Recezione, inquadramento ed elaborazione del pensiero aristotelico fra Tarda Antichità ed Avicenna

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE - DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI SEMINARIO DEL CORSO DI LAUREA MAGISTRALE DI STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA - A.A. 2012-2013 Recezione, sistemazione ed elaborazione del pensiero aristotelico dalla Tarda Antichità ad Avicenna 1 1. Strabone, Geografia (XIII, 1, 54) Da Scepsi vennero i socratici Erasto, Corisco e Neleo figlio di Corisco, uomo, questo, che fu discepolo e di Aristotele e di Teofrasto e che ereditò la biblioteca di Teofrasto, nella quale era contenuta anche quella di Aristotele. Infatti Aristotele lasciò la propria biblioteca a Teofrasto, al quale lasciò anche la scuola; egli fu il primo di cui sappiamo che abbia raccolto libri e che abbia insegnato ai re di Egitto come sistemare la biblioteca. Teofrasto lasciò la biblioteca a Neleo, il quale la trasportò a Scepsi e la lasciò ai suoi eredi, che erano uomini incolti, i quali mantennero i libri chiusi e non adeguatamente sistemati. Ma quando seppero dello zelo con cui i re Attalidi, sotto il cui dominio era la città, cercavano libri per la costruzione della biblioteca di Pergamo, nascosero i libri sottoterra in una cava. Qualche tempo dopo, quando i libri erano già danneggiati dalla umidità e dalle tarme, i discendenti di Neleo vendettero ad Apellicone di Teo per molto danaro i libri di Aristotele e quelli di Teofrasto. Ma Apellicone era un bibliofilo più che un filosofo; per questo, cercando di ricostruire le parti corrotte per fare nuove copie, alterò il testo, completandole in modo non corretto, e pubblicò i libri pieni di errori. Successe così che gli antichi Peripatetici dopo Teofrasto non ebbero più libri affatto, tranne pochi e per lo più opere essoteriche, sì che non furono più in grado di filosofare in modo pertinente ma solo di fare ampollose affermazioni. Invece i Peripatetici successivi, dal momento in cui uscirono questi libri, si trovarono in una migliore condizione di filosofare e di professare la filosofia aristotelica, ma restarono però costretti ad affermare molte cose solo a livello di probabilità, a causa del gran numero di errori. Anche Roma contribuì molto a questo. Infatti, subito dopo la morte di Apellicone, Siila conquistò Atene, si prese e si portò a Roma la biblioteca di Apellicone. Quivi il grammatico Tirannione, che era un amatore di Aristotele, riuscì a mettere le mani su di essa, facendo la corte al bibliotecario, e questo fecero anche alcuni librai utilizzando cattivi copisti senza controllare le loro copie con gli originali, cosa che succede anche in altri casi quando i libri vengono copiati per scopi commerciali, sia qui sia ad Alessandria. 2. Plutarco, Vita di Silla (26) [Silla] quindi salpò da Efeso con tutta la flotta, e al terzo giorno approdava al Pireo. Lì fu iniziato ai misteri e si appropriò della biblioteca di Apellicone di Teo, ove si trovavano quasi tutti i libri di Aristotele e di Teofrasto, quest'ultimo poco conosciuto allora al grosso pubblico. Essa fu portata a Roma e riordinata in gran parte, si racconta, dal grammatico Tirannione. Da lui Andronico di Rodi ottenne le copie delle opere dei filosofi che pubblicò e di cui redasse i cataloghi ora in uso. Gli antichi peripatetici sembra siano stati, di per sé, degli eruditi rispettabili, ma conoscevano poco e senza rigore critico gli scritti di Aristotele e Teofrasto. Ciò perché l'eredità di Neleo di Scepsi, cui Teofrasto lasciò i suoi libri, andò a finire in mano di persone prive d'interesse per queste cose e ignoranti.

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Recezione, sistemazione ed elaborazione del pensiero aristotelico dalla Tarda Antichità ad Avicenna

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1. Strabone, Geografia (XIII, 1, 54)

Da Scepsi vennero i socratici Erasto, Corisco e Neleo figlio di Corisco, uomo, questo, che fu discepolo

e di Aristotele e di Teofrasto e che ereditò la biblioteca di Teofrasto, nella quale era contenuta anche quella

di Aristotele. Infatti Aristotele lasciò la propria biblioteca a Teofrasto, al quale lasciò anche la scuola; egli fu

il primo di cui sappiamo che abbia raccolto libri e che abbia insegnato ai re di Egitto come sistemare la

biblioteca. Teofrasto lasciò la biblioteca a Neleo, il quale la trasportò a Scepsi e la lasciò ai suoi eredi, che

erano uomini incolti, i quali mantennero i libri chiusi e non adeguatamente sistemati. Ma quando seppero

dello zelo con cui i re Attalidi, sotto il cui dominio era la città, cercavano libri per la costruzione della

biblioteca di Pergamo, nascosero i libri sottoterra in una cava. Qualche tempo dopo, quando i libri erano già

danneggiati dalla umidità e dalle tarme, i discendenti di Neleo vendettero ad Apellicone di Teo per molto

danaro i libri di Aristotele e quelli di Teofrasto. Ma Apellicone era un bibliofilo più che un filosofo; per

questo, cercando di ricostruire le parti corrotte per fare nuove copie, alterò il testo, completandole in modo

non corretto, e pubblicò i libri pieni di errori. Successe così che gli antichi Peripatetici dopo Teofrasto non

ebbero più libri affatto, tranne pochi e per lo più opere essoteriche, sì che non furono più in grado di

filosofare in modo pertinente ma solo di fare ampollose affermazioni. Invece i Peripatetici successivi, dal

momento in cui uscirono questi libri, si trovarono in una migliore condizione di filosofare e di professare la

filosofia aristotelica, ma restarono però costretti ad affermare molte cose solo a livello di probabilità, a

causa del gran numero di errori. Anche Roma contribuì molto a questo. Infatti, subito dopo la morte di

Apellicone, Siila conquistò Atene, si prese e si portò a Roma la biblioteca di Apellicone. Quivi il grammatico

Tirannione, che era un amatore di Aristotele, riuscì a mettere le mani su di essa, facendo la corte al

bibliotecario, e questo fecero anche alcuni librai utilizzando cattivi copisti senza controllare le loro copie con

gli originali, cosa che succede anche in altri casi quando i libri vengono copiati per scopi commerciali, sia qui

sia ad Alessandria.

2. Plutarco, Vita di Silla (26)

[Silla] quindi salpò da Efeso con tutta la flotta, e al terzo giorno approdava al Pireo. Lì fu iniziato ai

misteri e si appropriò della biblioteca di Apellicone di Teo, ove si trovavano quasi tutti i libri di Aristotele e di

Teofrasto, quest'ultimo poco conosciuto allora al grosso pubblico. Essa fu portata a Roma e riordinata in

gran parte, si racconta, dal grammatico Tirannione. Da lui Andronico di Rodi ottenne le copie delle opere dei

filosofi che pubblicò e di cui redasse i cataloghi ora in uso. Gli antichi peripatetici sembra siano stati, di per

sé, degli eruditi rispettabili, ma conoscevano poco e senza rigore critico gli scritti di Aristotele e Teofrasto.

Ciò perché l'eredità di Neleo di Scepsi, cui Teofrasto lasciò i suoi libri, andò a finire in mano di persone prive

d'interesse per queste cose e ignoranti.

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3. Porfirio, Isagoge (Prologo)

Caro Crisaorio,

dato che per comprendere la dottrina delle categorie di Aristotele, è necessario sapere cosa siano il

genere, la differenza, la specie, il proprio e l’accidente, e dato che questa analisi è basilare per la

formulazione delle definizioni, e, comunque, per tutto quel che riguarda la divisione e la dimostrazione,

farò per te una breve esposizione in poche parole, nella forma, per così dire, di un'isagoge, di quello che ci è

stato tramandato dagli antichi, tralasciando le questioni più complesse e affrontando in egual misura quelle

più semplici.

Ti avverto subito che non affronterò il problema dei generi e delle specie: cioè se siano di per sé

sussistenti o se siano semplici concetti mentali; e, nel caso che siano sussistenti, se siano corporei o

incorporei; e, infine, se siano separati o se si trovino nelle cose sensibili, ad esse inerenti; questo è infatti un

tema molto complesso, che ha bisogno di un'altro tipo di indagine, molto più approfondita.

Mi accingo invece a spiegarti da un punto di vista logico ciò che gli antichi hanno sostenuto su

questi due argomenti e sugli altri, soprattutto i Peripatetici.

4. Anonimo [Giamblico], Prolegomeni alla filosofia di Platone

[Westerink 1990, p. 39.16-26]

Questi [il divino Giamblico], dunque, riconduceva tutti i dialoghi a dodici e chiamava gli uni "fisici",

gli altri "teologici"; e daccapo riconduceva questi dodici a due, il Timeo e il Parmenide: di questi, il Timeo

copre tutto l'ambito delle scienze fisiche, e il Parmenide quello delle scienze teologiche [...] Bisogna dunque

spiegare per primo l’Alcibiade, perché in questo dialogo impariamo a conoscere noi stessi, ed è giusto

imparare a conoscere noi stessi, prima di conoscere le cose esteriori: come potremmo infatti conoscere

queste ultime, se ignorassimo noi stessi?

5. Marino di Neapoli, Vita di Proclo (13)

In neppure due anni lesse insieme con lui tutte le opere di Aristotele, di logica, di etica, di politica, di

fisica e la scienza teologica, che è superiore ad esse. Quando fu sufficientemente istruito in queste,

considerate come misteri preliminari e di ordine inferiore, lo condusse alla dottrina mistagogica di Platone,

per ordine e senza che facesse il passo più lungo della gamba, secondo il detto dell'oracolo; lo fece

partecipare, con gli occhi puri dell'anima e la vista incontaminata dell'intelletto, alle iniziazioni realmente di

natura divina contenute nelle opere platoniche. Egli, che vegliava nell'esercizio e nello studio notte e giorno

e prendeva nota, riassumendo secondo il proprio giudizio, di ciò che veniva detto, fece un tale progresso in

non molto tempo, che all'età di ventotto anni aveva scritto molte opere, tra cui in particolare il

commentario al Timeo, davvero ben fatto e traboccante di dottrina. Da una tale educazione il suo carattere

ne usciva sempre più ornato, poiché ormai il suo possesso delle virtù era illuminato dalla scienza.

6. Al-Farabi, Le origini della filosofia

[Steinschneider 1966, pp-85-86]

[…] in seguito [all’avvento dell’Islam] l’istruzione si trasferì da Alessandria ad Antiochia e là rimase

per un lungo periodo. Infine, là rimase (soltanto) un insegnante, e da lui impararono due uomini che poi

partirono, portando con sé i libri: uno di essi proveniva da Harran, l’altro da Marw.

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7. Al-Mas ‘ūdī [al-Aḫbārī], Murūğ-ad-dahab

Al-Mahdi dedicò tutti i suoi sforzi a sterminare gli eretici e gli apostati. Questi comparvero ai suoi

giorni e proclamarono pubblicamente le proprie credenze al tempo del suo califfato a causa della7 vasta

circolazione dei testi di Mani, Bardesane e Marcione, che erano stati tradotti dal neo-persiano e dal pahlavi

in arabo, e di testi su questo tema in favore delle dottrine del manicheismo, del bardesanismo e del

marcionismo […]. In questo modo i manichei crebbero di numero e le loro credenze si manifestarono

all'aperto tra la gente. Al-Mahdi fu il primo califfo a ordinare ai teologi di utilizzare l'argomentazione

dialettica nella loro ricerca di redigere dei libri contro gli eretici e gli altri infedeli che abbiamo già ricordato.

I teologi poi produssero delle prove dimostrative contro i disputanti, eliminarono i problemi posti dagli

eretici e spiegarono la verità in termini chiari a quanti si trovavano nel dubbio.

8. Abdallàh ibn-Tāhir, Sogno di al Ma’mūn

‘Abdallàh ibn-Tāhir riferisce che al-Ma ‘mūn disse: «Ho visto nel mio sogno un uomo seduto

nell'assemblea dei filosofi, e gli dissi: “Chi sei tu?” Egli rispose: “Aristotele, il filosofo” . Io dissi: “O filosofo,

qual è il discorso migliore ?” Egli rispose: “Qualunque cosa sia corretta secondo il giudizio personale”, Io

dissi: “Che cosa, dunque?” Egli rispose: “Qualunque cosa sia trovata essere buona dalla persona che

l'ascolta”. Io dissi: “Che cosa, dunque?” Egli rispose: “Ciò delle cui conseguenze non si dovrà temere”. Io

dissi: “Che cosa, dunque?” Egli rispose: “Ogni altra cosa equivale al raglio di un asino” ». Al-Ma ‘mūn disse:

«Se Aristotele fosse stato vivo, non avrebbe aggiunto nient'altro a ciò che egli disse qui, dal momento che

[in questa esposizione] egli raccolse [ogni cosa che era necessario dire] e si astenne [dal dire qualcosa di

superfluo]».

9. Yahyā b. ‘Adī, Sogno di al Ma’mūn

Al-Ma'mùn sognò di vedere un uomo dalla carnagione chiara, il colorito rossastro, la fronte

spaziosa, le sopracciglia unite, stempiato, con gli occhi azzurro intenso e di fattezze gentili che stava seduto

sul suo trono. Al-Ma'mùn disse: «Io vidi nel mio sogno che ero al suo cospetto, pieno di timore reverenziale.

Gli chiesi: “Chi sei?” Rispose: “Sono Aristotele”. Io fui felice di essere con lui e gli chiesi: “O filosofo, mi

permetti di porti [delle domande]?” Egli rispose: “Chiedi”. Io dissi: “Che cos'è il bene?” Egli rispose:

“Qualunque cosa sia bene secondo l'intelletto”, (io) Io chiesi: “E poi, che cosa?” Egli rispose: “Qualunque

cosa sia bene secondo la legge religiosa”. Io domandai: “E che cos'altro?” Egli rispose: “Qualunque cosa sia

bene nell'opinione delle masse. Io chiesi: “Che cos'altro?” Ed egli rispose: “Non c'è nessun altro 'che

cos'altro”».

Secondo un'altra tradizione:

«Io [ossia al-Ma'mun] dissi: “[Dimmi] qualcosa di più”. Aristotele rispose: “Chi ti dà un consiglio

sincero sull'oro, sia per te come oro. Il tuo dovere è dichiarare l'unicità di Dio”».

10. Al-Kindi, Sulla Filosofia Prima (I)

La più elevata fra le arti umane, la più degna, la più nobile è l'arte della filosofia, che è definita

«scienza delle cose nella loro verità nella misura della capacità umana», perché lo scopo del filosofo nella

sua scienza è cogliere il vero, mentre nella sua azione è l'azione secondo il vero, non l'azione senza un

termine, perché ci fermiamo e l'azione finisce quando raggiungiamo il vero; ma non troviamo ciò che

ricerchiamo nel vero senza aver trovato la causa. Ora, la causa dell'essere di ogni cosa e della sua stabilità è

il vero, perché ogni cosa ha tanto di essere quanto ha di verità, e il vero è necessariamente esistente dal

momento che gli esseri sono esistenti.

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La filosofia più nobile e più elevata in rango è la filosofia prima, intendo la scienza della verità

prima, che è la causa di ogni verità. Perciò occorre che il filosofo perfetto e più nobile sia l'uomo che

possiede questa scienza, la più nobile, perché la scienza della causa è più nobile della scienza dell'effetto,

dato che noi conosciamo ogni cosa conoscibile con una conoscenza perfetta quando possediamo la

conoscenza della sua causa […]. La scienza della Causa Prima è stata giustamente chiamata «filosofia

prima», perché tutto ciò che fa parte della filosofia è compreso nella scienza di questa; essa è quindi prima

per nobiltà, prima per genere, prima per rango riguardo a ciò che è più certo nella conoscenza e prima dal

punto di vista del tempo, perché essa è causa del tempo.

[…] Quanto ad Aristotele, il più eminente dei Greci nella filosofia, ha detto: «E necessario che siamo

grati ai padri di coloro che hanno apportato qualcosa di vero, perché sono stati causa dell'esistenza di quelli,

ancor più di quanto lo siamo a loro, perché sono stati la loro condizione [di esistenza], e perché sono stati la

causa grazie alla quale noi abbiamo potuto ottenere il vero». Quanto è bello ciò che ha detto su questo!

Non dobbiamo perciò vergognarci di trovare bella la verità e di far nostra la verità da qualunque

parte essa provenga, anche se viene da razze lontane dalla nostra e da popoli diversi: per chi ricerca la

verità, nulla viene prima della verità; la verità non è diminuita né abbassata da chi la dice o da chi la

comunica, nessuno è svilito dalla verità, ma anzi la verità nobilita tutti.

11. Al-Kindi, Sulla Filosofia Prima (II)

Il venire all'essere di tutto ciò che è molteplice è dovuto all'unità, e se non c'è l'unità, non c'è l'essere

per il molteplice, assolutamente. Ora, ogni venire all'essere è un subire un'alterazione che fa esistere ciò che

prima “non esisteva: perciò l'emanazione dell'Unità dall'Uno vero e primo è il venire all'essere di tutto ciò

che è sensibile e di ciò che è connesso a ciò che è sensibile, e ciascuna di queste cose esiste quando quegli le

fa esistere con il proprio essere. La causa del venire all'essere quindi deriva dall'Uno vero, il quale non

acquisisce l'unità da un principio che gliela faccia acquisire, ma è uno per essenza: invece ciò che viene fatto

esistere non è eterno; ora, ciò che non è eterno è creato, intendo fatto venire all'essere da una causa; quindi

ciò che è fatto venire all'essere è creato, e dal momento che la causa del far venire all'essere è l'Uno vero e

primo, la causa della creazione è l'Uno vero e primo. Inoltre: la causa da cui proviene l'inizio del movimento,

intendo il motore, è la causa agente; ma se l'Uno vero e primo è la causa del principio del movimento del

«far venire all’essere» (ossia del subire l’azione), allora esso e il creatore di tutte le cose che sono venute

all'essere. E se non c'è essere se non nella misura in cui in esse c'è unità, e la loro unificazione coincide con il

loro esser fatte essere, è grazie all'unità che sussiste l'universo: se esse si separano dall'unità, regrediscono e

si corrompono contemporaneamente a tale separazione, senza intervallo di tempo. L'Uno vero, dunque, è il

creatore primo, colui che custodisce nell'essere tutto ciò che ha creato, e nessuna cosa si sottrae alla sua

custodia e alla sua potenza, altrimenti regredirebbe e si corromperebbe.

12. Al-Kindi, Epistola sul discorso sull’anima riassunto dal libro di Aristotele

Aristotele ha descritto l’episodio del re greco che fu tratto alto con la sua anima e rimase né vivo né

morto per molti giorni; quando ritornò in sé, insegnò alle persone parti della scienza di ciò che è occulto e

raccontò ciò che aveva visto delle anime, delle forme e degli angeli e dette loro la prova di ciò: predisse

infatti a tutti quelli della sua famiglia quanto sarebbe durata la vita di ciascuno, e quando si verificò tutto

quello che aveva detto, nessuno oltrepassò la quantità di vita che gli aveva fissato. Predisse anche che si

sarebbe aperto un baratro nella terra di Aws dopo un anno e che ci sarebbe stata un'inondazione in un altro

luogo dopo due anni; e le cose andarono come aveva detto. E Aristotele ha spiegato che l'accesso a quella

[conoscenza] è stato il fatto che la sua anima aveva appreso quella scienza perché si era quasi separata dal

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corpo e se ne era temporaneamente dissociata, e aveva visto quelle cose: ma se si fosse separata dal corpo

veramente, come avrebbe visto le meraviglie del mondo superiore ! [...]

La maggior parte dei filosofi ha insegnato che l'anima è una sostanza semplice, e noi lo abbiamo

riassunto dal loro discorso.

13. Thābit ibn Qurra, Esposizione concisa della Metafisica di Aristotele

Sez 1

Aristotele intitolò questo suo libro Metafisica per il fatto che il suo obiettivo in esso è l'indagine su

una sostanza che non è in movimento e che non cade nel desiderio di nulla al di fuori della propria essenza,

e per il fatto che questa non è condizione possibile delle realtà naturali - anche se per spiegare ciò, egli è

costretto a indagare nel proprio modo molte questioni riguardanti la sostanza che è in movimento.

Platone, al contrario, elevò quell'essenza che non è in movimento sopra la sostanza e collocò la

sostanza sotto di essa, ossia nel modo della causa e del causato, dal momento che nella sua opinione un

unico concetto non poteva affatto comprenderle entrambe. Tuttavia se noi comprendiamo l'essenza del

concetto a cui entrambi questi uomini miravano, le loro differenze su questo punto non ci impediranno in ciò

che vogliamo apprendere circa questa essenza che non è in movimento. In generale si tratta di un'indagine

su ciò che è veramente uno, dal momento che nulla può essere detto su di esso se non dal punto di vista

della sua azione, relativamente e dall'esterno.

Aristotele in questo libro presenta affermazioni oscure in cui egli tende ad un unico obiettivo: se ciò

venisse commentato e spiegato quanto merita, sarebbe esposto nel modo seguente.

Sez. 2

Tutta la sostanza corporea, sia quella esistente che quella generabile, sussiste solo grazie alla

natura che le è propria; la sua natura propria sussiste solo grazie alla forma che le è propria; la sua forma

propria costitutiva dell'essenza della sostanza corporea (sott.), sussiste solo grazie al movimento che le è

proprio.

Tutto ciò che è in un movimento a sé proprio muove solo verso una perfezione; la perfezione di ogni

cosa è adeguata alla sua natura e conforme ad essa; ogni cosa che muove verso ciò che è adeguato e

conforme alla propria natura lo fa grazie al proprio desiderio, all'amore e alla brama per esso. La cosa

desiderata è una causa del movimento della cosa che si muove verso di essa per desiderio, mentre la cosa

che desidera è ciò che è causato rispetto a questa causa.

In questo movimento e nel movimento di ogni corpo, ogni corpo è spinto a salire sino al primo

motore immobile, come Aristotele ha spiegato nella Fisica, per il fatto che se si trova che un corpo ne muove

un altro, la più alta cosa in movimento è mossa da un motore che non è in movimento.

Il primo motore è la causa della forma che dà sussistenza alla sostanza di tutte le cose che sono in

movimento nel modo a loro proprio. Perciò la sussistenza della sostanza di ognuna di esse non è in sé, ma

piuttosto viene da qualcosa che è la prima causa del movimento di ognuna di esse.

Quindi ciò che Aristotele dice è che il movimento di tutto ciò che si muove è dovuto al desiderio per

qualcosa, e la prima forma di ciò che è generabile e che esiste è il movimento ad esso proprio. Il primo

motore è dunque il principio e la causa dell'esistenza e del perdurare delle forme di tutte le sostanze

corporee. Perciò quando immaginiamo di eliminare l'esistenza del movimento naturale (o se preferisci, le

potenze di ogni corpo a cui esse appartengono) la loro sostanza senza dubbio si corrompe.

Sez. 8

Quando Aristotele termina di occuparsi di questo argomento (i.e. del fatto che il primo principio non

è un corpo) dice che nel definire la causa prima è necessario che vi sia un'unica cosa come principio. Infatti

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la forma con cui la materia non è in alcun modo mescolata, non è possibile che si moltiplichi. Allo stesso

modo il singolo concetto non può moltiplicarsi, se non nel senso della materia a cui si compone, ossia le

parole. Ogni forma che si moltiplica in una materia, lo fa in modo commensurato all'estensione della

materia a cui si compone. Per questo Aristotele nel De Caelo dice che se la materia da cui gli uomini sono

generati fosse combinata in un intero in modo tale che un solo uomo fosse fatto di essa, non potrebbe

esserci un altro uomo oltre a questo uomo nell'universo. E se le cose stanno così per ciò che ha materia, cosa

dunque ritieni possa accadere per ciò con cui la materia non è affatto mescolata? Questa è la ragione per

cui Aristotele dice che è assolutamente necessario in relazione al primo principio questo: che sia uno.

Aristotele dice inoltre che si può giungere correttamente all'unità (tawhld) solo per via negativa,

ossia non v'è inizio, materia, movimento per questa essenza immobile e questo principio primo.

Sez.9

Se uno tuttavia reclama la via della conoscenza al di fuori della negazione poiché si rivolge a

quest'essenza per via positiva, Aristotele sostiene che la sostanza di questo principio primo è la scienza

stessa. Infatti se l'ente non è materia e non possiede materia, allora è una forma, per il fatto che

nell'opinione di Aristotele non c'è nient'altro nella divisione, ossia nella divisione del principio o dell'ente per

sé, dal momento che tutto ciò che esiste per sé non può che essere o materia o forma. Il primo principio

(sott.) non è una materia, perchè la materia è intelligibile sulla base della forma che è ad essa combinata. E

dal momento che non è materia, la rimanente soluzione è che sia forma.

Nella sua opinione questa forma è la fonte di ogni forma. Così quando vede se stessa, vede le altre

forme. Quando ha visto se stessa, essa è l'atto di vedere, perchè non vede un dato stato come se ci fosse

separazione tra questo stato e la sostanza di sé stessa. Così la sua sostanza è scienza.

14. Theologia Aristotelis (cap. 1 e 7)

Intendiamo cominciare presentando il punto di vista di quest'uomo perfetto e nobile su queste cose

che abbiamo menzionato. Diciamo che quando il nobile Platone vide che la maggior parte dei filosofi era in

errore nella propria descrizione degli esseri - e ciò perché quando essi volevano ottenere la conoscenza dei

veri esseri la cercavano in questo mondo inferiore, perché pensavano che i veri esseri si trovassero in questo

mondo sensibile, dato che rifiutavano le cose intelligibili, accettavano solo il sensibile e volevano cogliere

con la percezione sensibile tutte le cose, sia quelle corruttibili che quelle eterne e durature -, quando,

dunque, [Platone] vide che essi avevano smarrito la via che li avrebbe portati alla verità e alla rettitudine, e

che la percezione sensibile li dominava, li compianse per questo, fu benevolo nei loro confronti e li guidò

sulla via che li avrebbe condotti alle verità delle cose.

Egli ha distinto fra intelletto e percezione sensibile e fra la natura degli esseri e le cose sensibili. Ha

stabilito che i veri esseri sono sempiterni e non mutano il loro stato, e ha stabilito che le cose sensibili sono

corruttibili e cadono sotto la generazione e la corruzione. Quando ha completato questa distinzione, ha

preso a dire che «la causa dei veri esseri che non hanno corpo e delle cose sensibili che hanno corpo è una

sola, l'Essere primo e vero», e con ciò si intende il Creatore, l'Autore del mondo, potente il suo nome. Poi ha

detto: «Il Creatore Primo, che è la causa degli esseri intelligibili sempiterni e degli esseri sensibili corruttibili,

è il Bene puro, e il bene non si addice a nessun'altra cosa oltre a lui. Ogni bene che c'è nel mondo superiore e

nel mondo inferiore non deriva dalla loro natura e non deriva dalla natura degli esseri intelligibili né dalla

natura degli esseri sensibili corruttibili, ma da quella natura sublime. Ogni natura, intelligibile e sensibile,

proviene originariamente da essa, e se il bene è stato inviato nei mondi dal Creatore, è perché Egli è colui

che ha creato le cose; da lui sono state inviate in questo mondo la vita e le anime. Questo mondo si

congiunge strettamente a questa vita e alle anime che vengono dall'alto in questo mondo; esse sono quelle

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che adornano questo mondo, così che esso non perisce e non si corrompe». Poi ha detto: «Questo mondo è

composto di materia e forma, e ciò che ha informato la materia è una natura più nobile ed elevata della

materia: l'anima intellettiva; ma l'anima è atta a porre la forma nella materia nella misura in cui vi è in essa

la potenza dell'intelletto nobile; e l'intelletto è atto a dare all'anima la potenza di informare la materia

grazie all'Essere primo, il quale è causa degli altri esseri, cioè quello dell'intelletto, dell'anima, della materia

e delle altre cose naturali. Le cose sensibili sono belle e splendide a causa dell'Agente Primo, ma questa

azione si è compiuta con la mediazione dell'intelletto e dell'anima». Poi ha detto: «E l'Essere primo e vero

colui che effonde la vita, dapprima sull'intelletto, poi sull'anima, poi sulle cose naturali: si tratta del

Creatore, colui che è Bene Puro».

Quanto è bello ed esatto il modo in cui questo filosofo descrive l'Altissimo Creatore, quando dice:

«Egli è il creatore dell'intelletto, dell'anima, della natura e di tutte le altre cose»! Ma chi ascolta il discorso

del filosofo non deve intenderlo in senso letterale e pensare che egli dica che il Creatore ha effettuato la

creazione nel tempo. Se si pensa questo di lui, per la sua espressione letterale e le sue parole, [replichiamo

che] si è espresso in questo modo nell'intento di seguire la consuetudine degli antichi. Ciò perché gli antichi

sono stati costretti a menzionare il tempo all'inizio della creazione, perché volevano descrivere la genesi

delle cose e sono stati costretti a introdurre il tempo nella loro descrizione della genesi e nella loro

descrizione della creazione, che non avviene affatto nel tempo. E gli antichi sono stati costretti a menzionare

il tempo nella loro descrizione della creazione per distinguere tra le cause prime e supreme e le cause

secondarie e inferiori. Ciò perché quando l'uomo vuole chiarire e conoscere la causa è obbligato a

menzionare il tempo, dato che è inevitabile che la causa sia anteriore al suo effetto, e colui che ha questa

rappresentazione interiore si rappresenta che l'anteriorità sia «tempo» e che ogni agente svolga la sua

azione nel tempo. Ma le cose non stanno così: intendo dire che non ogni agente compie la sua azione nel

tempo, e non ogni causa è anteriore al suo effetto nel tempo. Se vuoi sapere se questa cosa compiuta è

temporale o no, esamina l'agente: se esso cade sotto il tempo, allora senza dubbio anche la cosa compiuta

cade sotto il tempo; se la causa è temporale, allora è temporale anche la cosa compiuta. L'agente e la causa

indicano la natura della cosa compiuta e dell'effetto, se cioè essi cadono sotto il tempo o non cadono sotto

di esso.

Termina il primo trattato.

Gloria a Dio signore dei mondi, e pace ai suoi santi servitori.

15. Liber de Causis (prop. 3)

Ogni anima nobile ha tre operazioni: fra le sue operazioni vi è l'operazione animatrice, l'operazione

intellettiva e l'operazione divina.

L'operazione divina consiste nel fatto che essa governa la natura con la potenza che in essa proviene

dalla Causa Prima. L'operazione intellettiva consiste nel fatto che essa conosce le cose con la potenza

dell'Intelletto che si trova in essa. L'operazione animatrice, infine, consiste nel fatto che essa muove il corpo

primo e tutti i corpi naturali, perché essa è causa del moto dei corpi e causa dell'operare della natura; ma

l'anima non compie queste operazioni se non in quanto è immagine di una potenza superiore.

Ciò perché la Causa Prima ha creato l'essere dell'anima con la mediazione dell'Intelletto, e per

questo l'anima si trova a compiere un'operazione divina. Dunque dopo aver creato l'essere dell'anima la

Causa Prima l'ha posta come substrato per l'Intelletto, in cui l'Intelletto potesse compiere le sue operazioni.

Per questo motivo l'anima intellettiva compie l'operazione intellettiva; e poiché l'anima recepisce l'impronta

dell'Intelletto, essa non è capace di compiere che un'operazione inferiore a quella dell'Intelletto, quando si

imprime in ciò che è al di sotto di lei. Ciò accade perché essa non pone la sua impronta nelle cose se non

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attraverso il movimento, ossia: ciò che si trova al di sotto di lei non recepisce la sua operazione se non in

quanto essa lo muove. Ecco perché l'anima muove i corpi: è infatti proprietà dell'anima vivificare i corpi,

quando effonde su di essi la sua potenza e li guida direttamente all'operazione appropriata a ciascuno. E

dunque chiaro adesso che l'anima ha tre operazioni perché ha tre potenze, ossia la potenza divina, la

potenza dell'Intelletto e la potenza propria della sua essenza, secondo ciò che abbiamo esposto e spiegato.

16. Liber de Causis (prop. 8[9])

La stabilità e la sussistenza dell'Intelletto dipendono dal Bene Puro, che è la Causa Prima.

La potenza dell'Intelletto, a sua volta, è più unitaria delle cose secondarie che vengono dopo di lui,

perché esse non racchiudono la sua conoscenza. Ciò perché esso è causa delle cose che si trovano al di sotto

di lui. Il segno di ciò è questo che osserviamo: l'Intelletto governa tutte le cose che sono al di sotto di lui per

la potenza divina che è in lui, e con questa mantiene le cose, perché tramite questa è causa delle cose: esso

mantiene tutte le cose che sono al di sotto di lui e le comprende in sé. Ciò accade perché tutto ciò che è

primo in un dato ordine di cose è causa di quelle cose, le mantiene e le governa, e nessuna delle cose che gli

sono subordinate si sottrae ad esso, a causa della sua elevata potenza. Per questo motivo l'Intelletto è il

signore delle cose che sono al di sotto di lui, le mantiene e le governa, cosi come la natura governa le cose

che sono al di sotto di essa grazie alla potenza dell'Intelletto. In modo analogo, l'Intelletto governa la natura

a causa della potenza divina. Ma l'Intelletto non si trova a mantenere e governare le cose che sono al di

sotto di esso e a diffondere la sua potenza sopra di esse, se non per il fatto che esse non sono una sua

potenza sostanziale; al contrario, esso è potenza delle potenze sostanziali, perché ne è causa. L'Intelletto

comprende in sé le cose soggette a divenire, la natura e ciò che è al di sopra della natura, cioè l'anima -

l'anima, infatti, è al di sopra della natura. Ciò accade perché la natura contiene il divenire, l'anima contiene

la natura e l'Intelletto contiene l'anima. Perciò l'Intelletto contiene tutte le cose; e l'Intelletto è tale solo

grazie alla Causa Prima, che trascende tutte le cose perché è causa dell'Intelletto, dell'anima, della natura e

di tutte le altre cose. A sua volta, la Causa Prima non è né Intelletto né anima né natura: anzi, essa è al di

sopra dell'Intelletto, dell'anima e della natura, perché ha creato tutte le cose. Essa però ha creato l'Intelletto

senza alcuna mediazione, ed ha creato l'anima, la natura e tutte le altre cose con la mediazione

dell'Intelletto. La scienza divina non è come la scienza dell'Intelletto né come la scienza dell'anima, ma è al

di sopra della scienza dell'Intelletto e della scienza dell'anima, perché ha creato ogni scienza; la potenza

divina è al di sopra di ogni potenza dell'Intelletto, dell'anima e della natura perché è causa di ogni potenza.

Inoltre: l'Intelletto ha yliathim (forma), perché è composto di essere e forma, e analogamente anche l'anima

ha yliathim (forma), e la natura ha yliathim (forma). Invece la Causa Prima non ha yliathim (forma) perché è

soltanto essere. Se si dice «deve anch'essa avere yliathim (forma)», rispondiamo: il suo yliathim (forma) è

infinito, e la sua individuazione consiste nell'essere il Bene Puro, che effonde sull'Intelletto tutte le

perfezioni, e su tutte le altre cose con la mediazione dell'Intelletto.

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17. Al-Farabi, Catalogo delle scienze

Le parti della metafisica

La scienza divina si divide in tre parti, di cui la prima indaga gli enti e le cose che ineriscono loro in

quanto enti.

La seconda indaga i principi delle dimostrazioni nelle scienze teoretiche particolari, ossia quelli

grazie ai quali ogni scienza viene individuata per il fatto che indaga un ente particolare, come la logica, la

geometria, la matematica e le altre scienze particolari che assomigliano a queste scienze. Indaga infatti i

principi della logica, i principi delle scienze matematiche e i principi della fisica, cercando di verificarli e di

insegnare le loro proprietà. Quindi corregge le opinioni errate in cui erano incorsi gli antichi sui principi di

queste scienze, come l'opinione di chi riteneva che il punto, l'unità, le linee e le superfici fossero sostanze e

fossero separate, e le opinioni che assomigliano a questa circa i principi delle altre scienze e le confuta e

dimostra che sono errate.

La terza parte indaga quegli enti che non sono corpi e non sono nei corpi. Ricerca innanzitutto se

essi esistono o no, e dimostra che essi esistono. Esamina se sono molteplici o no, e dimostra che sono

molteplici. Indaga se sono finiti di numero o no, e dimostra che sono finiti [di numero]. Ricerca se i loro gradi

rispetto alla perfezione sono un unico grado o se i loro gradi sono differenti, e dimostra che sono differenti

rispetto alla perfezione. Quindi dimostra che essi nella loro molteplicità si elevano dalla loro imperfezione

verso il grado via via più perfetto fino a terminare in ciò che è ultimo, che è quella perfezione di cui non è

possibile vi sia nulla di più perfetto e di cui non è possibile vi sia nulla di simile al suo grado d'essere, né di

uguale, né di contrario. E [si elevano] a quel Primo del quale non è possibile trovare nulla che venga prima, e

a quel Precedente che nulla può aver preceduto, e a quell'Ente che non può acquisire la sua esistenza da

nessuna altra cosa: e questo Ente è eterno, il Precedente assolutamente uno. Chiarisce quindi che gli altri

enti sono a lui posteriori rispetto all'essere e che esso è il Primo Uno che conferisce a ogni cosa al di fuori di

sé l'unità, e che è il Primo Vero per ciò che ha verità; chiarisce, inoltre, in che modo esso conferisce ciò, dal

momento che in lui non può esserci in alcun modo molteplicità, poiché esso è ciò che sopra ogni cosa è

degno del nome e del significato di Uno, Essere, Vero e Primo. Poi spiega che ciò che gode di questi attributi

è colui che si deve credere sia Dio - siano a lui onore e potenza e vengano benedetti i suoi nomi. Successiva-

mente esamina gli altri attributi con i quali si qualifica il Creatore - che Dio sia benedetto - fino ad esaurirli

tutti. Poi insegna come gli enti nascono da lui e come da lui acquistano l'esistenza. Quindi studia i gradi

degli enti e come risultano loro quei gradi e in qual modo ognuno di essi è degno del grado che occupa; spie-

ga qual è il loro legame reciproco e la loro organizzazione e con che mezzo sono legati e ordinati. Infine

insiste nell'enumerazione del resto dei suoi atti - a Lui onore e potenza - relativi agli enti, fino ad esaurirli

tutti, e spiega che in nessuno di essi c'è ingiustizia, né imperfezione, né discordia, né irregolarità, né di-

sordine: insomma non c'è alcun difetto, né alcunché di male in nessuno di essi. Successivamente si accinge a

confutare le opinioni erronee che sono sostenute a proposito di Dio - a lui onore e potenza - e dei suoi atti,

[tali da] introdurre il dubbio su di lui, sui suoi atti e sugli enti che ha creato, e le distrugge tutte con dimo-

strazioni che danno quella conoscenza certa su cui l'uomo non nutre incertezza, né è turbato da alcun

dubbio e dalla quale non è assolutamente possibile recedere.

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18. Al-Farabi, Sugli intenti della «Metafisica» di Aristotele

In questo trattato vogliamo indicare il proposito sotteso all'opera di Aristotele conosciuta con il

nome di Metafisica, nonché le sue principali suddivisioni. Di fatto molti senza conoscere si sono convinti che

il contenuto di quest'opera e il suo oggetto sia il parlare del Creatore — che sia lodato ed esaltato —,

dell'intelletto, dell'anima e di tutti gli altri temi a ciò affini. Si sono pure immaginati che la scienza metafisica

e la scienza del tawhid siano un'unica e medesima cosa. Per questa ragione ci pare che la maggior parte di

quanti studiano la metafisica siano del tutto confusi e si ingannino. Ci sembra che la maggior parte delle

cose che sono state dette non tengano affatto conto di un tale proposito. Anzi, non abbiamo trovato nulla

dedicato a tale proposito, se non ciò che concerne il libro undicesimo che è conosciuto con la lettera làm.

Inoltre non si trova affatto presso gli antichi un commento dedicato a quest'opera, come invece accade per

tutte le altre opere. Se si trova qualcosa, non è che per il libro Lām: si tratta di un commento incompleto di

Alessandro e di un altro commento completo di Temistio. Quanto agli altri libri, o non furono affatto

commentati o non si sono conservati fino ai nostri giorni. Si potrebbe pensare che è questo il caso, dal

momento che si legge nei testi dei peripatetici tardi che Alessandro aveva commentato quest'opera per

intero. Quanto a noi, vogliamo indicare il proposito di quest'opera, nonché il contenuto di ciascuno dei suoi

libri.

Tra le scienze, alcune sono particolari ed altre universali. Le scienze particolari hanno per oggetto

certi esseri e certi concetti e ne studiano gli accidenti propri. (…)

Quanto alla scienza universale, essa studia ciò che è comune a tutti gli esseri come l'esistenza e

l'unità, le loro specie e le loro conseguenti proprietà, ed ancora le cose che non sono affatto accidenti di

nessuno degli oggetti delle scienze particolari, come l'anteriorità e la posteriorità, la potenza e l'atto, la

perfezione e la privazione e via di seguito. Essa studia il principio comune a tutti gli esseri, che è ciò che si

deve designare con il nome di Dio — che la sua sovranità sia onorata. (…)

Necessariamente la scienza divina cade sotto questa scienza, perché Dio è il principio dell'essere in

generale e non di un certo ente sì e di un altro no. La parte di questa scienza che fornisce i principi

dell'essere deve essere la scienza divina, poiché queste questioni non sono proprie della fisica, in quanto

sono più elevate in universalità di queste; questa scienza è dunque più elevata della fisica ed è perciò

chiamata la “scienza di ciò che viene dopo la fisica” (...).

Dunque la scienza che sola merita d'essere chiamata con questo nome è questa scienza. Anzi essa

sola, distinta da tutte le altre scienze, è la scienza metafisica. L'oggetto primo di questa scienza è l'essere in

senso assoluto e ciò che vi equivale in universalità, ossia l'uno. Ma dal momento che la scienza dei contrari è

una, in questa scienza vengono studiati anche il non-essere e la molteplicità. Inoltre, dopo la determinazione

di questi oggetti, questa scienza studia le cose che fungono da specie, come le dieci categorie dell'essere e le

specie dell'uno, come l'uno individuale, l'uno secondo la specie, l'uno secondo il genere e l'uno per analogia,

e così le divisioni di ciascuno di essi. Questa scienza studia allo stesso modo le specie del non-essere e della

molteplicità. Ed ancora studia le conseguenti proprietà dell'essere, come la potenza e l'atto, la perfezione e

la privazione, la causa e l'effetto. Essa studia inoltre le conseguenti proprietà dell'unità, come la quiddità, la

somiglianza, l'uguaglianza, la conformità, l'equivalenza, l'analogia e così via. Esamina quindi le conseguenti

proprietà del non-essere e della molteplicità. Studia i principi di ogni cosa, li divide e distingue fino ad

arrivare agli oggetti delle scienze particolari. Culmina infine nell'esporre i principi di tutte le scienze

particolari e le definizioni dei loro oggetti. Ecco a voi tutte le cose indagate da questa scienza.

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19. Al-Farabi, L’armonia tra le opinioni di Platone ed Aristotele

Chi ha studiato i suoi discorsi sulla sovranità divina nel libro intitolato Teologia non ha più alcun

dubbio circa la sua affermazione dell'esistenza dell'Artefice creatore di questo mondo, perché la questione

in questi discorsi è troppo evidente perché la si ignori. Là diviene chiaro che il Creatore ha creato la materia

prima a partire dal nulla, che essa dapprima è stata resa corporea dal Creatore - solo a lui la lode - e

secondo la sua volontà, e poi è stata ordinata. Egli ha mostrato nella Fisica che non è possibile che il cosmo

sia stato instaurato per caso e accidentalmente, e lo stesso nel libro Sul cielo e il mondo, e come prova egli

porta l'ordine mirabile delle parti del mondo: là egli espone la questione delle cause e del loro numero e

stabilisce l'esistenza della causa efficiente; spiega inoltre la questione di ciò che genera e di ciò che muove, e

spiega che è distinto da ciò che è generato e mosso, cosi come Platone spiega, nel suo libro intitolato Timeo,

che tutto ciò che viene ad essere procede necessariamente da una causa generatrice, e che il generato non

può mai essere la causa del suo venire all'essere. Aristotele ha ugualmente mostrato nella Teologia che in

ogni molteplicità c'è l'unità, perché ogni molteplicità in cui non c'è l'unità è assolutamente senza fine: di ciò

egli fornisce prove evidenti, come quando dice che ogni parte di una cosa molteplice è o uno o non è affatto

uno: se non è uno, deve o essere molti, o essere nulla; ora, se non è nulla, segue che nessuna molteplicità è

composta; ma se è molteplice, che differenza c'è tra essa e la molteplicità? Ne seguirebbe che ci sarebbe un

infinito maggiore di un altro infinito. Poi egli mostra che in questo mondo tutto ciò in cui c'è l'unità è uno e

anche non-uno sotto qualche aspetto. Se non è affatto l'uno in verità, ma l'uno esiste in lui, allora l'uno è

altro da lui e lui è altro dall'uno. Mostra in seguito che è l'Uno Vero che fornisce l'unità degli altri esseri.

Mostra in seguito che il molteplice viene dopo l'uno senza dubbio e che l'unità viene prima della

molteplicità. Mostra infine che ogni molteplicità vicina all'Uno Vero è meno molteplice di quella più lontana,

e viceversa.

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20. Avicenna, Libro della guarigione

[a] Il nostro scopo in questo libro [...] è depositare in esso la quintessenza di ciò che abbiamo

accertato essere vero a proposito dei principi fondamentali delle scienze filosofiche degli antichi, basate

sull'indagine razionale ordinata e sottoposta a verifica, e [a proposito] dei principi fondamentali scoperti

grazie a quegli atti di comprensione che cooperano a cogliere il vero che è stato perseguito per molto

tempo, finché da ultimo esso si erge su un insieme [di nozioni] nelle quali la maggior parte delle opinioni si

trova d'accordo e con le quali vengono rimosse le barriere delle inclinazioni settarie.

[b] Ho cercato di depositare in esso la maggior parte della disciplina [filosofica], di indicare ovunque

il luogo in cui le difficoltà si presentano e di risolverle manifestando il più possibile la verità. [Ho cercato

anche] di esporre i corollari assieme ai principi fondamentali, a eccezione di ciò che credo possa risultare

chiaro [di per sé] a chi osserva attentamente ciò che ho mostrato e accerta essere vero [per conto proprio]

ciò che ho descritto, o di ciò che è sfuggito alla mia memoria e non è occorso al mio pensiero.

[c] Mi sono sforzato molto di essere conciso nel parlare e di evitare in ogni modo di ripetermi, se non

per errore o inavvertenza. Ho cercato di non dilungarmi a confutare dottrine la cui falsità è evidente o che

risultano sufficientemente trattate grazie ai principi fondamentali che ho stabilito e ai criteri che ho

determinato.

[d]

[d1] Nei libri degli antichi non vi è niente di importante che questo nostro libro non includa. Se ciò

non si trova nel luogo in cui abitualmente viene trattato, si trova in un altro luogo che ho ritenuto più

opportuno.

[d2] A ciò ho aggiunto cose che ho colto col mio proprio pensiero e a cui sono pervenuto con la mia

propria indagine razionale, specialmente nella scienza della natura e [nella scienza di] ciò che viene dopo la

natura [= la metafisica], e anche in logica.

[d3] È invalsa l'abitudine di prolungare i principi della logica con cose che non appartengono alla

logica, ma solo alla disciplina della sapienza, cioè alla filosofia prima [= la metafisica]. Ho evitato di esporre

alcunché di [tutto] ciò e di perdere tempo in questo [in logica], ed ho posposto la trattazione di questo tema

nel suo luogo [appropriato].