Politica, imprenditoria e malaffare nell'Italia della grande guerra

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Fabio Ecca Politica, imprenditoria e malaffare nell'Italia della Grande Guerra La prima guerra mondiale ha rappresentato per l’Italia un importante passaggio di trasf ormazione: tra il 1915 e il 1918 si sviluppano infatti nella Penisola processi e dinamiche che modificheranno profondamente l’assetto socio-economico nazionale. In particolare, la Grande Guerra rende possibile la realizzazione di un nuovo rapporto tra Stato e mondo imprenditoriale, chiamato a fornire alle truppe enormi quantitativi di armi, munizioni e servizi di ogni genere (Nota 1). Il saggio che qui si propone - frutto di una ricerca ancora in corso - vuole offrire una prima, sommaria analisi di questo intreccio tra politica e industria, già in parte evidenziato tra gli altri da Paolo Frascani (Nota 2), attraverso la consultazione della documentazione relativa alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra (d’ora innanzi Commissione), organo d’inchiesta che per primo indaga e analizza questo originale rapporto tra fr onte e fronte interno, reso possibile anche da un ampliamento del ruolo e dei compiti dello Stato, come descritto tra gli altri da Charles Maier (Nota 3). Sono rimaste però finora poco studiate le interessanti conclusioni a cui addiviene la Commissione, sulla quale non sono numerosi gli studi, che si presentano per lo più datati ( Nota 4). Questo tema è stato infatti affrontato per ciò che attiene al dopoguerra ( Nota 5) mentre diversi studiosi si sono dedicati all’analisi di singole realtà industriali (Nota 6), difettando però di un quadro complessivo. Gli studi sul rapporto tra politica e industria nella Grande Guerra e nel primo dopoguerra e quelli sulla Commissione si presentano quindi nella loro fase iniziale, ancora non del tutto pienamente sviluppati. Già pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia iniziano a nascere sospetti nell’opinione pubblica ( Nota 7) che alcune industrie private fornitrici dell’Esercito, approfittando delle urgenze di approvvigionamento, stiano ottenendo contratti eccessivamente vantaggiosi e/o realizzando profitti illeciti. Terminata la guerra, la grave crisi economica e le note difficoltà sociali accrescono ancor di più la voglia di smascherare gli artefici di quello che sembra già un dato di fatto: i milioni di soldati tornati dal fronte sono testimoni diretti di quanto sia stata scarsa la qualità dell’equipaggiamento e delle armi con cui hanno combattuto ( Nota 8). Non a caso la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1919 è caratterizzata anche dal tema della conduzione militare ed economica della guerra e in molti promettono punizioni esemplari verso quelli che sono definiti “pescecani” (Nota 9). È così che il 12 ottobre 1919 Giovanni Giolitti pronuncia a Dronero (Cn) un ampio e articolato discorso che avrebbe rappresentato il nucleo centrale del programma politico del suo successivo governo (Nota 10). In merito alla guerra e alle sue conseguenze economiche egli sostiene l’urgenza di approvare alcuni provvedimenti fiscali (Nota 11) e, soprattutto, l’insediamento di una Commissione parlamentare d’inchiesta che indaghi sulla conduzione economica della guerra e sulle eventuali speculazioni compiute. Eletto a capo del suo quinto governo, dà attuazione a quanto promesso: il 18 luglio 1920 viene infatti promulgata la legge n. 999 che sancisce la nascita della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle

Transcript of Politica, imprenditoria e malaffare nell'Italia della grande guerra

Fabio Ecca

Politica, imprenditoria e malaffare nell'Italia della Grande Guerra

La prima guerra mondiale ha rappresentato per l’Italia un importante passaggio di trasformazione: tra il 1915

e il 1918 si sviluppano infatti nella Penisola processi e dinamiche che modificheranno profondamente

l’assetto socio-economico nazionale. In particolare, la Grande Guerra rende possibile la realizzazione di un

nuovo rapporto tra Stato e mondo imprenditoriale, chiamato a fornire alle truppe enormi quantitativi di armi,

munizioni e servizi di ogni genere (Nota 1). Il saggio che qui si propone - frutto di una ricerca ancora in corso

- vuole offrire una prima, sommaria analisi di questo intreccio tra politica e industria, già in parte evidenziato

tra gli altri da Paolo Frascani (Nota 2), attraverso la consultazione della documentazione relativa alla

Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra (d’ora innanzi Commissione), organo

d’inchiesta che per primo indaga e analizza questo originale rapporto tra fronte e fronte interno, reso

possibile anche da un ampliamento del ruolo e dei compiti dello Stato, come descritto tra gli altri da Charles

Maier (Nota 3). Sono rimaste però finora poco studiate le interessanti conclusioni a cui addiviene la

Commissione, sulla quale non sono numerosi gli studi, che si presentano per lo più datati (Nota 4). Questo

tema è stato infatti affrontato per ciò che attiene al dopoguerra (Nota 5) mentre diversi studiosi si sono

dedicati all’analisi di singole realtà industriali (Nota 6), difettando però di un quadro complessivo. Gli studi sul

rapporto tra politica e industria nella Grande Guerra e nel primo dopoguerra e quelli sulla Commissione si

presentano quindi nella loro fase iniziale, ancora non del tutto pienamente sviluppati.

Già pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia iniziano a nascere sospetti nell’opinione pubblica (Nota

7) che alcune industrie private fornitrici dell’Esercito, approfittando delle urgenze di approvvigionamento,

stiano ottenendo contratti eccessivamente vantaggiosi e/o realizzando profitti illeciti. Terminata la guerra, la

grave crisi economica e le note difficoltà sociali accrescono ancor di più la voglia di smascherare gli artefici

di quello che sembra già un dato di fatto: i milioni di soldati tornati dal fronte sono testimoni diretti di quanto

sia stata scarsa la qualità dell’equipaggiamento e delle armi con cui hanno combattuto (Nota 8). Non a caso

la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1919 è caratterizzata anche dal tema della conduzione

militare ed economica della guerra e in molti promettono punizioni esemplari verso quelli che sono definiti

“pescecani” (Nota 9). È così che il 12 ottobre 1919 Giovanni Giolitti pronuncia a Dronero (Cn) un ampio e

articolato discorso che avrebbe rappresentato il nucleo centrale del programma politico del suo successivo

governo (Nota 10). In merito alla guerra e alle sue conseguenze economiche egli sostiene l’urgenza di

approvare alcuni provvedimenti fiscali (Nota 11) e, soprattutto, l’insediamento di una Commissione

parlamentare d’inchiesta che indaghi sulla conduzione economica della guerra e sulle eventuali speculazioni

compiute. Eletto a capo del suo quinto governo, dà attuazione a quanto promesso: il 18 luglio 1920 viene

infatti promulgata la legge n. 999 che sancisce la nascita della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle

spese di guerra, organismo composto da trenta membri (quindici deputati e quindici senatori (Nota 12)) con il

compito di

a) accertare gli oneri finanziari risultanti a carico dello Stato per spese fatte in dipendenza dalla guerra […];

b) procedere alla revisione dei contratti […] (Nota 13).

La Commissione ha il compito di scoprire «quale somma di oneri finanziari abbia sostenuto il Paese […] ed

in qual modo essi siano stati erogati», oltre che giudicare «la legittimità di detti oneri ed erogazioni» e quindi,

eventualmente, procedere con le «conseguenti reintegrazioni dovute al pubblico erario» (Nota 14). Ha infine

un incarico alquanto particolare che la rende unica rispetto alle altre precedenti esperienze: deve infatti

anche «accertare […] ogni responsabilità morale, giuridica, amministrativa, politica» (Nota 15).

Fin dal primo momento risulta chiaro alla stessa Commissione il vasto lavoro che l’attende: esaminare la

documentazione e i contratti relativi a centinaia di industrie, indagare sugli eventuali rapporti parentali o

amicali tra dipendenti pubblici e imprenditori privati, istruire migliaia di pratiche con interrogatori, interviste e

relazioni. Per velocizzare il proprio operato questa si organizza in maniera verticale: durante il lavoro

istruttorio i suoi membri si dividono in sei sottocommissioni, chiamate in maniera di certo non originale A, B,

C, D, E e F (Nota 16). La prima conduce le inchieste sulle spese sostenute nelle colonie italiane d’Eritrea e

di Libia, segue l'affare denominato "prestito nazionale per le spese di guerra" e svolge le indagini relative alla

gestione del Ministero per la propaganda interna; la B si interessa invece delle spese per i generi di

sussistenza (Nota 17); alla C vengono affidate le indagini sulla produzione e sulle forniture di armi e

munizioni e sul conseguente processo di "mobilitazione industriale", con una particolare attenzione verso la

produzione siderurgica (Nota 18); la D è incaricata di occuparsi delle spese sostenute per la marina militare,

per la marina mercantile e per l'aeronautica (Nota 19), interessandosi anche della liquidazione del materiale

residuato dalla guerra, argomento strettamente legato alla smobilitazione industriale (Nota 20); la E conduce

le indagini relative alle spese per l'assistenza ai militari e alle loro famiglie, oltre che per la giustizia militare

(Nota 21) e la F, infine, si dedica alla gestione degli uffici statali competenti per le richieste di

approvvigionamento di generi alimentari e di materie prime.

Questa strutturazione, tuttavia, non riesce a evitare alla Commissione alcuni gravi problemi: deve infatti

fronteggiare la mancanza di chiarezza su come deve operare poiché né la legge istitutiva né il regolamento

interno danno soluzioni in merito (Nota 22). Probabilmente si procede, in un primo momento, sperimentando

varie modalità e tecniche d’inchiesta che creano però solo confusione visto che lo stesso Amero d’Aste,

presidente della sottocommissione D, nell’adunanza plenaria del 18 dicembre 1920 solleva pubblicamente il

problema: «si conviene che il lavoro delle sottocommissioni deve essere sempre lavoro collegiale, che

l’Ufficio di Segreteria predispone tutti gli elementi sotto la guida e la responsabilità del relativo segretario

capo» (Nota 23). Solo successivamente le sottocommissioni uniformeranno le modalità d’indagine e in

particolare gli interrogatori dei testimoni (Nota 24). Il secondo ostacolo è la durata limitata nel tempo della

stessa Commissione che, secondo il dettato di legge, dovrà concludere le proprie attività entro il 31

dicembre 1921 (Nota 25). Solo diciotto mesi per indagare su migliaia di contratti e accertare quali

imprenditori abbiano realizzato “guadagni illeciti”: un’impresa quasi impossibile. Tant’è che, con l’avvicinarsi

della prevista conclusione, il Parlamento approva la legge n. 1979 del 29 dicembre 1921 con cui si

prorogano i poteri della Commissione fino al 31 dicembre 1922. Il terzo, grave problema è relativo al compito

di «proporre provvedimenti atti a reintegrare l’erario di ciò che possa risultare doversi ricuperare» (Nota 26):

nella legge istitutiva non si chiariscono le modalità con cui deve operare. È vero che l’articolo 2 della stessa

legge stabilisce che le norme per l’esercizio di tali azioni «saranno emanate con decreto Reale, sentita la

Commissione d’inchiesta» (Nota 27), ma il decreto si fa attendere a lungo. La mancata emanazione di

queste norme finisce così per rappresentare «un grave ostacolo all’intera attività istruttoria della

Commissione, dal momento che essa […] risulta priva di tutti quei poteri cautelativi e conservativi ritenuti

indispensabili per portare a termine efficacemente l’inchiesta» (Nota 28). La Commissione si trova quindi,

per lungo tempo, nella fastidiosa posizione di dover subire l’inerzia del Governo, a cui è costretta a proporre

gli atti di restituzione dei sovrapprofitti accertati. Per ottemperare a tale problema, la Commissione agisce su

due linee: tenta di superare l’incertezza normativa mediante forzature e interpretazioni estensive della legge

(Nota 29) e, al contempo, porta avanti una propria proposta di decreto (Nota 30). Ma la risposta si fa

attendere, complice anche il lungo periodo di riorganizzazione dei suoi vertici, viste le nomine nell’aprile

1921 del presidente Rodinò a Ministro della Guerra e del vicepresidente Carnazza a sottosegretario al

Tesoro. Entrambi devono dimettersi dagli incarichi ricoperti nella Commissione il cui lavoro è bloccato anche

dalla chiusura del Parlamento, avvenuta tra il 7 aprile (conclusione della XXV legislatura) e l’11 giugno 1921

(inaugurazione della XXVI). Sarà così solo con il Regio Decreto del 4 maggio 1922, pubblicato nella

Gazzetta Ufficiale del 24 dello stesso mese, che verranno emanate le norme che concedono alla

Commissione il potere di avanzare direttamente proposte di provvedimento (Nota 31).

Un ultimo ostacolo, tuttavia, intralcia definitivamente l’operato e la stessa esistenza della Commissione.

Benito Mussolini, nominato Presidente del Consiglio il 30 ottobre 1922, imposne alla Commissione l’obbligo

di presentare la relazione conclusiva entro il 31 dicembre dello stesso anno al governo (Nota 32) e non al

Parlamento. Quest’ultimo viene così esautorato «del diritto/potere di applicare i provvedimenti suggeriti dalla

Commissione e, soprattutto, [il Presidente del Consiglio, ndr] voleva riservarsi la prerogativa di occultare i

risultati più compromettenti per tutelare persone a lui vicine» (Nota 33). Moltiplicando i propri sforzi, la

Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra riesce a terminare la stesura delle relazioni

finali e le invia al Presidente del Consiglio, non senza aver notato che

la Commissione è ben lungi dal ritenere di aver esaurito il suo compito vastissimo […]. Nel darne conto al

Parlamento, la Commissione ha ritenuto, nella sua maggioranza, di dover ubbidire al Decreto-Legge […];

nella piena fiducia che non verrà sottratto al Senato, alla Camera dei Deputati, al Paese un immenso e ricco

materiale (Nota 34).

Ma cosa è riuscita ad appurare la Commissione? Questa scopre un complesso e articolato sistema che ha

permesso a numerosi industriali di lucrare indebitamente ingenti quantitativi di risorse economiche. A fronte

di un costo di circa 1 milione di lire (tra stipendi, trasferte e costi di gestione ordinaria) (Nota 35), riesce a far

rientrare nelle casse dell’Erario, come recupero di sovrapprofitti, 22 milioni di lire (Nota 36). Risultano inoltre

stabiliti, ma ancora da eseguire, rimborsi per 324.240.764 lire (Nota 37). In tutto la Commissione ha

appurato ben 155 casi (su millequarantotto analizzati) di “guadagni illeciti”: solo la sottocommissione C

accerta infatti 42 casi e 149.549.395,04 lire da recuperare, mentre la E conclude 51 indagini, per un totale di

55.574.713,76 lire. Si svelano così numerosi casi di “malaffare” e un complesso e articolato intreccio tra

politica e industria che finisce per incidere profondamente sul rapporto tra fronte e fronte interno e

trasformare profondamente il mondo economico, mentale e culturale italiano.

Animata dal principio di equità, la Commissione svolge quello che potremmo definire un duplice obiettivo:

politico ed economico. Se quest’ultimo, però, è sostanzialmente impossibile da svolgere (si dice che

«nemmeno un centinaio di funzionari in parecchi decenni avrebbero potuto compiere» (Nota 38) questo

compito), rimane quello politico: fornire al Parlamento un prospetto complessivo di quanto speso per la

guerra e rivelare le linee generali degli oneri, economici e non, che finiranno per gravare per molti anni sul

bilancio statale. Per dirla con le stesse parole usate dai suoi membri, la Commissione

ha dovuto portare il suo esame non solamente sulle spese rese necessarie per la vita economica e civile del

Paese in conseguenza delle ripercussioni che su quelle condizioni ebbe ad esercitare la guerra, ma ha

dovuto estendere il suo esame all’influenza che il complesso fenomeno della guerra ha esercitato e continua

ad esercitare su tutto quanto l’ordinamento finanziario dello Stato (Nota 39).

Non a caso, esamina tutti gli esercizi finanziari dal 1914-1915 al 1919-1920 e i bilanci previsionali per gli

anni 1920-1921 e 1921-1922 (Nota 40), riuscendo così a stabilire che le spese di guerra di carattere

direttamente militare per il periodo 1914-1920 sono state pari a circa 71.350.000.000 di lire, quelle per le

operazioni a credito effettuate dal Tesoro a circa 11.264.000.000 lire, quelle di carattere politico a circa

1.871.000.000 lire e quelle per provvedimenti sociali a circa 9.643.000.000 lire (Nota 41). Insomma, il

bilancio dello Stato avrebbe sopportato complessivamente, per effetto della guerra, un onere di almeno

94.129.000.000 lire. Aggiungendo poi quanto riportato dai bilanci previsionali, si sarebbe arrivati a ben

132.646.089.747,01 lire (Nota 42).

Per capire come siano stati gestiti e spesi questi soldi, la Commissione studia non solo gli ordini di

erogazione di spesa (Nota 43) ma anche i regolamenti e i provvedimenti adottati e se gli uffici tecnici e

gestionali e il personale adibito abbiano svolto adeguatamente il proprio compito. La Commissione dimostra

in questa maniera che la legislazione cosiddetta “di guerra” è fin dall’inizio guastata da un vizio di fondo: i

rapporti tra lo Stato e i suoi contraenti non sono soggetti a un potere contrattuale ben determinato.

Analizzando i principali provvedimenti legislativi, si scoprono infatti numerose contraddizioni: l’articolo 1 del

decreto legge n. 739 del 27 maggio 1915, quello relativo alla mobilitazione industriale, sostiene tra l’altro

che:

la guerra è considerata come caso di forza maggiore non solo quando renda impossibile la prestazione

[industriale, ndr], ma anche quando la renda eccessivamente gravosa, purchè la obbligazione sia stata

assunta prima della data del decreto di mobilitazione generale (Nota 44).

È indubbio che la guerra però crea sempre costi maggiori per la produzione. A questo proposito è da

ricordare che il verificarsi del «caso di forza maggiore» autorizza l’Amministrazione ad agire in deroga al

bilancio ordinario nella stipulazione dei contratti e nei pagamenti, secondo quanto stabilito nel regio decreto

n. 770 del 4 agosto 1914. Il Rdl 739/1915, inutile nella sua prima parte e interpretativo nell’equiparare la

eccessiva onerosità all’impossibilità, si rileva anche assurdo se preso alla lettera nella sua terza parte, in

quanto anche dopo il decreto di mobilitazione generale sono sottoscritti nuovi contratti per la fornitura di

materiale bellico. A ciò si aggiunga che circa un mese dopo, il 20 giugno 1915, un nuovo decreto dichiara

«non ammissibile la domanda di risoluzione di contratto fondata sulle condizioni create dallo stato di guerra»

(Nota 45). Si viene così a creare una situazione paradossale in cui una legge dichiara la guerra «caso di

forza maggiore» mentre nell’altra la prestazione prima impossibile diventa implicitamente possibile. Si

determinano insomma due diversi atteggiamenti da parte dei fornitori: l’aumento abnorme del corrispettivo

economico da loro richiesto per il servizio o, in alternativa, il ritiro degli onesti a favore di coloro che contano

di poter, anche con mezzi illeciti, eludere le disposizioni di legge e di contratto. «La illogicità e la impossibilità

dell’applicazione della legge e delle clausole contrattuali» dichiara la Commissione «aveva come effetto di

obbligare lo Stato ad emanare disposizioni contraddittorie od a tollerare l’inadempimento o la violazione della

legge, con notevole affievolimento delle autorità dello Stato, che costituisce danno non solamente sociale

ma, nelle sue conseguenze, anche economico» (Nota 46).

Proprio la Commissione svela anche le mancanze della Pubblica Amministrazione, soprattutto nella

contabilità e nella inefficienza dei controlli. Questa constata infatti «una gravissima deficienza nella

amministrazione, deficienza che non vale certamente a scusare la tante volte invocata difficoltà del

momento» (Nota 47). Scrive retoricamente la stessa Commissione:

si può ammettere che il Comandante di un reparto al fronte, sotto lo imperversare dell’azione bellica nemica,

non tenesse conto dei moduli che la contabilità gli inviava per la sua gestione, ma che i funzionari rimasti al

Ministero non tenessero conto dei milioni che spendevano per conto dello Stato è veramente ben grave e

rivela […] un ben grave difetto di capacità organizzativa (Nota 48).

Molte amministrazioni militari abusano largamente e diffusamente della possibilità di agire in deroga ai

regolamenti. «Il dispregio in cui i funzionari militari e civili hanno tenuto la Ragioneria» si scrive «[…] è

solamente la prova della assoluta deficienza in loro di capacità organizzatrice» (Nota 49). E ancora, poco

dopo:

le conseguenze […] sono state così gravi per lo Erario da dare alla Commissione il convincimento che molta

parte delle spese di guerra avrebbe potuto subire importante falcidia, che molti degli scopi propostisi dallo

Stato avrebbero potuto esser meglio, più prontamente e più sicuramente raggiunti, se della organizzazione

della azienda si fosse avuto cura, […], se ben ordinati controlli avessero subito rilevato le manchevolezze ed

i difetti della organizzazione statale (Nota 50).

È bene considerare però che - agli occhi di chi scrive - il danno prodotto sarebbe stato minore senza alcune

direttive politiche che lo hanno aggravato, estendendo oltre il necessario le funzioni e la macchina statale.

Dai documenti della Commissione appare infatti chiaro che questa è animata da un quesito di fondo: quanto

fatto durante la mobilitazione industriale risulta adeguato a risolvere in maniera economica il problema delle

forniture militari? In questo modo, pur senza mai entrare nel dibattito sui limiti dell’attività dello Stato

nell’economia, la Commissione contribuisce a instillare il dubbio che i pieni poteri del servizio di

mobilitazione industriale siano stati così estesi da mutare radicalmente l’assetto economico del Paese. La

stessa Commissione, d’altra parte, sostiene che le modalità politiche di gestione della mobilitazione

industriale sono

economicamente disastrose, moralmente nefaste. Economicamente disastrose, e non già solo nei rapporti

della economia generale del Paese e dei bilanci individuali dei cittadini, ma particolarmente per il bilancio

dello Stato; moralmente nefaste perché hanno determinato, occasionato così frequenti abusi, malversazioni,

frodi, da dare veramente cattivo spettacolo della moralità delle Amministrazioni […] (Nota 51).

Non si può, per mancanza di spazio, analizzare tutti i sovrapprofitti accertati da quest’organo d’inchiesta. Si

è quindi deciso di analizzare un solo caso particolarmente interessante: l’industria aeronautica (Nota 52).

Quasi inesistente nel 1914, durante la Grande Guerra questo settore produttivo conosce uno sviluppo

portentoso (Nota 53): se durante il 1914 non si registrano produzioni di apparecchi o motori, nel 1915 sono

fabbricati 606 motori e 382 apparecchi, nel 1916 ben 2.248 motori e 1.255 apparecchi, nel 1917 6.726

motori e 3.871 apparecchi e infine, nel 1918, 14.820 motori e 6.523 apparecchi (Nota 54). In seguito

all’armistizio, vengono sospese le lavorazioni belliche ancora in corso e si iniziano a sistemare i relativi

contratti. Viene istituito allo scopo il Comitato interministeriale per la sistemazione delle industrie belliche

(Nota 55) (d’ora innanzi Comitato), il cui compito principale è quello di liquidare le numerose ditte, le loro

relative commesse e facilitare il passaggio dalla produzione bellica a quella di pace. Il Comitato segue

generalmente il criterio di concedere alle industrie un importo relativo ai manufatti finiti e consegnati

anteriormente al 10 dicembre 1918, un compenso per la svalutazione delle materie prime esistenti presso le

fabbriche ma divenute esuberanti a seguito della rescissione totale o parziale dei contratti, un rimborso per

le parti finite e semilavorate e un indennizzo per l’ammortamento degli impianti e degli attrezzi speciali.

Analizziamo nel dettaglio quanto accade per l’industria aeronautica: è convinzione generale che, terminata la

guerra, i costi delle materie prime si sarebbero notevolmente abbassati, rendendo così ancora più

vantaggiosi i contratti stipulati in tempo di guerra. Allora il Comitato, «per frenare tale spicciola tendenza

delle ditte a continuare nelle lavorazioni belliche e per spingerle invece sempre più a volgere e a dedicare la

loro attività ai lavori di pace» (Nota 56), emana la circolare n. 1160 del 29 dicembre 1918 in cui stabilisce

che i manufatti ultimati entro il 10 dicembre devono essere pagati in base ai prezzi e alle condizioni di

contratto pattuiti mentre quelli ultimati successivamente sono retribuiti al prezzo contrattuale a cui deve

essere sottratta una percentuale di utile, accertata o presunta (Nota 57). Questa circolare è seguita dalla n.

2811 del 23 gennaio 1919 in cui si introducono alcune eccezioni, «stabilendo che da tale detrazione si

poteva prescindere, qualora la lavorazione bellica fosse cessata completamente entro il 10 dicembre 1918»

(Nota 58) pur a consegna non compiuta, dopo i relativi collaudi. Si parla – è bene sottolinearlo – di utili

sempre molto vantaggiosi per le ditte fornitrici che oscillano tra il 60 e l’80 per cento mentre quelli detratti dal

Comitato sono compresi tra l’1 e il 10 per cento. Si introduce inoltre un principio di soggettività che permette

trattamenti diversi tra ditte analoghe come avviene, ad esempio, per la Breda, la Ferrotaie e la San Giorgio

Borzoli, tutte fornitrici di motori di aviazione, a cui viene corrisposto un utile del 10 per cento mentre alle ditte

Romeo, Cigersa e Chiesa, Automobili Diatto e Isotta Fraschini, sempre fornitrici dello stesso tipo di motore, è

riconosciuta una detrazione del 20 per cento (Nota 59). Queste eccezioni rappresentano per la

Commissione uno spreco di denaro pubblico: senza questi “trattamenti di favore”, spesso poi estesi alla

maggior parte dei fornitori, si sarebbero ugualmente tutelate le imprese ottenendo, allo stesso tempo, un

notevole risparmio per l’Erario (Nota 60). Raccogliendo ed elaborando quanto rilevato dalla Commissione, si

è potuto accertare infatti che, all’atto della sospensione dei lavori per usi di guerra, l’importo totale delle

commesse ammonta a 2.899.900.000 lire mentre le commesse espletate sono pari a 1.129.900.000 lire

(Nota 61). La differenza, pari a 1.770.000.000 lire, rappresenta un valore complessivamente superiore a

quello corrisposto per quanto prodotto e consegnato. Le imprese, insomma, guadagnano soprattutto grazie

ai rimborsi concessi dallo Stato.

Diversi gruppi imprenditoriali sono poi avvantaggiati anche da quanto accordatogli per la svalutazione delle

materie prime. Sempre in seguito all’ordinanza di sospensione dei lavori a usi bellici, le ditte si trovano infatti

ad avere enormi quantitativi di materie prime che hanno perso buona parte del proprio valore. Per ovviare a

tale problema, il Comitato dispone il pagamento della differenza tra il loro costo effettivo, risultante dalle

fatture, e il prezzo corrente all’atto della rescissione dei contratti. Tali calcoli, operati frettolosamente, portano

spesso il Comitato a un elevato livello di approssimazione: la prassi vuole che, per calcolare la svalutazione,

si prendano in esame i materiali maggiormente presenti nel prodotto finale ma, dato che fra la data in cui gli

uffici formulano la propria proposta quella nella quale il Comitato emana il decreto possono trascorrere

anche mesi, si verifica spesso il caso che, all’atto dell’emanazione del provvedimento, il materiale abbia

acquisito un valore superiore a quello calcolato inizialmente. Così avviene ad esempio che nell’agosto 1919

la sezione tecnica di Milano propone la svalutazione delle materie prime in possesso delle Officine

Meccaniche già Miani e Silvestri del 50 per cento del loro costo iniziale, poi elevata al 60 per cento e quindi

accreditata il 5 giugno 1920 (Nota 62). Quel giorno però l’alluminio, che costituisce la maggior parte dei

materiali in oggetto, non risulta affatto svalutato in base ai listini di mercato ma ha assunto un valore

superiore del 10 per cento a quello d’acquisto: acquistato a 12 lire al chilogrammo, è ora quotato a 13,30 lire

(Nota 63).

Anche per quanto riguarda le parti finite e semilavorate la maggior parte delle ditte si viene a trovare, al

momento del fermo della produzione bellica, in possesso di cospicui stock. Il Comitato stabilisce il loro

pagamento al prezzo di costo, ossia l’equivalente della somma del valore delle materie prime, della mano

d’opera e delle spese generali. Inoltre, nel caso in cui siano lasciati alla ditte produttrici, questi materiali sono

spesso equiparati a rottami e rimborsati come tali, con una spesa non indifferente da parte dell’Erario. Viene

poi in ogni caso accordato alle ditte il riconoscimento di un utile, calcolato moltiplicando l’importo

complessivo delle parti finite al cosiddetto coefficiente K (Nota 64). Questo altro non è che il risultato del

rapporto tra il prezzo contrattuale dell’apparecchio o del motore (al numeratore), tolte quelle spese che

l’impresa non avrebbe compiuto (Nota 65), e il prezzo risultante dalla somma delle varie parti finite (al

denominatore), secondo quanto indicato dal catalogo (Nota 66). È chiaro che non si tratta del più preciso tra

i metodi di calcolo ma, secondo la stessa Commissione, di «un espediente per riportare sollecitamente al

prezzo contrattuale del motore e dell’apparecchio i prezzi delle parti staccate a base di catalogo» (Nota 67).

Comunque, se applicato correttamente, assolve degnamente al proprio scopo. Si verificano tuttavia

numerosi frodi attribuendo coefficienti K superiori a quanto dovuto: nel caso della ditta Automobili Diatto di

Torino, ad esempio, il Comitato accoglie il coefficiente di riduzione K 0,73 per la sistemazione dell’importo

relativo alle parti di motore I. F. V. 6 ma lo calcola senza detrarre le spese relative a montaggio, collaudo,

rischio, minor tassa di registrazione del contratto e mancato pagamento dei diritti del brevetto. Ripetendo il

calcolo e attenendosi sempre a criteri di larghezza, la Commissione rivela che il coefficiente corretto sarebbe

stato 0,66 (Nota 68) e che la Diatto, perciò, realizza nell’occasione un lucro di circa 400.000 lire.

Anche per gli attrezzi speciali e gli impianti avviene un procedimento simile. Il Comitato dispone infatti che

alle ditte che dimostrino di aver acquistato o costruito nuove attrezzature e impianti spetta, a titolo di

indennizzo, la quota parte d’ammortamento a cui non sono più in grado di provvedere per l’avvenuta

rescissione del contratto. La circolare n. 1160 del 29 dicembre 1918 stabilisce infatti che «il valore attribuibile

agli impianti ed alle trasformazioni dopo la guerra, viene presunto in difetto di prova contraria nella misura

del 20 per cento dell’effettivo costo totale» (Nota 69). L’Erario calcola quanto concedere con due rapporti: il

primo, che stabilisce il coefficiente di riduzione, vede al numeratore il valore della parte di commessa non

espletata e al denominatore l’importo totale della commessa. Prendendo poi il coefficiente di svalutamento

(così è nominato), lo si moltiplica con il costo totale degli impianti e in seguito per il coefficiente di riduzione,

ottenendo così l’importo dell’indennizzo da corrispondere. Tuttavia il Comitato, per determinare l’indennizzo,

non tiene mai conto dell’importo delle parti finite e semilavorate, che si sarebbe dovuto defalcare dal totale

della commessa, liquidando così alle imprese quote di ammortamento doppie rispetto al dovuto. Per quanto

invece riguarda gli attrezzi, il calcolo del relativo indennizzo dipende dal loro possibile riutilizzo nell’industria

di pace: non si concede nulla in caso di un possibile reimpiego mentre si riconosce un indennizzo pari fino

all’80 per cento della parte di commessa rescissa nel caso in cui si tratti di materiale ormai inutile (Nota 70).

In totale il Comitato interministeriale per la sistemazione delle industrie belliche liquida le varie ditte fornitrici

di materiale aeronautico con 120 milioni di lire per le materie prime, per le parti finite e semilavorate ritirate

dall’Amministrazione, 234 milioni a titolo di compenso per la svalutazione delle materie prime e per le parti

finite e semilavorate lasciate a disposizione alle stesse ditte e 100 milioni di lire come indennizzo per impianti

e attrezzi. Inoltre, lo stesso sorvola agevolmente sui ritardi nelle consegne. Sostiene la Commissione: «quasi

tutte le ditte fornitrici di materiale aeronautico furono inadempienti ai patti contrattuali riguardanti le consegne

del materiale stesso» (Nota 71), ma ciò non porta quasi mai il Comitato a esigere il pagamento del massimo

della penalità pecuniaria possibile (Nota 72). Potremmo anzi dire che il Comitato è disposto a soprassedere

su tali inadempienze per permettere alle ditte di velocizzare il passaggio dalla produzione bellica a quella di

pace. Complessivamente la Commissione accerta così che almeno sei industrie aeronautiche avrebbero

lucrato, durante e dopo la Grande Guerra, ingenti capitali allo Stato, deliberando recuperi per un totale di

3.386.000 lire. In particolare, alla ditta Piaggio e C. di Sestri Ponente l’8 maggio 1922 si richiede la

restituzione di 369.000 lire indebitamente guadagnate (Nota 73); per la ditta Miani e Silvestri il 6 luglio 1922

si propone un recupero 1.041.000 lire (Nota 74); per la Automobili Diatto 985.922 lire (il 9 giugno 1922), sulle

1.100.000 lire dovute (Nota 75) e infine, per quanto riguarda la Gnome e Rhone, il 15 luglio 1922 la

Commissione propone che restituisca un totale di 322.027 lire (Nota 76).

Quel che accade in Italia tra il 1915 e il 1918, e in seguito nell’immediato dopoguerra, rappresenta un tema

complesso, ma non per questo meno affascinante. La Grande Guerra è stata diffusamente e largamente

studiata e approfondita ma mancano ancora studi completi sul rapporto che si sarebbe instaurato tra politica

e industria e che origina – come si è tentato di dimostrare – cospicui sovrapprofitti e, più generalmente, lucri

illeciti. Quanto descritto nei riguardi delle imprese aeronautiche ne è “solo” un piccolo ma significativo

esempio. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra riesce solo in parte a svelare

come e di quanto sia stato defraudato l’Erario. Il suo lavoro – potenzialmente eccezionale per l’importanza

del tema e l’impatto sul “sistema Paese” – viene ostacolato da una serie di fattori, solo in parte intrinseci alla

stessa. Come si è cercato di illustrare, la mutevole situazione politica italiana e la precarietà generale che

contraddistingue il primo dopoguerra italiano inficiano profondamente le sorti e l'operato della Commissione.

Questa riesce solo in parte a svelare i sovrapprofitti realizzati in Italia durante la Grande Guerra e,

soprattutto, non raggiunge quello che potremmo definire il proprio principale obiettivo: quello di denunciare,

scardinare e risolvere quell’intreccio tra politica e industria nato durante la prima guerra mondiale. Dalla

documentazione raccolta e prodotta dalla stessa Commissione è infatti oggi possibile riconoscere tre diverse

categorie ugualmente responsabili di questi fenomeni di malaffare: vi sono certamente i numerosi industriali

che lucrano e approfittano della guerra per espandere il proprio patrimonio e accrescere illecitamente il

guadagno ma, allo stesso tempo, ciò viene reso possibile anche da chi avrebbe dovuto controllare, ossia lo

Stato e gli uffici amministrativi preposti, ma che invece non svolgono il proprio lavoro di supervisione e

gestione, né controllando né organizzando né, soprattutto, vigilando. Un terzo responsabile si può infine

individuare nelle decisioni politiche che i governi e il Parlamento prendono durante la Grande Guerra. La

Commissione sembra infatti denunciare la confusione e l’approssimazione, oltre a un certo grado di

sufficienza, nelle leggi e regolamenti promulgati ed emanati tra il 1915 e il 1918. Scrive infatti: «il costo della

guerra è stato notevolmente più elevato di quello che, in relazione alle finalità conseguite, avrebbe dovuto

essere, e ciò a causa della mancata e deficiente organizzazione della Amministrazione statale e delle

direttive politiche seguite durante la guerra e nello immediato dopoguerra» (Nota 77). È probabilmente

impossibile quantificare con esattezza la somma complessiva di quanto indebitamente lucrato ma forse si

può immaginare che tale cifra possa essere stata così elevata da pregiudicare le finanze pubbliche italiane e

la stabilità politico-economica della Penisola. Possiamo quindi sostenere che, analizzando questo specifico

rapporto tra trincea e fronte interno attraverso le carte della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle

spese di guerra, si svela un complesso e articolato intreccio che potrebbe aver contribuito a modificare

radicalmente il sistema economico e industriale italiano e che, probabilmente, ha svolto un ruolo non

secondario anche negli sviluppi politici ed economici dell’Italia del ventennio fascista.

NOTE

Nota 1 U. M. Miozzi riporta una stima del 1930 della Tesoreria dello Stato secondo la quale la spesa

complessiva per la Grande guerra raggiunge complessivamente la somma di 148 miliardi di lire, ossia il

doppio di quanto speso tra il 1862 e il 1913. Cfr. U. M. Miozzi, La mobilitazione industriale italiana (1915-

1918), La Goliardica editrice, Roma 1980, p.27. Torna al testo

Nota 2 P. Frascani, Politica economica e finanza pubblica in Italia nel primo dopoguerra: 1918-1922,

Giannini, Napoli 1975. Torna al testo

Nota 3 C. S. Maier, La rifondazione dell'Europa borghese: Francia, Germania e Italia nel decennio

successivo alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1999. Anche Mario Isneghihad’altra

partesottolineato come la Grande guerra ha ampliato i poteri governativi e generato un nuovo rapporto tra

autorità politiche e sistema produttivo italiano (M. Isnenghi, La Grande Guerra, La Nuova Italia, Venezia

2000). Un ruolo fondamentale in tale ampliamento è dovuto anche (e forse soprattutto) all’opera del

Sottosegretariato alle Armi e Munizioni, divenuto Ministero nel 1917, guidato dal generale Alfredo Dallolio. A

tal proposito si ricordano, tra gli altri, le ricerche di L. Mascolini, Il Ministero per le armi e munizioni (1915-

1918), in «Storia Contemporanea», 6 (dicembre 1980), pp.933-965 e L. Tomassini, Militari, industriali,

operai durante la grande guerra: il Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale dalle origini alla

costituzione del Ministero per le Armi e Munizioni, in Istituto di storia della facoltà di lettere e filosofia,

Università degli studi di Firenze, «Studi e Ricerche», II (1983), pp.431-503. Sulla figura di Dallolio: A.

Assenza, Il generale Alfredo Dallolio: la mobilitazione industriale dal 1915 al 1939, USSME, Roma

2010; V. Gallinari, Il generale Dallolio nella prima guerra mondiale, in USSME, «Memorie storiche

militari», (1979) e, più in sintesi, F. Minniti, Protagonisti dell’intervento pubblico: Alfredo Dallolio, in A.

Mortara (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, FrancoAngeli, Milano 1984. Torna al

testo

Nota 4 E’ interessante notare ad esempio che in piena seconda guerra mondiale esce il volume di A.

Guarnieri Ventimiglia dal titolo Gli illeciti arricchimenti, Fratelli Palombi, Roma 1944. Torna al testo

Nota 5 Tra le altre, si vuole ricordare il volume di A. M. Falchero, La "commissionissima": gli industriali

ed il primo dopoguerra, FrancoAngeli, Milano 1991 e quello di G. B. Furiozzi, Dall'Italia liberale all'Italia

fascista, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2001. Torna al testo

Nota 6 A solo titolo di esempio: M. Doria, Ansaldo: l’impresa e lo Stato, FrancoAngeli, Milano 1990; F.

Degli Esposti, L'Ansaldo industria bellica in «Italia contemporanea», n.190 (marzo 1993); l’interessante

collana intitolata Storia dell’Ansaldo, in particolare V. Castronovo (a cura di), L’Ansaldo e la Grande

Guerra, vol. 4, Laterza, Roma 1997; G. Mori, Le guerre parallele. L’industria elettrica in Italia nel

periodo della grande guerra (1914-1919), Istituto Gramsci editore, Bologna 1973; M.

Giannetto, L’industria elettrica nella mobilitazione bellica, in L. De Rosa (a cura di), Storia dell’industria

elettrica in Italia, vol. II, Il potenziamento tecnico e finanziario (1914-1925), Laterza, Roma-Bari 1993; A.

Mantegazza, Caproni e l'industria aeronautica italiana in «Archivi e Imprese», a.5, n.9 (gennaio-giugno

1994); R. Lucidi, Un'industria bellica del Mezzogiorno: il Silurificio Italiano dal 1922 al 1945 in «Società

di Storia Militare», (Quaderno 1995). Più in generale, per uno studio complessivo sull’industria italiana

durante la Grande guerra si vedano: M. Mazzetti, L’industria italiana nella Grande guerra, USSME, Roma

1979; U. M. Miozzi, La mobilitazione industriale italiana (1915-1918), cit.; U. M. Miozzi, Tra guerra e

dopoguerra (1915-1919), EUROMA, Roma 1990; F. Minniti, L’industria italiana tra le due guerre (1915-

1945), Istituto IPSOA, Milano 1984 e L. Tomassini, Lavoro e guerra: la mobilitazione industriale italiana

(1915-1918), Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1997 (quest’ultimo riguardante le “relazioni industriali”). Più

datato ma ugualmente interessante è A. Caracciolo, La formazione della grande industria durante la

prima guerra mondiale, FrancoAngeli, Milano 1967. Torna al testo

Nota 7 Fin dal 1916 inizia una “campagna stampa” di denuncia di alcuni episodi di malaffare realizzatisi

durante la guerra. L’importanza di queste denunce trova conferma nella frequenza di ritagli di giornali nei

fascicoli dell’Archivio Storico Camera dei Deputati (d’ora in poi ASCD), Spese di guerra. A titolo di esempio,

menzioniamo il quotidiano «Il Dovere» che, con l’articolo «E’ opportuno e doveroso che lo scandalo

avvenga. Le turpi istorie della nostra aeronautica» (ASCD, Spese di guerra, Verbale, V, «Allegato n° 4»,

p.25), dà avvio all’inchiesta Caproni. Torna al testo

Nota 8 Si pensi, ad esempio, allo scandalo delle forniture di divise militare il cui panno «lasciava passare

l’acqua come un setaccio; così sotto la pioggia e la neve ed il forte freddo divenivano vere corazze di

ghiaccio» (Allegato n.25, Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23,

Documenti, Disegni di leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.485). Torna

al testo

Nota 9 Sono numerose le ricerche su questo tema. Tra le altre, piace citare: A. Baravelli, La vittoria

smarrita: legittimità e rappresentazioni della Grande Guerra nella crisi del sistema liberale (1919-

1924), Carocci, Roma 2006 e Id., La legittimità della Grande Guerra quale vettore di innovazione della

politica: Il collegio di Chieti nelle campagne elettorali del primo dopoguerra in «Abruzzo

contemporaneo. Rivista dell'Istituto abruzzese per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza», 15 (2002),

pp.11-51. Interessantissimo è poi il saggio di P. N. Di Girolamo, «Pescacani» o patrioti? L’Ansaldo, l’Ilva,

le «Armi e munizioni» attraverso le carte della Commissione parlamentare in C. Crocella e F. Mazzonis

(a cura di), L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra (1920-1923), vol. I, Saggi, Camera dei

deputati, Roma 2002. Sulle elezioni del 1919, citiamo per tutti S. Noiret, La nascita del sistema dei partiti

nell'Italia contemporanea: la proporzionale del 1919, P. Lacaita, Manduria 1994. Torna al testo

Nota 10 Il discorso è riportato interamente su La Stampa del 13 ottobre 1919 ed è successivamente

pubblicato in un opuscolo dal titolo Discorso di S. E. Giovanni Giolitti pronunciato in Dronero il 12

ottobre 1919 Agli elettorali della provincia di Cuneo. Torna al testo

Nota 11 Essenzialmente Giolitti propone tre azioni in proposito: una tassa sui sovrapprofitti di guerra, una

sui titoli al portatore e provvedimenti contro l’evasione fiscale. Torna al testo

Nota 12 Tra i membri nominati dal Senato risultano poco presenti i militari e i rappresentanti della cultura,

ossia rispettivamente gli elementi più direttamente interessati all’inchiesta e quelli potenzialmente più

autonomi, mentre nel gruppo nominato dalla Camera gli esponenti dell’opposizione al governo risultano

essere la maggioranza. Torna al testo

Nota 13 Ddl n.999/1920 art. 1, par. A e B. Torna al testo

Nota 14 Ibidem. Torna al testo

Nota 15 Ivi, par. C. Torna al testo

Nota 16 ASCD, Spese di guerra, Verbale n.1, 9 agosto 1920, p.4. Torna al testo

Nota 17 Si tratta di una delle sottocommissioni il cui operato è più strettamente monitorato dall’opinione

pubblica, interessandosi di alcuni degli scandali più conosciuti come quelli inerenti alla produzione di generi

di sussistenza e casermaggio e quelli relativi alle forniture di panno grigio-verde. Torna al testo

Nota 18 Sono quindi presenti le inchieste sui contratti siderurgici, compresa quella sull’Ilva, e quelle relative

alle due grandi inchieste compiute a carico dell'Ansaldo, denominate "Doppia vendita di cannoni" e

"Vertenza noli". Torna al testo

Nota 19 Vi sono così accluse tutte le indagini relative ai principali contratti stipulati con le industrie fornitrici di

materiale bellico per attrezzare militarmente il naviglio, anche quello requisito alla flotta mercantile

nazionale. Torna al testo

Nota 20 Quando la sottocommissione comincia a operare (ottobre 1920) è ancora in atto l'operazione di

liquidazione del materiale residuato dalla guerra. Di fatto, quindi, essa non conduce solo un'inchiesta

retrospettiva ma svolge anche un'azione di controllo sugli organi cui è affidata la gestione dell'affare. Torna

al testo

Nota 21 Si interessa pertanto del sistema socio-economico accordato dallo Stato ai militari e alle loro

famiglie: la vastità e la complessità dell’oggetto d’indagine fanno di questa sotto-commissione una delle più

attive. Torna al testo

Nota 22 Cfr. Ddl n.999/1920. Torna al testo

Nota 23 ASCD, Spese di guerra, Verbale, V, p.7. Torna al testo

Nota 24 ASCD, Spese di guerra, b.31, fasc.276, in particolare “Verbale d’interrogatorio” e “Verbale

d’interrogatorio con giuramento” in cui vi è allegato una sorta di elenco di argomenti da sottoporre

all’interrogato. Torna al testo

Nota 25 Ddl n.999/1920, art. 8. Torna al testo

Nota 26 Ivi, art.1. Torna al testo

Nota 27 Ivi, art.2. Torna al testo

Nota 28 Ossia il sequestro di documentazione e di materiale, l’ipoteca sui beni immobili e mobili,

l’imposizione di cauzioni e la sospensione dei contratti ancora in corso. In C. Crocella, F. Mazzonis (a cura

di), L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra, cit., p.119. Torna al testo

Nota 29 Si veda a proposito la delibera assunta in adunanza plenaria il 5 marzo 1921 (ASCD, Spese di

guerra, Verbale n.7, 5 marzo 1921) in cui, indagando sull’Ilva e incontrando resistenze da parte dell’azienda,

si decide di procedere comunque contro la società anche senza l’autorizzazione parlamentare. Torna al

testo

Nota 30 ASCD, Spese di guerra, b.5 fasc.25. La proposta ha un’articolazione molto semplice (dodici articoli

in sei cartelle dattiloscritte più una settima intitolata “Varianti al progetto”) e prevede un’estensione dei poteri

della Commissione e l’assunzione della facoltà di recupero. Torna al testo

Nota 31 Gazzetta Ufficiale n.122 del 24 maggio 1922. Il provvedimento, composto da ventisette articoli,

concede di procedere «agli effetti del recupero delle somme delle quali possa risultare doversi reintegrare

l’erario» (art. 1). Torna al testo

Nota 32 Decreto legge n.1487 del 19 novembre 1922 in Archivio centrale dello Stato (d’ora innanzi ACS),

PCM-GE, 12-22-9, b.188, fasc. Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra, sfasc. Proroga

dei poteri. Torna al testo

Nota 33 A. M. Storoni Piazza, Dalle carte del nonno. Ulderico Mazzolani, un repubblicano tra le due

guerre, Le Monnier, Firenze 2013, p.222. Torna al testo

Nota 34 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle

spese di guerra, U. Mazzolani, Introduzione, vol. I, p.3. Torna al testo

Nota 35 La somma è stata desunta esaminando la documentazione in ACS, PCM-GE, 19-22-9, b.188, fasc.

Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di Guerra, sfasc. Spese per il funzionamento della

Commissione. Torna al testo

Nota 36 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle

spese di guerra, U. Mazzolani, Introduzione, vol. I, p.6. Torna al testo

Nota 37 Cfr. Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti,

Disegni di leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. II, pp.844-847. Torna al

testo

Nota 38 Ivi, Vol. I, p.11. Torna al testo

Nota 39 Ivi, Vol. I, p.12. Torna al testo

Nota 40 In effetti, la Commissione acquisisce questa documentazione e la studia con attenzione, visto i

numerosi riferimenti che a questa fanno le varie sotto-commissioni. Torna al testo

Nota 41 Questi dati sono desunti da Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione

1921-23, Documenti, Disegni di leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I,

p.12. Torna al testo

Nota 42 Ivi, pp.12-13. Torna al testo

Nota 43 Ossia i pagamenti diretti effettuati, così come risultano dai vari uffici pagamenti ministeriali. Torna al

testo

Nota 44 Art. 1 d.l. n.1915 del 27 maggio 1915. Torna al testo

Nota 45 Decreto n.890 del 20 giugno 1915. Torna al testo

Nota 46 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.20. Torna al testo

Nota 47 Ivi, p.23. Torna al testo

Nota 48 Ibidem. Torna al testo

Nota 49 Ibidem. Torna al testo

Nota 50 Ibidem. Torna al testo

Nota 51 Ivi, p.30. Torna al testo

Nota 52 La scelta di questo comparto produttivo è motivata dall’importanza che questo avrà negli anni

successivi e alla stessa novità tecnologica rappresentata dall’apparecchio aereo, che determina ingenti

investimenti per avviarne la produzione. Stranamente la storiografia non si è particolarmente dedicata a

questo tema: la maggior parte delle pubblicazioni sono volte a un’indagine e a una visione che potremmo

definire “idealistica” delle imprese e dell’industria aeronautica. Tra i volumi meritevoli di attenzione, possiamo

ricordare quello di P. Ferrari (a cura di),La grande guerra aerea: 1915-1918: battaglie, industrie,

bombardamenti, assi, aeroporti, Edizioni Gino Rossato, Valdagno 1995; Id, L’aeronautica italiana. Una

storia del Novecento, FrancoAngeli, Milano 2004; AA.VV., L’aeronautica italiana nella I guerra

mondiale: Atti del Convegno, Aeronautica militare Ufficio Storico, Roma 2010 e quello di M.

Civoli, Aeroplani: regia aeronautica, aeronautica militare, Gribaudo, Colognola ai Colli (Vr) 2008.

Fondamentale poi il saggio di M. Simoncelli, La produzione bellica aeronautica e navale nelle carte della

Commissione parlamentare d’inchiesta, in C. Crocella e F. Mazzonis (a cura di),L’inchiesta

parlamentare sulle spese di guerra (1920-1923), cit. Torna al testo

Nota 53 A questa crescita produttiva contribuisce anche la creazione nel 1917 di un apposito organismo, il

Commissariato generale per l’Aeronautica guidato fino al 1918 dall’onorevole Eugenio Chiesa. Sul

Commissariato e su Eugenio Chiesa sono particolarmente interessanti questi due volumi: E.

Chiesa, L’aeronautica di guerra: nella gestione del commissariato generale, Gorlini, Milano 1921 e

Mary e Luciana Chiesa (a cura di), La vita di Eugenio Chiesa nel centenario della nascita (1863-1963),

A. Giuffrè, Milano 1964. Torna al testo

Nota 54 Si tenga conto che negli ultimi due mesi del 1918 la produzione risente del ristagno dei lavori

dovuto al cessare delle ostilità. Dati da Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione

1921-23, Documenti, Disegni di leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I,

p.321. Torna al testo

Nota 55 La sua nascita è sancita dal decreto luogotenenziale n.1698 del 17 novembre 1918. Presieduto da

Ettore Conti, riunisce imprenditori e tecnici dell’industria privata (come Alberto Pirelli e Oscar Sinigaglia) e

rappresentanti dello Stato, del Ministero per le Armi e Munizioni e dell’Aeronautica. Sull’intrigante e

complessa figura di Ettore Conti, pioniere dell’applicazione dell’energia elettrica e dello sfruttamento delle

forze idrauliche in Italia, si ricorda, tra gli altri, la pubblicazione del volume autobiografico: E. Conti, Dal

taccuino di un borghese, Il Mulino, Bologna 1986. Torna al testo

Nota 56 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.324. Torna al testo

Nota 57 Cfr. Circolare n.1160 del 29 dicembre 1918 del Comitato Interministeriale per la sistemazione delle

imprese belliche in Ivi, p.324. Torna al testo

Nota 58 Ibidem. Torna al testo

Nota 59 Ivi, p.325. Torna al testo

Nota 60 Ivi, p.325 e sgg. Torna al testo

Nota 61 In tale cifra non è incluso quanto liquidato alla Fiat e all’Ansaldo, rispettivamente 65 milioni di lire e

664.474.239 lire, poiché oltre alla fornitura di materiale aeronautico hanno commesse anche per anche altro

materiale (ASCD, Spese di guerra, b.1, sfasc.1 Costo finanziario della guerra). Torna al testo

Nota 62 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.325. Torna al testo

Nota 63 Ivi, p.324. Torna al testo

Nota 64 Si tratta di un metodo di calcolo molto utilizzato dalla stessa Commissione che, pur riconoscendone

limiti e difetti, apprezza la possibilità di sintetizzare e illustrare in poche righe complessi calcoli

matematici. Torna al testo

Nota 65 Quali ad esempio montaggio, collaudo, rischi, minor tassa di registrazione del contratto e mancato

pagamento dei diritti del brevetto. Torna al testo

Nota 66 E’ da notare che spesse volte il prezzo di catalogo delle singole parti è addirittura superiore a quello

accordato nel contratto per il motore e l’apparecchio completi. Torna al testo

Nota 67 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.327. Torna al testo

Nota 68 Ivi, p.335. Torna al testo

Nota 69 La circolare rimanda infatti all’art.7 del decreto luogotenenziale n.971 del 14 giugno 1917. Torna al

testo

Nota 70 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.330. Torna al testo

Nota 71 Ivi, p.330. Torna al testo

Nota 72 Le pene oscillano da un minimo dell’1 per cento del prezzo per tre giorni di ritardo al massimo del

10 per cento. Dopo sessanta giorni dalla data di consegna pattuita l’amministrazione militare avrebbe potuto

rifiutare definitivamente il manufatto o annullare la fornitura. Torna al testo

Nota 73 ASCD, Spese di guerra, b.18 fasc.187, Relazione sulla sistemazione della ditta Piaggio & C., p.

27. Torna al testo

Nota 74 ASCD, Spese di guerra, b.18, fasc.189, Sistemazione della ditta Officine Meccaniche già Miani

& Silvestri, p.38. Torna al testo

Nota 75 ASCD, Spese di guerra, b.18, fasc.188, Relazione sulla sistemazione della Ditta “Automobili

Diatto” di Torino, p.26. Torna al testo

Nota 76 ASCD, Spese di guerra, b.18, fasc.185, Sistemazione della ditta Gnome e Rhone di Torino,

p.34. Torna al testo

Nota 77 Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Legislatura XXVI, Sessione 1921-23, Documenti, Disegni di

leggi e relazioni, Relazione finale Commissione Spese di guerra, Vol. I, p.31. Torna al testo