Periferie flessibili. Introduzione

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COLLANA SCIENZA DELL’UOMO 8

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COLLANA

SCIENZA DELL’UOMO8

PERIFERIE FLESSIBILILAVORO FLESSIBILITÀ E PRECARIETÀ

NEL SALENTO

a cura diMariano Longo

Mariano Longo (cur.)Periferie flessibili. Lavoro, flessibilità e precarietà nel SalentoCollana Scienza dell’uomo 8

ISBN 978-88-8232-532-9© Edizioni PENSA MULTIMEDIA s.r.l., 200773100 Lecce - Via A.M. Caprioli, 8Tel 0832.230435 • fax [email protected]

La presente pubblicazione è stata finanziata dal MIUR con ifondi del PRIN 2004-2006.

SOMMARIO

INTRODUZIONEA proposito di flessibilità/precarietà in un’area perifericadi Mariano Longo p. 7

SGUARDI D’INSIEME

Flessibilità e cultura postfordista nel diritto del lavoro italianodi Angelo Salento » 37

Flessibilità, imprese e lavoro. Il caso della provincia di Leccedi Stefano De Rubertis - Paolo Margari » 65

Condizione occupazionale e biografia. Un’analisi quantitativadi Giuseppe Gaballo » 93

FLESSIBILI E PRECARI: LE STORIE

Parole precariedi Carla Izzi » 123

La precarietà addosso. Storie di lavoratori a-tipicidi Valentina Cremonesini » 151

Storie di equilibri precari. Le donne e la flessibilitàdi Anna Maria Rizzo » 179

Identità precarie. Il caso degli “adulti flessibili”di Tonia Favale » 213

FLESSIBILITÀ E PRECARIETÀ: I DISCORSI

Lavoro, precarietà, declino.Rappresentazioni sociali dalla comunità salentinadi Ferdinando Spina » 231

Figurazioni di “vita precaria” in La Gazzetta del Mezzogiornodi Vanessa De Giosa » 255

I. Ciò che mi propongo in questa nota introduttiva non è sinte-tizzare una ricerca, i cui risultati vengono esposti nei diversiinterventi dei colleghi del gruppo di lavoro. Il mio tentativoè di altro tipo. Facendo riferimento ad alcuni dei dati empi-rici emersi dalla nostra ricerca, vorrei evidenziare come an-che in una realtà periferica come quella salentina (una peri-feria della modernità, per dirla con Niklas Luhmann), i con-cetti che la sociologia aveva utilizzato fino a qualche anno fapaiono privi di capacità esplicativa. In particolare, il rappor-to individuo-società appare sempre più articolato e comples-so: da un lato, le biografie individuali perdono il loro carat-tere lineare ed assumono invece, soprattutto in relazione alruolo occupazionale, un carattere fortemente frammentario;dall’altro, il problema dell’inclusione sembra non potersi piùporre come questione aproblematica di integrazione del sog-getto nel sistema sociale (Parsons) bensì come accesso in-certo, provvisorio, fino a prova contraria. Il quadro si com-plica se si pensa che i caratteri instabili della modernità con-temporanea si sommano ad instabilità già presenti nell’areadella ricerca (la provincia di Lecce). Tali instabilità rendono

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Introduzione

A PROPOSITO DI FLESSIBILITÀ/PRECARIETÀ

IN UN’AREA PERIFERICA*

Mariano Longo

* Il saggio introduttivo è stato elaborato a Colonia, durante un soggior-no di studio presso il Max Plank Institut für Gesellschaftsforschung,nel periodo tra giugno e agosto del 2007.

l’analisi non una semplice applicazione di alcune delle cate-gorie sociologiche contemporanee al contesto locale, maun’operazione di verifica della loro utilizzabilità.

Il materiale empirico cui faccio riferimento in queste no-te è limitato in due sensi. In primo luogo, perché riguardauna ricerca circoscritta alla provincia di Lecce, ad alcune ti-pologie di lavoratori flessibili, e ad un campione costruitocon le difficoltà cui di seguito altri faranno riferimento. Insecondo luogo, perché dei molti dati, ne ho selezionati soloalcuni, quelli che meglio si confacevano al discorso che miappresto a svolgere. Ciononostante, se la si intende comesemplice nota introduttiva, in cui si pongono alcune questio-ni teoriche e alcune chiavi interpretative, l’incompletezza deiriferimenti ai dati appare un male minore.

Il volume raccoglie i risultati di una ricerca finanziata dalMIUR sui fondi PRIN 2004-2006, coordinata a livello na-zionale dal prof. Mario A. Toscano, sul tema della flessibili-tà e della precarietà lavorativa. Compito dell’unità salentinaera indagare vari aspetti della flessibilizzazione-precarizza-zione del lavoro nella provincia di Lecce. I saggi contenutinel volume, organizzati per sezioni, danno un quadro com-pleto del lavoro svolto dal gruppo di ricerca. Apre la primasezione (Sguardi d’insieme) il saggio di Angelo Salento, chedescrive il contesto giuridico dei discorsi sulla flessibilità. Isaggi successivi analizzano dati complessivi sul fenomeno alivello privinciale (Stefano De Rubertis, Paolo Margari), perpoi concentrarsi sui risultati di un questionario somministra-to telefonicamente a soggetti con esperienza (pregressa o at-tuale) di lavoro flessibile (Giuseppe Gaballo). La seconda se-zione (Flessibili e precari: le storie) inizia con l’analisi com-puter-assistita delle 44 interviste a precari raccolte nel corsodella ricerca (Carla Izzi) e si concentra sulle narrazioni del-la flessibiltà, nel tentativo di ricostruire il filo dei racconti(Valentina Cremonesini) o di individuare categorie specifi-che di precari-flessibili (le donne di Anna Maria Rizzo; gliuomini adulti di Tonia Favale). L’ultima sezione (Flessibilità

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e precarietà: i discorsi) si concentra sulla sfera pubblica pu-gliese, analizzando il modo in cui Il Nuovo Quotidiano diPuglia (Ferdinando Spina) e La Gazzetta del Mezzogiorno(Vanessa de Giosa) hanno trattato il tema delle trasformazio-ni del mondo del lavoro pugliese e salentino.

Un ringraziamento va ai componenti il gruppo di ricercalocale (coordinato dal professore Marcello Strazzeri e dame) i quali hanno contribuito con le loro riflessioni alla ste-sura del volume. Si tratta di studiosi intelligenti e appassio-nati che hanno tutti (tranne me e i colleghi Stefano De Ru-bertis, Angelo Salento e Anna Maria Rizzo) in comune conl’universo di riferimento una condizione di precarietà (o sepreferite di flessibilità) occupazionale. Ciò non ha impeditoloro di leggere lo spicchio di fenomeno, che hanno selezio-nato per la loro analisi, in modo competente e (se il termineavesse senso) oggettivo.

Un grazie va inoltre al professore Mario Aldo Toscano,coordinatore a livello nazionale della ricerca, al quale dob-biamo suggerimenti e stimoli.

II.Per analizzare il rapporto tra soggetto e flessibilità/precarie-tà parto da considerazioni di carattere generale, relative allaqualificazione dell’individuo come attore sociale nella mo-dernità. Faccio questo non come tributo formale ai classici,ma per sottolineare come la flessibilità/precarietà pone do-mande teoriche e interpretative inedite alla sociologia, so-prattutto in relazione ai processi sociali di costruzione dell’i-dentità soggettiva. La prima considerazione, semplice finoalla banalità, è che la società moderna nasce come incre-mento della complessità strutturale. Questo incremento, giàanalizzato da Spencer sulla base di un modello organicistico,assume in Durkheim i caratteri della divisione sociale del la-voro. Per Durkheim, le vecchie interdipendenze di tipo reli-gioso ed etico, che nascevano dalla condivisione di un co-

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mune mondo valoriale (solidarietà meccanica), vengono so-stituite da interdipendenze di natura funzionale, per le qualil’organismo sociale regge solo a patto che gli individui inte-grino la loro azione, nonostante la divisione sociale del lavo-ro che differenzia ruoli e funzioni. Al processo di differen-ziazione corrisponde una moltiplicazione dei punti di vista,il che comporta la necessaria dissoluzione di una comune eunitaria concezione del mondo1. Gli esseri umani si diffe-renziano sempre più. Si moltiplicano le occupazioni, i ruoli,le funzioni socialmente assegnate a ciascuno, e con esse au-menta la possibilità di concepire come legittime diverse con-cezioni della realtà. È all’interno di questa differenziazionedei ruoli e dei punti di vista che il soggetto viene liberato daivincoli della tradizione: l’azione appare sempre più legataalle scelte soggettive, le quali però non sono autonome, macondizionate da nuove strutture sociali, da nuovi vincoli chestanno gradualmente assumendo i caratteri del moderno2.

Lascio irrisolto il problema della pluralizzazione dei pun-ti di vista, che richiederebbe una analisi articolata, e che ri-manda, già in Durkheim, al problema dell’ordine e dell’inte-grazione sociale fondata sulla condivisione di una base cul-turale comune. Mi concentro invece esclusivamente sullamoltiplicazioni di status, ruoli e funzioni che la modernitàinaugura come conseguenza dei processi di differenziazione.

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1 É. Durkheim, “L’individualismo e gli intellettuali”, in Id. La scienzasociale e l’azione sociale. Sociologia e pratica sociale, Il Saggiatore,Milano, 1972, p. 291: “[…] in seguito a una divisione del lavoro svi-luppata, ogni spirito si trova indirizzato verso un punto differente del-l’orizzonte, riflette un aspetto differente del mondo e, di conseguen-za, il contenuto delle coscienze differisce da un soggetto all’altro”.

2 Su questo aspetto cfr. M. Longo, L’ambivalenza della modernità. Lasociologia tra disincanto e reincanto, Manni, Lecce, 2005. Per quan-to attiene Durkheim cfr. anche F. Chicchi, Derive sociali. Precarizza-zione del lavoro, crisi del legame sociale ed egemonia culturale delrischio, FrancoAngeli, Milano, 2001, p. 28 e sgg.

Il primo aspetto rilevante è che non solo status e ruoli si mol-tiplicano, ma cambia anche la loro qualità. Se, infatti, nellesocietà tradizionali gli status avevano natura ascritta, nel sen-so che dipendevano dalle caratteristiche attribuite al sogget-to per nascita (il luogo di nascita e il ceto d’appartenenza,per esempio), la modernità inaugura un nuovo modo di inte-grare socialmente l’individuo, per il quale assumono rilievosempre maggiore le caratteristiche acquisite del soggetto.Queste ultime dipendono non dalla nascita, bensì dal percor-so biografico e dalle scelte individuali.

I concetti di status e di ruolo consentono alla sociologia dianalizzare la dimensione soggettiva del passaggio alla mo-dernità, individuando trasformazioni nel modo in cui gli at-tori sociali si rapportano alla struttura sociale, nonché nelmodo in cui si definiscono aspettative reciproche. La dimen-sione soggettiva della modernità è descrivibile sulla basedella sempre maggiore rilevanza dei ruoli legati a statusascritti rispetto ai ruoli connessi agli status acquisiti. Par-sons, rifacendosi a Linton, così definisce la differenza traruoli ascritti e ruoli acquisiti: “I ruoli orientati in vista dellarealizzazione sono quelli che pongono l’accento sulle pre-stazioni da parte del soggetto titolare, mentre i ruoli attribui-ti sono quelli che pongono l’accento sulle sue qualità o suisuoi attributi, indipendentemente dall’aspettativa di presta-zioni specifiche”3.

L’acquisibilità del ruolo comporta una serie di garanzie per ilsoggetto, il quale: 1. può incidere su di esso, modificarlo, va-riarlo a seconda di scelte biografiche; 2. appare dunque più li-bero dai legami imposti dalla struttura sociale; 3. viene (o do-vrebbe normalmente essere) trattato in maniera egalitaria, nelmomento stesso in cui il riferimento della società al soggettonon si fonda su caratteri innati, bensì sui meriti. I ruoli orienta-

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3 T. Parsons, Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1996, p.71.

ti alla realizzazione sintetizzano i caratteri dell’individuo mo-derno: si tratta di un soggetto cui è in parte assegnata la respon-sabilità della costruzione della propria biografia e che ha inte-riorizzato una nuova concezione del lavoro, inteso come valore4.

È evidente come la descrizione della modernità basata sul-la realizzazione del soggetto abbia tratti idealtipici. Ciò che miinteressa, d’altronde, non è proporre una critica della descri-zione che Parsons fa del rapporto tra individuo, ruolo, societàmoderna, bensì di assumere quella descrizione come rappre-sentazione solida di una società altrettanto solida, quella indu-striale del secondo dopoguerra, caratterizzata rispetto alla so-cietà contemporanea da più forte coerenza e coesione, qualitàche si traducono in una maggiore stabilità biografica dell’at-tore e in una apparentemente non problematica attivazione diprocessi di inclusione sociale.

III.Assumo Talcott Parsons come l’esponente più tipico di unarappresentazione solida della modernità, spesso criticata perla sua incapacità di dar conto della dimensione storica e pro-cessuale dei fenomeni sociali5. Ne Il sistema sociale, Par-sons analizza le variabili strutturali, intese come orientamen-to di valore in grado di specificare le aspettative di ruolo e

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4 Sulla trasformazione, tipicamente moderna, della concezione del la-voro inteso come valore cfr. A. Accornero, Il mondo della produzio-ne, il Mulino, Bologna, 1994, p. 49: “Il processo attraverso il quale ènata l’industria ha richiesto che il lavoro diventasse un impegno assi-duo e naturale, e che l’operosità diventasse un valore. Ciò ha com-portato un ribaltamento nella posizione sociale del lavoro. Fin versola fine del ’700, infatti, il lavorare era considerato un’attività ignobi-le, tanto più se svolto con le mani e alle dipendenze [...] L’industriaha fatto sì che il lavoro venisse nobilitato e perfino legittimato”.

5 Una delle critiche più acute è in N. Elias, Che cos’è la sociologia, Ro-senberg & Sellier, Torino, 1990, pp. 10-33.

dunque i comportamenti degli attori sociali6. La funzionedelle variabili strutturali (pattern variables), cinque coppiedicotomiche, modellate sulla differenza classica Gemein-schaft/Gesellschaft, è quella di indicare all’attore, in relazio-ne al ruolo che riveste, in che modo dovrà comportarsi7. Levariabili strutturali, da un lato, evidenziano la necessità, tipi-ca della società contemporanea, di fissare linee guida checonsentano all’attore di orientarsi nella crescente molteplici-tà dei ruoli; dall’altro, la tendenza contemporanea a preferi-re nelle relazioni sociali la componente societaria (Gesell-schaft), riservando la componente comunitaria (Gemein-schaft) soprattutto alle relazioni intime e ai rapporti all’in-terno dei gruppi primari.

Dopo aver descritto le variabili strutturali e la loro fun-zione, Parsons adotta la tecnica della combinazione logicadei concetti, allo scopo di connettere coppie di variabili,così da individuare modelli di società caratterizzate da for-me diverse di orientamenti di valore. La connessione trarealizzazione e universalismo dà vita al modello universa-listico di realizzazione. La prima variabile (realizzazione)indica la dimensione operativa degli status acquisiti: peracquisire uno status è necessario agire, realizzando in talmodo scopi specifici, in maniera conforme ad aspettative

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6 T. Parsons, Il sistema sociale, op. cit., p. 65 e sgg.7 Elenco le variabili strutturali, elaborate da Parsons negli anni 50: af-

fettività vs. neutralità affettiva; diffusione vs. specificità; universali-smo vs. particolarismo; realizzazione vs. ascrizione; orientamentoverso il sé vs. orientamento verso la collettività. Nel corso di succes-sive elaborazioni, Parsons soppresse la quinta della variabili. Cfr. T.Parsons, Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1965, p.65 e sgg., ma cfr. anche T. Parsons, E. A. Shills, Toward a GeneralTheory of Action, The Free Press, New York, 1954. Sul tema cfr. P.Hamilton, Talcott Parsons, il Mulino, Bologna, 1989, p. 130 e sgg., eR. A. Wallace, A. Wolf, La teoria sociologica contemporanea, il Mu-lino, Bologna, 2000, pp. 43-48.

diffuse8. La seconda variabile (universalismo) rimanda aimeccanismi sociali di inclusione e viene opposta da Par-sons al particolarismo9. Il modello che integra le due varia-bili (modello universalistico di realizzazione), qualificauna struttura sociale in cui a tutti indistintamente (univer-salismo) è consentito di acquisire, tramite scelte specifiche,uno status diverso da quello determinato dalla nascita (rea-lizzazione).

Parsons non fornisce una definizione del concetto dimodernità, dal momento che diluisce la sua analisi suaspetti particolari, senza giungere a sintesi unitaria10. Cio-nonostante, il modello universalistico di realizzazione for-nisce indicazioni utili per individuare la concezione par-sonsiana del moderno, soprattuto in relazione all’attore so-ciale inteso come individuo autonomo, la cui azione non sibasa più su vincoli di natura particolaristica, ma che agisceoperando scelte razionali, orientate dai valori della realiz-zazione e dell’universalismo. L’immagine che deriva dalladescrizione del modello è quella di una società dinamica, incui la realizzazione rappresenta un orientamento fonda-mentale di valore in grado di condizionare le scelte degliattori in vista di una pluralità di scopi “che hanno la lorounità nella direzione piuttosto che nel contenuto specificodegli stati finali”11. La società moderna sembra costituita daazioni sociali fondate su una molteplicità di scopi non ricon-ducibili ad unità, il che rimanda, a livello strutturale, ma an-che soggettivo, alla tendenza alla differenziazione dei ruoli,

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8 La realizzazione si oppone per Parsons all’attribuzione, che qualificaun universo di valori e una struttura sociale in cui i ruoli vengono at-tribuiti per nascita, e non in base all’azione dei soggetti.

9 T. Parsons, Il sistema sociale, op. cit., p. 72. 10 Cfr. M. Bortolini, L’immunità necessaria. Talcott Parsons e la socio-

logia della modernità, Meltemi, Roma, 2005, p. 195. 11 T. Parsons, Il sistema sociale, op. cit., p. 193.

in particolare di quelli occupazionali. Al livello soggettivodelle motivazioni, la struttura di valore prevalente spinge ilsoggetto alla realizzazione, all’interno di uno schema uni-versalistico (dunque meritocratico) che fonda il sistema del-le ricompense sulle capacità dimostrate dall’attore. È evi-dente che definendo questo modello, Parsons ha in mente lasocietà a lui contemporanea, quella statunitense in particola-re. Ciononostante, la sua analisi ben si presta a definire larappresentazione sociologica di una realtà sociale solida, incui il soggetto, anche in base alla funzione integrativa delruolo occupazionale, è incluso nel sistema sociale senza ap-parenti contraddizioni.

Nel modello di Parsons, perdono rilievo i fattori orienta-tivi dell’azione di tipo particolaristico (in riferimento alla co-munità e alla parentela, ad esempio)12 ed emerge una conce-zione dell’individuo in cui il ruolo professionale assume unafunzione rilevante nella costruzione dell’identità sociale. Aciò concorre il fatto che le variabili strutturali legate all’af-fettività, al particolarismo, alla diffusione, all’attribuzionevengono relegate in ambiti funzionali sempre più circoscrit-ti, dal momento che nella modernità perde rilievo il riferi-mento alla parentela, alla comunità, all’etnia. Le vecchie dif-ferenze sociali, fondate sullo status ascritto e sulle solidarie-tà (di ceto, territoriali, etniche o religiose) che da esso deri-vano, vengono sostituite da nuove disuguaglianze, le qualiultime hanno a che vedere con la divisione funzionale del la-voro sociale, e dunque si definiscono all’interno di “una stra-tificazione sociale in termini di un sistema di classi aperto”13

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12 Cfr. T. Parsons, Il sistema sociale, op. cit., p. 196: “la base essenzialedi questo fenomeno [la perdita di rilievo dei riferimenti particolaristi-ci] è data dall’imperativo della piena mobilità entro il sistema profes-sionale; il che vuol dire che vincoli troppo stretti di solidarietà dellacomunità, i quali sono inevitabilmente diffusi piuttosto che specifici,possono costituire una seria minaccia per il sistema principale”.

13 Ivi, p. 197.

che agevola la mobilità e si adatta ai “modelli principali divalore” del moderno sistema sociale14.

Solo la dimensione circoscritta della famiglia consente lasopravvivenza di vincoli solidaristici di tipo particolaristico,e ciò dal momento che i valori della realizzazione e dell’uni-versalismo entrano in conflitto limitato con la solidarietà fa-miliare, per il carattere di piccolo nucleo sociale della fami-glia moderna, da cui sono stati estromessi gran parte dei ri-ferimenti solidaristici alla parentela più ampia, tanto che es-sa “in quanto unità locale di residenza, è al tempo stesso l’u-nità di parentela e di comunità”. Il ruolo occupazionale delpadre, d’altronde, determina la complessiva collocazione so-ciale dei membri della famiglia, così che, per Parsons, essa“piuttosto che l’individuo, costituisce sotto certi aspetti l’u-nità di mobilità”15.

Nel modello universalistico di realizzazione, la solidarie-tà per contesti sociali più estesi rispetto a quello familiare sitrasforma in vincolo affettivo rivolto alla nazione nella suainterezza, intesa come “unità comunitaria più ampia”16: que-sto vincolo solidaristico allargato neutralizza il particolari-smo perché si fonda sulla necessità di includere, a prescin-dere dai caratteri ascritti, tutti i cittadini al suo interno ed ap-pare dunque compatibile con l’universalità della realizzazio-ne. Al concetto di nazione va infatti connesso quello di citta-dinanza, da intendersi come “nuova base di inclusione” laquale trascura criteri ascrittivi, come ad esempio l’apparte-nenza a un gruppo etnico, e definisce al contrario “l’appar-tenenza in termini universalistici”17.

Libero da riferimenti particolaristici, il soggetto può muo-

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14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Ibidem. 17 Cfr. T. Parsons, Sistemi di società. Le società moderne, il Mulino, Bo-

logna, 1973, p. 146.

versi all’interno di un sistema che gli garantisce mobilità so-ciale in vista della realizzazione di sé e degli scopi legati alproprio ruolo occupazionale. Ne deriva un’immagine sem-plificata dell’attore sociale, un maschio adulto in grado dicostruire la propria identità in relazione al suo impegno la-vorativo, capace di accettare la logica delle differenze socia-li, al limite utilizzandole come strumento per la realizzazio-ne e il successo. Un individuo, in ultimo, in cui il ruolo oc-cupazionale sembra in grado di integrarsi, senza eccessivadifficoltà, con i ruoli familiari:

“supponiamo di avere un individuo in cui il modello gene-rale di orientamento di valore della realizzazione universa-listica, della specificità, della neutralità e dell’orientamen-to in vista della collettività sia ben stabilito nella strutturadella sua personalità fondamentale. In primo luogo, essen-do un maschio, egli deve apprendere che da un uomo, unavolta “cresciuto” in maniera da ricoprire un ruolo profes-sionale, ci si attende che “abbia un posto”, che “si guada-gni il pane”, e molto probabilmente che mantenga una fa-miglia. Egli deve apprendere che il sistema professionale èordinato gerarchicamente e che, se egli ha una spiccataambizione al successo, deve cercare di raggiungere unodei livelli più elevati del sistema professionale. Si ha per-ciò la connessione di un orientamento in vista della realiz-zazione altamente generalizzato con uno scopo assai piùspecifico, ma ancora molto generalizzato, di successo inun sistema professionale”18.

È indubbio il carattere ideal-tipico di questa rappresenta-zione della modernità solida. I sociologi che analizzano empi-ricamente la stratificazione sociale hanno messo in evidenzacome la classe d’appartenenza sia in grado di condizionare lamobilità sociale e i processi di inclusione19. L’uguaglianza me-

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18 Ivi, p. 247. 19 Cfr., ad esempio, J. H. Goldthorpe, Social Mobility and Class Structure

ritocratica prefigurata dai teorici dello struttural-funzionali-smo (Parsons in testa) cozza dunque contro la solidità delledifferenze sociali, in grado di impedire accesso, nonostante imeriti individuali. La modernità non ha, dunque, eliminato ledisuguaglianze, né le ha limitate: ne ha prodotte invece di nuo-ve, specificamente moderne. Eppure, almeno secondo Par-sons, l’uguaglianza del trattamento, legata all’idea di acquisi-zione meritocratica, diventa nella modernità un principio diorientamento sociale. Il passaggio dall’attribuzione alla realiz-zazione legittima l’inclusione degli attori sociali nei diversiambiti della società, tant’è che processi di esclusione possonoessere legittimati solo a patto che essi siano imputabili non acaratteri attribuiti per nascita agli attori sociali, bensì alla lorocapacità di realizzarsi nel mondo come soggetti20. Per Parsonsl’acquisizione diventa dunque una fonte di legittimazione del-le disuguaglianze, tanto più rilevante in quanto consente di in-dividuare un trattamento egalitario che garantisce le differen-ze: se tutti possono accedere ai diversi ambiti della società (in-clusione) e se la differenza dell’accesso dipende da qualità ac-quisite (competenze) la società appare insieme giusta e diffe-renziata, garantisce disuguaglianze senza attivare preclusio-ni21.

L’impostazione di Parsons chiarisce, meglio di altre, ilmeccanismo di funzionamento del processo di inclusione:non si tratta di includere per rendere uguali, ma di attivare

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in Modern Britain, Clarendon Press, Oxford, 1980; A. Cobalti, A. Schiz-zerotto, La mobilità sociale in Italia, il Mulino, Bologna, 1994.

20 Cfr. T. Parsons, Sistemi di società. Le società moderne, op. cit., p.153: “Le persone sono sempre più “addestrate” e selezionate a se-conda della capacità socializzata di occupare ruoli più responsabilitali da richiedere un livello più elevato di competenza e di offrire re-tribuzione più alta in base al reddito, all’influenza politica e, in mi-sura minore, al potere politico”.

21 Cfr. T. Parsons, Il sistema sociale, op. cit., p. 193.

differenze a partire dalla garantita possibilità di accesso. E lagaranzia dell’accesso è sia un processo che ha natura socia-le, dal momento che rimanda alla modernità e alla moder-nizzazione del rapporto tra individuo e struttura, ma ha an-che una componente individuale, dal momento che l’acqui-sizione è il frutto anche di scelte individuali.

Qual è, in sintesi, la rappresentazione che Parsons forni-sce della modernità solida? Si tratta di un sistema sociale ingrado di superare i limiti dell’attribuzione, in cui il soggetto,socializzato all’interno della famiglia in un processo di defi-nizione della sua personalità fondamentale22, viene prepara-to all’assunzione di un ruolo occupazionale nella strutturauniversalistica delle differenze. La preparazione all’accetta-zione delle differenze viene rafforzata dal sistema educativo,al cui interno “la stratificazione in base alle abilità è media-ta da una serie complessa di stadi del processo di socializza-zione”, i quali garantiscono anche a coloro che si trovano inuna posizione iniziale di svantaggio, “di avere successo at-traverso un processo di selezione regolato in modo inusitatoda norme universalistiche”23. Lo stato-nazione, in ultimo,sintetizza i particolarismi dei riferimenti alla comunità, al-l’etnia, all’appartenenza religiosa, ecc., e si fa garante del-l’inclusione attraverso i diritti di cittadinanza.

IV.Nella rappresentazione che Parsons fa della modernità, tuttoconverge in direzione di una armonizzazione del rapporto traindividuo e società. La biografia normale si presenta comeun percorso lineare, in cui possono anche emergere conflitti

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22 Cfr. ivi., cap. VI, passim. 23 Le due citazioni sono in T. Parsons. Sistemi di società. Le società mo-

derne, op. cit., p. 153.

tra ruoli differenti, conflitti che la struttura delle aspettativesociali riesce il più delle volte a neutralizzare24. In questopercorso lineare, il ruolo occupazionale svolge una funzionerilevante come base della costruzione dell’identità e della re-lazione tra attori, se è vero che “la sfera professionale ha [...]inequivocabilmente rappresentato nella società industriale illuogo antropologico dove consolidare il riconoscimento econsolidare il legame sociale”25.

Nella prima modernità, ci ricorda Ulrich Beck, il lavoro èuno tra gli elementi cardine della struttura sociale, sia al livel-lo micro della costruzione dell’identità, sia al livello macrodelle scelte di natura politica: “Non solo il reddito e la sicu-rezza sociale vengono mediati dal lavoro stipendiato, ma an-che i rapporti sociali, la reputazione, la posizione che si assu-me nella gerarchia della società vengono definiti essenzial-mente dal tipo di lavoro che uno svolge e dalla considerazio-ne che a quel lavoro viene attribuita”. Il lavoro in certa misu-ra opera da cerniera tra la struttura sociale, in particolare il si-stema economico, e il soggetto, il quale ultimo percepisce sestesso in relazione alla sua attività lavorativa: “L’appartenenzaalla società e con essa anche l´autostima e la percezione di rea-lizzare nel lavoro se stessi e di sviluppare una propria identitàsono essenzialmente connessi alla partecipazione al lavoro”26.

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24 Cfr. R. K. Merton, “The Role-Set: Problems in Sociological Theory”,in British Journal of Sociology, 8, 1957, p. 113, dove Merton sottoli-nea come, nella società americana, i ruoli occupazionali e familiariassumono maggiore rilevanza rispetto ad altri ruoli.

25 F. Chicchi, cit., p. 91. Sul tema della rilevanza della professione nel-la costruzione delle biografie nella modernità, cfr. M. Corsten, “Be-rufsbiographie als institutionelle Skripte”, in H. M. Hoering, M. Cor-ste (Hrsg.), Institution und Biographie. Die Ordnung des Lebens,Centaurus, Pfaffenweiler, 1995, pp. 15-25, il quale individua in We-ber l’iniziatore di una linea di pensiero che colloca la costruzione dibiografie nelle scelte di natura professionale.

26 Entrambe le citazioni sono in U. Beck, “Die Zukunft der Arbeit oder

L’aproblematicità dell’inclusione e la concezione dellabiografia come percorso lineare sono due aspetti che eviden-ziano l’inadeguatezza della descrizione sociologica dellamodernità proposta da Talcott Parsons e dallo struttural-fun-zionalismo. Non si tratta tanto di inadeguatezza teorica, ben-sì dell’incapacità di una concezione rassicurante del moder-no di confrontarsi con le molte trasformazioni in atto. La so-lidità, almeno apparente, della modernità industriale (quellada cui Parsons traeva ispirazione teorica) ha ceduto il passoalla liquidità delle relazioni e delle strutture sociali27. Ciòproduce una de-stabilizzazione complessiva del mondo so-ciale, per la quale i caratteri della modernità non vengono su-perati e sostituiti: vengono piuttosto radicalizzati.

A livello strutturale, i mutamenti prendono il nome di glo-balizzazione dei processi economici e sociali e riguardanouna sempre più forte differenziazione dei sistemi sociali, inparticolare di quello politico ed economico. Se Parsons po-teva ragionare in termini di alleanza tra economia e politica,la seconda in grado di garantire, sulla scorta della lezione diMarshal, processi di inclusione laddove la prima fallisse, icritici della modernità contemporanea evidenziano la sempremaggiore incapacità del sistema della politica di proporre eattuare politiche economiche e di welfare in grado di garan-tire inclusione. Gli attuali processi, legati in particolare allaglobalizzazione dell’economia, rendono lo stato del benes-sere sempre meno capace di dare risposte efficaci alle que-stioni emergenti28. Il saldo legame tra fordismo come modo

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die politische Ökonomie der Unsicherheit”, in Berliner Journal fürSoziologie, 4/1999, p. 468.

27 Il riferimento è, ovviamente, al concetto di modernità liquida conia-to da Bauman.

28 Cfr. U. Beck, “L’epoca delle conseguenze secondarie e la politicizza-zione della modernità”, in U. Beck, A. Giddens, S. Lash, Moderniz-zazione riflessiva. Politica, tradizione e estetica nell’ordine sociale

di produzione e stato del benessere come modalità di gestio-ne della politica (la configurazione di potere politico econo-mico fordista-keynesiana di cui parla Harvey29), aveva ga-rantito una stabilità provvisoria contro le incertezze derivan-ti dalle crisi cicliche dell’economia capitalistica. Tale stabili-tà era assicurata dall’attivazione di processi di inclusione,garantiti politicamente all’interno di meccanismi fiscali che,tassando i profitti, si preoccupavano di attuare forme di re-distribuzione del reddito.

Se lo stato sembrava a Parsons una struttura in grado digarantire solidarietà all’interno del modello universalisticodi realizzazione, ciò era possibile solo in quanto la politica siproponeva come garante ultimo dell’inclusione. Venuta ora-mai meno la forza unificante dello stato-nazione, anche inragione del complessivo fallimento delle politiche sociali(non solo incapaci di produrre inclusione, ma spesso respon-sabili di disuguaglianze derivanti dalla loro implementazio-ne), la logica dell’inclusione appare sempre più subordinataalla forza persuasiva delle esclusioni di fatto. A ben guarda-re, la perdita di capacità di controllo dello stato e delle poli-tiche di welfare hanno conseguenze profonde sul modo incui, fino a qualche anno fa, la sociologia ha creduto di poterrappresentare la modernità. Nel modello parsonsiano, l’inte-grazione sociale era un processo complesso ma, tutto som-mato, aproblematico: il soggetto accettava la logica delle dif-ferenze, anche perché il principio meritocratico della realiz-zazione sembrava garantirgli pari opportunità. La biografia

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della modernità, Asterios Editore, Trieste, p. 72: “ […] i diritti di so-vranità dei singoli stati-nazione sono ormai da tempo diventati illu-sori di fronte a intrecci economici mondiali e della sicurezza milita-re, così che le arene della decisionalità democratica e le effettive di-pendenze si dissolvono, quasi irrimediabilmente”.

29 D. Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993,p. 155.

appariva lineare: lavoro, famiglia, tappe biografiche standar-dizzate, tutto convergeva verso una stabilizzazione routinariadel percorso biografico30. Ciò cui si assiste nella modernitàcontemporanea è, al contrario, un’erosione del carattere31,una perdita di riferimenti sociali32, una spinta forte all’indi-vidualizzazione, cui non corrispondono però certezze, mo-delli coerenti, aspettative stabilizzate33. La biografia norma-le, costruita sulla base di una serie di aspettative valide per ilfuturo, definiva il percorso biografico complessivo del sog-getto (istruzione, lavoro, matrimonio, pensionamento, ecc.)garantendo una stabilità dinamica. Ciò cui si assiste da qual-che anno è un fenomeno di segno contrario: una de-istitu-zionalizzatione dei percorsi biografici, vale a dire la ridottacapacità della società contemporanea di costruire modelli divita socialmente coerenti e stabili, cui è connessa una plura-lizzazione delle possibilità, dunque una sostanziale instabili-tà delle biografie e delle aspettative ad esse connesse34 .

V. Che cosa aggiunge alla ricostruzione teorica che ho propo-sto, in cui la modernità solida viene sostituita dai caratteri li-quidi della seconda modernità, il materiale empirico a nostradisposizione? Senza scendere in dettagli analitici, per i qua-

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30 Cfr. R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capita-lismo sulle persone, Feltrinelli, Milano, 1999.

31 Cfr. ivi. 32 Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2000. 33 Cfr. M. Maffesoli, Del nomadismo. Per una sociologia dell’erranza,

FrancoAngeli, Milano, 2000, ma anche U. Beck, La società del ri-schio: verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.

34 Cfr. M. Kohli, “Normalbiographie und Individualität: Zur institutio-nellen Dynamik des gegenwärtigen Lebenslaufregimes”, in H.-G.Brose, B. Hildenbrand (Hrsg.), Vom Ende des Individuum zur Indivi-dualität ohne Ende, Leske&Budrich, Opladen, 1988, pp. 33-53.

li rimando agli altri lavori presenti nel volume, mi sembra sipossano sottolineare alcuni elementi. Da un lato, nelle inter-viste qualitative da noi effettuate il modello parsonsianosembra resistere, quanto meno come orientamento di valore.Il lavoro è infatti ancora percepito come garanzia di auto-identificazione ed etero-riconoscimento. Ed al lavoro sem-brano essere connesse aspirazioni legate ad altre sfere dellarealizzazione biografica (in particolare alla famiglia e conessa alla paternità/maternità). Il modello universalistico direalizzazione appare così un modello ideale, contro il qualeè possibile stabilire, per contrasto, differenze: se l’intervista-to è ancora precario, ciò viene spesso percepito non tanto co-me il risultato di strategie economico-aziendali e di scelte dinatura politica e giuridica, bensì come difficoltà soggettivadi entrare nella rete di relazioni e conoscenze (soprattutto dinatura politica) che garantiscono, particolaristicamente, il la-voro stabile solo ad alcuni, e non in base ai meriti.

Uno dei motivi per il quale la piena occupazione (feno-meno tipico della modernità industriale) sembra un obiettivodifficile da raggiungere nella modernità avanzata, affermaUlrich Beck, è che sempre più numerosi sono gli individuiche premono per accedere al mercato del lavoro35. La pienaoccupazione, caratterizzata da rapporti di lavoro stabili, erain realtà piena occupazione maschile, in un modello di so-cietà (ce lo ha insegnato Parsons) in cui economia (nel sen-so di partecipazione al mercato del lavoro), politica (intesacome cittadinanza) e famiglia (coi ruoli di genere ad essaconnessi) garantivano ai soggetti stabilità psicologica e con-siderazione sociale. “Se tuttavia la metà femminile dell’u-manità, con gli stessi buoni motivi degli uomini, ambisce aun lavoro remunerato, ciò rende la piena occupazione una

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35 U. Beck, “Wohin führt der Weg, der mit dem Ende der Vollbeschäfti-gungsgesellschaft beginnt”, in Id. (Hrsg.) Die Zukunft von Arbeit undDemokratie, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 2000, pp. 26-31.

pura illusione”36. La forte presenza femminile tra i nostri in-tervistati (dovuta anche alla specifica modalità di estrazionedel campione) mostra come l’aspirazione al lavoro (stabile,sicuro, durevole) non rappresenti neanche nella provincia diLecce una specificità maschile. Si manifesta contempora-neamente un ruolo di supporto della famiglia di origine, do-ve opera una serie di figure femminile legate a ruoli tradi-zionali che coadiuvano la lavoratrice precaria, a cui comun-que è assegnata la gran parte dei compiti di cura. Ancora unavolta, caratteri della seconda modernità (l’offerta di lavorofemminile) si mescolano con elementi tradizionali: il ruolodi supporto della famiglia di origine e la femminilizzazionedei compiti domestici (su questi aspetti, si legga il saggio diAnna Maria Rizzo).

Mentre nel territorio di riferimento hanno stentato a rea-lizzarsi alcuni dei caratteri della modernità solida, avanza in-vece la coazione alla flessibilità, la quale assume nel Salen-to (probabilmente nel Mezzogiorno) caratteri specifici. Larealizzazione, nell’accezione di Parsons, è un correlato dicarriera, nel senso che i caratteri acquisiti dello status lavo-rativo sembrano stabilizzare l’identità del soggetto, il qualepuò alla fine darsi pace, dal momento che il suo percorso la-vorativo sembra poter procedere su binari stabili. Al contra-rio, la realizzazione radicalizzata che viene descritta dai no-stri intervistati sembra costringere il lavoratore a un semprenuovo inizio. In questo senso, la flessibilità spesso nel Mez-zogiorno si trasforma in precariato esistenziale, perde i ca-ratteri della scelta (tipici della realizzazione parsonsiana) e siconverte in destino. Si potrebbe, paradossalmente, parlaredel carattere quasi-ascrittivo del ruolo precario: il precariopercepisce e descrive se stesso non sulla base della sua qua-lifica (realizzazione), ma in quanto lavoratore atipico, insta-

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36 Ivi, p. 27.

bile, cui si chiede costantemente di riadattarsi alle mutevolicondizioni ambientali (quasi-ascrizione). È per questo che ilruolo occupazionale qualifica solo debolmente il soggetto, ilcui status viene definito invece in maniera incisiva dalla ti-pologia del contratto (co.co.co, co.co.pro, interinale, ecc.). Èprobabilmente per questo che, tra i precari di lunga durata,ma anche tra i giovani “atipici” da noi intervistati, apparechiara una rassegnazione fatalistica al destino di lavoratoreatipico.

“mi rendo conto che il lavoro si sta allontanando da me, le possibilitàstanno diminuendo, lavori di meno e se anche volessi tirar su qualcosada solo, non lo puoi fare, se non hai niente da mettere in gioco diventadifficile” “Non mi aspetto molto, a parte qualche esperienza di lavori oc-casionali, a tempo determinato che mi potrebbero capitare” (intervista23, M. 45 anni, attualmente disoccupata).

“prima di tutto bisogna togliersi dalla testa il lavoro fisso, che non esi-ste più” ( intervista 28, R., 27 anni, manutentore elettronico, a tempo de-terminato).

“[spero che il mio lavoro interinale] diventi a tempo determinato, l’in-determinato è un sogno che non si può realizzare. Come dicevo prima ilpart-time sarebbe l’ideale” (intervista 20, M., 28 anni, repartista-cassie-ra, interinale).

“mi aspetto di trovare un posto fisso se ci riuscirò, altrimenti se non c’èniente da fare mi adeguerò” (intervista 24, P., 26 anni, interinale).

In una situazione debole del mercato del lavoro comequella meridionale (salentina, nello specifico), le aspettativevengono significativamente ridimensionate, nel senso che illavoro, anche quello atipico nelle sue diverse configurazioni,appare comunque un obiettivo difficile da raggiungere. Gliintervistati sembrano aver appreso la logica sottesa alla fles-sibilità, tendono ad adattarsi alle richieste del mercato, strut-turano le proprie aspettative occupazionali in relazione a unmercato che chiede loro di adeguarsi. L’adeguamento non ri-

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guarda solo la disponibilità ad accettare forme atipiche dicontratto, ma anche la disponibilità, già individuata da Gal-lino, ad “adattare ripetutamente l’organizzazione della pro-pria esistenza, nell’arco della vita, dell’anno, sovente perfi-no del mese o della settimana, alle esigenze mutevoli della odelle organizzazioni produttive che la occupano, private opubbliche che siano”37.

“noi cambiamo reparto ad ogni incarico, loro non tengono conto del no-stro stato psicologico, perché ogni volta devi imparare determinate cosee devi interagire con determinate persone e devi adattarti. Ogni anno de-vi adattarti a un reparto diverso e alle sue esigenze, ad un altro caposa-la, ad altri medici. Non c’è rispetto della gente, per le persone che lavo-rano” (intervista 26, L., 38 anni, infermiera professionale, a tempo de-terminato).

“di negativo nel contratto a tempo determinato c’è il fatto di dover cam-biare sempre posto di lavoro, un continuo adattamento, nuovi colleghi,una serie di cose anche a livello psicologico” “ti trattano da schiavi, an-zi gli schiavi stanno meglio” (intervista 16, L., infermiera a tempo inde-terminato).

“Il mio lavoro non mi manca mai, ma è un continuo evolversi di situa-zioni nuove, spostamenti, incertezza perché questi contratti a tempo so-no utilizzati dalle aziende finché hanno bisogno, però nel momento in cuidecidono di staccare la spina per due, tre mesi e prendere un altro, sta ate trovare un’altra alternativa” (intervista 21, M., 35 anni, autista d’am-bulanza, a tempo determinato).

“bisognerebbe dare la possibilità di lavorare a chi ha la formazione perfarlo. Io ho molti colleghi che hanno iniziato a lavorare e l’azienda li haformati, facendoli diventare degli operai esperti e poi li ha licenziati e neha fatti lavorare altri, quindi ci sono costi elevatissimi, perché si sonospesi dei soldi pubblici per formare del personale che poi è stato co-munque licenziato” (intervista 29, M., autista d’ambulanza, a tempo de-terminato).

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37 L. Gallino, Il costo umano della flessibilità, Laterza, Roma-Bari,2001, p. 41.

Ancora una differenza rispetto alla rappresentazione so-lida della società: mentre la formazione consentiva l’acqui-sizione di competenze, e da queste derivava stabilità lavo-rativa, il binomio formazione-occupazione non sembra reg-gere più alla prova dei fatti. La flessibilità si traduce in pre-carietà, dal momento che, come evidenzia l’ultimo brano diintervista citato, la qualificazione professionale da sola nonbasta a garantire percorsi lavorativi privilegiati. La realiz-zazione, radicalizzandosi, impone al soggetto lavoratore diacquisire competenze sempre nuove, di sommarle a quellegià acquisite, senza che questo possa trasformarsi in garan-zia di percorsi lavorativi stabili.

Il carattere insieme flessibile e precario del ruolo occu-pazionale può produrre difficoltà per il soggetto in meritoai processi sociali di riconoscimento. Ma produce anchedifficoltà strutturali, nel senso che si infrange il modellosolido di società per cui la realizzazione era garanzia di in-clusione sociale. La realizzazione radicalizzata dell’epocadella flessibilità impone all’attore sociale una costante dis-ponibilità al cambiamento: ciò produce soggetti deboli, in-capaci di realizzare la propria indipendenza economica, ilcui futuro appare incerto, e che per questo tendono a rin-viare decisioni importanti, scelte biografiche forti.

“Non posso fare progetti. Non posso nemmeno decidere di programmareuna gita perché mi possono chiamare e dirmi: “domani devi lavorare”.Il matrimonio per me lo vedo lontano [...]” (intervista 20, M., 27 anni,repartista-cassiera, interinale).

“La famiglia, da un anno e mezzo che ho iniziato a lavorare, con unaprospettiva più lunga magari, con un lavoro a tempo determinato si puòpensare; ma per ora con un contratto di sei mesi, allo scadere dei sei me-si non so se posso garantire uno stipendio o se devo andare a lavorareda un’altra parte [...] se mio figlio mi chiede qualcosa di particolarespero di poterlo accontentare senza dire no, questo mese non posso per-ché papà non ha più il lavoro” “Non puoi portarti dietro una persona al-l’avventura. Se io non ho niente per me, come posso mantenere due per-sone, non è bello, perché devo rovinare un’altra persona se io adesso non

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ho garanzie di futuro” (intervista 5, C., 29 anni, infermiere professiona-le, a tempo determinato). “Io ho avuto il coraggio di mettere su famiglia, di mettere al mondo deifigli, ma se non ci dovesse essere il lavoro, come faremo? Quando sei so-lo può anche andare bene un contratto di tre mesi o di sei mesi, ma quan-do ti assumi delle responsabilità ed un uomo deve essere responsabilecome si fa?” (intervista 10, S., più di 40 anni, collaboratore scolastico, atempo determinato).

“non posso far nulla, mi sento un vecchio che se n’è fatta una ragione,ho trenta anni e mi sono rotto le scatole di stare così. Se avrò un figliomi chiamerà nonno e non papà” (intervista 5, C., 29 anni, infermiereprofessionale, a tempo determinato).

I frammenti di interviste confermano, se mai ce ne fossebisogno, quel processo a cui Beck si è efficacemente riferitocome brasilianizzazione dell’Occidente, cioè la tendenza aldissolvimento delle differenze tra Primo e Terzo Mondo inrelazione alle certezze biografiche e esistenziali che avevanocaratterizzato la modernità industriale: “Ciò cui assistiamo èl’irruzione della precarietà, della discontinuità, della flessi-bilità, dell’informalità all’interno dei bastioni occidentalidella piena occupazione”38. Un effetto inatteso e insiemequasi una conferma paradossale delle teorie della conver-genza, per cui aspetti tipici del lavoro del Sud del mondo, ein particolare “la varietà, la confusione e l’insicurezza delleforme lavorative”39, fanno irruzione in Occidente, modifi-cando stabilità consolidate. Questa brasilianizzazione operain maniera ancora più marcata in una zone periferica dellamodernità come il Salento, dove si è passati da una situazio-ne in cui le certezze occupazionali erano garantite in parti-colare dagli enti pubblici, convivendo con zone franche di la-voro nero, sottopagato, a cottimo, ad una situazione in cui

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38 U. Beck, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle si-curezze e nuovo impegno civile, Einaudi, Torino, 2000, p. 3.

39 Ibidem.

sono comparse nuove modalità di precarizzazione della bio-grafia occupazionale, non solo nel privato ma, come dimo-strano le interviste ai precari delle AUSL, anche nel settorepubblico.

È in una situazione di questo tipo che alcune riflessionicontemporanee sulla molteplicità di opzioni che si presenta-no al soggetto nella contemporaneità perdono rilevanza nel-la dimensione locale. È infatti possibile immaginare la fles-sibilità come incremento delle capacità di scelta del sogget-to, un allargamento della libertà, che l’individuo modernosperimenta con l’abbattimento dei vecchi vincoli ascrittivi. Illavoro può subire un processo di individualizzazione, in cuisecondo Beck convergono diversi aspetti: “il processo esi-stenziale di allontanamento dalle tradizioni, ovvero la bio-grafia normale si trasforma in biografia delle scelte o bio-grafia del bricolage. Il lavoro viene “fatto a pezzi”, sia perquanto riguarda i suoi tempi sia per quanto riguarda i rap-porti contrattuali”40. L’ulteriore brasilianizzazione del merca-to del lavoro della provincia di Lecce, favorita dalle normesulla flessibilità, in realtà non configura una ri-determina-zione antropologica del soggetto lavoratore, il quale non ap-pare liberato dai vincoli della tradizione, ma condizionato daun mercato del lavoro poco dinamico a percepire la preca-rietà come l’ultima delle chances. Gli intervistati non si pre-sentano come homines optionis, bensì come soggetti in cui lamancanza di scelte, per quanto rischiose, si trasforma inadattamento forzoso:“meglio ferito che morto; meglio unostipendio che non è sicuro che niente”, sintetizza così un in-tervistato la mancanza di scelte e la necessità territoriale diaccettare la precarietà come destino.

Alcuni dati del questionario somministrato a lavoratoriflessibili o con esperienza pregressa di flessibilità confer-

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40 Ivi, pp. 107-108.

mano, sebbene in maniera solo apparentemente contraddit-toria, questa coazione all’adattamento. La domanda rivoltaagli intervistati sul livello di soddisfazione rispetto al lavo-ro svolto mostra, infatti, risultati non immediatamente inter-pretabili.

Tab. 1 - Soddisfazione del lavoro che svolge/ha svolto (%)

Se 39,4 % si dichiara molto e il 47,4 % abbastanza soddi-sfatto del lavoro che svolge, ciò lascerebbe supporre che ilcampione, nella sua maggioranza (86,8%) viva senza traumila propria condizione di precariato41. È anche vero che il li-vello di soddisfazione diminuisce tra coloro che lavorano peragenzie interinali ed aumenta tra coloro che dichiarano diavere maggiore autonomia nei processi decisionali legati allavoro svolto. Il quadro comunque non cambia a livello in-terpretativo, nel senso che la grande maggioranza degli in-tervistati si dichiara soddisfatto del proprio lavoro, sebbeneprecario. Anche in relazione ad altri fattori di soddisfazione,i risultati mostrano una netta predominanza delle rispostepositive. Le risposte molto o abbastanza arrivano al 95% inrelazione alla “regolarità della retribuzione”, raggiungono il

31

41 Va detto che il campione è costituito per il 31,0% da soggetti che, puravendo svolto lavoro atipico, hanno avuto modo di stabilizzare la pro-pria condizione occupazionale.

grado disoddisfazione

sesso dell'intervistato ente datore di lavoro Totale

maschio femmina istituzione agenzia

molto 34,2 42,4 42,7 34,5 39,4

abbastanza 52,6 44,3 46,0 49,4 47,4

poco 5,9 8,0 6,5 8,4 7,2

per niente 7,3 5,3 4,8 7,7 6,0

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

(n. 152) (n. 264) (n. 248) (n. 168) (n. 416)

92% per ciò che attiene il rapporto con i colleghi, supera ab-bondantemente l’80% in relazione ai turni di lavoro e al rap-porto con i superiori, si collocano attorno al 75% per ciò cheriguarda i ritmi di lavoro e le condizioni ambientali; sfiora-no il 73% in relazione all’arricchimento professionale e il67% rispetto alla capacità di influire sull’organizzazione dellavoro. Sebbene variabili legate al sesso, all’età, ma soprat-tutto al tipo di contratto, siano in grado di influenzare sensi-bilmente il livello di soddisfazione percepito dagli intervi-stati, ciò non toglie che, nel complesso, i lavoratori intervi-stati sembrerebbero sostanzialmente appagati.

Parrebbe dunque che l’atipicità del lavoro non crei pro-blemi: produrrebbe cioè soggetti-lavoratori soddisfatti, auto-nomi, in grado di scegliere tra opportunità differenti. Ma èproprio così? La chiave interpretativa che adotto in relazionea questi risultati è quella della coazione all’adattamento. Giài dati qualitativi, cui sopra ho fatto riferimento, dimostranoquanto il lavoro atipico sia percepito come una necessità do-lorosa, all’interno di un mercato del lavoro per molti versi in-capace di fornire opportunità stabili. Il lavoro a scadenza,qualunque ne sia la tipologia contrattuale, viene percepitocome unica chance, cui ci si adatta perché all’orizzonte nonsi riesce ad intravedere altra alternativa.

Tab. 2 - Il lavoro atipico è in relazione all'ente che ha fornito i dati (%)

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istituzione agenzia Tot.

un'occasione per crescere professionalmente 14,1 15,5 14,7

un'occasione per evitare di svolgere sempre lo stesso lavoro

2,0 1,8 1,8

un'opportunità di lavoro 21,4 23,8 22,4

un'opportunità per trovare un lavoro stabile 18,1 18,5 18,3

un adattamento forzato 44,0 38,0 41,6

altro 0,4 2,4 1,2

100,0 100,0 100,0

(n. 248) (n. 168) (n. 416)

La chiave di lettura della coazione all’adattamento con-sente di interpretare l’apparente contraddizione tra i datiqualitativi e l’immagine di lavoratori atipici appagati e sod-disfatti derivante dalle risposte ad alcune delle domande delquestionario. Quando si è chiesto agli intervistati di definireil lavoro atipico, il 41,6% ha risposto che si tratta di un adat-tamento forzato e il 22,4% lo ha considerato semplicementeun’opportunità di lavoro. In questo caso, la condizione occu-pazionale attuale tende a influire sulla risposta, nel senso chesono soprattuto gli atipici (44,1%) e i disoccupati (52,7%) aconsiderare il lavoro atipico un adattamento forzato. Di con-tro, solo il 31% degli occupati stabilmente sceglie questa op-zione di risposta. Senza scendere nei particolari dell’analisi,per le quali si rimanda al saggio di Giuseppe Gaballo pre-sente in questo volume, ciò che sembra emergere da dati ap-parentemente contraddittori (da un lato forte soddisfazioneespressa in relazione al lavoro, dall’altro una concezione ne-gativa o neutrale del lavoro flessibile o precario) è la neces-sità di accettare il lavoro a termine come condizione lavora-tiva ineludibile. Da un lato, infatti, la coazione all’adatta-mento tende a far percepire le condizioni lavorative in chia-ve sostanzialmente favorevole, dall’altro il lavoro atipico èconcepito nella sua dimensione biograficamente negativa,come adeguamento soggettivo ad un mercato del lavoro chenon presenta alternative plausibili.

VI.Se mai la rappresentazione solida della società proposta daParsons sia stata in grado di rappresentare efficacemente lamodernità è una questione aperta. In quanto rappresentazio-ne teorica altamente sofisticata, essa ha fornito alla sociolo-gia una chiave interpretativa del moderno, a partire dallaquale era possibile comprendere, per contrasto, le differen-ze tra il modello e le sue realizzazioni concrete. In una si-tuazione fluida, per certi versi scomposta, difficile da ricon-

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durre a sintesi come quella attuale, alla teoria non si chiedepiù la forza persuasiva di una rappresentazione convincente.Molto di più, le si chiede di porre questioni, dubbi, anche inrelazione alla sua capacità esplicativa. I lavori che questeconsiderazioni introducono, ma anche le analisi che al lorointerno sono state articolate, non hanno la pretesa di con-frontarsi con la teoria sociologica. Utilizzano invece i riferi-menti teorici nel tentativo di spiegare un fenomeno circo-scritto (quello della flessibilità/precarietà del lavoro) all’in-terno di un territorio anche esso circoscritto (la provincia diLecce). Ciò che emerge è un contesto in cui tratti tipici del-la modernità contemporanea (rischio, incertezza, instabilitàbiografica) si coniugano a caratteristiche probabilmentepresenti anche in altre zone del Sud, ad alcune delle quali hofatto riferimento esplicito, mentre ad altre si farà cenno inseguito: sfiducia nella politica, critica al clientelismo, ruolosostitutivo della famiglia, mancanza di opportunità e co-azione all’adattamento.

Se il modello parsonsiano dell’universalismo della realiz-zazione si è convertito in realtà concreta, non è avvenuto qui,dove semmai ha funzionato il modello non parsonsiano delparticolarismo delle clientele. Al contrario, i processi di de-stabilizzazione indotti dalla globalizzazione appaiono ancheda noi nella loro concretezza. Assumono, ad esempio, i ca-ratteri della crisi delle piccole e medie imprese del settoredell’abbigliamento e del calzaturiero, schiacciate dalla con-correnza asiatica. O ancora, si configurano come processo didelocalizzazione, per esempio in Albania, con conseguenteperdita di posti di lavoro. Nella nostra periferia della moder-nità, dove la modernità industriale ha tardato a prendere pie-de, si avvertono gli effetti destabilizzanti della modernitàcontemporanea. Le attuali incertezze, i rischi della globaliz-zazione, le difficoltà biografiche si sommano alle incertez-ze, ai rischi, alle difficoltà del contesto locale, aggiungendoprecarietà a precarietà e convertendo così la retorica dellaflessibilità in assenza di chances individuali e collettive.

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SGUARDI D’INSIEME

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