Per una topografia letteraria di Costantinopoli: il mitaton dei Saraceni di Niceta Coniata

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Per una topografia letteraria di Costantinopoli: il mitaton dei Saraceni di Niceta Coniata* «MEG» 14, 2014, pp. 267-283 Mercanti stranieri nell’impero bizantino A Costantinopoli, la presenza di mitata, vale a dire di strutture fortemente regola- mentate, nelle quali i mercanti stranieri (e, in particolare, i commercianti di seta provenienti dalla Siria) potevano risiedere, depositare le merci e svolgere la pro- pria attività, è nota – grazie alle indicazioni contenute nel Libro dell’Eparco – e documentata, anche se in termini discontinui, a partire dal IX-X secolo. 1 È questa, infatti, la fase in cui l’amministrazione bizantina decise, per motivi di sicurezza e di * Questo contributo nasce dalla costruttiva esperienza compiuta sotto la guida della prof.ssa Anna Pontani, che mi ha chiesto di realizzare le carte tematiche a corredo del terzo volume del- l’opera storica di Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (Narrazione cronologica), III, (Libri XV-XIX), a cura di A. P., [Milano] 2014 (nella collana Scrittori Greci e Latini della Fon- dazione Lorenzo Valla-A. Mondadori). Più precisamente deriva dal lavoro compiuto per la mappa della città di Costantinopoli nel XII sec., che si trova nel suddetto volume, e si configura come un primo approfondimento di natura bibliografica di essa; seguirà un secondo approfon- dimento di natura ricognitiva, da condurre direttamente sul campo (a Istanbul), volto alla verifi- ca della cosiddetta “verità terreno”, cioè ad una attenta osservazione del paesaggio e dei suoi ca- ratteri morfologici finalizzata a determinare la correttezza delle considerazioni qui formulate. Il mio impegno inoltre continua con la redazione delle mappe e delle note topografiche relative al I volume di Niceta Coniata, la cui seconda edizione, completamente rifatta rispetto a quella del 1994, verrà pubblicata nel 2016, a cura della stessa A. Pontani. Di seguito riporto le abbreviazio- ni dei titoli più utilizzati: Anderson 2009 = G. D. Anderson, Islamic Spaces and Diplomacy in Constantinople (Tenth to Thirteenth Centuries C.E.), «Medieval Encounters» 15, 2009, pp. 86- 113; Burns 1975 = R. I. Burns, S.J., Medieval Colonialism. Postcrusade Exploitation of Islamic Va- lencia, Princeton, NJ 1975; Colletta 2012 = T. Colletta (ed.), Città portuali del Mediterraneo. Luoghi dello scambio commerciale e colonie di mercanti stranieri tra Medioevo ed età moderna, Milano 2012; Constable 2003 = O. R. Constable, Housing the Stranger in the Mediterranean World. Lodging, Trade, and Travel in Late Antiquity and the Middle Ages, Cambridge 2003; Lo- pez 1945 = R. S. Lopez, Silk Industry in the Byzantine Empire, «Speculum» 20, 1945, pp. 1-42; Madden 1993 = T. F. Madden, The Fires of the Fourth Crusade in Constantinople. 1203-1204: A Damage Assessment, «Byzantinische Zeitschrift» 84/85, 1991-1992, pp. 72-93; Poleggi 1989 = E. Poleggi (ed.), Città portuali del Mediterraneo. Storia e Archeologia, Atti del Convegno Internazio- nale di Genova (1985), Genova 1989; Pontani 2012 = A. Pontani, Note all’opera storica di Niceta Coniata. II (pp. 475, 26-576, 95 van Dieten), «Medioevo Greco» 12, 2012, pp. 285-306; Ritt 2010 = T. W. Ritt, Relations between Muslims and Christians in the Medieval Kingdom of Valencia, Jaume I to Pere IV: 1238-1387, Electronic Theses, Treatises and Dissertations of the Florida State University, 2010. 1 J. Koder (Hrsg.), Das Eparchenbuch Leons des Weisen, Wien 1991, pp. 94-101. Cfr., inoltre, Lopez 1945, pp. 25-31; E. Concina, Fondaci. Architettura, arte e mercatura tra Levante, Venezia e Alemagna, Venezia 1997, pp. 58-63; Constable 2003, pp. 147 sgg.; A. Naser Eslami, Architetture

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Per una topografia letteraria di Costantinopoli: il mitatondei Saraceni di Niceta Coniata*

«MEG» 14, 2014, pp. 267-283

Mercanti stranieri nell’impero bizantinoA Costantinopoli, la presenza di mitata, vale a dire di strutture fortemente regola-mentate, nelle quali i mercanti stranieri (e, in particolare, i commercianti di setaprovenienti dalla Siria) potevano risiedere, depositare le merci e svolgere la pro-pria attività, è nota – grazie alle indicazioni contenute nel Libro dell’Eparco – edocumentata, anche se in termini discontinui, a partire dal IX-X secolo.1 È questa,infatti, la fase in cui l’amministrazione bizantina decise, per motivi di sicurezza e di

* Questo contributo nasce dalla costruttiva esperienza compiuta sotto la guida della prof.ssaAnna Pontani, che mi ha chiesto di realizzare le carte tematiche a corredo del terzo volume del-l’opera storica di Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (Narrazione cronologica), III,(Libri XV-XIX), a cura di A. P., [Milano] 2014 (nella collana Scrittori Greci e Latini della Fon-dazione Lorenzo Valla-A. Mondadori). Più precisamente deriva dal lavoro compiuto per lamappa della città di Costantinopoli nel XII sec., che si trova nel suddetto volume, e si configuracome un primo approfondimento di natura bibliografica di essa; seguirà un secondo approfon-dimento di natura ricognitiva, da condurre direttamente sul campo (a Istanbul), volto alla verifi-ca della cosiddetta “verità terreno”, cioè ad una attenta osservazione del paesaggio e dei suoi ca-ratteri morfologici finalizzata a determinare la correttezza delle considerazioni qui formulate. Ilmio impegno inoltre continua con la redazione delle mappe e delle note topografiche relative alI volume di Niceta Coniata, la cui seconda edizione, completamente rifatta rispetto a quella del1994, verrà pubblicata nel 2016, a cura della stessa A. Pontani. Di seguito riporto le abbreviazio-ni dei titoli più utilizzati: Anderson 2009 = G. D. Anderson, Islamic Spaces and Diplomacy inConstantinople (Tenth to Thirteenth Centuries C.E.), «Medieval Encounters» 15, 2009, pp. 86-113; Burns 1975 = R. I. Burns, S.J., Medieval Colonialism. Postcrusade Exploitation of Islamic Va-lencia, Princeton, NJ 1975; Colletta 2012 = T. Colletta (ed.), Città portuali del Mediterraneo.Luoghi dello scambio commerciale e colonie di mercanti stranieri tra Medioevo ed età moderna,Milano 2012; Constable 2003 = O. R. Constable, Housing the Stranger in the MediterraneanWorld. Lodging, Trade, and Travel in Late Antiquity and the Middle Ages, Cambridge 2003; Lo-pez 1945 = R. S. Lopez, Silk Industry in the Byzantine Empire, «Speculum» 20, 1945, pp. 1-42;Madden 1993 = T. F. Madden, The Fires of the Fourth Crusade in Constantinople. 1203-1204: ADamage Assessment, «Byzantinische Zeitschrift» 84/85, 1991-1992, pp. 72-93; Poleggi 1989 = E.Poleggi (ed.), Città portuali del Mediterraneo. Storia e Archeologia, Atti del Convegno Internazio-nale di Genova (1985), Genova 1989; Pontani 2012 = A. Pontani, Note all’opera storica di NicetaConiata. II (pp. 475, 26-576, 95 van Dieten), «Medio evo Greco» 12, 2012, pp. 285-306; Ritt 2010= T. W. Ritt, Relations between Muslims and Christians in the Medieval Kingdom of Valencia,Jaume I to Pere IV: 1238-1387, Electronic Theses, Treatises and Dissertations of the Florida StateUniversity, 2010.1 J. Koder (Hrsg.), Das Eparchenbuch Leons des Weisen, Wien 1991, pp. 94-101. Cfr., inoltre,Lopez 1945, pp. 25-31; E. Concina, Fondaci. Architettura, arte e mercatura tra Levante, Venezia eAlemagna, Venezia 1997, pp. 58-63; Constable 2003, pp. 147 sgg.; A. Naser Eslami, Architet tu re

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maggior controllo, di “concentrare” nella capitale i mercanti stranieri, cui era statoconcesso, da qualche tempo, il diritto di muoversi (e commerciare) liberamenteall’interno del territorio imperiale. Si tentò, in pratica, di riproporre anche aCostantinopoli una prassi che era ampiamente diffusa nelle città di frontiera postelungo le principali vie di comunicazione o, a partire dall’età di Giustiniano, anchenelle città portuali. Qui, infatti, erano stati istituiti degli avamposti commerciali(che fungevano da stazioni doganali e di polizia, nonché da luoghi preposti all’alle-stimento di fiere gestite direttamente dal potere centrale) che rappresentavano gliunici luoghi presso cui i mercanti stranieri erano autorizzati a svolgere la propriaattività di scambio con Bisanzio. Si tratta, oltretutto, di una organizzazione chesembra derivare, in termini per lo più inalterati, direttamente dall’epoca tardoimperiale romana, quando gli antenati più remoti dei mitata bizantini, vale a diregli avamposti commerciali situati in alcune delle città poste lungo la frontiera conla Persia, rappresentavano il solo luogo deputato allo scambio commerciale traRomani e stranieri.2

Il mitaton, insomma, doveva svolgere all’incirca le stesse funzioni di altri alloggidestinati ad accogliere e ospitare i mercanti stranieri in epoca medievale, e che, inbase alle diverse realtà culturali e geografiche che si affacciavano sul Mediterraneo,erano chiamate «khan, funduk, fondaco, lobia, lonja, halle, hof, or szroda»,3 maanche alhóndiga, fondech, alfondech o loggia.4 Rispetto a queste, tuttavia, i mitataprevedevano delle regolamentazioni più stringenti: i mercanti stranieri, infatti,dovevano presentare, all’arrivo, una sorta di passaporto e fornire precise indicazio-ni circa le merci che avevano portato con sé e, in particolare, circa quelle che pen-savano di riuscire a vendere; tutte le loro merci, sia in entrata che in uscita, veniva-no sottoposte a controlli minuziosi; potevano risiedere nel mitaton solamente perun periodo limitato di tempo (la cui durata dipendeva dai trattati stipulati traBisanzio e il paese di appartenenza dei mercanti stessi), che comunque non era maisuperiore a tre mesi; i mercanti stranieri che si trattenevano a Costantinopoli oltrequanto era stato loro concesso venivano flagellati, rasati, privati dei loro beni e cac-ciati dalla città.5 Si trattava, quindi, come si capisce bene, di strutture che eranostate pensate per “rinchiudere” gli stranieri all’interno di uno spazio facilmentecontrollabile, in modo tale da poterne supervisionare attentamente i movimenti e itraffici commerciali.

del commercio e città del Mediterraneo. Dinamiche e strutture dei luoghi dello scambio tra Bisan-zio, l’Islam e l’Europa, Milano 2010, pp. 146-148.2 Cfr. soprattutto Lopez 1945, pp. 25-27, che rappresenta a oggi la trattazione più completa edesaustiva circa i mitata bizantini.3 Lopez 1945, p. 27.4 Cfr. Constable 2003, passim. Per il fondaco, in particolare, ma, in generale, per tutte questestrutture destinate ai mercanti stranieri, si può dire che si trattava di «at once a public inn, goodsdepository, mail drop, center for any notarial or customs services, and exhibit hall. Often a wal-led compound or square, with baggage and beasts on the ground floor and merchant-lodgers onthe second, it could elaborate into a home-away-from-home in the form of a small quarter»(Burns 1975, p. 64).5 Cfr., tra gli altri, Lopez 1945, p. 28; Concina, Fondaci, cit., p. 59; Constable 2003, pp. 147-149.

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«La prima scintilla…»Ciò premesso, riporto il passo in cui Niceta Coniata testimonia l’esistenza di una diqueste strutture commerciali, espressamente riservata ai Musulmani,6 che saràdistrutta, nel 1203, dal secondo dei tre incendi scoppiati nella capitale nel corsodella Quarta Crociata. Questa versione, leggermente diversa rispetto a quella stam-pata in Pontani 2012,7 è quella definitiva che si legge, con il commento della cura-trice, nel III volume della Cronikh; dihvghsi", da cui ha avuto origine questo miostudio.8

Il 19 agosto dell’anno 6711 [1203], sesta indizione, alcuni dei Franceschi (si tratta dicoloro che un tempo erano chiamati Flamioni) presa con sé una squadra di Pisani eVeneziani, traversarono il mare diretti ai beni dei Saraceni come se andassero versouna pietanza imbandita e un guadagno a portata di mano. Quella banda di malnatisi avvicinò alla città su dei battelli (e non c’era proprio nessuno ad impedire che essivenissero per mare nella città e poi ne ripartissero), irruppe furtivamente nella sina-goga degli Agareni, che la lingua volgare chiama Mitaton, e saccheggiò con la spadain pugno quanto vi si trovava. Mentre si compiva questo crimine così sconsiderato eal di là di ogni aspettativa, i Saraceni li respinsero armando le mani con i primioggetti che trovavano, e vennero in loro aiuto anche i Romani, radunatisi colà allanotizia del disastro. Essi non riuscirono a fare tutto ciò che bisognava, ma ci fu untemporaneo ritiro degli uomini di quell’alleanza; costoro, nondimeno, avendo cessa-to di contrapporsi con le armi, pensano a un nuovo incendio, da aggiungere a quellodi non molto tempo prima, avendo imparato per esperienza che lo strumento dioffesa più efficace e superiore a ogni altro per distruggere celermente la città è ilfuoco.Allora, collocatisi a distanza l’uno dall’altro in moltissimi luoghi della città, appicca-rono il fuoco alle case […] La prima scintilla del fuoco partì dalla sinagoga deiSaraceni (la quale si trova nella parte settentrionale della città che dà verso il mare,vicino al santuario eretto in onore di Sant’Irene) […] e trovò un limite al suo impetonelle mura meridionali della città, o per dir meglio – cosa del tutto straordinaria –come oltrepassandole in un impeto d’assalto, distrusse le abitazioni site al di fuori ei carboni proiettati lontano incendiarono una nave che passava di là.9

Mentre alcuni studiosi si sono impegnati a dimostrare che il mitaton (sinagoga) quievocato da Niceta non ha nulla a che vedere con la moschea di Costantinopoli, maè l’equivalente di «fondaco» (Fig. 1), e alla bibliografia da essi prodotta A. Pontani

6 I termini con i quali Niceta definisce i mercanti legati a questo preciso mitaton costantinopoli-tano sono due, come si vedrà nel passo della Cronikh; dihvghsi" riportato infra: «Agareni» e «Sa-raceni». Il primo, che non sembra avere una connotazione di carattere etnico, ma solo religioso,dovrebbe indicare gli Arabi e i Turchi Selgiuchidi, in quanto, appunto, musulmani; il secondo,invece, anche in Niceta, come nella maggior parte degli autori di età comnena, indicherebbespecificamente gli Arabi (di Siria, Palestina o Egitto). Su questi aspetti, cfr. K. Durak, Definingthe ‘Turk’: Mechanisms of Establishing Contemporary Meaning in the Archaizing Language of theByzantines, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik» 59, 2009, pp. 65-78: 71-73.7 Pontani 2012, pp. 302-304.8 Vedi supra nota *.9 Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio, cit., III: XVII 2, 4-6, pp. 218-223.

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ha dato incremento di documentazione filologica,10 è sempre rimasto invece sullosfondo, nei diversi contributi che si sono occupati, con varia ampiezza, della que-stione,11 il problema puramente topografico posto da questa complessa fonte lette-raria. Solo a una migliore definizione di tale problema volgo qui la mia attenzione(Fig. 2).

10 Cfr. Pontani 2012, p. 304. Considerazioni simili anche in Anderson 2009, pp. 98-99.11 Cfr., tra gli altri, Madden 1993, pp. 75 sgg.; P. Magdalino, Constantinople médiévale. Étudessur l’évolution des structures urbaines, Paris 1996, p. 88 e n. 223; D. Jacoby, The Urban Evolu-tion of Latin Constantinople (1204-1261), in N. Necipoğlu (ed.), Byzantine Constantinople. Mo-numents, Topography and Everyday Life, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 277-297: 278-281; A.Ağır, İstanbul’un Eski Venedik Yerleşimi ve Dönüşümü, Istanbul 2009, pp. 80-82.

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Fig. 1 – Sezione e planimetria del funduq di Granada, noto come Corral del Carbón (sec.XIV). Da Constable, Trade and Traders [vd. n. 38] p. 120.

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Non fa difficoltà il fatto che il mitaton dovesse trovarsi tra Perama e il quartieredei Pisani, nelle immediate vicinanze dell’area portuale del Corno d’Oro e, ragio-nevolmente, in stretta connessione con quella.12 Non a caso, infatti, è proprio quel-lo il settore che nel corso del tempo ha rappresentato «the place for foreigners totrade».13 Ed è proprio lì che si sviluppano i quartieri commerciali (“concessioni”)riservati agli Italiani e, in particolare, ai Veneziani, la cui vicinanza al mitaton nonsembra essere stata una coincidenza, se si tiene conto della lunga storia delle lororelazioni commerciali con gli Arabi e del fatto che certamente questa loro consue-tudine «would have linked their business interests with those of [the] visiting Arabtraders» di Costantinopoli.14

Ciò che, invece, non sembra condivisibile è il fatto che il nostro mitaton sia statocollocato al di fuori delle mura marittime, sulla costa, cioè su quella sponda meri-dionale del Corno d’Oro, dove si pensa dovesse trovarsi la chiesa di Sant’Irene.15

12 Cfr. P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos 1143-1180, Cambridge 1991, pp. 122-123; Madden 1993, p. 75; Jacoby, The Urban Evolution, cit., p. 280; Anderson 2009, p. 97.13 P. Magdalino, The Maritime Neighborhoods of Constantinople: Commercial and ResidentialFunctions, Sixth to Twelfth Centuries, «Dumbarton Oaks Papers» 54, 2000, pp. 209-226: 222.14 Magdalino, The Maritime Neighborhoods, cit., p. 221.15 Cfr. A. Berger, Zur Topographie der Ufergegend am Goldenen Horn in der byzantinischen Zeit,

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Fig. 2 – Costantinopoli. La stella indica approssimativamente la localizzazione del mitaton(elaborazione grafica di J. Turchetto).

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Una localizzazione di questo genere appare di per sé strana, se si considera la natu-ra stessa del mitaton dei Saraceni. Come si è già avuto modo di dire, questa e con-simili strutture dovevano accogliere e soprattutto salvaguardare merci e prodottianche preziosi (come, per esempio, la seta), nonché ospitare, ma anche – e soprat-tutto – controllare, i vari mercanti stranieri che giungevano a Costantinopoli. Tuttociò, a mio avviso, sembrerebbe più compatibile con una struttura che si fosse tro-vata all’interno della cinta muraria: solo qui le autorità cittadine potevano control-lare i movimenti dei mercanti che entravano e uscivano dalla città e solo qui lemerci depositate potevano essere efficacemente custodite.

Non solo. Una localizzazione extra moenia sembra stridere con quanto si evincedal racconto di Niceta. Egli, infatti, dopo aver precisato che «la prima scintilla»dell’incendio appiccato dai Crociati, dopo essersi «collocati a distanza l’uno dall’al-tro in moltissimi luoghi della città», partì dal fondaco dei Saraceni, registra congrande stupore («cosa del tutto straordinaria») il fatto che le mura marittime meri-dionali di Costantinopoli non fossero state in grado di bloccare l’avanzata del fuo-co, il quale, invece, «oltrepassandole in un impeto d’assalto, distrusse le abitazionisite al di fuori e i carboni proiettati lontano incendiarono una nave che passava dilà». Dalle parole di Niceta si evince che questo “salto” delle mura da parte dellefiamme (o dei «carboni») non avvenne durante le primissime fasi dello scoppio delsecondo incendio, cosa che, invece, sarebbe stata assolutamente necessaria se siipotizza una localizzazione del mitaton al di fuori delle mura marittime settentrio-nali.

Più ragionevolmente, quindi, si potrebbe pensare che la prima scintilla sia stataaccesa direttamente in città.16 Questa stessa dinamica, del resto, non è inusuale, nérisulta estranea alla tattica offensiva dei Crociati, che, sia nel caso del primo incen-dio (17-18 luglio 1203)17 sia del terzo (12-13 aprile 1204),18 dovettero verosimil-

«Istanbuler Mitteilungen» 45, 1995, pp. 149-165: 157; D. Feissel, De Sainte-Irène au domaine deRufin. Trois notes de toponymie constantinopolitaine, «Travaux et Mémoires» 15, 2005, pp. 245-260: 247-248; A. Berger, Konstantinopel. Geschichte, Topographie, Religion, Stuttgart 2011, pp.84, 94-95.16 Un ulteriore indizio (sebbene si tratti di argumentum ex silentio) circa la possibilità che tale in-cendio sia stato appiccato direttamente all’interno della città (e non sulla sponda del Corno d’O-ro) potrebbe evincersi dal fatto che Niceta non fa menzione, tra gli edifici di Costantinopoli col-piti e distrutti dalle fiamme, di quella stessa chiesa di Sant’Irene che aveva, invece, citato per me-glio precisare la localizzazione topografica del mitaton e che, come si è detto, doveva trovarsiproprio sulla costa, a ridosso del mare. Per una analisi dettagliata dell’impatto dei tre incendiscoppiati durante la Quarta Crociata e dei danni subiti dai differenti monumenti della capitale,vd. Madden 1993.17 «After capturing a large portion of the Golden Horn wall, the Venetians probably began mo-ving into the city itself, but were forced back by fierce Byzantine resistance. To cover their esca-pe, the Italians put a number of buildings to the torch» (Madden 1993, p. 73).18 «The third and last fire set by Crusaders in Constantinople was ignited on the night of 12-13April 1204. That day the Latins had successfully entered the city near Petrion Gate, routed theByzantine defenders there, and made camp in the desolation left behind by the first fire» (Mad-den 1993, pp. 84-85).

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mente appiccare il fuoco solamente dopo essere riusciti a superare la linea dellemura.

Va notato che a una ipotesi di questo tipo era giunto anche Thomas Madden, ilquale, in ragione delle considerevoli dimensioni raggiunte dal secondo incendio,ritiene che il fuoco appiccato al mitaton, «outside the great wall of the city», nonsarebbe certo bastato per scatenare «so large an inferno». Tenendo conto anchedel fatto che Alessio III aveva già raso al suolo gran parte degli edifici che si trova-vano al di fuori delle mura, a ridosso del mare, «leaving very little tinder for thefire to consume», egli conclude che «the immense second fire must have been setinside the walls as well».19

Passeggiando per Costantinopoli con Ḥājjī ‘Abd Allah e Ibn Baṭṭūṭa…La storia archeologica di Costantinopoli/Istanbul non è tale (almeno fino ad oggi)da poter fornire dati concreti o prove tangibili circa la localizzazione del mitatondei Saraceni. Si possono, tuttavia, considerare con attenzione, oltre alle fonti lette-rarie, anche la cartografia storica o le evidenze architettoniche, che, pur datandosiad un’epoca successiva a quella di Niceta, possano eventualmente dare conto diuna certa continuità funzionale del mitaton, spiegabile con una “lunga durata”,presumibilmente non casuale, delle attività che in esso si svolgevano.

L’ipotesi che il fondaco dei Saraceni si trovasse all’interno delle mura cittadine po-trebbe giovarsi del confronto con analoghe strutture, di cui abbiamo notizia graziealle indicazioni riportate da Ḥājjī ‘Abd Allah, mercante originario di Sinjar (odiernoIraq) che, tra il 1281 e il 1293, aveva vissuto e lavorato a Costantinopoli e a quellefornite dal viaggiatore marocchino Ibn Baṭṭūṭa che, nel corso del suo viaggio verso iluoghi santi dell’Islam, nel 1332 o forse nel 1334, visitò la capitale bizantina.

Il primo dei due, Ḥājjī ‘Abd Allah, tornato a Damasco, nel corso di una conver-sazione con un amico di lunga data che gli chiedeva come fosse possibile per deiMusulmani abitare in una città di Cristiani, fornisce una breve descrizione di Co -stan ti nopoli, aggiungendo che coloro che vi risiedevano non avevano proprio nullada temere, anzi, vivevano spendendo poco e ottenendo un grande profitto. Infatti,«there is a place (makān), which is large like [the one with] two floors in Dama s -cus, [and] is surrounded by a wall with a gate which may be shut and opened, spe-cially designated as a lodging for the Muslims; likewise, there is another place forlodging the Jews. Every night these two gates are closed, along with the other gatesof the city».20 La somiglianza tra la “struttura”, di cui parla il mercante di Sinjar,

19 Madden 1993, p. 76.20 La traduzione, qui riportata, del passo contenuto nel manoscritto di al-Jazarī, Jawāhir al-sulūkfī ḥulafā wa al-mulūk, conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi (MS Arabe 6739,fol. 91v), è tratta da Constable 2003, p. 150. Parte della medesima traduzione è riportata anchein Anderson 2009, p. 107. Informazioni più dettagliate circa il manoscritto, il suo autore e ilmercante musulmano si trovano invece in M. Izeddin, Un texte arabe inédit sur Constantinoplebyzantine, «Journal Asiatique» 246, 1958, pp. 453-457, con una traduzione leggermente diffe-rente del passo, che, comunque, mantiene inalterato il senso generale del discorso.

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de stinata ai Musulmani, composta da due piani, circondata da un muro e dotata diun ingresso che veniva chiuso durante la notte e il mitaton appare più che eviden-te.21

Certo, poco si può ricavare da questo passo circa la possibile localizzazione topo-grafica di quello che Reinert definisce «a not insignificant Muslim neighborhoodin the capital»22 e che, da quanto si è detto, sembrerebbe aver sostituito il mitatondei Saraceni. Se, però, si confronta tale descrizione con alcune considerazioni diIbn Baṭṭūṭa, allora l’ipotesi che questo edificio o complesso circondato da un muropotesse trovarsi all’interno delle mura cittadine può trovare un’ulteriore conferma.Il viaggiatore marocchino, infatti, scrive: «Una delle due parti della città, Istanbul[Aṣṭanbūl] […] ospita le residenze del sovrano, dei grandi dignitari e del restodella gente. Strade e mercati, ampi e lastricati in pietra, comprendono quartieriseparati per ogni gilda e sono muniti di porte che la notte vengono tenute chiuse[…] Questa parte della città, con al centro la Basilica, si trova a piè di un monteche si protende nel mare […] e intorno scorrono le mura, ben fortificate e inac -cessibili a chiunque dalla parte del mare, che racchiudono all’interno circa trediciborghi abitati».23 I «mercati» che Ibn Baṭṭūṭa dice di aver visto non dovrebberoessere altro che dei fondaci, autonomi ed indipendenti, ciascuno dei quali dedicatoad una diversa attività commerciale e dislocato all’interno delle mura di «Aṣṭan -būl».

… e con B. R. DaviesLa caratteristica della topografia urbana di Costantinopoli, testimoniata dai dueviaggiatori medievali, si ritrova, significativamente, “cartografata” nel 1840 daBenjamin Rees Davies, il quale, nella sua mappa Contantinople. Stambool,24 segnalacon chiarezza (Fig. 3), tra l’«Old Serai» a occidente e il «Serai» a oriente, tutta unaserie di «Khan», dalla tipica pianta quadrangolare con corte centrale. Ora, la mag-gior parte di questi fondaci ottomani si trova nel cuore della città; uno, tuttavia,può risultare particolarmente interessante per quanto ci riguarda (Fig. 4). Esso èposizionato nei pressi della sponda meridionale del Corno d’Oro, poco più a suddella cinta muraria marittima, nelle immediate vicinanze della «Moske of the Sul-tan Valideh» (corrispondente alla attuale Yeni Valide Camii), non lontano dalla

21 E, in questo senso, ancor più significativa risulta la considerazione avanzata da Olivia RemieConstable, la quale ritiene possibile che «al-Jazarī heard the Greek word mitaton and confusedit with the Arabic makān, a word that would have made better sense to him». Constable 2003, p.150 n. 138.22 S. W. Reinert, The Muslim Presence in Constantinople, 9th-15th Centuries: Some PreliminaryObservations, in H. Ahrweiler, A. E. Laiou (eds.), Studies on the Internal Diaspora of the Byzanti-ne Empire, Washington, DC 1998, pp. 125-150: 143.23 C. M. Tresso (ed.), Ibn Baṭṭūṭa, I viaggi, Torino 2006, p. 384.24 Il titolo completo della carta è Constantinople. Stambool. Engraved by B. R. Davies. Publishedby the Society for the Diffusion of Useful Knowledge, 59 Lincolns Inn Fields, Sept. 1840, London,Chapman & Hall, 1844 (© Cartography Associates, David Rumsey Collection).

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quale è stato ipotizzato che sorgesse il mitaton dei Saraceni.25 Non solo. Esso si tro-va anche presso la «Bághjeh Port» (identificabile con la Bahçe Kapı, la Porta delGiardino) nelle cui vicinanze è stato ipotizzato potesse trovarsi la chiesa di Sant’I-rene.26

Un ulteriore sguardo alla mappa di Davies ci fornisce un’altra utile indicazionecirca la destinazione funzionale di quella zona di Costantinopoli a ridosso delCorno d’Oro, compresa tra le due porte di cui si è appena detto (Fig. 4). La dida-scalia riferita alla zona («Custom House») definisce un’area doganale, legata adattività e scambi commerciali, che, in una evidente prospettiva di lunga durata,continuava a svolgere le stesse funzioni (o parte di esse) che, come si è detto, eranoconnesse all’istituzione bizantina del mitaton.

25 Madden 1993, p. 75.26 Cfr. Ağır, İstanbul’un, cit., p. 81; per una collocazione della chiesa leggermente più ad occi-dente, in direzione della Porta di Perama, cfr. Berger, Konstantinopel, cit., p. 84 e mappa 2, pp.94-95.

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Fig. 3 – Particolare della mappa di B. R. Davies, Constantinople. Stambool (1840).

Jacopo Turchetto

Stranieri in città: topografie urbane a confrontoLa presenza di edifici, espressamente destinati ai mercanti stranieri e ai commerciinternazionali, costruiti all’interno della linea delle mura urbiche, si riscontra anchein altre realtà portuali del Mediterraneo. Il breve excursus che propongo nei prossi-mi paragrafi vuole richiamare la variegata e complessa questione dei luoghi delloscambio commerciale e della loro localizzazione topografica all’interno della cittàmedievale. Tema, questo, che negli ultimi anni ha riscosso un notevole interesse tragli studiosi e stimolato, nel contempo, un vivace dibattito interdisciplinare tra spe-cialisti diversi, storici dell’architettura e dell’urbanistica, archeologi e topografi anti-chi, storici dell’economia, storici dell’arte e storici tout court.27 Quanto si evince dalmio excursus può rappresentare il punto di partenza per una disamina sistematica ead ampio raggio delle evidenze (più di carattere letterario, archivistico e documen-tario che archeologico) di cui oggi disponiamo e che possano risultare utili per laquestione propriamente topografica legata ai mitata e, in generale, ai fondaci.

27 Vd., tra gli altri, Poleggi 1989; D. Calabi, P. Lanaro (edd.), La città italiana e i luoghi degli stra-nieri. XIV-XVIII secolo, Bari 1998; J. Bottin, D. Calabi (éds.), Les étrangers dans la ville. Mino-rités et espace urbain du bas Moyen Âge à l’époque moderne, Paris 1999; Naser Eslami, Architet-ture del commercio, cit.; Colletta 2012.

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Fig. 4 – Dettaglio della carta di B. R. Davies, Constantinople. Stambool (1840).

Il mitaton dei Saraceni di Niceta Coniata

Palermo: la città “tutta porto”Già presenti a Palermo durante la dominazione islamica e dislocati anche all’inter-no del quartiere, cinto da mura, del Qaṣr (il Càssaro, vale a dire la città antica), ifondaci risultano ampiamente attestati anche durante le successive fasi del control-lo politico normanno (1062-1189).28 Infatti, è nel corso degli anni ’50 del XII sec.che il geografo al-Idrīsī, che viveva e lavorava alla corte di Ruggero II, ricorda che«il Cassaro […] Abbraccia tre contrade; delle quali quella di mezzo è frequentissi-ma di torreggianti palazzi ed eccelsi e nobili ostelli, di moschee, fondachi, bagni, ebotteghe de’ grandi mercatanti. Né mancano alle rimagnenti due contrade deglialti palagi, de’ sontuosi edifizii, de’ fondachi, de’ bagni in gran copia».29

Alcuni di questi stessi fondaci dalle fonti archivistiche risultano di proprietà del -la corona o di alti funzionari di corte, nonché direttamente connessi alle attività le -gate al commercio internazionale. Ne sono un esempio i due funduq donati nel1143 dal cancelliere di Ruggero II, Giorgio d’Antiochia, alla chiesa di Santa Mariadell’Ammiraglio, da lui stesso fondata qualche tempo prima; o il fondaco, situato –come i due precedenti – all’interno delle mura del Càssaro, di proprietà del cancel-liere regio Matteo d’Aiello.30

Altri fondaci, infine, dovevano trovarsi nel «Borgo che circonda il Cassaro», che«[…] È pieno di fondachi, case, bagni, botteghe, mercati, e difeso da muro, fosso eriparo».31

SalernoAnche nel caso della città campana, i fondaci di cui abbiamo notizia dovevano tro-varsi nelle vicinanze del porto, nonché all’interno della cinta urbana medievale,che, nel suo tratto paralitoraneo, fu costruita «a breve distanza dalla costa che, altempo, correva lungo l’attuale via Roma».32

È questo, per esempio, il caso della struttura commerciale la cui esistenza e, nelcontempo, localizzazione ci vengono ragionevolmente suggerite dalla denomina-zione della chiesa di San Salvatore, definita, appunto, de Fondaco.

Menzionato, per la prima volta, nelle fonti archivistiche del marzo 1268, ma fon-dato forse già in epoca longobarda, questo luogo di culto doveva trovarsi nelleimmediate vicinanze dell’attuale e omonima chiesa rinascimentale (XV sec.). Que -sta, stando ai risultati ottenuti nel corso di alcuni interventi archeologici, sembraessere stata costruita al di sopra di una serie di botteghe artigiane (secc. XI-XIV)che sono state interpretate come i «fondaci dell’insula» che potrebbero verosimil-mente aver suggerito la denominazione stessa della chiesa, in modo tale da poterla

28 M. A. Rovida, Città multietnica e colonie mercantili a Palermo fra dominazione islamica e domi-nazione normanna, in Colletta 2012, pp. 105-116: 110 sgg.29 M. Amari (ed.), Biblioteca arabo-sicula, I, Torino-Roma 1880, pp. 59-60.30 Rovida, Città multietnica, cit., p. 114; Constable 2003, p. 203.31 Amari (ed.), Biblioteca, cit., p. 62. Alla nota 4, l’autore riferisce che il termine «riparo» sta aindicare un «muro basso fuori la fortezza o fuori il muro della città».32 A. Finella, Storia urbanistica di Salerno nel Medioevo, «Civitates» 12, 2005, p. 52.

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distinguere « […] da una precedente […] anch’essa dedicata al S. Salvato re, moltoprobabilmente da ricercarsi nei pressi».33

Che il quartiere in cui doveva trovarsi il fondaco, corrispondente al settore pre-cedentemente occupato dalla corte longobarda, avesse una chiara e marcata voca-zione mercantile e internazionale è ben testimoniato dal «graduale spostamentodell’asse amministrativo al di fuori della curtis dominica […] Gli accessi al mare, icortili, i giardini che erano compresi nell’area della vecchia residenza reale con ilpassare degli anni hanno lasciato posto a nuove costruzioni, non auliche, non prin-cipesche ma legate alle attività che si sviluppavano nella zona».34

Non solo. È questo il settore nel quale si trovava, quanto meno a partire dagliinizi del XIV sec., la dogana, che, come risulta da un documento del 1516 relativoalla seconda visita pastorale dell’arcivescovo Fregoso, dovette, poi, in qualche mo -do condizionare il nome della stessa chiesa di S. Salvatore, che diventa «de doha-na».35 È questa la zona che dovette rappresentare anche il primo nucleo insediati-vo e commerciale di una delle più fiorenti comunità ebraiche d’Italia, la cui pre-senza trova un qualche riflesso in alcune permanenze toponomastiche, quali viaGiudaica, chiesa di Santa Lucia de Judaica o, in termini più generali ma altrettantosignificativi, via dei Mercanti.

Non va nemmeno trascurata la effettiva prossimità del fondaco all’area del porto,cui era collegato grazie alla attuale via Porta di Mare. Una considerazione di que-sto tipo, che, come precisa Olivia Remie Constable, di per sé «suggests incomeaccruing from lodging and trade»,36 permetterebbe anche di identificare questastessa struttura commerciale con quella che viene citata in un documento del 1114,con il quale Guglielmo, duca di Salerno, conferma a Gerardo, abate di Montecas -si no, una serie di possedimenti «in civitate Salerni»: «monasterium Sancti Lauren -tii cum ecclesiis et cum fundico ad portam maris et omnibus pertinentiis suismobilibus et immobilibus».37

ValenciaParticolarmente significativa, per quanto ci riguarda, è la questione dei funduq (omeglio fondech) riservati ai Musulmani della città di Valencia, che, durante la do-minazione islamica, divenne un importante scalo commerciale «for Andalusi coast -al trade, and […] for the rich agricultural regions inland […] It is probable […]that the city took part in the trade along the Levant coast, to the Balearics, and lat -er to southern Europe […] and served as an outlet for Andalusi goods exported to

33 P. Peduto, Il gruzzolo di S. Salvatore de fondaco a Salerno: follari, tarì, denari del secolo XI,«Rassegna Storica Salernitana» 8, 2, 1991, pp. 33-71: 34.34 C. Currò, Vicende storiche della chiesa di S. Salvatore de Fondaco in Salerno, «Rassegna StoricaSalernitana» 11, 1, 1994, pp. 39-74: 47.35 Currò, Vicende storiche, cit., p. 43. Significativamente, la via sulla quale si affaccia la chiesa ènota oggi come via Dogana Vecchia.36 Constable 2003, p. 203.37 D. T. Leccisotti (ed.), Le Colonie cassinesi in Capitanata, IV, Troia, «Miscellanea Cassinese»29, 1957, p. 87.

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Christian ports along the north-west Mediterranean rim».38 Natural mente, in que-sta fase politica e amministrativa, i diversi funduq erano dislocati all’interno dellemure cittadine, «on Lérida square, and next to or near the mosques that becamethe churches of St. Catherine, St. Thecla, and the cathedral, as well as at thenorthwest gate of Bāb al-Qanṭara and the southern Bāb Baiṭāla».39

Nel 1238, all’indomani della Reconquista della città condotta da Giacomo I, iMusulmani praticanti e non convertiti alla religione cattolica (i cosiddetti mudéja-res) si ritrovarono improvvisamente a vivere in una città governata da cristiani. Do-po una prima fase in cui prevalse la tendenza a un sistematico e drastico allontana-mento da Valencia di questa consistente comunità islamica, i mudéjares vennero,invece, reintegrati nel tessuto urbano, anche se reclusi all’interno del quar tiere (mo-rería) loro espressamente destinato al di fuori della cinta muraria,40 dove trovaronopure posto i funduq (spesso di proprietà reale) che dovevano ospitare i mercantimusulmani.41

Questo atteggiamento (o questo “cambio di rotta”) verso la componente islami-ca, che in tal modo viene sì privata degli antichi possedimenti propriamente urba-ni, ma continua, come bene attestano i documenti dell’epoca, a svolgere importan-ti funzioni all’interno dell’apparato amministrativo aragonese, a godere di unaserie di diritti e di libertà42 e che, tutto sommato, risulta in un certo modo “protet-ta” e tutelata dalla monarchia, trova le sue ragioni d’essere nel fatto che, come reci-ta un vecchio proverbio spagnolo, «Quien no tiene moro, no tiene oro».43 La pre-senza di mudéjares a Valencia rappresentava, in effetti, l’unico modo per garantirela sopravvivenza di quella vivacità economica che aveva caratterizzato la cittàdurante la dominazione islamica: «The mudéjares provided local know-how, man-power, and perhaps just as importantly, a link to economic markets in NorthAfrica, Sicily and the Middle East. This last factor would become the foundationof successful commercial enterprises in Christian Valencia».44

Ed è proprio in quest’ottica che appare particolarmente interessante, dal nostropunto di vista, riconsiderare l’ulteriore evoluzione urbana e topografica di Valen -cia, che sembra potersi riferire alla seconda metà del XIII sec. Per le ragioni che si

38 O. R. Constable, Trade and Traders in Muslim Spain. The Commercial Realignment of the Ibe-rian Peninsula, 900-1500, Cambridge 1994, p. 20.39 Burns 1975, p. 70.40 J. R. Pertegás, La morería de Valencia. Ensayo de descripción topográficohistórica de la misma,«Boletín de la Real Academia de la Historia» 86, 1925, pp. 229-251; Burns 1975, p. 71; Consta-ble 2003, p. 190; Ritt 2010, p. 47.41 Basti qui ricordare che, nel 1273, Giacomo I impose che il fondaco di Valencia, di sua pro-prietà, fosse «established for the advantage of the Saracens in the Moorish quarter, in which [buil-ding] all Saracens coming to Valencia must lodge by my command» (Constable 2003, p. 190).42 Per esempio, i mudéjares avevano la possibilità di «to live freely in all regions under royal juri-sdiction and securing residences where they pleased and even the ability to freely leave from Va-lencia with their families and goods, as long as they paid the diezmo, the besante and other taxesfirst and with the condition that the real estate be sold to Christians» (Ritt 2010, pp. 153-154).43 Ritt 2010, pp. 78-79, 82, 124.44 Ritt 2010, p. 76.

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è detto, infatti, oltre che per esigenze di carattere più marcatamente militare edifensivo, la città viene dotata di una nuova cinta muraria a protezione della more -ría, che, in questo modo, diventa a tutti gli effetti un nuovo quartiere “urbano” diVa lencia.45 Come rileva la stessa Olivia Remie Constable, «Both foreign Muslimmerchants and Aragonese Muslims visiting from the countryside or from othercities were supposed to lodge in these hostelries [dislocati all’interno del quartiereislamico – n.d.r.]. They were thus doubly regulated within the walls of the fondechand within the boundaries of the morería».46

45 Ritt 2010, pp. 136-137.46 Constable 2003, pp. 190-191.

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Fig. 5 – Pianta di Acri prima della guerra di San Saba (1256-1258). Numero 8: Khān al-‘Umdān; numero 14: fondaco dei Pisani; numero 31: fondaco dei Veneziani (rielaborazioneda Jacoby, L’évolution urbaine [vd. n. 52], p. 101).

Il mitaton dei Saraceni di Niceta Coniata

AcriUn ultimo ma significativo centro portuale da considerare è Acri (Fig. 5), che,come è noto, subito dopo la conquista per mano dei Crociati (1104), divenne unimportante scalo commerciale del Levante latino, nel quale molto attive furono lecolonie mercantili di Genova, Venezia e Pisa. È per noi interessante che il fondacodei Pisani e quello dei Veneziani erano non solo collocati all’interno della cintamuraria urbana, ma risultavano anche difesi dalle mura che definivano il quartiereo il territorio di pertinenza di ciascuna colonia.47

Non solo. Doveva anche esistere una ulteriore struttura ricettiva, o meglio «anall-purpose hostelry for merchants and other travelers, including Muslims»,48

come ci viene chiaramente ricordato dal viaggiatore e poeta arabo-andaluso IbnJubayr, che, nel 1184, sostò per un breve periodo in questa città. «Acre is the capi-tal of the Frankish cities in Syria, the unloading place of ‘ships reared aloft in theseas like mountains’, and a port of call for all ships. In its greatness it resemblesCon stantinople. It is the focus of ships and caravans, and the meeting-place ofMus lim and Christian merchants from all regions […] We were taken to thecustom-house, which is a khan prepared to accommodate the caravan […] All thedues collected go to the contractor for the customs, who pays a vast sum (to theGovernment). The merchants deposited their baggage there and lodged in theupper storey. The baggage of any who had no merchandise was also examined incase it contained concealed (and dutiable) merchandise, after which the owner waspermitted to go his way and seek lodging where he would. All this was done withcivility and respect, and without harshness and unfairness. We lodged beside thesea in a house which we rented from a Christian woman, and prayed God MostHigh to save us from all dangers and help us to security».49

Quello cui si riferisce Ibn Jubayr, e che presenta effettivamente tutte le caratteri-stiche che contraddistingono un funduq, è stato verosimilmente identificato nelKhān al-‘Umdān di epoca ottomana,50 che, a sua volta, sembra essersi sostituito,funzionalmente e topograficamente, al principale edificio che, tra XII e XIII seco-lo, si trovava in prossimità del porto di Acri, la «royal Court of the Chain». Que -sta, infatti, oltre ad ospitare i mercanti stranieri, fungeva da dogana, da depositoper lo stoccaggio delle merci, da luogo di mercato, nonché da sede deputataall’amministrazione fiscale e giudiziaria delle questioni legate alle attività marittimee al commercio internazionale.51

Particolarmente interessanti sono la posizione occupata dal Khān al-‘Umdān e,

47 Per una più approfondita disamina della storia di Acri, cfr., tra gli altri, D. Jacoby, CrusaderAcre in the Thirteenth Century: Urban Layout and Topography, in D. Jacoby (ed.), Studies on theCrusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989, V, pp. 1-45.48 O. R. Constable, Funduq, Fondaco, and Khān in the Wake of Christian Commerce and Crusade,in A. E. Laiou, R. Parviz Mottahedeh (eds.), The Crusades from the Perspective of Byzantium andthe Muslim World, Washington, DC 2001, pp. 145-156: 152.49 R. J. C. Broadhurst (ed.), The Travels of Ibn Jubayr, London 1952, pp. 317-318.50 D. Abulafia, The Great Sea. A Human History of the Mediterranean, Oxford 2011, p. 310.51 Jacoby, Crusader Acre, cit., p. 16.

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Fig. 6 – Il quartiere portuale di Acri. Nr. 19: fondaco dei Veneziani; nr. 25: Khān al-‘Umdān;nr. 35: fondaco dei Pisani (rie laborazione da Volterra, Acri [vd. n. 52], p. 113).

Fig. 7 – Fotografia del porto diAcri con il Khān al-‘Umdān (daO. Niglio, Akko, città del Medi-terraneo. Storia di un insedia-mento pisano in Medio Oriente,in Colletta 2012, pp. 29-38: fig.1.8).

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insieme, il suo stretto rapporto con le mura che dovevano separare la città dall’areadel porto (Figg. 6 e 7). Da quanto si può rilevare dalla cartografia e dalla letteratu-ra specialistica più accreditata,52 il lato più orientale di questa struttura quadrango-lare (vale a dire quello più vicino alla costa) sembra essere stato addossato allacinta difensiva, se non proprio inglobato in essa. Si tratterebbe, quindi, di un khānche si trovava all’interno delle mura urbiche e, nel contempo, in strettissima rela-zione con il mare, da cui era facilmente raggiungibile e da cui, possiamo immagina-re, doveva essere ugualmente ben visibile.

Proprio quest’ultima considerazione potrebbe suggerire una ulteriore riflessionecirca il mitaton dei Saraceni di Costantinopoli, dal quale siamo partiti. I Crociati,infatti, che si trovavano, come si ricorderà, a Pera, sulla sponda settentrionale delCorno d’Oro, prima di salpare con le loro navi alla volta della «sinagoga degliAgareni», dovettero ragionevolmente identificare e visualizzare il loro obiettivofinale.53 Cosa, questa, che si sarebbe rivelata piuttosto difficoltosa se quel fondacosi fosse trovato troppo all’interno della città; ma relativamente agevole, invece, sefosse stato costruito immediatamente a ridosso delle mura marittime.

Quindi, sulla base di quanto sembra potersi evincere dalla narrazione di Niceta,dalle indicazioni fornite dai due viaggiatori musulmani Ḥājjī ‘Abd Allah e IbnBaṭṭūṭa, dalla cartografia storica di Costantinopoli di B. R. Davies, nonché dai con-fronti con altre realtà portuali del Mediterraneo (e, in particolare, con Acri), sipotrebbe pensare che il mitaton dei Saraceni di Costantinopoli non si trovava al difuori delle mura, sulla sponda meridionale del Corno d’Oro; ma all’interno dellacittà, protetto dalla cinta urbica, alla quale avrebbe anche potuto eventualmenteaddossarsi.

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52 Cfr. A. Kesten, Acre, the Old City. Survey and planning, Jerusalem 1962; D. Jacoby, L’évolu-tion urbaine et la fonction méditerranéenne d’Acre à l’époque des croisades, in Poleggi 1989, pp.95-109; H. V. Volterra, Acri – Salvaguardia e rivalutazione dei quartieri fondati dalle RepubblicheMarinare, in Poleggi 1989, pp. 111-114; A. Kesten, The Old City of Acre. Re-examination Report1993, Acre 1993.53 Una simile considerazione si ritrova già in Anderson 2009, p. 98.