Prolegomeni a una lettura della «Nave». Una collaborazione tra d’Annunzio, Montemezzi e Tito...

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ESTRATTO da CHIGIANA. VOL. XLVII D'ANNUNZIO, MUSICO IMAGINIFICO ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI (SIENA, 14-16 LUGLIO 2005) A CURA DI ADRIANA GUARNIERI, FIAMMA NICOLODI, CESARE ORSELLI Leo S. Olschki Editore Firenze 2008 RAFFAELE MELLACE PROLEGOMENI A UNA LETTURA DELLA «NAVE» UNA COLLABORAZIONE TRA D’ANNUNZIO, MONTEMEZZI E TITO RICORDI

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ESTRATTOda

CHIGIANA. VOL. XLVIID'ANNUNZIO, MUSICO IMAGINIFICO

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI (SIENA, 14-16 LUGLIO

2005)A CURA DI ADRIANA GUARNIERI, FIAMMA NICOLODI, CESARE ORSELLI

Leo S. Olschki EditoreFirenze

2008

RAFFAELE MELLACE

PROLEGOMENI A UNA LETTURA DELLA «NAVE»UNA COLLABORAZIONE TRA D’ANNUNZIO,

MONTEMEZZI E TITO RICORDI

CHIGIANAVOL. XLVII

D’ANNUNZIOMUSICO IMAGINIFICO

Atti del Convegno internazionale di studiSiena, 14-16 luglio 2005

a cura di

ADRIANA GUARNIERI – FIAMMA NICOLODI – CESARE ORSELLI

FirenzeLeo S. Olschki

2008

D’ANNUNZIO MUSICO IMAGINIFICO

Atti del Convegno internazionale di studiSiena, 14-16 luglio 2005

Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI

Viuzzo del Pozzetto, 8

50126 Firenzewww.olschki.it

ISBN 978 88 222 5771 0

RAFFAELE MELLACE

PROLEGOMENI A UNA LETTURA DELLA NAVE.

UNA COLLABORAZIONE TRA D’ANNUNZIO,

MONTEMEZZI E TITO RICORDI*

Sopravvissuta unicamente alla stregua di citazione fugace nelle liste dicomposizioni dannunziane, La nave di Italo Montemezzi rischia la liquidazio-ne quale esperimento fallito nel commercio tra il Vate e i musicisti. Certo, nonhanno giovato giudizi tranchants come quello espresso da Giannotto Bastia-nelli nel postumo Il nuovo dio della musica, secondo il quale «Per la Navenon resta che il libretto-poema; la musica e un sapiente e pesante ragu fattoda un cuoco a corto d’argomenti».1 Una condanna tanto recisa non rende giu-stizia a un progetto meditato e tenacemente perseguito, che porto alla realiz-zazione totalmente musicata di quella «tragedia adriaca»2 per la quale Pizzetti

* Dedico questo saggio alla memoria di Francesco Degrada.1 GIANNOTTO BASTIANELLI, Il nuovo dio della musica, a cura di Marcello De Angelis, Torino,

Einaudi, 1978 («Einaudi Letteratura», 56), p. 163. Una simile stroncatura e coerente con la recen-sione dell’allestimento scaligero della Nave, intitolata Opere nuove e musica vecchia, che Bastianellipubblico sulle colonne della «Nazione» il 23 dicembre 1918. Pur riconoscendo in Montemezzi«un cercatore di vie proprie sulle travi gia cosı logore del palcoscenico musicale italiano», non man-cava di osservarvi che La Nave «non mi ha dato quella formula nuova che da tanto tempo dai mu-sicisti italiani – ormai scontenti delle formule provinciali (ma quanto ancora qua e la sinceramentenazionali) dell’opera mascagnana e pucciniana – si va ansiosamente cercando. [...] Si tratta sempredell’ormai rancido atteggiamento di derivanza wagneriano-romantico-tedesca, anche se come nelMontemezzi, l’atteggiamento si sia svolto, magari per opera personale e indipendente dall’autore,cioe senza la sua volonta di coincidere colle ultime conseguenze di quell’atteggiamento raggiante del-lo Strauss. Chi udendo le tortuosita sadiche della musica del secondo atto della Nave – il piu belloforse a mio parere di tutt’e tre – non ricorda il secondo tempo dello Heldenleben di Strauss? Ed ecurioso notare come la poesia di D’Annunzio non disdegni questa riminiscenza. Del resto Strauss eD’Annunzio non hanno forse la stessa base nietzschiana alle fondamenta della loro morale erotica?»(ivi, p. 211 sg.).

2 Cosı d’Annunzio nell’explicit della tragedia («Explicit tragoedia adriaca», p. 210), nonche, initaliano, nel Secondo amante di Lucrezia Buti («Da alcune settimane ho compiuta una tragedia adriacaintitolata La Nave», in GABRIELE D’ANNUNZIO, Prose di ricerca, di lotta, di comando [...], II, Milano,Mondadori, 1950 («I classici contemporanei italiani. Tutte le opere di Gabriele d’Annunzio»),p. 395).

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aveva composto, dieci anni prima, in vista della premiere del dramma, le mu-siche di scena.3 Il presente contributo si ripropone di offrire un primo ap-proccio alla Nave di Montemezzi, in merito in particolare a tre ambiti speci-fici: la genesi dell’opera, indagata innanzitutto alla luce della corrispondenzainedita tra il compositore e Casa Ricordi; la relazione tra il dramma dannun-ziano e il libretto ricavatone da Tito Ricordi; l’intonazione musicale, testimo-niata dall’imponente partitura autografa, anch’essa inedita.4

1. HORS-D’ŒUVRE IDEOLOGICO

L’operazione orchestrata da Tito Ricordi per ridurre la tragedia dannun-ziana (stesa tra il 1904 e il 1907, e andata in scena al Teatro Argentina di Ro-ma l’11 gennaio 1908)5 a opera lirica nasce sulla scia della Francesca da Riminidi Zandonai, rappresentata al Teatro Regio di Torino il 19 febbraio 1914. Av-viato alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia e realizzato nel corso del con-

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3 Per questa partitura si rimanda a CESARE ORSELLI, Primo incontro di Pizzetti con l’estetismodannunziano: le musiche per «La Nave», «Chigiana», XXXVII, n.s. 17, 1980, pp. 52-62; poi «Civiltamusicale», II, 3, 1988, pp. 72-82.

4 Sono custoditi presso l’Archivio Ricordi la monumentale partitura autografa in quattro volumi(segnatura 4.K.4/1-4), la riduzione di Giuseppe Ramella per canto e pianoforte (Milano, Ricordi,1919: 5.U.4/10), i bozzetti e i figurini dell’attrezzeria e dei costumi per la prima scaligera (rispettiva-mente C.2.1.15.0.01-04, A.2.1.22.a.01-40 e A.2.1.22.0.01-93), sessanta lettere autografe di Montemez-zi (P.IV.5/3b.31-60 e P.IV.5/3c.61-90), nonche le missive indirizzate a quest’ultimo e a d’Annunzioda Casa Ricordi (in particolare quelle contenute nei Copialettere 1914-15 e 1917-18). Nelle pagineche seguono si chiamera semplicemente ‘‘libretto’’ la seguente edizione: La nave. Tragedia in un pro-logo e tre episodi di Gabriele d’Annunzio ridotta da Tito Ricordi per la musica di Italo Montemezzi,Milano, Ricordi, 1918. Con ‘‘tragedia’’ s’intendera il dramma dannunziano cosı com’e pubblicato nel-l’edizione integrale delle opere del poeta, posta sotto gli auspici della Fondazione Il Vittoriale degliItaliani (D’ANNUNZIO, Tragedie, sogni e misteri, II, Milano, Mondadori, 19667, pp. 1-210). Desideroesprimere sincera riconoscenza per la competenza e la cortesia con la quale la presente ricerca e statacoadiuvata dall’Archivio Ricordi, nella persona della signora Maria Pia Ferraris. Un ringraziamentoanche a Gabriele Dotto per l’ausilio nella decifrazione dell’epistolario di Montemezzi.

5 La genesi della Nave, cosı come la fitta selva di fonti storico-letterarie cui il dramma dannun-ziano e debitore, viene ricostruita puntualmente in MILVA MARIA CAPPELLINI, Per un’edizione com-mentata della «Nave» di Gabriele d’Annunzio, tesi di dott., Universita di Genova, XVIII ciclo, a.a.2005-2006. Ringrazio l’autrice e Alberto Beniscelli per avermi permesso di consultare il lavoro all’in-domani della sua discussione. D’Annunzio inizio a raccogliere materiali per la composizione dellatragedia nel 1904; la stesura fu compiuta nell’ottobre 1907 e il varo scenico avvenne, ad opera dellaCompagnia stabile del Teatro Argentina, l’11 gennaio 1908 (nel cast Ferruccio Garavaglia, EvelinaPaoli, Ciro Galvani, Alfonsina Pieri; scene, costumi e oggetti di scena di Duilio Cambelotti; musichedi Pizzetti). Quello stesso anno la tragedia fu portata in tournee dallo Stabile di Roma a Venezia (Tea-tro La Fenice), Firenze (Pergola) e Genova (Carlo Felice). Sub voce D’Annunzio, in Enciclopedia dellospettacolo, Roma, Le maschere, IV, 1957, coll. 95-114; alle coll. 109-110 e riprodotto un fotogrammadel film La nave di Gabriellino d’Annunzio (1920), con Ida Rubinstein nei panni di Basiliola e MaryCleo Tarlarini in quelli di Ema.

flitto, il progetto fu da quest’ultimo fortemente condizionato in ogni sua fase,fino all’involontario, fatidico sigillo posto dalla concomitanza tra la prima del-l’opera al Teatro alla Scala, il 3 novembre 1918,6 e la vittoria, annunciata pro-prio da Tito in sala durante la rappresentazione, nel tripudio patriottico delpubblico.

Ma torniamo ai primi passi di questa vicenda. Reduce dalla Francesca daRimini, Tito Ricordi decide di sposare al verbo eloquentissimo del Coman-dante un altro cavallo di razza della propria scuderia, quel Montemezzi cheil 10 aprile 1913 aveva portato sulle scene scaligere L’amore dei tre re, gia ap-prodato con successo al Metropolitan il 2 gennaio seguente sotto la direzionedi Toscanini. Informato dell’intenzione di Tito, benche poco convinto dall’e-sito della Francesca, il 14 aprile 1915 d’Annunzio da il proprio assenso allaproposta. L’editore ne e felice:

Merci cher Gabriel pour ta decision dont tu n’auras pas a te repentir. Je t’em-brasse d’un cœur exultant et fraternel – Tito Ricordi7

Esattamente una settimana piu tardi, il 21 aprile, invia al poeta la riduzio-ne della tragedia, accompagnandola col seguente commento:

[...] prima di tutto ti voglio dire quanto io sia lieto che tu abbia accettato la col-laborazione del Montemezzi: ho grande fiducia in questo maestro e vedrai che anche

questa volta – il mio fiuto di cane da tartufi non mi tradira.8

L’opera entra dunque nella fase operativa. Registrato in capo a due anni, il 13luglio 1917, il contratto con Montemezzi,9 il 15 dicembre successivo il com-

6 Si trattera dell’ultima creation di un’opera tratta dalla produzione del Vate vivente d’Annun-zio; lo nota OLAF ROTH, Die Opernlibretti nach Dramen Gabriele d’Annunzios, Frankfurt a.M., Lang,1999 («Europaische Hochschulschriften», 32), p. 142. L’opera ando in scena diretta da Tullio Sera-fin (ex compagno di corso di Montemezzi al Conservatorio), che volle fortemente la rappresentazio-ne della Nave, interpretata nelle parti principali da Elena Rakowska Serafin (Basiliola), Edoardo DiGiovanni (Marco Gratico), Francesco Cigada (Sergio Gratico), Giulio Cirino (Orso Faledro). CosıNavarra sintetizzava l’esito della prima sul «Corriere di Milano»: «Il successo invece fu assai buonoma calmo; esplicato la prima sera in numerose chiamate ai meravigliosi interpreti, tale si mantenneanche alle repliche successive, a cui pote intervenire – lungamente acclamato – l’autore dianzi trat-tenuto al letto da un’indisposizione» (UGO NAVARRA, Noterelle critiche sulla tragedia lirica di GabrieleD’Annunzio «La Nave» ridotta da Tito Ricordi per la musica di Italo Montemezzi, Milano, Estratto dal«Corriere di Milano», 1918, p. 13). L’opera resto in cartellone per dieci recite.

7 Copialettere 1914-15, XII, 230.8 Copialettere 1914-15, XII, 361-362. La lettera e stata pubblicata in EMILIO MARIANO, Gabriele

D’Annunzio, Riccardo Zandonai, «Francesca da Rimini», Trento, Societa di studi trentini di scienzestoriche, 1988, pp. 167-168.

9 Copialettere 1917-18, I, 120.

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positore ha ultimato il Primo Episodio;10 il 13 aprile 1918 Tito segnala aMontemezzi la possibilita di una rappresentazione scaligera per l’autunno, sol-lecitandolo a inviargli i due episodi che sa gia ultimati, unitamente allo «schiz-zo» degli altri due, onde preparare le parti e la riduzione per canto e piano-forte; 11 il 18 dello stesso mese Montemezzi annuncia trionfale dalla natiaVigasio: «Io tengo due atti pronti: il 1º e il 2º episodio»;12 il 29 maggio ha«quasi approntato anche l’ultimo atto; e questione di pochi giorni»;13 il 31a Casa Ricordi hanno ricevuto la partitura di Primo e Secondo Episodio;14

due settimane piu tardi Montemezzi appone, in calce al Terzo Episodio, l’an-notazione «Fine della Nave. Vigasio 13 giugno 1918».15 A quattro giorni didistanza Clausetti annuncia che alla Scala

hanno accolto con grande fervore la proposta di rappresentare la ‘‘Nave’’. Giorni faquei Signori furono qui accompagnati da Serafin, che sarebbe il direttore, e si ebbeuna conferenza col Signor Tito, nella quale si discusse il progetto dal punto di vistaepoca, artisti, ecc. Le disposizioni per la messa in scena sono state gia date. I fascicolidi partitura inviatici sono gia in copiatura e man mano che sono pronti se ne sta fa-cendo la riduzione per canto e piano. Come vedete, noi lavoriamo a tutt’uomo per larealizzazione del progetto. Superfluo dirvi che una delle condizioni importantissimeper raggiungere lo scopo e di essere in possesso delle ultime pagine di partitura alpiu presto possibile: ma l’agosto sarebbe troppo tardi.16

Se nel frattempo il compositore – il 19 giugno, ancora all’oscuro della missivada Casa Ricordi – aveva promesso di terminare «l’ultima battuta» «entro l’esta-

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10 L’ultima pagina della partitura autografa del Primo Episodio riporta l’annotazione «Verona15 dicembre 1917».

11 «Dunque... dunque si potrebbe dare anche la ‘‘Nave’’, senz’aspettare la fine della guerra, pri-ma di tutto: se pel mese di luglio al piu tardi lei avesse finita la partitura – poi se fosse possibile met-tere assieme un’orchestra e un coro degno del lavoro e dell’avvenimento – infine se si trovano gliesecutori maschi e femmine, specialmente i primi che diventano ogni giorno piu rari e preziosi.La copisteria, alla fine del mese corrente, puo benissimo occuparsi del lavoro di preparazione delmateriale. Mandi dunque i primi due episodi e ci metteremo subito le mani per copiare la partitura,cavare le parti e fare la riduzione per pianoforte e canto. Una sua visita a Milano sarebbe graditissi-ma. La partitura viaggerebbe piu sicura e avremmo modo di parlare meglio e piu a lungo della di leiidea per la riproduzione scaligera – bisognera pensare anche al materiale di messa in scena, costumi escenari. Se venisse a Milano porti con se, oltre alla partitura dei due primi episodi, anche lo schizzo(sta bene la parola?) degli altri due che rivedrei assai volentieri» (TITO RICORDI, lettera a Italo Mon-temezzi, 13 luglio 1918, Copialettere 1917-18, VII, 437-438).

12 ITALO MONTEMEZZI, lettera a Tito Ricordi, 18 aprile 1918 (P. IV. 5/3 c – 82).13 ID., lettera a Carlo Clausetti, 29 maggio 1918 (P. IV. 5/3 c – 82 bis).14 CARLO CLAUSETTI, lettera a Italo Montemezzi, 31 maggio 1918 (Copialettere 1917-18, VIII,

456).15 A p. 137, l’ultima della partitura.16 CLAUSETTI, lettera a Italo Montemezzi, 17 giugno 1918 (Copialettere 1917-18, VIII, 216-217).

te o per precisare meglio entro l’agosto ed occorrendo anche prima»,17 incal-zato dalla ghiotta occasione erompe da Verona, nella notte del 27 luglio, colfatidico «Ho finito!», esplicitando senza pudori tutto il suo «contento per averfinalmente portato in porto la mia Nave con un coraggio non comune».18

Fin qui, in sintesi, la cronaca della genesi della Nave: un percorso che sug-gerisce irresistibilmente, alla lettura dei documenti disponibili, l’impressionedi un’operazione condotta da compositore ed editore-librettista sotto l’impul-so di motivazioni, private e ideologiche, assai distanti tra loro, nel segno di unadialettica vivace di cui l’epistolario conserva tracce evidenti. Montemezzi emosso da una scoperta esaltazione patriottica, che gli fa pronunciare, il 23 giu-gno 1917, parole di questo tenore:

Il Varo e compiuto! Gli eroi che vanno alla redenzione del nostro Mare, portanola eco di un’esaltazione meravigliosa. Vanno sicuri, i forti, a segnare il dominio chespetta alla nostra grande speranza. ‘‘Il vento odora di fortuna’’. Io la sento. Il Canticoprofetico della nostra vittoria sul Mare Veneto, si propaghera per il mondo e porteraun segno della nostra nuova baldanza.19

E ancora, a d’Annunzio, il 9 ottobre:

Sono nella forma piu potente della mia espressione di arte, e in cio sono certo didire un’italiana parola che non ha precedenti. Iddio mi concede il bene di dare allamia patria, in tempo utile, un contributo degno: un soffio nuovo, gagliardo, che ani-ma questa nuova razza; una forza che non desiste dal volere; una bellezza fatta piubella dall’amore che ci esalta, dalla volutta di dare.20

All’inizio del marzo successivo e chiara in lui la coscienza di lavorare a «un’o-pera di propaganda adriatica, che potra anche essere quasi un rito della patriavittoriosa se si rappresentera dopo la guerra».21

Affermazioni di questo tenore non sono tuttavia esenti da una componenterilevante d’interesse personale. Da un lato il lavoro alla partitura e legato allasperanza di ottenere l’esonero dal servizio militare, o perlomeno una licenzadi alcuni mesi che permetta a Montemezzi di dedicarsi liberamente al propriomestiere. Il 6 ottobre 1916 scrive in questi termini direttamente a d’Annunzio:

17 MONTEMEZZI, lettera a Carlo Clausetti, 19 giugno 1918 (P. IV. 5/3 c – 84).18 ID., lettera Carlo Clausetti del 27 luglio 1918 (P. IV. 5/3 c – 84 bis).19 ID., lettera a Tito Ricordi, 23 giugno 1917 (P. IV. 5/3 c – 65).20 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 9 ottobre 1917, pubb. in ADRIANO BASSI, Caro maestro

(D’Annunzio e i musicisti), Genova, De Ferrari, 1997, p. 103.21 ID., lettera a Tito Ricordi, 7 marzo 1918 (P. IV. 5/3 c – 81).

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Maestro, sono soldato e martedı mi si destinera il mio posto di scritturale. Mipiange il cuore per La Nave. Spero sempre che Ella possa ottenere il mio esonero[...].22

Nella primavera successiva, grazie anche alle pressioni del Vate, il compositore e«finalmente libero. Non del tutto, ma tanto da mettermi in pace e riprendere ilmio lavoro».23 E tuttavia, ancora nell’estate, allo scadere della licenza cui si riferivala lettera ora citata, rappresenta a d’Annunzio una rinnovata, pressante esigenza:

Volevo dirle che l’ultimo episodio de La Nave e finito. [...] M’attende un lavoroimportante di strumentazione per il quale gran tempo mi abbisogna. Nella possibilitadi ottenerlo consiste il favore che io Le domando, pregandola di perdonarmi se abusodella di Lei bonta. Un nuovo di Lei diretto intervento presso il Colonnello Orlandi,direttore dell’Ospedale Militare di Verona, avrebbe per certo risultato una licenza inmio favore piu lunga di quella di cui io ho gia usufruito che fu di tre mesi, qualorapero il colonnello fosse messo da Lei a conoscenza del piu lungo periodo di tempoche mi occorre per mandare a compimento il mio lavoro.24

Ancora a meta agosto Montemezzi esercita pressioni su d’Annunzio, annun-ciando la conclusione dell’orchestrazione entro la fine dell’inverno («Calcolodi finire completamente al mese di febbraio od al massimo col 15 marzo»); alcontempo si premura di prospettare al Vate l’opportunita «di chiedere un pe-riodo maggiore [di licenza], [...] per accudire a quella eventuale preparazionedelle recite di primavera di cui Le ho parlato e per la cui possibilita nutro tuttala fiducia se Toscanini rimarra tra noi».25 Interpella nuovamente il poeta il 10settembre,26 e ancora, diffusamente, il 9 ottobre, spingendosi ben al di la dellegia avanzate richieste di licenza:

Maestro mio, io La prego con tutta la mia forza di dirmi se posso avere quell’e-sonero che Ella m’aveva lasciato sperare. [...] La prego di un altro favore: scrivere alGenerale Bompiani e ottenere da lui la mia completa liberta, non gia in forma di eso-nero [...], ma col dispensarmi dall’ufficio.27

Ben oltre la contingenza bellica, la promozione del futuro scenico dellaNave divento, a varo avvenuto, l’esigenza piu impellente della carriera del

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22 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 6 ottobre 1916, in BASSI, Caro maestro, cit., p. 97.23 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 14 aprile 1917, ivi, p. 98.24 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 8 luglio 1917, ivi, p. 99 sg.25 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 13 agosto 1917, ivi, p. 102.26 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 10 settembre 1917, ibid.27 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 9 ottobre 1917, ivi, p. 103.

compositore. La commistione inscindibile fra sentimento patriottico e volontadi affermazione personale e palese in una lettera del 18 aprile 1918:

Noi trasformeremo la nostra opera di propaganda in una celebrazione rituale perla Patria vittoriosa. Il terreno sara gia preparato. E non e a dire che il teatro non possarispondere. Ho visto a Roma, al Costanzi; teatri esauriti; bastava un po’ di richiamo diqualche buon esecutore. Gente ve n’e molta dappertutto e non e punto alliena [sic]dal ritrarsi talvolta dall’incubo della guerra. E ben maggiore attrattiva avra il nostrolavoro e minor scrupolo per il pubblico, che assistera ad un’opera pervasa di deside-rio di rivendicazioni nazionali.28

Montemezzi prende cosı a preoccuparsi ossessivamente della tutela della parti-tura rispetto a occhi indiscreti,29 desidera fortemente un allestimento romano,che rivestirebbe «uno speciale significato»,30 fatica a dissimulare l’inquietudineper l’esigenza irrinunciabile di «una grande occasione» per la prima della Na-ve,31 giudica un vero e proprio «affronto» la preferenza accordata dal TeatroFilarmonico di Verona alla Francesca di Zandonai a scapito della Nave,32 cercadi coinvolgere d’Annunzio nel progetto di una «grande rappresentazione» ve-neziana, una «grandiosa manifestazione italiana»,33 incassa il naufragio dei pro-gettati allestimenti di Venezia e Trieste senza darsi tuttavia per vinto,34 s’illudeancora, anni dopo, di poter sbarcare in Laguna35 e nella Capitale,36 accusa l’a-

28 ID., lettera a Tito Ricordi, 18 aprile 1918 (P. IV. 5/3 c – 82).29 ID., lettera a Carlo Clausetti, 30 maggio 1918 (P. IV. 5/3 c – 82 ter) e, ancor piu, la lettera gia

citata del 27 luglio 1918, quasi dettata da uno stato di eccitazione febbrile: «Ed ora invochiamo l’Id-dio di misericordia che qualcuno non faccia pronostici sul valore della mia opera su la riduzione percanto e pianoforte!!! Percio ci vuole molta discrezione. Fate che nessuno veda lo spartito eccetto idirettamente interessati. Su cio deve essere informato anche il riduttore Ramella».

30 ID., lettera a Tito Ricordi, 9 novembre 1916 (P. IV. 5/3 b – 55).31 ID., lettera a Carlo Clausetti, 19 giugno 1918 (P. IV. 5/3 c – 84).32 ID., lettera a Tito Ricordi, 26 gennaio 1919 (P. IV. 5/3 c – 88).33 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 2 febbraio 1919, in BASSI, Caro maestro, cit., p. 105: «Non

le nascondo che ho portate con me le bozze della Nave per non essere sprovvisto qualora Ella avessedesiderato sentire della musica».

34 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 29 febbraio 1919, ivi, p. 106: «Maestro dall’ing. Scandianiho appreso che il nostro progetto e tramontato [...]. Che peccato, era cosı bello! [...] Appunto inquesti giorni, che sto preparando qui a Roma l’Amore dei tre Re, pensavo quanto utile e opportunosarebbe stato portare il nostro grande spettacolo di Venezia e di Trieste, a Roma».

35 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, con post scriptum di Marussig, 19 ottobre 1922, ivi,p. 107: «Caro Maestro Vedo oggi il pittore Guido Marussig che, insieme all’architetto Duilio Torresdi Venezia, mi informa di una loro iniziativa per una eccezionale rappresentazione della Nave nien-temeno che in piazza S. Marco a Venezia. – Naturalmente senza di Lei non si fa nulla. Avremmobisogno percio di parlarle. – Vuole Ella avere la compiacenza di fissarci un appuntamento a Gardonepossibilmente nella prossima settimana?».

36 Dieci anni dopo la prima scrive cosı a d’Annunzio: «Maestro Avrei proprio bisogno di par-larle. Il soggetto sarebbe l’ingiustizia che si commette contro La Nave, senza alcuna ragione artistica,

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marezza del silenzio imposto alla sua Nave.37 Montemezzi vive insomma quasifosse un unico sentimento sincretico la felicita per il compimento dell’opera el’esaltazione patriottica di origine dannunziana:

Sono cosı contento di aver dato all’arte qualcosa di buono veramente, e di avereadempiuto ad un dovere verso la Patria! Ho scritto a D’Annunzio: ‘‘La prossima ap-parizione della Nave nel massimo teatro italiano, dira se io fui degno di vivere la gran-de ora che ci esalta. Questa fede e la mia felicita’’.38

Fiamma Nicolodi ha pubblicato un’ampia raccolta di missive indirizzate daMontemezzi al Duce: dieci anni di corrispondenza (1928-38), testimonianzadi una vera e propria ‘‘grafomania’’, in cui Montemezzi giungera a indicareil decennale dell’avvento del fascismo come occasione ideale per il ritornoin acqua della Nave, «equivocando evidentemente fra messaggio propagandi-stico e registro eticamente eversivo del poema».39

Tutt’altra musica sul fronte Ricordi. Per Tito La nave rappresenta innan-zitutto un progetto imprenditoriale accarezzato da lungo tempo. Il 21 aprile1915, ad appena una settimana dal consenso del Vate, l’editore e infatti giain grado di spedire a d’Annunzio la riduzione a libretto, concepita e abbozzataevidentemente da tempo, e ultimata probabilmente in fretta e furia per coglie-re l’occasione irrinunciabile:

Ed ora mi debbo fare piccino ed umile, debbo smettere il tono forte e altisonanteper confessarti, con non poca trepidazione, che lo scempio gia da me compiuto sulcorpo divinamente bello della tua Francesca ho osato ripetere intorno alla costruzionesalda e maestosa della tua nave – e che ho lavorato con l’accetta peggio che un bar-

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persistendo nel boicottarla e togliendo cosı l’opportunita di rivelarsi. – Il teatro adatto alla resurre-zione della Nave, dovrebbe essere l’opera Reale di Roma: la si dimostrera l’infamia commessa pertanti anni» (ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 25 marzo 1928, ivi, p. 108). Nuovamente, all’indo-mani di una visita al poeta: «Vuole Ella comandante avere la bonta di aiutarmi a far rappresentare LaNave al Teatro Reale dell’Opera a Roma nella prossima stagione invernale?» (ID., lettera a Gabrieled’Annunzio, 3 aprile 1928, ivi, p. 109).

37 Si legga questo passo dal tono drammatico, posteriore di un lustro alla lettera sopra citata:«Comandante Io non ho parole per esprimerle la mia gratitudine avendo saputo che Ella ebbe labonta di occuparsi della Nave. Ma, a quanto mi consta, non si vuole ancora riparare ad un’ingiustiziache da 12 anni mi toglie il respiro» (ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 20 agosto 1933, ivi, p. 110).

38 ID., lettera a Tito Ricordi, 4 agosto 1918 (P. IV. 5/3 c – 85).39 FIAMMA NICOLODI, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole, Discanto, 1984 («Con-

trappunti», 19), p. 279. L’importante documentazione e integrata dalle lettere di diversi funzionariinteressati da Mussolini o da membri del governo a favore di Montemezzi, per un totale di comples-sive ventidue missive (ivi, pp. 412-426). Nonostante l’interessamento del capo del governo, i maggio-ri teatri italiani si opposero strenuamente a qualsiasi prospettiva di allestimento della Nave, giudicatocostoso e rischioso. L’opera vide le scene nuovamente solo il 14 dicembre 1938 all’Opera di Roma,sotto la direzione di Serafin, in una serata commemorativa del Comandante, scomparso nove mesiprima. Pizzetti recensı lo spettacolo sulla «Tribuna» del giorno successivo. Si trattava del quarto al-lestimento della Nave dopo il debutto scaligero e le riprese di Chicago 1919 e Verona 1923.

baro, peggio che un Iconoclasta!! Io ti mando la riduzione da me fatta e ti posso direche, qualunque sia il giudizio che tu ne darai, l’ho eseguita con una febbre d’entusia-smo che non ebbi nemmeno per la Francesca. Da tempo io pensavo alla Nave comelibretto lirico, ma tutte le volte che mi accinsi al lavoro di riduzione fui sgomento dalledifficolta che mi si paravano innanzi e abbandonavo l’idea di venirne a capo. Ora, inquest’ora di cimento per la nostra patria, di tensione d’animi e di nervi tutti rivolti aoriente, di aspettativa pei nuovi destini d’Italia, l’entusiasmo mio ha forse supplito allamia pochezza... e ho tartassato la tua Nave grande!! Recito contrito il mea culpa, maattendo da te la remissione del mio peccato, anche se dovro soffrire da te delle peni-tenze amare.40

Agli occhi di Ricordi, il ruolo di Montemezzi sembrerebbe quasi secondario.Gia il 9 aprile l’editore si era affrettato a preavvisare il poeta in questi termini:

Infine ti faro osservare che il compositore che ti offro per la ‘‘Nave’’ non sara uninnovatore, non sara capace di risalire alle fonti pure della nostra antica musica (!!),41

ma scrivera della buona musica che piacera al pubblico – quod est in votis.42

E, sorprendentemente, Montemezzi neppure e stato messo al corrente dellaprestigiosa commissione che va concretizzandosi ancora all’altezza del 27 aprile,quando inviera a Casa Ricordi questo laconico messaggio dal suo eremo di Vi-gasio: «Prego comunicarmi la risposta di D’Annunzio appena l’avrete ricevu-ta».43 La grafica stessa del libretto sembra ridimensionare drasticamente l’ap-porto di Montemezzi, attribuendo la responsabilita principale dell’opera ad’Annunzio.44 Cosı la dicitura del frontespizio: «LA NAVE / TRAGEDIA IN UN

PROLOGO E TRE EPISODII / DI / GABRIELE d’ANNUNZIO / RIDOTTA DA / TI-TO RICORDI / PER LA MUSICA DI / ITALO MONTEMEZZI» (Tav. 1). D’altraparte, pero, ne Zandonai per la Francesca, ne lo stesso Montemezzi in occasionedella collaborazione col meno illustre Sem Benelli per L’amore dei tre re avevanomeritato diverso trattamento.

Il «buon affare» su cui Ricordi aveva intrattenuto il «carissimo Gabriele»nella lettera del 9 aprile citata – «Carissimo Gabriele, io spero ed auguro chetu vorrai ancora affidare un tuo lavoro alla mia Casa ed a me. Vedrai che fa-remo un buon affare tutti e due» – viene dunque a configurarsi innanzitutto

40 RICORDI, lettera a Gabriele d’Annunzio, cit. (nota 8).41 Difficile non leggervi un’allusione (ironica) alla musica di Pizzetti.42 ID., lettera a Gabriele d’Annunzio, 9 aprile 1915 (Copialettere 1914-15, XII, 148). La lettera e

stata pubblicata in MARIANO, Gabriele D’Annunzio, Riccardo Zandonai, «Francesca da Rimini», cit.,pp. 165-166.

43 MONTEMEZZI, lettera alla Spett. Ditta G. Ricordi e C., 27 aprile 1915 (P. IV. 5/3 b – 38).44 Me lo fa notare Marco Beghelli, che ringrazio.

28

PROLEGOMENI A UNA LETTURA DELLA NAVE

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come un rapporto tra poeta ed editore/riduttore, funzionale in prima istanza aun successo commerciale: una dinamica all’interno della quale il compositoree le sue aspirazioni patriottiche, quel discutibile amalgama di ambizione arti-stica e sincero coinvolgimento nell’ora solenne della Nazione, ricoprono unruolo affatto secondario. Emblematica in questo senso la recisa sforbiciaturacon la quale Tito, forse non soltanto per economia scenica, fece piazza pulitadel proclama alla veneta liberta affidato dal Comandante a Marco Gratico, epronunciato da quest’ultimo tra l’esaltazione popolare nella grande scena co-rale che chiude il Prologo.45 Probabilmente Tito avra inteso smorzare il po-tenziale patriottico dell’opera, prevedendo forse l’entusiasmo del composito-re, al fine di rendere indipendente il lavoro dalla contingenza storica.46 Assaiemblematica in questo senso e la vicenda della dedica dello spartito, di cuiMontemezzi detto con sincero fervore ogni dettaglio in una lettera a CarloClausetti nel 1919:

Quando veniste a Vigasio vi avevo detto che la Nave portava una dedica. Nel tram-busto degli avvenimenti, ce ne siamo quasi dimenticati. E la dedica e importante nei ri-guardi del mio sentimento. La Nave fu composta nell’atmosfera della guerra, col mirag-gio della vittoria; e fu l’entusiasmo per la Patria che mi armo del coraggio necessario perpoter assumermi un compito cosı grande. E appunto alla Patria che la Nave e dedicata.Deve essere posta nella Ia pagina accanto alla fotografia. Deve occupare l’intera pagina. Icaratteri (possibilmente d’oro) devono essere ampi e grossi e con fregi. Deve essere unacosa artistica. Cosı:

ALLAMIA

PATRIAe nient’altro. Secondo me poi, nella pagina dopo la fotografia troverei opportunomettere: Rappresentata per la Ia volta alla Scala il giorno 3 novembre 1918. La datadella presa di Trieste e Trento lo merita. Comunicate cio, per favore, al Signor Tito.47

Fin qui l’auspicio del compositore. Cosa sia poi avvenuto nella realta,ognuno lo vede (Fig. 1). Della patria non e rimasta traccia alcuna.

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45 ‘‘No, non me sollevate sul timone / sconficcato dai cardini, non me: / la giovinezza vostrasenza giogo, / la liberta perpetua dei Veneti!’’, ecc. I trentatre versi, ricchi di riferimenti alla gloriadi Roma (non senza citare anche l’Isonzo), spesi dal Vate si riducono ad appena cinque, cioe a unriassuntino invero poco incisivo: ‘‘O marinai, e voi giovani e liberi! / All’entrata dei mari, in pienad’acque, / la giovinezza con la liberta / fa grido di baldanza. Iddio le disse: / ‘Arma la prora e salpaverso il Mondo’ ’’; laddove si notera la caduta di ogni riferimento geografico, ingrediente primariodell’orazione dannunziana (tragedia, p. 57 sgg., libretto p. 23).

46 Me lo suggerisce Adriana Guarnieri, che ringrazio.47 MONTEMEZZI, lettera a Carlo Clausetti, 29 gennaio 1919 (P. IV. 5/3 c – 90).

Fig. 1 – ITALO MONTEMEZZI, La nave, spartito, Milano, Ricordi, 1919. Frontespizio.

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2. HORS-D’ŒUVRE DRAMMATURGICO

Tralasciando di necessita qualsiasi considerazione sul dramma dannunzia-no,48 ci si limitera in questa sede a valutare l’entita e il significato dell’opera-zione di riduzione librettistica. Un’operazione condotta a piu livelli, la cuiresponsabilita spetta naturalmente a Tito Ricordi, sebbene non manchinosporadici interventi operati da Montemezzi stesso; interventi che vanno dall’e-lisione di alcune battute di un coro dei Compagni navali nel Prologo (il com-positore taglia meta dei quattro versi originari)49 alle modifiche del concitatofinale dell’opera, in cui Montemezzi amplia il ruolo solistico di Marco Grati-co50 e riscrive in parte le didascalie, con un occhio alla tragedia dannunzia-na.51 Le intromissioni del compositore nell’ordito del libretto destarononon poco disappunto presso Casa Ricordi. Nell’estate del ’18 la questione ave-va raggiunto un livello di tensione tale che Montemezzi reputo opportuno raf-freddare gli animi quanto prima, senza tuttavia rinunciare all’orgogliosa riven-dicazione della propria liberta artistica, in una lunga, accorata lettera scrittadirettamente a Tito Ricordi il 4 agosto da Verona:

Carissimo ed illustre Commendatore. L’amico Clausetti m’ha detto tutto! Ella etremendamente irritato contro di me! Ed io, come risposta, sento di doverle direche... non lo sono punto verso di Lei!... E cosı. Mi trovo in uno stato di tale serenita

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48 Si rimanda in proposito a PAOLO PUPPA, D’Annunzio: teatro e mito, «Quaderni del Vittoria-le», 36, 1982, pp. 124-147, e a CAPPELLINI, Per un’edizione commentata della «Nave», cit.

49 Libretto, p. 19, partitura e spartito n. 43 sg.50 Vi aggiunge la battuta, pronunciata dall’alto della Nave: ‘‘Noi saremo i messi che non torna-

no, i precursori che non tornano [...]’’ (Terzo Episodio, n. 34; nello spartito e caduta la didascalia).La battuta e ripresa da un’allocuzione pronunciata dal medesimo personaggio alcune pagine prima:libretto, p. 78.

51 La partitura riporta una versione divergente delle didascalie, piu attenta al dettaglio descrit-tivo rispetto a quella accolta dal libretto e talora anche rispetto a quella dello spartito. In particolareviene rimaneggiata la penultima didascalia dell’opera, a p. 82 del libretto. Nella versione della parti-tura (divergente dallo spartito) I socii navali si avanzano sollevando e congiungendo i grandi clipei qua-drilunghi: Vi prende posto la Faledra che vien portata verso la Nave dalla parte di prua. La seguonoGratico, i rematori e i prescelti che prenderanno posto nella Nave; mentre il Popolo canta l’Alleluia(Terzo Episodio, n. 31). La didascalia viene completata, soltanto dopo diverse pagine d’interventodelle masse corali insieme a Marco Gratico, in questi termini (da questo punto partitura e spartitotornano a coincidere): Nel silenzio trepidante cadono gli ultimi puntelli. Con la mano, col braccio, conla spalla e col cuore gli uomini lanciano in acqua la Nave che sul pendio cigola e fuma. Dall’una banda edall’altra fuor dei portelli gli ordini dei lunghi remi sono sollevati all’in su, pari a due ali irte, pronti adar la buona arrancata come la carena scivoli di la dallo scalandrone. La prima possa del sole, diroccandoe affocando laggiu le torri marine, giunge a percuotere le mura della Basilica, i tetti dell’arsenale, le gentidell’Arengo (Terzo Episodio, n. 36). Infine, rispetto alla chiusura del sipario la partitura precisa: Ilvelario, rapido, dovra essere completamente chiuso alla fine del crescendo, quando cioe la Nave saraal limite massimo della sua discesa (partitura, ivi).

e di tale fede e anche di felicita, che nemmeno la espressione secondo cui io avrei

mancato di rispetto al poeta e al riduttore, mi puo arrivare. [...]. D’altronde mi sono

spiegato perfettamente il Suo disappunto. Ma chi ha mai pensato di darle la tremen-

da seccatura di coordinare in endecasillabi, ad esempio, tutte quelle invettive tra Ze-

latori e Convivi, dei Prigionieri frasi di esaltazione del popolo, o qualche verso che

per necessita musicali ho dovuto togliere od aggiungere? Io no certo. Questa noia

toccava a me e me l’ho serbata per subito dopo aver compiuto la strumentazione del-

l’opera per potergliela inviare, appunto come ho fatto, con gli ultimi fogli della par-

titura. La mia composizione corrisponde quasi perfettamente al libro inviatole. Dico

‘‘quasi’’, ma solo in rarissimi momenti non e precisa. Ma non mi si puo percio fare

un appunto ne di poco rispetto, ne di poca agilita d’intellettuale. Troverei piuttosto

pedante e poco utile sacrificare talvolta (raramente si capisce) la musica alla metrica,

perche nessun orecchio di poeta sa distinguerla nel teatro di musica e nessuna pe-

danteria di critico si prenderebbe la briga di andarne in traccia in uno spartito.

Nel libretto no. Chi legge il libretto deve rilevare l’esattezza, l’armonia, il merito in-

somma di chi l’ha costruito. E percio che io sottopongo a Lei quelle cose che io ho

aggiunte per necessita musicali (che in rapporto al lavoro sono ben poche) e coordi-

nate, affinche Ella con la Sua perizia intervenga laddove qualche accento, qualche

cosa di zoppicante, se c’e, sia raddrizzato. Ma il mio spartito deve rimanere inalte-

rato. Fu costruito e vagliato con straordinaria passione ed ho piena fede che sia ope-

ra degna. Se qualche didascalia fu, nella partitura, spostata c’e sempre la sua ragione.

Prego indagare nello spartito e cio verra chiarito. Clausetti mi parlo di parole aggiun-

te che non si trovano nella tragedia. Non una ve n’e. Mi parlo dell’assenza delle don-

ne nella compagnia dei Convivi dell’Agape. Cio non fu fatto a caso. 1º Non sono in

carattere nelle espressioni di lussuria verso Basiliola; 2º sono inutili nelle invettive

contro i Zelatori; 3º mi fanno buon giuoco nel coro interno; 4º le ho serbate per

il grande effetto alla fine del pezzo, che giunte in scena tutte gridano: Vince la Fede!

Mi parlo del duello. Fu sempre l’oggetto delle mie indagini questa scena. Non l’ho

mai abbandonata nel mio pensiero e nemmeno ora. Ho promesso a Clausetti che

avrei ritentato un’ultima volta; sara veramente l’ultima. Prego guardare l’ultima dida-

scalia che ho aggiunto alla fine del 3º episodio quando portano Basiliola sulla Nave;

sempre in rapporto al momento musicale grandioso e solenne e anche alla posizione

della Nave messa a pendio da poppa a prua. Trovera una magnifica nuova chiusa alla

fine del Prologo. [...] Mi auguro e Le auguro che questi miei alcuni chiarimenti e

sopra tutto la visione del libro speditole, arrechi del rispetto che io tengo ad avere

avuto del poema e del mio collaboratore; che cio rischiari quell’atmosfera piena d’e-

lettricita che si era erroneamente addensata laddove calma e serenita di spirito deb-

bono essere i fari che guidano al porto i Naviganti. Le mando il piu affettuoso dei

saluti e mi creda sempre il Suo aff.mo I. Montemezzi.52

52 MONTEMEZZI, lettera a Tito Ricordi, 4 agosto 1918 (P. IV. 5/3 c – 85).

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La riduzione realizzata da Tito era peraltro piaciuta molto sin dall’inizio alcompositore, che il 21 ottobre 1916 si era espresso in termini entusiastici, pro-nosticando l’esito fausto dell’impresa:

Come vede, sono qui nel mio eremo [Vigasio] tutto raccolto intorno al 2º episo-dio. E splendido! Balza fuori qui il dramma stringato e d’una violenza straordinaria.Credo di non sbagliarmi pensando che verra fuori un atto che sara tra i piu belli.53

Se Ricordi si era autodenunciato al Vate presentandosi nelle vesti di fale-gname iconoclasta armato d’accetta, la riduzione librettistica configura piutto-sto un’operazione sofisticata, che chiama in causa abili ricomposizioni testuali,ricuciture ardite e non poca ingegnosita metrica.54 I tagli, massicci, coinvolgo-no apparentemente in modo omogeneo l’intera tragedia, ma in realta denun-ciano un senso preciso del processo sottrattivo. La generale, comprensibilissi-ma tendenza alla semplificazione del vasto testo drammatico non si risolve inun semplice accorciamento, nella reductio al sugo dell’azione, ma comportaimplicazioni assai piu rilevanti e ideologicamente connotate. Risultano indica-tivi delle linee guida dell’operato di Ricordi alcuni interventi di grande mo-mento:

a) La drastica scrematura, gia dalle primissime battute del dramma, deiriferimenti storico-politici che innervano il testo dannunziano. Il discorso vale,com’e gia emerso nel nostro primo hors-d’œuvre,55 per l’intera tragedia. Siconsideri a mo’ d’esempio la contrazione del dialogo d’apertura fra le mae-stranze che affollano febbrili il pubblico arengo. Nelle pagine soppresse cado-no gli interventi eruditi del Piloto Lucio Polo, nei quali balenavano le figure diBelisario, Giustiniano, Attila e con loro il riferimento ai popoli dei Franchi,dei Goti e dei Greci, cosı come quelli che coinvolgevano parte dell’idrografiaveneto-friulana, dall’Isonzo al Tagliamento, dall’Anfora al Livenza.56

b) Il sostanziale smantellamento – gia nel Prologo, ma soprattutto nel Pri-mo e nel Secondo Episodio – di quel sofisticato sistema di cori contrastanti cheesibiva con notevole evidenza scenica lo scontro ideologico tra cristianesimo epaganesimo. Se infatti viene soppresso, nel Prologo, il Coro dei Naumachi, lacui solenne intonazione dell’inno Ave, maris stella era repentinamente interrotta

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53 ID., lettera a Tito Ricordi, 21 ottobre 1916 (P. IV. 5/3 b – 53).54 Ricordi opta per il mantenimento rigoroso del metro dannunziano; ripristina di conseguenza

l’integrita dei versi troncati, ricorrendo di norma a emistichi appartenenti a versi successivi.55 Con la citata soppressione del proclama sulla ‘‘liberta perpetua dei Veneti’’ messo in bocca a

Marco Gratico: tragedia, p. 57 sg.56 Il dialogo in questione, fino all’uscita di Orso Faledro, occupa le pp. 6-22 della tragedia, ma

soltanto le pp. 8-12 del libretto.

dall’apparizione conturbante di Basiliola,57 il Primo e il Secondo Episodio ven-gono a subire la completa amputazione di una serie di sezioni corali. Cade nelPrimo Episodio il vario coro di fedeli (composto dall’intrecciarsi di canto virile,puerile e femminile) proveniente dalla Basilica, dal Catecumenio, dagli Oratorii, econ lui la contemporanea laude avversaria che le donne di Basiliola cantano forsenella loggia dipinta invocando la loro protettrice Diona. Nella tragedia l’episodiopolicorale s’inseriva in una trama sonora complessa che d’Annunzio aveva con-cepito, con evidente impegno, come una sinfonia in cui si armonizzano con ef-fetto feroce suoni di natura, canti sacri di diverso tenore e i lamenti dei prigio-nieri moribondi finiti dalle frecce della Faledra.58 A fronte della vocazioneeminentemente musicale del passo, retto da una rete di citazioni illustri dall’in-nologia medievale, cristiana (l’Ave, maris stella, coacervo a sua volta di una seriedi testi innodici mariani, l’antifona De Sancto Matteo e l’inno ambrosiano Insancti Iohannis evangelistae)59 e pagana (per la quale d’Annunzio s’ispiro al Per-vigilium Veneris),60 si dimostra ancor piu evidente la determinazione del librettonell’ignorare tali sollecitazioni arcaicizzanti a favore di un impianto melodram-matico moderno, completamente concentrato sui personaggi individuali. Analo-gamente nel Secondo Episodio viene meno quello scambio tra cori cristiani e pa-gani – la «folle gara», nelle parole del Vate – sul quale si apriva il sipario: ildialogo antifonale, essenziale sotto il profilo ideologico, tra il cantico pio prove-niente dall’interno della Basilica illuminata (‘‘Domine omnipotens / alme deus’’)e la laude avversaria che giunge di la dal portico settentrionale, di sotto ai cipressi

57 Tragedia, pp. 35-37. Questa la didascalia che introduce il coro: Viene per il vespero il corovittorioso che accompagna la traslazione navale.

58 Tragedia, p. 82 sg. Il passo, tagliato nel libretto, avrebbe dovuto trovare collocazione a p. 36.Questa la fondamentale didascalia, omessa da Ricordi, con cui d’Annunzio introduce l’inquietanteconcerto: Odesi rombare il nembo su l’Estuario, mentre le nuvole bevono l’acqua con le lunghe trombecorrendo verso i pini infoscati. Il cielo si fa basso; un odore algoso e resinoso ispessisce l’afa [...]. Nellepause che ciascun colpo fa tra i supplici, giungono dai canali lontani voci indistinte di naviganti che am-mainano sotto le prime raffiche, di portonari che annunziano il pericolo, di lanternari che fan per segnole fumate con la stipa umida; e su quel vociare marino si prolunga il gemito del caduto che la vita e lalussuria abbandonano. Giunge anche, nelle pause, lo strepito della crotola di faggio che chiama i Cri-stiani alla preghiera; fievoli giungono anche lembi di canti corali dalla Basilica, dal Catecumenio, dagliOratorii fatti d’uno steccato intorno all’arca del Martire protetta da una vela di nave a modo di tenda.Seguono di volta in volta un canto virile (‘‘Regnum tuum’’), uno puerile (l’inno ambrosiano ‘‘Hamumprofundo merserat’’) e uno femminile (l’ ‘‘Ave, maris stella’’). Ma per mezzo ai cori votivi s’insinua colvento discorde la laude avversaria che le donne di Basiliola cantano forse nella loggia dipinta d’oltrema-re e d’oro spremendo le radici per comporre i suoi profumi o traendo le sue vesti dai cofani di cipresso:‘‘Domine, es potens et almus’’ [...]. In un intervallo breve, posata la preghiera dei fedeli, rotto il gridodei supplici, il carme empio si afforza e prevale (tragedia, p. 82 sg.).

59 Di quest’ultimo viene intonata la terza strofa, ‘‘Hamum profundo merserat’’.60 Sulle fonti innodiche si rimanda a CAPPELLINI, Per un’edizione commentata della «Nave», cit.,

pp. XXVIII sg. e 55.

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coronati di stelle (‘‘Domine, es potens et almus / sed compta diva mire est. / Om-nes trahit Diona’’), ovvero il conflagrare tra il nome intemerato di Maria e quellotremendo di Diona.61 La completa soppressione di questo apparato costituisceun intervento che non e plausibile ricondurre a mere esigenze di praticita sceni-ca. Si tratta piuttosto, oltre che di una scelta estetica antiarcaicizzante e dunqueantipizzettiana (si tenga a mente l’allusione ironica alle «fonti pure della nostraantica musica»), di un deliberato depotenziamento del portato ideologico dellatragedia, di quella impostazione manichea che il conflitto tra cori incarnava, con-trapponendo l’elemento religioso cristiano e quello pagano barbarico. Unoscontro tra civilta che evidentemente Tito non giudico sufficientemente interes-sante per un palcoscenico lirico.

c) Terzo intervento capitale: la svalutazione di tutti i comprimari,62 conla conseguente promozione della coppia Basiliola-Marco Gratico (rispettiva-mente soprano e tenore) a unica protagonista dell’opera, con un peso scenicoe vocale che supera di molte lunghezze quello di tutti gli altri personaggi. L’o-perazione comporta un corollario di straordinario rilievo: a fronte del sostan-ziale mantenimento di un cast, seppur ridimensionato nel ruolo drammatico, adir poco pletorico e tutto al maschile, con una decisione d’autorita Tito elimi-na il secondo, imprescindibile personaggio femminile della tragedia dannun-ziana: la diaconessa Ema, madre dei Gratici.63 Le conseguenze della soppres-sione di Ema sono di grande portata: oltre a implicare il taglio di una serie didiverbi fondamentali, dal Prologo all’ultimo Episodio,64 comporta l’elimina-zione di ogni riferimento al matricidio sacrilego che incombe sui Gratici.65

La stessa perversa Basiliola, femme fatale come gia Fiora nell’Amore dei trere, «‘‘superfemmina’’ meta Salome meta Elettra, sfrenata nella vendetta cosıcome nella pubblicita di una danza di desiderio e follia»,66 perde il contrasto

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61 Tragedia, pp. 117-119.62 Esemplare in questo senso il Secondo Episodio.63 Per un’interpretazione scenica non troppo remota della parte di Ema ci si puo rifare a quella

offerta da Alida Valli nell’allestimento della tragedia curato da Aldo Trionfo e Franco Meroni, con laCompagnia OSI 85 (Venezia, Teatro Goldoni, 1988).

64 L’assenza della diaconessa si fa notare gia dall’uscita sulla scena di Orso Faledro, che in ori-gine veniva appunto accolto dalle violente invettive della donna (tragedia, pp. 24-26). I diverbi tra laDiaconessa e Basiliola si accampano poi con grande evidenza, nell’originale dannunziano, sia nel Pro-logo (pp. 45-47) sia nel Terzo Episodio (pp. 197-203).

65 Ugo Navarra, nel commento a caldo dello spettacolo scaligero, depreca opportunamente laperdita, nella riduzione librettistica, di «quella progressione logica dei vari fattori, che deve condurrepasso passo lo spettatore verso la catastrofe e che e la dinamica stessa dell’azione drammatica, non visi scorge se non a grandissime linee» (Noterelle critiche, cit., p. 4).

66 ADRIANA GUARNIERI CORAZZOL, Musicalita della parola e sublimazione della musica nella «Fe-dra» di d’Annunzio e Pizzetti, in I suoni della tragedia. Atti del XVI Seminario di studio della Fon-

di un’antagonista perfettamente antitetica, venendo a trovarsi in una situazio-ne drammatica di perfetta solitudine gia ben nota a Montemezzi, perche so-stanzialmente analoga a quella di Fiora, impegnata unicamente a fronteggiareesponenti dell’altro sesso.67

d) L’eclissi di Ema dall’orizzonte drammatico contribuisce alla trasfor-mazione della fisionomia della protagonista assoluta. Di Basiliola ci e preclusaquella conoscenza assicurata nella tragedia dai diverbi con personaggi di con-clamata statura morale, da Ema al monaco Traba. Se cadono gli scontri dellaFaledra con Ema, quello con l’eremita, nel Primo Episodio, e comunque ra-dicalmente prosciugato.68 Si tratta di un impoverimento di non poco conto,che ridimensiona la trama di sfaccettature e risonanze che caratterizzavanoil personaggio dannunziano, incidendo persino sulla complessita del rapportotra Basiliola e Marco Gratico. Inoltre l’importante riferimento alla follia delladonna, in tutta evidenza nella tragedia,69 e del tutto sottaciuto nel libretto. Esoprattutto viene mortificata la connotazione demoniaca della Faledra (si cen-sura ad esempio questo passo, aperto a inquietanti suggestioni metafisiche:MARCO GRATICO ‘‘Quando nascesti? Di che latte fosti / nutrita? Come sei sen-za una ruga / dopo la moltitudine dei tuoi / trapassi? Dimmi, ah dimmi il tuosegreto! / Perche le donne che ti sono serve / ti chiamano Diona quando can-tano / la tua grazia? Congiunta sei con gli idoli?’’ [...] BASILIOLA ‘‘Saprai, sa-prai quella che sono. Prima / che le stelle brillassero, era nato / il Dolore, e laNotte senza madre’’),70 per cui l’immoralita del personaggio risulta appiattitasu una generica ninfomania venata di sadismo. Tendenza che peraltro Tito sipremura di rendere piu accettabile a tutti i palati, epurando battute e didasca-lie dagli accenni piu arditi, tra cui spicca l’emendazione dell’intera, violentis-

dazione Levi (Venezia, 24-26 ottobre 1996), «Musica e Storia», VII, 1999, pp. 211-245; poi, come«Fedra»: la poesia, la musica, in EAD., Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Milano,Sansoni, 2000 («Saggi Sansoni»), pp. 243-283: 278.

67 Della conquista solitaria della ribalta da parte di Basiliola contro le intenzioni dannunziane sirendeva conto gia Navarra quando notava che «passano in modo preminente al primo piano del qua-dro i foschi amori e gli ardenti odii di Basiliola. Ma e intuitivo che nella mente e nelle intenzioni delpoeta quelli dovevano restare un episodio, cosı come il fatto diverso di Margherita nel Faust, mentreche l’idea conduttrice della tragedia avrebbe dovuto restare la nave, poiche da questa prende titolo illavoro, che altrimenti sarebbesi chiamato Basiliola» (Noterelle critiche, cit., p. 3).

68 Tragedia, pp. 88-101, libretto, pp. 38-42. Viene amputato tra l’altro, all’interno del diverbio,un monologo piuttosto lungo della stessa Basiliola.

69 Scompare la strategica battuta refrain di Basiliola: ‘‘Ho trasportato meco d’oltremare / unafollia non mai veduta sopra / le acque’’ (tragedia, p. 39, poi p. 44).

70 Tragedia, p. 105. Cade, nel Primo Episodio, anche il lungo diverbio tra Basiliola e la Voce diGauro, introdotto da questa didascalia: D’un micidiale riso avvampa il volto sibillino della Faledra. Lasua voce squilla, poi si oscura. Di parola in parola, d’ombra in ombra, ella crea l’orrore demoniaco (tra-gedia, p. 77).

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sima invettiva del monaco Traba di fronte a una Basiliola appena denudatasi,apostrofata dall’eremita – che probabilmente doveva essersi letto La tentationde Saint Antoine di Flaubert! – come la reincarnazione di una colorita serie dimostruose peccatrici della storia e del mito (Bibli, Mirra, Pasifae, Dalila, Ieza-bel, Hogla, Basilide).71 Il libretto viene insomma a proporre quell’immaginedi seduttrice perversa resa popolare da un decennio da Salome,72 ma in realtagia disponibile nella produzione drammatica nostrana sin dal tardo Ottocen-to. Penso ad esempio alla Salammbo, dramma lirico in quattro atti di NicoloMassa su libretto di Angelo Zanardini, in scena alla Scala il 16 aprile 1886.Una simile connotazione del personaggio e decisamente evidente anche nelleintenzioni di Marussig, com’e possibile evincere anche soltanto dal costumeda danzatrice fatto indossare a Basiliola nel Secondo e Terzo Episodio: unatunica morbida di stoffa bianca avorio che lascia le braccia nude; coppe d’ar-gento brunito a raccogliere i seni; una fascia, anch’essa color bianco avorio,trapunta di fili d’argento, che avvolge i fianchi; sandali infradito dorati; lucci-canti anelli di vetro ai polsi e alle caviglie (Tav. 2).73

e) L’ultimo intervento, di straordinaria rilevanza, e tenuto in serbo per ilfinale, significativamente modificato da Tito. Basiliola non muore, come nellatragedia, con la morte da lei stessa scelta e ottenuta in un estremo sussulto diautodeterminazione che conferma il carattere indomito della Faledra, secondola duplice didascalia dannunziana, inframmezzata dall’estrema battuta di Ba-siliola:

I socii navali s’avanzano sollevando e congiungendo i grandi clıpei quadrilunghi. Inpiedi, ad onta del vincolo servile eretta con tutta la tirannıa della sua bellezza, la Faledra[che veste il costume appena descritto] squassa la criniera non piu cinta dalla lista di

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71 Tragedia, Primo Episodio, pp. 97-100. Altrove, nel Prologo, Ricordi si comporta con finezzadi censore: della battuta riportata qui sotto parafrasa, riducendolo a un unico verso, il testo fuori dallaparentesi, cassando del tutto quest’ultima: BASILIOLA ‘‘E me, me che son bella (vedi, vedi / con cheocchi terribili mi guatano / i calafati: l’odore de’ miei / capelli e assai piu forte che l’odore / dello spal-mo, e una vena del mio collo, / se palpita, e piu forte che la rema / della marea), me offro al vincitore’’.Scompaiono ugualmente le memorie piu pruriginose del passato della donna, come ad esempio questoaccenno, fugace ma memorabile, nel Prologo: LA PARTE GRATICA ‘‘Sottomessa ei [Giovanni Faledro]l’ha / ai suoi drungarii’’ IL TAGLIAPIETRA ‘‘L’ha prostituita / a tutta l’oste’’ (tragedia, p. 20).

72 L’esercizio d’individuazione di derivazioni dalla drammaturgia europea tardottocentesca fuapplicato immediatamente alla tragedia dannunziana. Cosı Gian Pietro Lucini, assai precocemente,descrive ironicamente la ricetta adoperata dal Vate: «Salome 15 gr.; Profeta di Meyerber [sic], 3,6gr.; Theodora di Sardou, 3 gr.; Crepuscolo degli Dei, 0,4 gr.; Cappella Sistina 0,8 gr.; Mac-Beth1,2 gr.; Re Lear 2,8 gr.; Rienzi alla Bulwer 4,3 gr.; Coro delle Tragedie greche 2,7 gr.; il tutto diluitoin un litro d’acqua distillata» (GIAN PIETRO LUCINI, Antidannunziana. D’Annunzio al vaglio della cri-tica, Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1904, p. 227, cit. in CAPPELLINI, Per un’edizione commen-tata della «Nave», cit., p. III sg.).

73 Archivio Ricordi, A.2.1.22.0.73.

porpora e pur splendiente come quando ella nell’atrio la sollevo con una mano dinanziai convivi dell’Agape celebrandola in tre battiti d’ala, per deprecare l’Aurora. Una me-ravigliosa purita suona nel metallo della sua voce. Dietro di lei il fuoco espiatorio ardesopra l’ara dei Naumachi. Alla parola prima, s’interrompe ogni strepito, ogni clamore.La pausa su le genti e su le acque e piena di fato.

BASILIOLA Gratico, odimi. Come non fui d’altri / se non di quegli a cui volli do-narmi, / cosı – per l’ara augusta e per le due / ali del grande Arcangelo! – non sono /se non di quella morte che m’eleggo. / Uomo prode, all’odor de’ miei capelli / t’hovisto impallidire anche una volta; / e ancor pallido sei. Profuso avea / sopr’essi, comesopra rogo che ardere / debba, l’ultimo vaso di profumo. / Odimi, eroe, per le tuesette Pleiadi! / Se coniare non potei nell’oro / romano la mia faccia, ebbene, guarda, /io la imprimo nel fuoco.

Fulminea si volge, si precipita su l’ara, con la bocca protesa come per bere la fiam-ma, simile nella felicita dell’atto a chi assetato affondi tutto il corpo nella polla, per trar-re il piu lungo sorso. L’ardore s’apprende ai capelli che divampano in un attimo come unfascio di stipule, con un chiaro baleno. [...] Urla d’intorno la moltitudine, rompendo ilsilenzio della meraviglia e dell’orrore. Il grido del Navarco domina ogni altro grido.74

Tito sceglie un finale diverso, ma non meno spettacolare, nonche, beninteso,di piu semplice realizzazione scenica: la ‘‘bella morte’’ che il suo stesso amanteMarco Gratico aveva scelto originariamente per Basiliola nella tragedia:

MARCO GRATICO Mancava a questa Nave / la figura di prua. [...] O compagni, /eccola! Ce l’ha data il Dio tremendo. / Eccola. E bella. Noi la inchioderemo / fra ledue cubie. [...] / Clipeati, formate la testudine, come in saettamento ai parapetti / dibordo, e sollevate sopra i cuoi / supina la guerriera e trasportatela! / Aquila d’Aqui-leia, a prua, a prua! / O Faledra, ti do la bella morte.75

Nel libretto cade l’allocuzione di Basiliola sopra riportata e la didascalia circo-stante viene riformulata ex novo, seguendo il suggerimento contenuto nellabattuta di Marco Gratico citata:

Il popolo s’impossessa della Faledra, a furia la trascina verso la Nave, la solleva sullaprua ancora disadorna, ve la inchioda, mentre le maestranze assegnate al varo riprendo-no lena.76

Dalla partitura risulta che Montemezzi aveva previsto di integrare le didascaliedi Ricordi con inserti in parte derivati dalla tragedia di cui non si conservera

74 Tragedia, p. 206.75 Tragedia, p. 205 sg.76 Libretto, p. 82.

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piu traccia nello spartito. Cosı e reso, ad esempio, l’accompagnamento forzatodi Basiliola alla nave:

I socii navali si avanzano sollevando e congiungendo i grandi clipei quadrilunghi: Viprende posto la Faledra che vien portata verso la Nave dalla parte di prua.77

Al contempo eventi sonori reali (l’intervento delle buccine sul palco) interven-gono in sincronia con l’azione scenica: All’apparire di Basiliola sull’alto dellapoppa squillano le buccine.78

L’operazione di Tito Ricordi si risolve in definitiva in un deciso depoten-ziamento ideologico della «tragedia adriaca»79 attraverso quel disinnesco, oradiscusso, tanto dei copiosi riferimenti storici quanto dei conflitti religiosi eculturali che nel contesto storico si radicavano. Il dramma risulta in questomodo limitato a un orizzonte edonistico, concentrato su un’immanenza irra-zionale che sfrutta pienamente il formidabile potenziale decadente della scrit-tura dannunziana. Esemplare a questo riguardo lo snaturamento del SecondoEpisodio, in cui il quadro storico di un autentico scontro di civilta riflessonella fisionomia dei personaggi arretra inesorabilmente, ricondotto giudizio-samente dal librettista/editore alla dimensione individualistica propria deldramma lirico di primo Novecento. Messe sotto silenzio – Montemezzi volensnolens – velleita patriottiche e apparato erudito, la tragedia dannunziana, nelledichiarazioni del suo Autore «foggiata con la melma della laguna e con l’oro diBisanzio, e col soffio della mia piu ardente passione italica»,80 giunge sullescene liriche attraverso un’unica chiave interpretativa: prodotto di un «teatrodi violenza», in cui dominano forze profonde e una umanita selvaggia.81 Co-me tale, evidentemente, il massimo editore musicale italiano la reputava pro-ponibile al palato del pubblico scaligero sul finire della Grande guerra.

3. HORS-D’ŒUVRE MUSICALE

Nella navigazione del vasto drammone dannunziano Montemezzi parrebbeorientare la propria rotta secondo alcune opzioni fondamentali. Innanzitutto

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77 Partitura, n. 31 (diversamente nello spartito, p. 390).78 Partitura, n. 33.79 Viene in mente l’operazione, assai piu irriverente, effettuata ancor prima dalla scanzonata pa-

rodia Il pupazzetto navale, ‘‘dramma navarcale del Pupazzetto’’, pubblicato da Enrico Novelli (Yam-bo) nel 1908 come supplemento alla rivista mensile illustrata «Il pupazzetto» (VI, 2).

80 D’ANNUNZIO, Il secondo amante di Lucrezia Buti, cit., p. 395.81 LUIGI TONELLI, La tragedia di Gabriele D’Annunzio, Milano, Corbaccio, 19412, pp. 65-77,

cit. in GUARNIERI CORAZZOL, «Fedra»: la poesia, la musica, cit., p. 282.

porta alle estreme conseguenze un atteggiamento gia riscontrabile nell’Amoredei tre re, complice la sovrabbondanza inventiva del testo dannunziano, assaipiu esuberante del dramma di Sem Benelli: la straordinaria varieta e mobilitadi atteggiamenti e situazioni contrastanti, la disponibilita a repentini scarti ditono, lo spiccato penchant per il trapasso da un’atmosfera a quella diametral-mente opposta, nell’evidente intento di mantenere avvinta l’attenzione dellospettatore in base a meccanismi fondati sul contrasto e sulla sorpresa: una tec-nica ‘‘contrastiva’’ che comporta la giustapposizione di sequenze caratterizzateda tinte drammatiche eterogenee, e viene eletta da Montemezzi a strumentoper assicurare tensione costante dell’intera partitura. E possibile portare moltiesempi ‘‘locali’’, circoscritti, di questo meccanismo: si pensi all’importante in-terludio strumentale che prepara, dopo attesa spasmodica, la comparsa di Ba-siliola. Si tratta di un tempo fondamentale dell’azione, necessario tra l’altro per-che il personaggio prenda coscienza dell’accecamento di tutti i suoi fratelli(Prologo, n. 29). La didascalia prescrive una Basiliola che si guarda intorno, esi-tante e ansante. S’arresta davanti al mucchio miserabile. Abbandona la mano pa-terna. L’orrore la fa esangue. Ma la sua forza, dopo una pausa atroce, prevale sultremito (trovera subito la parola lanciandosi nella fiera apostrofe ‘‘Uomini, ri-spondetemi. Chi sono’’). L’orchestra si fa carico non senza sottigliezza dell’agi-tarsi nel personaggio di sentimenti contrastanti – commozione paura rabbia or-goglio – attaccando con un terrificante fortissimo a organico pieno, che lasciaben presto il campo alla voce piu trasparente di viole e bassi soli (in forte/pia-no), subito incalzati tuttavia da un crescendo dei timpani che conduce all’espo-sizione di un tema in omofonia ad archi superiori e legni su accordi degli ottoniin fortissimo.

All’interno di questa strategia complessiva dei contrasti, nell’economia ge-nerale dello spettacolo e evidente la prevalenza di un atteggiamento non dirado pompier: una magniloquenza che costituisce geneticamente la cifra piuautentica della tragedia dannunziana e permane in tutta evidenza nell’operadi Montemezzi, a onta di qualsiasi intervento correttivo di Tito Ricordi. Em-blematica, e quasi obbligata, la realizzazione, nel Terzo Episodio, del dialogoserrato tra Marco Gratico, alcuni comprimari e il popolo che esorta il condot-tiero al varo della nave: il Sostenuto in fortissimo raggiunto al n. 15 della par-titura guadagna in concitazione man mano che i diversi personaggi (SimonD’Armario, Pietro Anafesto) intervengono a proporsi come compagni del pi-loto – si badi all’avvertenza «spedita la declamazione» – suscitando la reazioneentusiastica del coro. Mantenendo la dinamica in fortissimo, la pagina si animaprogressivamente (Movendo, poco piu) per acquisire una nuova, piu compo-sta solennita (n. 16: Sostenuto, ma meno di prima) in corrispondenza dellascelta degli ultimi ‘‘socii navali’’, auspice il nome eterno dell’Urbe (non a caso

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l’ultimo eletto si chiamera Andrea Marcello, e verra apostrofato come ‘‘propa-gine di Roma’’),82 culminante nella benedizione popolare all’irrompere omofo-no e fragoroso del coro a sei parti ‘‘Gloria agli eletti!’’ – inserto testuale intro-dotto ex novo da Montemezzi per coronare l’episodio coralmente. Alla citatamenzione di Roma il compositore aveva innescato un repentino rallentando,in cui la voce si distende su valori larghi, l’orchestra suona con le sezioni di archie legni al completo sostenute dai corni, rullano i timpani, mentre sulla scenaintervengono otto buccine a raddoppiare la melodia vocale (Es. mus. 1).

La concentrazione sul patriottismo programmatico della «tragedia adria-ca» non preclude tuttavia l’altra operazione fondamentale messa in atto dalcompositore, espressione, forse, di alcuni fra i valori di maggior pregio dellapartitura: la celebrazione del trionfo della Decadence. A tal fine ci si avvale in-nanzitutto di quel talento di orchestratore esibito da un capo all’altro dellapartitura da un Montemezzi capace di continue finezze, fedele a scelte precisee ricorrenti, frutto di una strategia perseguita con determinazione e intelligen-za. Sovente – in ossequio al segnalato chiaroscuro fonico/timbrico/drammati-co – il clangore dell’orchestra tardoromantica ammutolisce a favore di unascrittura di grande trasparenza. Tale scelta viene esibita programmaticamenteancor prima che s’alzi il sipario. Il preludio orchestrale del Prologo propone

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Es. 1 – ITALO MONTEMEZZI, La nave, riduzione per c e pf, Milano, Ricordi, 1919, Terzo Epi-sodio, pp. 363-364.

82 Con questo testo d’Annunzio «era venuto incontro al nazionalismo e alle attese ideologichedel suo pubblico. La Venezia del VI secolo, de La Nave, era, in realta, la Roma di quegli anni» (GIO-

VANNI ANTONUCCI, Storia del teatro italiano del Novecento, Roma, Studium, 1986, «Nuova universaleStudium», 49, p. 21).

Es. 1 – (continua).

infatti un ondivago disegno di sestine dei violini I in p, mentre restano sullosfondo gli altri archi (con violini II e viole divisi), i fiati (clarinetti, oboi, cornoinglese, fagotti, corni e tuba) e l’arpa con i suoi arpeggi isolati (Es. mus. 2).

A battuta 9 compare nel registro sopracuto una figura aerea, vitrea, dappri-ma all’ottavino, su accordi di trombe e tromboni e flauti, poi al flauto I. All’a-pertura del sipario la figurazione per sestine prosegue il suo cammino, col so-pravvento del timbro di arpa e celesta, mentre la Voce del Comito, primointervento vocale dell’opera, viene sostenuta da un coretto discreto di legni(flauti, oboi e corno inglese). La terribile tragedia dei Gratici si presenta dun-que immersa in un luminescente paesaggio glauco, evocazione dei flutti ‘‘adria-ci’’ da cui emerge l’azione scenica. E tutto cio – si badi bene – indipendente-mente da qualsiasi indicazione scenica del Vate, il quale aveva invece aperto ildramma – e a lui fedelissimi si erano mossi tanto la riduzione librettistica quan-to l’allestimento scenico di Marussig –83 mettendo in evidenza l’alacre opero-sita di un cantiere navale tradotta in un paesaggio totalmente urbanizzato, de-limitato dalla Basilica incompiuta,84 un mulino, un ponte, delle case e le altepoppe del navilio ormeggiato, le vaste vele dipinte, l’intrico delle reti delle sartiee delle antenne, l’edicola in guisa di coffa a sommo d’un fusto eccelso.85 CheMontemezzi ricordasse un’altra opera aperta da un analogo movimento di umi-de sestine a simboleggiare le acque da cui la vicenda affiora? La contiguita, vo-lontaria o casuale, con il motivo ‘‘delle onde’’ dal preludio del Rheingold vale inogni caso a individuare nel compositore una progettualita in grado di esprimer-si autonomamente rispetto all’ingombrante ipoteca del testo illustre, nell’inten-zione di caratterizzare musicalmente ciascuna situazione drammatica con gradidiversi di affinita rispetto al dettato poetico.86 La tinta che caratterizza l’attacco

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83 Il bozzetto di Marussig per il Prologo e conservato presso l’Archivio Ricordi (C.2.1.15.0.01).84 D’Annunzio si e ispirato quasi certamente alla Basilica di Torcello.85 Tragedia, p. 5; la didascalia ricorre identica, tranne la variante ortografica di ‘‘naviglio’’, nel

libretto, p. 7.86 Generici debiti wagneriani sono ricorrentemente riconosciuti alla musica di Montemezzi; in

particolare per La nave valgano, oltre alla citata recensione di Bastianelli, i seguenti giudizi: «Questowagnerismo [dell’Amore dei tre re, per il quale e individuato un debito verso il Tristano] si accentuanella Nave (1918) dove il compositore, volendo trovare forme rispondenti all’ampia coralita e alla fa-stosa sontuosita decorativa del poema dannunziano, attinge a Wagner anche per cio che concerne ilgesto scenico strumentale e la complessiva impostatura del dramma» (ANTONIO CAPRI, Musica e mu-sicisti d’Europa dal 1800 al 1930, Milano, Hoepli, 1931, p. 57). E Gaetano Cesari, dalle colonne del«Secolo»: «La musica de La nave raffrontata con L’amore dei tre re palesa un progresso in questo:che l’assimilazione dei vari stili si limita ora a quello di uno stile solo, il wagneriano, e da questo puntodi vista diviene tecnicamente piu perfetta»: il giudizio e riportato in GIUSEPPE SILVESTRI, Vita e opere:vocazione e volonta, in Omaggio a Italo Montemezzi. Nel cinquantesimo anniversario della morte (1952-2002) (contenente la riproduzione facsimile dell’Omaggio a Italo Montemezzi, a cura di Luigi Tretti eLionello Fiumi, Numero Unico, a cura del Comitato Onoranze a Italo Montemezzi, Verona, Ghidini

Tav. 1 ITALO MONTEMEZZI, La nave, libretto, Milano, Ricordi, 1918. Copertina.

Tav. 2 GUIDO MARUSSIG, costume di Basiliola per il Secondo e Terzo Episodio della Nave di Italo Montemezzi, Teatro alla Scala di Milano, 1918. Milano, Archivio storico Ricordi, ora depositato presso la Biblioteca nazionalebraidense, A.2.1.22.0.73.

Es. 2 – Ivi, Prologo, p. 11.

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dell’opera si ripropone simmetricamente in apertura dell’ultimo Episodio,questa volta a sipario alzato. Vengono riprese sostanzialmente identiche quelleprime otto misure del Prologo che suggerivano l’equazione Adriatico=Reno,dando l’abbrivio a un delicato quadro sinfonico-corale di timbro aurorale, incui l’orchestra risponde alternatim all’inno matutino dei Catecumeni, intonatodal coro a quattro voci a cappella. Particolarmente suggestivo l’intervento or-chestrale al n. 2, agıto da archi, legni, corni, arpa, celesta e una «campanellainterna», cui funge da immediato contrasto fonico la strofa corale ‘‘Ut pio Re-gis pariter canentis’’, sostenuta dall’orchestra piena (n. 3). Anche quest’ultimalascia tuttavia il passo a una strumentazione trepida e lieve, ad assecondare l’in-tervento del Maestro delle acque (n. 4) accompagnato dal corteo discreto diflauto, oboi, corno inglese e archi. La didascalia dannunziana che chiude l’in-tervento del personaggio (L’ammonimento si tace nel cielo che biancheggia),87

cosı vicina a certe atmosfere liriche di Alcyone, trova un pendant coerente nel-l’orchestrazione di Montemezzi (clarinetto, fagotto, corni, trombone I, trombaI e archi) e parrebbe un perfetto commento al quadro sonoro approntato dalcompositore come cornice all’episodio del varo e complessivamente all’am-bientazione ‘‘adriaca’’ della tragedia.

E in questi recessi, in queste secche non infrequenti in cui si stempera ilclamore marziale della partitura, che andranno probabilmente individuati ivalori piu autentici della scrittura di Montemezzi, in linea con quella vocazio-ne lirica gia espressa nell’Amore dei tre re (si pensi ad esempio al duetto Fiora-Avito nel cuore dell’Atto II di quell’opera). Esemplare, nella Nave, la scena diseduzione di Basiliola nel Terzo Episodio: reduce dal tono eroico della giacommentata selezione dell’equipaggio destinato al viaggio fatale, il pubblicoviene sottoposto alla subitanea irruzione della Faledra, disperata eppure de-terminata a rivendicare la propria dignita. D’improvviso una voce inattesa col-pisce le volonta pronte, recita la didascalia che introduce l’estrema sfida di Ba-siliola: ‘‘O Gratico, ricordati di me / e di quest’ara!’’. A partire dalla captatiobenevolentiae attivata dal poeta a ‘‘Pel mio bacio / d’amore e d’odio’’ (n. 19) 88

l’orchestra di Montemezzi innesca un sensibile rallentando molto, accompa-gnando il lungo monologo della protagonista (archi e legni, raramente gli ot-toni) con intenzione sempre dolce, espressiva, dolcissima (Es. mus. 3).

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& Fiorini, 1952), a cura di Piergiorgio Rossetti, Vigasio, Amministrazione comunale, 2002, pp. 16-36:31. Ringrazio Cristiana Vianello per l’aiuto nel reperimento del volumetto. Sulla ‘‘derivazione wagne-riana’’ della Nave si sarebbe soffermato anche FRANCO ABBIATI, Storia della musica, IV (Il Novecento),Milano, Garzanti, 1968, p. 87 sg.

87 Libretto, p. 76, ma gia identica nella tragedia, p. 179.88 A differenza del libretto, nello spartito si legge ‘‘Pel tuo bacio d’amore e d’odio’’ (p. 369).

Es. 3 – Ivi, Terzo Episodio, p. 369.

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Si tratta di finezze d’orchestratore che esaltano l’efficace lirismo della lineadel canto, una dote che non abbandona mai Basiliola, abile a sfruttare, attra-verso atteggiamenti vocali opposti, tanto la memoria di una relazione eroticaconflittuale e fascinosa, quanto l’avidita di gloria e potere di Marco Gratico(nn. 20-26). La seduzione operera a maggior ragione quando accoppiata auna gestualita scenica di rilievo, come avviene in corrispondenza con l’acmedi sensualita del dramma – o perlomeno il luogo della sua maggiore evidenza:nel Primo Episodio, Basiliola lascia cadere la tunica che l’avvolge, restando aseno nudo, in audace atto di sfida nei confronti del monaco Traba e di sedu-zione irresistibile verso Marco Gratico. Al clamore del gesto inatteso, prepa-rato dalla risata ebbra della tentatrice e caratterizzato da una violenza fonicanotevole, segue un episodio di tono ben diverso, pur all’interno di una mede-sima strategia seduttiva: mentre Basiliola sgancia la sua cintura fulgida; e fa l’at-to di chinarsi per allungarla al suolo (n. 24), l’orchestra ricama una pagina de-licatissima, affidata alla voce nuda di un assolo del violino, dolce espressivo,poi a una viola, con accompagnamento dei soli archi.

L’orchestrazione rappresenta dunque uno dei punti di forza di una parti-tura in cui pure sono poco frequenti le occasioni per pagine sinfoniche auto-nome, di fatto limitate ai preludi a ciascun Episodio. Al di la di questi ultimis’incontreranno tutt’al piu concisi interludi sinfonici, come quelli che accom-pagnano l’entrata in scena di Orso Faledro e soprattutto di Basiliola nel Pro-logo (nn. 19 e 29). Piu notevole l’ampia pagina strumentale che prepara l’ap-prodo dei Gratici, mentre La Faledra, traendo per mano il padre, passa tra lafolla attonita che le fa largo, ed entra nella Basilica (Prologo, n. 41). Sul finire diquesto interludio risuonano da dietro le quinte quelle otto buccine, assai pre-senti nell’ultimo Episodio, che costituiscono l’aspetto piu eccentrico dell’or-chestrazione e caratterizzano il cote eroico, magniloquente della partitura, cosıcome il violoncello ne rappresenta invece, soprattutto nel Primo Episodio, l’a-nima lirica, cui e affidata l’esposizione dei temi di maggior momento. Si veri-fichi quest’ultima circostanza nel preludio sinfonico al Primo Episodio, in cui ivioloncelli propongono una melodia da cantarsi espressivo e forte: un temadella seduzione il cui ruolo si dimostrera cruciale nell’intero episodio (Es.mus. 4: se ne apprezzi il ritorno durante il lunghissimo duetto tra Marco Gra-tico e Basiliola – occupa i nn. 29-51 – al n. 36).89

Poche pagine piu avanti il violoncello solista seguira come un’ombra l’in-tervento di Basiliola (n. 6), mentre saranno ancora violoncelli e bassi a esporreun tema imparentato con quello del preludio (n. 15); infine, un assolo del vio-

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89 Navarra giudicava questo duetto «una delle piu squisite pagine dell’intera partitura» (Note-relle critiche, cit., p. 11).

loncello accompagnera anche l’estrema preghiera del Superstite perche la Fa-ledra lo trafigga (n. 17) e tornera nuovamente a farsi ascoltare quando Basi-liola avra esaudito il morituro (n. 19).

L’utilizzo smaliziato della palette sinfonica non esaurisce tuttavia le strate-gie di Montemezzi. Il compositore non trascura infatti il ricorso a una, seppurembrionale, progettualita tematica. Si e detto del motivo ‘‘della seduzione’’esposto dai violoncelli nel preludio del fondamentale Primo Episodio, rivela-tore della vera natura di Basiliola e dei rapporti di forza che governano la re-lazione tra i personaggi. Ebbene, non si tratta di un motivo qualsiasi, bensıdella sigla tematica chiave dell’intera opera, simbolo sonoro della Faledra. Ilmotivo, esposto dal padre della protagonista, Orso Faledro, nel Prologo(Es. mus. 5, n. 24), consiste in: 1) due note di avvio, 2) un ampio balzo che

Es. 4 – Ivi, Primo Episodio, p. 141.

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approda a una lunga nota tenuta, 3) la discesa a un grado inferiore. Il motivocorrisponde nel suo disegno all’intonazione del nome ‘‘Ba-si-lio-la’’; aderisceal nome della seduttrice quale simbolo dell’identita del personaggio, ne tra-scrive sinteticamente l’ambizione smisurata, il fascino irresistibile e la sfrenatatensione irrazionale; viene infine a identificarsi con il nome ‘‘Aquileia’’, fatalepatria di Basiliola.

Non a caso quest’ultima ne gridera il nome, nelle ultime battute del Se-condo Episodio, proprio sulle note di questo gesto melodico inconfondibile(Es. mus. 6, n. 50).

Sulla bocca della Faledra come degli altri personaggi, declinato in variantiche possono prevedere un’unica nota prima del salto ascendente, o, in coda almotivo, una nota ribattuta invece della discesa a un grado inferiore (impre-scindibili sono invece il salto ascendente e la nota acuta tenuta), il motivo ri-torna a ogni snodo drammatico capitale: esposto dai violoncelli ad aperturadel Primo Episodio; scagliato con sprezzo, a mo’ di guanto di sfida, da Basi-liola al Monaco Traba (Primo Episodio, ad ‘‘Accostati, se osi, uomo di Dio’’,n. 23), impiegato infine ossessivamente nel corso del drammatico duetto Ba-

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Es. 5 – Ivi, Prologo, p. 47.

Es. 6 – Ivi, Secondo Episodio, p. 329.

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PROLEGOMENI A UNA LETTURA DELLA NAVE

siliola-Marco Gratico nel Terzo Episodio, quando viene utilizzato sia dalla Fa-ledra per indurre l’amante a condurla sulla nave, prospettandogli un avvenireglorioso, sia dallo stesso Gratico, che ne viene quasi contagiato, plagiato co-m’e dall’eloquenza irresistibile della donna. (Es. mus. 7, nn. 21-24). All’accesolirismo di questo motivo conduttore si oppone l’orientamento complessivodella vocalita nella Nave, di segno decisamente opposto. Vi domina infattiuna vocalita, di derivazione verista, declinata nella direzione di un declamatoonnipresente,90 che ora s’impenna in accensioni liriche, ora si prostra in tonodimesso (ad esempio nell’inflessione che Marco Gratico assume a ‘‘O Signore,perche hai / calpestata la mia forza?’’, Primo Episodio, n. 36). D’altra parte, diuna vocalita seducente ma non affettata la stessa Basiliola aveva dato ben pre-sto un assaggio nel Prologo (‘‘Ti sento / all’anima tua dolce’’, n. 35), rivolgen-dosi non all’amante ma al fratello prediletto, l’ultimogenito Marino, prostratodalla cecita.

Da quella sera del 3 novembre 1918 occorsero oltre dodici anni percheMontemezzi potesse mettere in scena un nuovo lavoro drammatico (sara Lanotte di Zoraima, sempre alla Scala, nel 1931). Il silenzio che da allora ha avvol-to La nave e stato ancora piu tenace, probabilmente per la combinazione di unaserie di ragioni estetiche, storiche e personali. Pare tuttavia possibile sostenereserenamente che l’opera rappresenta un progetto drammaturgico-musicale ditutto rispetto, meritevole d’attenzione critica e forse anche di qualche formadi recupero in sede esecutiva. Si tratta insomma, di qualcosa d’altro rispettoa quel «sapiente e pesante ragu» che Bastianelli dichiarava d’aver mal digerito.L’auspicio e che i tre hors-d’œuvre appena offerti possano stuzzicare l’appetitoe promuovere ulteriori, piu consistenti assaggi del banchetto ‘‘adriaco’’.

RAFFAELE MELLACE

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90 Navarra individua addirittura nel declamato lo strumento scelto da Montemezzi per unificarela partitura, benche non manchi di rilevare il «senso di uniformita e di stanchezza» che inevitabil-mente ne deriva e si rammarichi di non ritrovare nella Nave il lirismo dell’Amore dei tre re (Noterellecritiche, cit., p. 8 sg.). Anche l’anonimo recensore del «Corriere della sera» aveva colto la centralitadel declamato, per il quale spende parole piu generose di Navarra: «Quanto alle qualita piu stretta-mente tecniche, e da lodare nella musica de La Nave sopra tutto il recitativo drammatico, che e sem-pre perfetto di espressione, costituendo assai spesso un ampliamento tanto eloquente quanto efficacedel moto melodico gia insito nella frase parlata. Essendosi valso largamente di questo recitativo, l’au-tore ha sfuggito il pericolo di accumulare gli ‘‘ariosi’’, dei quali decisamente nei melodrammi dellascuola italiana moderna si andava facendo un vero abuso» (ora disponibile in Omaggio a Italo Mon-temezzi, cit., p. 31).

Es. 7 – Ivi, Terzo episodio, pp. 371-375.

Es. 7 – (continua).

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Es. 7 – (continua).

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INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. V

GUIDO TURCHI, D’Annunzio e la musica: pensieri di un compositore » 1

ANNAMARIA ANDREOLI, Gabriele d’Annunzio: dalla musica alla poe-sia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9

GIAN PAOLO MINARDI, D’Annunzio e la musica antica . . . . . . . . . » 21

GIORGIO PESTELLI, «Le mufle du lion». Musiche e immagine di Bee-thoven nelle opere di Gabriele d’Annunzio. . . . . . . . . . . . . . . » 33

MAURIZIO GIANI, D’Annunzio, Wagner, Thomas Mann. Forme della‘‘prosa sinfonica’’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45

LARA SONJA URAS, D’Annunzio e i musicisti italiani: scambi epistolari » 69

JOHANNES STREICHER, Intorno a Gabriele d’Annunzio e RichardStrauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 107

GUIDO SALVETTI, I rapporti con la Generazione dell’80: una «favolabella» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125

ANNE PENESCO, Dal «paese dove il sı suona» alla «dolce terra diFrancia» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 145

RICCIARDA RICORDA, Tra «Il fuoco» e «La beata riva»: d’Annunzio,Conti e «La citta morta» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165

ALEXANDRA LAEDERICH, L’Etrange destin de «La ville morte» de Na-dia Boulanger et Raoul Pugno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 183

MAURO BONIFACIO, «Je vois...» «Tristan», «Melisande»... e altro an-cora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201

MILA DE SANTIS, Aspetti della lirica da camera su testi di d’Annunzio » 215

MARIA IDA BIGGI, Scenografie operistiche dannunziane . . . . . . . . . » 253

MATTEO SANSONE, «La figlia di Iorio» di d’Annunzio-Franchetti edue libretti verghiani («La Lupa» e «Il Mistero») . . . . . . . . . . » 271

VIRGILIO BERNARDONI, Il «Sogno» dannunziano di Malipiero . . . . » 301

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EMILIO SALA, Musiche di scena e drammaturgia musicale. Ancora sul-la «Pisanelle» (1913) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 319

HENRI GONNARD, La modalite dans «Fedra» de d’Annunzio-Pizzetti » 345

MARCO BEGHELLI, Ricognizione su «Gigliola» di Pizzetti . . . . . . . » 357

RAFFAELE MELLACE, Prolegomeni a una lettura della «Nave». Unacollaborazione tra d’Annunzio, Montemezzi e Tito Ricordi . . . . » 417

Indice dei nomi e delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 455

INDICE

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CITTA DI CASTELLO . PG

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2008

ISSN 0069-3391

ISBN 978 88 222 5771 0