"Space Oddity": poesia siderea come odissea filosofica, da John Donne a David Bowie

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1 ‘SPACE ODDITY: POESIA SIDEREA COME ODISSEA FILOSOFICA DA JOHN DONNE A DAVID BOWIE di Francesca Orestano All’interno della letteratura inglese, dal Seicento al Novecento, diversi testi convergono verso il discorso filosofico, istituendo con esso legami di varia natura. La natura di questi legami è la mia risposta al quesito: esiste la poesia filosofica? A un livello elementare è già possibile asserire che l’assunto che vuole il discorso filosofico astratto, logico, razionale, e la poesia autoreferenziale e ambigua, segnala comunque l’appartenenza di entrambi all’ambito della discorsività, del linguaggio, cui si addicono potenzialmente e in eguale misura oscurità e chiarezza. Per misurare l’uno e l’altra può infatti valere la proposizione: “i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”. 1 Le proposizioni di Wittgenstein riconducono all’enunciato tutta la ricerca filosofica, ma per estensione e funzione dialogica assimilano ad essa discorsi ‘altri’, che articolano forme di conoscenza del mondo e ne attivano la ricezione come fatto altamente logico o fondamentalmente illogico, illuminato o oscuro. Il filosofo si chiede: “E se i nostri segni fossero così indeterminati come il mondo che rispecchiano?” 2 Se si accetta che “scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri”, che essa “deve delimitare il pensabile e con ciò l’impensabile” e “deve delimitare l’impensabile dal di dentro, attraverso il pensabile”, ne discende che lo scarto tra poesia e filosofia sembra risiedere nella questione logica, nell’estensione e consistenza che si vuol dare a questa: la filosofia “significherà l’indicibile rappresentando chiaro il dicibile”, 3 ma la poesia a sua volta significherà il dicibile rappresentando chiaro l’indicibile. A valle di questo panorama sorgono altre domande di natura letteraria: se è vero che esiste il romanzo filosofico, e ne sono esempi il Candide di Voltaire o Rasselas the Prince of Abyssinia di Samuel Johnson, perché non può esistere la poesia filosofica? E infine, se si vuole ricondurre l’essenza o definizione della poesia alla presenza di una gabbia conferita da una struttura formale alla materia del discorso, come si spiega che 1 LUDWIG WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1964, p. 63, p.145. 2 Ivi, p.104. 3 Ivi, pp. 27-28.

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‘SPACE ODDITY’: POESIA SIDEREA COME ODISSEA FILOSOFICA

DA JOHN DONNE A DAVID BOWIE

di Francesca Orestano

All’interno della letteratura inglese, dal Seicento al Novecento, diversi testi convergono

verso il discorso filosofico, istituendo con esso legami di varia natura. La natura di

questi legami è la mia risposta al quesito: esiste la poesia filosofica? A un livello

elementare è già possibile asserire che l’assunto che vuole il discorso filosofico astratto,

logico, razionale, e la poesia autoreferenziale e ambigua, segnala comunque

l’appartenenza di entrambi all’ambito della discorsività, del linguaggio, cui si addicono

potenzialmente e in eguale misura oscurità e chiarezza. Per misurare l’uno e l’altra può

infatti valere la proposizione: “i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio

mondo”.1 Le proposizioni di Wittgenstein riconducono all’enunciato tutta la ricerca

filosofica, ma per estensione e funzione dialogica assimilano ad essa discorsi ‘altri’, che

articolano forme di conoscenza del mondo e ne attivano la ricezione come fatto

altamente logico o fondamentalmente illogico, illuminato o oscuro. Il filosofo si chiede:

“E se i nostri segni fossero così indeterminati come il mondo che rispecchiano?”2 Se si

accetta che “scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri”, che essa “deve

delimitare il pensabile e con ciò l’impensabile” e “deve delimitare l’impensabile dal di

dentro, attraverso il pensabile”, ne discende che lo scarto tra poesia e filosofia sembra

risiedere nella questione logica, nell’estensione e consistenza che si vuol dare a questa:

la filosofia “significherà l’indicibile rappresentando chiaro il dicibile”,3 ma la poesia a

sua volta significherà il dicibile rappresentando chiaro l’indicibile.

A valle di questo panorama sorgono altre domande di natura letteraria: se è vero

che esiste il romanzo filosofico, e ne sono esempi il Candide di Voltaire o Rasselas the

Prince of Abyssinia di Samuel Johnson, perché non può esistere la poesia filosofica? E

infine, se si vuole ricondurre l’essenza o definizione della poesia alla presenza di una

gabbia conferita da una struttura formale alla materia del discorso, come si spiega che

1 LUDWIG WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1964,

p. 63, p.145. 2 Ivi, p.104.

3 Ivi, pp. 27-28.

2

filosofia e poesia condividono la forma del dialogo?4 Ciò riconduce al campo della

logica, e a quello che si vorrebbe esclusivo territorio della filosofia.

Poesia siderea, discorso filosofico

Il mio contributo ha al suo centro la poesia siderea e il profondo coinvolgimento che essa

attua nei confronti del discorso filosofico. La poesia siderea, cosmica, o delle stelle, si

costituisce nella tradizione occidentale come un luogo poetico nel quale, a partire dal

modello italiano, la poesia britannica trova linfa e orientamento per affrontare ciò che

appare tradizionalmente ordinato e chiaro, modernamente incerto e nebuloso. In

Letteratura europea e medioevo volgare, Piero Boitani intitola “Stelle” un capitolo che

spazia da Dante alla poesia americana del Novecento, segnalando come la poesia siderea

sia il locus dove la mente interroga, con l’universo, le proprie nozioni di esso, la propria

natura e la configurazione stessa del sapere. Il tema sidereo è già presente nella

Commedia, e “l’uso che Dante fa delle stelle è […] astronomico, metafisico, psicologico,

descrittivo ed estetico”;5 Petrarca, attraverso le stelle, integra al campo poetico quello

cosmico e quello etico, mentre Tasso, definito il maggior poeta delle stelle nel

Rinascimento, delinea un universo cristiano e pre-copernicano al cui centro vi è continua

metamorfosi, conflitto, corruzione e generazione dalla corruzione, vita e morte: Eraclito.

Al cielo appartiene la perfezione delle stelle, alla terra caligine, oscurità, orrore. Non

sono da meno gli epigoni della tradizione italiana che nel Rinascimento inglese

riscrivono la tragedia dell’uomo moderno. Per Christopher Marlowe, nella notte finale

che sigilla la tragedia del Doctor Faustus, il sangue di Cristo scorre attraverso il

firmamento stellato. Dai poeti italiani muove anche Sir Philip Sidney, che intitola

Astrophel and Stella un canzoniere amoroso ispirato al Petrarca. Ed è proprio Sidney, il

poeta astrofilo capace di pronosticare nel Sonetto 26 i moti amorosi di Stella

dall’inclinazione della sua stella, a difendere in prosa la poesia, prima nutrice di ogni

sapere, dall’accusa mossale da “all them that professing learning inveigh against

poetry.”6

4 FRANCESCA ORESTANO, Il dialogo come forma simbolica. Filosofia e ‘conversation’ nella narrativa

inglese, in MARIALUISA BIGNAMI, a c. di, Le trame della conoscenza. Percorsi epistemologici nella

letteratura inglese dalla prima modernità al postmoderno, Milano, Unicopli, 2007, pp. 47-66. 5 PIERO BOITANI, Letteratura europea e medioevo volgare, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 368.

6 PHILIP SIDNEY, Defence of Poesie, in John HOLLANDER, FRANK KERMODE (a c. di) The Literature of

Renaissance England, Oxford, Oxford University Press, 1873, pp. 136-149. Trad.: “tutti coloro che

3

Si tratta della smagliante Defence of Poesie (1582?) che contro The School of

Abuse (1579) di un oscuro puritano, e generalmente contro tutti i “Mysomusoi”, sostiene

che la poesia sia superiore tanto alla storia, troppo occupata da dettagli di fatti, quanto

alla filosofia, ancorata a concetti astratti, e definita a volte “misty”, nebbiosa. Il poeta

opera nello stesso ambito del filosofo,

for whatsoever the philosopher saith should be done, he [the poet] giveth a

perfect picture of it […] so no doubt the philosopher with his learned

definition replenisheth the memory with many infallible grounds of wisdom,

which, notwithstanding, lie dark before the imaginative and judging power, if

they be not illuminated or figured forth by the speaking picture of poesy.7

Invero, aggiunge Sidney, “neither philosopher nor historiographer could at the first have

entered into the gates of the popular judgement, if they had not taken a great passport of

poetry”:8 prova ne sia che in Astrophel and Stella la conoscenza del cosmo e dei suoi

ritmi, orbite, grandezze, eternità delle stelle si lega al concetto di una Natura che non

agisce mai senza motivo, all’idea di un’enigmatica seppur evidente causalità – che le

stelle degli occhi della sua Stella confermano in misteriosa concordia. Ma è con la crisi

del Rinascimento che il tema cosmico sembra allargarsi sino a coincidere con lo stesso

spazio del sapere, del quale diventa oggetto e metafora: accomunati in tale campo

convivono Bruno e Galilei, Shakespeare e i poeti metafisici. Mentre la persecuzione

puritana prende le armi contro la poesia, le arti visive, il teatro e la Authorized Version

della Bibbia traccia il solco invalicabile del discorso religioso, la prima tradizione di

poesia cosmica, fondata sulla rassicurante concordanza della macchina del mondo, a

partire dal Primo Mobile sino al destino individuale, viene scossa da un terremoto che ne

mette fuori sesto tutti gli ingranaggi. Allora

ha luogo la grande rivoluzione astronomica che porta alla costruzione di un

nuovo paradigma e un nuovo modello dell’universo: quello per il quale la

scienza viene elaborata, a partire dall’esperienza, su basi matematiche, e quello

che al cosmo tolemaico sostituisce il copernicano.9

Di questo ribaltamento religioso ed epistemologico e dell’oscillare tra saperi scientifici,

filosofici, religiosi, poetici, in una condizione che mostra il vertiginoso immenso spazio

professando la conoscenza inveiscono contro la poesia”. Dove non diversamente indicato, le traduzioni

sono di chi scrive. 7 P. SIDNEY, Defence of Poesie, p. 140. Trad.: “Per ogni requisito indicato dal filosofo, il poeta ne dà una

perfetta rappresentazione […] il filosofo dunque con le sue erudite definizioni nutre la memoria con solida

infallibile saggezza che, tuttavia, rimane oscura per le facoltà del giudizio e dell’immaginazione se non

viene illuminata o raffigurata dalla parlante immagine poetica.” 8 Ivi, p.138. Trad.: “Né il filosofo né lo storico avrebbero potuto accedere all’area del giudizio popolare

senza essere muniti del passaporto della poesia”. 9 P. BOITANI, Letteratura europea e medioevo volgare, p. 390.

4

del nuovo firmamento e l’abisso di instabilità che dal macrocosmo si propaga alla

condizione umana, è ben consapevole Shakespeare nel 1605, quando fa dire ad Amleto:

There are more things in heaven and earth, Horatio,

Than are dreamt of in your philosophy.10

La poesia delle stelle permane allora a segnalare lo snodo critico tra sapere e religione,

tra astronomia e astrologia, realtà e fantasmi, offrendo quello spazio infinito dove il

poeta può speculare, ribaltare ogni nozione, attenersi alla tradizione o spingersi da

pioniere sino ai poli celesti e sin là dove l’immobile sole sembra aver rubato il posto nel

cielo al Primo Mobile. Non solo la poesia delle stelle e dei pianeti è quella prediletta dai

cosiddetti metafisici –vissuti in Inghilterra nel burrascoso Seicento: John Donne, Henry

Vaughan, Andrew Marvell, Carew, Suckling, Traherne, Cleveland, Cowley, per citare i

più famosi – ma, ancor più rilevante al nostro tema, la poesia dei metafisici viene

costantemente associata alla filosofia, pur se in guisa di una critica negativa, formulata

dalla sponda del Settecento neoclassico.

È Samuel Johnson, in Lives of the English Poets (1779-1781), a inserirli nel

canone letterario inglese coniando il termine ‘metafisici’.

About the beginning of the seventeenth century appeared a race of writers

that may be termed the metaphysical poets; […] The metaphysical poets

were men of learning, and to show their learning was their whole

endeavour […]. Those, however, who deny them to be poets, allow them to

be wits. […]

But Wit […] may be more rigorously and philosophically considered as a

kind of discordia concors; a combination of dissimilar images, or discovery

of occult resemblances in things apparently unlike. […] The most

heterogeneous ideas are yoked by violence together; nature and art are

ransacked for illustrations, comparisons, and allusions; their learning

instructs and their subtilty surprises; but the reader commonly thinks his

improvement dearly bought, and though he sometimes admires, is seldom

pleased.11

10

WILLIAM SHAKESPEARE, The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark, Cambridge, Cambridge

University Press, 1936, p.32, Atto I, 5, vv. 167-168. Trad.: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di

quante se ne sognano nella vostra filosofia”. 11

SAMUEL JOHNSON, Lives of the English Poets, 2 voll., Oxford, Oxford University Press, 1912, I, pp. 13-

15. Trad.: “Verso l’inizio del diciassettesimo secolo apparve una razza di scrittori che possono essere

definiti poeti metafisici; […] I poeti metafisici erano uomini di cultura, e fare mostra di tale cultura fu la

loro massima ambizione […] Coloro che negano che siano dei poeti ammettono che siano degli spiriti di

acuta intelligenza. […] La loro intelligenza […] può essere considerata in modo rigorosamente filosofico

come una sorta di discordia concors: una combinazione di immagini dissimili, ovvero la scoperta di

occulte affinità tra cose apparentemente diverse […] Le idee più eterogenee sono aggiogate insieme a

forza; la natura e l’arte saccheggiate per illustrazioni, paragoni, allusioni; il loro sapere istruisce, la

sottigliezza sorprende, ma il lettore di solito ritiene di acquisire il suo vantaggio a un prezzo troppo alto e,

anche se a volte ammira, raramente gode.”

5

Così Johnson nel Settecento, lamentando che le “strong lines” dei metafisici indulgevano

troppo sovente alle sottili speculazioni della filosofia, a scapito di sentimenti e emozioni.

E certo i metafisici scrivevano di filosofia anche quando volevano corteggiare la donna

amata o falciare un prato, o comporre un mazzolino di viole, o immaginare un banchetto

senza cibo: spesso la loro poesia si distingue per la capacità, particolarmente sviluppata

in Donne, Marvell, Vaughan, di saper immaginare e descrivere, insieme a un modello di

fede o di passione, una mappatura geografica, un sistema astronomico e sociale, anche il

suo rovescio o inverso, con una fulminea reciprocità di pensiero, sfoggiando una

capacità disgregatrice, analitica, che Johnson disapprova in poesia, perché richiede la

frammentazione del reale in particelle – o se si vuole enunciati fatti di sottili distinzioni

logiche –, che funzionano come il prisma, colpito da un unico potente fascio di luce ma

sorgente di una cangiante confusione di singoli colori.

Johnson osserva che essi toccano problemi di pertinenza filosofica: identità,

mente e corpo, nozione di conoscenza; la loro religione oscilla tra cattolicesimo e fede

anglicana, empirismo, neoplatonismo ed ermetismo; tra loro i pitagorici e gli gnostici; i

loro amori sono geografici, ottici, vegetali; l’ordine presuppone il caos e viceversa; un

uomo buono è come un telescopio, avvicina la virtù; gli amanti fedeli un compasso; le

lacrime simili a mappamondi dove si iscrivono Europa, Africa, Asia sinché il globo

stesso inondato dal pianto svanisce alla vista.

Nella poesia di John Donne An Anatomy of the World (1611), il tema della morte

di una persona amata (la figlia del suo benefattore Robert Drury, Elizabeth, morta a 14

anni) e della sua assenza dal mondo apre una riflessione sulla lunghezza della vita

umana, dove quella vissuta da Matusalemme si è ora contratta nel breve spazio del

funzionamento di un orologio, mentre la decadenza è affare di una sola generazione; si

vorrebbe essere uomini, ma si è pigmei, e ciò che Dio creò dal nulla torna logicamente al

nulla originario. Se il processo di corruzione della materia appare come un fenomeno

iniziato con la prima ora dell’universo, la conseguenza è un’inversione violenta della

prospettiva di certezze sino ad allora nutrite, una solitudine cosmica della mente tra sole

e terra, ormai perduti al loro ordine rassicurante e prevedibile, così come l’intelligenza

dell’uomo, non più riflessa dalla bontà dei suoi ordinamenti politici e sociali. Privato

della speranza di virtù, il mondo è una struttura sconnessa, “quite out of joint”, fuori

sesto, così come la nozione stessa di conoscenza:

And new philosophy calls all in doubt,

The element of fire is quite put out;

The sun is lost, and th’earth, and no man’s wit

6

Can well direct him where to look for it.

And freely men confess that this world’s spent,

When in the planets, and the firmament

They seek so many new; then see that this

Is crumbled out again to his atomies.

’Tis all in pieces, all coherence gone,

All just supply, and all relation;

Prince, subject, father, son, are things forgot. (vv. 205-215)

12

La nuova filosofia è quella delle teorie di Copernico, Tycho Brahe, Keplero, Galileo: la

sfera del fuoco ne è stata spenta e, perso il sole, anche la terra è alla deriva. L’universo

torna al caos primigenio degli atomi. Le relazioni umane, come quelle tra corpi stellari,

sono pervertite: ma così è anche per la bellezza, le proporzioni che la regolano, la

perfezione geometrica delle sfere celesti.

We think the heavens enjoy their spherical,

Their round proportion embracing all.

But yet their various and perplexed course,

Observed in divers ages, doth enforce

Men to find out so many eccentric parts

[…]

And in these constellations then arise

New stars, and old do vanish from our eyes:

As though heaven suffered earthquakes, peace or war,

When new towers rise, and old demolished are. (vv. 251-262)

13

Il disordine cosmico turba la relazione dell’uomo con il cielo. Da un lato ne viene

esaltata la nuova mentalità scientifica che si avventura alla scoperta e conquista dello

spazio, poiché l’uomo ora cattura le nuove stelle e i loro oscuri movimenti in una rete

poderosa, fatta di meridiani e paralleli:

So, of the Stars, which boast that they do run

In Circle still, none ends where he begun.

All their proportions lame, it sinks, it swells.

For of meridians, and parallels,

Man hath weaved out a net, and this net thrown

Upon the heavens, and now they are his own. (vv. 275-280)14

12

JOHN DONNE, An Anatomy of the World. The First Anniversary. To the Praise of the Dead and the

Anatomy, in John Donne, The Complete English Poems, a c. di A. J. Smith, Harmondsworth, Penguin,

1977, pp. 269-283. Trad.: “La nuova filosofia pone tutto in dubbio, l’elemento del fuoco è spento, il sole è

perso e così anche la terra, e l’ingegno non mostra più dove trovarli. E gli uomini spontaneamente

confessano che questo mondo è spento, quando nei pianeti e nel firmamento ne studiano tanti e nuovi; e

vedono il nostro in briciole, ridotto in atomi; tutto è in pezzi; svanito l’ordine, la distribuzione delle forze,

le giuste relazioni. Principe, suddito, padre, figlio: cose dimenticate.” 13

Ibidem. Trad.: “Riteniamo felici i cieli che nella loro sfericità tutto abbracciano, ma invece il loro corso,

mutevole e intricato, osservato in diverse età, costringe gli uomini a cercarne le irregolarità […] e in

queste costellazioni adesso sorgono stelle nuove, mentre le vecchie svaniscono alla vista, come se il cielo

patisse terremoti, pace o guerra, quando nuove torri s’alzano e le antiche son demolite.”

7

Ma dall’altro lato, l’antica mentalità alchemica e astrologica, l’afflato che dagli atomi in

pioggia dai cieli tolemaici costellava la terra, impregnando fiori e alberi con incantesimi,

le arti magiche del passato, vengono ricordate con nostalgia tanto più acuta perché

quello scambio tra cielo e terra è cessato e perduto per sempre. E con esso i saperi che lo

fondavano e se ne sprigionavano:

What artist can now boast that he can bring

Heaven hither, or constellate anything,

So as the influence of those stars may be

Imprisoned in an herb, or charm, or tree,

And do by touch, all which those stars could do?

The art is lost, and correspondence too.

For heaven gives little, and the earth takes less,

And man least knows their trade, and purposes. (vv. 391-398)15

Spettatori consapevoli di uno scenario epistemico che pullula di saperi antichi e moderni

entrati in competizione e conflitto perché il loro discorso venga legittimato come

autorevole, i poeti metafisici, e John Donne in particolare, propongono una serie di arditi

confronti tra nuove filosofie e teorie che contrapposte, giustapposte, si risolvono in una

serie di atti di dubbio, più che di fede. Le fedi professate peraltro sono varie, siamo in

piena riforma e controriforma, e molti tra i poeti metafisici, convertiti dal cattolicesimo

alla chiesa anglicana, abbracciano poi varietà di culto in conflitto con essa. E poiché la

prospettiva, così come la teleologia religiosa, è una forma simbolica che ordina lo spazio

e gli oggetti che ricadono in esso secondo una precisa formula, è possibile osservare

come lo spazio di questi poeti risulti spesso oscillante tra prospettiva e anamorfosi, o

dotato di una inquietante simultaneità di prospettive diverse del pensiero e del

ragionamento filosofico. Questo spazio poetico, spesso rappresentato come spazio

cosmico, sidereo, è attraversato da una moltitudine di ipotesi che dalla religione e

filosofia spaziano all’astronomia, dall’astrologia alla metafisica e da essa alla visione

dell’universo sociale e politico: ma anche qui le incertezze sono più che le certezze,

poiché un re per diritto divino verrà processato, giustiziato e rimpiazzato da un re eletto

per volontà del parlamento, una società feudale da una classe di commercianti e

14

Ibidem. Trad.: “E tra le stelle, che ancora vantano la loro orbita circolare, nessuna chiude il cerchio là

dove l’ha iniziato. Le loro sbilenche proporzioni si restringono o si gonfiano, perché l’uomo, con

meridiani e paralleli, ha intessuto una rete e l’ha lanciata sui cieli che adesso sono sua preda.” 15

Ibidem. Trad.: “Quale astrologo, alchimista, artista può vantarsi di ravvicinare a noi il cielo o dare voce

alle stelle? In modo che le loro virtù, racchiuse in una pianta, amuleto, albero, al semplice tocco

trasmettano il potere della stella? Quell’arte si è persa, con le sue corrispondenze. Il cielo dà poco, la terra

prende ancor meno, e men che mai l’uomo ne conosce scambi e scopi.”

8

speculatori in buoni del tesoro, Tolomeo da Copernico. Verso il 1660 Johannes Vermeer

dipinge L’astronomo.

La poesia dei metafisici non si distingue solo per aver saccheggiato – come dirà

Johnson – scaffali di intere biblioteche, ma per le costruzioni che essi ne erigono,

mostrando le possibilità infinite che provengono da confronti, associazioni,

combinazioni di saperi diversi, e dalle ulteriori possibilità che questi trovano nella forma

dell’enunciato, sempre soggetto a negazioni, paradossi, inversioni e capovolgimenti

peraltro legittimati dalla logica. Infatti, se un corpo è tempio, è anche tomba; l’eternità

del tempo è uno spazio deserto, che quindi nessuno abita; il terremoto che procura danni

catastrofici è meno percepibile dell’oscillazione del polo celeste, causa della precessione

degli equinozi; una stanza colpita da un raggio di sole diventa il centro dell’universo

tolemaico ma il nuovo sole, la donna amata, simile al sole copernicano, può cambiare la

disposizione geografica di pianeti e continenti. E infine, un corpo abituato ad alimentare

la fede religiosa mediante immagini, incensi, drappi, musiche e fiori, viene incarcerato

dall’anima che trionfa nel digiuno; un occhio abituato al volgere del mappamondo vede

l’universo nella goccia di rugiada; Cromwell e il re, due immagini di Cesare,

conquistatore e tiranno, sono le due facce del potere sulla stessa antica medaglia. Eredità

ed evoluzione sono estremi che si toccano. I frammenti che risultano dal lavoro analitico

di questi poeti si dispongono secondo ipotesi o proposizioni che l’enunciato consente di

erigere in quanto costruzioni di pensiero logico, pur se non sempre o non ancora iscritte

nel grande libro dei saperi vigenti e legittimi.

Il Novecento e l’avventura metafisica: la ‘mente del modernismo’ tra poesia e filosofia

Se Johnson criticava l’eccesso di pensiero, erudizione e filosofia dei metafisici, cui

faceva da contrappunto la loro mancanza di sentimenti e chiarezze d’ordine morale, per

converso un filosofo americano, Emerson, non nasconderà il suo entusiasmo verso di

essi:

Cowley and Donne are philosophers. To their insight there is no trifle. But

philosophy or insight is so much the habit of their minds that they can hardly see

as a poet should the beautiful forms and colors of things, as a chemist may be less

alive to the picturesque. At the same time their poems like life afford the chance

of richest instruction amid frivolous and familiar objects; the loose and the grand,

9

religion and mirth stand in surprising neighborhood and, like the works of great

men, without cant.16

Dopo l’oscuramento romantico, la figura di John Donne torna alla luce prima come

autore di sermoni religiosi, e quindi nella sua vocazione di poeta. È a questa che

Emerson risponde, innescando negli Stati Uniti un interesse per Donne, il poeta filosofo,

non gravato dai problemi della sua biografia ecclesiastica. A Emerson si uniscono Henry

David Thoreau, Margaret Fuller, Henry Wadsworth Longfellow, e James Russell

Lowell. 17

La storia delle edizioni critiche di Donne nell’Ottocento è stata tratteggiata da

Haskin, ed è significativo che il monumento al poeta venisse reintegrato negli anni

Settanta agli onori della cattedrale di St. Paul nel Poets’Corner, luogo canonico della

poesia britannica, dopo aver languito per due secoli, dimenticato, giù nella cripta.

Edmund Gosse e Leslie Stephen, i guru della biografia letteraria di fine secolo,

avrebbero ratificato la promozione. Ma è tra gli artisti del primo Novecento che Donne

trova lettori attenti al dato poetico e filosofico, più che alle questioni religiose: tra loro

Rupert Brooke, Wilfred Owen, William Butler Yeats, James Joyce, T.S. Eliot, Virginia

Woolf. Donne diventa un autore caro alla sensibilità moderna, che si rispecchia nella sua

odissea filosofica: “By the Thirties, Donne was thought of as a poet who had taken an

active, and disillusioning, interest in the new science; and the phrase ‘new Philosophy

calls all in doubt’ was frequently quoted.”18

Gli autori del primo Novecento tornano a speculare, come un tempo i metafisici,

sulle stelle, in prosa e in poesia. Non c’è dubbio che le stelle brillino su uno scenario

dove la filosofia si interroga con scetticismo sulle costruzioni dell’epoca precedente,

delle quali si constata il crollo, mentre nuove scienze propongono inedite combinazioni

di frammenti dei saperi passati. Nel saggio sulla “mind of modernism”, la mente del

modernismo, McFarlane osserva il deteriorarsi di prospettive sicure nell’analisi del

microcosmo e del macrocosmo quando le scoperte di Niels Bohr, Wilhelm Conrad

16

RALPH WALDO EMERSON, “Journals and Miscellaneous Notebooks, V” in A. J. SMITH (a c. di), John

Donne. The Critical Heritage, London, Routledge and Kegan Paul, 1975, p. 304. Trad.: “Cowley e Donne

sono filosofi. Dinanzi al loro discernimento nulla è privo di valore. Ma la filosofia o il discernimento sono

a tal punto il loro abito mentale che essi sono incapaci di guardare alle cose cogliendo, come il poeta, belle

forme e colori – così come il chimico non vede la qualità pittoresca delle cose. Ma allo stesso tempo le

loro poesie, proprio come la vita, danno la possibilità di ricavare insegnamento dagli oggetti più futili e

familiari; ciò che è approssimativo e ciò che è importante, la religione e l’allegria convivono in

sorprendente prossimità e, come nell’opera dei grandi, senza parole difficili.” 17

DAYTON HASKIN, Donne’s Afterlife, in ACHSAH GUIBBORY (a c. di), The Cambridge Companion to

John Donne, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, pp. 233-246, qui p. 239. 18

D. HASKIN, Donne’s Afterlife, p. 241. Trad: “Negli anni Trenta Donne era ritenuto un poeta che aveva

mostrato attivo interesse e disincanto nei confronti della nuova scienza; e la sua frase ‘la nuova filosofia

pone tutto in dubbio’ veniva citata di frequente.”

10

Röntgen, Max Planck, Albert Einstein modificano i concetti della fisica tradizionale, e il

procedimento dell’ipotesi rimpiazza nel discorso scientifico la procedura del metodo

sperimentale.19 Natura dello spazio e della materia, atomi e galassie nelle rispettive

orbite microscopiche e sconfinate, linguaggio e sogni, religioni e antropologia,

sociologia e psicanalisi analizzano e frammentano i saperi proponendo nuove strutture di

legittimazione.

In questo contesto i metafisici vengono riproposti al centro del firmamento

poetico e critico di T.S. Eliot, e riletti alla luce delle incertezze moderne, poiché essi

rispecchiano nel loro gioco intellettuale non solo la poetica dell’impersonalità, ma anche

la possibile simultaneità cubista di prospettive diverse, logiche, scientifiche, estetiche e

musicali, profumi di incenso e odori del cibo quotidiano. Riprendendo nel 1921 in The

Metaphysical Poets il giudizio di Samuel Johnson,20

Eliot ne rivaluta la qualità analitica

che permette di affrontare la difficile rappresentazione di mondo interiore e cosmo

attraverso elementi discordi e punti di vista eterogenei che la mente pone a confronto, in

giustapposizione piuttosto che in sintesi. La poesia che ne deriva deve essere per

conseguenza complessa, frutto di molteplicità prospettiche che visualizzano il perfetto e

il deforme, l’andata e il ritorno dalla proposizione all’ipotesi, un ventaglio di

dimostrazioni possibili. Eliot ne descrive l’arduo e potente effetto come “telescoping of

images and multiplied associations”21 caratteristica di quel periodo – e forse anche del

proprio. Johnson, sostiene Eliot, con l’intento di criticarli toccava il loro vero pregio: la

dimensione analitica, la dissoluzione della realtà in frammenti, o particelle, o atomi, o

enunciati, o proposizioni e aforismi. Si tratta, a ben vedere, della stessa poetica della

Waste Land: “these fragments I have shored against my ruin.”22 Ma è il metodo, fondato

sulla nozione di rovina, il dato interessante. Secondo Eliot, un pensiero per John Donne

era un’esperienza concreta: modificava la sua sensibilità. E così dovrebbe funzionare la

mente poetica: dalle esperienze più disparate trarre nuove combinazioni, nuovi mondi,

nuovi canoni poetici e artistici, nuove concezioni della storia. “The poets of the

seventeenth century possessed a mechanism of sensibility which could devour any kind

19

JAMES MCFARLANE, The Mind of Modernism, in MALCOLM BRADBURY (a c. di), Modernism, 1890-

1930, Harmondsworth, Penguin, 1976, pp. 71-94. 20

Si veda anche RONALD SCHUCHARD ( a c. di), The Varieties of Metaphysical Poetry: The Clark Lectures

at Trinity College, Cambridge, 1926, and the Turnbull Lectures at the Johns Hopkins University, 1933, by

T.S. Eliot, New York, Harcourt Brace, 1993. 21

T.S. ELIOT, The Metaphysical Poets, in Selected Prose of T.S. Eliot, a c. di Frank Kermode, London,

Faber and Faber, 1975, pp. 59-67, qui p.60. Trad.: “Concentrazione di immagini e associazioni

molteplici”. 22

T.S. ELIOT, La terra desolata, con il testo della prima redazione, introduzione, traduzione e note di

Alessandro Serpieri, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 192-193, v. 110. Trad. Serpieri: “Con questi frammenti ho

puntellato le mie rovine”.

11

of experience.”23 Al fertile cannibalismo dei metafisici, che seppero digerire e

metabolizzare, associandole nel loro carattere eterogeneo, le disparità di un’epoca

frammentata e contraddittoria, seguì per Eliot un’epoca di dissociazione della sensibilità:

non fu più possibile quel poderoso atto digestivo, i poeti si rivoltarono contro il

raziocinio, ed ebbe inizio la poesia come esclusiva espressione di sentimenti e

reminiscenze personali. Ma perorando adesso la causa per la propria epoca e per la sua

produzione poetica, Eliot afferma

The possible interests of a poet are unlimited […]. A philosophical theory which

has entered into poetry is established, for its truth or falsity in one sense ceases to

matter, and its truth in another sense is proved. […] It is not a permanent

necessity that poets should be interested in philosophy, or any other subject. We

can only say that it appears likely that poets in our civilization, as it exists at

present, must be difficult. Our civilization comprehends great variety and

complexity, and this variety and complexity, playing upon a refined sensibility,

must produce various and complex results.24

Certo, dal suo pulpito moderno T.S. Eliot osserva che non è necessario che i poeti si

interessino di filosofia; tuttavia epoche complesse richiedono una sensibilità in grado di

affrontare oscurità e chiarezza, strumenti adatti a elaborare l’eterogeneo, il difficile,

l’ambiguo, senza semplificarlo ma restituendolo come esperienza della mente poetica e

della sua complessità capace di fronteggiare l’irrisolto problema della verità. La verità

filosofica sembra articolarsi in un luogo non distante dalla poesia moderna, entrambe

offrendo una salvezza ambigua nello spazio dove tutte le direzioni sono possibili

partenze e ritorni. Secondo Eliot l’intersezione tra filosofia e poesia è più fertile quando

instabilità politica e religiosa, mancanza di certezze metafisiche e fisiche, rivolgimenti e

terremoti nelle teorie che ci legano al cosmo modificano le nozioni relative alla

posizione dell’uomo nello spazio. Non a caso i saggi di Eliot avrebbero stimolato nuove

indagini su Donne orientate a indagare la sua poesia dentro nuovi contesti filosofici:

his theory of the ‘impersonality of the artist’ helped to move the center of gravity

away from biographical concerns and to stimulate a range of contextual studies.

Historians of ideas sought to place Donne’s writings in relation to medievalism,

23

T.S. ELIOT, The Metaphysical Poets, p.64. Trad.: “La sensibilità dei poeti del Seicento era un

meccanismo capace di divorare ogni tipo di esperienza”. 24

T.S. ELIOT, The Metaphysical Poets, p.65. Trad.: “Gli interessi di un poeta sono potenzialmente

sconfinati. […] Una teoria filosofica assunta dentro la poesia viene convalidata perché la sua verità o

falsità cessa di essere importante in un senso, mentre la sua verità in un differente ambito viene dimostrata

[…] Non è certo una necessità assoluta che i poeti si interessino di filosofia o di qualsiasi altro argomento.

Possiamo solo affermare che verosimilmente i poeti della nostra civiltà, così come esiste oggi, devono

essere difficili. Nella nostra civiltà vi sono grande varietà e complessità e questa varietà e complessità,

agendo su una sensibilità raffinata, devono produrre vari e complessi risultati.”

12

Neoplatonism, Petrarchism, the new science, alchemy, and other movements […]

encouraging readers to consider the poetry in wider European contexts. 25

Cultura pop, tema sidereo: l’odissea spaziale

In Albion. The Origins of the English Imagination26

Peter Ackroyd cita i versi di The

World del poeta metafisico Henry Vaughan:

I saw Eternity the other night

Like a great Ring of pure and endless light,

All calm, as it was bright,

And round beneath it, Time in hours, days, years

Driv’n by the spheres,

Like a vast shadow moved, in which the world

And all her train were hurled.27

L’immagine del grande doppio anello, immobile e ruotante, luminoso e oscuro, eterno e

temporale, rappresenta la cultura inglese dove antichità e contemporaneità, letteratura

alta e popolare, poesia e filosofia, scienza e musica sono esperienze diverse ma sempre

associate, contigue. La nozione di base è che “Englishness is the principle of diversity

itself. In English literature, music and painting, heterogeneity becomes the form and type

of art.”28 E appunto questa categoria dell’eterogeneità, già invocata da Johnson e poi da

Eliot (sebbene con diverso intendimento) per definire il carattere della intelligenza – wit

– dei metafisici e della poesia modernista, permette di recuperare al tema sidereo della

poesia filosofica l’ambito della cultura e della musica pop, riconducendo i Beatles,

David Bowie, i Pink Floyd nel solco della tradizione britannica. L’intersezione avviene

fuori dal recinto della cultura accademica, ma è stato osservato che “outside English

25

D. HASKIN, Donne’s Afterlife, p.242. Trad.: “La sua teoria della ‘impersonalità dell’artista’ allontanò il

centro di gravità dai problemi biografici, stimolando una serie di studi relativi al contesto. Gli storici delle

idee posero gli scritti di Donne in relazione a medievalismo, neoplatonismo, petrarchismo, la nuova

scienza, l’alchimia e altri movimenti […] incoraggiando i lettori a considerarne la poesia nel più ampio

contesto europeo.” Si veda anche la nutrita bibliografia di L. E. SEMLER, Select Bibliography, in A.

GUIBBORY (a c. di), The Cambridge Companion to John Donne, pp. 259-273, e in particolare le sezioni

dedicate a “Religion and politics”, “Philosophy and the new science”, “Language, logic, rhetoric, genre

(and Petrarchism)”, pp.267-271. 26

PETER ACKROYD, Albion. The Origins of the English Imagination, London, Chatto & Windus, 2002, p.

xix. Si veda anche PIERPAOLO MARTINO, Down in Albion. Studi sulla cultura pop inglese, Roma, Aracne,

2007, p. 13. Vaughan è citato nel capitolo dove si definisce la cultura pop contemporanea. 27

HENRY VAUGHAN , The World, in The Metaphysical Poets, pp. 271-272. Trad.: “L’altra notte ho visto

l’Eternità, come un grande anello di pura luce infinita, immobile, lucente, e sotto, intorno ad esso il

Tempo, con le sue ore, giorni, anni sospinti dalle sfere, simile a una vasta ombra ruotava, dove il mondo si

slanciava con tutto il suo seguito.” 28

P. ACKROYD, Albion. The Origins of the English Imagination, p. 448. P. MARTINO, Down in Albion.

Studi sulla cultura pop inglese, p. 14. Trad.: “La categoria della Englishness incarna il principio della

diversità. Nella letteratura, musica, pittura inglesi, l’eterogeneità conferisce forma e tipo all’arte.”

13

departments Bob Dylan and Van Morrison have invoked Donne in their music”.29 Qui

non si tratta solo di rimarcare la fertile eterogeneità della Englishness30 che rende

possibile la connessione tra poesia filosofica e cultura popolare, quanto la presenza

tematica dello spazio cosmico, descritto in testi incentrati su razzi e astronauti vaganti

nello spazio, come luogo dell’infinitamente possibile, luogo della conquista e della

perdita – di sé, del mondo. Il tema sidereo, con la speculazione filosofica a esso

connaturata, appartiene tanto alla poesia dei metafisici inglesi del Seicento quanto alla

canzone moderna.

Ciò accade particolarmente negli anni Sessanta, quando i viaggi di esplorazione

dello spazio prendono la forma di una vera e propria competizione tra USA e URSS per

la ‘conquista’ della luna, cui si intersecano le oscillazioni della guerra fredda, le

ambiguità ideologiche e politiche evidenziate dalla questione del Vietnam, i nodi del

pensiero che contrappongono le religioni occidentali alle filosofie orientali. Questi temi

impregnano il dibattito culturale, lo spettacolo e la canzone, che, come la rapsodia

classica del passato, trova i suoi momenti di coinvolgimento popolare più intensi e

spettacolari in grandi festival di canto e declamazione. Il cinema non è da meno. Nel

1968 il film di Stanley Kubrick 2001: Space Odyssey affronta in tutta la sua densità e

ironia il tema spaziale, e ispira a sua volta un rapsodo a comporre su quelle linee. La

canzone Space Oddity – la “Stranezza spaziale” fa eco all’Odissea del titolo di Kubrick –

è composta da David Bowie nel 1969.

Ground Control to Major Tom

Ground Control to Major Tom

Take your protein pills and put your helmet on.

[…]

Commencing countdown engines on

Check ignition

And may God’s love be with you.31

29

D. HASKIN, Donne’s Afterlife, p.244. “Al di fuori dei dipartimenti di Inglese Bob Dylan e Van Morrison

hanno invocato Donne nella loro musica”. 30

Cito per il lavoro critico in Italia ALESSANDRA MARZOLA (a c. di), Englishness. Percorsi nella cultura

britannica del Novecento, Roma, Carocci, 1999, e CARLO PAGETTI e ORIANA PALUSCI (a c. di), The Shape

of a Culture. Il dibattito sulla cultura inglese dalla Rivoluzione industriale al mondo contemporaneo,

Roma, Carocci, 2004. 31

L’album dove in origine figura la canzone Space Oddity si intitolava David Bowie, distribuito in

Inghilterra nel 1969. Nel 1972, in coincidenza con l’atterraggio sulla luna, viene intitolato Space-Oddity e

esce negli Stati Uniti. La BBC lo usa come colonna sonora durante la trasmissione che commenta

l’allunaggio. Nel 1980 Bowie pubblica Ashes to Ashes, dove ricompare il personaggio Major Tom. Il tema

spaziale è ripreso nell’album del 1972, The Rise and Fall of Ziggie Stardust and the Spiders from Mars, in

Starman. Trad.: “Torre di controllo al maggiore Tom, Torre di controllo al maggiore Tom, prendi le tue

pillole di proteine, indossa il casco. […] Inizia il conto alla rovescia, accendi i motori, controlla

l’accensione e che l’amore di Dio t’accompagni.”

14

Munito di proteine in pillole e di fede religiosa nel sostegno che Dio darà all’impresa

spaziale, Major Tom scandisce con la torre di controllo il conto alla rovescia; il razzo

parte, la capsula solca lo spazio sidereo fra stelle dall’aspetto strano e diverso. Sotto di

lui la Terra tutta azzurra e lontanissima:

This is Major Tom to Ground Control

I’m stepping through the door

And I’m floating in a most peculiar way

And the stars look very different today

For here am I sitting in a tin can

Far above the world

Planet Earth is blue

And there’s nothing I can do.

Though I’m past one hundred thousand miles

I’m feeling very still

And I think my spaceship knows which way to go

Tell my wife I love her very much she knows.32

La torre di controllo lancia messaggi, ma il circuito si spegne, la comunicazione si

interrompe e l’astronauta solo nello spazio siderale sa di non poter tornare sul suo

pianeta, sa di essere solo e perso alla terra. Il dramma si consuma nella bellezza

indifferente dello spazio stellato, dove nessuno può aiutare Tom, né Dio né gli scienziati

della NASA. La conquista tecnologica si volge in perdita umana, ma verrà descritta

come un successo nella master narrative dell’epopea spaziale.

L’unisono tematico tra le voci dei metafisici e le liriche di alcune canzoni

moderne, e tra Donne e Bowie in particolare, si fonda sul fatto che il tema sidereo viene

interpretato attraverso avventure religiosamente, filosoficamente e scientificamente

orientate, ma dense di incertezza. Major Tom non trova la strada del ritorno, così come

per Donne il sapere umano, mentre lanciava una rete di meridiani e paralleli sullo spazio,

perdeva quei saperi e quelle arti che glielo rendevano vicino e leggibile. Il tema sidereo

contiene inoltre come punctum del discorso poetico filosofico il sublime riferimento alla

luminosa, enigmatica, indicibile bellezza delle stelle, visibili ma estranee al dramma

umano. L’odissea spaziale non garantisce direzionalità, orientamento, controllo. La

certezza tecnologica dei primi versi si ribalta ironicamente nel guasto dei circuiti, il mito

popolare dell’astronauta, eroe dell’ideologia della conquista lunare, nella modesta

32

Trad.: “Qui maggiore Tom a torre di controllo, sto uscendo dal portello, e galleggio in un modo molto

strano, e le stelle oggi sembrano diverse, qui seduto in un barattolo di latta, lontano dal mondo, la terra è

azzurra e non posso fare nulla. Anche se lontano più di centomila miglia mi sembra di essere fermo, la mia

astronave sa dove andare, credo. Dite a mia moglie che la amo tanto, lo sa.”

15

aspirazione domestica. La velocità del veicolo contrasta con il suo essere passivo,

immobile.

In Mythologies, le riflessioni di Roland Barthes sul mito contemporaneo si

appuntano su “L’homme-jet”, “une race nouvelle de l’aviation, plus proche du robot que

du héros”33

con interessanti spunti per il nostro tema:

Mais ce qui frappe d’abord dans la mythologie du jet-man c’est l’élimination

de la vitesse: […] crise immobile de la conscience corporelle. Il est normal

qu’à ce point le mythe de l’aviateur perd tout humanisme. […]Sa particularité

raciale se lit dans sa morphologie: la combinaison anti-G en nylon gonflable, le

casque poli engagent l’homme-jet dans une peau nouvelle. […] Il s’agit là

d’une véritable conversion raciale, d’autant plus plausible que la science-fiction

a déjà largement accrédité ce transfert d’espèces.34

Attento alle trasformazioni morfologiche che incombono alla razza umana nel destino

spaziale, Barthes associa alla mutazione un’ulteriore dimensione di complessità che, già

implicita nel destino di Major Tom o nelle inquietudini di John Donne, riprende il

pensiero del passato per leggere il presente: “La société finit par retrouver dans

l’homme-jet le vieux pacte théosophique qui a toujours compensé la puissance par

l’ascèse, payant la semi-divinité avec la monnaie du ‘bonheur’ humain.”35

Particolarità

del mito dell’uomo-jet è quella di essere privo di quegli aloni romantici e individualisti

che competevano alla sacralità del ruolo dell’aviatore: l’astronauta è un eroe del

compromesso, un essere intermedio tra uomini e Marziani: “L’homme-jet est un héros

réifié, comme si aujourd’hui encore les hommes ne pouvaient concevoir le ciel que

peuplé de semi-objets.”36

Situato con ironia tra l’enfasi religiosa e l’ideologia del discorso scientifico, il

dramma di Major Tom si interseca alle certezze di chi l’ha mandato in orbita (o messo in

lattina, il che è uguale) e, vittima dell’inefficienza della tecnologia spaziale, viene

ricompensato tanto dall’essere l’idolo dei media (“And the papers want to know whose

33

ROLAND BARTHES, L’homme-jet, in Mythologies, Paris, Editions du Seuil, 1957, pp. 87-90, qui p.87.

Trad.: “Una nuova razza nella storia dell’aviazione, più prossima al robot che all’eroe”. 34

R. BARTHES, L’homme-jet, pp.88-89. Trad.: “Ma ciò che colpisce da subito nella mitologia del jet-man

è l’eliminazione della velocità: […] crisi immobile della coscienza corporea. È normale che a questo punto

il mito dell’aviatore perda ogni carattere umanista […]. La sua particolarità razziale si legge nella

morfologia: la tuta anti-G in nylon gonfiabile, il casco lucente avvolgono l’uomo-jet in una nuova pelle.

[…] Si tratta di una vera trasformazione della razza, ancor più plausibile in quanto la fantascienza ha già

largamente accreditato questi mutamenti di specie”. 35

R. BARTHES, L’homme-jet, p.89. Trad.: “La società finisce per ritrovare nell’uomo-jet l’antico patto

teosofico che da sempre compensa il potere con l’ascesi, ripagando la semi-divinità con la moneta della

felicità umana.” 36

R. BARTHES, L’homme-jet, p.90. Trad.: “L’uomo-jet è un eroe reificato, come se ancor oggi gli uomini

non potessero concepire il cielo se non popolandolo di quasi-oggetti.”

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shirts you wear”: “i giornali vogliono sapere che marca di camicia porti”) quanto dalla

bellezza sublime e incalcolabile del cosmo nel quale è destinato a perdersi e permanere,

asceta passivo e immobile nella sua “tin-can”.

Osservato e costruito dallo spazio, il discorso di questa lirica degli anni Sessanta

pone quesiti poetici e filosofici, riprende il confronto tra microcosmo e macrocosmo nel

moderno jet-man, eroe che è allo stesso tempo oggetto-macchina e spirito alato. La

poesia dei metafisici si associa alla canzone degli anni Sessanta attraverso le filosofie

dell’incertezza, che disegnano il nostro rapporto con lo spazio sidereo come Odissea,

come “Space Oddity”.