Processi di integrazione ed europeizzazione nei regimi europei di welfare: un’analisi comparata...

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1 Processi di integrazione ed europeizzazione nei regimi europei di welfare: un’analisi comparata con fini tipologici di Gabriella Punziano I processi di integrazione e di europeizzazione, che hanno avuto il loro motore nelle istanze politiche ed economiche, ma che nel loro impatto hanno segnato profondamente il tessuto sociale, sono al centro dell’analisi qui proposta. Infatti, a partire dai risvolti sociali e dalla risposta che a questi viene data dai diversi regimi di welfare europei, si mostrerà una possibile ri-sistemazione e tematizzazione delle differenze entro i diversi regimi, delle loro relazioni e nuove caratterizzazioni. Il punto di partenza del ragionamento proposto è rintracciabile nello studio, condotto da chi scrive, Welfare europeo o welfare locali? I processi decisionali nel sociale tra convergenza ed autonomia. In esso si è inteso approfondire la doppia spinta tra europeizzazione e decentramento della politica sociale in alcuni paesi europei, considerati guida di specifici welfare regimes (Esping- Andersen 1996), per comprendere a quale livello di governance siano imputabili le decisioni che strutturano quest’ambito. Tale obiettivo è stato perseguito attraverso un’analisi comparata geografica e di policy basata su un approccio mixed methods da intendersi quale merge di approcci, tecniche e strumenti standard e non standard. Nello specifico, a partire dai casi di Napoli, Milano e Berlino, la citata analisi contempla congiuntamente lo studio delle direzioni sovranazionali, degli sviluppi nazionali e delle dinamiche locali in merito alla diffusione di modelli specifici di implementazione e decisione delle politiche sociali e dei regimi cui danno vita, sviluppandosi sia in prospettiva macro (attraverso l’analisi multivariata e multilivello di indicatori sociali Eurostat e conseguente cluster analysis) sia in prospettiva micro (attraverso l’analisi di progetti realizzati nei differenti contesti locali ed in particolare applicando analisi di impatto, implementazione e comparative network analysis). La conclusione cui si è giunti è stata la realizzazione di un modello generale di interpretazione dei mutamenti nei differenti regimi di welfare europei e loro classificazione, da sottoporre a ulteriori test empirici. L’analisi che in questa sede si propone, infatti, intende superare i limiti del precedente studio ampliando la base comparativa dei paesi indagati ed avviando la rilevazione in ulteriori nazioni e contesti locali. Pertanto, a Milano e Napoli per l’Italia e Berlino per la Germania, si è aggiunta Monaco, come termine di comparazione, Parigi e Rouen per la Francia, Barcellona e Vigo per la Spagna e Londra e Liverpool per l’Inghilterra. Di seguito si presenterà, accanto ad una ripresa dei presupposti teorici e metodologici, i principali risultati empirici della ricerca. 1. Presupposti teorici e metodologici: lo studio di partenza e i suoi sviluppi Il concetto di europeizzazione, al centro di numerosi studi sulle trasformazioni nei regimi di welfare e sulle dinamiche della governance nell’Unione Europea (Lebfried, Pierson, 1995; Le Gales, 2002; Gullién, Palier, 2004; 2004; Giuliani, 2004; Ferrera, 2006; Naldini, 2007; De Leonardis, 2012; Kazepov, 2009-2010), può essere considerato in un’accezione molteplice e diversamente agente sui rispettivi contesti operativi sui quali incide. Nei rapporti fra istituzioni comunitarie e stati membri, tale concetto riguarda il processo di integrazione comunitaria e sviluppo della governance multilivello la cui dirittura di arrivo è una piena convergenza verso un sistema unitario di governo delle politiche sociali omologato in tutto il territorio comunitario e fondato essenzialmente sui principi di sussidiarietà ed attivazione (Bifulco, 2005). Ciò agisce sui singoli sistemi politici nazionali, i quali, a loro volta, rispondono mostrando diversi gradi di adattamento e intensità nel conformarsi allo scenario delineato. Se si considera lo stesso concetto a partire dai contesti locali, intesi quali diversi centri di diramazione della governance sociale in maniera decentrata, piuttosto che partendo dal fulcro di interesse comunitario (l’attore sovranazionale europeo) vengono chiamate in causa dinamiche di implementazione e processo di natura contestuale e differenziale, specchio della rivendicazione di autonomia locale nel processo stesso di governance delle politiche sociali intrapreso attraverso modalità molteplici volte comunque alla convergenza (Radaelli, 2003).

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Processi di integrazione ed europeizzazione nei regimi europei di welfare:

un’analisi comparata con fini tipologici di Gabriella Punziano

I processi di integrazione e di europeizzazione, che hanno avuto il loro motore nelle istanze

politiche ed economiche, ma che nel loro impatto hanno segnato profondamente il tessuto sociale,

sono al centro dell’analisi qui proposta. Infatti, a partire dai risvolti sociali e dalla risposta che a

questi viene data dai diversi regimi di welfare europei, si mostrerà una possibile ri-sistemazione e

tematizzazione delle differenze entro i diversi regimi, delle loro relazioni e nuove caratterizzazioni.

Il punto di partenza del ragionamento proposto è rintracciabile nello studio, condotto da chi

scrive, Welfare europeo o welfare locali? I processi decisionali nel sociale tra convergenza ed

autonomia. In esso si è inteso approfondire la doppia spinta tra europeizzazione e decentramento

della politica sociale in alcuni paesi europei, considerati guida di specifici welfare regimes (Esping-

Andersen 1996), per comprendere a quale livello di governance siano imputabili le decisioni che

strutturano quest’ambito. Tale obiettivo è stato perseguito attraverso un’analisi comparata

geografica e di policy basata su un approccio mixed methods da intendersi quale merge di approcci,

tecniche e strumenti standard e non standard. Nello specifico, a partire dai casi di Napoli, Milano e

Berlino, la citata analisi contempla congiuntamente lo studio delle direzioni sovranazionali, degli

sviluppi nazionali e delle dinamiche locali in merito alla diffusione di modelli specifici di

implementazione e decisione delle politiche sociali e dei regimi cui danno vita, sviluppandosi sia in

prospettiva macro (attraverso l’analisi multivariata e multilivello di indicatori sociali Eurostat e

conseguente cluster analysis) sia in prospettiva micro (attraverso l’analisi di progetti realizzati nei

differenti contesti locali ed in particolare applicando analisi di impatto, implementazione e

comparative network analysis). La conclusione cui si è giunti è stata la realizzazione di un modello

generale di interpretazione dei mutamenti nei differenti regimi di welfare europei e loro

classificazione, da sottoporre a ulteriori test empirici. L’analisi che in questa sede si propone, infatti,

intende superare i limiti del precedente studio ampliando la base comparativa dei paesi indagati ed

avviando la rilevazione in ulteriori nazioni e contesti locali. Pertanto, a Milano e Napoli per l’Italia

e Berlino per la Germania, si è aggiunta Monaco, come termine di comparazione, Parigi e Rouen

per la Francia, Barcellona e Vigo per la Spagna e Londra e Liverpool per l’Inghilterra.

Di seguito si presenterà, accanto ad una ripresa dei presupposti teorici e metodologici, i

principali risultati empirici della ricerca.

1. Presupposti teorici e metodologici: lo studio di partenza e i suoi sviluppi

Il concetto di europeizzazione, al centro di numerosi studi sulle trasformazioni nei regimi di

welfare e sulle dinamiche della governance nell’Unione Europea (Lebfried, Pierson, 1995; Le

Gales, 2002; Gullién, Palier, 2004; 2004; Giuliani, 2004; Ferrera, 2006; Naldini, 2007; De

Leonardis, 2012; Kazepov, 2009-2010), può essere considerato in un’accezione molteplice e

diversamente agente sui rispettivi contesti operativi sui quali incide. Nei rapporti fra istituzioni

comunitarie e stati membri, tale concetto riguarda il processo di integrazione comunitaria e sviluppo

della governance multilivello la cui dirittura di arrivo è una piena convergenza verso un sistema

unitario di governo delle politiche sociali omologato in tutto il territorio comunitario e fondato

essenzialmente sui principi di sussidiarietà ed attivazione (Bifulco, 2005). Ciò agisce sui singoli

sistemi politici nazionali, i quali, a loro volta, rispondono mostrando diversi gradi di adattamento e

intensità nel conformarsi allo scenario delineato. Se si considera lo stesso concetto a partire dai

contesti locali, intesi quali diversi centri di diramazione della governance sociale in maniera

decentrata, piuttosto che partendo dal fulcro di interesse comunitario (l’attore sovranazionale

europeo) vengono chiamate in causa dinamiche di implementazione e processo di natura contestuale

e differenziale, specchio della rivendicazione di autonomia locale nel processo stesso di governance

delle politiche sociali intrapreso attraverso modalità molteplici volte comunque alla convergenza

(Radaelli, 2003).

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Differente dal concetto di europeizzazione è quello di integrazione comunitaria che, secondo

Giuliani (2004), si riferisce a qualcosa di impregnatamente normativo, regolativo e processuale, e

che coglie dinamiche macro e rapporti di sistema, mentre col concetto di europeizzazione ci si rifà

esplicitamente a dinamiche di origine micro inquadrabili come processo silenzioso, differenziato e

spesso contraddittorio rilevabile nei processi di governance, e nel quale sono gli attori a decidere e

dare forma alle differenti strutturazioni emergenti (Börzel, 2004). L’europeizzazione può essere

intesa quale processo attraverso il quale le strutture, procedure e politiche dell’Unione europea si

specializzano ed automatizzano dal livello nazionale, rispecchiando a pieno il processo più generale

di istituzionalizzazione dell’Unione europea stessa (Mörth, 2003) e delle sue strutture di

governance. Tanto è vero che l’istituzionalizzazione diviene il tratto distintivo ed insieme il tramite

d’unione tra una concezione di integrazione comunitaria di natura normativa ed una di

europeizzazione delle politiche di natura processuale nel corso della traslazione dell’hard come

della soft law legislation in materia di politiche sociali e regimi di welfare tra i differenti livelli di

governance sovranazionali, nazionali e locali. Il processo di europeizzazione punta su una

convergenza strategica verso una piena integrazione comunitaria perseguita, tuttavia, attraverso

meccanismi decentrati, sussidiarietà e metodo aperto di coordinamento che rivaluta la dimensione

territoriale della politica sociale. L’integrazione auspicata alla base di tale processo viene a

realizzarsi essenzialmente in due direzioni. Un’integrazione rivolta al contesto (politiche di coesione

territoriale e sociale), che punti a rivalutarlo e a renderlo competitivo ed in grado di affrontare le

sfide globali, ed un’integrazione rivolta alla persona (politiche di inclusione sociale), che punta alla

garanzia di standard di vita comuni e all’investimento sugli individui, rendendoli parte attiva e

partecipativa del processo di inclusione (place and people, Donzelot, 2003). Due modalità differenti

di concepire il processo di integrazione non sempre pienamente conciliabili, per il fatto comune

della scarsità di risorse da investire nel sociale e per il coinvolgimento di stakeholders differenti che

questo processo può implicare. Il fattore che governa queste spinte è da individuare nella capacità

dei contesti, siano essi nazionali o locali, di tendere verso una piena integrazione comunitaria

(welfare europeo) o di divergere da essa (net welfare locali). La variabile integrazione comunitaria

diventa, pertanto, la discriminante nel riconsiderare, attraverso uno studio comparato, una diversa

tipologia di regimi di welfare costruita sulla gradualità dell’integrazione, la strategia differenziale di

convergenza ed il recupero degli spazi di autonomia implementativa, fattori che spingono verso un

sistema unitario o sistemi locali. Una tipologia più incentrata sul ruolo assunto dal livello normativo

europeo quale attore direttivo e di indirizzo delle politiche di welfare (Punziano, 2012), lontana

dalle concezioni classiche basate sulla titolarità al diritto di prestazione sociale, sull’intervento più o

meno pervasivo dello stato-nazione, i livelli di spesa, i requisiti d’accesso, la copertura finanziaria, i

destinatari o i criteri di assegnazione dell’erogazione, nonché sul mix di attori coinvolti nella

governance locale (Titmuss, 1974; Esping-Anderson, 1990; Ferrera, 1994/2006; Naldini, 2007).

Questo in quanto, tali principi non sono più associabili ad un sistema di welfare come quello attuale

che è passato, in maniera più o meno generalizzata, dall’erogazione monetaria alla prestazione di

servizi, dall’assistenzialismo all’attivazione, dall’emersione da stati di emarginazione

all’autoimprenditorialità, rafforzamento delle capabilities e delle capacità competitive prima degli

individui e poi del sistema che vanno a comporre (Sen, 1993), dall’azione pervasiva dello stato

nazione all’emersione di altri attori sociali (Terzo Settore, Famiglia, Privato Sociale1), i welfare mix

(Ferrera, 2006). Questo processo di mutamento, sorretto da cambiamenti demografici, sociali ed

economici dei paesi membri, nonché dal passaggio da una legiferazione in ambito sociale di

competenza esclusiva dello Stato, ad un’opera di orientamento legislativo affidata agli organi

dell’Unione (anch’essa passata da soft ad hard law legislation), che ha portato i welfare states a

diventare una dimensione consolidata del sistema di solidarietà e condivisione del rischio (Beck,

2000) all’interno delle stesse trappole che sistemi e regimi talmente consolidati nella storia e nel

tempo hanno portato con sé (Ferrera, 2008).

1 Per un approfondimento sull’evoluzione del welfare si veda Paci, 2003; Ferrera, 2006; Bifulco, 2005; Naldini, 2007;

Kazepov, 2009; Punziano, 2012).

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Ci si chiede pertanto da che punto si diramano e come vengono prese le decisioni sul sociale.

Così delineato, tale interrogativo mette in gioco più piani d’analisi e più oggetti analitici che

necessitano, per la loro congiunzione, di un approccio integrato, seppure non necessariamente

convergente, e che consenta di indagare il campo d’analisi sia in prospettiva macro che micro. Tale

approccio è rappresentato dai Mixed Methods (Tashakkori, Teddlie, 2003; Teddlie, Yu, 2007;

Creswell, 2012), un approccio integrato di metodi, tecniche e strumenti finalizzato all’elaborazione

di uno strumento interpretativo e conoscitivo che diviene esso stesso il risultato, perseguendo

strategie differenti sia sul versante standard sia sul versante non standard. Il meccanismo di metodo

essenziale all’integrazione in una siffatta strategia mix è stato individuato nella traduzione di ambo

due i linguaggi, standard e non standard, in un codice comune ad entrambi gli approcci coinvolti.

Ciò che ne deriva è la costruzione del modello generale di classificazione, risultato cardine

dell’analisi condotta, nel quale ogni risultato emerso dai diversi step è stato trasformato in

caratteristiche ed attributi che sostanziano i differenti tipi emersi e che possono in questo modo

convivere, senza particolari problematiche ontologiche ed epistemologiche, in un modello multi-

methods flessibile, dinamico ed in continua trasformazione, poiché integra il mutamento del sistema

indagato come variabile sistemica. Tale approccio integrato non ha la pretesa di mettere in

discussione l’efficacia classificatoria delle tipologie classiche precedentemente richiamate, ma

intende offrire nuove opportunità per fare emergere dettagli difficilmente gestibili o rilevabili

quando la realtà indagata è vasta per estensione, storia e retaggio culturale (come nel caso

dell’Europa), ma ancora di più quando si intende frammentare tale realtà ed inserirla in un disegno

comparato. Per approcciare tale complessità, lo schema d’analisi utilizzato è stato suddiviso in step

sequenziali che saranno di seguito sviscerati e che risultano costruiti l’uno dentro l’altro come sub-

disegni all’interno del più complesso disegno generale (nested, Crassewell, 2003) che prende il

nome di Complex Mixed Methods Design (Punziano, 2012). Rimandando altrove la discussione sui

dettagli tecnici statistico-matematici del modello proposto (Punziano, 2012), in questa sede si

descriveranno i principali obiettivi e risultati raggiunti nella prima analisi, nonché quelli sviluppati

per il test della tipologia ottenuta, qui appositamente elaborati.

2. Gli assi tipologici e il loro affinamento

Il primo step d’analisi, finalizzato all’emersione degli assi sottostanti la tipologia nel modello

generale di classificazione, sin dalla fase iniziale dello studio, è stato caratterizzato dal recupero di

un approccio comparato di policy, che non ha sostituito ma integrato la comparazione geografica.

Queste due caratterizzazioni di metodo sono andate ad inserirsi sulla delimitazione degli assi

tipologici legandosi alla possibilità di coprire i due piani, semantico e territoriale, nella realtà a più

livelli considerata in questo studio. Un continuum semantico (asse verticale), definibile come asse

dell’integrazione e generato nell’opposizione tra le due polarità di sviluppo, coesione ed inclusione

sociale, in un approccio metodologico incentrato, per l’appunto, sulla comparazione di policy. Un

continuum territoriale (asse orizzontale), che si fonda, invece, sulla comparazione geografica,

impregnato degli sviluppi e delle dinamiche evolutive dei sistemi di welfare (europeizzazione vs.

decentramento, convergenza vs. autonomia locale) fino a stirare un’opposizione tra un tipo di

welfare che può essere definito europeo in quanto unitario e convergente, ed un tipo di welfare

frammentato e locale, definibile come net welfare locale. Gli assi puntano, pertanto, ad estrapolare

l’effetto del metodo (analisi comparata di policy vs. analisi comparata geografica), i continuum

intersecanti (semantico vs. territoriale) e le principali trasformazioni intercorse nelle politiche sociali

(europeizzazione vs. decentramento/frammentazione; attivazione vs. assistenzialismo; convergenza

vs. autonomia locale; centro vs. periferia), presupponendo un distacco in termini di sviluppo

territoriale o sociale (coesione vs. inclusione) da una parte e tendenza all’europeizzazione o al

decentramento/frammentazione dall’altra, evidenziando tendenze in atto ma tuttavia non

escludentesi l’una con l’altra; particolari forme di commistione che portano al delinearsi di sistemi

particolari da trattare come modello e non come classificazioni assolute e generalizzabili. Si

pongono così le basi per l’emersione non solo di una tipologia in evoluzione, ma soprattutto per la

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realizzazione di quel ricercato strumento analitico integrato che riesca ad accogliere elementi

differenziati e fortemente eterogenei per natura e provenienza (fig. 1). Benchè di natura teorica,

anche questo step è stato sottoposto a test nella seconda fase dello studio. In questa, gli assi

tipologici non subiscono mutamenti, e restano ancora valide le contrapposizioni evidenziate,

seppure queste tendano ad affinarsi. Emerge, accanto alla variabile discriminante integrazione

comunitaria, relativa alle dinamiche normative, quella dell’europeizzazione, relativa a fattori

procedurali, pratiche e prassi messe in atto nella ristrutturazione degli attuali regimi di welfare,

nonché nuove categorie di lettura del mutamento intervenuto nei deversi regimi indagati, ovvero le

categorie di convergenza ed autonomia. Avremo, pertanto:

- un asse di integrazione basato sul doppio versante politiche di coesione, rivolte ad uno sviluppo

connotato territorialmente e diretto ai contesti, e versante politiche di inclusione, rivolte ad uno

sviluppo connotato socialmente e rivolto ai soggetti (il continuum semantico fondato sulla

comparazione di policy);

- un asse di europeizzazione basato sul doppio versante convergenza al welfare europeo e

autonomia dei net welfare locali (il continuum territoriale fondato sulla comparazione

geografica).

Per comodità grafica, di seguito si riportano il modello di incrocio degli assi tipologici di

partenza (fig. 1) ed il suo test (fig. 2), alla luce degli sviluppi teorici e del ragionamento delineato. Fig. 1: Assi tipologici modello originario. Fig. 2: Assi tipologici modello testato.

Dunque, si arricchisce teoricamente la delimitazione dello scenario di base nel quale

europeizzazione ed integrazione continuano ad essere le variabili cardine per la definizione della

tipizzazione dei sistemi di welfare proposta. Ciò che muterà incrociando i due assi e fondandoli su

base empirica (analisi delle componenti principali sugli indicatori Eurostat – per la delimitazione

delle due componenti o assi intersecanti – e modello PLS – per la definizione delle polarità in

opposizione) è la composizione dei raggruppamenti delle nazioni (ottenuta tramite cluster analysis e

funzione rebus) e la loro posizione rispetto ai livelli di performance sugli indici sviluppati.

3. Analisi macro su indicatori sociali: quale posizione per nazioni e contesti locali?

Il secondo step d’indagine ha previsto l’analisi multivariata (Analisi delle Componenti Principali

– Pearson, 1901, Hotelling, 1933) e multilivello (analisi su livelli congiunti di variazione – Hox,

2002) degli indicatori sociali relativi a inclusione sociale, coesione territoriale e integrazione

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comunitaria in ottica comparata2, al fine di costruire indici sintetici di performance dei differenti

contesti indagati con lo scopo di:

- evidenziare l’incisività decisionale del livello nazionale o subnazionale (modelli di regressione

multipli e per blocchi – PLS-Path Modeling, Esposito Vinzi, 2009 – sui livelli disgiunti prima

nazionale e poi regionale) nella costituzione delle politiche sociali in Europa;

- definire un piano di selezione di questi contesti in base alle differenze assunte sulla variabile

discriminante integrazione comunitaria;

- trarre da queste analisi gli elementi affinché le Nazioni (nuts03) e le Regioni (nuts2

4) europee

possano essere proiettati nello spazio tipologico ottenuto dall’incrocio degli assi (classificazione

in base all’algoritmo Rebus-PM – Esposito Vinzi et al., 2008 – e la Cluster Analysis).

Ci si è chiesti, a partire dalle tipologie classiche, cosa, come e quanto sia cambiato nei regimi

europei di welfare. L’analisi effettuata5 ha confermato la composizione degli assi individuati a livello

teorico avvalorando l’ipotesi di funzione lineare dell’integrazione. Ne emerge un asse unitario a due

polarità, una rivolta allo sviluppo economico-territoriale (coesione), l’altra a quello più

propriamente sociale e per l’individuo (inclusione) e questa configurazione si presta ad essere

assunta quale discrimine tra i sistemi di welfare, nel momento in cui si lavora in ambito comparato

di policy. Ciò che ne consegue è che i modelli classicamente intesi cui faceva riferimento Ferrera

(1998) cominciano a mescolarsi e a confondersi. Il discrimine dei modelli si sposta piuttosto che sui

fattori di differenziazione, fondamentali in un momento in cui prevale la soft law europea in materia

sociale, su quelli di convergenza, rilevanti nel momento in cui l’Europa comincia a stabilire e

delineare traiettorie precise e vincolanti rispetto alla crescita sociale. Questo è riscontrabile nella

componente territoriale nella quale spinte all’europeizzazione o alla localizzazione, portano allo

stiramento verso altre due tendenze, da una parte abbiamo un welfare europeo o

dell’europeizzazione fondato sulla piena convergenza delle Nazioni in un modello unico ed

integrato, dall’altra abbiamo la nascita di tanti net-welfare locali come piccoli centri di gravitazione

decisionali dai quali parte la spinta per l’autonomizzazione delle caratteristiche di sviluppo dei

differenti contesti, pur mantenendo saldo l’obiettivo fondamentale della convergenza nei risultati di

sviluppo economico-sociale raggiunti. Se si considera il livello nazionale, la disposizione delle

nazioni è ipotizzabile sia lo specchio di una convergenza guidata da un principio legislativo

piuttosto che di dinamica spontanea ed azione nei network locali. Considerando invece il livello

regionale, non è difficile intravedere quella dimensione territoriale tipica dell’attuazione delle

politiche sociali espressa nel recupero di ampi spazi di autonomia locale. Nel primo caso,

sembrerebbe prevalere l’ipotesi di cammino verso un welfare europeo o dell’europeizzazione, che,

fatta eccezione per i paesi scandinavi ormai già fortemente volti alla convergenza sistematica, è

quanto registrato in Germania, Francia e Gran Bretagna, il che ha spinto la selezione di questi

contesti nell’affondo micro. Nel secondo caso, invece, tale percorso è pienamente disatteso con

l’emergere di net welfare locali, differenti e non assimilabili ad un modello generale, ed è questa la

dinamica prevalente in paesi quali Italia e Spagna, scelti anch’essi per l’affondo micro in quanto

reduci da crisi di non poco conto, o ancora in paesi come la Grecia, per la medesima ragione, o

paesi dell’est e del centro europeo di recente ingresso in Unione e dalle economie e dinamiche

sociali nazionali ancora in affanno rispetto alle richieste dell’attore sovranazionale. Pertanto,

nonostante siano state usate per l’analisi macro tecniche di analisi puramente quantitative, nello

stadio di selezione dei contesti per l’analisi micro, la scelta diventa ragionata per cercare di spiegare

le reali differenze nei livelli di performance raggiunti da specifiche nazioni e regioni che lasciano

trasparire il mescolarsi dei regimi classici di welfare.

2 Fonte: rilevazione EU-SILC (European Survey on income and living conditions) e le Regional Statistics on Social

Cohesion, Eurostat, ultimo trimestre 2011 e comparazione con ultimo trimestre 2012. 3 Nomenclatura delle unità territoriali statistiche, in acronimo NUTS (dal francese nomenclature des unités

territoriales statistiques) che identifica la ripartizione del territorio dell’Unione europea a fini statistici (livello di

aggregazione nazionale). 4 Cfr.nota 3 (livello di aggregazione regionale).

5 Per il dettaglio dei risultati cfr. Punziano, 2012.

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Il principale risultato ottenuto, in vista dell’integrazione dei risultati d’analisi dei singoli step al

modello generale di classificazione, concerne la disposizione delle nazioni e delle regioni rispetto

all’indice di integrazione comunitaria nonché dei conseguenti raggruppamenti (clusters) che ciò

comporta, i quali sono stati proiettati come caratteristiche ed attributi all’interno dei quadranti

emersi dall’incrocio degli assi presentati in precedenza. Si completa lo spazio di attributi e si

delineano quattro distinte modalità di integrazione. Nel quadrante in alto a sinistra, definito di

Convergenza, ricade il best performer europeo (il Lussemburgo) accompagnato ai paesi del Nord

social-democratico filo scandinavi (Paesi Bassi, Finlandia, Austria, Danimarca e Svezia). Si tratta di

Nazioni e contesti locali che hanno avuto già una fase di crescita e sviluppo socio-economico e che,

attualmente, sono impegnate a consolidare la loro posizione sia per competitività che per

sostenibilità. In questo quadrante prevale la caratterizzazione di welfare europeo e maggiore spinta

su policies che puntano allo sviluppo economico-territoriale e dunque sulla coesione. In alto a destra

abbiamo il quadrante Innovazione. La spinta dei contesti locali e degli attori che in essi si muovono,

dunque del net welfare locale, portano a slegarsi dall’omologazione comunitaria ed alla creazione di

vie alternative di sviluppo pur puntando ai medesimi obiettivi ed a policies rivolte a territorio,

sviluppo economico e competitività. È questo il caso del cluster definito mix liberal-continentale-

mediterraneo (Germania, Regno Unito, Italia, Belgio, Spagna e Francia). Questo ultimo gruppo

attraversa trasversalmente i quadranti, ponendosi come bisettrice tra gli assi. Difatti, un’appendice

consistente di contesti a questo afferente si trova invece in una situazione di Stasi ovvero un

appiattimento delle performance che evidenzia un punto limite di crescita in genere dovuto ad un

elevato livello di sviluppo economico-territoriale e ad una grande capacità competitiva

internazionale, ma con la pecca della presenza di un riduttivo sistema assistenziale che spinge a

puntare ancora su policy di inclusione. L’ultimo quadrante, in basso a destra, Emersione, è costituito

da un doppio gruppo di Nazioni sia quelle tra arretratezza e ritardo di sviluppo (Slovenia,

Portogallo, Irlanda, Repubblica Ceca, Estonia, Slovacchia, Cipro, Ungheria, Malta, Polonia) sia

quelle tra Est e crisi (Bulgaria, Grecia, Romania, Lettonia e Lituania). In queste, in cui il gioco

locale degli attori e la

definizione delle proprie

strategie di sviluppo hanno

mirato in primis al recupero di

situazioni di esclusione e

povertà, viene a definirsi un

sistema che guarda ad una

modalità di integrazione non

finalizzata alla mera

convergenza di matrice

normativa, ma volta al

rinnovamento sociale in grado

di indirizzare nuove vie di

sviluppo e nuove stagioni di

competitività. Un recupero

sociale per un futuro recupero

territoriale. Fig. 3: Proiezione secondo l’indice di integrazione nel modello originario.

Pertanto, per quanto le nazioni tendano alla convergenza più che i contesti locali, è in questi

ultimi che si realizza concretamente la spinta adattiva attraverso modalità talvolta non perfettamente

in linea con gli andamenti nazionali. Si tratta di distinguere tra un’integrazione di forma ed una di

sostanza, direttivo/impositiva o di indirizzo in quanto l’Unione europea è tutta in linea col principio

di integrazione, tuttavia è nelle sue diverse nazioni che questa assume caratteri differenti. Emerge la

soggettività dei territori (Kazepov, 2009), il loro essere attori in sé e la forza che le dinamiche che li

pervadono ha nell’incidere sugli indirizzi stessi dettati dagli attori a livelli più elevati, ma dai quali i

territori non possono scindersi in quanto base della struttura multilivello della governance.

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A poco più da un anno dalla conclusione dello studio Welfare europeo o welfare locali? è stata

riattualizzata ed aggiornata la base dati di indicatori sociali di partenza per ottenere una conferma

sia della persistenza della validità dell’indice di integrazione comunitaria come discrimine nella

classificazione di differenti regimi di welfare, sia della posizione delle Nazioni considerate e dei

relativi contesi locali indagati. Se la dinamica di traino normativo alla convergenza, registrata sul

livello nazionale, e la dinamica di traino volta al recupero processuale dei divari socio economici

che spingono all’autonomia, registrata invece sul livello regionale, continuano a mantenere distinti

gli andamenti ai due livelli, qualcosa cominci a registrarsi nell’analisi dei livelli congiunti. Si fa più

forte il peso dei regressori inclusione e coesione sull’indice di integrazione (evidente nel modello

multilevel), come se il distacco tra le due polarità si facesse sempre più marcato, e la componente

latente emersa come indice di europeizzazione viene nettamente a distinguersi e a caratterizzarsi

rispetto ai suoi due versanti, convergenza ed autonomia (evidente in fase di ACP e PLS su livelli

disgiunti nazionali e regionali). Si uniscono indicatori relativi alla dimensione normativa

comunitaria, da una parte, e indicatori relativi alla dimensione processuale dell’integrazione,

dall’altra, portando ad una delineazione netta dei due assi e fondando empiricamente la necessità di

non poter più parlare di un asse normativo di integrazione senza unirlo alla sua anima processuale

rispecchiata dall’asse di europeizzazione. Le modalità di integrazione per quadrante,

precedentemente descritte, e la disposizione dei gruppi nazione mutano. I gruppi si delineano

maggiormente rispetto alla connotazione geo-politica e rispecchiano pienamente la sofferenza nel

far fronte allo sviluppo sociale, da una parte, e allo sviluppo territoriale, dall’altra, quando ci si

riferisce a paesi in emersione e via di sviluppo. Di contro, queste stesse caratterizzazioni assumono

la connotazione di sviluppo umano e competitività quando associate a paesi con sistemi economici

più stabili e sviluppati. È interessante vedere come i paesi dell’Est europeo ed alcuni paesi minori

risultino nettamente scissi in due gruppi che recuperano retaggio storico e culturale e vengono a

formare un nuovo continuum trasversale ai quadranti: indipendenza vs dipendenza, rivalsa delle

proprie specificità contro orbitazione culturale e omologazione. Stiamo parlando dei Paesi dell’Est

e Paesi minori (Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Malta, Cipro e Slovenia) che, seppure vicini

a forti centri di influenza (ad es. Regno Unito per Irlanda o Russia per Repubblica Ceca che si

mostra la più europea tra le nazioni della cinta russa), hanno comunque rivendicato le loro tipicità e

promosso le specificità puntando su specificità molto più territoriali che sociali (si pensi a turismo e

competitività per Malta e Cipro). Il quadrante in cui si inseriscono è quello nato dall’incrocio tra

una tendenza marcata al puntare su politiche di coesione territoriale e un’organizzazione di fondo

basata su strategie di recupero di spazi d’autonomia che rilanciano a pieno l’afferenza a regimi di

net welfare locali. Questo porta a ripensare la strategia di integrazione che caratterizza tale

quadrante, che se nella ricerca originaria aveva preso la connotazione di Innovazione per rimarcare

le strategie differenziali contestuali, adesso assume quella di Sviluppo intesa come strategia di

crescita verso nuove forme di competitività. Differente il gruppo di Paesi dell’Est puri (Lettonia,

Bulgaria, Romania, Ungheria, Estonia, Lituania e Polonia) a lungo sotto l’egida russa che ne ha

caratterizzato i livelli di sviluppo. Distanti, socialmente ed economicamente, dal modello europeo,

attualmente sono paesi impegnati a reinventarsi nel recuperare un divario sociale fortemente sentito

che li mette in affanno rispetto alla espressa volontà di sviluppo anche sul versante territoriale ed

economico, sul quale tuttavia, in maniera differenziale nei contesti locali, risultano essere in rapida

scalata. Questo spiega la posizione nel quadrante che incrocia il protendere verso politiche di

inclusione sociale congiuntamente al recupero di ampi spazi di autonomia su struttura differenziale,

i net welfare locali. Qui la strategie di integrazione utilizzata non muta rispetto alla

caratterizzazione della precedente strutturazione tipologica in quanto di sviluppo integrativo si

tratta, ma nella forma di Emersione di specificità contestuali e da stati di arretratezza che

comportano la necessità di un deciso recupero del divario sociale ancora persistente, per l’appunto

in funzione del retaggio culturale che agisce con la sua decisa influenza. Non sorprende, invece,

ritrovare in maniera piuttosto coesa e ravvicinata i Paesi mediterranei colpiti da crisi (Grecia,

Spagna, Italia e Portogallo) e quindi accomunati da un rallentamento marcato del sistema che li

porta a decadere nei livelli di performance e nel ranking di sviluppo. Tali paesi più che

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caratterizzare uno specifico quadrante, si pongono sulla media rispetto all’asse di integrazione,

quindi non spostandosi marcatamente né sul versante della coesione, né su quello dell’inclusione,

mentre sull’asse dell’europeizzazione protendono, in via non del tutto uniforme (il che sarà chiarito

nell’analisi dei casi di Milano e Napoli) verso l’autonomia e la differenziazione dei regimi locali, i

net welfare. A livello di performance sociali registrate dagli indicatori analizzati, queste risultano,

come evidenziato, in netto calo, il che, piuttosto che portare tali paesi a puntare su strategie di

integrazione volte a sviluppo in competitività o emersione in specificità, li spinge a diventare

emblema delle conseguenze della Crisi economica e del suo impatto sull’indebolimento del sistema

di protezione sociale, spostando questi paesi su un decisivo snodo costituito dalla necessità del

recupero di divari economici quanto sociali. L’Italia e la Spagna, come nazioni individuate per lo

svolgimento dell’indagine micro, finiscono per protendere l’una sul versante dell’emersione intesa

in qualità di recupero di problematiche sociali fortemente gonfiate dalla crisi economica (Italia), e

l’altra sul versante di sviluppo inteso in qualità di competitività puntando sul potenziamento delle

dotazioni territoriali in uno scenario nel quale è la crisi sociale che ha portato all’emersione delle

contraddizioni economico-contestuali (Spagna). Vi è, poi, il gruppo dei Paesi filo-scandinavi di

retaggio social-democratico (Austria, Finlandia, Danimarca, Svezia, Lussemburgo e Paesi Bassi) i

quali vivono attualmente una forma di stabilizzazione sistemica rispetto al welfare fatta di

andamento crescente nel tempo dei livelli di performance e da una corrispondente possibilità di

crescita congiunta dal punto di vista sociale e da quello competitivo territoriale. Il quadrante nel

quale vanno ad inserirsi è quello che adotta una marcata strategia integrativa definita di

Stabilizzazione che nello studio precedente aveva preso la connotazione di Stasi. Tale strategia

niente altro rispecchia che il raggiungimento di un regime di welfare fortemente connotato da

peculiarità e caratteristiche distintive, consolidato e funzionale, che non deve puntare al recupero di

arretratezze ma che spinge con decisone verso il potenziamento delle sue specificità, attirando verso

se nazioni orbitanti in decisivi meccanismi di convergenza a quel modello di welfare europeo cui

l’attore sovranazionale fortemente auspica (il Regno Unito ne risulta essere attratto). Infine, vi è il

gruppo dei Paesi del Centro di ispirazione liberale e matrice occupazionale nei sistemi di welfare

(Belgio, Francia, Germania e Regno Unito) che puntano ad una serrata confluenza sistemica, non al

modello funzionale scandinavo ma ad un modello dalle specificità tutte europee, più volte

identificato con quello che è stato definito Modello Sociale Europeo (Bifulco, 2005) e che nella

realtà degli ultimi anni ha mostrato tendenzialmente il suo carattere utopico nel momento in cui si

tenta di declinarlo convergentemente su contesti enormemente differenti e basandosi su principi di

rivalutazione differenziale come quello della sussidiarietà o del metodo aperto di coordinamento. Il

quadrante in cui ricadono queste nazioni è formato dall’incrocio tra un’integrazione che si fonda

chiaramente su strategie di sviluppo in senso di coesione territoriale, dotazione di servizi e

innalzamento di competitività, nonché dalla dinamica di convergenza intesa in senso di strategia

integrativa di Confluenza verso

dinamiche normative e prassi

procedurali che portano verso la

creazione effettiva di un regime

di welfare europeo finalmente

unitario. Se Germania e Francia

si legano senza dubbio a tale

quadrante, il Regno Unito si

sgancia di poco da questo gruppo

di nazioni al quale appartiene per

finire col protendere sul versante

della Stabilizzazione nel quale

già si trovava nel modello

originario. Fig. 4: Proiezione secondo l’indice di

integrazione nel modello testato.

9

4. Analisi micro sui contesti locali e le realizzazioni progettuali: spazi d’autonomie,

incongruenza legislativa e reti sociali come spazio relazionale e spazio decisionale

Gli ultimi due step portano la riflessione oltre il livello macro con un affondo micro su casi

specifici, passando dall’analisi di contesto attraverso gli indicatori sociali allo studio dei progetti

implementati nei contesti locali e delle reti di attori che vi operano. La prospettiva adottata è quella

dell’europeizzazione e delle differenti modalità in cui essa si presenta (Graziano, 2004), incluse le

possibilità di convergenza o incongruenza normativa che tale prospettiva genera nei contesti

singolarmente intesi. Nello studio originario il test del modello mix si è limitato ad una

comparazione intranazionale, Milano – Napoli (espressioni del divario nord/sud), ed una

internazionale, Milano – Berlino (tendenzialmente equiparabili per dimensioni e sviluppo). Nello

studio implementato, invece, sono state portate a termine le analisi condotte nelle restanti nazioni e

contesti locali (Monaco come termine di paragone con Berlino, Londra e Liverpool per il Regno

Unito, Barcellona e Vigo per la Spagna, Rouen per la Francia) al fine di completare di

caratteristiche ed attributi tutti i quadranti della tipologia emergente e per capire se è nelle

dinamiche micro che possono essere rintracciate effettivamente le dimensioni decisionali e di

indirizzo dei diversi regimi di welfare.

Riprendendo Graziano (2004), e dunque utilizzando la strategia di analisi di policy comparata,

sono stati selezionati due progetti per due ambiti di policy differenti, uno relativo alla coesione

territoriale (progetti di riqualificazione urbana con previsto impatto e ricadute sociali), l’altro

relativo all’inclusione sociale (progetti rivolti all’inserimento dei giovani disoccupati o inoccupati),

in quanto questi rappresentano i due estremi dell’emerso asse di integrazione comunitaria. Su

questi, per ciascuno e per ciascun contesto, sono state previste cinque interviste somministrate a

promotori, finanziatori, progettisti, operatori e tecnici impegnati nell’implementazione e nello

sviluppo dei progetti considerati. Con le interviste si è inteso contestualizzare i progetti, avviare

un’analisi di implementazione e di impatto basata sulla percezione dei testimoni privilegiati, fino a

giungere alla ricostruzione delle reti di attori che hanno concretamente agito e deciso nel contesto

locale indagato. Lo scopo è stato di definire gli effetti di europeizzazione e localizzazione sulle

effettive configurazioni relazionali locali e gli spazi di autonomia legislativa e decisionale che gli

attori nel contesto sono capaci di recuperare. Pertanto, se l’approccio per variabili utilizzato

nell’analisi degli indicatori sociali, ha puntato all’emersione delle differenze ai fini della selezione

dei casi e della classificazione degli stessi all’interno delle diverse dimensioni di integrazione

emerse usando i casi/paesi come luoghi per la misurazione, l’approccio per casi che viene proposto

in questo terzo step è stato utilizzato per riconosce la complessità degli eventi unici ed irripetibili e

indagarne gli sviluppi. Tuttavia, la comparazione tra policy ha mostrato che le differenze imputabili

al singolo ambito di policy considerato non incidono direttamente sulla strutturazione dei differenti

regimi di welfare sviluppati, mentre incidere significativamente sulle modalità con le quali viene

percepita e attuata l’integrazione dai diversi contesti analizzati. Pertanto, molto più interessante

risulta la comparazione intra e internazionale di stampo geografico che lascia emergere il peso della

componente territoriale e delle potenzialità decisionali espresse dai livelli di governance più bassi.

Tralasciando, in questa sede, le specificità di ciascun contesto e per ciascun progetto, ciò che è

interessante mettere in rilievo sono le differenze emergenti, da una parte in merito a vincoli

normativi, percezione di incongruenza, gradi di autonomia, impatti e procedure di implementazione,

dall’altra in merito alla conformazione delle reti, dinamiche decisionali, conflittuali e di mediazione.

Per Graziano (2004), i processi di convergenza o di autonomizzazione del livello locale di

governo rispetto a quello europeo traggono origine dai diversi modi di recepire e traslare le

normative ai diversi livelli di governance, generando anche incongruenze di applicazione

legislativa. L’esistenza di questo spazio di incongruenza e la percezione che ne hanno gli attori

coinvolti nella implementazione delle policy nei progetti possono essere funzionali alla

strutturazione di spazi d’azione e decisionali autonomi rispetto al sistema di vincoli legislativi

generali. Per rilevare tale connessione, ai testimoni privilegiati sono state poste domande inerenti la

10

questione normativa (tipo di vincolo normativo - impositivo, direttivo, coordinativo o di pressione

non formalizzata; percezione della discrepanza nella recezione e nell’applicazione di normative

europee sul livello locale; classificazione del tipo di discrepanza - facilitante o rallentatrice del

processo di integrazione europea e di implementazione progettuale; conseguenze rispetto ad un

possibile adattamento di policy - intese quali adattamento di policy, assorbimento del quadro

normativo o trasformazione del quadro di politiche considerato) e la rilevazione del grado di

autonomia percepito (rilevato sotto forma di scale graduate da 0 a 10 volte ad indagare la percezione

rispetto al recupero di spazi di autonomia dei soggetti implicati in: progettazione, gestione delle

spese, implementazione e decisioni strategiche per raggiungere gli obiettivi). L’ipotesi di base è che

l’aumento di autonomia percepita in ciascuna fase è direttamente connesso alla percezione di

incongruenza applicativa della normativa di riferimento ed alla natura vincolante da questa assunta.

Nelle fig.5-6-7-8-9 si riportano i trend medi rilevati rispetto al grado di autonomia percepito

nelle fasi strategiche descritte, congiuntamente sia all’indicazione della natura del vincolo

normativo sotto il quale si sviluppano i progetti indagati sia alla percezione di incongruenza. Ciò

che è stato constatato in generale è che l’unica differenza riscontrata per i diversi ambiti di policy

indagati sta nella quantità di fondi europei associata alle politiche di coesione, che è maggiore

rispetto a quelle di inclusione in tutti i contesti, il che rende la normativa in merito ovviamente più

vincolante ed il grado di autonomia percepito rispetto a questi progetti, in generale, per tutti i

contesti, più basso rispetto a quelli di inclusione. Passando alle differenze per comparazione

geografica, nel modello originario, il livello autonomia nelle differenti fasi coinvolte per Milano e

Napoli, per quanto concerne la comparazione intra-nazionale, è piuttosto elevato ed è associato ad

un vincolo normativo che va dall’impositivo al coordinativo per i differenti livelli di governance

coinvolti ed una percezione dell’incongruenza nell’applicazione e traslazione normativa riscontrata

ma differenziale per contesto. Se a Milano l’incongruenza più che liberare spazi di autonomia porta

a rallentamenti e ritardi nella possibilità di allinearsi allo scenario di welfare europeo, a Napoli

l’incongruenza viene percepita come un vantaggio nella possibilità di adottare strategie alternative

senza allontanarsi dal raggiungimento di obiettivi comuni. A Berlino, termine di paragone

internazionale, invece, il livello d’autonomia percepito è buono, il vincolo normativo è indicato

come direttivo, non viene riconosciuta nella forma mentis amministrativa la possibilità di esercitare

volontariamente il processo di incongruenza. Ciò a cui si punta è una piena convergenza in ogni

aspetto normativo e pratico, poiché si concepisce la buona riuscita come funzionale all’adattamento

normativo. Questa conformazione ha ovvie ricadute in termini di impatto, per cui se i migliori

risultati, sia su destinatari che su territorio, si ottengono a Berlino – dove l’implementazione viene

concepita come standardizzazione processuale e procedurale in funzione della convergenza e con

l’obiettivo trasversale di rendere l’intero processo burocratico, omologato e ligio ad un’applicazione

standardizzata – impatti di buon livello si registrano a Milano – dove l’implementazione tiene

maggiormente conto delle preoccupazioni di concordanza con le necessità emerse localmente

rispetto ad un’applicazione scandita di procedure e con l’obiettivo trasversale di fare rete localmente

– e impatti decisamente più limitati e relativi si ottengono a Napoli – la quale attua

un’implementazione differenziale per strategie applicate nel dovuto rispetto, però degli obietti

prefissati e nell’obiettivo trasversale di capitalizzare risorse decisionali, di potere, ma anche

economiche. I processi di integrazione ed europeizzazione si delineano nello scenario Italiano

ancora lontani dalla piena convergenza e dalla capacità strutturale di assorbimento normativo, legati

ad una visione di sviluppo differenziale su base territoriale della politica sociale. Con l’ampliamento

della base comparativa, riacquistando un termine di paragone intra-nazionale anche per la

Germania, a Monaco ritornano alti livelli di autonomia percepita, congiuntamente a vincoli

normativi direttivi e coordinativi ed assenza assoluta di percezione di incongruenza. Come per

Berlino, anche in questo contesto gli impatti rilevati sono ottimi e l’implementazione assume

caratteristiche standardizzate volte all’ottenimento del migliore dei risultati possibile. I processi di

integrazione ed europeizzazione si delineano nello scenario tedesco come volti alla convergenza

assorbendo pienamente gli indirizzi europei. Molto simile alla Germania rispetto alle caratteristiche

indagate è il Regno Unito con Londra e Liverpool, due contesti locali che risultano quasi

11

completamente intercambiabili rispetto alle caratteristiche rilevate, mostrando una decisa

inconsistenza della comparazione intra-nazionale. I livelli di autonomia registrati sono

estremamente elevati, la normativa di riferimento risulta essere poco stringente ed essenzialmente

coordinativa e basata su pressioni non formalizzate, l’incongruenza, nonostante l’ampio margine di

autonomia, non viene percepita e l’obiettivo di rilievo trasversale messo in evidenza risiede nel

rispetto della dimensione locale che risulta totalmente in linea e pronta per recepire gli obiettivi e le

procedure standard dettate dall’attore sovranazionale. Fondamentale diviene la riduzione dei

rallentamenti che possono innestarsi da implementazioni fortemente burocratizzate, promuovendo

più iniziativa locale e meno Europa, soprattutto rispetto alla progettazione ed al recupero di fondi

per finanziare lo sviluppo locale. Gli impatti che ne derivano risultano essere massimali sia rispetto

al territorio che ai destinatari degli interventi indagati. I processi di integrazione ed europeizzazione

si delineano nello scenario anglosassone come volti alla convergenza assorbendo pienamente gli

indirizzi europei ma rivendicando le proprie specificità di implementazione ed autonomia

decisionale locale. Differente il caso Francese, attualmente rappresentato esclusivamente dal

contesto di Rouen poiché le interviste su Parigi sono in via di svolgimento. In questo contesto i

livelli di autonomia riscontrati risultano discretamente buoni, la normativa di riferimento piuttosto

stringente è di natura impositivo direttiva e l’incongruenza più che manifestarsi nella sua

caratterizzazione normativa, si mostra con connotazione procedurale, gli ostacoli incontrati, di fatti,

sono di natura amministrativa, rendicontativa e burocratica nell’attuazione di procedure

standardizzate in un contesto che richiederebbe elasticità applicativa. Questa particolarità è dovuta

al fatto di avere come obiettivo trasversale quello del consolidamento di reti di partenariato, capaci

di ascoltare e conoscere profondamente il territorio seguendone le esigenze, ma senza distaccarsi

dall’auspicato obiettivo della convergenza. Gli impatti raggiunti pertanto sono buoni ma soffrono, in

fase implementativa, di quell’affanno all’adattamento legislativo per le peculiarità locali e necessità

contestuali richiamate, non totalmente coniugabili con le imposizioni europee. I processi di

integrazione ed europeizzazione si delineano nello scenario francese come volti alla convergenza

normativa rallentata dall’implementazione procedurale e dalla maggiore preoccupazione per il

locale. Infine, in Spagna, sia a Barcellona che a Vigo, la situazione che viene a registrarsi non

prevede un rilevante distacco in termini di comparazione intra-nazionale, è quella che prevede il più

basso grado di autonomia percepito, vincoli normativi impositivi stringenti, percezione di

incongruenza normativa su base differenziale per i diversi livelli di governance implicati, rilevata

soprattutto nelle traslazioni delle autonomie locali più che del contesto nazionale, e tuttavia non

considerata come fattore facilitante. L’obiettivo unificante sta nella volontà della creazione di reti di

comunicazione tra i vari livelli di governance che possano, per l’appunto, ovviare alla problematica

di applicazione differenziale fra livelli differenti. Questo porta ad impatti mediamente positivi, con

una tendenza al rispetto degli obiettivi stabiliti dall’attore europeo, più che alle procedure, ma

mostrando un’inevitabile affanno nell’adattamento normativo esplicitato nell’effettiva mancanza di

coordinamento tra i diversi livelli istituzionali implicati. I processi di integrazione ed

europeizzazione che si delineano nello scenario spagnolo, come per quello italiano, sono ancora

lontani dalla piena convergenza e dalla capacità strutturale di assorbimento normativo, legati ad una

visione di sviluppo differenziale su base territoriale. Fig. 5-6-7-8-9: Gradi di autonomia medi per ambito di policy e contesti locali e nazionali di riferimento

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

auton_prog auton_gest auton_impl auton_dec

Livelli d'autonomia percepiti per Germania

Berlino Inc

Berlino Coe

Monaco Inc

Monaco Coe

Vincolo notmativo:

Direttivo

Incongruenza non

percepita

0123456789

10

Livelli d'autonomia percepiti per Italia

Milano Inc

Milano Coe

Napoli Inc

Napoli Coe

Vincolo normativo:

Impositivo/

coordinativo

Incongruenza si:

rallentamento/

facilitatore

12

L’ultimo step d’analisi ha previsto l’analisi delle reti intese quali configurazioni relazionali e di

potere più o meno conflittuali. Policy network costituiti da attori, pubblici e privati, dotati di risorse

qualitativamente e quantitativamente diverse, ed operanti all’interno di uno spazio definito di policy,

intesi sia nell’accezione di configurazioni variabili di legami fra attori singoli e collettivi (Scott,

1991; Wasserman, Faust, 1998) sia nell’accezione di poli d’attrazione incentrati su problemi

socialmente percepiti e capaci di richiamare soggetti variamente qualificati ed interessati (Milward,

Wamsley, 1984). L’applicazione dell’analisi di rete è volta a comprendere se è nelle dinamiche

micro che possono essere rintracciate le dimensioni decisionali e di indirizzo effettivo dei diversi

regimi di welfare attribuendo alla struttura ed agli attori della rete il ruolo chiave nell’indirizzo di

tali dinamiche. Nello studio originario sono state prese in considerazione sei reti socio-centrate6

rappresentative di altrettanti progetti indagati (rispettivamente uno di inclusione ed uno di coesione

a Milano, Napoli e Berlino). Nell’ampliamento di tale studio sono state aggiunte ulteriori dodici reti

socio-centrate, sempre una di inclusione ed una di coesione per Monaco, Barcellona, Vigo, Rouen,

Londra e Liverpool. In esse i legami sono stati pesati sull’intensità della relazione intesa quale

molteplicità (multiplexity) ovvero possibilità che all’interno del legame evidenziato passi più di un

tipo di legame (professionale, amicale, parentale, istituzionale). Sono stati posti in evidenza gli

attori conflittuali e atti alla mediazione (economica per le risorse materiali; emotivo-personale;

decisionale relativa al potere informale), per capire in quale posizione si collochino all’interno della

rete e quanto questa possa essere funzionale ai fini decisionali. Analizzando i livelli di apertura della

rete, la sua densità e coesione, vengono messi in evidenza tre piani di importanza strategica su cui

operano gli attori: il piano posizionale (ufficiale-istituzionale), reputazionale (soggettivo) e

decisionale7.

Partendo dall’Italia, a Milano si riscontra l’emersione di network estesi, dinamici, inclusivi, a

maglia larga, organizzati per contenere e discutere la conflittualità esterna ed interna nell’ambito

dello spazio relazionale costituito, provvisti di molti punti di mediazione, basati su integrazione,

dinamicità, apertura, struttura orizzontale divisa per sfere d’influenza e composti da attori multipli

per ambiti coinvolti, molti stakeholders accanto a implementatori. La tendenza è a confluire nel

6 Le reti sono state elaborate attraverso il supporto informatico Ucinet 6.

7 Ai testimoni privilegiati è stato chiesto di indicare gli attori coinvolti rispetto ai tre piani di importanza e nelle loro

interconnessioni, indicando anche la natura del legame tra i soggetti.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

auton_prog auton_gest auton_impl auton_dec

Livelli d'autonomia percepiti per Francia

Rouen Inc

Rouen Coe

Incongruenza

procedurale non

normativa

Vincolo normativo:

Impositivo/ Direttivo

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

4,5

Livelli d'autonomia percepiti per Spagna

Barcellona Inc

Barcellona Coe

Vigo Inc

Vigo Coe

Vincolo normativo:

Impositivo

Incongruenza

differenziale: si ma

non facilitatore

0

2

4

6

8

10

12

Livelli d'autonomia percepiti per Regno Unito

Londra Inc

Londra Coe

Liverpool Inc

Liverpool Coe

Incongruenza non

rilevata

Vincolo normativo:

Coordinativo/

Pressione non form.

13

sistema di net welfare locale il cui obiettivo resta l’integrazione comunitaria, ma le cui strategie

vanno a legarsi inscindibilmente alle peculiarità territoriali ed ai network di attori sfruttando gli

spazi di incongruenza ai fini della creazione di una strategia territoriale pienamente adattata al

contesto milanese. La struttura di rete rilevata, basata su un core di relazioni primarie e diramazione

da queste di relazioni secondarie, lascia intendere che le decisioni nascono e vengono messe in rete

proprio dal centro, identificato anche come sfera decisionale, che viene a configurarsi, in tal modo,

anche come centro di potere. Una capacità di centralizzazione e capitalizzazione funzionale di

comunicazione, informazioni e risorse, tipica degli issue network, che porta questo contesto a

protendere congiuntamente sia verso politiche d’inclusione sociale che di coesione territoriale. Fig. 10: Rete progetto inclusione Milano. Fig. 11: Rete progetto coesione Milano.

A Napoli emergono, invece, network lobbisti, ristretti e orientati, fatti di legami multipli, forti e

maglia stretta, all’interno dei quali il conflitto viene incluso nella rete e fatto partecipe della

condivisione di informazioni, possibilità decisionale, strategica e di esercizio del potere,

prevedendo, di contro, anche figure dedite alla mediazione. Basati su esclusività, poteri forti,

appartenenze incrociate a più ambiti di policy con strutture a vertice decisionale piuttosto che a

connessione orizzontale. Nel territorio napoletano, si finisce per puntare alle politiche di inclusione

in un sistema di net welfare locale il cui obiettivo resta l’integrazione comunitaria, ma le strategie

vanno a legarsi inscindibilmente alle peculiarità territoriali ed alle commistioni di interessi su questo

presenti, pertanto ai network di attori che queste riescono a muovere sfruttando sia gli spazi di

incongruenza normativa sia la possibilità di emersione e gestione del conflitto incorporandolo

internamente e facendolo diventare parte attiva del processo decisionale e di formazione del potere

di gestione locale delle scelte in merito al welfare. Gli attori coinvolti vanno da implementatori a

poteri forti, politici ed istituzionali, con assenza di stakeholders esterni. Fig. 12: Rete progetto inclusione Napoli. Fig. 13: Rete progetto coesione Napoli.

Infine, a Berlino troviamo network ristretti, coesi e strutturati, i cui attori fanno capo ad un unico

attore generale che è l’associazione di Terzo settore che si fa carico operativamente dell’attuazione

dei progetti stessi. Un carattere, questo, distintivo della non necessità di doversi aprire all’esterno

(Milano) o di includere interessi forti nella rete costituita (Napoli). Un network a maglia stretta, fitta

e fatta di legami multipli e forti, strutturato per contenere il conflitto, anche quando questo non

viene palesato, prevedendo sempre la presenza di eventuali mediatori. Stabilità, esclusività, chiusura

e sinergia sono i vantaggi di questa rete che porta alla strutturazione di veri e propri policy

community, nei quali vi è un interesse ad uno scambio non meramente materiale ma basato su di

14

una più estesa condivisione del medesimo sistema valoriale, che vedono la riuscita progettuale come

funzione dell’adattamento normativo. Gli attori coinvolti sono tutti implementatori ed operatori. La

propensione di Berlino è verso la convergenza normativa, istituzionale e comunitaria ed una

struttura di welfare europeo maggiormente focalizzata sugli impatti territoriali e quindi più dedita a

dare spazio a politiche di coesione. Fig. 14: Rete progetto inclusione Berlino. Fig. 15: Rete progetto coesione Berlino.

Con l’ampliamento dei contesti, si è utilizzato, come termine di paragone per Berlino, Monaco

rilevando su questo contesto network fortemente interconnessi, ristretti, coesi, a maglia stretta, fitta,

nei quali non emerge il conflitto ma è pur sempre prevista la figura del mediatore. Chiusura, poca

inclusività, stabilità e sinergia interna portano alla strutturazione tipica dei policy community nei

quali sono coinvolti sempre gli stessi attori per le tre sfere considerate (decisionale, reputazionale e

posizionale) che sono operatori e implementatori di unica associazione con assenza di stakeholders

esterni, non riconoscendo, come per Berlino, la necessità di aprirsi al territorio o includere poteri

forti. Il clima disteso, scandito e regolamentato (vincoli normativi stringenti) rende meccanica la

decisione e l’implementazione delle politiche sociali nei contesti locali, proprio come si trattasse di

protocolli standardizzati, nei quali prevale la propensione a regimi convergenti di welfare europeo e

il protendere verso politiche di coesione territoriale. Fig. 16: Rete progetto inclusione Monaco. Fig. 17: Rete progetto coesione Monaco.

Spostandoci in Francia, a Rouen, i network ritornano estesi, inclusivi, aperti, dinamici, a maglia

larga, senza appartenenze incrociate o legami multipli, strutturati su un core di relazioni primarie

nella sfera decisionale dalla quale si diramano aperture ad attori secondari e ambiti diversificati

nelle sfere posizionali e reputazionali. Il conflitto è palesato e scisso sul versante decisionale e su

quello procedurale e per arginarlo sono previsti molti mediatori interni alle diverse sfere. La

configurazione relazionale, per la rete di coesione, inoltre, risulta essere particolare, in quanto gli

stessi attori conflittuali vengono percepiti come principali mediatori del conflitto generato dalla

dinamica relazionale di rete. Apertura, inclusione delle dinamiche ed istanze territoriali, estensione,

struttura orizzontale divisa per sfere d’influenza, sono i caratteri che riportano ad una

conformazione da issue network meno stabile e formalizzata ma maggiormente elastica e flessibile.

Sono coinvolti attori a diversi livelli istituzionali e di governance, così come implementatori ed

operatori, stakeholders, attori esterni allo specifico ambito di interesse, proprio nella volontà di

recuperare l’anima strettamente locale della politica sociale. Il tutto senza allontanarsi da una decisa

tendenza verso la convergenza ad un welfare europeo e il fare leva su politiche di coesione

territoriale maggiormente incentrate sullo sviluppo di competitività e crescita economica.

15

Fig. 18: Rete progetto inclusione Rouen. Fig. 19: Rete progetto coesione Rouen.

Nel Regno Unito le situazioni rilevate a Londra e Liverpool sono totalmente equivalenti. Si tratta

di network basati su piccole cliques di attori massimamente connessi, senza una suddivisione in

struttura per sfere di influenza, che gestiscono le diverse fasi e responsabilità progettuali, con

assenza di palesamento del conflitto seppure siano ugualmente previste figure di mediazione nelle

reti londinesi, figure che scompaiono nettamente in quelle di Liverpool. Chiusura, poca inclusività,

ristrettezza, sinergia, sono le caratteristiche che portano alla conformazione di policy community,

costituite da operatori, implementatori e attori istituzionali in assenza totale di stakeholders o attori

esterni all’ambito di policy coinvolto. La tendenza prevalente è quella verso un regime convergente

di welfare europeo fondato, a differenza dell’andamento tedesco e francese, su una spinta marcata

verso politiche di inclusione sociale, settore che risulta ancora carente e sul quale si intende puntare

per portare a compimento uno sviluppo globale dell’individuo e del territorio. Fig. 20: Rete progetto inclusione Londra. Fig. 21: Rete progetto coesione Londra.

Fig. 22: Rete progetto inclusione Liverpool. Fig. 23: Rete progetto coesione Liverpool.

L’ultimo contesto nazionale considerato è la Spagna con Barcellona e Vigo che presentano

network massimamente interconnessi, ristretti, coesi, con appartenenze incrociate e forte

concertazione interna, con presenza di legami multipli, che accostato a quello professionale,,

vedono il prevalere di vincoli di parentela. Pertanto, tali network risultano inclusivi per livelli

16

operativi, ma chiusi all’esterno. Di fatti, chiusura, esclusività e concertazione interna sia

istituzionale che politica portano ad una struttura a vertice più vicina ai policy community. Il

conflitto è presente nella percezione dei testimoni privilegiati intervistati, ma, tuttavia, non è

specificato o personificato in attori o posizioni specifiche. La mediazione risulta, invece, essere

prevista sia internamente che esternamente alla rete, ed è di rilievo anche il fatto che, nelle reti di

Vigo, l’attore preposto al controllo sia menzionato come influente ma non abbia alcuna connessione

con gli attori della rete. Infine, nella rete sono coinvolti pochi attori, tra implementatori, operatori,

amministrativi, istituzionali e rappresentanti d’interessi forti, mentre risultano totalmente assenti

stakeholders e attori esterni. Per la conformazione strutturale, le reti di Barcellona risultano molto

simili a quelle tedesche, mentre quelle di Vigo risultano molto vicine a quelle rilevate nel contesto

anglosassone. Tuttavia a differenziarle è la natura dei legami che lega i soggetti, legami multipli ed

estremamente forti, ma soprattutto il fatto che siano sempre gli stessi soggetti, indipendentemente

dall’ambito di policy interessato, a manovrare decisione, implementazione ed esercizio di potere

nello sviluppo territoriale della politica sociale. Seppure i network in questione risultano essere così

fortemente connessi intra e inter ambito, le dinamiche locali portano all’emersione di un regime più

vicino ai net welfare locali, maggiormente rivolti alle politiche di coesione territoriale, nei quali il

contesto, limitato normativamente, ma stimolato proceduralmente e nelle strategie implementative,

diviene il soggetto responsabile degli indirizzi di welfare, piuttosto che delegare all’attore

sovranazionale lasciandosi spingere verso una forzata convergenza alla quale il territorio risulta non

essere ancora pronto. Fig. 24: Rete progetto inclusione Barcellona. Fig. 25: Rete progetto coesione Barcellona.

Fig. 26: Rete progetto inclusione Vigo. Fig. 27: Rete progetto coesione Vigo.

Le differenti configurazioni relazionali rilevate dimostrano che non è la struttura delle relazioni a

influenzare il campo (si pensi alle similitudini strutturali tra Napoli, Berlino e Barcellona, oppure tra

Londra e Vigo, o ancora tra Milano e Rouen), ma sono gli attori in esso coinvolti, con loro ruoli e

posizioni, a dare vita a implementazioni differenti.

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5. Conclusioni: il modello generale di classificazione ed il suo test empirico

I risultati presentati rappresentano una tipologia in evoluzione, nata da uno studio pilota, ed

attualmente completata e testata nelle sue parti specifiche. Le conclusioni cui si è giunti nella prima

fase hanno portato le caratteristiche di implementazione progettuale, le conformazioni e la

propensione a particolari tipi di network, ad essere proiettati nello spazio di attributi costruito in fase

di analisi macro. Questo per completare dei dettagli necessari lo schema proposto e demarcare

nettamente i sistemi emersi e le direzioni di integrazione cui danno vita rispetto ai primi due

quadranti analizzati. Emerge una nuova polarità, issue network vs. policy community (Marin,

Mayntz, 1991), e rispetto a questa si dispongono i contesti locali e le connotazioni di network in

questi rilevate. È così che nel quadrante della convergenza oltre alla tendenza verso un sistema di

welfare europeo e politiche rivolte alla coesione territoriale ed alla competitività economica, si

possono riscontrare le caratterizzazioni di policy community e network ristretti, coesi e strutturati,

rappresentati da nazioni come la Germania, in particolare a Berlino. Sul versante opposto, nel

quadrante dell’emersione, accanto alle tendenze a net welfare locali e politiche rivolte all’individuo

ed alla sua inclusione, ritroviamo la connotazione di issue network divisi tra un versante di network

dinamici, inclusivi ed estesi e l’altro di network lobbisti, politici ma integrati. Biforcazione questa

non di poco conto, poiché mostra la capacità organizzativa e la gestione territoriale e differenziata

dei sistemi di net welfare. Fig. 28: Modello generale di classificazione.

Nel nuovo spazio di attributi

costruito attraverso

l’aggiornamento teorico e dei

dati macro, accanto alla

polarizzazione issue network vs.

policy community, che attraversa

come un asse trasversale il

quadrante in alto a sinistra e

quello in basso a destra, emerge

un’ulteriore contrasto tra

professionalised network e

concerted network with cross-

memberships, che a sua volta

attraversa come ulteriore asse

trasversale il quadrante in basso

a sinistra e quello in alto a destra.

Il quadrante della Confluenza,

pertanto, oltre a rilevare la tendenza convergente verso un welfare europeo e la propensione per

politiche di coesione territoriale, continua a caratterizzarsi per la presenza di network da intendersi

quali policy community, chiusi, ristretti, coesi e fortemente strutturati, incarnati, come nel disegno

originale, dai contesti tedeschi. Al centro di questa nuova polarizzazione e quindi al centro anche

dello spazio di attributi costituito, si trovano i contesti francesi, a metà strada tra la forte coesione e

l’evoluzione dei network verso gli issue network intesi quali reti aperte e dinamiche, inclusive ed

estese, pienamente incarnate all’estremo della polarità da contesti come quello milanese. Siamo,

pertanto nel quadrante dell’Emersione che incrocia regimi di net welfare locali e propensione per

politiche di inclusione sociale. Fa eccezione, in questo quadrante, il contesto napoletano, che

dimostra come quanto più ci si allontana dal centro tanto più gli estremi rivolti a sistemi di net

welfare locali possono mostrare caratterizzazioni del tutto inattese. In questo contesto i network

tornano ad essere chiusi, poco inclusivi e basati su dinamiche lobbiste, chiara espressione del fatto

che ci si stia spostando sempre più dal richiamo alla convergenza andando verso un’attuazione della

politica sociale come dimensione puramente contestuale e locale. Nel quadrante che incrocia

tendenze verso net welfare locali e propensione a politiche di coesione sociale, il quadrante dello

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Sviluppo, ritroviamo i contesti spagnoli, che vengono a caratterizzarsi per l’aver sviluppato

localmente reti fortemente concertate e caratterizzate dalla presenza incrociata dei membri a più

ambiti di policy, risultando, pertanto, ristretti, fortemente coesi ed interconnessi ed estremamente

selezionati. Anche in questo caso il richiamo forte è all’autonomia, marcando la distanza dal

cammino alla convergenza, in quanto sono gli stessi contesti locali, già gravati da crisi economico-

sociali, a non prestarsi ad attuazioni sistematiche e standardizzate della politica sociale, luogo di

appiglio e conoscenza profonda del territorio sul quale viene implementata. Nell’ultimo quadrante,

quello della Stabilizzazione, costituito dall’incrocio tra regimi volti alla convergenza al welfare

europeo e propensione verso politiche di inclusione sociale, la strategia di network che viene ad

emergere è quella dei professionalised network, reticoli estremamente ristretti di attori, dai legami

non forti ma funzionali all’obiettivo, reti di scopo che tendono alla massimizzazione degli impatti

locali della politica sociale attuando il processo implementativo come processo professionalizzato

ed altamente specializzato, tanto da coinvolgere le “menti” (dirigenti e attori istituzionali) più che le

“braccia” (operatori ed implementatori) nel processo di attuazione locale della politica sociale,

dinamica inversa allo speculare tedesco comunque teso alla convergenza.

Fig. 29: Modello generale di classificazione testato completo.

La tipologia, così messa a punto,

rivela il suo carattere di strumento

integrato che accoglie i risultati di

differenti metodi analitici per metterli a

sistema in una visione complessiva. Così

testata, a parere di chi scrive, tale

tipologia può essere intesa quale

strumento di lettura dei mutamenti in atto

nelle differenziazioni e nelle tendenze

degli attuali regimi di welfare. Essa offre

categorie interpretative e spunti di

riflessione utili ad ampliare e corredare di

ulteriori elementi lo stesso strumento

tipologico-interpretativo generato, in

quanto in evoluzione continua e pronto a

raccogliere il mutamento e a renderlo

variabile sistemica integrante.

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Allegato 1: Progetti selezionati per la comparazione intra e internazionale:

Allegato 2: Principali caratteristiche rilevate nei progetti indagati

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