimuoviamo e viviamo è liquido, è vacuo. E in un mondo così èdifficile comunicare. Anche perché in una società inconsi-stente è più facile farsi incantare dalle sirene di una comuni-cazione strategico-strumentale. Ecco perché occorre ripensareuna relazione fra ciò che si dice e ciò che si fa. Bisogna co-struire una relazione solida fra ciò di cui si parla e l’esperien-za che si fa. E’ necessario, insomma, ribaltare lo schema: dalparticolare all’universale e non dall’universale al particolare.Sono le singole esperienze che devono plasmare i valori e noni valori che plasmano le singole esperienze».

Se è difficile comunicare i valori del volontariato, altret-tanto faticoso è trovare un punto di equilibrio tra interesse eprofitto da una parte, solidarietà e bene comune dall’altra. Duepoli tra i quali, «in questa fase storica, la distanza è molto for-te» sostiene il sociologo. «Siamo di fronte a due mondi, siamodi fronte a due storie in campo, che poi sono i due lati della

Magattidossier dicembre 2010

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conservare l'indipendenza da ogni forma di potere. Questo èciò che rende credibile l’agire dei volontari e lo fa diventarepenetrante».

E si tratta di un tema complesso, a maggior ragione dopo lacaduta delle ideologie, perché «in questo oceano culturale do-minato dal relativismo, dal nichilismo, dal turbo capitalismo,da una libertà più immaginaria che reale, è difficile orientarsi»,Sono questi alcuni degli argomenti affrontati dal professorMauro Magatti, sociologo dell’Università Cattolica di Milano,a cui piacciano tanto le sfide concettuali quanto l’analisi delsistema economico in cui viviamo, spaziando anche nei cam-pi di storia, filosofia e antropologia.

«Viviamo purtroppo in un’epoca in cui regnano l’inconsi-stenza e l’effimero, in cui tutto cambia troppo rapidamente, incui nulla sembra superare la prova del tempo. Le azioni che in-traprendiamo mancano di resistenza, non hanno durata, sonoprive di spina dorsale. Come dire, non siamo corazzati per illungo periodo. Questi sono aspetti negativi che si riflettono an-che nel volontariato. Ecco perché chi s’impegna per gli altrispesso si accontenta di una dimensione occasionale, magariperché spinto dall’entusiasmo iniziale. E ciò che vale per il sin-golo volontario, si rispecchia anche nelle associazioni che fa-ticano a strutturarsi e organizzarsi. Anche il volontariato, in-somma, si deve misurare con questa inconsistenza. Del resto,non è semplice mantenere viva nel tempo un’esperienza di vo-lontariato, quando la realtà attorno a noi e nella quale siamoimmersi cambia rapidamente, è confusa e contraddittoria».

Se negli anni Settanta e Ottanta il contesto in cui ci si muo-veva «era più ideologizzato e politicizzato, quindi più divisoma per questo anche più semplice, oggi - secondo Magatti - nonè più così. E’ tutto più confuso, più soggettivo, più parcelliz-zato. E cadute le ideologie, il mondo non è migliorato: ci sonopiù poveri, l’ambiente è più devastato, la sofferenza delle per-sone non diminuisce, ci sono più disuguaglianze. Perché l’in-consistenza in cui viviamo ha reso tutto più effimero e preca-rio. Questo è il problema di fondo ed è un problema di valori».

Valori dunque. Come l’altruismo, la generosità e la solida-rietà che sono le fondamenta del volontariato, ma che rischia-

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questione. Ma uno dei due, nella fattispecie il secondo, è ormaiun relitto, dopo la crisi degli ultimi tre anni. Lo scontro co-munque c’è ed è forte. Eppure bisogna che tutti facciamo la no-stra parte per tentare di colmare questa distanza, per ridurrequesto ritardo fra queste due parti».

In questo processo anche i giovani possono giocare un ruolofondamentale, ma devono essere spinti a superare “un modelloculturale alla deriva” per aprire nuovi spazi di una libertà realee non solo di facciata, come avviene nel turbo capitalismo.

«I giovani - sintetizza Magatti - hanno davanti a sé un mo-dello culturale instabile e discontinuo. Non c’è più un’unitàd’intenti da porre davanti ai giovani, come c’era - giusto o sba-gliato che fosse - in passato. La fine delle ideologie non è statasoltanto una conquista di benefici, perché si sono persi dei pun-ti di riferimento che prima c’erano. Ora infatti si fa più fatica aprodurre dei valori. I giovani devono decidere se ritengono checi sia qualcosa di buono, di giusto e di vero e devono capire do-ve trovarlo o come costruirlo.Questo sarebbe il vero cam-biamento. Oggi si parla tantodi libertà, ma non si dice diquale libertà si stia parlando,di quale idea di libertà si stiadiscutendo. Perché abbiamovisto che la libertà del mondoturbo capitalista non è una ve-ra e autentica libertà che ren-de libero l’individuo nelle suescelte, nelle sue esperienza.Occorre che i giovani solleci-tino le loro energie per trova-re una vera libertà, per co-struire spazi di autenticaautonomia. Una finestra dacui accarezzare l’altruismo, lagenerosità, la solidarietà, chesono mattoni fondamenti del-la futura società».

Una gestione d’eccellenzaè garanzia di efficienzaper l’azione dei volontari

Ghiringhelli

Per il professorCristiano Ghiringhelli,da un’organizzazionedi volontariato oggici si aspetta non solo che “funzioni”, ma che assicuri un servizio di qualità

Professor Cristiano Ghiringhelli,

da ricercatore e studioso di

teorie e modelli organizzativi,

di cultura gestionale e di formazione

all’Università Bicocca di Milano, la ge-

stione delle risorse umane nelle or-

ganizzazione di volontariato riveste

una cruciale importanza per il loro

funzionamento e il loro sviluppo? Ma

soprattutto il modo attraverso il qua-

le queste risorse sono valorizzate, or-

ganizzate e gestite è cambiato nel cor-

so degli ultimi anni? Serve una for-

mazione nuova per il domani?

Le organizzazioni di volontariato,soprattutto negli ultimi anni, sonoevolute al punto da offrire serviziad elevato valore aggiunto, anchein aree di intervento prima nonpresidiate. Svolgono attività ad al-to contenuto di conoscenza, offro-no servizi professionali e sono ingrado di garantire livelli di qualitàche, in passato, ci si aspettava daaltri tipi di organizzazioni.

Tutto questo ha da un lato au-mentato la loro rilevanza e il con-tributo al benessere collettivo, madall’altro ha anche contribuito ainnalzare le aspettative che la so-

Stephen FinemanLe emozioni nell'organizzazione. Ilpotere delle passioni nei contestiorganizzativi Raffaello Cortina, 2009

Norman LongworthCittà che imparano. Come fardiventare le città luoghi diapprendimento Raffaello Cortina, 2007

E. Knasel, J.Meed, A. Rossetti Apprendere sempre.L’apprendimento continuo nelcorso della vitaRaffello Cortina, 2002

Edgar Morin I sette saperi necessariall`educazione del futuroRaffaello Cortina, 2001

Mihaly Csikszentmihalyi, BarbaraSchneider Diventare adulti. Gli adolescenti el’ingresso nel mondo del lavoroRaffaello Cortina, 2002

Richard SennettL'uomo artigiano Feltrinelli, 2008

GRANDANGOLO

anche quelle relative alla gestionedel cambiamento. Lo sa bene chiha già avuto modo di misurarsicon un percorso di sviluppo: stia-mo parlando non di un sempliceaffinamento, ma di un cambia-mento importante che coinvolgetutte le dimensioni dell’ organiz-zazione, a partire da quella valo-riale e culturale per arrivare allescelte relative al modo con cuil’organizzazione funziona. I casidi insuccesso dimostrano chequando non si presidia con atten-zione il cambiamento, le scelte –magari anche del tutto corrette sot-to il profilo tecnico – rischiano direstare inapplicate. Il cambiamen-to richiede di essere comunicato,spiegato. E’ necessario attivare unconfronto e trovare soluzioni chenon siano una copia di soluzioniadottate in altre organizzazioni(magari profit, come è accaduto dinotare), ma il risultato di un pro-cesso di analisi coinvolgente econdiviso da chi poi il cambia-mento lo deve mettere in pratica.La gestione del cambiamento daun lato e la gestione di un’organiz-zazione di volontariato più com-plessa coinvolge in modo partico-lare il fronte della gestione deivolontari.

Esiste dunque un modo distintivo

e originale di gestire le risorse

umane all’interno delle organiz-

zazioni di volontariato?

La dimensione volontaristica del-le attività organizzative è un ele-mento che, a differenza di altrerealtà, caratterizza il DNA dell’or-

ganizzazione. Le leve a disposi-zione di chi ha il compito di gui-dare l’organizzazione devono es-sere specifiche perché è specificoil contratto psicologico con ilquale un individuo entra a farparte dell’organizzazione. Qui lepersone raggiungono l’organizza-zione con l’aspettativa non sol-tanto di dare il proprio contribu-to a un’area di attività cheritengono rilevante, ma anche difarlo nell’ambito di un assetto va-loriale e culturale con il quale sisentono in sintonia e che sia con-diviso anche dagli altri membridell’organizzazione.

Queste aspettative non pos-sono essere trascurate, perché ca-ratterizzano in modo distintivo estrutturale la relazione perso-na/organizzazione. Se uniamoqueste considerazioni con quellesvolte sopra, possiamo compren-dere quanto sia diventato rile-vante gestire i volontari in modoconsapevole, informato e avva-lendosi anche di strumenti espli-citi e formali. Consideriamo adesempio la “selezione” del vo-lontario: il processo dovrà esseredisegnato in modo da considera-re non soltanto la dimensione va-loriale (tradizionalmente al cen-tro del processo di selezione), maanche altre dimensioni, in parti-colare le competenze che la per-sona potrà agire qualora entrassea far parte dell’organizzazione. Idue versanti naturalmente sonouno a supporto dell’altro. Un’or-ganizzazione di volontariato cheoffre un servizio di sostegno psi-

cietà ripone nei loro confronti. Daun’organizzazione di volontariatooggi ci si aspetta molto di più chein passato: non soltanto che “fun-zioni” e che mantenga quantopromesso, ma anche che sia ingrado di garantirci un servizio dialta qualità, evoluto nei contenu-ti ma anche nella relazione checaratterizza il servizio offerto.

A differenza di quanto acce-deva anni fa, quando il fatto stes-so di occuparsi di un’area di biso-gno non coperta da nessun entepubblico o privato costituiva diper sé un merito, oggi l’approccioè diverso. La natura volontariadelle attività presidiate non si as-socia alla disponibilità di “venirea patti” sulla qualità del servizio,sull’affidabilità degli operatori odella stessa organizzazione.

Tutto questo introduce, siaper i volontari sia per chi ha ilcompito di guidare le organizza-zioni di volontariato, sfide chepur essendo “gradevoli” (nel sen-so che sono indotte e orientate daun percorso di crescita), richiedo-no di essere presidiate su piùfronti. Misurarsi con aspettativeelevate, associate a servizi anco-rati a competenze evolute spessodi carattere professionale, richie-de un presidio attento e soprat-tutto consapevole dei meccani-smi che orientano e supportanol’azione collettiva dei volontaricome organizzazione. Cosa pos-siamo fare per mettere i volontarinelle condizioni di operare me-glio? Quali supporti e strumentipotrebbero aiutarli nello svolgi-

mento delle loro attività? Qualiinnovazioni organizzative po-tremmo introdurre per regolaremeglio il loro coordinamento?Perché la tradizionale “auto-orga-nizzazione” ora non funzionapiù? In molte organizzazioni divolontariato si è già imparato aporsi queste domande e a riflette-re sulle modalità più opportuneattraverso cui rispondere al biso-gno di predisporre un’attività diback office di supporto, di curarein modo preciso e meno sponta-neo l’organizzazione di manife-stazioni, di gestire con maggioreattenzione le relazioni esterne,come far fronte a un fund raisingdiventato ben più complesso.

Tutto questo accresce e modi-fica il fabbisogno di competenzenecessarie per il governo di un’or-ganizzazione di volontariato piùcomplessa rispetto al passato,nonché per operare in essa in mo-do soddisfacente. In altri termini,lo sviluppo organizzativo devetrovare adeguato riscontro sulfronte dello sviluppo delle perso-ne, perché sono loro che formanol’organizzazione e che agisconoper essa. Prima di tutto, un’orga-nizzazione di volontariato piùcomplessa richiede un atteggia-mento più consapevole rispetto al-le dimensioni organizzative. Oc-corre radicare la guidadell’organizzazione su un know-how che deve essere sviluppato avolte da zero, perché in passatonon era richiesto o era ritenuto po-co rilevante. Accanto a queste di-mensioni di competenza, vi sono

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te stabilità alla relazione volonta-rio/organizzazione. Non ultima,la predisposizione di opportunitàdi formazione e di sviluppo dicompetenze è una via maestra siaper valorizzare il volontario, siaper alimentare il suo sviluppo ela sua crescita.

Si può parlare di bagagli di com-

petenze fondamentali per ope-

rare entro queste organizzazioni?

E’ difficile dare una risposta inchiave generale a una domandacosì rilevante. Il fabbisogno dicompetenze dipende infatti daltipo di organizzazione considera-ta e dal tipo di attività o serviziosvolto. A questo proposito, anzi,occorre rilevare che il grado incui in un’organizzazione condu-ce un rigoroso processo di indivi-duazione e mappatura dei fabbi-sogni di competenza contribuiscea spiegare, almeno in parte, le dif-ferenze che possono essere rileva-te tra organizzazioni simili. Diffe-renze in termini di risultati, diqualità del servizio, di affidabili-tà, ma anche di “qualità” dell’am-biente nel quale i volontari pre-stano la loro opera e cheinfluisce, come detto, sul lorogrado di motivazione.

Tuttavia, al di là delle caratteriz-

zazioni specifiche che variano da

caso a caso e da organizzazione a

organizzazione, si possono svol-

gere alcune riflessioni trasversali.

Innanzitutto, di solito le organiz-zazioni di volontariato vantanoun vasto e articolato bagaglio di

competenze tecniche. Esse hannoanche imparato a sostenere la cre-scita dei volontari su questo fron-te: mi riferisco ai casi in cui ven-gono organizzati non solo corsi diformazione, ma anche incontri,seminari e gruppi di lavoro suspecifici temi tecnici. Più che lecompetenze tecniche dei membridelle organizzazioni di volonta-riato, l’area di maggiore attenzio-ne riguarda la modalità attraversocui costruire un sistema di sup-porto all’azione dei volontari edelle loro competenze tecniche:“La nostra associazione vanta vo-lontarie e volontari non soltantomolto motivati, ma anche moltopreparati. Il problema che abbia-mo è come farli stare insieme, co-me fare in modo che la loro azio-ne sia coordinata, riconducibile auna dimensione collettiva. In-somma, ho la sensazione che stia-mo perdendo il controllo di quel-lo che stiamo facendo”. È questala descrizione che, molto fre-quentemente, ci viene restituitadurante i primi contatti. La perce-zione di perdere il controllo poneil focus non sulla preparazionetecnica o sulla motivazione deivolontari, ma sulle scelte e suglistrumenti di gestione dell’orga-nizzazione nella quale essi agi-scono. Governare oggi un’orga-nizzazione di quel tipo èdiventato senza dubbio più com-plesso e sfidante. Occorronocompetenze più esplicite e forma-li che, da un lato, non costitui-scono per le organizzazioni di vo-lontariato un’area di competenza

cologico a madri minorenni avràbisogno di entrare in contattocon un potenziale volontario chenon soltanto condivida la rile-vanza di questa attività e l’asset-to valoriale dell’organizzazione.Il potenziale volontario dovrà an-che essere un bravo psicologospecializzato in questa area di in-tervento, interessato ad agire inquesta area di competenza nelcontesto che l’organizzazione of-fre. Queste due dimensioni (valo-riale, tecnico e specialistica) devono necessariamente conver-gere, e il percorso di selezionedeve essere disegnato in modo darilevarle. Lo stesso vale per le al-tre “leve” di gestione delle risor-se umane coinvolte nel presidiodella relazione volontario/orga-nizzazione che, alla luce dellesfide già discusse, è diventataun’area di attenzione critica. In-fatti una volta che il volontario èentrato a far parte dell’organizza-zione, la sfida diventa, da un la-to, la sua valorizzazione, dall’al-tro la costruzione dellecondizioni affinché la relazionevolontario-organizzazione siadurevole nel tempo. Un aspetto,quest’ultimo, piuttosto rilevantese si considera che, evidente-mente, il doppio registro valo-ri/competenze rende non semprefacile trovare volontari che uni-scano queste due dimensioni.Per l’organizzazione, dunque, di-venta critico fare in modo di trat-tenerli ed evitare che lascino l’or-ganizzazione. Questo spiegaperché la valorizzazione del

contributo che ogni volontariooffre all’organizzazione sia di-ventato un aspetto critico nellagestione di un’organizzazione divolontariato.

Quali sono i principali nodi da af-

frontare per valorizzare i volontari?

Nelle organizzazioni di volonta-riato la valorizzazione e il ricono-scimento del contributo che ognivolontario offre all’organizzazio-ne, naturalmente, non passa perla leva economica. Questo non si-gnifica che non sia possibile rico-noscere i contributi, rendere visi-bile le attività svolte dallepersone e dei risultati da loro ot-tenuti. Per esempio, è possibileorganizzare alcuni seminari (nonsoltanto interni, ma anche rivoltia soggetti esterni all’organizzazio-ne) tenuti dai volontari stessi. Inqueste occasioni essi hanno lapossibilità di spiegare e comuni-care la loro attività e i risultatiraggiunti: questo significa darevisibilità, riconoscere e dunquevalorizzare l’attività dei volonta-ri. Di più ancora, si possono rag-giungere risultati di rilievo utiliz-zando la leva simbolica. Peresempio, il coinvolgimento e lapartecipazione alle decisioni or-ganizzative, un elevato grado dicomunicazione e integrazione,l’adozione di una modalità di la-voro in team, la predisposizionedi un ambiente piacevole e in gra-do di garantire un buon comfortsono tutti elementi in grado di va-lorizzare il contributo delle per-sone e di garantire una sufficien-

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essere realizzate per sostenere lo

sviluppo di queste competenze?

Poiché stiamo parlando di com-petenze non tradizionali nelmondo delle organizzazioni divolontariato, di solito queste nonsono presenti nell’organizzazio-ne e di conseguenza è necessarioaccedere ad aiuti esterni. Occorreperò rilevare che alcune organiz-zazioni hanno avuto esperienzedecisamente negative a questo ri-guardo. Le esperienze negativesono accomunate dal fatto diaver inteso l’esperto esterno co-me un portatore di soluzioni(peggio ancora se sviluppate incontesti che poco o nulla hanno ache fare con il mondo delle orga-nizzazioni di volontariato o delTerzo Settore). La chiave è utiliz-zare l’esperto esterno non comeportatore di soluzioni o di unknow-how per così dire univer-sale e assoluto, ma come facilita-tore di un percorso di analisi etraduzione delle competenze nelproprio contesto organizzativoche deve essere condotto daimembri dell’organizzazione. Learee di competenza sopra richia-mate devono essere collocate ediscusse in uno scenario organiz-zativo che ha caratteristiche pe-culiari, soprattutto in terminiculturali e valoriali. L’espertoesterno deve quindi organizzareun setting nel quale portare co-noscenze, strumenti, pratiche edesperienze che devono essere fat-te oggetto di discussione, di ana-lisi e di elaborazione da parte deimembri dell’organizzazione. Si

tratta dunque di un percorso agi-to dai membri dell’organizzazio-ne e facilitato dall’esperto ester-no, il cui compito è portareelementi di analisi, aiutare imembri dell’organizzazione a fo-calizzare gli aspetti critici, facili-tare la disamina delle soluzioniapplicabili, allertare sui possibilirischi di una scelta, suggerire lemodalità attraverso cui gestire ilcambiamento, portare esempi diesperienze di altre organizzazio-ni, partecipare alla sintesi. Inquesto modo si ottengono alme-no due risultati: il primo è che letematiche affrontate vengono ri-condotte alle caratteristiche di-stintive dell’organizzazione diappartenenza e fatte proprie daisuoi membri. Il secondo risultatoè che in questo modo si facilita illoro impiego nonché la realizza-zione effettiva delle decisioniche ne scaturiscono, perché sirendono intelleggibili il processodecisionale, i criteri assunti a ri-ferimento e le logiche per cui si ègiunti a una decisione e non aun’altra.

L’importanza di questo se-conda area di risultato non vasottovalutata. Sono noti e fre-quenti i conflitti che si generanotra una parte dei volontari chevedono ogni tentativo di inter-vento esplicito sull’organizza-zione come un irrigidimento in-compatibile con l’azionevolontaristica, e una parte cheinvece ne percepisce il fabbiso-gno. In questi casi, a maggior ra-gione, un approccio di analisi in-

storica, ma che dall’altro comin-ciano ad essere percepite comeindispensabili. Normalmente, iprimi ad accorgersi di questo fab-bisogno di sviluppo sono le per-sone che hanno la responsabilitàdella guida e della gestione diun’organizzazione di volontaria-to. Sono loro le prime a richiede-re di essere aiutate a svilupparecompetenze esplicite e formalinon soltanto per affinare la ge-stione dei volontari, ma anchecompetenze di progettazione egestione organizzativa, indispen-sabili a rispondere, in modo con-sapevole e informato, a questioniquali: come dividere le attività?Quali attività assegnare a chi?Sulla base di quali criteri? Qualimeccanismi di coordinamentosono necessari? Ho bisogno didelegare? Quali attività mi con-viene delegare? Come individuole persone alle quali delegare?Naturalmente, accanto a questecompetenze il fabbisogno riguar-da anche l’approfondimento ditemi quali la cultura organizzati-va, i processi decisionali, le dina-miche di gruppo, la leadership,la gestione del cambiamento.Fondamentali sono inoltre lecompetenze utili a disegnare epresidiare processi sufficiente-mente raffinati di comunicazionesia interna sia esterna, anche asupporto degli sforzi di fund rai-sing (questa area di competenza èoggetto di sviluppo formale giàda qualche anno).

Al livello dei volontari, sonoda considerare innanzitutto le

competenze necessarie a suppor-tare il lavoro in gruppo e l’ali-mentazione di una base di cono-scenza comune e di un percorsodi apprendimento al contempoindividuale, di gruppo e organiz-zativo. Un’organizzazione di vo-lontariato, in particolare se offreservizi alla persona a caratterizza-zione professionale, ha bisognodella capacità (oltre che della di-sponibilità, ma questo è un altroversante di analisi) da parte deivolontari di agire in gruppo, con-dividendo informazioni e ap-prendimenti che scaturisconodalla pratica e dall’esperienza.Soprattutto se il servizio offerto èinterdisciplinare, è necessarioche i volontari sappiano operarein un gruppo e per progetti, collo-cando il loro contributo in unpiano di intervento che è il risul-tato di una progettazione condivi-sa da più specialisti, più che il ri-sultato di un’azione individuale.

Come detto, l’effettivo fabbi-sogno di sviluppo e integrazionedi questa gamma di competenzevaria a seconda delle caratteristi-che proprie di ogni organizzazio-ne. Resta però evidente che, inuna visione aggregata, le compe-tenze fondamentali che le orga-nizzazioni di volontariato sento-no sempre di più, è il bisogno disviluppare in questo periodo sto-rico prevalentemente il versanteorganizzativo. Questo è il fronteche risulta essere meno avanzatorispetto agli altri.

Quali strategie ed attività possono

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terna su base collaborativa è in-dispensabile, perché consente dilavorare sui significati delle “pa-role dell’organizzazione”, perspiegarli ma anche per dissolve-re i fantasmi che sono ad essi as-sociati quando le interpretazioninon sono quelle corrette. Questolavoro è indispensabile per di-mostrare che una cattiva organiz-zazione introduce senz’altro unirrigidimento e un vincolo al-l’azione volontaria e che, al con-trario, scelte corrette di disegnoorganizzativo aiutano e rendonopiù efficace l’azione volontaria.Naturalmente il raggiungimentodi questo risultato dipende an-che da come agisce nel proprioruolo chi è alla guida dell’orga-nizzazione di volontariato.

Secondo lei, il futuro del volon-

tariato passa da una classe diri-

gente che ha competenze e co-

noscenze da leader? Ma come

deve essere “formata”?

Secondo John Paul Kotter, chestudia da trent’anni i leader e co-me essi agiscono nelle organizza-zioni, mentre il management ri-guarda la gestione dellacomplessità, la leadership riguar-da la gestione del cambiamento.Ora, che per le organizzazioni divolontariato vi siano molte op-portunità di sviluppo è oggi evi-dente, e lo abbiamo ricordato.Tuttavia, per essere raccolte que-ste opportunità richiedono cam-biamenti che coinvolgono tuttele dimensioni interne a ogni or-ganizzazione. E, dunque, di per-

sone in grado di porsi alla guidadi questo cambiamento. Possia-mo senz’altro affermare che que-sto, oggi, sia un tema chiave perle organizzazioni di volontariatoma, per la verità, anche per le al-tre tipologie di organizzazionedel Terzo Settore.

Cristiano Ghiringhelli, Luciano PeroLe PMI in Italia. Innovazione,strategie, modelli organizzativiApogeo, 2010

John P. Kotter, Dan S. CohenAl cuore del cambiamento. Come le persone cambiano le organizzazioniEtas , 2003

John P Kotter È ora di cambiare Sperling & Kupfer, 2009

Edgar H. Schein La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d'aiutoe promuovere lo sviluppoorganizzativo Raffaello Cortina, 2001

Claudia Piccardo, Filippo Pellicoro L'organizzazione in scena. La metafora teatrale tra formazionee sviluppo organizzativo Raffaello Cortina, 2008

Cesare Kaneklin, Giuseppe Scaratti Formazione e narrazione.Costruzione di significato e processi di cambiamentopersonale e organizzativo Raffaello Cortina, 1998

Pino De Sario La riunione che serve. Metodi collaudati per incontri di lavoro a «forte-relazione»,costruttivi e concreti Franco Angeli, 2008

A cura di Marco RotondiFormazione di valore. Come sviluppare valori per la società della conoscenzaFranco Angeli, 2006

GRANDANGOLO

Programmi ad personamPerché la flessibilità è il cuore dei nuovi corsi

Bruscaglioni

RIMBOCCARSI LE MANICHE NON BASTA PIÙ. Vocazione e buona vo-lontà restano ingredienti insostituibili per il volontariato, maa fare la differenza non è più la clessidra della disponibilità.

La nuova frontiera della solidarietà, invece, è un mix fra “cuore” e“cervello”, il connubio tra l’arte di arrangiarsi e un ricco bagaglio dicompetenze e professionalità. Ecco perché “l’industria” della for-mazione è diventata uno strumento fondamentale anche per il nonprofit. «Non basta più la vocazione del volontariato tradizionale»suggerisce Massimo Bruscaglioni, ingegnere meccanico “converti-

to” alla psicologia del lavoro, docentedi “Cambiamenti, Persona, Empower-ment” all’Università di Padova e tra imassimi esperti nel campo della for-mazione per gli adulti nelle imprese.

«Credo che l’importanza del volon-tariato stia diventando, sotto diversi pro-fili (dall’etico al sociale fino all’econo-mico), sempre più crescente. Per certi

Massimo Bruscaglioni,formatore e docenteall’ateneo di Padova,sottolinea che la nuova frontiera della gratuità è unamiscela di “cuore” e “cervello”

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Bruscaglioni

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comparto è una sola: «Chi sono io che faccio il volontario? Sonouna persona che vuole bene agli altri, generosa e che dedica il suotempo e la sua esperienza al mondo del volontariato? Oppure sonoun professionista che porta competenze da altri campi?». «Ecco -prosegue Bruscaglioni - credo che questa sia una domanda impor-tante, da cui si costruiscono le fondamenta per realizzare un per-corso di formazione di qualità. Tutto sta nel grado di apprendimentoche i volontari mostrano, nella loro voglia di mettersi in gioco. Al-trimenti ci si ferma al “è già abbastanza quello che faccio”. Ma è unapproccio alla solidarietà ormai sorpassato».

Formazione, dunque. «Ai volontari si chiede di lavorare gratui-tamente, ma a livelli professionali, e questa è una contraddizione.Come se chiedessimo di avere virtù antiche, ma di essere nel con-tempo moderni; di essere al servizio degli altri, ma anche di essereleader. Nel tempo-spazio della formazione tutte queste contraddi-zioni possono essere affrontate, gestite e superate». Il tutto, precisaBruscaglioni, con una formazione personalizzata, cioè «organizza-ta in modo tale che ognuno trovi la sua strada, il suo percorso»: «Laformazione nel volontariato significa coltivare la vocazione, curar-la e farla crescere, ma anche agire da professionisti, sviluppare lecapacità moderne trasversali, come il lavorare in gruppo. Parados-salmente nel volontariato si rischia di essere meno bravi a lavorarein team che non nelle multinazionali, perché non basta una comu-ne volontà di fare del bene alle persone per lavorare insieme».

Così come, rispetto al passato, oggi è più difficile guidare un’as-sociazione di volontariato. Ecco perché la formazione è fondamenta-le per “le braccia” del volontariato, cioè coloro che si mettono a di-sposizione degli altri, ma anche per “la testa”, cioè per chi gestisceun’associazione del non profit. «Guidare oggi gruppi di dieci, centoo più volontari - afferma Bruscaglioni - è più difficile di ieri, quandosi condivideva un atteggiamento di generosità o le persone ringrazia-vano e basta. Oggi, invece, tutti pretendono. Non lo dico con un’ac-cezione negativa, del resto quanto più uno pretende tanto più l’aspet-tativa è alta. Questo, però, richiede vocazione e competenze, imponedi coltivare la cosiddetta professionalità del benessere».

La formazione empowering interviene proprio su questo fronteperché «punta ad aprire nuove possibilità. La sfida vera dei dirigen-ti del volontariato è proprio quella di avere il gusto di imparare, di

versi, quindi, si amplia anche l’attesa nei suoi confronti. Così, inun’epoca in cui le dimensioni delle associazioni tendono a farsi sem-pre più imponenti, i dirigenti, come il personale, di queste strutturenon possono più basarsi sulla sola esperienza, sulla semplice voca-zione», spiega Bruscaglioni, che è stato anche presidente di AIF (As-sociazione Italiana Formatori) alla fine degli Anni Ottanta. «Ci vo-gliono competenze, qualcuno dice professionalità, espressione che fasempre più capolino nel settore del non profit». Se la parola d’ordi-ne diventa quindi “l’architettura del sapere”, lo strumento per con-quistarla in un comparto che ha sempre preferito il “fare” al “pensa-re” è proprio la formazione.

Un concetto che l’esperto di psicologia del lavoro distingue su-bito da quello di “istruzione”: «Con la parola formazione ci riferia-mo a un processo che riguarda in particolare gli adulti. Mentre lascuola costruisce ex novo un ventaglio di conoscenze, insegna con-cetti sconosciuti ai ragazzi, la formazione negli adulti interviene suun bagaglio di competenze già consolidato e spesso costringe que-sta categoria di persone a ristrutturare il proprio campo di compe-tenze, il proprio orticello di conoscenze, modificando, nel caso deivolontari, persino la propria concezione di sé stessi in quanto ope-ratori del sociale».

Ecco allora che «la sfida più grossa, anche nel volontariato - af-ferma Bruscaglioni - è quella di sviluppare capacità complesse supiù fronti, dalla leadership alla comunicazione, dalla motivazionealla gestione generativa delle contraddizioni”. Proprio l’associazio-nismo nel volontariato è, per lo studioso di metodologie formative,uno dei terreni più fertili all’interno del quale sperimentare la ca-pacità gestionale delle contraddizioni. «Capita che il volontario -spiega il docente e autori di vari saggi - si affacci alla macchina del-la solidarietà pieno di belle speranze e di progetti da mondo ideale,ma si trovi ben presto a fare i conti con un mondo che ideale non è.O magari uno crede di dare il meglio di sé e poi non è così apprez-zato; o ancora pensa di avere un’esperienza in questo campo che, in-vece, agli occhi altrui non basta. Se vogliamo - prosegue Brusca-glioni -, la formazione è anche una formazione della gestione dellecontraddizioni, a partire dall’identità del volontariato in quanto ta-le». In sintesi, ragiona l’esperto, la domanda da porsi e da porre perintraprendere un viaggio nel mondo della formazione in questo

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continuare a coltivare la conoscenza anche se hanno alle spalleun’esperienza sul campo ormai consolidata, di capire le contraddi-zioni dei volontari al loro interno. Un dirigente, un presidente, un co-ordinatore di un’associazione di volontariato deve sentire dentro disé il gusto delle sfide. La formazione di qualità, del resto, è quellache aiuta anche le persone a piacersi, immaginandosi più compe-tenti e capaci, anche di capacità cosiddette complesse e trasversali co-me quella della gestione delle contraddizioni». Altrimenti, soprat-tutto nelle realtà che si dedicano al volontariato, il rischio, secondoBruscaglioni, è quello di «fare solo gestione, di rincorrere i turni, disuperare le difficoltà economiche o istituzionali, abbandonando difatto quell’erotismo mentale che è dato dal creare cose nuove».

La formazione empowering, attraverso laboratori ed esercizimentali che permettono di riconsiderare la propria esperienza di sé,aiutano proprio a «trovare nuove strade da aggiungere a quelle vec-chie. Ci si può confrontare e crescere, passando dall’unicità del pro-blem solving alla molteplicità delle possibilità (il supermercato inquesto senso è metaforicamente eclatante). Oggi vai e scegli. Credoche il volontariato non sia abituato a scegliere. Paradossalmente c’èla scelta di avvicinarsi al volontariato, ma non la scelta di come far-lo. Ecco allora la necessità di costruire un proprio modo di fare del-la solidarietà, confrontandosi responsabilmente con gli altri».

Se la formazione in Europa è un dato di fatto, nel nostro Paesequesto processo fa più fatica ad attecchire: «In Italia - osserva il do-cente di psicologia - non c’è la mentalità della formazione. Eppureè uno strumento fondamentale,nel pubblico, come nel privato enel volontariato, perché apreorizzonti nuovi, mette in movi-mento la creatività e generativi-tà di ciascuno di noi, a partire dauna conoscenza più approfon-dita di sé stessi. Come un arti-giano, la formazione ci spinge alavorare su noi stessi. Peccatoche in Italia non si creda moltonella formazione. Si tende soloa perseguire il risultato».

Massimo Bruscaglioni Persona empowerment. Poteraprire nuove possibilità nel lavoroe nella vita Franco Angeli, 2007

Massimo Bruscaglioni La gestione dei processi nellaformazione degli adulti Franco Angeli, 2009

Massimo Bruscaglioni Per una formazione vitalizzante.Strumenti professionaliFranco Angeli, 2005

webhttp://www.youtube.com Massimo Bruscaglioni

GRANDANGOLO

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Investire nella gratuità,un’esperienza che plasmail know how per la vita

Salomone

Igor Salomone, consulentepedagogico, spiega che una formazionecompleta non passasoltanto dai corsi in aula, ma fa leva anche sulla pratica e l’attività quotidiana

Igor Salomone, da pedagogista di

processi formativi, spiega come e

perché, sotto il profilo educativo

e psicologico, l'esperienza del volon-

tariato dà alle persone una spina dor-

sale più solida?

Non ho dati statistici per poter af-fermare che questa è una verità. Maposso descrivere dal mio punto di

vista, come e perché il volontaria-to possa essere un’esperienza for-mativa. Anzitutto dobbiamo im-maginare un volontario a tuttocampo, indipendentemente dadove operi e con chi. Comunquegià il fatto di appartenere a un’or-ganizzazione è un elemento for-mativo di base.

Qui però si deve fare una di-stinzione: va tenuto presente cheesperienze di dono si possono fa-re in molti contesti, per esempiofamiliare e di vicinato. Ma in que-sto caso ci si muove su un altropiano, quello di uno scambio, diuna relazione di aiuto e di mutuo-aiuto, che, come tale, appartienealle reti sociali familiari e comu-nitarie. Il volontariato, invece, non

dossier dicembre 2010

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è semplicemente l’aiuto dato aqualcuno. Perché esso si contrad-distingue per il rapporto di totaleestraneità con l’altro.

Quindi si tratta di un gesto diaiuto verso persone che non si co-noscono, che non hanno nessunlegame di parentela, o di amicizia.Occuparsi di un genitore anzianoe ammalato non è fare volontaria-to, è un rapporto di cura che stanel codice genetico degli esseriumani. Per cui non tutto ciò che èdono è volontariato.

Senza questa precisazione, sicorre il rischio di perdere il sensodel volontariato.

Il volontariato, al contrario, haun senso perché istituzionalizza eorganizza un processo di cessionedel proprio tempo, del proprio im-pegno a titolo gratuito, ma neiconfronti di persone verso le qua-li non si ha nessun obbligo.

Dunque questo è l’elementofondamentale dell’esperienza divolontariato e richiede per neces-sità una struttura organizzativa.Perché? Perché il ruolo dell’asso-ciazione è quello di mediare trachi riceve e chi dà.

E’ un ruolo strategico moltoimportante. Basta tenere conto delfatto che farsi aiutare da una per-sona che non si conosce, visto dal-la prospettiva di chi riceve, non ècosì semplice.

Pertanto è cruciale che l’orga-nizzazione si assuma questo com-pito di mediazione in un rapportoche altrimenti rischierebbe di nonessere legittimo. In sintesi, il vo-lontario è colui che dedica parte

del proprio tempo a offrire unaforma di aiuto inquadrato dentrouna esperienza organizzativa.

Fatta questa premessa, resta la

domanda: che cosa si può impa-

rare da questa esperienza?

Prima di tutto s’impara parecchiosulle realtà che s’incrociano. Ilvolontario viaggia verso un per-corso d’incontro che gli consentedi conoscere persone, bisogni eproblemi che ignorava. Anche senon ci sono dati certi, l’esperien-za conferma che in genere il vo-lontario sceglie di dedicarsi a si-tuazioni che sono distantidall’orizzonte in cui vive e opera.Per esempio: l’impiegato di bancadi solito fa servizi di volontariatocon i poveri. Così come la perso-na che svolge un lavoro privo direlazioni sociali, di solito è spin-to invece nel proprio tempo libe-ro a ricercare delle relazioni congli altri.

Secondo punto: il volontariocerca sempre di interagire conambienti distanti da quello in cuiabitualmente vive e lavora.

C’è però un terzo livello cheriguarda i percorsi di orientamen-to al senso del volontariato, cioèla possibilità di imparare dal-l’aiuto all’altro delle cose di sé.

Perché chi esce dai propriconfini inevitabilmente si mettealla prova, in qualche modo simisura con se stesso, tocca conmano e si specchia in bisogni, di-sagi e problemi che testano le suemotivazioni. E qui si fa, imman-cabilmente, una selezione: c’è chiabbandona, che sono la maggio-

Salomone

ranza; chi resta e continua a so-vrapporre i propri bisogni a quel-li altrui; e chi resta e impara, chesono la minoranza dei volontari.

E così arriviamo al cuore delnostro ragionamento: fare l’espe-rienza di volontariato permettedi scoprire chi sei veramente, co-sa vuoi dalla vita, dove stai an-dando. Per questo aiuta ad avereuna spina dorsale più solida e re-sistente.

Chi si impegna nel volontariato è

più preparato per affrontare i pro-

blemi che incontrerà, per esempio,

nel lavoro, oppure in famiglia?

Il volontariato rafforza la capacitàdi affrontare i problemi a 360 gra-di. Perché chi tocca con mano ibisogni altrui, impara a relativiz-zare i propri. Mi spiego: il cono-scere l’altro fa capire a se stessiche i problemi e i bisogni che sihanno non sono gli unici e i piùgrandi del mondo. Il volontariatoinsegna a superare i propri confi-ni, apre la mente al mondo.

Si può affermare che chi fa volon-

tariato possiede un know how più

ricco per affrontare la vita e le sue

difficoltà più o meno quotidiane?

Sicuramente. Una cosa però è di-re che possiede un know how raf-forzato per affrontare la vita,un’altra cosa è sostenere che lecose gli vadano meglio.

Sicuramente il know how èrafforzato, ma ciò non gli preclu-de il sorgere di nuovi problemiall’interno dei luoghi in cui abi-tualmente vive.

Come comunicare questo messag-

gio ai giovani?

I giovani sono un target difficile.Hanno davanti a loro un oriz-zonte poco roseo e un futurotroppo incerto per il quale di-venta complicato investire. Cer-tamente su una certa fascia di ra-gazzi si può fare leva, perché haancora dentro di sé il desideriodi aiutare chi ha bisogno.

Qui però si pone un problema:questa cerchia di giovani tendonoa scegliere una strada professiona-le. Cioè i giovani che hanno lapropensione a fare volontariatotrasformano questa voglia d’impe-gno in un vero e proprio mestiere:penso agli educatori, agli assisten-ti sociali, agli infermieri, ai medi-ci, agli psicologi.

Per cui non è vero che i gio-vani non sono animati da un im-pegno e da una passione civile,soltanto che la trasformano in unlavoro. Resta quindi una questio-ne aperta: come avvicinare i gio-vani al volontariato tout court?Ma sinceramente è un interroga-tivo a cui non so rispondere, masu cui tutti insieme dovremmoprovare a ragionare.

Di sicuro bisogna far leva sulfatto che i giovani vogliono par-tecipare direttamente, voglionosentirsi protagonisti in ciò in cuis’impegnano.

A proposito di giovani e di volon-

tariato, c’è un pregiudizio da su-

perare: i ragazzi spesso si sentono

ripetere da amici e parenti che

l’esperienza del volontariato è un

tempo sottratto allo studio, al la-

voro, al divertimento, allo sport,

alla famiglia…

Su questo tema le organizzazio-ni dovrebbero fare di più. Per-ché le associazioni, grandi e pic-cole, dovrebbero far pressionesulla classe politica, affinché ilvolontariato sia un’esperienzache tutti dovrebbero fare: nondico obbligatoria, ma quasi. Ba-sterebbe assegnare al volontaria-to un valore spendibile in termi-ni di punteggi, di crediti.Esattamente come avviene già inFrancia e in altri Paesi europei.E’ chiaro che però servirebbeuna precisa volontà politica, conuna legge ad hoc. Le organizza-zioni devono poi rivoluzionarela propria comunicazione.

Come e perché?

Quando parliamo di comunica-zione siamo abituati a pensare aquel processo attraverso il qualesi comunicano informazioni, ri-sultati, idee a un pubblico vastoo mirato. Il concetto è: “Che co-sa vuoi dire?”.

La soluzione: diciamolo almeglio, in modo tale che il mes-saggio arrivi all’interlocutore.Ma ritengo che per le associazio-ni la comunicazione debba esse-re ripensata: sarebbe opportunoche un ente comunichi il sapereche produce.

Per capire, faccio un passoindietro: se ogni volontario po-tenzialmente impara qualcosadall’esperienza che fa, vuol direche il sistema nel suo complesso

produce una quantità enorme disaperi sui territori, i suoi proble-mi e su come s’interviene per ri-solverli; così come sui modelli ele forme organizzative e le rispo-ste messe in campo.

Per cui se c’è un investimen-to che il Terzo settore deve fare ècapitalizzare i saperi che produ-ce trasformandoli in un sistemadi conoscenza che sia a disposi-zione di tutti. Perché non è piùsolo una questione di trasferireconoscenze alla periferia, cioè aisingoli volontari, affinché pos-sano operare con maggiore effi-cienza ed efficacia.

Occorre che tali conoscenzesiano comunicate non soltantotra le realtà di volontariato, masoprattutto al di fuori del Terzosettore.

Immaginando di organizzare dei

corsi di formazione per i volon-

tari in cui trasmettere questo

messaggio, lei quali argomenti

inserirebbe in un ipotetico pro-

gramma?

Ci vorrebbero delle lezioni peraiutare i volontari a interrogarsisu ciò che si aspetterebbero diimparare dall’esperienza chehanno intrapreso, e su che cosaritengono di poter apprendere.Ma soprattutto servirebbero deicorsi che insegnino ai volontaria progettare una risposta possi-bile ai bisogni che incontranonel loro impegno verso gli altri.Occorre che i vertici delle orga-nizzazioni coinvolgano nel fareprogettuale i propri volontari e

non li trattino invece alla stre-gua di volontari-consumatori.Prendendo in prestito un’imma-gine dal mondo di internet, leorganizzazioni hanno bisogno di“sviluppatori” del volontariato.

La formazione motivazionale è

una realtà ormai consolidata,

quella tecnica anche (pensiamo

ai volontari del 118, per esem-

pio), resta invece un passo in-

dietro la formazione strategico-

organizzativo, che però risulta

cruciale per la crescita del vo-

lontariato e delle associazioni.

Come superare questo ostacolo?

Per il futuro è strategico svilup-pare la capacità di produrre co-noscenza dai saperi acquisiti daogni singolo volontario. Per cui non occorre soltantopromuovere corsi di formazio-ne, ma anche corsi di condivi-sione di esperienze di volonta-riato. Abbiamo iniziato la nostraconversazione con la domandasu che cosa s’impara facendo ilvolontario: ma il problema ri-guarda anche che cosa impara ilvolontario facendo volontariato? E ancora: cosa impara l’organiz-zazione di volontariato dalleesperienze di ciascun volonta-rio? E, soprattutto, come potertrasmettere questo sapere perfarlo diventare un patrimoniocollettivo? Sono questi una seriedi interrogativi, sui quali biso-gnerebbe aprire in un futuroprossimo un confronto nel mon-do del non profit e avviare unariflessione comune che coinvol-ga tutto il Terzo settore.

Igor SalomoneCon occhi di padre. Diario di un amore ai confini del possibile Città Aperta, 2010

Igor SalomoneIl setting pedagogico. Vincoli e possibilità per l'interazioneeducativaCarocci, 1997

Maurizio CastagnaL' analisi delle esigenze: dal fabbisogno all'interventoformativo. Principi, metodi e strumenti per il formatoreFranco Angeli, 2010

Paolo Jedlowski Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana Bruno Mondadori, 2000

Paolo Jedlowski Il sapere dell'esperienza Carocci, 2008

Duccio Demetrio L' età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo Carocci, 2003

Duccio Demetrio Manuale di educazione degli adulti Laterza, 2003

Jack Mezirow Apprendimento e trasformazione

Il significato dell’esperienza e il valore della riflessionenell’apprendimento degli adultiRaffaello Cortina, 2003

Mihaly Csikszentmihalyi, Barbara Schneider Diventare adulti. Gli adolescenti e l’ingresso nel mondo del lavoroRaffaello Cortina, 2002

Daniela Acquadro Maran, Giorgio Soro Competenze relazionali nelle organizzazioniRaffaello Cortina, 2008

Gian Piero QuaglinoLa scuola della vita Raffaello Cortina, 2011

GRANDANGOLO

Salomone

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dossier dicembre 2010

IL VOLONTARIATO SI CONFIGURA OGGI come un oggetto poliedricoe complesso, in cui si annidano molteplici domande e bisogniformativi.Negli ultimi dodici anni ho dedicato la mia attività di studio e ri-

cerca al tema del volontariato di adolescenti e giovani. E’ da questoosservatorio che ho tratto le riflessioni che presenterò nelle righe cheseguono su quelli che, a mio avviso, sono alcuni importanti bisogniformativi dei giovani volontari e delle organizzazioni in cui operano.

Sicuramente, ancora oggi, come in passato, i giovani volonta-ri sono portatori di domande di for-mazione tecnica e operativa. Sitratta di bisogni che gran parte deivolontari vedono riconosciuti e ac-colti nelle organizzazioni di appar-tenenza, anche se non sempre tra-dotti in una formazione che non siasolo addestramento ma acquisizio-ne di competenze entro un percor-

La mission possibile:associazioni educatei giovani volontari

Marta

Elena Marta, professoredi psicologia sociale alla Cattolica di Milano,spiega che gli entidevono sostenere un percorso di crescitae sviluppo per le futuregenerazioni

di Elena Marta

Marta

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so di crescita e di cambiamento, promotore di processi di rifles-sività, consapevolezza, valorizzazione della persona, prima an-cora che del ruolo di volontario.

Accanto a questi, vi sono però anche altri bisogni, specificidei giovani volontari in questo contingente e particolare momentostorico. In una ricerca che abbiamo realizzato grazie alla parteci-pazione di numerosi volontari, abbiamo rilevato quattro tipi dimotivazioni dei giovani al volontariato: la motivazione sociale,ossia quella per cui il giovane cerca, attraverso l’azione volonta-ria, di ampliare la propria rete sociale; la motivazione “di car-riera”, ossia quella che spinge i giovani a fare volontariato peracquisire e sperimentare alcune competenze professionali in unambito protetto; la motivazione protettiva del sé, che spinge adagire in maniera pro-sociale per placare sensi di colpa derivantidal sentirsi fortunati rispetto ad altri che non lo sono e, infine, lamotivazione valoriale, ossia quella legata al bagaglio valorialeappreso in famiglia e nel contesto di vita in generale. Un gruppodi volontari, che rappresentava il 28,7%, sembrava non esserespinto a impegnarsi da nessuna di queste motivazioni. Nello stu-dio successivo di approfondimento, i volontari che abbiamo in-contrato ci hanno consentito di comprendere che attraverso l’im-pegno nell’organizzazione i giovani, più che nel passato, cercanoun significato alla vita quotidiana, la possibilità non di allargarela rete delle amicizie, ma di costruire dei legami che siano per lo-ro significativi, in presenza di un contesto sociale che non aiutaa comprendere il senso del vivere e che è connotato dalla pre-senza di legami “liquidi” o “sfarinati”, dalla difficoltà a tessere emantenere legami stabili.

E’ evidente che questa situazione inedita pone coloro che nel-le organizzazioni assumono ruoli direttivi o di selezione e for-mazione delle risorse, a dover gestire questa domanda sociale che,in passato, veniva colta nella scuola, indirizzata a figure di rife-rimento del territorio (per esempio, un parroco), gestita in luoghidella comunità, quali oratori, parrocchie, sedi di partito, o con-vogliata nell’ambito lavorativo. Oggi che spesso le scuole vivonoall’insegna di una contrapposizione tra componenti adulte dellasocietà e di rinuncia della responsabilità educativa e formativada parte di alcuni docenti, che le sedi di partito, le parrocchie e

Marta

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dossier dicembre 2010

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gli oratori risentono di una crisi della partecipazione, che le figuredi riferimento sono sempre più scarse e sempre più indaffarate, igiovani chiedono alle organizzazioni, ancor più che in passato, diaccogliere non solo i bisogni dei beneficiari diretti dell’impegnovolontario, ma anche i loro bisogni di appartenenza, sia identita-ri, sia relazionali. E talvolta le organizzazioni sono impreparate agestire questa richiesta, spaventate dalla rilevante responsabilitàsociale che tale richiesta sollecita, preoccupate di ripiegarsi trop-po verso l'interno e distogliere risorse da quella che è considera-ta la “vera” mission.

A mio avviso, le organizzazioni dovrebbero essere supporta-te/formate anche a comprendere e riflettere sul fatto che sostene-re il percorso di crescita delle giovani generazioni non può esse-re solo effetto secondario dell'impegno nell'azione volontaria, maparte integrante della loro mission. Questo perché la domandache i giovani avanzano loro, difficilmente è posta altrove: per-tanto se non dovesse esser colta resterebbe orfana.

Le organizzazioni di volontariato possono decidere se acco-gliere o meno questa richiesta, ma in qualche modo sono costrettea fare i conti con essa, quantomeno dirottandola a persone o incontesti adeguati. E’ questo un compito non semplice, che ri-chiede un’adeguata preparazione in termini di lettura e gestione.

A mio avviso, affrontare questo tema implica anche rifletteresulla potenzialità enorme di cui il volontariato dispone nel favo-rire la costruzione del legame intergenerazionale che oggi sembracosì difficile da realizzare e che, invece, in alcune esperienze divolontariato riceve una sorta di riedizione di grande importanzasimbolica per il sociale. Attraverso questa esperienza, che li co-stringe a mettersi nei panni di altre generazioni, i giovani posso-no superare cognitivamente ed emozionalmente il gap interge-nerazionale, oggi particolarmente consistente. Attraverso lapiccola fessura del volontariato, il corpo sociale può così trovareil modo di riavviare un dialogo tra le generazioni così essenzialeal suo sviluppo. E dal canto loro, i volontari più adulti possonofare vero esercizio di generatività sociale, ossia prendersi cura inmaniera profonda e sincera della generazione successiva alla pro-pria al fine di sostenerla, potenziarla e affrancarla da sé.

E’ l’assunzione di questa prospettiva che può favorire quel ri-

cambio intergenerazionale così prezioso, vitale ma anche estre-mamente complicato per le organizzazioni di volontariato. I bi-sogni delle associazioni al riguardo sono complessi: si tratta diavviare percorsi di accompagnamento al passaggio intergenera-zionale, alla sua elaborazione e alla sua gestione così da valoriz-zare sia le radici storiche delle organizzazioni sia le spinte inno-vative e consentire a tutti i membri dell’organizzazione dicompartecipare alla progettazione e realizzazione di un progettocondiviso.

Infine, l’ultimo bisogno formativo recente di cui alcune orga-nizzazioni di volontariato sono portatrici e che viene sollecitatodai giovani, è quello in merito alla valutazione dell'azione vo-lontaria. E’ questo un processo delicato, ma essenziale per la qua-lità dell’azione di volontariato e il senso del suo agire. Per valu-tazione s’intende qui la riscoperta e condivisione del senso delleazioni poste in atto, dei processi avviati; la ricostruzione di si-gnificati simbolici condivisi in merito ai progetti attuati; il rico-noscimento di mondi di significati che si annidano nell’organiz-zazione e nel suo agire.

Il volontariato è un preziosocontesto di produzione di capita-le umano e sociale e si prospettacome uno degli ambiti più impor-tanti e vitale per la ricostruzionedel tessuto sociale solidale, ne-cessario per il rilancio e la rigene-razione dei legami comunitarisempre più deboli e sfaldati. Maper raccogliere anche questa sfida,tra le molte cui oggi il volontaria-to deve far fronte, occorre dispor-re di risorse e la formazione è unadi queste.

Marta E. e Scabini E, a cura diGiovani volontari. Impegnarsi,crescere e far crescere. Firenze: Giunti, 2003

Boccacin L. e Marta E. a cura di Giovani-adulti, famiglia e volontariato. Percorsi di costruzione dell’identità.Milano: Unicopli, 2003

Marta E., Pozzi M. Psicologia del volontariato. Roma: Carocci, 2007

Marzana D. Giovani e azione sociale.Tesi di dottorato., 2009

Saturni V. e Marta E. a cura di In vena di solidarietà. I mille voltidella donazione in Avis. Milano: Franco Angeli, 2009

Marta E. e Santinello M. a cura di Il mentoring. Una rilettura in ottica di psicologia di comunità.Milano: Unicopli, 2010

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Grazie allo sforzo dei Centri diserviziola formazione a distanza

è stata introdotta anche fra le organizzazioni di volontariato,

perché la tecnologia aiuta le buone prassi

‘‘

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E-learning, e-training: ecco come si formano i volontari a distanza

Nuove frontiere

LO SFORZO, ANCORA OGGI, DA COMPIERE, per chi si occupadell’uomo e, in particolare, di quegli uomini i cui dirit-ti sono meno garantiti e tutelati, è quello di trovare nuo-

ve strade di riflessione. E, di conseguenza, anche possibiliapplicazioni, che si collochino tra l’acritico entusiasmo pertutto ciò che è nuovo, veloce, globale, e uno snobbismo chelascia spazio all’aumentare del divario tra chi gestisce e chiusufruisce, tra chi ha le conoscenze e sa gestire la velocitàdell’informazione e chi ne resta tagliato fuori, aumentando

sempre di più la distanza. Il digital divide1 non è solo tra

Nord e Sud del mondo, ma anchetra fasce di popolazione all’internodelle stesse nazioni più ricche. Ec-co perché lo sforzo deve andarenella direzione di riorientare gliinvestimenti, umani ed economici,dalla fase di sviluppo di nuove tec-

di Giorgio Sordelli

Per Giorgio Sordelli,esperto di formazione,la diffusione dei computer e delleconnessioni in retehanno permesso di riformare i sistemidi apprendimento

Nuove frontieredossier dicembre 2010

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apprendimento” che favorisce sia il superamento dell’isola-mento del singolo, sia la valorizzazione dei suoi rapporti conil gruppo.

L’idea di adottare strategie collaborative si basa sul pre-supposto di poter rafforzare e rivalutare la componente so-ciale nel processo di apprendimento attraverso l’offerta dicondizioni favorevoli di crescita individuale stimolata dal-l’interazione con gli altri.

L'innovazione permessa dallo sviluppo della reteA oggi non esiste una definizione univoca di e-learning e, so-prattutto in Italia, è ancora utilizzato in modo massiccio iltermine di formazione a distanza, oppure Fad. Comunque in-dipendentemente dai termini possiamo distinguere due mo-delli di riferimento.

Il primo riguarda una formazione che, pur utilizzandouna serie di mezzi di comunicazione, o strumenti didatticialternativi alla lezione frontale (in origine i servizi postali,poi il telefono, il fax, la tv - etere e satellitare - e infine in-ternet), rimane un sistema di formazione tradizionale, di ti-po erogativo: il materiale didattico raggiunge il discente, chestudia con l’assistenza a distanza di un tutor; al termine delprocesso formativo una sessione di valutazione permette al-l’allievo di ottenere un titolo di studio.

Il secondo che concerne una formazione intesa come unnuovo modo di studiare, è reso possibile dalle tecnologie del-l’informazione e della comunicazione. L’uso della tecnolo-gia per progettare, distribuire, selezionare, amministrare,supportare e diffondere la formazione, permette di realizza-re percorsi formativi personalizzati. Alla centralità della for-mazione, caratteristica della formazione a distanza, si sosti-tuisce la centralità del discente: non è più il discente adirigersi verso la formazione, ma è la formazione a plasmar-si in base alle esigenze e alle conoscenze del discente.

In questo secondo modello si creano una serie d’intera-zioni tra tutti i soggetti coinvolti nel processo di formazionee si instaura un forte senso di presenza e appartenenza algruppo, alla comunità di lavoro, o alla classe virtuale; i per-

nologie alla fase di sviluppo di processi di apprendimentodell’uso delle nuove tecnologie. Da un periodo di investi-menti nelle scuole e nei contesti formativi per far conoscerele tecnologie, bisogna spostare energie e investimenti a pro-cessi in cui si aiutino le persone a sviluppare un uso criticoe consapevole delle stesse.

Saper valutare i pro e i contro dell’uso delle tecnologie epoi saperle utilizzare criticamente, e imparare ad utilizzarein modo cosciente la formazione a distanza (Fad), è uno deipercorsi da sviluppare e che i Centri di servizio in Italia, e trai primi il Ciessevi di Milano, hanno promosso tra le orga-nizzazioni di volontariato.

Le tre generazioni della FadLe origini della Fad risalgono alla metà del secolo scorso inInghilterra e in Svezia, grazie all’azione delle università cheelaborarono modelli di attività didattica per corrisponden-za. Il passaggio da una generazione all’altra è stato determi-nato dallo sviluppo delle tecnologie di produzione, distri-buzione e comunicazione utilizzate nei diversi sistemiorganizzativi.

In quest'ultimo secolo, la progressiva evoluzione delletecnologie della comunicazione ha fortemente condizionatoi sistemi di formazione a distanza: all’utilizzo prevalente-mente di materiale a stampa, inviato tramite il mezzo posta-le (formazione a distanza di prima generazione), è seguito unuso integrato di materiale a stampa, trasmissioni televisive,registrazioni sonore, software informatico (formazione a di-stanza di seconda generazione), reso oggi più efficace dal-l’impiego della telematica, in quanto consente l’interazionedei partecipanti (formazione a distanza di terza generazioneo formazione in rete).

I sistemi di terza generazione sono chiamati anche on-li-ne education (formazione in rete) in quanto è istituita l’inte-razione tra i partecipanti in una vera e propria “comunità di

1 Con il termine “digital divide” si fa riferimento a quegli elementi, determinati dalletecnologie digitali, che amplificano la divisione tra gli esseri umani.

Questo sviluppo si è tradotto anche nelle prime speri-mentazioni di utilizzo della formazione a distanza nelle at-tività formative rivolte ai propri volontari e operatori; speri-mentazioni che in questi ultimi dieci anni hanno dato vita amodelli specifici che tengono conto delle caratteristiche for-mative per i soggetti di questo variegato mondo.

In modo particolare, grazie allo sforzo di alcuni Centri diservizio per il volontariato, la formazione a distanza è stataintrodotta anche nei processi formativi rivolti alle organiz-zazioni di volontariato e ai volontari stessi. Perché è ormaichiaro che le tecnologie aiutano a sviluppare la cooperazio-ne e lo scambio delle buone prassi, attraverso processi di co-municazione più rapida e in grado di superare i confini geo-grafici.

Il concetto di comunità si è esteso oltre il limite territo-riale. Basti pensare allo sviluppo di portali tematici, di com-munity, alla realizzazione di siti che promuovono la funzio-ne di advocacy tipica del volontariato, della promozione diattività formative accessibili ad un numero maggiore di per-sone con costi più limitati grazie alla Fad.

Ciessevi, tra gli altri, ha realizzato percorsi formativi af-fiancati dall’uso della Fad, diretti ai volontari e ha svilup-pato processi formativi rivolti alle organizzazioni di volon-tariato, in modo da poter gestire direttamente la formazionedei volontari anche con questa modalità.

E i risultati delle prime sperimentazioni sono positivi, maalla condizione che ci sia una condivisione del modello di la-voro da parte di tutta l’organizzazione, con l’individuazionee la formazione di referenti per queste attività e la messa inrete tra associazioni, in modo da creare sinergie operativeche portino ad una maggiore qualità e risparmio di risorse.

Altro risultato incoraggiante è stata la costanza nell’ap-prendimento (la formazione continua anche dopo le attivitàdi aula e anche a distanza dal termine formale della attivitàformativa) la creazione di community stabili, tipo quella deiprogettisti per Ciessevi, così come quella degli autisti delleambulanze e, infine, nel medio lungo periodo la riduzionedei costi. Ovviamente non è stato facile superare alcuni pre-

corsi di apprendimento si personalizzano grazie a un sistemaarticolato di supporti e risorse umane e strumentali a dispo-sizione.

La rete diventa il luogo, mezzo e contesto sociale dell’ap-prendimento. Così la formazione, grazie anche all’uso di tec-nologie telematiche, modifica il modello comunicativo tradi-zionale del tipo “uno a molti” ad uno del tipo “molti a molti”,in cui l’allievo interagisce con il docente e al contempo contutti gli altri allievi in una tipica situazione di rete.

Nelle forme di apprendimento in rete l’allievo è portatoad assumere un ruolo attivo: tanto più la rete è flessibile, tan-ta più libertà d’azione rispetto all’ambiente di apprendi-mento è lasciata agli allievi. In modo particolare ci riferiamoalla libertà nello scegliere le risorse, un ritmo e uno stile diapprendimento e la molteplicità dei media utilizzabili.

L’elemento centrale della riflessione è che per risponde-re ai bisogni formativi reali, in una società che si muove sem-pre più velocemente, occorre una dose molto alta di flessi-bilità e di molteplicità dell’offerta.

È sempre più chiaro, alla luce delle potenzialità della re-te, che le organizzazioni sono obbligate a prendere atto deicambiamenti nei processi formativi a tutti i livelli, concen-trando le proprie riflessioni e le proprie prassi verso nuovimodelli di conoscenza e apprendimento.

Lo sviluppo di questi anni nel volontariatoLa diffusione sempre più ampia dei computer e l’aumentodelle opportunità di connessione alla rete hanno permesso,seppur con molti limiti, di sviluppare processi formativi tra-mite la rete stessa. Netbook a basso costo, cellulari con fun-zioni di collegamento, postazioni pubbliche diffuse sui ter-ritori hanno permesso la diffusione di tali metodologie indiverse fasce della popolazione.

In questi anni anche il mondo del sociale, nella sua acce-zione più ampia, ha iniziato a recuperare il divario che ave-va con altre componenti della società, introducendo in ma-niera significativa l’uso delle tecnologie all’interno delleproprie attività.

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giudizi, storicamente pre-senti e consolidati nel mon-do del volontariato, rispettoalle nuove tecnologie. Ini-zialmente la Fad è stata vistacome uno strumento freddo,contrapposto alle modalitàcalde della relazione. Magrazie a un intenso lavoro dielaborazione teorica e speri-mentazioni dirette, è statopossibile introdurre anchequesta logica formativa.

Infine l’utilizzo di un Lear-ning Content Management Sy-stem come Moodle, open sour-ce e gratuito, ha permesso unarapida diffusione, prima osta-colata dai costi proibitivi dellepiù diffuse piattaforme di for-mazione a distanza.

Resta ancora molto da spe-rimentare e teorizzare, ma pos-siamo tranquillamente affer-mare che chi opera nel socialeha iniziato ad affrontare seria-mente il tema dell’utilizzo del-le tecnologie e che la stradadella Fad è stata aperta. Si trat-ta ora di percorrerla mettendoinsieme le differenti conoscen-ze e competenze.

Giorgio SordelliVolontariato e formazione adistanza Cesvot, 2010 (online sul sitowww.cesvot.it)

Roberto LisciaE-learning. Strategie per lo sviluppodelle competenzeApogeo, 2007

Massimo BellagenteE-learning e creazione dellaconoscenza. Una metodologia perprogettare la formazione a distanzaFranco Angeli, 2006

Emilio VerganiBisogni sospettiMaggioli, 2010

Alessandro Sicora Errore e apprendimento nelleprofessioni di aiutoMaggioli, 2010

Moro Valentina, Filippi BarbaraLa plasticità cerebrale. Alle radicidel cambiamentoSeid, 2010

U. De Ambrogio, S. Pasquinelli Progettare nella frammentazione.Approcci, metodi e strumenti per ilsocialeProspettive Sociali Sanitarie, 2010

Laura Molteni, Serenella Maida,Angelo NuzzoEducazione e osservazione. Teorie,metodologie e tecnicheCarocci, 2009

Roberto MerloRipensare l'intervento sociale.Formazione di processo e serviziterritorialiCarocci Faber, 2009

R. Camarlinghi e F. d'AngellaLavorare insieme tra operatorisociali. Come affrontare il conflittonel gruppo di lavoroI Geki di Animazione Sociale, 2009

Silvio Premoli Pedagogie per un mondo globaleEGA, 2008

webwww.sordelli.net

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Inoltre, tanto in Francia quanto nel resto d’Europa, Italia compre-sa, si constata che le associazioni hanno la difficoltà di gestire ivolontari, in quanto le organizzazioni, essendo basate esse stessesul volontariato, non hanno nessuna, o poche, competenze nelcampo delle risorse umane per governare il capitale umano su cuipossono contare. Ciò, purtroppo, influisce negativamente sulla le-va motivazionale dei volontari, un handicap che spesso li porta adabbandonare il loro impegno gratuito e altruistico.

Volendo ripercorrere una breve storia del Passeport Bénévo-le, occorre partire dal 2003, anno in cui nasce l’associazioneFrance Bénévolat, frutto della fusione di due organizzazioni: ilCentre National du Volontariat (Centro Nazionale del Volonta-riato) e Planète Solidarité (Pianeta Solidarietà). France Bénévo-lat assume il ruolo di promuovere il volontariato nella societàcivile, di mettere in relazione gli aspiranti volontari con le orga-nizzazioni; di sviluppare la gestione delle risorse umane nel pia-neta del non profit.

Anche l’avallo delle istituzioni è stato cruciale per la nascitadel Passeport Bénévole. Da una parte il sostegno della Directionde la Vie Associative (Direzione della Vita Associativa), organodipendente dal ministero del Educazione Nazionale, la cui mis-sione è di elaborare, coordinare e valutare le politiche in favoredella gioventù e della vita associativa; dall’altra France Bénévo-lat ha beneficiato dell’appoggio della Caisse des Dépôts et Con-signations (CDC), un investitore pubblico, sotto il controllo di-retto del Parlamento francese, che dal 1816 è il maggioreprotagonista economico nei campi del finanziamento delle pen-sioni, del housing sociale, dello sviluppo delle aziende e del-l’occupazione.

E, nel ambito delle sue azioni di sostegno e di rafforzamentodella coesione sociale, la CDC si è impegnata in prima fila conFrance Bénévolat sull’opportunità che il Passeport Bénévole rap-presenti una chance per coloro che sono senza un lavoro.

Quest’ultimo è un elemento fondamentale, perché il Passe-port Bénévole non soltanto certifica l’esperienza del volontaria-to, ma soprattutto conferisce un valore professionale all’impe-gno nella solidarietà ed entra come capitolo qualificante nelcurriculum personale. Pertanto è uno strumento molto utile e

Grazie al “passaporto” in Francia la solidarietà entra nel curriculum

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CONVINTA CHE OGNI PERCORSO professionale possa arricchirsidi qualsiasi esperienza, l’associazione France Bénévolat hacreato nel 2007 il Passeport Bénévole, il passaporto per il

volontariato, pensato come uno strumento di valorizzazione del-le esperienze di solidarietà. Con il sostegno dalle istituzioni, ilpassaporto è il riconoscimento del volontariato in Francia.

Anche se, secondo le ultime stime, i volontari sono quattordi-ci milioni, ovvero quasi un francese su quattro, il Paese continuaa percepire il volontariato come un nobile passatempo. Ma non

solo: persino i volontari non hannola percezione del valore dell’attivi-tà che svolgono, tanto che gli sfug-ge anche il valore, in termini di ac-quisizione di competenze, chel’azione volontaria “regala” loro.

Nel 2007 è stato creato il Passeport Bénévole, uno strumento per valorizzare l’impegno e le attivitàdel volontariato. A trarne beneficio sono i giovani e i disoccupati

di Sandrine Greffet*

* volontaria SVE (Servizio volontario europeo)presso Ciessevi di Milano

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valore anche al di fuori della VAE. Tanto che, come spiega An-ne Poitrenuad, uno delle responsabili di France Bénévolant, «èutile per le persone che vogliono semplicemente far valere le lo-ro attività di volontariato».

Al passaporto del volontariato made in Francia si sono giàinteressati dipartimenti e comuni, associazioni grandi, medie epiccole. L’iniziativa ha inoltre riscosso un grosso successo an-che sui mass media.

«Ci sono le organizzazioni, soprattutto quelle che operano insettori sociali – osserva ancoraPoitrenaud -, che richiedono ilPasseport Bénévole. Un buonesempio arriva dal Secours Ca-tholique, che è una delle realtàpiù importanti della Francia, èstata fra i primi enti a richiede-re il passaporto per i valorizza-re il percorso e l’esperienza deipropri volontari, in quanto sitratta di persone che hanno bi-sogno di un aiuto per un inseri-mento sociale.

Così come particolarmenteinteressate al passaporto sonole organizzazioni che impe-gnano i giovani nel volonta-riato, perché le nuove genera-zioni sono un target a cui ilPasseport Bénévole può esse-re molto utile e prezioso perun futuro lavorativo e profes-sionale in un periodo di gravecrisi economica».

A. M. Ajello, C. BelardiValutare le competenze informali Carocci, 2007

J. Bjornavold Making learning visible.Identification, assessment andrecognition of non-formal learningVocational Training, 2000

J.P. Deslauries, Y. Hurtubise La connaissance pratique: un enjeuNouvelles pratiques sociales - nr.2,1997

M.S.Otero, Hawley J. & Nevala A. European Inventory on Validationof Informal and Non formalLearning 2007 Update. A finalreport to DG Education and Cultureof the European CommissionEcotec, Brussels, 2008

E. Perulli Esperienze di validazionedell’apprendimento non formaleed informale in Italia e in EuropaISFOL, 2006

“Raccomandazione del parlamentoeuropeo e del consiglio del 23 aprile2008 sulla costituzione del quadroeuropeo delle qualifiche perl'apprendimento permanente”,(2008/c 111/01), Bruxelleswebwww.passeport-benevole.org

www.francebenevolat.org

www.vae.gouv.fr

www.pole-emploi.fr/accueil

www.afpa.fr

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proficuo per giovani, disoccupati e per chi aspira a un avanza-mento di carriera.

Dalla sua nascita il Passeport Bénévole è ormai diventato unostrumento consolidato nel profilo professionale di ciascun cit-tadino francese. Questo perché il volontariato permette di ac-quisire nuove conoscenze e competenze. Senza dimenticare chel’impegno nella solidarietà consente di rafforzare e cementare lerelazioni sociali.

Ma il Passeport Bénévole è stato anche accettato dal Mini-stero dell’Educazione Nazionale, come garanzia che attesta laValidation des acquis de l’expérience (VAE). Di che cosa si trat-ta? La VAE è stata sviluppata dal Pôle Emploi (Agenzia nazio-nale del lavoro) e dall’AFPA (Association Nationale pour la For-mation Professionnelle des Adultes), ossia l’Associazionenazionale per la formazione degli adulti. La VAE in Francia of-fre la possibilità di convertire la propria esperienza professiona-le in un diploma, o in una qualifica professionale, dopo cheun’apposita commissione ha valutato positivamente il dossierpresentato.

Oltralpe per mezzo della VAE si è registrato un aumento si-gnificativo, nell’ordine del cinquanta percento nell’arco di treanni, dei diplomi e dei titoli ottenuti nel quadro di un proces-so individuale di validazione delle acquisizioni dell’esperien-za. Nel 2003 in Francia, grazie a questo dispositivo, diecimilapersone hanno potuto far riconoscere le competenze acquisitenel corso del proprio percorso professionale, ottenendo un ti-tolo rilasciato dal ministero dell’Istruzione, o riconosciuto sulpiano professionale. Di conseguenza la VAE offre la possibili-tà ai cittadini di evolversi nel proprio lavoro ma anche di cam-biare carriera.

In questo quadro il Passeport Bénévole è un aiuto concretoper chi vuole candidarsi alla VAE, in quanto contiene schede e ta-belle riassuntive che sintetizzano le missioni di volontariato por-tate a termine. In sostanza, una prima scheda presenta il profilodel volontario, le schede successive invece descrivono e certifi-cano le attività di volontariato: il loro obiettivo, il contesto, l’au-tonomia sviluppata, le responsabilità prese e gli strumenti usati.

C’è da sottolineare che comunque il Passeport Bénévole ha

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Centro servizi per il volontariato nella provincia di MilanoRivista periodicaAnno 1 numero 3 dicembre 2010

Formazione delle mie brameLezioni di leadership e managementcostruiscono il futuro del volontariato

L’analisi Né eroi né supertecniciLa sfida della formazionesi gioca sulla Terza via

GhiringhelliUna gestione d’eccellenza

è garanzia di efficienzaper l’azione dei volontari

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