Sacrilegi e spazi sacri e profane: Ebrei e cristiani in Polonia d’età moderna

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SEMINARI E CONVEGNI

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Convegno nazionale di studiPisa, Scuola Normale Superiore19-20 settembre 2008

Brotherhood and Boundaries Fraternità e barriere

a cura diStefania PastoreAdriano ProsperiNicholas Terpstra

© 2011 Scuola Normale Superiore Pisa

isbn 978-88-7642-354-3

Indice

IntroduzioneStefania Pastore, Adriano Prosperi, Nicholas Terpstra ix

Le frontiere

Confraternite senza barriere? Un ‘viaggio’ tra casi ed esempiGiovanna Casagrande 3

Confraternite disciplinate e spazi della devozioneMara Nerbano 31

Les confréries du Saint-Esprit à Clermont et Montferrandentre communauté et identité individuelle: des outilsde délimitation socialeAlexis Fontbonne 51

Notaries and Confraternities in Bergamo, 1300-1400Roisin Cossar 69

Idee ed esperienze di pace nelle confraternite italianedel basso medioevo: evoluzioni e specificitàMariaclara Rossi 87

Dalla confraternita-comunità alla confraternita-istituzione.Solidarietà associative e barriere istituzionalinelle confraternite italiane del tardo medioevoMarina Gazzini 109

From Civil Society to the Family: Transformationsin Early Modern Jewish Confraternal StructureKenneth Stow 121

Spazi sacri e sacralizzazione degli spazinelle confraternite romane d’età modernaAlessandro Serra 133

Civic Hospitals, Local Identity, and Regional Statesin Early Modern ItalyDaniel Bornstein 157

Social and Religious Boundaries in Confraternities,Prisons and Hospitals in Renaissance PortugalIsabel dos Guimarães Sá 171

La So’ed Hπ olim di Modena: negoziazionee sopravvivenza culturale di donne ebree italiane nel SettecentoFederica Francesconi 191

Sacrilegi e spazi sacri e profani. Ebrei e cristiani nella Polonia d’età modernaMagda Teter 215

Chierici e laici

La diffusione delle traduzioni bibliche nella Toscana medievale.Il ruolo delle confraterniteSabrina Corbellini 227

Bound by Words: Creating belief and communityin Renaissance FlorencePeter Howard 249

Machiavelli e le confraternite: partecipazione e parodiaOlga Zorzi Pugliese 259

Confraternities: the Sociability of Lay People Despitethe Council of TrentJosep Alavedra Bosch 275

Confraternities and the Italian InquisitionsChristopher F. Black 293

Trasformazioni storiche ed iconografiche durante il Cinquecento veneziano sotto l’influsso delle Confraternite del SacramentoPaolo Sanvito 307

Assetti istituzionali delle confraternite disciplinatenella Milano di Carlo BorromeoMarzia Giuliani 323

Sodalities of the Blessed Virgin under Albert and Isabella:Spanish Piety and the Dutch QuestionMargaret King 351

Conversione e schiavitù. La confraternita della Nossa Senhora do Rosário nella Lisbona del CinquecentoGiuseppe Marcocci 369

Ethnicity, Gender, and Visual Culture in the Confraternityof the Rosary in Colonial QuitoSusan Verdi Webster 387

Diffusione delle Confraternite trinitarieGian Paolo Vigo 399

Tra politica e devozione

Religious Confraternities in the Cities of the Kingdom of Castile.The Case of Oviedo (Thirteenth-Fifteenth Centuries)María Álvarez Fernández 405

Le confraternite lucchesi (secc. XIV-XVI) e l’evoluzione della religione civica: relazioni tra chierici e laici e ridefinizione dei confiniRaffaele Savigni 423

Le confraternite romane tra città e curia pontificia:un rapporto di delega (secc. XIV-XV)Anna Esposito 447

Il futuro della città. Le societates puerorum, adulescentiumet iuvenum a Firenze e il loro progetto sociale (XV secolo)Ilaria Taddei 459

Tra devozione e politica: confraternite mariane a Parma nel RinascimentoCristina Cecchinelli 473

Confratelli, cives, uomini di parte: Genova a inizio CinquecentoCarlo Taviani 493

Bridging Division or Bonding Faction? Civic Confraternityand Religious Sodality in Seventeenth-Century IrelandColm Lennon 509

Negotiating the Boundaries of Civil and Ecclesiastical Powers:The Misericordia of Manila (1594-1780s)Juan O. Mesquida 519

Le confraternite pugliesi post-tridentine nella realtà socio-religiosa della regione e le ‘boundaries-costrizioni’ subiteLiana Bertoldi Lenoci 541

Istanze universaliste e particolarismo corporativonelle confraternite dell’età modernaDanilo Zardin 569

Indice dei nomi 593

Illustrazioni 615

Introduzione

Tra le moltissime associazioni spontanee di individui nate per rea-lizzare programmi comuni, la confraternita si distingue fin dal nome per avere come carattere originale l’idea della fraternità tra gli esseri umani come figli dello stesso Dio: un’idea cristiana, che ha trovato imitatori nelle altre due religioni monoteistiche del mondo mediter-raneo, l’ebraica e l’islamica. La loro è una lunga storia legata da un lato a quella delle comunità locali dove sono nate, dall’altro a quella sovranazionale dei grandi ordini religiosi che ne hanno assunto la di-rezione spirituale. Gli studi storici ad esse dedicati sono moltissimi. Ma la mole della documentazione che questi corpi hanno spesso gelo-samente conservato e tramandato per secoli ha scoraggiato in genere gli studi d’insieme o li ha orientati verso momenti storici determinati – per esempio, la fase delle origini – o tipologie specifiche. I saggi qui raccolti costituiscono un tentativo di lettura complessiva della vasta documentazione e delle molte conoscenze disponibili attraverso la proposta di una domanda che impone la comparazione: quella del nes-so tra l’atto di unirsi e la volontà di separarsi e di opporsi. Vale infatti anche per le confraternite, come per la più vasta storia dei popoli e delle nazioni, la doppia faccia dell’impulso alla separazione originaria dal resto della società attraverso la quale prende forma la confraterni-ta. Da lì si avvia una storia fatta di scambi selettivi, di connessioni e alleanze eventuali con quelle affini anche se remote nello spazio e di conflitti con quelle vicine nella lotta per la supremazia e per la con-quista di uno speciale prestigio simbolico nel contesto cittadino. Atto volontario inteso a perseguire modelli di convivenza più impegnativi di quelli della restante società, la costituzione della confraternita resta nella sua essenza il frutto di un impulso a separarsi dal flusso abituale delle pratiche sociali e a unirsi con un gruppo a sé stante. La forma as-sociativa della confraternita ha trovato un terreno favorevole in socie-tà caratterizzate dalla debolezza o dall’assenza del potere statale, salvo diventare nel corso della sua storia lo strumento di poteri per control-lare la realtà sociale. Di fatto nella tradizione storica dell’Occidente

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europeo il fenomeno ha conosciuto un’epoca di grande fioritura nelle città medievali nel contesto di una rivoluzione economica e sociale e di una latitanza del potere imperiale. Com’è noto, lo stimolo primario venne da un’ispirazione religiosa, l’idea del legame fraterno fra chi con il battesimo era diventato figlio di un Dio che la preghiera dei Vangeli invocava con il nome di padre. È questo che permette di distinguere le confraternite laicali dalle associazioni di mestiere. Ma non si trattò di un fenomeno esclusivo del mondo cristiano né di realtà limitate alla società europea. Accanto a quelle cristiane si svilupparono con-fraternite ebraiche e musulmane, frutto di contatti e influssi tra mondi apparentemente ostili o non comunicanti. L’espansione europea nel mondo all’inizio dell’età moderna permise e stimolò la diffusione di questo modello in altre culture. Si può dire dunque che la compara-zione è suggerita e stimolata nel caso delle confraternite dalla vastità e complessità delle loro diramazioni e dagli sviluppi a cui il seme ori-ginario dette avvio. Da qui è nata l’idea di proporre agli storici che lavorano in questo campo una occasione di confronto ponendo loro una domanda molto semplice, quella che si legge nel titolo di questa raccolta. L’invito è stato raccolto con grande interesse e i risultati che sono emersi dall’incontro potranno essere utili ai fini di una geografia e storia delle confraternite ancora da scrivere.

Gli atti del convegno sono stati raccolti ordinandoli all’interno di tre sezioni: a) Le frontiere; b) Chierici e laici; c) Fra politica e devo-zione. È evidente, tuttavia, che questa articolazione, se cerca di far emergere distinzioni tematiche, non è una ‘barriera’, non deve cioè impedire di cogliere i punti di convergenza e di contatto. Di fatto la lettura dei contributi suggerisce almeno a grandi linee una comune sequenza storica e un’articolazione geografica: si va dal momento del-le origini del movimento confraternale, con le sue istanze di pace e di misericordia e con la volontà di attuazione del modello evangeli-co, a quello della istituzionalizzazione e gerarchizzazione del mondo confraternale sotto la presa di poteri ecclesiastici e laici determinati a sfruttarne le risorse simboliche e materiali e il prestigio sociale oppure a trasformarle in canali di trasmissione per disciplinare e assoggettare la società. Sul piano geografico, gli studi hanno registrato una domi-nante italiana nella fase delle origini, con diramazioni in altre parti d’Europa e sviluppi negli imperi coloniali iberici dell’età moderna. Ma il modello dell’associazionismo spontaneo per affrontare problemi del-la vita collettiva si ritrova anche nelle comunità ebraiche all’interno delle società cristiane, un tema che sta suscitando interesse e che pro-

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mette sviluppi1. Non abbiamo, invece, avuto contributi per il mondo musulmano.

Il tema comune al centro del colloquio, come si è detto, è stato indi-viduato nel rapporto ‘fraternità/barriere’. I due aspetti apparentemen-te conflittuali dell’unione e della separazione sono inscindibili dalla natura e dalla storia delle confraternite. La nascita di ciascuna di esse rappresenta la creazione di un corpo sociale a parte, che ha un suo luogo di riunione, un rituale, una regola da seguire, un direttore spiri-tuale, dei patroni celesti, un compito speciale da svolgere nella città, consistente in genere nel portare aiuto e assistenza a poveri, malati e a particolari categorie di bisognosi. Tutto questo costituisce la nuova realtà come separata dalla totalità del contesto sociale. Nel caso delle confraternite cristiane si apre così una dialettica tra una volontà di apertura e di solidarietà che rispondeva al comandamento evangelico delle opere di misericordia e una scelta di separazione dal resto della società in funzione della ricerca di dare senso alla propria esistenza e di garantirsi meriti agli occhi di Dio ai fini della salvezza della propria anima. Nella scelta di fondazione o di adesione si incontrano due mo-vimenti opposti: da un lato quello verso la realtà esterna degli affa-mati, degli assetati, dei malati, insomma l’esercizio della carità come vincolo di amore con l’estraneo; dall’altro quello della separazione e distinzione di ruoli e di finalità, all’interno come all’esterno. I capitoli della confraternita, nel fissare le regole di vita individuale e associata per i membri introducono all’interno divisioni di ruoli e articolazione di funzioni tra uomini e donne, chierici e laici, nobili e popolari, arti e mestieri, ecc.; e intanto all’esterno l’ingresso della nuova associazio-ne nel panorama fittamente popolato di aggregazioni analoghe susci-ta forme di emulazione e gare di prestigio, dà vita a contrasti anche clamorosi che esplodono in occasione di solenni rituali cittadini e di momenti di crisi sociale. In questa doppia faccia dell’associazionismo confraternale riconosciamo la radice della sua vitalità che si manifesta ancora oggi nella sopravvivenza del fenomeno anche laddove le fun-zioni sociali espletate dalle confraternite sono state assunte in proprio dalle istituzioni statali. Nei saggi qui raccolti si ha una rassegna di fonti diverse, rappresentative dell’imponente documentazione che queste

1 Segnaliamo intanto la pubblicazione del volume Le confraternite ebraiche. Talmud Torah e Ghemilut Chasadim: premesse storiche e attività agli inizi dell’età contemporanea, a cura dell’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma, Roma 2011.

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realtà hanno accuratamente prodotto e conservato nel corso dei secoli. Ma vediamo alcuni temi che emergono dagli atti di questo convegno.

Una domanda preliminare è quella del rapporto tra uomini e donne nel movimento confraternale: è il dilemma primario del nesso inclu-sione/esclusione. Per rispondere alla domanda Giovanna Casagrande ha analizzato attentamente una vastissima documentazione ricavan-done indicazioni preziose non solo sulla presenza o sulla esclusione delle donne ma soprattutto sul modo in cui l’ammissione ‘senza bar-riere’ di uomini e donne corrispose in genere a una concezione della parità tra i due sessi limitata alla partecipazione alla preghiera e ai benefici spirituali, restando la gestione materiale delle opere esclusi-vamente in mano maschile. Anna Esposito ha rivelato nel caso di Roma la forte presenza di confraternite di tipo ‘nazionale’ e a esclusiva ricezione femminile, destinate ad accogliere e controllare pellegrine e donne delle diverse nationes presenti in città, considerate l’elemen-to più fragile nel tessuto sociale cittadino. Se nella Roma papale la presenza femminile è conseguenza diretta della loro marginalizzazione sociale, un ruolo protagonistico delle donne è emerso invece sorpren-dentemente nelle comunità ebraiche: lo studio di Federica Francesco-ni sulla So’ed Holim di Modena ha mostrato come la competizione con l’aggressiva proposta delle autorità ecclesiastiche e statali portasse nel secolo XVIII a sviluppare forme autonome di assistenza ai poveri promosse dalla componente femminile della società ebraica.

Il problema dei rapporti tra l’adesione al vincolo di fraternità inter-no alla confraternita e altre forme di appartenenza ha rivelato molti aspetti: c’è quello del rapporto tra appartenenza alla comunità con-fraternale e identità individuale (Alexis Fontbonne), quello del le-game di famiglia (Kenneth Stow), quello del sovrapporsi di forme di appartenenza corporative (Roisin Cossar), quello della tensione fra gli spazi interni e quelli esterni delle devozioni (Maria Nerbano). C’è il contrasto fra l’originaria volontà di partecipazione comunitaria e la volontà di affermazione della propria confraternita (Marina Gazzini); e c’è quello tra i conflitti feroci delle ‘parti’ e la volontà di pacificazio-ne portata dalle confraternite (Mariaclara Rossi).

La nozione di barriera rimanda alla questione dell’organizzazione dello spazio, quello materiale e quello simbolico e impone di verifi-care la costruzione dello spazio confraternale, non solo individuando il posto che ciascuna confraternita si ritagliava nella città ma anche i rituali di appropriazione e di propaganda ed i veicoli simbolici della delimitazione del territorio. Come emerge dal caso delle confraterni-

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te dello Spirito Santo di Clermont e Montferrand studiate da Alexis Fontbonne, lo spazio creato dalla confraternita poteva diventare lo strumento a disposizione delle élites urbane per definire l’identità col-lettiva di un comune e l’articolazione interna delle gerarchie sociali. Maria Nerbano dedica la sua attenzione ai grandi riti collettivi delle processioni per i santi patroni e delle feste religiose più importanti mostrando come si accendesse in questi casi la gara per ottenere una maggior visibilità e il riconoscimento di determinati privilegi ma si scatenassero anche conflitti tra confraternite devote e corporazioni di mestiere. Dallo studio di Roisin Cossar su Bergamo scopriamo che nella lotta per l’affermazione di una confraternita sulle altre il corpo dei notai svolse una funzione significativa. Alessandro Serra affronta la questione di come potessero convivere nello spazio romano le molte confraternite che vi erano attive e in che modo entravano in com-petizione nel segnalare la loro esistenza. Si tratta di un interessante aspetto della questione dell’occupazione simbolica dello spazio urbano che si pone in vario modo anche per altre realtà. La strategia della co-municazione comportò in questo caso il ricorso alle immagini devote preesistenti e l’appropriazione di questi veicoli di identità rifunziona-lizzati allo scopo. La lotta tra carmelitani e domenicani per la conqui-sta di nuovi spazi è al centro del contributo di Magda Teter, che segue le vicende di una leggenda anti-ebraica a Poznán, in Polonia, dove cattolici, ebrei e protestanti convivevano negli stretti confini cittadi-ni. Il ‘miracolo delle tre ostie’ diventò un’arma polemica contro ebrei e protestanti e garantì ai carmelitani della città e alla confraternita da loro fondata, nuovi spazi sacri, reali e simbolici, all’interno della città.

La gestione dello spazio e la lotta per l’affermazione del prestigio simbolico della propria comunità di appartenenza rientrano nel più va-sto ambito della lotta politica. Ci si chiede fino a che punto l’obiettivo della fraternità riguardò solo i rapporti interni all’associazione o investì anche ambiti più vasti. Come mostra Mariaclara Rossi soffermandosi sui casi di Bologna, Perugia, Assisi, Padova, Verona, queste associazioni rappresentarono un tentativo di perseguire la pacificazione dei conflitti mettendo in connessione religione e politica: gridare «misericordia», «pax», «concordia» fu caratteristico di movimenti cittadini mossi da una volontà di protagonismo politico non sempre visto di buon occhio da parte delle autorità. E sarà da tenere presente l’osservazione qui pro-posta sull’affermarsi col tempo di una tendenza all’interiorizzazione e al ritiro dall’ambito pubblico, limitando la volontà di pace alle relazioni familiari e ai rapporti personali. Quello colto nel saggio di Marina Gaz-zini è il momento di svolta tre-quattrocentesco in area lombarda dalla

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comunità spontanea e volontaristica all’istituzione governata dall’alto e regolata secondo la volontà dei poteri laici ed ecclesiastici: la gestio-ne dell’assistenza diventa compito di amministratori nominati dall’al-to e di corpi ristretti che dispongono di capitali importanti ma proprio per questo non rispondono più all’instabile comunità confraternale. È il passaggio dallo spirito comunitario alla istituzionalizzazione. Lungo questo percorso si riduce fino a scomparire la libertà dell’adesione per-sonale sostituita per esempio da una rigida selezione sulla base dell’ap-partenenza a un mestiere; e si riduce anche ad ambiti predeterminati l’esercizio della carità, come effetto tra l’altro dell’ingresso di uomini d’affari nel mondo confraternale. Trasformazioni anche più radicali per effetto dell’intervento del potere sono segnalate da Kenneth Stow nel caso della comunità ebraica romana: la pressione omologatrice del papato e l’imposizione delle norme di diritto comune furono arginate dall’azione delle tre confraternite ebraiche fondamentali, che assun-sero funzioni di difesa e di barriera nei confronti di un potere statale affamato di anime ebraiche da battezzare.

Ma intanto è proprio il capitale rappresentato dalle associazioni confraternali e dalle istituzioni ospedaliere a suscitare l’attenzione del-le élites locali specialmente dove il potere politico è sfuggito dalle loro mani: Daniel Bornstein analizza attraverso il caso di Cortona il modo in cui si procede alla concentrazione degli ospedali e alla unione dei «luoghi pii» come strumenti di controllo sociale e simboli dell’iden-tità locale.

Uno sguardo d’insieme sulla realtà del Portogallo permette a Isa-bel dos Guimarães Sá di illustrare la grande diffusione del modello delle Misericordie, ispirate probabilmente da un modello toscano ma, a differenza delle variegate attribuzioni e delle specializzazioni delle confraternite italiane, dotate di grande autonomia locale e dedite all’esercizio di tutte le opere di carità del canone cristiano. La diversa struttura del Portogallo, con un potere politico e religioso fortemente accentrato, sembra aver conferito all’associazionismo confraternale i suoi caratteri originali di capillarità e di omogeneità. Va ricordato a questo proposito che nel caso del Portogallo disponiamo di una esem-plare raccolta unitaria, filologicamente accurata, delle fonti disponibi-li, grazie a un’équipe guidata dal professor José Pedro Paiva2.

Analizzando il rapporto tra laici e chierici emerge il dinamismo cul-

2 Portugalliae Monumenta Misericordiarum, a cura di José Pedro Paiva, Lisboa 2002 sgg.

xv Introduzione

turale e religioso dei laici, evidente soprattutto nel primo movimento associativo. Lo studio che Sanvito dedica al Cinquecento veneziano è un’occasione importante per avere un quadro della straordinaria ric-chezza e varietà della committenza artistica e dei rapporti tra pittori e ‘scuole’. All’ambito toscano ci porta Sabrina Corbellini che studia la traduzione e la lettura del Diatessaron in ambito confraternale, un aspetto molto interessante della conoscenza e della diffusione della Bibbia nella Toscana medievale. Accanto alla parola letta ci fu nella Firenze degli umanisti quella ascoltata nelle prediche, su cui si soffer-ma Peter Howard. E tra i devoti membri toscani Olga Zorzi Pugliese ci fa incontrare il Machiavelli della Esortazione alla penitenza e dei Ca-pitoli per una compagnia di piacere, inversione satirica di rituali religio-si guardati da un testimone del tutto speciale. La libertà della satira doveva però finire presto e le confraternite dovevano conoscere una nuova stagione segnata dalla disciplina tridentina. A questa fase sto-rica sono dedicati saggi che illustrano aspetti molto differenziati della proposta cattolica della prima età moderna. Il modello borromaico della riforma cattolica delle confraternite non poteva mancare, data la sua importanza: se ne occupa qui Marzia Giuliani con un contributo innovativo. Ma sullo sfondo delle direttive tridentine fortemente pe-nalizzanti nei confronti della libertà e della convivialità delle confra-ternite, spicca il caso della città spagnola di Sabadell studiata da Josep Alavedra Bosch che dimostra la sopravvivenza di una notevole dose di indipendenza delle realtà locali dal controllo ecclesiastico. Alla de-vozione alla Beata Vergine come bandiera della presenza spagnola nei Paesi Bassi cattolici è dedicato il saggio di Margaret King. Il robusto saggio di Christopher Black affronta il volto repressivo della Contro-riforma, l’Inquisizione, per seguirne l’opera di sorveglianza poliziesca sulle devozioni sospette e i complicati rapporti coi Crocesignati, in un contesto dominato da continue tensioni tra vescovi, inquisitori e con-fraternite. Nella proposta devota che il potere coloniale portoghese avanzò per l’integrazione degli schiavi africani con la Confraternita della Nossa Senhora do Rosario, qui studiata da Giuseppe Marcocci, è possibile seguire velleità e fallimenti di chi volle riproporre il nesso tra battesimo e libertà in una società dove i padri religiosi erano fede-li alleati dei padroni. È interessante confrontare questo episodio con l’altra proposta della diffusissima devozione del Rosario che si ebbe allora nella colonia spagnola di Quito e che Susan Verdi Webster ana-lizza nel suo saggio: anche in questo caso la primitiva associazione di spagnoli, indigeni e africani durò ben poco e la confraternita si divise secondo le diverse etnie. Un caso speciale fu quello della Misericordia

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di Manila studiata da Juan O. Mesquida: una istituzione che assurse a un potere economico tale da attirare l’attenzione dei maggiori poteri ecclesiastici e politici.

Ed è proprio la dimensione del potere politico quella che domina nell’ultima sezione . Qui una nutrita serie di saggi affronta la questione della ‘religione civica’ nelle forme assunte all’inizio dell’età moderna in realtà diverse come la Lucca studiata da Raffaele Savigni, la Firenze delle confraternite di adolescenti studiate da Ilaria Taddei, la Parma del primo Cinquecento di cui occupa Cristina Cecchinelli, la Genova studiata da Carlo Taviani e infine la Drogheda irlandese tra Cinque-cento e Seicento studiata da Colm Lennon. Un caso ancora diverso è quello di Roma, studiato da Anna Esposito, dove le associazioni con-fraternali furono di stampo prettamente assistenziale, contarono sul deciso appoggio del papato e furono spesso regolate in base alle natio-nes di appartenenza, secondo la dialettica dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e le altre potenze europee. Danilo Zardin analizza invece il problema del controllo e della critica delle istituzioni confraternali all’interno della chiesa cattolica in una prospettiva di lungo raggio, che spazia dal Cinquecento all’età contemporanea e si concentra poi sulla riflessione di Ludovico Antonio Muratori.

All’Italia centro-settentrionale che fa normalmente la parte del leo-ne nella storiografia un utile correttivo viene apportato dalla Puglia ricchissima di confraternite, col saggio di sintesi di Liana Bertoldi Le-noci, appassionata ed esperta studiosa della materia.

Stefania Pastore, Adriano Prosperi, Nicholas Terpstra

A partire dal tardo medioevo le confraternite si imposero sempre più come strumento per soddisfare i bisogni religiosi dei laici. I riti che le circondarono, in Polonia come nel resto d’Europa, definirono e rafforzarono le loro identità religiose. Nascevano confraternite nelle città, alcune legate a ceti e mestieri, altre attorno ai luoghi di culto, come quelle connesse al culto mariano o eucaristico. Nel periodo che seguì alla Riforma la definizione dei limiti e dei confini di queste varie-gate comunità divenne di centrale importanza, anche se non sempre le frontiere erano così fisse e definite come le élites religiose avrebbero de-siderato: ebrei, cattolici e protestanti condivisero spesso gli stessi spazi, mescolandosi e interagendo tra loro a volte anche sotto lo stesso tetto. La scelta di nuovi luoghi di culto e la loro promozione, così come la definizione dei rituali ad essi associati, divenne un fattore cruciale nel-la definizione degli spazi sacri. In Polonia anche i tribunali e le corti di giustizia ebbero un ruolo nella determinazione del sacro: classificando spesso come sacrilegio le rapine fatte ai danni delle chiese cattoliche, decretavano la santità di tali edifici negandola contemporaneamente negli altri casi. Atti vandalici, rapine e furti nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti erano invece giudicati come semplici furti.

La città di Poznań, nella Polonia occidentale, e la sua chiesa car-melitana del Corpus Christi con il suo culto dell’eucaristia illustrano come le confraternite, i rituali e le leggende ad essi legate, aiutassero nella conquista di un proprio spazio e nel rafforzamento delle identità religiose.

Poznań era una delle più importanti città della Polonia. Era abitata da ebrei e cristiani che parlavano tedesco e polacco, da armeni, scozze-si, mercanti, studenti, artisti provenienti dalla Boemia, dalla Moravia,

Sacrilegi e spazi sacri e profani. Ebrei e cristiani nella Polonia d’età moderna

Una redazione ampliata del testo sarà pubblicata in M. Teter, From Bread to Blood, From Sin to Crime: Sacrilege and Jews after the Reformation, Cambridge, Mass., in corso di stampa (2011).

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e dall’Italia, con un carattere spiccatamente cosmopolita1. Varia e va-riegata era anche la sua composizione sociale: artigiani e persone più povere condividevano spazi e risorse con i ricchi mercanti e le famiglie nobili e in vista. Ma la diversità aveva un prezzo: vi furono infatti ten-sioni sociali crescenti tra cittadini appartenenti al ceto medio e nobili che spesso sfociavano in conflitti giurisdizionali. E dopo la Riforma, a queste tensioni, si aggiunsero quelle legate alla confessione religiosa2.

Fino all’arrivo dei gesuiti a Poznań nel 1571, la mappa delle istitu-zioni cattoliche all’interno delle mura cittadine era fissata da tempo3. Oltre alla chiesa di San Stanislao, che fu concessa ai gesuiti e alla chiesa parrocchiale di Maria Maddalena4, in città era centrale la pre-senza dei domenicani, con la loro chiesa vicino alla strada ebraica. Nel 1282, anche le suore domenicane ricevettero il permesso di stabilirsi a Poznań. Il loro convento, con una chiesa adiacente, fu completato e dedicato a Santa Caterina nel 13865. Fra la chiesa domenicana e il convento di Santa Caterina, passava la cosiddetta ‘strada ebrea’ a delimitare una zona povera, ma estremamente vivace, dove ebrei e cristiani vivevano a stretto contatto.

Fuori dalle mura cittadine vi erano altre chiese importanti: sulla sponda destra del fiume Warta, c’erano la cattedrale e il complesso degli edifici ecclesiastici episocopali6; sulla sponda sinistra, la chie-sa di San Wojciech (ecclesia St. Adalberti)7 e la chiesa medievale di

1 K. Malinowski et al., Dziesięć Wieków Poznania, Poznań-Warsaw 1956, pp. 75-9.2 Per una visione d’insieme della storia di Poznań vd. J. Topolski, A. Gąsiorowski

(edd.), Poznań: Zarys Dziejów, Wyd. I, Poznań 1973; Z. Boras, L.Trzeciakowski, W Dawnym Poznaniu: Fakty i Wydarzenia z Dziejów Miasta Do Roku 1918, Poznań 1971; J. Topolski (ed.), Dzieje Poznania, Warsaw 1988.

3 Per la mappa vd. Teter, From Bread to Blood cit.4 La parrocchia fu distrutta da un incendio nel 1447, e ricostruita nel 1471. J. Łu-

kaszewicz, Obraz Historyczno-Statystyczny Miasta Poznania, Poznań 1998, I, Id., Krót-ki Opis Historyczny Kościołów Parochialnych, Kościółków, Kaplic, Klasztorów, Szkółek Parochialnych, Szpitali i Innych Zakładów Dobroczynnych w Dawnej Dyecezyi Poznań-skiej, 3 voll., Poznań 1858 (1998), II, p. 89; Z. Kurzawa, A. Kusztelski, Historyczne Kościoły Poznania: Przewodnik, Poznań 2006, pp. 87-108.

5 Kurzawa, Kusztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., pp. 131-7.6 Łukaszewicz, Obraz Historyczno-Statystyczny cit., II, pp. 80-9; Kurzawa, Ku-

sztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., pp. 41-84.7 Łukaszewicz, Obraz Historyczno-Statystyczny cit., II, pp. 95-6; Kurzawa, Ku-

sztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., pp. 143-9.

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San Martino, ricostruita nel XVI secolo e riconsacrata nel 15958; nei pressi, più vicino al fiume, il convento e la chiesa dei ‘bernardini’, francescani osservanti, a Poznań fondati da Gabriele di Verona, un compagno di Giovanni Capestrano9. Infine vi era la chiesa carmeli-tana del Corpus Christi, del XV secolo, legata al culto eucaristico e fondata in un terreno paludoso adibito al pascolo, lontano dal centro cittadino.

A compensare la posizione lontana e non felice della loro chiesa, i carmelitani alimentarono la leggenda di tre ostie miracolose che sa-rebbero state profanate dagli ebrei a Poznań nel 1399. La leggenda, simile a molte altre leggende anti-ebraiche sorte nel resto dell’Europa occidentale, si sviluppò nel tardo Quattrocento e prese la sua forma finale dopo la Riforma. Secondo una versione che risaliva alla fine del Cinquecento, gli ebrei avrebbero chiesto a una donna cristiana di procurare loro tre ostie consacrate. Il 15 agosto, festa dell’Assunzione di Maria, la donna le avrebbe rubate dalla chiesa dei domenicani, vi-cino alla strada ebraica, e consegnate agli ebrei. Gli ebrei le avrebbero profanate nel chiuso di uno scantinato, in una casa di pietra, e poi avrebbero provato a disfarsene, senza riuscirvi. Così avrebbero por-tato le ostie fuori città, nella zona paludosa adibita a pascolo, dove sarebbero state scoperte dal figlio di un pastore. Quando i responsabili ecclesiastici vennero a conoscenza del miracolo, il vescovo si presentò sulla scena del ritrovamento con tutto il suo entourage, e prese le ostie portandole alla chiesa parrocchiale. Ma le élites ecclesiastiche iniziaro-no a litigare su quale dovesse essere la destinazione delle ostie e su chi le dovesse custodire: il vescovo propendeva per la cattedrale; il prete della parrocchia accampava diritti perché erano state trovate in «ter-ritorio municipale»; i domenicani le reclamavano per la loro chiesa, da dove erano state rubate. Di fronte alle proteste le ostie sarebbero volate via, uscendo dalla chiesa e tornando al pascolo dove erano sta-

8 Łukaszewicz, Obraz Historyczno-Statystyczny cit., II, pp. 96-7; Kurzawa, Ku-sztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., pp. 159-67.

9 Łukaszewicz, Obraz Historyczno-Statystyczny cit., II, pp. 115-8; Kurzawa, Ku-sztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., pp. 174-86. Sul processo di Wrocław cfr. M. Rubin, Gentile Tales: The Narrative Assault on Late Medieval Jews, New Haven 1999, pp. 119-28. Per documentazione riferita al processo cfr. «De Persecutione Iuda-eorum Vratislaviensium a. 1453», in Monumenta Poloniae Historica, ed. W. Kętrzyński, Warsaw 1961, IV, pp. 1-5; «De Expulsione Iudaeorum», in Monumenta Poloniae Histo-rica, ed. A. Semkowicz, Lwów 1878, III, pp. 785-9.

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te scoperte. A quel punto il vescovo avrebbe deciso di fondare una cappella, che poi diventò la chiesa dei carmelitani del Corpus Christi. Sembra che il culto, attivo nel tardo Quattrocento, abbia conosciuto una fase di declino a metà Cinquecento trovando nuova linfa alla fine del Seicento.

Negli anni successivi alla Riforma, la leggenda delle ‘tre ostie mi-racolose’ si trasformò in un culto versatile, che promosse un nuovo luogo di pellegrinaggio e servì come arma polemica nei confronti di ebrei e protestanti, rassicurando contemporaneamente i cattolici sulla veridicità della propria fede in un momento in cui essa era stata pro-fondamente scossa e messa in crisi. Come scrisse il priore carmelitano, Franciszek Powsiński, essa servì «a conferma della Santa Fede catto-lica e contro l’ostinazione degli Ebrei e dei pagani e ogni blasfemia ereticale»10. E diede da vivere, ovviamente, ai carmelitani di Poznań, offrendo loro l’opportunità di ridisegnare i confini religiosi della città. Il ritorno e lo sviluppo del culto eucaristico a Poznań ebbero un’im-portanza che andava ben al di là della semplice devozione cattolica. I luoghi di culto e pellegrinaggio furono rilevanti fonti di reddito: i car-melitani entrarono in competizione con altri luoghi di culto popolari a Poznań e in Polonia, come ad esempio il santuario di Nostra Signora di Częstochowa o il culto locale promosso dalla Chiesa dei domenica-ni e dalla confraternita del Rosario, che ruotava attorno a un dipinto della Vergine. Questo spiegherebbe perché la ‘profanazione’ a Poznań fosse avvenuta ad agosto – un periodo inconsueto, visto che tradizio-nalmente le ‘profanazioni’ avvenivano attorno al periodo pasquale. Il 15 agosto, infatti, era il giorno in cui i domenicani di Poznań celebra-vano una sontuosa processione annuale in onore della Vergine. An-che la nascita del santuario del Corpus Christi avrebbe accentuato la competizione fra i domenicani ed i carmelitani: come ordine dedicato a Maria, i domenicani dovettero pensare a un’usurpazione della «loro Signora» da parte dei carmelitani. Che cosa poteva essere superiore a Maria nella gerarchia teologica se non «il corpo del Signore» stesso?11

Il confronto diretto con i domenicani arrivò nel 1620, proprio nel loro quartiere. Quell’anno, le indulgenze per la chiesa del Corpus Christi stavano per scadere12. Vista anche la crescita di potere di altri

10 F. Powsiński, Depozyt Ciała y Krwie Iezusowey, Cracovia 1663, p. 9.11 I carmelitani introdussero una cappella mariana nella loro chiesa nell’Ottocento. 12 Archivio Generale dei Carmelitani, Roma, «Memoriale ex parte conventus Poz-

nanensi Ord. Carmelitarum», II Polonia-Conventus 5.

219 Ebrei e cristiani nella Polonia d'età moderna

ordini religiosi in città, la perdita di qualsiasi incentivo a visitare la chiesa del Corpus Christi sarebbe stata devastante. Era necessario fare qualcosa per riportare in auge la chiesa e le sue ostie miracolose e gli opuscoli pubblicati anni prima, ovviamente, non erano suffi-cienti.

Nell’agosto 1620, a ridosso della festa dell’Assunzione di Maria, nello scantinato di una casa di pietra situata nella strada ebraica vici-no allo sbocco della piazza maggiore della città avvenne una sensazio-nale scoperta: tra le macerie fu trovato un tavolo, murato all’interno di una colonna13. In un singolare parallelelismo con la «sacrilega sfi-gurazione» del dipinto della Madonna di Częstochowa – un’icona su tavola che, sfregiata, sarebbe stata rotta in tre pezzi – anche il tavolo della casa di Poznań sarebbe stato spaccato in tre. La notizia si diffuse velocemente: sarebbe stato il tavolo su cui gli ebrei, nel 1399, ave-vano profanato le ostie. Forse cercando di stornare l’attenzione dalla processione annuale del 15 agosto dei frati domenicani, i carmelitani organizzarono prontamente una propria processione due settimane più tardi, domenica 30 agosto.

Quella domenica, il 30 agosto, nel pomeriggio, il vescovo di Poznań guidò una splendida processione intorno alla piazza maggiore della cit-tà alla presenza e con «l’ammirazione di tutto il clero e la gente». Era-no presenti le truppe della città con «armi e bandiere» e altri «segni e strumenti» celebrativi14. La piazza stessa fu decorata in un modo molto festoso, con le «case ornate» e «altari preparati»15. I partecipanti alla processione cantavano canzoni, mentre il vescovo sollevava, «con le proprie mani», il tavolo estratto dalla casa portandolo, insieme con il « venerabile sacramento», alla chiesa del Corpus Christi fuori città. Lì, alla presenza del clero della città, del senato e di «tutta la popola-zione», lo appoggiò sull’altare16. Un simile spettacolo venne ricordato a lungo. Fu menzionato nei registri ufficiali del consiglio comunale,

13 Archiwum Państwowe in Poznań, «Deportatio Sacrae Mensae ad Aedem Sacra-tissimi Corporis Cristi», I 11 Acta Consularia 1571-1626, cc. 219v-220r; Archivio Generale dei Carmelitani, «Fundationes Monasterium FF antiquae Regularis obser-vantiae per Regnum Poloniae adiacentes breviter collectae per R. P. M. Alexandrum Koslinski», Polonia I 3, c. 16r.

14 Archiwum Państwowe in Poznań, «Deportatio Sacrae Mensae ad Aedem Sacra-tissimi Corporis Cristi», I 11 Acta Consularia 1571-1626, c. 219v.

15 Ibid.16 Ibid., c. 220r.

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riferito al generale dei frati carmelitani, e più tardi, scritto nei libri del santuario eucaristico di Poznań.17

Lo spettacolo organizzato il 30 agosto avrebbe finalmente permesso ai carmelitani di estendere la loro presenza da una periferia di acquitrini, così poco attraente, al ben più ambito centro della città. Ma acquisire la casa non fu un processo facile: le resistenze arrivarono da almeno due fronti, cui facevano cenno anche le varie versioni della leggenda: la città e gli ordini religiosi. All’ordine carmelitano della chiesa del Corpus Christi furono necessari più d’ottant’anni per ottenere dalle autorità ecclesiastiche un’autorizzazione a fondare una cappella e, an-che quando arrivò, il permesso non fu esente da condizioni.

La città era riluttante a cedere altre proprietà. Le entrate ricavate dalle tasse di proprietà andavano diminuendo, di pari passo con il nu-mero delle case ad esse soggette, e la città cercò di obbligare al paga-mento delle tasse chiunque possedesse proprietà in città18. Alla fine, nel settembre 1702, il vescovo Nicolas Święcicki accordò ai carmelita-ni un permesso ecclesiastico per fondare una cappella nella casa19.

Ma nell’ottobre del 1702, il consiglio comunale di Poznań rispose con una protesta contro il decreto episcopale20, che insisteva sulla dif-ficile situazione finanziaria cittadina e sulla rovina che il «grande af-follamento» degli ordini religiosi in città aveva portato.21. Nonostante questo, i primi servizi religiosi nella casa cominciarono due anni dopo, nel 1704. Ma, neanche allora, la battaglia legale tra la città e i carme-litani ebbe termine22. Soltanto nel 1732 la città si arrese, non senza un proprio vantaggio. Quell’anno, con un concordato tra il consiglio co-munale e i frati carmelitani, la città ricevette una somma consistente di denaro, in cambio della garanzia a «rinunciare a ogni pretesa sulla suddetta cappella» 23.

17 Archivio Generale dei Carmelitani, «Fundationes Monasterium FF antiquae Regularis observantiae per Regnum Poloniae adiacentes breviter collectae per R. P. M. Alexandrum Koslinski», Polonia I 3, c. 16r.

18 W. Maisel, Sądownictwo Miasta Poznania Do Końca XVI Wieku, Poznań 1961, p. 62.

19 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», Teka I, c. 4v; Archi-vio Generale dei Carmelitani, II Polonia 6, 1686-1792, documento del 19 aprile 1704.

20 Archiwum Państwowe in Poznań, Akta m. Poznania I 198, pp. 45-6.21 Ibid.22 Kurzawa, Kusztelski, Historyczne Kościoły Poznania cit., p. 140.23 Akta m. Poznania, D 742; Archiwum Państwowe in Poznań, I 2228 «Summariu-

sze dokumentów dotyczących karmelitów oraz rejestr spraw spornych z miastem», c. 57

221 Ebrei e cristiani nella Polonia d'età moderna

Opposizione all’acquisizione della casa da parte dei frati venne an-che dall’interno della chiesa stessa. Proprio la leggenda ce ne fornisce traccia quando racconta che le tre ostie evitarono tutte le chiese prin-cipali, compresa la chiesa domenicana da cui erano state rubate.

La chiesa parrocchiale, i francescani, e soprattutto i domenicani, furono i principali oppositori agli sforzi carmelitani: appena la cap-pella fu approvata dal vescovo, nel 1702, domenicani e francescani si unirono per contrastare il decreto, esattamente come aveva fatto il consiglio comunale nello stesso anno24. I domenicani consideravano la nuova cappella solo un pretesto per fondare un nuovo monastero25, e fecero appello a Roma, alla Sacra Congregazione del Concilio, soste-nendo che «alcuni religiosi [regulares]» si sarebbero opposti alla fonda-zione della cappella, visto che i carmelitani «pensavano di erigere un monastero» nella casa Świdwinska26.

Il giorno in cui il vescovo Święcicki diede finalmente la sua appro-vazione, i carmelitani furono costretti a firmare un accordo che li dif-fidava da qualsiasi tentativo di costruire un monastero, oppure dall’ac-quistare più case, invitandoli solo a erigere «una cappella in questa casa conosciuta […] per l’onore di Dio e per ricordare la Passione di Cristo rivissuta ancora nell’Eucaristia delle tre ostie attaccate dagli infedeli ebrei con coltelli e mani sacrileghe»27. La Sacra Congrega-zione del Concilio chiese una relazione del vescovo. Fra le domande cui rispondere si chiedeva se la casa fosse nel territorio parrocchiale oppure «vicino ad [altri] monasteri e conventi presenti nella città di Poznań»28. Il 27 novembre 1703, il vescovo Nicolas Święcicki spedì il suo rapporto29.

Alla prima domanda della Congregazione, il vescovo Świecicki ri-

24 Archivio Generale dei Carmelitani, II Polonia 6, 1686-1792, documento datato 21 aprile 1703.

25 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AC 183, c. 44r-v.26 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», «Ratione aediican-

di Oratorii in Lapidea Swidwinska in Qua Anno 1399 SS Tres Hostiae ab Infidelibus Iudaeis Transfixae sunt», Teka I, documento «Praeces Fratrum Carmelitarum Posna-niae manentium Sacrae Congregationis Porrectae, Anno 1703».

27 Il documento con le firme è in Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AC 183, cc. 33v-34r. Per un riassunto in polacco del testo, cfr. K. Kowalski, O Kościele Bożego Ciała w Poznaniu, Poznań 1840, p. 51.

28 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», Teka I, «Copia Re-scripti», c. 3v.

29 Archivio Generale dei Carmelitani, II Polonia 6, 1686-1792, «Summarium Pri-

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spose così: «la casa non è situata in alcun modo nella zona della par-rocchia, mentre la chiesa parrocchiale di Poznań è situata al di là di tutte le strade e fuori dalla piazza del mercato, e vicino alle mura della città di Poznań, che circondano e proteggono il centro, la casa […] è situata nella strada ebraica, con altre strade e vie pubbliche che inter-secano tutte e due: Via Grande, la Piazza del Mercato, Via dell’Acqua, Via San Stanislao, e un’altra che viene verso la parrocchia, e la distan-za fra loro è di almeno quattrocento passi» 30.

Visto che la parrocchiale era l’unica chiesa all’interno delle mura della città, i suoi confini avrebbero dovuto estendersi sull’intera città ma il vescovo argomentò che la distanza e il fatto che la casa fosse situata nella «strada ebraica» l’avrebbero esclusa di fatto dalla giurisdi-zione parrocchiale. Se la distanza costituiva un fattore determinante, la chiesa domenicana era la più vicina. Tuttavia questo elemento non emergeva con chiarezza dalla relazione.

Rispondendo alla seconda domanda, il vescovo spiegò che «c’erano tre monasteri nella città di Poznań»31, anche se ne elencava quattro: «Primo, l’Ordine dei Frati Predicatori di San Domenico, che sono gli autori delle domande e dell’istanza di opposizione, [...] secondo il mo-nastero o collegio, dei padri gesuiti, che non hanno preso parte alla ricusazione», terzo, «il monastero dei frati francescani minori»32, pres-so il castello di Poznań, vicino alle mura della città, a quasi «trecento passi» dalla casa di cui parliamo, con strade che si frappongono tra le due, «senza contiguità con la casa dove le Santissime Ostie furono pugnalate»33. Il quarto era la chiesa e il monastero dei ‘bernardini’, che non si trovava all’interno della città «ma fuori, in un’isola formata dal fiume Warta»34 e per questa ragione – scriveva il vescovo – non era parte in causa nella disputa.

L’enfasi posta dal vescovo su distanze di chiese e monasteri dalla casa era centrale perché i domenicani sostenevano che la nascita della cappella avrebbe violato i privilegi loro accordati dal Re, che garan-

mo Relatione Episcopi 1704»; Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Kar-melici», Teka I, «Copia Rescripti».

30 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», Teka I, «Copia Re-scripti», cc. 3v-4r.

31 Ibid., c. 3v.32 Ibid.33 Ibid.34 Ibid.

223 Ebrei e cristiani nella Polonia d'età moderna

tivano che nessun altro monastero sarebbe stato fondato entro una certa distanza dal loro. Ma c’era qualcosa strano nella descrizione della posizione del monastero dei domenicani fatta dal vescovo. Il vesco-vo sosteneva che il monastero era «sufficientemente lontano» dalla casa, «almeno quattrocento passi» – la stessa distanza cui si trovava la parrocchia e cento passi più lontano rispetto alla chiesa francesca-na vicina al castello. Non era del tutto vero: la chiesa parrocchiale era sull’altro lato del paesino, vicino alle mura della città, e oltre la piazza del mercato, lunga centoquaranta metri. La chiesa francescana era ugualmente lontana; ma la chiesa domenicana era «adiacente alla strada ebraica», come il priore dei carmelitani aveva scritto nel suo libro del 163335, a pochi passi dalla casa, come i domenicani stessi affermarono quando presentarono alla città una protesta sugli ebrei che avrebbero contaminato il loro quartiere. Chiunque avesse visitato la città avrebbe saputo che la descrizione del vescovo non era cor-retta. Allora il vescovo mentiva? Il vescovo Święcicki aveva scritto: «Questa casa è situata nella strada ebraica, il monastero dei domeni-cani è invece oltre tutte le strade, fuori dal centro anche se dentro le mura. Il monastero è distante senza dubbio almeno quattrocento pas-si dalla suddetta casa, attraverso la Via Grande ed attraverso Via dei Calzolai»36. In termini assoluti il vescovo non aveva detto la verità, ma la sua descrizione del percorso da fare per arrivare alla chiesa do-menicana la rendeva «sufficientemente lontana». Egli proponeva una nuova traiettoria che evitasse la zona ebraica, un ‘percorso cristiano’ che legava la chiesa domenicana e la cappella. Quello che il vescovo stava facendo era ridisegnare i confini cristiani della città, spostando la chiesa domenicana ‘fuori della città’. Trasformare la casa in una cappella significava anche allargare i confini della ‘città cristiana’.

Per il vescovo, l’erezione della cappella ebbe un significato religioso: «commemorare la Passione di Gesù Cristo nostro Signore e l’effusione del sangue dal Corpo più Sacro sotto la specie di pane»37. Ammise di aver accordato ai carmelitani il permesso di fondare la cappella a sostegno e «aiuto» del culto, facendo riferimento agli «eretici nella

35 Powsiński, Depozyt Ciała y Krwie Iezusowey cit., p. 5.36 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», Teka I, «Copia Re-

scripti», c. 3v.37 Ibid., c. 4r. Per la spiegazione data dal vescovo sulla decisione di permettere ai

carmelitani di convertire la casa in una cappella, vd. anche Archiwum Archidie-cezjalne in Poznań, AC 183, cc. 90r-91v.

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città di Poznań e nelle sue vicinanze, nel regno, e fuori, soprattutto in Slesia, Pomerania, nella Marca di Brandenburgo», che cercavano oc-casioni per negare «l’esistenza di miracoli, che Dio onnipotente rende manifesti nella sua Chiesa ortodossa cattolica romana»38. La cappella, come la leggenda prima, servì a molti scopi: promozione della dottrina cattolica, espansione e sacralizzazione di spazio secolare, maggiori gua-dagni all’interno dell’economia sacra. Nonostante le proteste succes-sive al 1702, i carmelitani cominciarono a celebrare messe nel 1704: la prima celebrazione e la nuova liturgia furono ricordate nel libro del 1722, raccontando la storia delle tre ostie miracolose nella «Gerusa-lemme Polacca»39.

I carmelitani, con la loro leggenda, sconfissero i domenicani con la loro confraternita e le loro processioni. Crearono un luogo di culto che fino al 1926, e forse anche alla vigilia della Seconda Guerra Mon-diale, ogni venerdì seguiva una liturgia assai diversa da quella ufficiale, seguita normalmente durante la Messa. Il Kyrie Eleison acquisiva nuo-vi versi:

O Cristo, insuperato nella tua bontà,Pugnalato dagli ebrei e ancora bagnato nel sangueAttraverso le tue nuove ferite E fiotti versati di sangue Pietà, Pietà, Pietà!

I cuori di pietra dalla strada ebraicaNella casa conosciuta come casa di SwidwinskiAffondarono i loro coltelli dentro di TeNelle Tre Ostie, il Dio Eterno Pietà, Pietà, Pietà!

La preghiera Kyrie Eleison, «Signore, pietà, Cristo, pietà», di solito cantata durante la Messa cattolica, fu così sostituita da una versione che raccontava la profanazione delle ostie degli ebrei a Poznań nel 1399. Nel mezzo della strada ebraica, i carmelitani riuscirono a fonda-re una cappella ricordando a tutti – fedeli cattolici ed ebrei locali – i sacri confini che esistevano nel loro mondo fisico e spirituale.

Magda Teter

38 Archiwum Archidiecezjalne in Poznań, AZ 11 «Karmelici», Teka I, «Copia Re-scripti», c. 4r.

39 Drogi Depozyt (1722).

Finito di stampare nel mese di novembre 2011 in Pisa dalle

Edizioni ETSPiazza Carrara, 16-19, i-56126 Pisa

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