«Donne in un mondo senza donne». Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia, 1877-2005,...

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QUADERNI STORICI 130 / a. LXIV, n. 1, aprile 2009 «DONNE IN UN MONDO SENZA DONNE» LE STUDENTESSE DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE IN ITALIA (1877-2005) x Il lungo sonno 1 Nel 1992 lo storico David F. Noble pubblicò un libro dal titolo Un mondo senza donne. La cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale 2 . Fin dalla pubblicazione il saggio esercitò un’influenza im- portante seppure controversa. Con le sue forti tesi storiografiche, il libro ricordava al pubblico colto e agli esperti di settori diversi, che la storia di lungo periodo delle donne occidentali non è lineare, ma straordinariamente complessa e, soprattutto, non è sempre stata una storia di esclusioni. Il mondo senza donne di cui parla Noble è quel- lo accademico e universitario, un mondo dalle origini monastiche che, dal primo millennio dell’era cristiana, bandì le donne dalla fruizione e produzione del sapere, in particolare quello scientifico, tecnologico e medico. Il libro tuttavia non ripercorreva soltanto la storia di una sconfitta. «Donne in un mondo senza donne» è il titolo dell’ultimo ca- pitolo del volume, quello in cui Noble racconta come, negli Stati Uniti intorno agli anni trenta dell’Ottocento, iniziò la bellissima e vincente avventura delle donne occidentali alla riconquista di quegli spazi per- duti. Dopo secoli di emarginazione, infatti, fu nel corso dell’Ottocento che, prima negli Stati Uniti e in seguito in Europa, le donne comin- ciarono la difficile scalata all’istruzione superiore: primo passo verso l’indipendenza economica e il riconoscimento dei diritti sociali e poli- tici 3 . Noble attribuisce la nascita del movimento a favore dell’istruzio- ne femminile negli Stati Uniti degli anni trenta dell’Ottocento a un diffuso risveglio religioso che coincise, come già accaduto altre volte nel corso della storia occidentale, con forti sentimenti anticlericali. In quel clima di rinascita spirituale, la scienza ebbe un ruolo importante nei curricoli dei primi college femminili e di coeducazione 4 . Che cosa più dello studio della natura, affermavano in molti, avvicina gli esseri

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QUADERNI STORICI 130 / a. LXIV, n. 1, aprile 2009

«DONNE IN UN MONDO SENZA DONNE»

LE STUDENTESSE DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE IN ITALIA(1877-2005)

xIl lungo sonno1

Nel 1992 lo storico David F. Noble pubblicò un libro dal titoloUn mondo senza donne. La cultura maschile della Chiesa e la scienzaoccidentale2. Fin dalla pubblicazione il saggio esercitò un’influenza im-portante seppure controversa. Con le sue forti tesi storiografiche, illibro ricordava al pubblico colto e agli esperti di settori diversi, chela storia di lungo periodo delle donne occidentali non è lineare, mastraordinariamente complessa e, soprattutto, non è sempre stata unastoria di esclusioni. Il mondo senza donne di cui parla Noble è quel-lo accademico e universitario, un mondo dalle origini monastiche che,dal primo millennio dell’era cristiana, bandì le donne dalla fruizionee produzione del sapere, in particolare quello scientifico, tecnologicoe medico. Il libro tuttavia non ripercorreva soltanto la storia di unasconfitta. «Donne in un mondo senza donne» è il titolo dell’ultimo ca-pitolo del volume, quello in cui Noble racconta come, negli Stati Unitiintorno agli anni trenta dell’Ottocento, iniziò la bellissima e vincenteavventura delle donne occidentali alla riconquista di quegli spazi per-duti.

Dopo secoli di emarginazione, infatti, fu nel corso dell’Ottocentoche, prima negli Stati Uniti e in seguito in Europa, le donne comin-ciarono la difficile scalata all’istruzione superiore: primo passo versol’indipendenza economica e il riconoscimento dei diritti sociali e poli-tici3.

Noble attribuisce la nascita del movimento a favore dell’istruzio-ne femminile negli Stati Uniti degli anni trenta dell’Ottocento a undiffuso risveglio religioso che coincise, come già accaduto altre voltenel corso della storia occidentale, con forti sentimenti anticlericali. Inquel clima di rinascita spirituale, la scienza ebbe un ruolo importantenei curricoli dei primi college femminili e di coeducazione4. Che cosapiù dello studio della natura, affermavano in molti, avvicina gli esseri

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umani a Dio, donne e uomini da lui creati uguali? Che cosa più dellostudio della scienza, si chiedevano altri, fornisce gli strumenti utili aun riscatto economico e dunque sociale in una società, come quellaamericana, che si stava avviando verso una seconda rivoluzione indu-striale?

Questo articolo affronterà il tema dei rapporti tra donne e istru-zione scientifica superiore in Italia dalle origini (1877) agli anni due-mila, ma non entrerà nel merito dell’importante questione delle rela-zioni tra religione e società: un tema evidentemente cruciale anche asud delle Alpi. L’età liberale, il contesto in cui iniziò l’avventura del-le donne nelle università italiane, fu com’è noto caratterizzata da for-ti tensioni tra autorità politiche e religiose in merito all’educazione ingenerale e femminile in particolare. Chi scrive, tuttavia, si occupa distoria sociale della scienza ed è interessata alla diffusione dell’istruzio-ne scientifica, un aspetto che nelle società occidentali è indissolubil-mente intrecciato con la storia dello sviluppo economico5. Alle presecon un nuovo progetto di ricerca sul ruolo svolto da alcune donnenella storia della diffusione e produzione della cultura della scienza inItalia tra l’età liberale e la repubblica, mi sono resa presto conto dinon poter contare su dati specifici e di lungo periodo circa l’accessofemminile all’istruzione scientifica superiore: il contesto imprescindi-bile cui fare riferimento per la ricostruzione dei singoli casi che sta-vo studiando. Mentre procedevo nello spoglio delle fonti statisticherelative al periodo che mi interessava, la curiosità di verificare comeproseguiva la storia dei rapporti tra donne e istruzione scientifica su-periore mi ha però portata a indagare anche i decenni successivi, po-tendo valermi in quel caso di fonti meno contraddittorie e più sicu-re6. Qui si offriranno i dati che sono scaturiti da questa prima fasedella ricerca e qualche spunto di riflessione che ne è seguito. Si è trat-tato di un viaggio nella storia di un paese che si conferma profonda-mente arretrato rispetto ad altri d’Europa, tuttavia in grado di offri-re non poche sorprese. Tra l’altro, sfogliando pagina per pagina mol-te annate del «Bollettino ufficiale del ministero dell’istruzione pubbli-ca» (d’ora in poi, «Bollettino») mi è stato possibile ricostruire la car-riera di diverse donne di grande interesse ma totalmente dimenticate.Mi sono imbattuta tra le altre in Evangelina Bottero e Carolina Ma-gistrelli: le prime laureate in scienze dell’Italia unita e prime donne«professore ordinario» in un’istituzione di studi superiori a sud delleAlpi7.

L’Italia, come si vedrà, non fece eccezione rispetto al trend inter-nazionale che, nella seconda metà dell’Ottocento, vide la scienza comeuno degli elementi importanti nella formazione superiore delle donne.

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Il fenomeno, non a caso, si verificava in un clima di fiducia che alcuneélite del paese avevano manifestato nei confronti di un’istruzione scien-tifica percepita anche in Italia come motore di sviluppo economico esociale8.

I rapporti tra donne e università in Italia iniziarono in sordina neglianni Settanta dell’Ottocento. Nel 1873 la «Nuova Antologia», forse ilgiornale più rappresentativo del pubblico italiano colto del periodo efin dal primo numero attento alla cosiddetta «questione femminile»9,pubblicò un articolo sulle Studentinnen, come furono chiamate anche asud delle Alpi le prime iscritte all’università. Mentre il nuovo fenomenoentusiasmava molte donne di qua e di là dell’Atlantico, in molti uomini,è noto, generava timori, quando non aperte ostilità10. Non mancaronoin ogni caso i sostenitori, come il matematico autore di quell’articolosul periodico italiano, che raccontava che cosa accadeva in alcune realtàeuropee. Ma in Italia, nel 1873, non vi era ancora nessuna laureata el’articolista poteva commentare così la situazione: «se lo studio delledonne all’università corrisponde a un vero bisogno della società fem-minile, esso prenderà piede, e porterà utili frutti; nel caso contrario,dopo un entusiasmo passeggero cadrà da sé, e si mostrerà simile a unfuoco di paglia»11.

Per quanto non esistesse alcuna norma volta a impedire l’iscrizionedelle donne all’università, per varie ragioni, principalmente di naturaeconomica e religiosa, solo nel 1877 fu conferita la prima laurea delRegno a una donna. Nei centoventi anni che separano l’articolo della«Nuova Antologia» e gli anni novanta del Novecento, le donne in Ita-lia hanno conseguito un obiettivo formidabile, che nemmeno le eman-cipazioniste più convinte dell’«età del progresso» avrebbero pensatorealizzabile: diventare più numerose degli uomini sia come laureate siacome dottoresse di ricerca.

Per dare al fenomeno la rilevanza che merita, è il caso di ricordareche nel 1871, a dieci anni dall’unità e dal primo censimento del Regno,le donne più colte erano le lombarde, comunque analfabete nel 50%dei casi (gli uomini lombardi erano analfabeti nel 40% dei casi), insiemealle piemontesi, analfabete nel 51% dei casi (gli uomini al 34%). InSicilia, Sardegna e Puglia le donne erano analfabete in più dell’85%dei casi (uomini analfabeti rispettivamente al 79%, 81% e 79%), men-tre in Calabria e in Basilicata lo era ben il 95% delle donne (uominianalfabeti rispettivamente al 79% e 81%)12. In questo contesto dram-matico, se qualcosa di significativo si riuscì a fare per estendere l’istru-zione elementare alla popolazione femminile, diverso fu il discorso perle scuole allora chiamate medie, i licei e gli istituti che davano accessoall’università13.

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Nel 1900, quando l’analfabetismo femminile su base nazionale erafaticosamente sceso intorno al 50%14, sul «Bollettino» si pubblicavano irisultati conseguiti nel campo dell’istruzione media femminile nei primidecenni postunitari. Nell’anno scolastico 1895-96 nei licei del Regno– la scuola che consentiva l’accesso a tutte le facoltà che, dopo la sop-pressione di quella di Teologia nel 1873, erano quelle di Lettere, Giu-risprudenza, Medicina e Scienze – le alunne erano soltanto 233. Circagli istituti tecnici, «ove predomina l’insegnamento professionale a cui ladonna non ha attitudine, furono iscritte le sole donzelle che aspiravanoalla laurea in scienze, le quali furono in tutto 65 nei governativi e 22nei pareggiati»15. Si tratta di numeri davvero esigui, se si pensa che inquello stesso anno scolastico gli alunni, maschi e femmine, delle scuolemedie italiane erano 88.28016. È vero che tra quegli studenti erano con-teggiate anche le 21.203 studentesse delle scuole femminili normali ecomplementari, dove si formavano le maestre, ma quelle scuole, è noto,non davano accesso all’università17.

Per quanto concerne l’istruzione superiore, nel 1883 il Ministeroaveva scritto ai rettori e ai presidi degli istituti superiori, chiedendo diinviare i dati riguardanti iscritte e laureate18. Tutti risposero, ma alle-gando poche informazioni: fino ad allora, le laureate erano state ottoin tutto il Regno. Gli unici commenti arrivarono dal preside dell’Acca-demia scientifico-letteraria di Milano, che auspicava interventi nel set-tore dell’istruzione superiore femminile per rispondere, dichiarava, «aesigenze intellettuali veramente e universalmente sentite»19.

Fu soltanto nel 1902 che il «Bollettino» ritenne giunto il momento difare un bilancio della prima fase dell’accesso delle donne all’universitàe, vista l’eccezionalità del caso, decise di pubblicare anche l’elenco deinomi delle prime 224 laureate20. L’episodio, spesso citato, ebbe comevedremo anche un’eco sulla stampa dell’epoca.

Quelli richiamati rapidamente sono i dati concernenti i lenti e fragiliesordi di un rapporto tra donne e istruzione superiore in Italia: 224laureate in circa un quarto di secolo, a fronte di un numero di laureatiche ogni anno oscillava tra i 2.000 e i 3.00021. D’altra parte, nell’annoscolastico 1901-02, le studentesse nei licei erano 315 su 12.938 liceali,soltanto 82 in più rispetto a cinque anni prima22.

Questi numeri rimandano a una situazione di generalizzata e radi-cata arretratezza, non soltanto economica, capace tuttavia di lasciarespazio, come vedremo, a eccezioni di qualche interesse. È vero che, nel1889, la confinante Svizzera dichiarava che le donne erano l’8% dellapopolazione studentesca universitaria, l’Inghilterra dichiarava un 11%e gli Stati Uniti, nel 1888, il 29,3%23. Ed è vero che in Italia l’accessodelle donne all’università assunse l’aspetto di una «rivoluzione»24 sol-

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tanto negli anni Settanta del Novecento (fig. 4). In ogni caso, al contra-rio di quanto si potrebbe pensare oggi25, il 32% di quelle prime laureateconseguì una laurea in scienze o in medicina e, come si vedrà, parecchiedi loro si affermarono professionalmente proprio in campo scientifico.Si può anticipare che da questo studio esce significativamente ridimen-sionato il mito che vorrebbe dominante in età liberale, la cosiddetta etàdel positivismo26, un’immagine della donna inconciliabile con gli studiin campo scientifico. Se è vero che, magari in nome di Charles Dar-win, le scienze della vita diedero nuove basi «scientifiche», in Europacome negli Stati Uniti, ad antiche convinzioni riguardanti l’inferioritàintellettuale della donna rispetto all’uomo27, è altrettanto vero che lepoche giovani che decisero di studiare all’università si diressero proprioverso lo studio delle scienze naturali, matematiche, fisiche e medichein numeri percentualmente consistenti, incuranti o determinate a con-futare quel pregiudizio, contribuendo anche dall’Italia alla conquistadel «mondo senza donne».

Nei decenni che seguirono quegli esordi, il numero complessivodelle iscritte aumentò lentamente fino a che, nella prima metà degli anniventi del Novecento, il loro numero nelle facoltà scientifiche (cioè, lefacoltà di scienze e di medicina) raggiunse il picco rispetto a tutta laprima metà del secolo. Negli anni Trenta, mentre aumentò il numerocomplessivo delle iscritte, calò invece in modo sensibile quello delleiscritte alle facoltà scientifiche. A ridosso della Seconda guerra mondialepoi, vi fu una prima, importante impennata: sia complessiva nel numerodelle iscritte all’università, sia relativa al numero delle iscritte alle facoltàscientifiche.

Un successivo, importante momento nella storia dei rapporti tradonne e istruzione superiore fu tra gli anni sessanta e settanta del Nove-cento, quando a un massiccio incremento delle iscrizioni corrispose unabrusca contrazione delle immatricolazioni alle facoltà scientifiche: unacontrazione che, nel caso degli uomini, sarebbe arrivata soltanto neglianni Ottanta. Da allora la crescita delle iscrizioni delle donne all’univer-sità non ha più subito flessioni, fino al sorpasso rispetto agli uomini, av-venuto nell’anno accademico 1990-91: un trend che non accenna a dimi-nuire. Va infine segnalata una novità, che riguarda le iscrizioni al settoretecnico-scientifico negli ultimi dieci anni: dal 1999, mentre il numerodegli uomini ha avuto un andamento irregolare con una tendenza a cala-re, un dato che ha suscitato l’allarme di molti, si nota invece una lenta macostante ripresa delle iscrizioni femminili in quegli stessi settori28. Si trat-ta a mio avviso di un dato importante, non solo dal punto di vista storico.

Utilizzando, tra le altre, fonti statistiche ministeriali, in particolareil «Bollettino»29 e, da quando disponibili, i dati forniti dall’Istat, nelle

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pagine che seguono ripercorrerò i passi iniziali compiuti dalle donnenelle facoltà scientifiche tra il 1877 e il 1900, fornendo un rapido profiloprosopografico di alcune delle prime 72 laureate in scienze e medicinadel Regno30. Poi, sebbene in maniera più sintetica, fornirò i dati sull’ac-cesso delle donne ai corsi universitari e ai dottorati di ricerca tecnico-scientifici fino al 2005.

Nel lungo periodo sembra di poter affermare che, in una societàcome quella italiana, caratterizzata da scarsi investimenti nell’istruzionescientifica e una limitata mobilità sociale, le donne nel Novecento sonostate l’attore più dinamico, capace – pur in assenza di specifiche politi-che di supporto – di conquistare un ruolo crescente e poi dominantenell’istruzione superiore, con una forte presenza nei settori scientifici.Sembra di poter affermare anche che, in un momento di crisi econo-mica generalizzata, investire con lungimiranza in un attore sociale cheha tutte le caratteristiche di ottimismo e dinamismo di chi si è «fattada sola», produrrebbe con tutta probabilità a risultati interessanti intermini di innovazione e crescita.

Lo studio quantitativo di lungo periodo sull’accesso delle donneall’istruzione scientifica superiore qui proposto si offre, in primo luo-go, come un indicatore utile per un’analisi della diffusione della cul-tura scientifica in Italia. Inoltre, a giudicare dai casi emersi finora, inparticolare relativi alla prima fase dell’accesso delle donne all’univer-sità, sembra che i genitori desiderosi di dare alle figlie una formazio-ne superiore, finalizzata a una professione, e le giovani più ambizio-se di studiare appartenessero spesso alla piccola e media borghesia,ceti in formazione nei primi difficili decenni dell’Italia unita, eppu-re percorsi da forti spinte all’innovazione31. Le variazioni nel numerodelle iscrizioni femminili alle diverse facoltà nel corso del Novecentoposte in sinergia con i dati relativi al mercato – anche accademico –del lavoro, potranno essere di qualche interesse non solo per chi sioccupa di scienza e/o donne, ma anche per gli storici economici edell’impresa interessati a comprendere meglio alcuni aspetti trascuratidel rapporto tra istruzione scientifica e sviluppo nell’Italia nel Nove-cento.

xL’inizio dell’avventura: 1877-1900

In Italia l’accesso delle donne alla formazione superiore coincisecon il successo della cosiddetta «scienza per tutti», un fenomeno –economico, politico e culturale – che fu importante in Italia come inaltri paesi europei32. Nei tre decenni che seguirono l’unità, in nome

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principalmente della «rivoluzione darwiniana» e con l’imporsi dei mitilegati all’età dell’elettricità, attraverso una variegata produzione di librie giornali di divulgazione, editori e scienziati coinvolsero il pubblicodei non esperti in un nuovo, formidabile processo educativo. Il feno-meno coinvolse anche le donne della piccola e media borghesia che sistavano affacciando alla sfera pubblica in quei decenni del primo, sten-tato e geograficamente limitato sviluppo industriale italiano. La sfidadelle donne nelle università prese dunque il via in un clima di forteattesa e fiducia nei confronti delle scienze, un fenomeno che coincisecon un altro importante processo sociale, pure questo di respiro inter-nazionale: l’impegno delle donne per il conseguimento dei diritti civilie politici33.

In Francia le donne furono ammesse all’università nel 1863 e Lionefu il primo ateneo ad aprir loro le porte34, mentre a Parigi la primaiscrizione femminile fu accettata nel 1867. Nel 1889 le studentesse uni-versitarie erano 817, di cui 559 francesi e 258 straniere35.

Nel Regno Unito, il primo college femminile era stato il QueenCollege di Londra, fondato nel 1848, ma fu l’Università di Londra laprima, nel 1878 e con largo anticipo su quelle di Oxford e Cambrid-ge, a concedere alle donne il titolo legale, una scelta seguita nel 1889dalle università di Edimburgo e Aberdeen, eccezion fatta per le facoltàdi medicina. Note le vicende delle due più antiche università d’Inghil-terra. L’Università di Oxford concesse il titolo legale alle donne nel1920, sebbene fin dal 1879 queste poterono studiare in college femmi-nili come Lady Margaret Hall e Somerville College36. L’Università diCambridge concesse alle donne il diritto di conseguire il titolo legalenel 194737, ma fin dal 1873 esse poterono beneficiare dei femminiliGirton College e, dal 1875, del Newnham College. Importante nellastoria dell’istruzione superiore femminile in Inghilterra fu la LondonSchool of Economics, che iniziò le lezioni nel 1895 grazie a idee e fon-di fabiani e che per questo fu fin dall’inizio aperta alle donne. Anzi,fu proprio alla London School, grazie a Charlotte Payne-TownshendShaw, figura di rilievo all’interno della Fabian Society e moglie di G.B.Shaw, che una borsa di studio, istituita nel 1905, dal 1911 fu riservataalle donne38.

Nel mondo di lingua tedesca, intanto, fu l’Università di Zurigo laprima, nel 1867, a consentire l’iscrizione alle donne39. In Svizzera, inve-ce, nell’anno accademico 1898-99, dei 4.438 studenti iscritti 937 eranodonne, nella maggior parte dei casi russe40. Dal 1859 le donne si eranoiscritte a centinaia nelle università russe, ma tra il 1863 e il 1864, acausa di forti pressioni sociali, le aule degli atenei furono loro negatee lo sarebbero rimaste fino al 1878. Fu questa la ragione che spinse

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centinaia di studentesse a lasciare il paese per l’Europa occidentale: laprima laureata in matematica e fisica alla Sorbona fu la russa ElenaLej41, in Italia la prima laureata, in medicina, fu una donna di Odessa,Ernestina Paper, e la prima donna che ottenne una cattedra in un’uni-versità moderna – dopo il caso settecentesco di Laura Bassi42 – fu lamatematica russa Sofja Kovalevskaia, all’Università di Stoccolma nel188943.

La Germania fu l’ultimo dei grandi paesi ad ammettere le donneall’università, come lamentava Helene Lange, protagonista del movi-mento per i diritti delle donne e autrice di un’importante inchiesta sustudentesse e università in Europa, un libro che ebbe larga circolazionenell’edizione americana. In Germania, un decreto del 1878 ammettevale donne soltanto ad alcuni corsi, lasciando ai docenti la possibilità didecidere caso per caso44.

Nel frattempo, le donne che avevano raggiunto i risultati più in-coraggianti erano le statunitensi. Secondo alcuni studi, già durante gliultimi due decenni del Settecento negli Stati Uniti aveva messo radiciun movimento in favore dell’istruzione femminile, sostenuto dal pen-siero illuminista e dal rifiorire di un cristianesimo evangelico che tro-vava consensi in una situazione di importanti cambiamenti economici.Sembra anzi che, grazie a quel clima, tra il 1780 e il 1840 anche l’edu-cazione femminile, così come già quella maschile, sia stata concepitaquale strumento utile alla formazione delle nuove classi emergenti. Inconseguenza di ciò, i curricoli dei college femminili fondati in queidecenni non pare fossero influenzati da pregiudizi e discriminazionidi genere, quanto piuttosto da altri, di natura sociale e razziale45. Inogni caso, i college che fecero sognare le emancipazioniste europeefiorirono negli anni trenta dell’Ottocento, quando fu fondato OberlinCollege (1835), il più antico college di coeducazione maschile e fem-minile statunitense, e quando Mary Lyon fondò il Mount Holyoke Fe-male Seminary (1837). L’affermazione tuttavia arrivò negli anni Ses-santa e Settanta, quando le donne cominciarono a essere ammesse neicollege maschili, furono fondate istituzioni basate sulla coeducazionecome la Cornell University (1865), e vennero inaugurati college fem-minili ancora oggi strepitosi per standard formativi, come il Vassar aYale (1865), il Wellesley a Boston (1875) e il Radcliffe ad Harvard(1879). Così, come accennato, secondo i dati forniti dall’Annual reportof the Commissioner of Education nel 1888 le iscritte a corsi di livel-lo universitario erano il 29,3% della popolazione studentesca statuni-tense46.

Nell’Italia liberale qualche rara giovane cominciò a iscriversi all’uni-versità, incoraggiata dal nuovo regolamento del 187647 che ricordava in

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termini chiari che anche alle donne era consentito iscriversi48. In queglianni ebbero un ruolo nell’attirare le prime giovani agli studi superiorii dibattiti nazionali e internazionali sui diritti delle donne, le cronachegiornalistiche che riportavano – come nel caso della «Nuova Antolo-gia» – quanto accadeva oltralpe e l’importante presenza sulla stampa diaccesi dibattiti sulla riforma dell’educazione in generale. Furono queglistimoli, con tutta probabilità, a dare alle donne in Italia il coraggio dientrare in quel mondo interamente di uomini, a costo di farsi accom-pagnare ogni giorno alle lezioni dalla madre, come fece Cornelia Fabri,laureatasi in matematica nel 189149; una condizione peraltro condivisacon le inglesi50.

Ma chi furono le prime laureate in Italia? Con che diploma si eranoiscritte all’università? Quali le facoltà scelte e che cosa fecero in seguitodella laurea?

Come accennato, nel 1902 il «Bollettino» pubblicava i nomi delleprime 224 laureate, presentate come «donne italiane […] atte a gareg-giare coll’uomo in ogni ramo del sapere»51. Non si trattava, a dire ilvero, soltanto di italiane, perché almeno una dozzina erano straniere.Molte di loro conseguirono più di una laurea e le lauree in disciplinescientifiche furono 73, discusse da 72 donne52. Di quelle laureate, 202si erano iscritte all’università con la licenza liceale, ma 20 avevano fre-quentato altre scuole e si dovettero cimentare in complicate sperimen-tazioni burocratiche per potersi iscrivere all’università.

Fu il caso di Evangelina Bottero e Carolina Magistrelli, come giàricordato le prime laureate in scienze dell’Italia unita. Provenienti laprima da Acqui e la seconda da Mantova, a Firenze frequentarono ilcorso complementare alla scuola normale. Ottenuto quel diploma, sitrovarono naturalmente la porta degli atenei sbarrata. Una scappato-ia c’era: farsi accettare come «studenti uditori». Trasferitesi a Romae iscrittesi come «uditori» alla Facoltà di scienze della Sapienza, do-po un complicato iter e studi brillanti, furono ammesse al secondobiennio. Nel giugno del 1881, dopo avere realizzato la tesi e ricerchesperimentali per le quali ottennero premi e borse di studio, Botteroe Magistrelli si laurearono in scienze naturali. Nel 1880 la stessa facol-tà accolse la domanda di iscrizione della tedesca Margarete Traube.In quel caso si decretò che era possibile «riguardare come equipol-lenti a quelli degli studi tecnici» gli studi fatti dalla donna in prece-denza53.

Per quanto concerne gli studi coltivati dalle prime 224 laureate,come anticipato, queste non scelsero solo le lettere, ma si diresseroanche agli studi scientifici e medici (fig. 1), così come stava avvenendoin Francia54.

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FIG. 1. Le laureate in Italia per settore, periodo 1877-1900.Fonte: Dati in RAVÀ, Le laureate in Italia cit.x

Difficile per gli anni 1877-1900 comparare i dati femminili conquelli maschili in materia di scelta di studi, in primo luogo, perché ilnumero di laureati era quantitativamente incommensurabile rispetto aquello delle laureate: nel periodo 1861-1879 i laureati in Italia eranostati 43.00055. Inoltre, come avrebbe lamentato Carlo F. Ferraris inun’importante ricerca sull’istruzione superiore tra il 1893 e il 1911, fino1911 il Ministero non avrebbe fornito dati disaggregati per maschi efemmine56.

Circa il periodo immediatamente successivo, invece, Ferraris potevafornire i dati per laureate e laureati. Le scelte degli uomini si dirigevano,in primo luogo, verso le facoltà che aprivano la strada alle professioni,con una media negli anni 1904-1911 di: 1.506 laureati in giurispruden-za, dei quali 3 donne; 726 in medicina, dei quali 13 donne; 501 i laureatiin farmacia, di cui 16 donne; 440 i laureati in ingegneria e architettura,nessuna donna secondo Ferraris, in realtà Emma Strada si laureò nel1908 in ingegneria57; 232 i laureati in lettere, tra i quali 49 donne. I lau-reati nelle facoltà di scienze, invece, gli unici che avrebbero potuto in-traprendere una carriera di ricerca oppure nel settore industriale, furo-no soltanto 198, di cui tuttavia ben 26 donne58. In effetti, come osservòLuigi Luzzatti nel 1909, l’Italia a più di quarant’anni dall’unificazionerestava un paese diviso tra legulei e analfabeti59.

In ogni caso, per quanto concerne le prime laureate, per le scienze,così come per le lettere, la scelta di quelle facoltà era almeno in partefinalizzata all’insegnamento60. Medicina invece era forse la facoltà sceltadalle giovani decise più di altre a imporsi in un mondo di uomini,in Italia come nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, ma l’avventuradelle donne in quel settore fu complessa ovunque, come testimoniano

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le vicende di Elisabeth Blackwell, Elisabeth Garrett, Sophia Jex-Blake,Marie Zakrzewska61 e, in Italia, per esempio quella di Anna Kuliscioff.

Nel 1891 scriveva a «Critica Sociale» un lettore sorpreso di sco-prirsi lui, «un grasso borghese», più interessato «delle questioni cheriguardano la donna» del periodico socialista. Filippo Turati affidò larisposta ad Anna Kuliscioff che offriva uno squarcio interessante deicambiamenti in atto nei rapporti tra donne e sfera pubblica in queglianni. Scriveva Kuliscioff in una pagina famosa:

La stessa grande industria poi ebbe i suoi benefici effetti non soltantosulla donna del proletariato, ma ben anche nelle classi medie. Queste povereclassi medie, che vanno in malora di giorno in giorno hanno pure figliole dacollocare e queste figliole, senza dote e senza blasone, non possono neppuresognare un modesto matrimonio e sono spinte, volere o no, ad invadere ilcampo professionale: maestre, che crescono come funghi, telegrafiste, tele-foniste, impiegate postali, ragioniere, medichesse, avvocatesse, che vengonoosteggiate, respinte, derise e devono raccomandarsi a tutti i santi moderni,che si chiamano uguaglianza e libertà, per poter vivere modestamente e ba-stare a sé stesse62.

L’immagine fornita da Kuliscioff, come spesso accade, era condi-zionata dall’esperienza personale. Nata in Crimea, è noto, Kuliscioff siera iscritta a medicina all’Università di Berna nel 1883, quindi nel 1884si era trasferita all’Università di Napoli. Nel corso del 1885 decise dicondurre la ricerca per la tesi sulla febbre puerperale nel laboratoriodi Camillo Golgi, futuro premio Nobel nel 1906 per i suoi studi sullastruttura del sistema nervoso. Golgi dimostrò di apprezzare il lavoro diKuliscioff, ma questa dovette interromperlo e lasciare l’ateneo pavese acausa delle sue posizioni politiche che avevano scatenato forti tensioninon solo all’università, ma in città, causando addirittura un duello63.Anna Kuliscioff ritornò a Napoli, dove si laureò, e trasferitasi in seguitoa Milano tentò la carriera ospedaliera. Anche là si trovò la strada sbar-rata e si dedicò quindi alla libera professione, curando operai e operaie.Kuliscioff descriveva sulla base della propria esperienza le difficili con-dizioni delle prime donne scese in campo a competere con gli uominiin settori qualificati come la medicina, come d’altra parte confermavanel 1893 Paolo Mantegazza. Medico e antropologo di fama internazio-nale, uno studioso che oggi definiremmo razzista e sessista, Mantegazzamentre ribadiva le ragioni «scientifiche» che erano all’origine del divie-to alle donne di esercitare l’avvocatura, a causa della loro «inferioritàintellettuale, […] timidezza […] grande impressionabilità»64 e così via,condannava il «pregiudizio beota contro la medicina esercitata dalle

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donne, mentre l’America, l’Inghilterra, la Francia e perfino la Russiacontano a cento a cento brave dottoresse»65. In ogni caso, se nel suoarticolo Kuliscioff non era stata ottimista circa il numero di maestre,telegrafiste e telefoniste, numerose in quell’ultimo decennio del secolo,lo era stata senz’altro a proposito di «medichesse e avvocatesse». Nel1891 le laureate in medicina in Italia erano sei, compresa lei stessa,mentre vi era stata soltanto una laureata in giurisprudenza.

Nel 1916, venticinque anni dopo l’intervento di Kuliscioff, VirginiaTreves Tedeschi, tra gli anni ottanta dell’Ottocento, fino agli anni ventidel Novecento nota come Cordelia, scrittrice di successo e imprendi-trice editoriale di grande abilità, in un libro dedicato a Il lavoro delledonne, affermava: «Una delle facoltà più frequentate dalle donne nelleUniversità è quella della medicina; ciò che dà argomento nei giornali ein società a serie discussioni sulla donna medichessa»66. Eppure, quan-do Tedeschi Treves scriveva di medichesse (oltre che di impiegate, te-lefoniste e insegnanti: due milioni di lavoratrici secondo i suoi dati)67,le iscritte a medicina erano 9368, mentre le laureate l’anno precedenteerano state 2269.

Come dimostrano le testimonianze di Kuliscioff e Tedeschi Treves,ma anche interventi su «La donna», diretta da Gualberta Alaide Beccà-ri, l’«Unione Femminile», fondata da Ersilia Majno, periodici speciali-stici come «L’università italiana», così come i giornali locali e interna-zionali70, la stampa prese a commentare con ottimismo i successi uni-versitari e professionali delle donne in Italia. Anche la meno impegnata«Cordelia» pubblicava raccontini edulcorati come quello del 1887 sullavita di una «studentina» dell’Università di Padova71. Sfogliando la pub-blicistica del periodo 1890-1915 si può avere la sensazione che, comescriveva Kuliscioff nel 1891 e ribadiva Tedeschi Treves nel 1916, nume-rose neo laureate si stessero riversando sul mercato italiano del lavoro.I dati smentiscono quell’immagine. Le poche laureate in un quarto disecolo che con la conquista dell’istruzione cominciavano a guadagnarsiun ruolo economicamente attivo, non costituivano ancora una concor-renza per gli uomini, sebbene molti intuissero che lo sarebbero prestostate: tra i più lucidi in questo senso, come ricorderemo più avanti, vifu naturalmente Giovanni Gentile.

La storia quantitativa ci aiuta dunque a dare al fenomeno del primoaccesso delle donne all’università in Italia confini che autorizzano adapprezzare quelle prime settantadue laureate in discipline scientifichecome delle abili e coraggiose sperimentatrici sociali.

Non c’è qui lo spazio per accennare all’attività professionale diquelle settantadue studiose, ma soltanto per ricordare che oltre a Kuli-scioff, che divenne protagonista della vita intellettuale nazionale, e Ma-

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 225

ria Montessori, che ebbe fama internazionale come studiosa e educa-trice, diverse si imposero come divulgatrici scientifiche, come CarolinaMagistrelli, Maria Fischmann Di Vestea, Matilde Marchesini, AmaliaMoretti Foggia. Altre, come la stessa Moretti Foggia, Ernestina Paper,Maria Farné Velleda, Ester Bonomi praticarono con successo comemedici. Diverse lavorano all’università – con ruoli e per periodi diversi–, come Giuseppina Cattani, Elisa Norsa, Maria Sacchi, Bice Ferrari,Anna Foà, Clementina Borsieri. Quasi tutte furono autrici di articolio libri scientifici e addirittura quattro divennero professore ordinarioin un’istituzione d’istruzione superiore: Bottero e Magistrelli presso ilMagistero di Roma (1890)72, Rina Monti presso l’Università di Pavia(1911)73 e Maria Bakunin presso il Politecnico di Napoli (1917)74. Unsuccesso ottenuto in campo istituzionale che si affiancava a un altro,relativo alla produzione scientifica.

Uno studio importante condotto su uno spoglio del «Catalogue ofScientific Papers, 1800-1900» della Royal Society di Londra, conferma ibuoni rapporti tra donne e ricerca scientifica in Italia tra gli anni settantadell’Ottocento e il 1900. Se le americane e le inglesi da sole pubblicarononel corso dell’Ottocento circa i due terzi degli articoli scientifici scrittida donne e registrati nel «Catalogue»75, le italiane nello stesso periodofurono le più produttive tra le autrici di tutti gli altri paesi, con il 27% dipubblicazioni segnalate dal «Catalogue», seguite dalle francesi (24%),dalle tedesche (15%), dalle svedesi (8%) e così via a calare76. Da quellostudio emerge che se la produzione scientifica delle abitanti a sud delleAlpi fu molto esigua fino agli anni sessanta dell’Ottocento, dagli annisettanta e con un picco nel decennio successivo, si verificò una crescitarimarchevole del numero di autrici citate dal «Catalogne»77. Un fattoevidentemente legato all’accesso delle donne all’università.

Anche nel campo della produzione scientifica, dunque, le italianesembrano dimostrare una discreta vitalità, a conferma dei – relativa-mente – buoni rapporti tra donne e scienza in età liberale. Se è dunqueevidente che le prime laureate in Italia furono donne speciali e scarsa-mente rappresentative della realtà nazionale78, è vero anche che dimo-strarono una vitalità in campo scientifico – sia istituzionale sia profes-sionale – che le mise in grado di competere con quanto stava accadendoa nord delle Alpi.

xDal 1900 alla Seconda guerra mondiale

I risultati importanti riportati da molte delle prime laureate in di-scipline scientifiche in Italia, non devono far dimenticare la difficile

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situazione nazionale. Nell’anno accademico 1914-15, alla vigilia dellaPrima guerra mondiale, le iscritte all’università erano complessivamen-te 1.486: soltanto il 5,6% degli studenti79.

In alcuni circoli il problema dello scarso accesso delle donne all’i-struzione era particolarmente sentito, come testimoniava il concorsoRavizza del liceo Beccaria di Milano per il biennio 1898-1901. Il pre-mio, recitava il lungo titolo, era destinato a uno «Studio comparativo diciò che si fa per l’educazione pubblica e privata della donna nei paesipiù civili [...] e come debba e possa completarsi e riformarsi, particolar-mente in Italia, perché risponda degnamente al suo scopo». Il vincitore,Renzo Furlani, scrisse un libro che resta una fonte preziosa per la storiadell’educazione femminile in Italia, in Europa e negli Stati Uniti80. Ep-pure, agli inviti in favore di un potenziamento all’istruzione femminilecome quello di Furlani e della commissione milanese che gli diede ilpremio, non fecero seguito azioni politiche conseguenti e proiettate nellungo periodo. Fu un’occasione mancata, soprattutto in considerazionedelle circostanze favorevoli che si sarebbero create in Italia nei primianni del Novecento, superate le crisi economiche e sociali degli annitra 1893 e il 1902.

Nel 1913, a commento della ripresa economica, Carlo F. Ferrarisnell’introduzione alla sua già citata ricerca osservava che dal 1902 si eraassistito in Italia a un incremento delle iscrizioni maschili in settori consbocchi produttivi come l’ingegneria e l’agraria. Il fatto, a suo parere,era positivo perché concomitante con un altro fenomeno che gli parevainteressante:

Credo quindi di essere nel vero affermando che nella più affannosa ricer-ca della ricchezza nel secolo ventesimo la popolazione italiana abbia volte lesue energie più direttamente alle professioni economiche nello stretto sensodella parola e sentito minore impulso verso gli studi superiori che dannoaccesso ad alcune delle professioni comunemente designate come liberali,sia pell’esercizio privato, sia pei pubblici uffici. Ed il concorso sarebbe pertale motivo probabilmente stato anche minore, se nel sesso femminile nonsi fossero intensificate la propensione agli studi superiori o la necessità diadirvi, contribuendo così a riempire in parte i vuoti lasciati dalla diserzionedel sesso maschile. Credo del resto che sia da considerarsi un vantaggio se,mentre il sesso maschile attenderà vigorosamente alla produzione della ric-chezza materiale, il sesso femminile darà opera maggiore alla coltura intellet-tuale. Avremo così due fattori di civiltà in armonico reciproco sussidio perazione di entrambi i sessi e ne deriverà una elevazione in tutta la nostra vitasociale81.

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 227

Nonostante le analisi di esperti dell’influenza di Ferraris e i modellistranieri cui ispirarsi, additati da Furlani e altri, nonché da molti inter-venti a favore di una maggiore istruzione anche per le donne fin daitempi di Francesco De Sanctis, il ministro che nel 1882 firmò il decre-to della fondazione dei Regi Istituti superiori femminili di magistero,la risposta della società fu debole. All’istruzione superiore femminilemancarono sempre sostegni concreti, come l’istituzione di un sistemaefficiente di borse di studio e l’incentivazione dell’istruzione liceale.Uno dei (molti) problemi da superare per le italiane, infatti, in un con-testo che, ad esclusione dei Regi Istituti superiori femminili di magiste-ro, non vide mai come in altri paesi il nascere di scuole e universitàper donne, fu per decenni quello di vincere il pregiudizio che ritenevapericolosa sui banchi di scuola la convivenza di giovani di entrambi isessi. Si trattava di una realtà diffusa nei paesi cattolici e che già neglianni ottanta dell’Ottocento a un osservatore esterno come l’economistaÉmile de Laveleye sembrava un elemento a discapito degli standardeducativi generali, con ripercussioni sociali rilevanti82. Alla fine dellaPrima guerra mondiale il numero delle liceali si manteneva molto basso:nell’anno scolastico 1919-20 i licenziati erano stati 4.685, le licenziate93283. D’altra parte, i licei femminili che furono istituiti dal ministroGentile nel 1923 rispecchiavano evidentemente la mentalità comunein tema d’istruzione femminile ed ebbero come «fine d’impartire uncomplemento di cultura generale alle giovinette che non aspirino néagli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale»84.Il liceo femminile di cui si era discusso per decenni, non consentival’accesso all’università e, tra l’altro, non prevedeva nemmeno un’ora lasettimana di matematica o scienze naturali85.

In ogni caso, le statistiche dicono che negli anni precedenti la Pri-ma guerra mondiale, le donne perseverarono nello studio delle scien-ze naturali all’università. Non disponiamo di studi condotti sui pe-riodici dell’epoca che indaghino il tema donne e scienza, eppure nel1901 un giornale importante come l’«Unione Femminile», nel suo pri-mo numero, dopo il pezzo di apertura di Ersilia Majno, pubblicavaun articolo dal titolo Per la coltura scientifica della donna86. È proba-bile che il clamore suscitato dai due premi Nobel conferiti a MarieCurie, nel 1903 e nel 1911, abbia mantenuto alta l’attenzione sul te-ma negli anni seguenti. Nel 1908, intanto, come si è ricordato, EmmaStrada espugnò l’ultima roccaforte maschile rimasta nel mondo uni-versitario italiano e, pare, europeo: la facoltà di ingegneria. Il 1908fu anche l’anno del primo Congresso nazionale delle donne italiane,un evento importante che attirò sulla questione femminile l’attenzio-ne di un pubblico ampio e anche quella del Vaticano, che in quell’oc-

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casione promosse la creazione dell’Unione fra le donne cattoliche d’I-talia87.

Fu solo negli anni Venti che il numero complessivo delle laureateiniziò ad assumere una reale consistenza. Se nel periodo 1901-10 lelaureate erano state 211 e 368 nel periodo 1911-20 (mentre i laureatierano stati 4.622), nel periodo 1921-30 le laureate salirono a 1.166 (ilaureati a 8.279), nel 1931-40 furono 2.020 (i laureati 11.628) e nel1941-50, a cavallo della Seconda guerra mondiale, le laureate furono5.115 (i laureati 18.479)88.

Quanto alle scelte fatte dalle giovani tra gli anni immediatamenteprecedenti la Prima guerra mondiale e la Seconda guerra mondiale,si assiste a una crescita – fino agli inizi degli anni Venti – delle lau-ree nelle facoltà scientifiche, così come di quelle in medicina, che cre-scono anche nel decennio successivo insieme con quelle in farmacia(tab. 1). Di particolare interesse in tabella 1 lo spartiacque costituitodall’anno accademico 1923-24, l’anno seguente l’approvazione della ri-forma cosiddetta Gentile. In quell’anno il numero complessivo delledonne che conseguirono una laurea in scienze, medicina e farmacia,che furono 522, fu numericamente in equilibrio con le laureate nellediscipline umanistiche e politico sociali, incluse le diplomate presso idue Magisteri, che furono 552. Il fenomeno fa pensare a un effetto del-la propaganda positivista a favore del sapere scientifico e tecnologico,protrattasi nelle scuole fin dopo la Prima guerra mondiale: un climache, a quanto pare, ha avuto effetti a lungo termine anche in campieducativi specifici89. Dall’altro lato, ebbe certamente un ruolo – chetuttavia resta da sondare adeguatamente, per quanto concerne le don-ne in particolare – l’impulso dato dalla Grande Guerra alla ricerca incampo scientifico, chimico in particolare90, e il coinvolgimento delledonne nelle diverse attività del paese, non solo quelle industriali bel-liche91.

Certamente l’impiego delle laureate nel sistema dell’istruzione fuimportante, come lasciano intuire i dati dei censimenti: nel 1911 inItalia vi erano complessivamente 121.024 insegnanti di cui 75.251 era-no donne, pari al 62,1% dell’intero corpo docente nazionale92. Nel1921 (entro gli antichi confini) gli insegnanti erano 182.121, dei quali128.266 donne93, pari al 70,4%. Le insegnanti sarebbero salite a 134.985nel censimento del 1931, raggiungendo il 72,7% del corpo docentenazionale94. Ma lo sbocco nel mercato dell’istruzione non è certamen-te l’unica spiegazione dell’aumentato numero delle studentesse nellefacoltà scientifiche. Il numero delle laureate nella facoltà di scienzecrebbe fino all’anno accademico 1923-24 quando si raggiunse il pic-co, cui seguì un calo, accompagnato da una crescita considerevole del-

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 229

le iscrizioni ai corsi letterari. Pur ricordando che stiamo sempre par-lando di poche centinaia di studentesse (un dato questo che non vamai dimenticato fino alla Seconda guerra mondiale), se a determina-re gli spostamenti delle donne da una facoltà all’altra fossero state inprimo luogo le possibilità di lavoro offerte dalla scuola i dati, alme-no dal 1926-27, dovrebbero restituire una realtà inversa, cioè di for-te calo delle iscrizioni ai corsi letterari e di aumento a quelli scienti-fici.

TAB. 1. Laureate e diplomate in istituti superiori, periodo 1913-1941.

Giurispru-denza

Econo-mia e com-

mercio

Lettere eFilosofia

Magi-stero

Ist. orien-tale

Scienze Farmacia Totale

1913-14 4 5 63 57 60 21 2351918-19 7 8 164 119 123 23 4621923-24 30 38 258 226 330 165 10821929-30 75 48 469 199 20 226 290 13931933-34 96 71 490 303 79 210 312 16841938-39 65 91 909 560 62 221 254 22901941-42 45 110 1140 1081 88 303 161 3012

Fonte: I dati della tabella sono una rielaborazione di quelli forniti in Istituto centra-le di statistica, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico 1945-46 cit., tav. 11,pp. 98-99. Nella categoria «Altro» sono conteggiate le laureate in Scienze politiche (primalaureata nel 1923-24; 157 in tutto il periodo qui considerato [tpc]), ingegneria (105 laureatein tpc), architettura (prime due laureate nel 1924-25; 53 in tpc), Agraria (prima laureata nel1914-15; 69 in tpc) e Chimica industriale (prima laureata nel 1933-34; 5 in tpc). Per gli an-ni accademici 1927-28 e 1928-29 non sono riportati i dati delle lauree femminili. Nella tab.con «Scienze» s’intende naturalmente la Facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali.Altre fonti verificate sono Gli studenti delle università italiane. Indagini statistiche, suppl. 59cit.

xNel 1926 il regio decreto n. 2480 sul regolamento per i concor-

si a cattedre nelle scuole superiori (denominate all’epoca, lo ricordo,scuole medie) e firmato dal ministro della Pubblica istruzione, lo sto-rico Pietro Fedele, escluse le donne dai concorsi per le cattedre dilettere classiche nei licei; lettere italiane e storia negli istituti tecnici emagistrali; lettere italiane, latine e storia, filosofia e storia nei licei enei licei scientifici95. Se la prima ambizione delle laureate fosse statal’insegnamento, sarebbe stato logico aspettarsi che le studentesse si ri-fugiassero nelle scienze. Invece una ripresa delle laureate nelle facol-tà scientifiche si produsse soltanto con l’inizio della Seconda guerra

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mondiale, in un clima di aumento generalizzato delle iscrizioni (fig.2).

FIG. 2. Le laureate in scienze in Italia, 1913-1942 (valori assoluti).Fonte: Elaborazione dei dati ministeriali e Istat.x

Nel corso degli anni Venti, ai miti di un progresso e di una mo-dernità trainati dalla scienza e dalla tecnologia, in tutta Europa se nesostituirono altri, spesso d’ispirazione idealista e spiritualista, che si ap-pellarono al motto della «bancarotta della scienza», lanciato da alcunigià verso la fine dell’Ottocento96. Fu forse a quel clima, nazionale einternazionale, e che raggiunse ampie proporzioni nella sfera pubblicadopo il primo conflitto mondiale, che furono sensibili le donne che siiscrissero all’università tra la seconda metà degli anni Venti e l’iniziodella Seconda guerra mondiale.

Ciò non toglie che negli anni venti e trenta del Novecento lo spogliodelle fonti stia portando alla luce numerosi nomi di donne attive nelleuniversità e negli stabilimenti annessi, sebbene spesso con ruoli tempo-ranei e precari. Fino al 1931 furono più numerose le donne che entra-rono come docenti nei corsi scientifici (scienze, medicina e farmacia) diquante non siano entrate in quelli di lettere97. Un caso interessante, peresempio, fu quello dell’Università di Cagliari tra il 1922 e il 1929. Nel1923 la matematica Pia Nalli era direttrice dell’Istituto di matematica,dove lavoravano quattro ricercatori, tra i quali Silvia Mathis e Giorgi-na Madia. Giulia Degli Innocenti e Fanny Fontana lavoravano pressol’Istituto di geologia, dove i docenti nel periodo in esame oscillaronotra i tre i quattro. Nel 1926 nell’Istituto di Mineralogia lavoravano duestudiosi: il direttore e Giulia Martinez. Tra il 1926 e il 1929 Eva MameliCalvino fu «professore non stabile» di botanica e direttrice dell’Ortobotanico. Tuttavia, il caso forse più interessante fu quello dell’Istitutosperimentale di fisica, dove negli anni 1928-29 Rita Brunetti era la di-

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 231

rettrice, Teresa Mundula l’aiuto e Zaira Ollano assistente; unici dueuomini nell’Istituto, un tecnico e un bidello. Unica donna del settoreumanistico, invece, Cecilia Dentice di Accadia, professore non stabiledi Storia della filosofia. Tuttavia, soltanto Nalli e Brunetti proseguironocon successo la carriera universitaria98.

Non si può non fare un cenno alla riforma che nel 1923 fu firmatada Giovanni Gentile, perché questa segnò in modo importante la storiadell’istruzione scientifica italiana in generale, quella femminile in par-ticolare. Nella nuova riorganizzazione le scienze furono per esempioeliminate nei curricoli dell’Istituto superiore per il magistero femmini-le. Quell’Istituto era destinato a formare le professoresse delle scuolenormali, le istituzioni dove studiavano le future insegnanti elementari.Il numero delle iscritte ai due Istituti di Roma e Firenze, confrontatocon quello degli iscritti in altri istituti superiori, si mantenne sempre al-to: si partì con 105 iscritte il primo anno (complessivamente, tra Firen-ze e Roma) e si raggiunsero le 327 iscritte nell’anno accademico 1901-02 (sempre complessivamente nei due istituti)99. Nell’anno accademico1910-11 il numero delle diplomate fu di 21 a Firenze e 30 a Roma, unnumero che non si allontanava da quello dei diplomati presso il RegioIstituto di studi superiore di Firenze, quell’anno 33 (tutti uomini)100.

Dal 1882 fino alla riforma Gentile in quegli Istituti femminili vierano state cattedre di fisica e scienze naturali. Nell’Istituto di Romal’insegnamento di quelle discipline si era basato sulla sperimentazioneed era stato realizzato in laboratori attrezzati da docenti – EvangelinaBottero e Carolina Magistrelli – di sicura professionalità. Nell’Italia trala fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, le centinaia didonne formatesi in quegli istituti e andate in seguito a insegnare nellescuole normali, hanno trasmesso alle loro allieve, future maestre dellescuole elementari, una solida cultura scientifica, impostata su una di-dattica di tipo sperimentale. Con la riforma di Gentile le cose cambia-rono: negli Istituti entrarono gli uomini, ma uscirono le scienze, mentrefurono potenziati gli insegnamenti delle materie umanistiche101. La tra-sformazione di quegli Istituti fu definitiva nel 1935, quando divenneroFacoltà di magistero.

Nel frattempo, nella seconda metà degli anni Venti, le ragazze co-minciarono a iscriversi ai licei classici in numero crescente: nell’annoscolastico 1926-27 le iscritte erano complessivamente (nei licei gover-nativi e pareggiati) 12.202, mentre i maschi erano 42.482102. In effetti,anche una lettura rapida dei dati pubblicati dall’«Annuario StatisticoItaliano» suggerisce che fu nei primi anni Venti i comportamenti delledonne in materia di istruzione iniziarono a cambiare in modo sostan-ziale. Mettendo a confronto l’aumento nel numero delle iscritte nelle

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scuole superiori, delle iscritte all’università e il numero delle docenti,emerge un fenomeno sociale importante, che ebbe come protagonistele donne e che già nel primo dopoguerra non era sfuggito a Gentile.Questi nel 1918 si era rivolto al ministro dell’istruzione paventandouna decadenza della scuola superiore il cui primo sintomo si sarebbemanifestato nell’abbandono della carriera di insegnante da parte degli

uomini attratti verso carriere più vantaggiose e virili: e invasa dalle donne, cheora si accalcano alle nostre università, e che, bisogna dirlo, non hanno e nonavranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoriaspirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità,e devono essere i cardini della scuola formativa dello spirito superiore delpaese103.

Pochi anni dopo, in effetti, questa era la situazione. Se nell’annoaccademico 1921-22 gli iscritti ai corsi per la laurea in lettere e il filoso-fia erano 1.547 e le iscritte 1.300 (i laureati in quei corsi in quell’annofurono 223, le laureate 145), l’anno accademico successivo le donneiscritte ai medesimi corsi furono 1.387 e gli uomini scesero a 1.257 (ilaureati 293, le laureate 173). Nel medesimo anno accademico, ai cor-si universitari di scienze matematiche, fisiche e naturali le iscritte perottenere la laurea in «matematiche pure» erano 395, mentre gli iscrit-ti erano 386; nei corsi per la laurea in «fisico-matematica» le iscrittefurono 131 e gli iscritti 35, per la laurea in scienze naturali le iscrittefurono 214 e gli iscritti 207104. Mentre il numero dei laureati nel com-plesso continuava a essere superiore a quello delle laureate, l’aumentodelle iscritte manifestava un forte interesse delle donne per gli studisuperiori e lasciava prevedere in breve tempo un consistente aumentodelle laureate. Il fenomeno si sarebbe proiettato nel corso del tempo inmolti settori economici, pubblici e privati, nonché nelle scuole superioridove le donne – da decenni la maggioranza degli insegnanti delle scuoleelementari e normali –, stavano aumentando ovunque. Un altro indica-tore interessante dell’ascesa femminile nel settore dell’istruzione medianegli anni Venti, infatti, è il numero dei presidi. Nell’anno scolastico1926-27 nelle scuole governative i presidi erano 851 e le presidi 61,negli istituti privati i presidi erano 3.260 e le presidi erano 2.313105. Secon la riforma del 1923 Gentile non fosse intervenuto con quell’articolo(il n. 12) che impediva alle donne di diventare presidi, queste sarebbe-ro presto state a capo della maggior parte delle scuole superiori106. Lostesso fenomeno, senza gli interventi legislativi del 1926 di cui si è detto,si sarebbe verificato nel settore delle discipline umanistiche nei licei,classici e scientifici, e negli istituti tecnici e magistrali107.

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 233

Il calo delle iscrizioni femminili alle facoltà scientifiche si conclusecon l’inizio del secondo conflitto mondiale, quando anche le iscrizionicomplessive delle donne crebbero in modo considerevole, come evi-denziato con enfasi all’indomani della Seconda guerra mondiale dall’I-stituto Centrale di statistica108. Nelle facoltà di scienze, nell’anno acca-demico 1936-37 i laureati in complesso furono 569, di cui 194 donne109,e nell’anno accademico 1939-40 i laureati in scienze salirono a 1.145,di cui 331 donne110.

I rapporti tra donne e scienza negli atenei italiani si sarebbero man-tenuti ottimi fino agli anni Cinquanta.

xDalla Guerra fredda agli anni Duemila

L’incremento più consistente di iscrizioni femminili dopo la Secon-da guerra mondiale, è noto, fu tra la fine degli anni Sessanta e l’iniziodegli anni Settanta. Se nell’anno accademico 1960-61 la percentuale dipopolazione femminile con una laurea era l’1,7% (3,7% la maschile),dieci anni dopo (1970-71), il 7,2% delle donne possedeva una laurea111.

Se fermiamo l’attenzione sulle scelte in tema di facoltà, un datocolpisce: le iscritte alle facoltà scientifiche sono passate dal 31,9% delnumero complessivo delle studentesse nel 1950-51, al 12,2% delle col-leghe circa cinquant’anni dopo, nel 1997-98112: il calo di interesse delledonne nei confronti della scienza è stato più accentuato proprio neglianni in cui l’aumento delle iscrizioni femminili è stato maggiore (fig. 3).

FIG. 3. Percentuali di donne iscritte nel settore scientifico rispetto al totale delle iscrizioni femminili,periodo 1950/51 – 1997/98.Fonte: Elaborazione dei dati Istat.x

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D’altra parte, la crisi nei rapporti tra donne e scienza era già per-cepibile alla fine degli anni Cinquanta. I laureati del gruppo scientifi-co nell’anno accademico 1952-53 furono 4.205, di cui 2.499 donne113;nell’anno accademico 1962-63, i laureati nel medesimo gruppo eranoscesi a 4.034, di cui soltanto 1.745 donne114. Il calo più drammatico fututtavia negli anni Settanta, ma il minimo storico fu toccato nel 1999115.

Oggi a sud delle Alpi una presenza femminile nel settore della ri-cerca scientifica e in particolare ai vertici della carriera è notoriamen-te penalizzata116. Inoltre, classifiche nazionali e internazionali indicanocome insufficienti le prestazioni dell’Italia – uno degli otto paesi piùindustrializzati del globo – nei settori dell’istruzione117 e della ricerca118.Eppure, se si osservano i dati concernenti l’università italiana nel lungoperiodo, come ho tentato di fare in queste pagine, c’è un indicatorein totale controtendenza rispetto a quella situazione che ci affligge: ledonne.

La figura 4 illustra (in dati assoluti) l’andamento delle iscrizioni,maschili e femminili, nel Novecento fino all’anno accademico 2005-06.Le donne iscritte all’università, invisibili fino agli anni Venti, quandoerano il 10% del totale degli iscritti, sono aumentate in modo consi-derevole con il secondo conflitto mondiale, hanno consolidato il loronumero negli anni Cinquanta, hanno compiuto un balzo importanteverso la fine degli anni Sessanta e raggiunto gli uomini nell’anno acca-demico 1990-91, mentre le laureate hanno superato i laureati nel 1992.La crescita delle iscritte è continuata dopo il 2000, a conferma di unaspinta sociale che non pare affievolirsi e che osservata nel lungo periodoappare a dir poco straordinaria.

FIG. 4. Studenti e studentesse universitari iscritti negli atenei italiani, 1911-2006 (valori assoluti).Fonte: Elaborazione dai dati Istat e ministeriali.x

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 235

Nel contesto stabile di crescita delle lauree femminili c’è una novitàdi interesse non solo per chi si occupa di donne e scienza, ma di chiun-que si occupi di rapporti tra scienza, istruzione e sviluppo in Italia.

Negli ultimi dieci anni, mentre le iscrizioni maschili nel settore tec-nico-scientifico hanno denotato un andamento tendente al calo, conuna ripresa minima nel 2005, le iscrizioni femminili sono in leggera macostante risalita119. A quell’incremento incoraggiante si affianca un altrodato, relativo ai dottorati di ricerca: nel 2005 le donne sono state com-plessivamente il 50,9% dei dottori di ricerca, con punte del 72,40%nelle scienze biologiche, del 61,50% nelle scienze mediche, del 59,40%nelle scienze chimiche, 52,20% in scienze agrarie, 50% in scienze dellaterra, 48,90% in ingegneria civile e architettura120.

xConclusione

L’esame di lungo periodo qui delineato consente di individuarealcuni momenti rilevanti nei rapporti tra donne e istruzione scientificasuperiore in Italia tra il 1877, data della prima laurea femminile dopol’unità, e il 2005, quando le donne sono diventate maggioranza tra idottori di ricerca, con ottime prestazioni in campo scientifico.

La fase degli esordi, fino alla Prima guerra mondiale, fu caratteriz-zata da un numero davvero esiguo di studentesse che tuttavia si laurea-rono in scienze o in medicina in un caso su 3. I risultati conseguiti sulpiano professionale dalla maggior parte di quelle prime laureate furonolusinghieri, talvolta importanti.

Una seconda fase nella storia dei rapporti tra donne e scienza vadalla Grande Guerra ai primi anni venti del Novecento, quando in seianni (1918/19-1923/24) il numero delle laureate crebbe del 134%: inquel periodo il numero delle laureate in scienze segnò il picco più altodella prima metà del secolo.

Dopo un periodo di allontanamento, tra la metà degli anni Venti ela fine degli anni Trenta, una terza fase positiva nei rapporti tra donne escienza coincise con l’inizio della Seconda guerra mondiale e si protrassefino agli anni Cinquanta, durante la fase più critica della Guerra fredda.

Tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo vi fu inveceun capitolo molto negativo nei rapporti tra donne e facoltà scientifiche,che coincise d’altra parte con il balzo decisivo verso la parità numericacon gli uomini. In quel decennio, il numero delle laureate crebbe con-siderevolmente nel complesso, ma nelle scienze calò percentualmentein modo sensibile rispetto agli anni Cinquanta.

236 Paola Govoni

L’allontanarsi delle donne dalle facoltà scientifiche si è interrottosoltanto negli ultimi anni e i dati sembrano indicare una nuova, promet-tente fase nei rapporti tra donne e scienza. Sono in aumento le iscrizionifemminili nei settori tecnico-scientifici e di particolare interesse sono irisultati conseguiti dalle donne a sud delle Alpi a livello del dottoratodi ricerca, anche in alcuni settori scientifici.

I dati concernenti l’accesso delle donne all’istruzione superiore pre-sentati in queste pagine restano da approfondire in diverse direzioni. Mafin d’ora autorizzano ad affermare che i risultati conseguiti dalle donnenegli atenei italiani hanno assunto nel corso del Novecento le propor-zioni di una straordinaria conquista: forse la più importante conseguitadalle donne e dalle università italiane nell’ultimo secolo. Si tratta oradi approfondire la ricerca, sia in direzione biografica e prosopografica,sia verso un’analisi delle ragioni che sono state all’origine delle diversefasi qui individuate.

Le ragioni economiche che sottendono il fenomeno appaiono so-stanziali. Tuttavia, al contrario che negli Stati Uniti, dove storici e socio-logi della scienza conducono da anni ricerche sugli effetti che l’accessodelle donne all’istruzione scientifica superiore ha avuto nel corso delNovecento, sia in ambito accademico sia industriale121, va detto che lasituazione degli studi in Italia è assai diversa. Solo ricerche quantitati-ve, di lungo periodo e interdisciplinari, capaci di porre in sinergia glistudi sulle istituzioni e le indagini sociologiche e di storia economica,potranno andare a fondo su una questione che, a giudicare dai dati quipresentanti, sembra tra quelle cruciali per comprendere alcune delleragioni del mancato sviluppo scientifico e tecnologico del paese, non-ché le potenzialità offerte dal presente.

Qualche ipotesi sulle ragioni che si nascondono dietro ad alcunidei picchi, in positivo o negativo, dell’accesso delle donne alle facoltàscientifiche, tuttavia, può essere formulata fin d’ora. È noto che ancoraoggi in Italia le donne sono una presenza nel mercato del lavoro defi-nita dagli esperti come «eccezionalmente bassa» rispetto a quella delledonne di altri paesi europei, anche nei livelli più alti d’istruzione122. Neldeterminare questo stato di cose, le condizioni proprie del mercato dellavoro italiano si sono aggiunte ad altre, ben indagate dalla storiografia:forti pressioni sociali di complessa natura che, a sud più a lungo chea nord delle Alpi, hanno tenuto le italiane lontane dalle professioni e,una volta entrate, hanno impedito loro di fare carriera in modo adegua-to, anche in campo scientifico123. La consapevolezza e le incertezze diquesta realtà, al momento della scelta della facoltà, può avere portatole donne più degli uomini ad aderire alle istanze o alle mode culturalidel momento, piuttosto che a dirigere la scelta in base alle richieste del

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mercato del lavoro. In altre parole, consapevoli delle difficoltà opposteloro sul luogo di lavoro e con la scappatoia sempre disponibile di unlavoro domestico, le donne che potevano accedere agli studi superiori sisarebbero orientate verso quelle discipline che via via sembravano piùdi altre in grado di dare risposte ai quesiti sollevati nei diversi momentistorici: le scienze in alcuni periodi, le «letterature» e le scienze umanein altri periodi, di più lunga e tenace durata in Italia.

Osservando i flussi qui ripercorsi nella prospettiva della storia deirapporti tra scienza e società, appare comune alle diverse fasi che vi-dero una maggiore presenza delle donne nelle facoltà scientifiche quiindividuate – esclusa la eccezionalità rappresentata dal secondo conflit-to mondiale – una sinergia tra le scelte delle donne, alcune tendenzeculturali di portata internazionale e le politiche educative adottate alivello nazionale.

L’aumento e il calo talvolta bruschi nel numero delle iscrizioni fem-minili alle facoltà scientifiche che abbiamo osservato sembrano verifi-carsi quando concreti interventi nel campo dell’istruzione – tipicamen-te riforme, accompagnate da ampie discussioni sulla stampa e poi neimedia – hanno coinciso con più generalizzati movimenti culturali, in-ternazionali e in seguito nazionali, a favore o contro la scienza.

Il tipo di sinergia cui mi riferisco occorse una prima volta nei de-cenni a cavallo tra Otto e Novecento, durante l’età liberale e del posi-tivismo, che coincise con la lunga fase degli esordi delle donne nelleuniversità italiane. L’interesse per le scienze da parte delle prime lau-reate in quella fase si può ricondurre al clima favorevole, in Europa ein Italia, alla diffusione di nuove, attraenti immagini della scienza tra ilpubblico colto dei non esperti124. Negli anni del successo della divulga-zione scientifica, la cosiddetta «scienza per tutti» degli ultimi decennidell’Ottocento, le poche donne che affrontarono gli studi universitari sidimostrarono sensibili a un clima favorevole nei confronti di una scien-za additata come motore di modernità e di sviluppo. In quegli anni,d’altro canto, furono molti in Italia gli interventi di riforma, sia a favoredell’istruzione popolare, sia di quella media e superiore. Nonostante lacampagna dei sostenitori del cosiddetto «darwinismo sociale» collocas-se le donne tra gli individui intellettualmente inferiori, le poche centi-naia di donne che decisero di tentare l’avventura universitaria risposeroin modo positivo a un contesto favorevole alle scienze: un fenomeno,a quanto pare, di lungo periodo che raggiunse il picco all’inizio deglianni venti del Novecento.

Un’analoga, pronta risposta delle donne, questa volta in direzionecontraria, cioè verso una presa di distanza dalle scienze, si produssedurante il fascismo, tra la seconda metà degli anni Venti e per tutto

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il corso degli anni Trenta, quando ai miti di un progresso trainatodalle scoperte scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche, in tuttaEuropa se ne sostituirono altri, meno favorevoli alle scienze. Questoanche se dal 1926 le donne, come si è ricordato, potevano continuarea insegnare scienze e matematica nelle scuole superiori, mentre venivaloro negato di insegnare le discipline umanistiche nei licei. Molte donnein quegli anni si dimostrarono, in termini di scelta della facoltà, sensibilia un orientamento che in Italia trovò, tra gli altri, nel ministro Gentileun sostenitore convinto; un orientamento che del resto ebbe a lungonumerosi sostenitori in campo educativo e culturale.

Una terza sinergia, ancora una volta negativa per le scienze, si veri-ficò tra gli anni Sessanta e Settanta, quando una nuova serie di riformeaprì le porte dell’università anche agli studenti e alle studentesse pro-venienti dagli istituti tecnici e professionali. Si era allora nella secondafase della guerra fredda e il clima si era fatto ancora più ostile nei con-fronti della scienza e degli scienziati, in particolare tra i giovani e lefemministe125. In quegli anni, mentre il numero delle laureate crebbe nelcomplesso in modo esponenziale, calò significativamente quello delleiscritte alle facoltà scientifiche. Anche in questo caso sembra evidenteuna sinergia tra eventi culturali di portata internazionale – movimen-ti giovanili e femministi, spesso critici nei confronti della scienza – einterventi nazionali nel campo dell’educazione, come la riforma dellascuola superiore e la nascita della cosiddetta università di massa.

Infine, i dati che mostrano un riavvicinamento delle donne allefacoltà tecnico-scientifiche negli ultimi anni – un fenomeno che non siosserva tra gli uomini nella stessa misura – sembrano prodursi in unmomento in cui nuove riforme dell’università avvengono in un clima,nazionale e internazionale, indiscutibilmente più favorevole alla scienzarispetto ad alcuni decenni fa a seguito della diffusione internazionaledei progetti ispirati al cosiddetto Public Understanding of Science126.

Prima di chiudere, non si può non osservare che, in Italia, alla si-tuazione brillante delle laureate e delle dottoresse di ricerca non cor-risponde un analogo risultato in campo professionale scientifico. Sesi ritiene che non sia tanto importante in assoluto il numero di don-ne presenti nei laboratori, pubblici e privati, quanto piuttosto la loropresenza in equilibrio con quella maschile nei ruoli più qualificati odirettivi, i dati, scoraggianti in tutti i paesi europei, lo sono in misuramaggiore a sud delle Alpi127. Nel corso del Novecento e in particola-re negli ultimi decenni, avere investito cifre enormi, come si intuiscedai dati esposti in queste pagine, per formare laureate e dottoressedi ricerca cui poi non si permette di restituire alla comunità – quelladella ricerca in primo luogo – quanto potrebbero, non può che avere

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inciso negativamente sullo sviluppo e le capacità di innovazione delpaese128.

PAOLA GOVONI

Note al testo

1 Quest’articolo propone, in una versione aggiornata, profondamente riveduta e ampliata,i dati raccolti nell’ambito di una ricerca finanziata dal MIUR, originariamente pubblicati inP. GOVONI, Donne e scienza nelle università italiane, 1877-2005, in EAD. (a cura di), Storia,scienza e società. Ricerche sulla scienza italiana in età moderna, Bologna 2006 (pp. 239-288). Unringraziamento speciale va a Gianna Pomata e a Giuliano Pancaldi che hanno letto una versioneprecedente di questo articolo e sono stati generosi di suggerimenti. Un grazie anche ai/alle refereeanonimi di «Quaderni Storici» per i loro quesiti e le osservazioni utili.

2 D.F. NOBLE, Un mondo senza donne. La cultura maschile della chiesa e la scienza occidentale,Torino 1994 (1° ed. New York 1992).

3 In particolare si vedano: M. ROSSITER, Women scientists in America. Struggles and strategiesto 1940, Baltimore 1982; E.S. ESCHBACH, The higher education of women in England and America,1865-1920, New York 1993; Histoires de pionnières, dossier di «Travail, genre e sociétés», 4(2000); P.M. MAZÓN, Gender and the modern research university. The admission of women toGerman higher education, 1865-1914, Stanford 2003.

4 Su quella prima fase: M.A. NASH, Women’s education in the United States, 1780-1840,New York 2005.

5 Tra gli altri: C.G. LACAITA, Istruzione e sviluppo industriale in Italia, 1859-1914, Firenze1973; R. FOX, A. GUAGNINI (eds.), Education, technology and industrial performance in Europe,1850-1939, Cambridge 1993; M.C. JACOB, Scientific culture and the making of the industrial West,New York 1997; R. FOX, A. GUAGNINI, Laboratories, workshops, and sites. Concepts and practicesof research in industrial Europe, 1800-1914, Berkeley 1999; M.C. JACOB, L. STEWART, Practicalmatter. Newton’s science in the service of industry and empire, 1687-1851, Cambridge 2004.

6 Ringrazio Andrea Cammelli e Angelo Di Francia per avere discusso con me alcuneimportanti questioni relative alla storia degli studenti nelle università italiane. Sul tema: A.CAMMELLI, Contare gli studenti. Statistica e popolazione studentesca dall’unità a oggi, in «Annalidi Storia delle Università Italiane», 4 (2000), pp. 9-23, p. 6. Si vedano inoltre gli Annali diStoria delle Università Italiane, disponibili nel sito del Centro interuniversitario per la storia delleuniversità italiane (www.cisui.unibo.it ).

7 Sulla vicenda di queste studiose che nel 1922 entrarono in conflitto con Giovanni Gentile:P. GOVONI, Studiose e scrittrici di scienza tra età liberale e fascismo. Il caso Bottero e Magistrelli, inT. BERTILOTTI, M. P. CASALENA (a cura di), Esercizi di stile, in «Genesis», 1.VI (2007), pp. 65-89.

8 P. GOVONI, Un pubblico per la scienza. La divulgazione scientifica nell’Italia in formazione,Roma 2002.

9 C. BELGIOJOSO, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, in «NuovaAntologia», 1 (1866), pp. 96-113. Da uno spoglio del periodico del periodo 1866-1930 risultanonumerosi gli articoli dedicati al tema.

10 Interessanti testimonianze dell’epoca in: S. JEX-BLAKE, Medical women. Two essays, I.Medicine as a Profession for Women, II. Medical Education of Women, Edinburgh 1872; H.LANGE, Higher education of women in Europe, Translated and accompanied by comparativestatistics by L.R. Klemm, New York 1890 (1° ed., Berlin 1888); R. FURLANI, L’educazione delladonna presso i popoli più civili, Roma 1903.

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11 D. PADELLETTI, Le donne alle università di Zurigo ed Edimburgo, in «Nuova Antologia»,23 (1873), pp. 148-170, p. 149.

12 C.M. CIPOLLA, Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale,Torino 1971, pp. 79-80.

13 Su donne e scuola: I. PORCIANI (a cura di), Le donne e la scuola: l’educazione femminilenell’Italia dell’Ottocento, Firenze 1987; S. ULIVIERI, Donne e scuola. Per una storia dell’istruzionefemminile in Italia, in E. BESEGHI, V. TELMON (a cura di), Educazione al femminile: dallaparità alla differenza, Firenze 1992; S. SOLDANI, S’emparer de l’avenir: les jeunes filles dans lesécoles normales et les établissements secondaires de l’Italie unifiée (1861-1911), in «PaedagogicaHistorica», 40.1-2 (2004), pp. 123-42.

14 Il dato si riferisce al 1901. T. De MAURO, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma 2001,p. 95 (1° ed. 1963).

15 Dell’istruzione e educazione della donna, supplemento al n. 10, BUMIP, a. XXVII, v.1, Roma, 10 marzo 1900, p. 494.

16 Istituto centrale di statistica, Sommario di statistiche storiche italiane, 1861-1955, Roma1958, p. 77.

17 Dell’istruzione e educazione cit., pp. 474-8. Sulla formazione dell’immagine professionaledella maestra elementare nel periodo: T. BERTILOTTI, Maestre a Lucca. Comuni e scuola pubblicanell’Italia liberale, Brescia 2006. Su pensiero positivista e istruzione: T. PIRONI, Roberto Ardigò,il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, Bologna 2000.

18 Informazioni tratte dal carteggio tra il ministero e i rettori, in Statistiche delle donne chefrequentano le università, Archivio Centrale dello Stato (ACS), Divisione istruzione superiore,1883, b. 58. L’anno seguente il BUMPI registrava 33 iscritte nelle università e istituti superiori(19 studentesse e 14 uditrici), e 105 iscritte presso gli Istituti superiori di magistero femminile diFirenze e Roma. BUMPI, X, VII, luglio 1884, «Statistica degli studenti iscritti», p. 286.

19 «Statistiche delle donne che frequentano le università», ACS, Divisione istruzionesuperiore, 1883, b. 58.

20 V. RAVÀ, Le laureate in Italia, in BUMPI, v. 1, n. 14, 3 aprile 1902, pp. 634-54.21 Nel 1913-14, per esempio, i laureati furono 3.962 (Istituto Centrale di Statistica, Annuario

statistico dell’istruzione italiana, 1947-48, serie I, v. 1, 1950, Roma 1950, Dati retrospettivi, p.183). Il numero complessivo dei laureati poneva in ogni caso l’Italia al fondo della classificadi tutti i paesi per i quali è disponibile una documentazione: A. CAMMELLI, A. Di FRANCIA,Studenti, università, professioni: 1861-1993, in M. MALATESTA (a cura di), Storia d’Italia, Annali10, I professionisti, Torino 1996, pp. 5-77, p. 27. Per il vasto panorama degli interventi sullaquestione universitaria: I. PORCIANI, M. MORETTI, (a cura di), L’università italiana: bibliografia,1848-1914, Firenze 2002.

22 MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO. DIREZIONE GENERALE DI STATI-STICA, Annuario Statistico Italiano. 1904, Roma 1904, p. 175.

23 Dati dei rispettivi ministeri dell’educazione riportati in Lange, Higher education of womencit., p. xxiv. Arretrata anche la situazione della Francia, dove nel 1887 si stimava un 2% distudentesse universitarie. Per i dati concernenti l’Italia, elaborazione dei dati forniti in Istitutocentrale di statistica, Sommario di statistiche storiche dell’Italia, 1861-1975, Roma 1976, p. 56.

24 M. BRYANT, The unexpected revolution. A study in the history of the education of womenand girls in the nineteenth century, London 1979.

25 È forse poco significativo comparare dati così distanti tra loro quantitativamente e neltempo. In ogni caso, nel 2005 di 100 laureati, maschi e femmine, solo il 23,4% ha ottenuto la laureanel settore matematico, scientifico e tecnologico. Circa gli immatricolati, nell’anno accademico2003-2004 ogni 100 iscritti le donne immatricolate ai corsi di matematica, scienze e tecnologieerano 15,7, gli uomini 35,5. MIUR, Direzione generale per gli studi e la programmazione,L’università in cifre 2007, Roma 2008, p. 36 (ultimi dati disponibili).

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26 A. SANTUCCI (a cura di), Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Milano 1982; P.ROSSI (a cura di), L’età del positivismo, Bologna 1986.

27 C. EAGLE RUSSETT, Sexual science. The Victorian construction of womanhood, Cambridge1989; L. JORDANOVA, Sexual visions. Images of gender in science and medicine between theeighteenth and twentieth centuries, Madison 1989; L. SCHIEBINGER, Nature’s body. Gender inthe making of modern science, Boston 1993, capp. 4 e 5. Circa l’Italia: V.P. BABINI, F. MINUZ,A. TAGLIAVINI, La donna nelle scienze dell’uomo, Milano 1986; M. GIBSON, On the insensitivityof women: Science and the woman question in liberal Italy, 1890-1910, in «Journal of Women’sHistory», 2 (1990), pp. 11-41; A. ROSSI-DORIA, Antisemitismo e antifemminismo nella culturapositivistica, in A. BURGIO, (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia1870-1945, Bologna 1999, pp. 455-473; P. GOVONI, Divulgare e tradurre: Giovanni Canestrini,le razze e la donna, in A. MINELLI, S. CASELLATO (a cura di), Giovanni Canestrini Zoologist andDarwinist, Venezia 2001, pp. 69-93.

28 MIUR, Direzione generale per gli studi e la programmazione, L’università in cifre. 2007cit., p. 43 (disponibile all’indirizzo, http://www.miur.it/ustat/documenti/pub2005/index.asp).

29 Il lavoro si basa su uno spoglio del «Bollettino», denominato «Bollettino Ufficiale.Ministero della Pubblica Istruzione» (BUMPI), 1874-1887; «Bollettino Ufficiale dell’Istruzione»,(BUI), 1887-1891; «Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica», (BUMIP),1891-1923.

30 Per un profilo prosopografico delle prime 72 laureate in science e ulteriori riferimentibibliografici su donne e scienza: GOVONI, Donne e scienza cit., pp. 239-88. Si veda inoltre la basedi dati: V. P. BABINI, R. SIMILI (a cura di), Scienza a due voci, http://scienzaa2voci.unibo.it.

31 L’origine sociale delle studentesse delle quali ho esaminato i fascicoli personali (Universitàdi Bologna, Università di Pavia, Università di Roma, La Sapienza) si può collocare nella piccola emedia borghesia. Per una testimonianza dell’epoca: Relazione statistica della Istruzione pubblicae privata in Italia, compilata da documenti ufficiali per l’Esposizione di Parigi, Roma 1878, p.133 e seguenti. Vedi inoltre: A. CAMMELLI, F. SCALONE, Donne, università e professioni. Ilcaso dell’ateneo bolognese alla fine dell’Ottocento, in «Storia in Lombardia», 3 (2001), pp.7-111, soprattutto pp. 87-88; M. DE GIORGIO, Le italiane dall’unità a oggi. Modelli culturali ecomportamenti sociali, Roma-Bari 1992, in particolare i capp. V e VI. Circa la ricca storiografiasul contesto economico dell’Italia del periodo rimando a: V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro.La seconda rinascita economica dell’Italia 1861-1981, Bologna 2003.

32 GOVONI, Un pubblico per la scienza cit. Per il panorama internazionale: W.H. BROCK,Science for all. Studies in the history of Victorian science and education, Aldershot 1996; B.BENSAUDE-VINCENT, A. RASMUSSEN (éds.), La science populaire dans la presse et l’édition XIXet XX siècles, Paris 1997; A. DAUM, Wissenschaftspopularisierung im 19. Jahrhundert, München1998; R. MACLEOD, The «Creed of science» in Victorian England, Aldershot 2000; A. FYFE, B.LIGHTMAN (eds.), Science in the marketplace: Nineteenth-century sites and experiences, Chicago2007; F. PAPANELOPOULOU, A. NIETO-GALAN, E. PERDRIGUERO (eds.), Popularizing Science andTechnology in the European Periphery, 1800-2000, Aldershot 2009.

33 Su questo tema rimando a: K. OFFEN, European feminism, 1700-1950. A political history,Stanford 2001 e A. ROSSI-DORIA, Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne,Roma 2007.

34 C. LÉCUYER, Une nouvelle figure de la jeune fille sous la IIIe République: l’étudiante, inG. HOUBRE (dir.), Le temps des jeunes filles, in «Clio», 4 (1996), pp. 166-76.

35 C. CHRISTEN-LÉCUYER, Les premières étudiantes de l’Université de Paris, in «Travail,genre et Société», 4 (2000), pp. 35-50 p. 39.

36 M.G. BROCK, M.C. CURTHOYS (eds.), Nineteenth-Century Oxford, Part 2, The Historyof the University of Oxford, vol. 7, Oxford 2000, cap. 10.

37 C.N.L. BROOKE, A History of The University of Cambridge, 1870-1990, vol. 4, Cambridge1993, pp. 324-330 e R. MCWILLIAMS TULLBERG, Women at Cambridge, Cambridge 1998.

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38 La vincitrice della prima borsa, destinata a uno studio su «La posizione sociale edeconomica delle donne in Inghilterra in un periodo determinato, precedente alla RivoluzioneIndustriale», fu una giovane allora sconosciuta: Eileen Powell. Su questa importante vicenda:G. POMATA, Risposta a Pigmalione: le origini della storia delle donne alla London School ofEconomics, in «Quaderni storici», 110.2 (2002), pp. 505-44. Sui rapporti tra donne e ricercastorica, con particolare attenzione all’Italia: L. PASSERINI, P. VOGLIES (eds.), Gender in thereproduction of history, Firenze 1999; M.P. CASALENA, Scritti storici di donne italiane. Bibliografia1800-1945, Firenze 2003; M. PALAZZI, I. PORCIANI, (a cura di), Storiche di ieri e di oggi. Dalleautrici dell’Ottocento alle riviste di storia delle donne, Roma 2004; G. POMATA, Dalla biografiaalla storia e ritorno: Iris Origo tra Bloomsbury e Toscana, in BERTILOTTI, CASALENA, Esercizidi stile cit., pp. 117-56.

39 MAZÓN, Gender and the modern research university cit., p. 54.40 N. TIKHONOV, Student migrations and the féminisation of European universities, in «Clio.

Actes de l’histoire de l’immigration», 2002 (http://barthes.ens.fr/clio/revues/AHI/articles/pre-prints/tiko.html).

41 D. GOUZÉVITCH, I. GOUZÉVITCH, The difficult challenges of no man’s land or the Russianroad to the professionalization of women’s engineering (1850-1920), in «Quaderns d’Historia del’Hinginyeria», IV (2000), pp. 173-241, p. 193.

42 Ricca la letteratura internazionale su donne e scienza nell’Italia dei Lumi, per la qualerimando agli importanti: M. CAVAZZA, «Dottrici» e lettrici dell’Università di Bologna nel Settecento,in «Annali di storia delle università italiane», 1 (1997), pp. 109-26; P. FINDLEN, Science as a career inEnlightenment Italy. The strategies of Laura Bassi, in «Isis», 84 (1993), pp. 441-69; R. MESSBARGER,Waxing poeting: Anna Morandi Manzolini’s anatomical stulptures, in «Configurations», 9.1(2001), pp. 65-97; M. MAZZOTTI, The World of Maria Gaetana Agnesi, Mathematician of God,Baltimore 2007.

43 A. HIBNER KOBLITZ, A convergence of lives. Sofia Kovalevskai. Scientist, writer, revolu-tionary, Rutgers 1993.

44 LANGE, Higher education of women cit., p. 117.45 L’interessante tesi, che nega una presenza dell’ideologia delle «separate spheres» in

quella fase della storia delle donne nell’istruzione è sostenuta in NASH, Women’s education cit.46 LANGE, Higher education of women cit., p. xxiv. I dati sugli Stati Uniti sono riportati

nel libro di Lange nell’introduzione a cura di L.R. Klemm. Vedi inoltre ROSSITER, Womenscientists in America cit.

47 «Le donne possono essere iscritte nel registro degli studenti e degli uditori, ove presentinoi documenti richiesti», in Nuovi regolamenti Universitari, BUMPI, v. II, n. XII, gennaio 1876, p.12. Quello stesso anno nel «Bollettino» era citata la prima studentessa, Emma Colombini. Postidi studio, assegni e sussidî universitari, BUMPI, maggio 1876, vol. II, n. V, p. 368.

48 Su donne e istruzione superiore: M. RAICICH, Liceo, Università, professioni: un percorsodifficile, in S. SOLDANI (a cura di), L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminilinell’Italia dell’Ottocento, Milano 1989, pp. 147-81; S. ULIVIERI, La donna e gli studi universitarinell’Italia postunitaria, in F. DE VIVO, G. GENOVESI (a cura di), Cento anni di Università.L’istruzione superiore in Italia dall’Unità ai nostri giorni, Napoli 1986; T. TOMASI, L. BELLATALLA,L’università italiana nell’età liberale (1861-1923), Napoli 1988; F. PESCI, Pedagogia capitolina.L’insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma, dal 1872 al 1955, Parma 1994.

49 M. MODONI GEORGIOU, Cornelia Fabri, scienziata ravennate, in «Ravenna studi ericerche», 2 (1997), p. 160.

50 Durante uno dei tentativi di farsi accettare dalla facoltà di medicina in Scozia, SophiaJex-Blake si era assicurata la collaborazione delle mogli di alcuni docenti affinché l’accompa-gnassero alle lezioni. JEX-BLAKE, Medical women cit., p. 84.

51 RAVÀ, Le laureate in Italia cit., p. 641.

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 243

52 27 in scienze naturali, 22 in medicina, 19 in matematica, 2 in fisica, 2 in chimica, 1in «chimica e farmacia». Ibidem.

53 Registro dei verbali della Facoltà di scienze fisico-matematiche e naturali, Copie auten-tiche, titolo IV, posiz. 3°, Archivio generale studenti, Università di Roma, La Sapienza. GOVONI,Studiose e scrittrici cit.

54 B. BILODEAU, N. HULIN, Les premiers doctorats féminins à la Faculté des sciences deParis (1888-1920) à travers les rapports de thèses, in «Archives Internationales d’Histoire desSciences», 47 (1997), pp. 295-315.

55 CAMMELLI, DI FRANCIA, Studenti, università, professioni: 1886-1993 cit., p. 42. Sullaorganizzazione delle facoltà scientifiche in Italia: A. DRÖSCHER, Academic zoology between1861 and 1900, in MINELLI, CASELLATO, Giovanni Canestrini Zoologist and Darwinist cit.,pp. 305-20; ID., Le facoltà medico-chirurgiche italiane, 1860- 1915. Repertorio delle cattedree degli stabilimenti annessi, dei docenti, dei liberi docenti e del personale scientifico, Bologna2002.

56 C.F. FERRARIS, Statistiche delle Università e degli Istituti superiori, in «Annali di statistica»,V.6 (1913), p. XI. Dato confermato da CAMMELLI, Contare gli studenti cit., p. 8 versione online,disponibile all’indirizzo http://www.cisui.unibo.it/home.htm.

57 A. GALBANI (a cura di), Donne politecniche, Milano 2001; M. GIANNINI, I. SCOTTI, Donneingegnere: le pioniere del primo Novecento, in M.G. VICARELLI (a cura di), Donne e professioninell’Italia del Novecento, Bologna 2007, pp. 73-95.

58 FERRARIS, Statistiche delle Università cit., p. xxvii.59 L. LUZZATTI, Progressi della scienza in Italia. Insufficienze della scuola e dei suoi ordina-

menti, in «Nuova Antologia», 227 (1909), pp. 177-206, citazione p. 201.60 FERRARIS, Statistiche delle Università cit., p. xvi.61 Si vedano S. ROBERTS, Sophia Jex-Blake. A woman pioneer in nineteenth-century medical

reform, London 1993; E.S. MORE, Restoring the balance. Women physicians and the professionof medicine, 1850-1995, Cambridge 1999; J. BOYD, The excellent doctor Blackwell. The life ofthe first woman physician, Sutton 2005; A.M. TUCHMAN, Science has no sex. The life of MarieZakrzewska, Chapel Hill 2006.

62 A. KULISCIOFF, Il sentimento nella questione femminile, in «Critica Sociale», 9.II (1892),pp. 142-3.

63 La vicenda è raccontata in P. MAZZARELLO, Il Nobel dimenticato. La vita e la scienzadi Camillo Golgi, Torino 2006, pp. 257-64. Vedi inoltre: L. BELLONI, Anna Kuliscioff, allievadel Cantani e del Golgi e le sue ricerche sulla etiologia della febbre puerperale, in «Physis», 20(1978), pp. 337-48.

64 P. MANTEGAZZA, Fisiologia della donna, Milano 1932, X (1° ed., Milano, 1893), p. 326.Su questo autore e la sua immagine della donna: GOVONI, Un pubblico per la scienza cit., cap. V.

65 MANTEGAZZA, Fisiologia della donna cit., p. 292.66 CORDELIA, Le donne che lavorano, Milano 1916, p. 103. Su questa figura: V. AFFLERBACH,

Cordelia e il suo mondo. Vita, opere e traguardi di Virginia Treves, Hamburg 2000. Circa illavoro femminile: A. GROPPI (a cura di), Il lavoro delle donne, Roma 1996; M. PALAZZI, Donnesole. Storia dell’altra faccia dell’Italia tra antico regime e età contemporanea, Milano 1997; B.CURLI, Italiane al lavoro, 1914-1920, Venezia 1998; M. MALATESTA, Professionisti e gentiluomini.Storia delle professioni nell’Europa contemporanea, Torino 2006, soprattutto il sesto capitolo;VICARELLI, Donne e professioni nell’Italia del Novecento cit.

67 CORDELIA, Le donne che lavorano cit., p. 7.68 Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica, Gli studenti delle università

italiane. Indagini statistiche, Suppl. n. 59 del 31 dic. 1923, Roma 1923, p. 205. Il dato si riferisceall’anno accademico 1914-15.

244 Paola Govoni

69 Istituto centrale di statistica, Statistica dell’istruzione superiore nell’anno accademico1945-46, Roma 1948, tav. 11, pp. 98-9.

70 Segnalazione della laurea di Bottero e Magistrelli in «The Englishwoman’s review of socialand industrial questions», vol. 12, 1881, p. 380; The Annual Register of World Events: A Review ofthe Year, 1882, p. 48; H.J. HANSON ROBINSON, Massachusetts in the Woman Suffrage Movement:A General, Political, Legal and Legislative History from 1774, to 1881, 2° ed., Boston 1883, p. 251.

71 DONNINA, All’Università, in «Cordelia», 13 marzo 1887, pp. 155-7. Innumerevoli gliinterventi nel periodico «La donna». Circa i giornali specialistici: E. GURRIERI NORSA, Le laureatein Italia, in «L’università italiana», 15 ottobre 1902, p. 182. Circa i giornali locali, per la laureadi Evangelina Bottero: «La Gazzetta D’Acqui», 21-22 marzo 1883; per quella di Amalia MorettiFoggia: «La Gazzetta di Mantova», 22-23 novembre 1898.

72 Il Regio Istituto superiore di magistero femminile non rilasciava alle diplomate uncertificato equiparato alla laurea, ma i docenti erano equiparati a tutti gli effetti a quelli universitari,come per esempio quelli del Regio Istituto superiore di Firenze.

73 BUMIP, a. XXXVIII, v. II, n. 32, 27 luglio 1911, p. 2644.74 BUMIP supplemento del n. 13 del 28 marzo 1918, Ruolo di anzianità dei professori

ordinari e straordinari delle RR università e degli istituti di istruzione superiore, Roma, 1918.75 M.R.S. CREESE, Ladies in the laboratory? American and British women in science, 1800-

1900. A survey of their contributions to research, with contributions by T. M. Creese, Lanham 1998.76 ID., Ladies in the laboratory II: West European women in science, 1800-1900. A survey of

their contributions to research, with contributions by T. M. Creese, Lanham 2004, p. 209.77 Ivi, p. 190. Unico studio di lungo periodo disponibile su donne e scienza in Italia è G.

BERTI LOGAN, Italian women in science from the Renaissance to the Nineteenth century, Ph.D.Thesis, University of Ottawa 1998. Circa l’Ottocento: ID., Women and botany in RisorgimentoItaly, in «Nuncius», 2 (2004), pp. 601-28 e ID., Caterina Scalpellini. Astronomy and meteorologyin Risorgimento Rome, in «Nuncius», 1 (2005), pp. 189-217.

78 Circa le donne medico: M.G. VICARELLI, Donne di medicina. Il percorso professionaledelle donne medico in Italia, Bologna 2008.

79 Elaborazione dati in Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica, Glistudenti delle università italiane. Indagini statistiche, Supplemento al n. 59, cit., p. 203 e p.205. Sull’università, oltre ai titoli già citati: V. ANCARANI (a cura di), La scienza accademicanell’Italia post-unitaria. Discipline scientifiche e ricerca universitaria, Milano 1989; G.P. BRIZZI,A. VARNI (a cura di), L’università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti,Bologna 1991; G. FIORAVANTI, M. MORETTI, I. PORCIANI (a cura di), L’istruzione universitaria(1859-1915), Roma 2001.

80 FURLANI, L’educazione della donna cit. Non risulta che al concorso abbiano partecipatodonne, né che ve ne fossero nella commissione del premio. Informazioni fornitemi dalla prof.ssaA. Conte che si sta occupando dell’ordinamento dell’archivio del Beccaria e che ringrazio.Partecipò al concorso anche Roberto Puccini, che pubblicò il suo scritto con un’introduzione diLuisa Anzoletti. In questo caso, si tratta di una fonte preziosa, ma di più tradizionali immaginidella donna. R. PUCCINI, L’educazione della donna ai nostri tempi ne’ popoli più civili, con pref.di Luisa Anzoletti, Milano 1904.

81 FERRARIS, Statistiche delle Università e degli Istituti superiori cit., p. XXVI.82 É. de LAVELEYE, Letters from Italy, translated by Mrs Thorpe, London 1886, pp. 110-1

(1 ed. Milano-Bruxelles, 1884). Il volume era stato scritto dopo il viaggio compiuto dal belga nel1880 in occasione della riunione torinese dell’Institut de Droit International. Laveleye osservavainoltre che, mentre vi erano studentesse presso l’Università di Bologna (5 a medicina e «several»a lettere), nella stessa città solo una era iscritta al liceo (ivi, p. 216).

83 Ministero dell’Economia Nazionale, Direzione Generale della Statistica, Annuario Sta-tistico Italiano, seconda serie, v. VIII, anni 1919-1921, Indici economici fino al 1924, Roma,1924-25, p. 134. In quello stesso anno scolastico le licenziate dalle scuole normali furono 8.494

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 245

(889 gli uomini); le licenziate dalle scuole complementari furono 5.703 (44 gli uomini); 2.019le licenziate dai ginnasi (7.063 gli uomini); 11.231 le licenziate dalle scuole tecniche (17.572 gliuomini); 1.227 le licenziate dagli istituti tecnici (5.905 gli uomini).

84 Art. 65 in Capo 7° Dei licei femminili, in Regio decreto 6 maggio 1923, n. 1054, relativoall’ordinamento della istruzione media e dei convitti nazionali, in «Gazzetta Ufficiale del Regnod’Italia», 2 giugno 1923, n. 129, p. 4350.

85 Ivi, p. 4354. In effetti, le alunne che si iscrissero ai sette licei aperti nel Regno, furonosoltanto 120 nel 1922-23 e 124 l’anno successivo. Presidenza del Consiglio dei Ministri, IstitutoCentrale di Statistica, Annuario Statistico Italiano, seconda serie, v. IX, anni 1922-1925, Roma1926, p. 77.

86 WIERA, Per la coltura scientifica della donna, in «Unione Femminile», 1 (1901), pp. 3-4.87 Di estremo interesse gli atti del convegno, al quale partecipò Carolina Magistrelli e

dove Margarete Traube tenne una relazione nella sessione donne e scienza. Atti del I CongressoNazionale delle Donne Italiane, Roma, 24-30 aprile 1908, Roma 1912. Sull’emancipazionismoitaliano limito i rimandi ai classici: F. PIERONI BORTOLOTTI, Alle origini del movimento femminilein Italia, Torino 1975 (1° ed.1963); P. GAIOTTI DE BIASE, Le origini del movimento cattolicofemminile, Brescia 2002 (1° ed. 1963).

88 Istituto centrale di statistica, Sommario di statistiche storiche dell’Italia, 1861-1975 cit.,p. 56.

89 La storia dell’Istituto superiore di magistero femminile di Roma, esemplificata dallevicende professionali di Bottero e Magistrelli prima citate, sembra una conferma di questofenomeno.

90 G. PANCALDI, Wartime chemistry in Italy: Industry, the military and the professors, in R.MACLEOD, J.A. JOHNSON (eds.), Frontline and factory. Comparative perspectives on the chemicalindustry at war, 1914-1924, Berlin-Paris-New York 2006, pp. 61-74, cui rimando anche perulteriore bibliografia.

91 Le donne impegnate nell’industria bellica, che nell’ottobre 1915 erano circa 15.000,raggiunsero alla fine del conflitto le 200.00 unità. V. FRANCHINI, Il contributo delle maestranzefemminili all’opera di allestimento di materiali bellici (1915-1918), Milano-Roma [1929]. Per altrisettori: CURLI, Italiane al lavoro, 1914-1920 cit.; G. MAIFREDA, La disciplina del lavoro. Operai,macchine e fabbriche nella storia italiana, Milano 2007, in particolare pp. 198-216. Fondamentalesul periodo V. DE GRAZIA, How fascism ruled women. Italy 1022-1945, Berkeley 1992.

92 Direzione generale della statistica e del lavoro. Ufficio del censimento, Censimento dellapopolazione del Regno d’Italia al 10 giugno 1911, v. VII, Relazione, Roma 1916, p. 126.

93 Presidenza del consiglio dei ministri, Istituto centrale di statistica, Censimento dellapopolazione del Regno d’Italia al 1° dicembre 1921, serie VI, v. XIX, Relazione generale, Roma,1928, anno VI, p. 252.

94 Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, VII censimento generale della popolazione,21 aprile 1931, v. IV, Relazione generale, parte seconda, tavole, Roma 1935, p. 243.

95 Si tratta dell’art. 11 del R.D. 9 dicembre 1926, n. 2480, pubblicato in «Gazzetta Ufficiale»,29 marzo 1927, n. 73 e in «Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia», anno 1927(V), v. I (dal 1° gennaio al 2 aprile 1927), Roma 1927, p. 1232. La restrizione riguardava le classi diconcorso IV, V, VI e VII. Per le tabelle che illustrano le classi di concorso si veda ivi, pp. 1248-51.

96 R. MACLEOD, Il dibattito sulla «bancarotta della scienza». Il credo della scienza e i suoicritici, 1885-1900, in «Intersezioni», 2 (1983), pp. 361-82; L. MANGONI, Una crisi fine secolo.La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino 1985; J.W. BURROW, The crisis ofreason. European thought, 1848-1914, New Haven 2000.

97 Nell’anno accademico 1930-31 dei 1.614 docenti complessivi, tra università libere e regie,25 erano donne, 11 presso le facoltà di lettere, 8 presso le facoltà di scienze, 4 presso quella dimedicina e 2 di farmacia. Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, Statistiche intellettuali.

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Statistica dell’istruzione superiore per l’anno accademico 1931-32 e notizie statistiche per gli anniaccademici dal 1927-28 al 1930-31, vol. 11, Roma 1936, pp. 74-5.

98 Si tratta di dati emersi nel corso di una ricerca che sto conducendo su Eva Mameli Calvino.Tra le fonti: Annuario della Regia Università di Cagliari. Anno scolastico 1922-1923/1923-1924,Cagliari 1924, passim; Annuario della Regia Università di Cagliari. Anno scolastico 1924-1925/1925-1926/1927-27, Cagliari 1928, passim; Annuario della Regia Università di Cagliari. Annoscolastico 1928-1929, Cagliari [sd], passim. Utili spunti per ulteriori ricerche sulle donne sardein Donne. Due secoli di scrittura femminile in Sardegna (1775-1950). Repertorio bibliografico,Cagliari 2001.

99 Per i dati dal 1882 al 1906: Ministero di agricoltura, industria e commercio. Direzionegenerale della statistica, Annuario Statistico Italiano, 1905-1907, Roma 1908, p. 288.

100 Le diplomate l’anno precedente erano state 72. BUMIP, anno xxxix, n. 33, 11 luglio1912, p. 2177. Da questo anno il BUMIP riporta le statistiche degli studenti differenziate tramaschi e femmine.

101 Per la soppressione della cattedra di fisica: R. D. 11 gennaio 1923, n. 190, in «GazzettaUfficiale», 14 febbraio 1923, n. 37 e BUMIP, anno L, vol. I, n. 8, 22 febbraio 1923, p. 535.Inoltre, R. D. 13 marzo 1923, n. 736, che detta le norme per il riordinamento degli Istitutisuperiori di magistero, in «Gazzetta Ufficiale», 14 aprile 1923, n. 88 e BUMIP, anno L, vol.I, n. 17, 26 aprile 1923, pp. 1385-90.

102 Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, Annuario statistico italiano, anno 1928,VI, terza serie, v. II, Roma 1928, p. 75.

103 G. GENTILE, Il problema scolastico del dopoguerra, Napoli 1919, p. 8. Si tratta di unalettera aperta già pubblicato in ID., Esiste una scuola in Italia? Lettera aperta al ministro dellaP. I. on. Berenini, in «Il Resto del Carlino», 4 maggio 1918.

104 Presidenza del consiglio dei ministri, Istituto centrale di statistica, Annuario StatisticoItaliano, seconda serie, v. IX, anni 1922-1925 cit., pp. 97-9.

105 Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, Annuario Statistico Italiano, anno 1928cit., p. 76. Purtroppo l’Annuario non riporta il numero dei presidi negli anni precedenti.

106 Art. 12: «I presidi sono scelti dal ministro tra i professori ordinari provveduti di laureacon almeno un quadriennio di anzianità di ordinario. Dalla scelta sono escluse le donne», in«Regio decreto 6 maggio 1923, n. 1054, relativo all’ordinamento della istruzione media e deiconvitti nazionali» cit., pp. 4350-1.

107 Per un elenco dei decreti che durante il fascismo esclusero le donne dal lavoro: M.V.BALLESTRERO, La protezione concessa e l’eguaglianza negata, in GROPPI, Il lavoro delle donnecit., pp. 445-69.

108 Istituto centrale di statistica, Statistica dell’Istruzione superiore nell’anno accademico1945-46, Roma 1948, pp. 37-38. L’aumento degli uomini va naturalmente collegato ai vantaggi(reali o presunti) derivanti dall’iscrizione a un’università in tempo di guerra in rapporto alservizio militare.

109 Ivi, p. 280.110 Istituto centrale di statistica, Annuario Statistico Italiano, anno 1941 – XIX, quarta

serie, vol. 8, Roma, [1941], p. 298.111 ISTAT, Donne all’università, Bologna 2001, passim.112 Ivi, p. 118.113 Istituto centrale di statistica, Annuario Statistico Italiano, 1955, Roma [1965], p. 122.

Complessivamente 20.059 laureati, di cui 6.387 laureate.114 Istituto centrale di statistica, Annuario Statistico Italiano, 1965, Roma [1965], p. 122.115 Miur, Direzione generale per gli studi e la programmazione, L’università in cifre. 2007

cit., p. 43.

Le studentesse delle facoltà scientifiche in Italia 247

116 UNESCO, World Report on Science, Technology and Gender, Paris 2005; Women andScience. Statistics and indicators. She figures 2006, Brussels 2006; OECD, Women in ScientificCareers: Unleashing the Potential, Paris 2006, in particolare, S. AVVEDUTO, Women in scientificcareer: The case of Italy, in ivi, pp. 209-18; V. ARZENTON, G. PELLEGRINI, I. NECHIFOR (a curadi), Donne e scienza 2008. L’Italia nel contesto internazionale, Vicenza 2008.

117 Organization for Economic Co-operation and Development, PISA 2006 (http://www.pisa.oecd.org/pages/0,2987,en_32252351_32235731_1_1_1_1_1,00.htm).

118 Solo un ateneo italiano è al momento classificato tra i primi 200 nel mondo, l’Uni-versità Bologna al 192° posto (nel 2007 era 173° posto). Vedi World University Rankings2008, in «Times Higher Education Supplement», (http://www.timeshighereducation.co.uk/hybrid.asp?typeCode=243&pubCode=1).

119 Miur-DG Studi e programmazione, L’università in cifre 2007 cit., p. 44. Per dati piùanalitici si vedano: Miur, Ufficio di statistica (www.miur.it/ustat/Statistiche/BD_univ.asp) eConsorzio interuniversitario Almalaurea (www.almalaurea.it).

120 Miur-DG Studi e programmazione, L’università in cifre 2007 cit., p. 52.121 Impossibile rendere giustizia alla produzione internazionale su questi temi, vasta e

importante com’è stata negli ultimi venti anni. Oltre ai volumi citati nel corso dell’articolo,si veda lo «History of Science, Technology, and Medicine Database» (http://eureka.rlg.org/),Isis Cumulative Bibliography, 1986-95: A bibliography of the history of science formed fromthe annual Isis Current Bibliographies, ed. by J. Neu, computer production, P. G. Sobol, 4voll., Canton 1997, e gli aggiornamenti annuali successivi. Per quanto concerne le influen-ze del femminismo statunitense sul farsi della scienza: L. SCHIEBINGER, Has feminism chan-ged science?, Cambridge 1999 e ID (ed.), Gendered innovations in science and engineering,Stanford 2008.; S. EPSTEIN, Inclusion. The politics of difference in medical research, Chicago2007.

122 C. DELL’ARINGA, Introduzione, a C. LUCIFORA (a cura di), Mercato, occupazione e salari:la ricerca sul lavoro in Italia. I. Capitale umano, occupazione e disoccupazione, 2 voll., Milano2003, p. xv. Nel volume si veda in particolare, D. CHECCHI, Scelte di scolarizzazione ed effettisul mercato del lavoro, pp. 7-29.

123 In un confronto tra 27 paesi europei nel numero di ricercatori, donne e uomini, ognicento lavoratori, l’Italia è quart’ultima. European Commission, Directorate General for Research,She figures 2006. Women and Science. Statistics and indicators, p. 39 (http://ec.europa.eu/resear-ch/science-society/pdf/she_figures_2006_en.pdf).

124 Furono numerose in quei decenni, anche le divulgatrici scientifiche. Per un panoramadelle autrici di lingua inglese e ulteriore bibliografia sul tema: B. LIGHTMAN, Victorian popularizersof science: Designing nature for new audiences, Chicago 2007, pp. 95-165.

125 Circa lo scarso interesse – che non fosse di critica – dei movimenti femminili neiconfronti della scienza, la testimonianza di una protagonista è in E. FOX KELLER, Sul genere ela scienza, Milano 1987, p. 18. (1° ed. Yale 1985).

126 Sul fenomeno rimando a: «Public Understanding of Science», rivista fondata nel 1992.Per quanto concerne alcuni degli enti coinvolti in attività di diffusione della scienza, moltiplicatesiin modo esponenziale negli ultimi dieci anni: CoPus, Royal Society (www.copus.org.uk/); Ame-rican Association for the Advancement of Science (http://www.aaas.org/); Gruppo di Lavoroper lo Sviluppo della Cultura Scientifica e Tecnologica (www.pubblica.istruzione.it/argomen-ti/gst/index.shtml).

127 European Commission, Directorate General for Research, She figures 2006 cit.128 A. CICCONE, F. CINGANO, P. CIPOLLONE, The private and social return to schooling

in Italy, Banca d’Italia, Temi di discussione del servizio studi n. 569, January 2006; D. CHEC-CHI, LUCIFORA (eds.), Education, training and labour market outcomes, Basingstoke-New York2004.