Drammaturgia, in Storia dell'italiano scritto. II. Prosa letteraria, a c. di G. Antonelli, M....

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!a edizione, aprile "#!$© copyright "#!$ by Carocci editore S.p.A., Roma

Impaginazione: Gra%che VD srl, Città di Castello (PG)

Finito di stampare nell’aprile "#!$ da Eurolit, Roma

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Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. !+! della legge "" aprile !*$!, n. .--)

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Indice

Piano dell’opera !!Premessa al secondo volume !-

!. Volgarizzamenti !+di Giovanna Frosini

!. Questioni preliminari !+". Il Medioevo plurilingue che volgarizza e traduce ",-. Un nuovo tradurre .-

". Trattatistica +-di Marcello Aprile

!. Questioni preliminari +-". La scienza testuale:

il Medioevo e il recupero delle fonti +$-. La scienza visuale: Umanesimo e Rinascimento *$$. La scienza strumentale:

il trattato da Galileo Galilei alla rivoluzione industriale !#-/. Il trattato nell’epoca del declino !!#

-. Cronaca e storia !!*di Davide Colussi

!. Questioni preliminari !!*". Gradi e tipi di complessità sintattica !"$-. Il discorso riportato !-"$. La presenza dell’io !$!/. L’indicazione delle fonti scritte !$+

, '012&3 4566’&036&3)1 '72&001

$. Drammaturgia !/-di Luca D’Onghia

!. Questioni preliminari !/-". In cerca di una lingua comune !/$-. Lingua e vernacolo:

scrittori teatrali toscani !.*$. Teatro dialettale fuori dalla Toscana !++/. Pluridialettalità e plurilinguismo !,... Uno sguardo sul Novecento !*-

/. Forme brevi della prosa letteraria "#-di Fabio Romanini

!. Questioni preliminari "#-". Il Decameron e la sua fortuna "!--. Due linee di tendenza sintattica:

essenzialità/paratassi vs. ipertro%a/ipotassi ""!$. Lingua del testo e lingua della cornice ""./. Lingua e dialetto "-#.. La dimensione del parlato "-/+. Novella e romanzo "$!,. Novella e narrazione in versi "$+*. Linee di tendenza novecentesche "/#!#. Per una conclusione "/-

.. Epistologra%a letteraria "//di Luigi Matt

!. Questioni preliminari "//". La lettera familiare (e la faceta) "/,-. La lettera amorosa ".+$. La lettera spirituale "+!/. La lettera discorsiva "+$.. La lettera odeporica "+,+. La lettera dedicatoria ",#

&)4&75 *

+. Paraletteratura ",-di Laura Ricci

!. Questioni preliminari ",-". Nelle piazze e fra la gente:

libri di battaglia, fogli volanti, dispense ",,-. Il romanzo di consumo

dai salotti borghesi alla metropolitana "*/$. Parole e immagini.

Fotoromanzo, fumetto e graphic novel -!!/. La letteratura per ragazzi -"#

,. Autobiogra%a -"+di Lorenzo Tomasin

!. Questioni preliminari -"+". Un testo 8uido e composito ----. Alcune strutture caratteristiche --,$. Coscienza e autocoscienza linguistica -$$/. Questione della lingua, questioni di stile -/"

*. Romanzo -/*di Maurizio Dardano

!. Questioni preliminari -/*". I percorsi della narrativa -.$-. Titoli, parti, %gure -+$$. Dinamico/statico -,!/. Aspetti della linearità -,... Modi di enunciazione -,*+. Stile nominale e dintorni -*.,. Il lessico tra norma e innovazione $#-

Bibliogra%a $"!

Indice dei nomi e delle opere anonime $*! a cura di Marcello Ravesi Indice delle cose notevoli /!* a cura di Marcello Ravesi Gli autori e i curatori ///

$Drammaturgiadi Luca D’Onghia

!. Questioni preliminari

Prima di tentare un esame storico-linguistico della letteratura teatrale ita-liana conviene richiamare alcuni fatti di portata generale da assumere a sfondo delle pagine che seguiranno. !. I testi teatrali simulano la comuni-cazione naturale tra individui e si caratterizzano sul piano semiotico per essere integralmente mimetici, senza interferenze diegetiche!. Ciò ne de-termina la spinta a riprodurre in vitro la lingua parlata, sfruttando più o meno largamente meccanismi di comicità verbale". ". Il teatro italiano in prosa – di fatto quello comico – non ha avuto modelli prescrittivi e non è stato oggetto di discussioni teorico-linguistiche: ciò spiega, insieme alla natura mimetica, come mai la sua vicenda sia stata caratterizzata da uno sperimentalismo espressivo assai più pronunciato di quello osservabile in altri generi. -. Il fatto che i testi teatrali nascano in vista d’una rappresenta-zione ne ha spesso determinato l’instabilità o persino l’incuria e la disper-sione: durante l’età moderna è inusuale imbattersi in commedie autografe o stampate sotto la vigilanza dell’autore, e qualsiasi rilievo, soprattutto microscopico, sulla loro lingua deve esser fatto tenendo sempre presente questa limitazione.

Cruciale per l’esame linguistico dei testi teatrali è proprio il loro carattere mimetico, già additato nella de%nizione classica della commedia quale «cotidianae vitae speculum» (Donato, &, p. "-: Excerpta de comoedia 9 /). Senonché proprio una lingua unitaria in grado di rispecchiare la vita quotidiana è mancata in Italia %no al secolo scorso: tale non poteva certo dirsi il tosco-%orentino dei classici trecenteschi, codice scritto convenzio-

!. Cfr. Segre (!*,$) e per una trattazione più estesa Elam (!*,,), con utile rassegna bi-bliogra%ca.". Cfr. Nencioni (!*+.) e Altieri Biagi (!*.*a); quindi, particolarmente per gli aspetti sintattici, D’Achille (!**#), Testa (!**!), Trifone (!**/).

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nale e altamente stilizzato, impiegato a scopo letterario e per molti aspetti diverso dalla lingua viva dominata dai soli parlanti toscani-. L’assenza di una lingua di tono medio compresa in tutto il paese ha determinato nei testi teatrali non toscani soluzioni lingui-stiche di compromesso, che oscillano per lo più tra l’amalgama regionale e il mosaico libresco (per lo più boccacciano: Borsellino, !*+$), ma ha propiziato anche un robusto uso scenico dei dialetti – questi sì lingue della vita quotidiana – e la fortuna di forme spettacolari come il melodramma o la Commedia dell’Arte, nelle quali la parola tende a essere subordinata ad altre componenti (Dionisotti, !*.", p. !#"). Non cessa insomma d’apparire vera la constatazione di Machiavelli secondo cui «si scrivano molte cose che, senza scrivere i motti et i termini proprii patrii, non sono belle. Di questa sorte sono le commedie», destinate ad avere l’aspetto di «una veste rattoppata» se non sono scritte nella lingua madre degli autori (Trovato, !*,", pp. $*-.").

Quella appena indicata è un’aporia espressiva dalle conseguenze assai rile-vanti, pertinente per il nostro discorso anche perché vi s’intrecciano storia linguistica, questione della lingua e storia del teatro. Assumendola come cri-terio ordinatore, il panorama che segue si articola in quattro parti dedicate ai drammaturghi non toscani che scrivono in italiano (=32. "), a quelli d’origine toscana parlanti nativi di varietà in parte simili all’italiano letterario (=32. -), a quelli non toscani che adoperano il proprio dialetto (=32. $), a quelli che adoperano più dialetti o lingue con diversi gradi di stilizzazione (=32. /). Se-gue un codicillo novecentesco (=32. .), separato dal resto per via delle condi-zioni linguistiche radicalmente mutate che lo caratterizzano. La trattazione, limitata al teatro comico in prosa (salvo pochissimi testi comici in versi), è selettiva; l’analisi punta direttamente sui fatti linguistici, per lo più sulla base di esempi concreti, così com’è quasi solo linguistica la bibliogra%a citata$.

". In cerca di una lingua comune

!.". Rinascimento settentrionale: Ariosto e Ruzante

Il caso di Ludovico Ariosto esempli%ca bene la situazione d’inciampo ap-pena indicata, perché – ancora Machiavelli – «i motti ferraresi non gli pia-

-. Su questo aspetto, davvero cruciale, cfr. ad es. Mengaldo (!**+, p. .--), Trifone ("##", pp. -$--$), Vescovo ("##+a, pp. "$,-/#), D’Achille ("#!"a, pp. -/!-"); prima Dionisotti (!*.", pp. !##-") e Pasolini (!*.,, pp. "$,*-*#).$. Per lo sfondo storico-teatrale si rinvia una volta per tutte ad Alonge, Davico Bonino ("###-#!). Per i testi teatrali in versi cfr. invece nel vol. & il 73=. , di Tobia Zanon.

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cevano e i %orentini non sapeva», e la sua scrittura comica, «priva di quei sali che ricerca una commedia», appare dunque de%citaria proprio sotto il pro%lo espressivo (Trovato, !*,", p. .-). Questi impacci spiccano ancor di più se si guarda all’itinerario del Furioso, per il quale la disponibilità di un modello linguistico di riferimento, additato dalle Prose della volgar lin-gua, consente ad Ariosto di raggiungere esiti di grande naturalezza; ma in mancanza di modelli, e per un genere estraneo alle discussioni teoriche, le cose cambiano e il «volgar uso tetro» congedato con la terza redazione del poema emerge %no alle commedie degli ultimi anni. È anzi probabile che proprio il tentativo di ricondurre la scrittura comica su un terreno lingui-sticamente e stilisticamente più congeniale abbia indotto Ariosto a tentare la strada delle impegnative riscritture in endecasillabi sdruccioli di Cassa-ria e Suppositi, contraddistinte da una messe di correzioni linguistiche che pervengono a una toscanizzazione imperfetta/. L’imitazione del parlato è perseguita da Ariosto molto più sul piano lessicale che su quello sintattico, cosicché il passaggio dalla prosa ai versi non comporta una sostanziale per-dita di naturalezza, pur determinando la tendenziale rinuncia agli elementi più espressivi in vista d’un «linguaggio medio senza regionalismi e latinismi come pure senza toscanismi troppo evidenti» (Grayson, !*+., p. -,,), la cui 8uidità è propiziata anche dall’eccellente dominio del metro.. Si confronti uno scambio di battute della Cassaria in prosa (!/#,) con il corrispettivo della Cassaria in versi, rielaborata %no al !/-"+:

;&3)43: È pur grande, o Nebbia, cotesta pazzia, che tu solo, di tutti noi conservi, vogli contrastare sempre con Ero%lo. E pur ti doveresti accorgere come %n qui t’abbia giovato: ubidisci, col malanno, o mal o ben che ti commandi. È %gliol del patrone un tratto, et ha, secondo la età, più lungamente a commandare che il vecchio: perché vòi tu restare in casa quando lui vòl che tu n’eschi?)5((&3: Se tu in mio loco fussi, così faresti e forse peggio.;&3)43: Potrebbe essere, ma non lo credo già: che non so vedere che ti giovi troppo.)5((&3: Io non devo fare altrimente.

/. Cfr. lo spoglio di Konrad (!**/, pp. $---/$+); per i testi cfr. Casella, Ronchi, Varasi (!*+$), e ora Gritti ("##/) e Gare? ("##+)... Sulle scelte linguistiche di Ariosto cfr. anche Antonelli G. (!**,, p. --), Trifone ("###, pp. "+-,); per i fatti metrici cfr. Bertinetto (!*+.).+. Tra quadre le lezioni di Gritti ("##/), che attenendosi per la ricostruzione formale al ms. @ e non alla stampa giolitina del !/$. oAre un testo lievemente diverso da quello di Casella, Ronchi, Varasi (!*+$) e Gare? ("##+).

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;&3)43: E perché?)5((&3: Se me ascolti, io tel dirò.;&3)43: T’ascolto, di’.)5((&3: Conosci tu questo ru?ano [...](Gare?, "##+, &, pp. ,*-*#).

712(1: La tua per certo, Nebbia, è una mirabilepazzia; che fra noi tutti che a un medesimoservizio [servicio] siàn, tu sol sempre contrarioai desiderii ti opponi di Ero%lo [Erophilo].E se stato ti sia di danno o d’utilesin qui, oggimai [hoggi mai] pur ti dovresti accorgere.Col malanno, ubidiscegli e compiacelodi ciò che vuole [vuol]: in fatti è %gliuol unicodel patrone, et abbiàn [habbiàn] sotto il [el] dominiosuo da servir molto più lungo [longo] termineche sotto quello [questo] del vecchio, parlandotisecondo il natural corso. A che diavolocerchi restare in casa tu, volendotiegli mandar con noi fuor? Perché studi tufartilo di nimico inimicissimo?)5((&3: Se dal patron le commission strettissimeavessi avute [havessi hauto], c’ho avute [haute] io, non dubitoche faresti il medesimo.

712(1: Puote essere.)5((&3: E se mirassi ove io miro, parrebbetich’io non facessi a bastanza.

712(1: Ove miri tu?)5((&3: Io tel dirò. Tu dovresti conoscerequesto ru?an [...](ivi, &&, pp. !.!-").

Il campione consente di individuare alcune linee d’intervento: !. gli elementi di mag-gior espressività sono per lo più smussati (Gianda ‘ghianda’ ma anche ‘bubbone’ > Corbo; vogli contrastare > ti opponi; col malanno, o mal o ben > con malan; un tratto > in fatti), con l’eccezione notevole ma isolata di A che diavolo introdotto nel testo in versi; ". si usa un materiale lessicale più seletto (grande > mirabile; secondo la età > secondo il natural corso) e si dilatano le frasi (conservi > noi tutti che a un medesimo / servizio siàn; ubidisci > ubidiscegli e compiacelo; ø > fartilo di nimico inimicissimo; se tu in mio loco fossi, così faresti e forse peggio > se dal patron le commission strettissime / aves-si avute, c’ho avute io, non dubito / che faresti il medesimo); -. nella chiusa si perdono i

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botta e risposta della prosa, le battute diminuiscono di numero e hanno tono più ela-borato (come mostrano le %gure di ridondanza: avessi avute, ch’ho avute; se mirassi ove io miro). Tratti di naturalezza ancora maggiore si hanno nella Lena, in cui realismo e briosità sono a?dati soprattutto a elementi lessicali e di verisimiglianza ambientale (Trifone, "###, pp. ",-*): lo mostrano tra l’altro il battibecco di Lena e Fazio seguito dall’amaro soliloquio della donna all’inizio dell’atto secondo (Gare?, "##+, &&, pp. .-,-$-) o le sapide allusioni alla realtà ferrarese (nel solo primo atto sono ricordati i beoni Cochiolin, Sabbadino, Mariano [.",], l’osteria del Gorgadello [.",], il banco dei pegni in via Sabbioni [.-.], la piazza del Duomo [.-+]).

Considerazioni in buona parte analoghe si possono svolgere per il Ruzante maturo, nel cui italiano è facile riconoscere venature regionali e prelievi libreschi: dopo la prova iperletteraria dell’Anconitana (!/-# ca.) il Beolco s’avvia con la Vaccaria (!/--) all’acquisizione di una maggior na-turalezza anche nell’uso della lingua letteraria oramai u?ciale,. A questo risultato concorrono sia una serie di interventi grammaticali in direzione bembesca, sia una più sapiente gestione dei dialoghi (qui emerge, rispetto ad Ariosto, il grande genio teatrale di Ruzante). Quanto al primo punto vanno ricordati alcuni tratti linguistici che oppongono le stampe princi-pes di Anconitana e Vaccaria (entrambe del !//! presso lo stesso editore, ma postume): nell’italiano della seconda commedia non %gurano più forme palatalizzate come capegli, del %orentino argenteo come obrigare, settentrionaleggianti come noglioso o genericamente antitoscane come la &9 pers. con desinenza -emo, e vi è costante l’uso dell’articolo lo davanti a s + consonante (Schiavon, "#!#a, pp. -#$-/). Quanto al secondo punto, è soprattutto la sintassi della Vaccaria a rivelare maggior complessità e mi-glior tenuta dialogica: è percentualmente più alta l’incidenza delle subor-dinate, mentre diminuiscono i segnali discorsivi frasali, le proposizioni incidentali, le esclamazioni e le imprecazioni; si articolano con ra?na-tezza i fenomeni di ridondanza e di ripresa tipici del parlato (Schiavon, "#!#a, pp. --+-+$). Ecco un campione:

7565;3: Crida ben, bravo magro! Fatti ben sentir alla vicinanza! Sì, perché io fo gran conto delle tue parole! Perché non saprò viver senza di te, come faceva avanti ch’io ti vedessi! Questa è la usanza di voi altri squassa-pennacchi. Perché sète ricchi, et potenti, %gliuoli d’i primi di questa terra, volete che la vostra nobiltà e richezza vi vagli per ogni cosa; et come vi si adimanda un soldo, saltate su le bravarìe, et sul voler

,. In generale cfr. Folena (!*,-a, p. !-.); per il toscano dell’Anconitana De Martin ("##/) e da ultimo le considerazioni di Schiavon ("#!").

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tagliar il viso alle meschine, che non hanno altro soccorso che le virtù loro. Pensi tu che le carne di mia %gliuola, che tu hai goduto tanto tempo, non vagliono trenta, o ver quaranta desgratiati %orini, che tu hai speso in casa mia?@639&1: Se io ne avessi goduto pur un per cento di quel ch’io ho speso, non mi pesaria; ma della vostra ingratitudine mi doglio, perché non dovresti amar, né adorar altri, che Flavio.7565;3: Chi vole esser adorato solo, convien che solo suplisca al nostro bisogno.@639&1: E quando %nirà questo supplire?7565;3: E quando %nirà questo voler esser solo?@639&1: Ah, vecchia, tu ti porti mal con meco.7565;3: Io mi portarei male non cercando l’util mio, perché chi fa l’o?cio suo bene, non si porta male. [...](ivi, p. !,+).

A parte la toscanizzazione incompiuta (cfr. ad es. sète, adimanda, bravarìe, vole, por-tarei), vanno notati la dismissione dei moduli sintattici boccacciani ancora frequen-ti nell’Anconitana; l’accuratezza delle scelte lessicali, espressive ma non deformanti (bravo magro, squassa-pennacchi ‘bravaccio’, bravarìe, tagliar il viso, desgratiati !orini, vecchia); gli eAetti di botta e risposta e di ripresa che incrementano in modo signi%-cativo la naturalezza del dialogo («hai goduto» – «se io ne avessi goduto»; suplisca – suplire; adorar – adorato; «E quando %nirà [...]?» – «E quando %nirà [...]?»; «tu ti porti mal con meco» – «io portarei male non cercando l’util mio»).

!.!. La commedia rinascimentale romana

Una lingua teatrale regionalmente connotata traspare anche nel corpus comi-co, gravitante intorno a Roma, che annovera testi come la prima Cortigiana di Pietro Aretino (!/"/) nella veste del ms. Magliabechiano 9&& ,$ della Bi-blioteca Nazionale Centrale di Firenze, El pedante (!/"*) ed El Beco (!/-/) di Francesco Belo, e ancor più tardi La Ru"ana di Ippolito Salviani (!//"). Evidenti i regionalismi sul piano fonomorfologico: quasi sistematiche sono per esempio la conservazione di ar in protonia (tipo mangiarà) e la mancata chiusura in fonetica sintattica di de, ce e me; spesseggiano forme come l’artico-lo li, i presenti di &9 e 9& pers. del tipo possemo e vedeno, i condizionali in -ia, gli invariabili fuorsi, fuora, dereto; e seppur di rado si incontrano forme ancor più connotate in senso mediano come sorema ‘mia sorella’, treccolanno ‘ciar-lando’, crai ‘domani’ e altre ancora*. Date queste caratteristiche, Giovanardi

*. Cfr. Tonello (!*+#, pp. "#/-!-) e l’e?cace campionatura di Trovato ("#!-, pp. -#$-/) per la prima Cortigiana; per il teatro romano in generale cfr. Romani ("##-) e Giovanardi ("##*b).

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("##*b, p. "##) ha ipotizzato che il Pedante di Belo sia «uno dei pochi re-perti di romanesco cortigiano del Cinquecento»: in eAetti sembra di potervi individuare una forma germinale d’italiano a base romana diversa da quella bembesca, e destinata ad avere una propaggine comica con la commedia ‘ri-dicolosa’ seicentesca (Giovanardi, "#!#, pp. !!!-"). Un prelievo dalla seconda scena del Pedante consente di illustrare meglio quanto si è appena detto:

6:B&1: Lassame caminare, ché ’l mastro non me dia un cavallo; ché me par sia troppo tardi e sai che sempre me fa sdelacciare le calze e me alza la camisa e me dà, qualche volta, con una scuriata [frusta] così grossa cotta nell’aceto. Io ho robbato un pezzo de legno in casa per scaldarme, adesso che fa freddo. E sai che lo mastro vole che oggi incominci li latini per li passivi e poi me vole leggere la Boccolica. Ma, alla fè, poi ch’io sono qua, voglio chiamare Minio e vedere se vole venire con esso meco alla scola: ben che lui non impara se non la santa croce. Tic, toc.[....]>&)&1: [...] Ma non sai, Luzio, ch’io ho una sorella che lo mastro li vole bene? E perciò non me dà delli cavalli come fa a te.6:B&1: Ed essa vuole bene a lui?>&)&1: Credo de sì, io. E lo mastro me ha promesso delli quatrini, veh!6:B&1: Io non lo sapevo, questo.>&)&1: Manco lo sa madonna.6:B&1: Alla fé, ch’io gli voglio dire se se vole innamorare de sòrema ancora, ma che non voglio mi dia delli cavalli.>&)&1: Caminamo, ché non ci veda fermati: ché non dicessi che facemo le tri-stizie.(Borsellino, !*.", &&, pp. !!--/).

Anche se le caratteristiche microscopiche non possono essere addebitate in blocco a Belo (il Pedante è noto solo grazie a stampe non sorvegliate dall’autore), vanno notati me in posizione protonica (me dia e simili per un totale di otto ess. cui va aggiunto se vole, contro un caso di mi dia), i monottongati scola e vole (cinque ess. contro uno di vuole), robbato e Boccolica con vocale protonica media, l’articolo li (due ess., e due ess. di delli), la desinenza di &9 pers. in facemo; notevoli sono poi la dislocazione a destra (Io non lo sapevo, questo) e l’impiego del che con ripresa pronominale (ho una sorella che lo mastro li vole bene) come di quello “polivalente” (che stamperei senza accento: dunque «Lassame caminare, che ’l mastro non me dia un cavallo; che me par sia troppo tardi [...]»), mentre pertengono alla mimesi della funzione fatica i segnali discorsivi veh, Alla fe’ ‘in fede mia’, sai che. L’insistenza sulla pratica del cavallo (una violenta percossa sulle natiche) e sulla condizione di miseria che emerge dal cenno sui quattrini e dall’episodio del pezzo di legno rubato restituiscono l’atmosfera scabra di

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questa commedia, nella quale l’invenzione linguistica più notevole resta in ogni caso legata alla %gura del pedante. Eccone le prime parole:

Omnia vincit amor et nos cedamus amori. Certamente pare, al giudizio dei periti, che totiens quotiens un uomo esce delli anni adolescentuli, verbi gratia un par nostro, non deceat sibi l’amare queste puellule tenere; benché dicitur che a fele, senio con-fetto, se lli convenga un mure tenero. Oh terque quaterque infelice Prudenzio! [...](ivi, &&, pp. !!.-+).

A parte l’armamentario scolastico (le citazioni virgiliane d’inizio e %ne da Buc. C .* e da Aen. & *$) e le giunture cancelleresche (verbi gratia, totiens quotiens ecc.), sono da notare i diminutivi di gusto poli%lesco (adolescentuli, puellule) e la patologica verni-ciatura latina cui viene sottoposto il proverbio sul gatto vecchio e il topo tenero («di-citur che a fele, senio confetto, se lli convenga un mure tenero»). Il che, unito alla patetica autostima che caratterizza il personaggio («un par nostro»), fa del pedante di Belo un tipo fortunatissimo, all’origine d’un vero e proprio canone pedantesco che percorre tutta la commedia cinque- e seicentesca, dal Marescalco aretiniano %no a Della Porta e Andreini (Trifone, "###, p. $#, n !-).

!.#. Goldoni italiano

Quando attorno al !+/# Carlo Goldoni intraprende la propria riforma del teatro comico la situazione linguistica italiana, pur oggetto di una intensa «crisi di crescenza» (Folena, !*./, p. .), non è radicalmente diversa da quella che faceva da sfondo agli episodi appena illustrati: in particolare, nel dibattito sulla questione della lingua il Veneto mostra «un conservatorismo classicistico molto pronunciato» (Stussi, !**,, p. !/+), mentre nel teatro si sono aAermati i modi della Commedia dell’Ar-te (situazioni e personaggi tipizzati, tastiera espressiva virtuosistica ma convenzionale). In questo contesto Goldoni comincia a svuotare dall’in-terno l’armamentario tematico e linguistico del teatro di professione, e smantella i compartimenti stagni che dividevano per via espressiva le parti degli amorosi da quelle dei vecchi e dei personaggi popolari: riesce così nell’impresa di foggiare la prima lingua di conversazione italiana, ben presente allo stesso Manzoni e screziata di elementi di varia prove-nienza!#. Si tratta infatti d’un

!#. Su Goldoni e Manzoni cfr. Dardi ("#!!); in generale, oltre a Folena, cfr. anche i più recenti Matarrese ("##*) e Ferrone ("#!!, pp. $"-$).

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fantasma scenico che ha spesso la vivezza del parlato ma si alimenta piuttosto all’uso scritto non letterario accogliendo in copia larghissima venetismi, regio-nalismi ‘lombardi’ e francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e a stilizza-zioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica: è un ‘come se’, una ipo-tesi spesso così persuasiva di realtà, fondata su un presupposto di intellegibilità comune (Folena, !*/,, p. *!).

Sul piano fonomorfologico e lessicale l’italiano di Goldoni è dunque un prodotto composito, la cui 8uidità ed e?cacia dipendono soprattutto dall’ottimo dominio della sintassi dialogica, restituita nei suoi eAetti di ripresa e ribattuto, e in taluni fenomeni quali%canti come l’impiego dell’ordine marcato dei costituenti o del che polivalente!!. Anche nei monologhi si passa dalla lingua sintatticamente involuta e %guralmente sovraccarica del teatro seicentesco a una lingua d’impianto ragionativo articolata e scattante, a basso indice metaforico e per ciò stesso più inti-ma e autentica. Sull’argomento esistono notevoli trattazioni d’insieme, mentre sono meno numerose le analisi linguistiche di singoli pezzi!". Si prenda l’inizio della scena undicesima del primo atto de Gl’innamorati, risalenti al !+/*:

@:6;5)B&1: Dice bene l’amico, dice benissimo. Dalle donne qualche cosa con-vien soArire, quando si sa specialmente, che una donna vuol bene, non serve il so%sticare, non conviene pesare le parole con la bilancia dell’oro, e guardare i moscherini al microscopio per ingrandirli. Son troppo caldo, lo conosco da me; ma in avvenire voglio assolutamente correggermi, vuo’ moderarmi. Già so che mi vuol bene. Se vuol dire, lasciarla dire. Eccola. Voglia il cielo, ch’ella sia di buon umore. Mi pare ilare in volto. Ma qualche volta sa %ngere. Non vorrei, che dissi-mulasse. Orsù, non principiamo a so%sticare.5:;5)&3: Serva umilissima, signor Fulgenzio. (a#ettando allegria)@:6;5)B&1: Quest’umilissima si poteva lasciar nella penna.5:;5)&3: Mi scappò, non volendo. La riverisco. Che fa? Sta bene?@:6;5)B&1: Eh! Sto bene io. Ed ella come sta? (intorbidandosi un poco)

!!. Cfr. Matarrese (!**-, pp. !#* e "/+-.#), Pattara (!**/, pp. "*!--#+), Trifone (!**/, passim), Trifone ("##", p. -$.), Matarrese ("##*, pp. *$-/); fatti analoghi nei libretti: Bonomi ("##/, pp. /,-.$).!". Cfr. in generale Folena (!*/+, !*/,); per il problema delle varianti Pattara (!**"), Spez-zani (!**-a) e Stussi (!**-b); per la tradizione delle opere Scannapieco ("###) e ora, della stessa, l’appendice in Ferrone ("#!!, pp. !,--*"). L’esame linguistico di singole commedie è tentato per es. da Spezzani (!**-b) per Il ventaglio e da Matarrese ("##*) per la Pamela fanciulla.

!." 6:73 4’1);<&3

5:;5)&3: Benissimo. Ottimamente.@:6;5)B&1: Me ne consolo. È molto allegra questa mattina.5:;5)&3: Quando sono in grazia sua, sono sempre allegrissima.@:6;5)B&1: (C’è del torbido: non mi vorrei inquietare, ma ho paura non poter-mi tenere).5:;5)&3: Che dice ella di queste belle giornate?@:6;5)B&1: Con questo ella, con questo ella mi ha un pochino sturbato, signora mia.5:;5)&3: Questa mattina sono stata in complimenti, e mi è restato il lei fra le labbra.@:6;5)B&1: In complimenti con chi?5:;5)&3: Con certe amiche, che sono venute a favorirmi. Anzi mi hanno detto, che vogliono venir questa sera, per condurmi a spasso con loro.@:6;5)B&1: E che cosa avete risposto?5:;5)&3: Che ci anderò volentieri.@:6;5)B&1: Senza di me.5:;5)&3: Sicuro.@:6;5)B&1: Mi piace. S’accomodi.5:;5)&3: Oh bella! mi avete mai condotta voi una sera a spasso?@:6;5)B&1: Non vi ho condotta, perché non mi avete comandato di farlo.[...](Ferrone, "##", pp. ,"--).

Nel monologo di Fulgenzio si notano subito l’agilità sintattica e la chiara scansio-ne logica («Son troppo caldo [...]; ma [...]», «Mi pare ilare [...]. Ma [...]», «Non vorrei, che [...]. Orsù [...]»); ma sono notevoli anche gli effetti di ridondanza che conferiscono al brano una naturale coesione («Dice bene l’amico, dice benissi-mo», «non serve [...], non conviene», «quando si sa che una donna vuol bene» e «Già so che mi vuol bene», «non serve il sofisticare» e «non principiamo a sofisticare»). La compattezza così ottenuta fa passare in secondo piano difformi-tà di altro genere (si notino ad es. voglio e vuo’ a poca distanza; e a p. ,$ s’incontra-no a breve distanza l’uno dall’altro servidore, servitor, servitore). Quando si entra nel dialogo – riportato qui parzialmente – si resta colpiti dalla capacità di Gol-doni di far montare poco a poco la tempesta del litigio grazie a una staffetta in crescendo, per effetto della quale le stesse parole passano da una battuta all’altra in un tono sempre più alto e la lunghezza delle battute diminuisce mano a mano che si procede verso il punto di rottura che segna lo scoppio del diverbio (umilis-sima-quest’umilissima, sta bene?-sto bene io, bene-benissimo, allegra-allegrissima, ella-questo ella, in complimenti-in complimenti con chi?, condurmi a spasso-mi ave-te mai condotta voi una sera a spasso?-non vi ho condotta perché). Il tema stesso de Gl’Innamorati consente a Goldoni di manifestare in scene simili tutta la sua maestria, ma va ricordato come anche in questa commedia – considerata tra i

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suoi capolavori e annoverata tra i punti più alti del suo realismo – sopravvivano residui strutturali ed espressivi dell’Arte!-.

!.$. Teatro verista e borghese del secondo Ottocento

Anche se l’esperienza di Goldoni ha vari seguaci, per gran parte dell’Ot-tocento la lingua del teatro in prosa è segnata da un eclettismo che non sfugge a toni magniloquenti (come in La morte civile di Paolo Giacomet-ti, del !,.!)!$. Pur con signi%cativi episodi precedenti, bisogna attendere gli anni ottanta perché si apra una intensa stagione di sperimentalismo: nel giro di pochi anni vedono la luce tra gli altri Cavalleria rusticana (!,,$) e In portineria (!,,/) di Giovanni Verga, Piccolo archivio di Lui-gi Capuana (!,,.) e Tristi amori di Giuseppe Giacosa (!,,+), cui dedi-cheremo alcune osservazioni (si ricordino poi, oltre ai pezzi dialettali rammentati al =32. $.$, I mariti di Achille Torelli [!,.+] e La moglie ideale di Marco Praga [!,*#], tutti leggibili in Ferrone, !*+* e in Cor-delli, !**/). Si tratta di drammi che, in maniera diversa, segnano uno svecchiamento linguistico-stilistico del teatro italiano, puntando alla resa di dialoghi realistici «tra verve mondana, pathos rusticano e grigia routine» (Trifone, "##+, p. !$).

Si prenda a esempio il caso di Cavalleria rusticana, testo in cui l’elemento toscano-letterario e quello regionale-popolare sono armonizzati senza dissonanze (D’Achil-le, "##+b, p. -/): ciò è evidente %n dalla terza battuta, quando comare Camilla apo-strofa Santuzza con un «O comare Santa, che andate a confessarvi?» (Oliva, !*,+, p. "!#) dove convivono l’o vocativo d’impronta tosco-%orentina e l’interrogativa introdotta da che, appartenente al fondo siciliano della lingua di Verga (altri ess. simili a "!!, "!$, ""/ ecc.); di matrice toscana sono vari altri elementi come lagrime "!/ (didascalia), core "!. (convergente però con il siciliano: per contro cuore a "!/, "!*, ""- bis, "". ecc.), limosina "!., cotesto "!* ecc. Meno frequenti sono i tratti re-gionali: a parte elementi di realismo ambientale come i titoli di rispetto gnà, compa-re/comare, zio/zia o certe esclamazioni ricalcate sui corrispettivi siciliani («piglio morte e passione» "!,, «sangue di Giuda» ""!, «Maria santissima del pericolo» ""* ecc.), spiccano giaciture sintattiche del tipo «Niente so» "!", «tardi arrivate» """ e «Forte avete fatto, compare Turiddu!» ""+, con il verbo in posizione %nale, o ancora singole macchie lessicali come spiare ‘chiedere’ "!,. Ma il fatto più carat-terizzante della lingua di Cavalleria rusticana è l’ampio ricorso ad alcuni procedi-

!-. Cfr. Zorzi (!*+", pp. "./-.), con acute osservazioni linguistiche.!$. Cfr. Serianni (!*,*b, p. !"+), Trifone ("###, p. ,$), Trifone ("##+, pp. !!-").

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menti di mimesi sintattica del parlato: in questo breve testo si addensano !. casi di che polivalente, "! di dislocazione a sinistra e "$ di dislocazione a destra, prediletta da Verga (Giovanardi, "##+c, pp. ."--); e non mancano altri fatti interessanti come l’uso della frase “foderata” («Sono stato a Francofonte, sono stato» "!,, e ""*) o la mimesi dei cambi di piani%cazione tipici del parlato («Lo so... Compare Turiddu, prima d’andar soldato... si parlavano colla gnà Lola» "!/ ecc.).

Una %sionomia linguistica sovrapponibile a quella di Cavalleria rustica-na si riscontra più tardi nella Lupa, del !,*., ma più notevole è In porti-neria (!,,.), ricavato dal Canarino del n° $%, novella della raccolta mila-nese Per le vie (!,,#), dove Verga abbandona l’ambiente siciliano e mette in scena le vicende di una famiglia milanese di portinai!/. La sensazione d’incombente tragedia che si avverte leggendo In portineria è frutto di un accurato scavo linguistico: i congegni deputati alla riproduzione del parlato già notati in Cavalleria rusticana si accompagnano infatti a tratti mimetici coerenti con l’ambientazione milanese. Si va dall’uso ripetuto di caro lei, cara lei a bel mobile ‘bel tipo’, %no all’evocazione di circostanze esterne come la festa di San Giorgio o la vendita per strada dei giornali serali “Secolo”, “Pungolo” e “Corriere della Ser”a (cfr. i dati raccolti in Al%eri, "##+, pp. !!*, !-- e !!/).

Verga aveva dedicato Cavalleria rusticana a Giuseppe Giacosa, che di lì a pochi anni avrebbe riscosso con Tristi amori un eccezionale succes-so!.. La %ne del rapporto adulterino tra Emma e Fabrizio vi è rappresen-tata con strumentazione linguistica ben controllata soprattutto sul pia-no sintattico. Già nella prima patetica scena sono evidenti gli eAetti di ripetizione e ridondanza tipici di ogni attenta riproduzione del parlato («F: “Dimmi che mi ami; dammi il buon giorno con una parola d’amo-re! Dimmi che mi ami”» $", «E: “Mi vuoi bene?” F: “Ti amo.” E: “Mi vuoi anche bene?” F: “Come facevo a vivere quando non ti amavo?” E: “Mi vuoi anche bene?” F: “Lo sai.”» $", «ti lascio dire, ti lascio dire» $" ecc.); vanno poi notati l’impiego di strutture di messa in rilievo (nel solo primo atto si trovano cinque ess. di dislocazione a sinistra e cinque di dislocazione a destra), l’uso del che polivalente («Esco di là, che Giulio non mi veda» $-, «%nché sta qui spera di tenere in soggezione il padre,

!/. Sulla Lupa cfr. Telve ("##$) e Giovanardi ("##+c, pp. /+-.*); su In portineria cfr. Al%eri ("##+, pp. !!#-$/) e Al%eri ("##*).!.. Il testo originario, poi sottoposto a modi%che, in Mazzocchi (!***); per la campiona-tura cito da De Rienzo (!*,+).

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che non le faccia troppo grosse» $+-$, ecc.) e la moderata apertura a un lessico di sapore quotidiano, soprattutto in personaggi collaterali come Ranetti e la cuoca Marta («uno sperlungone che sfonda le cupole» $/, litaccia $, e diavolaccio $*, strapagarli ./, «me ne impipavo del peri-colo» +$, «non pago se mi indorassero» +. ecc.). Funzionali a questa blanda tendenza realistica sono anche le macchie toscane: si notino la sequenza verbo singolare-soggetto plurale di «c’è bambini» $- e «Ne abbiamo passate delle ore a sospirare i clienti [...] ti mettevi alla %nestra per vedere se ne entrava [...] e non ne veniva mai» +#; l’uso esteso del si per la &9 pers. («noi si doveva andare in marsina» $/, «non ti si vede mai» $. ecc.) e singoli elementi come «ne ho di bisogno» $$, «Gli è che [...]» .,, «è bell’e %nito» ,+, carrozzino ‘contratto di prestito in denari a condizioni molto gravose’ (+*, ,": così Petròcchi, !*#"); assenti invece i tratti regionali, a esclusione dell’appellativo madama ‘signora’ ($$, $+, $, ecc.)!+.

Tra In portineria e Tristi amori cade un breve testo di Capuana, Il pic-colo archivio (!,,.), dedicato all’incontro di Federico e Maria, amanti in-soddisfatti che %niscono per separarsi. Il testo spicca per il tentativo di riprodurre un parlato altoborghese di tono spigliato e cinico – ciò che ri-uscirà compiutamente al Giacosa di Come le foglie – ma è pure indicativo degli impacci di Capuana, lontano dall’omogeneità tonale raggiunta per vie diverse da Verga e da Giacosa. Fin da subito i due personaggi esibisco-no la propria sprezzatura mescolando la menzione del dentista con una citazione verdiana:

>32&3: Non mi avete neppure domandato se sto bene...@5452&71: Siete la salute in persona!...>32&3: Pare, ma vengo dal dentista. Ho passato una nottataccia; non ho chiuso occhio. Devo essere orribile. Ho evitato di guardarmi nello specchio per non far-mi paura.@5452&71: Siete raggiante...>32&3: Di pallor! Si sa.@5452&71: E il dentista...?(Oliva, !***, &, p. !/).

!+. Un paio di regionalismi piemontesi di poco più vistosi sono segnalati in Come le foglie (!*##) da Serianni (!**#, p. !/+); cfr. in generale anche i due volumi curati da Alonge (!**, e "##,), dove mancano però lavori di taglio linguistico.

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«Raggiante di pallor» è infatti iunctura estratta dal libretto di Un ballo in maschera e l’allusione, calata in un discorso prosaico e civettuolo sul mal di denti, intende restituire il tono brillante e leggero dello scambio (Boselli, "#!!). A questo intento sono connesse le voci straniere usate da Maria (blasé !., coup de foudre !+, &irtato !+ bis, porte-bonheur "!), e soprattutto l’attitudine metalinguistica dei due: si vedano cenni come «M: Che cosa ci avete perduto? F: Il ranno e il sapone. M: Parlate da lavandaio. Il mio lord inglese non si permetterebbe mai e poi mai una simile espressione» !,; «Gli archivi ricevono unicamente le pratiche espletate: linguaggio burocratico» !*; o ancora la parodia della scrittura epistolare di una amante “semicolta” («la sartina %niva coll’abbraccar-mi e darmi mille bachi» "#) e di una gran dama che si produce invece in una «descrizione, credetemi, che il Fogazzaro non sdegnerebbe per sua» "!. Ma proprio mentre i due si danno un’aria disinvolta spunta – pur evocato scherzosamente – il fantasma della Crusca: «M: Abbiamo &irtato... Si dice? F: Se vi fa comodo. Mi prendete forse per l’Accademia della Crusca?» !+. L’idea che parlando si debba ricorrere a quel che «fa comodo» sembra da attribuire allo stesso Capuana drammaturgo, ma si scontra anche qui con una serie di residui linguistici di varia natura già indicati da Stussi (!**#) in relazione a Il marchese di Roccaverdina (men-tre manca uno studio linguistico globale sul teatro italiano di Capuana, che meriterebbe di essere fatto servendosi di Oliva, !***).

Nel Piccolo archivio si notano infatti toscanismi piuttosto rilevati dal sapore un po’ arti%ciale: «non credervi punto» !., gastigo !,, far la brava ‘fare la smargiassa’ "# (in Petròcchi, !*#"), cotesta "!, per chiasso ‘per scherzo’ "" (ancora in Petròcchi, !*#"), nonché l’apocope – che potrebbe essere anche d’origine settentrionale – in mi son sentita guarire !., con ess. simili anche a !+, !,, !*, ""; inverosimili in un contesto di comunicazione viva sono poi certi tratti di sapore letterario come l’uso di colà !. e !+, del participio presente con valore verbale («un principe [...] viaggiante in incognito» !+), o del tipo di lui in luogo del possessivo, usato nel timore di creare ambiguità in «egli mi ha detto che la sua famiglia starà a Napoli sei mesi, perché una sorella di lui è mezza tisica, così...» !+.

Più conta notare che mancano i procedimenti sintattici deputati all’imita-zione del parlato: l’unico esempio di dislocazione sta in un passo episto-lare ridicolizzato da Federico («Mostro! quello che io so#ro non lo saprete mai!...» "!) e nella stessa battuta si trova anche un caso isolato di frase scissa («Fui io che presi la rivincita sulla volubilità femminile» "!). La

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resistenza a tratti come la dislocazione, il che polivalente, la frase “foderata” e simili, che fa apparire Capuana meno e?cace di Verga, è tuttavia con-sapevolmente enunciata già nel !,,/, quando egli constata ironicamente che «dietro l’esempio, mal compreso, del Verga, una turba di scolaretti si è messa allegramente a proclamare la Comune della sintassi» (cit. in Stussi, !**#, p. !/+).

!.%. Pirandello

A dispetto della prossimità cronologica e geogra%ca con alcuni degli au-tori appena esaminati, i problemi posti dal teatro italiano di Pirandello sono ben diversi, e ri8ettono il processo di standardizzazione linguistica che s’avvia dopo l’Unità. Potendo contare su un istituto scolastico più moderno che lo libera dagli impacci con cui convivono per tutta la vita ancora Verga o Capuana, Pirandello si muove con relativa sicurezza ver-so la messa a punto di una lingua media nella quale lo strato dialettale è non già assente, bensì «variamente e abilmente %ltrato» (Lubello, "#!#, p. $*-)!,. Dopo il giudizio limitativo di Contini (!*.,, pp. .#+-!!), dif-%cile da superare completamente, a partire da Nencioni (!*++) e Altieri Biagi (!*+,) si sono messi in luce il ritegno e la discrezione linguistica di Pirandello, insistendo sulla sua vicinanza alle proposte teoriche di Ascoli, sulla costanza della sua ricerca formale e sul carattere funzionale delle sue scelte espressive!*. Ciò emerge con chiarezza là dove è possibile confrontare il testo drammatico con il punto di partenza novellistico, rispetto al quale è evidente la tendenza ad adottare un registro meno formale, che si rivela tra l’altro nella preferenza per lui rispetto a egli, per davanti rispetto a innanzi, per qua rispetto a qui, e nella insistita correzione di un microfenomeno come l’apocope %nale di giuntura del tipo dov’hai, che passa sempre a dove hai"#. Questi dati vanno temperati tenendo presente che «la sapienza pirandelliana nel padroneggiare le

!,. Cfr. anche Altieri Biagi (!*+,, p. !+!), Bruni (!**$, pp. "--. e ",-*), Tesi ("##/, p. !,!), e la celebre diagnosi di Contini (!*.,, p. .#*), che discorreva per Pirandello di «dialettalità interna».!*. Per questi diversi aspetti cfr. soprattutto Altieri Biagi (!*+,), Bruni (!**$) e Lubello ("#!#)."#. Altieri Biagi (!*+,, pp. "#,-"!), sulla base de La morsa e de La sagra del Signore della Nave.

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regole del parlato è rivolta [...] piuttosto agli aspetti prosodici e fonetici (espressi a livello scritto dall’interpunzione, dai vocativi e dalle interie-zioni) che non a quelli morfosintattici» (Serianni, !**!, p. "-, e cfr. an-che Nencioni, "###); e certo signi%cativa da questo punto di vista è la tendenziale rarità delle dislocazioni con ripresa pronominale rilevata da Serianni (!**!, p. .$).

Si tratta tuttavia di un dato da non interpretare in maniera rigida, che meriterebbe di essere veri%cato caso per caso: nell’Enrico '( (!*"!), si contano ad esempio ben trentatré casi di dislocazione, con punti di notevole addensamento (otto casi nelle ultime ventisette battute; degna di nota anche la prevalenza della dislocazione a de-stra con "# ess.)"!. Un tratto del parlato al quale Pirandello sembra opporre invece una resistenza più tenace si direbbe il che polivalente tanto caro a Verga, se è vero che se ne trovano solo due esempi (+,/, ,-,). Sotto il pro%lo fonomorfologico la lingua della tragedia appare indicativa della medietà letteraria diagnosticata da Altieri Biagi (!*+,, pp. !,,-*): il testo è costellato da forme come movendo +,", votato ‘vuotato’ ,/., giuoco ,"$ bis ecc., cangiato e cangiare ,!$, ,"# ter, ,/! ecc., giovine ,!+, ,-" ecc., annunziare ,!# ecc.; né vanno trascurate screziature di %orentino vivo come fo +,/, costà +*!, codesto ,$+ bis ecc., lampa ,$,, ,$*, ganzo ‘amante’ ,$-, montare sulle furie ,#. ecc. Di là da elementi come questi, la cui incidenza si apprezzerebbe meglio sulla base di un ampio spoglio, ancora da fare, l’aspetto più caratteristico della lingua tea-trale pirandelliana resta il largo impiego di elementi fatici, interiettivi e interrogativi che segmentano continuamente il discorso"": si vedano tra gli altri, solo dal primo atto, per Dio santo +,-, sai? +,/, bada! +,+, badate che... +,,, s!do! +*/, +*. ecc., Dio mio ,## ecc., dico la verità +** ecc. o intere frasi come «Non ti sembra? Ma come non ti sembra? Guardate voi, Tito! Ditelo voi!» +*-, «Si guardi i piedi, si guardi i piedi, dottore! i piedi!» +*$, «Un discorso? Ecco... ecco... sarebbe utilissimo, utilis-simo conoscerlo, per bacco!» +*+, «Naturalmente, appunto! naturalmente! E allora più che mai “naturalmente”!» ,## ecc.

La grana linguistica appena saggiata rivela dunque tutt’altro impasto ri-spetto al teatro verista della generazione precedente, e il fatto s’aggancia anche a ragioni inerenti la poetica stessa del Pirandello drammaturgo: la lingua ad alto tasso interiettivo, espressivamente controllata e disadorna del suo teatro è infatti l’unica in grado di soddisfare davvero «il bisogno, liberatorio, di estrinsecarsi» (Segre, !**!a, p. /") che ne ossessiona tutti i personaggi.

"!. Cito da D’Amico, Vàrvaro (!*,.-"##+, &&, pp. ++*-,..); sulla prevalenza della dislo-cazione a destra cfr. &. Rossi F. (!***, specie p. !,+)."". Cfr. Nencioni (!*++), Altieri Biagi (!*+,, p. !,"), Stussi ("##!, p. """).

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-. Lingua e vernacolo: scrittori teatrali toscani

#.". Bibbiena e la tradizione comica aretino-senese

Ben diversa è la situazione degli scrittori teatrali di origine toscana, parlanti nativi di varietà prossime per molti aspetti al %orentino trecentesco canoniz-zato da Bembo. La prima commedia regolare riferibile a quest’area geogra%-ca è la Calandra di Bernardo Dovizi detto il Bibbiena, recitata il . febbraio !/!- presso la corte urbinate e stampata nel !/"! (citerò da Padoan, !*,/).

Fin dalla battuta d’attacco (./) si notano giaciture di stampo decameroniano («Bene è vero che [...]», «intese Lidio mio patrone Santilla sua sorella esser viva», «maggior [amore] che mai fratello a sorella portassi»), e da quel modello dipendono anche numerose tessere lessicali, soprattutto di sapore plebeo (ad es. ventura ‘membro virile’ ++ [Dec. 9&&& "], gocciolone ‘stupido’ !#* [Dec. 9& .], «mille millanta che tutta notte canta» !!# [Dec. 9&&& -], «volevi arrivare fresco cavalieri in battaglia» !-- [Dec. &&& .] ecc.). Gli elementi di mediazione boccacciana si accompagnano a quelli vivi, dato che la princeps conserva tratti argentei quali bono, none epitetico e drento metatetico, i possessivi invariabili mie, suo sing. e tua plur., il congiuntivo fussi e l’omissione di che complementatore"-.

Con una disinvoltura linguistica tipica di molti scrittori toscani, il Bib-biena mescola dunque elementi libreschi a elementi vivi e – con spiccato senso dello spettacolo – si concede un’apertura giocosa all’imitazione delle parlate altrui, alla deformazione delle parole, al doppio senso e al funam-bolismo verbale (Trifone, "###, pp. -"--): sono da rammentare in tal senso l’idioma settentrionaleggiante del facchino (III &&; D’Onghia, "##*, p. -+ e n */), forme del tipo merda!orito ‘ermafrodito’ (III C9&&&), lo scambio osceno sul «metter la chiave nella toppa» (III C) e lo sketch, destinato a grande fortuna, della formula negromantica storpiata (II 9&: ambracullàc diventa sulle labbra dello sprovveduto Calandro anculabràc, alabracùc, alucambrac e così via).

Perfezione un po’ raggelata del congegno comico, curiosità espressiva e disponibilità a elementi non %orentini o estranei all’opzione linguisti-

"-. Trifone ("###, p. -!). Tali elementi trovano riscontro nelle lettere autografe: spoglian-done alcune del dicembre !/!! sulla base di Moncallero (!*//) si notano ad es. bona -,!, vole -,., le tre paghe mi deve -,", drento -,. bis e -,+, drieto -,+, fussi -*/, -*+ ecc.

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ca bembesca caratterizzano anche altri testi toscano-orientali: spiccano Gl’Ingannati degli Accademici Intronati (!/-!) e l’Amor costante di Ales-sandro Piccolomini (!/-.), che mostrano una lingua punteggiata di sene-sismi fonetici, morfologici e lessicali"$. Le cose non stanno diversamente nella più tarda Pellegrina di Girolamo Bargagli (!/.$), dove analoghi stru-menti linguistici sono impiegati per mettere in scena una vicenda roman-zesca che vira al patetico"/: dal punto di vista fonomorfologico si notano i tipi persistenti povaro $-+, $$!, $/" ecc., lettara $-* e simili, nonché for-me prive d’anafonesi come longo $-*, ponto $-*, vencere $$$, lengua $/., conseglio $,! ecc.; per il rispetto lessicale spiccano appoiosi ‘noiosi’ $+, già nell’Amor costante e poi ancora in Gigli e nel senese attuale, pestio ‘chiavi-stello’ $,., seccareccio ‘malore’ /#/"..

In un certo senso, tuttavia, la libertà e la sprezzatura bibbienesche han-no il loro seguace più notevole in Pietro Aretino, che conduce il processo avviato con la Calandra alle estreme conseguenze dal punto di vista lin-guistico (secondo un’intuizione di Folena, !*,-a, p. !-/): anche Aretino proviene dalla Toscana orientale, e professa al di là degli omaggi rituali un aggressivo antibembismo che gli deriva dalla posizione privilegiata di par-lante toscano. Il che è evidente %n dalle prime prove comiche, in partico-lare dalle due redazioni della Cortigiana (!/"/ e !/-$): è merito di Tonello (!*+#, pp. "$"-,-) l’aver indicato, sulla base di questa commedia, una serie di caratteristiche espressive che quali%cano il teatro di Aretino all’insegna di un rilevato edonismo (Segre, !*.-, pp. -,/-+): spesseggiano strutture ad accumulazione, allitterazioni e onomatopee, serie sinonimiche, composti imperativali (schifa-il-poco, magna-pagnotte, sguscia-lumache ecc.) e altera-ti soprattutto peggiorativi (beccaccio, barbieraccio, porcaccio ecc.)"+. Venuta meno l’a?lata istanza polemica che sostiene la Cortigiana e che si coglie ancora nel Marescalco (elaborata tra il !/"+ e il !/--), le commedie succes-sive sembrano sul punto di implodere sotto il peso di un così esuberante armamentario espressivo. Nel Filosofo (!/$.) lo svolgimento della traccia narrativa boccacciana (la novella di Andreuccio da Perugia) è lardellato

"$. Cfr. Poggi Salani (!**", p. $"+), Trifone ("###, p. $-) e in generale l’ampio studio di Trovato (!**$b) nell’uso letterario del senese."/. Cito da Borsellino (!*.").".. Per le tre voci cfr. rispettivamente Strambi (!**$, p. -#/) e Cagliaritano (!*+/, pp. !! e !!$); GDLI, C9&&& -,"."+. Su lingua e stile di Aretino cfr., oltre a quanto già citato, Marazzini ("##!) e più spe-ci%camente Patota ("##,).

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con virtuosismi d’ogni genere, come dimostrano ad es. i dialoghi tra i la-dri che intendono svaligiare la tomba dell’alto prelato, o ancora – per gli ossessivi eAetti di ribattuto – lo scambio tra il protagonista Boccaccio e la prostituta che l’ha ingannato (Decaria, "##/, pp. ,- e .-).

#.!. La Mandragola e i suoi seguaci

Il capolavoro di questa zona linguistica arriva con la Mandragola di Nic-colò Machiavelli (!/!,-"#; !/!--!$ secondo Stoppelli, "##/): ostile alle idee “italianiste” e orgogliosamente consapevole della %orentinità che lo accomuna ai padri fondatori della tradizione letteraria, Machiavelli scrive la propria commedia maggiore servendosi del %orentino vivo, e caratte-rizza la parole dei suoi personaggi comici in maniera quantomai e?cace, secondo un perfetto equilibrio tra monolinguismo e pluristilismo",. Ecco alcune battute di Callimaco e Ligurio, intenti a discutere sull’opportunità di spedire Nicia alle terme con la moglie (-#--")"*:

6&;:2&1: Egli [Nicia] è un uomo della qualità che tu sai, di poca prudenza, di meno animo, e partesi malvolentieri da Firenze. Pure io ce l’ho riscaldato, e mi ha detto in%ne che farà ogni cosa; e credo che, quando e’ ti piaccia questo partito, che noi ve lo condurreno. Ma io non so se noi ci fareno el bisogno nostro.7366&>371: Perché?6&;:2&1: Che so io? Tu sai bene che a questi bagni va d’ogni qualità gente, e po-trebbe venirvi uomini a chi madonna Lucrezia piacessi come a te: che fussi ricco più di te, che avessi più grazia di te; in modo che si porta pericolo di non durare questa fatica per altri, e che c’intervenga che la copia de’ concorrenti la faccino più dura o che, dimesticandosi, la si volga ad un altro e non a te.7366&>371: Io conosco che tu di’ el vero: ma come ho a fare? che partito ho io a pigliare? dove mi ho a volgere? A me bisogna tentare qualche cosa: sia grande, sia pericolosa, sia dannosa, sia infame. Meglio è morire che vivere così. Se io po-tessi dormire la notte, se io potessi mangiare, se io potessi conversare, se io potessi pigliare piacere di cosa veruna, io sarei più paziente ad aspettare el tempo. Ma qui non c’è rimedio. E se io non sono tenuto in speranza da qualche partito, i’ mi mor-

",. Per la lingua cfr. lo spoglio di Scavuzzo ("##-, pp. +/-,/), condotto sul ms. Laurenziano Redi !"*, edito in Stoppelli ("##/); per la caratterizzazione stilistica dei personaggi cfr. Va-nossi (!*+#, pp. "/-/!), Barber (!*,$), Franceschini (!**,, pp. -+*-,+), Trifone ("###, p. --)."*. Cito da Stoppelli ("##.), dove si legge – con ulteriori ritocchi – il testo %ssato in Stoppelli ("##/).

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rò in ogni modo. E veggendo d’avere a morire, non sono per temere cosa alcuna, ma per pigliare qualche partito bestiale, crudele, nefando.6&;:2&1: Non dire così. RaArena cotesto impeto dello animo.

Qui si vede l’opposizione tra l’argomentare secco di Ligurio, con chiari snodi ragionativi («Egli è [...]. Pure io [...] e credo [...]. Ma io non so [...]» ecc.) esaltati da qualche sapida scelta lessicale («io ce l’ho riscaldato», «la faccino più dura»), e la reazione prevalentemente emotiva di Callimaco (che sfog-gia in gran copia domande retoriche, tricola e anafore), che tende al patetico e fa mostra di un lessico più controllato; ma è un’opposizione tendenziale, perché altrove lo stesso Callimaco ragiona in maniera ferrea, esibendo quegli stilemi dilemmatici frequenti nella prosa politica di Machiavelli (eloquente a tal proposito la battuta & "- a p. "#, con andamento argomentativo ben scandito). Un impasto diverso caratterizza invece la lingua di messer Nicia, di cui è su?ciente riportare qui le prime battute ("/-"+):

)&7&3: Io credo che e tua consigli sien buoni, e parla’ne iersera alla donna: disse che mi risponderebbe oggi. Ma, a dirti el vero, io non ci vo di buone gambe.6&;:2&1: Perché?)&7&3: Perché io mi parto malvolentier da bomba. Di poi, l’avere a travasare mo-glie, fante, masserizia, ella non mi quadra. Oltre a questo, io parlai iersera a parec-chi medici: l’uno dice che io vadia a San Filippo, l’altro alla Porretta e l’altro alla Villa. E’ mi paiano parecchi uccellacci! E a dirti el vero, questi dottori di medicina non sanno quello che si pescano.6&;:2&1: E’ vi debbe dar briga quello che vo’ dicesti prima, perché voi non sète uso a perdere la Cupola di veduta.)&7&3: Tu erri. Quando io ero più giovane, io sono stato molto randagio: e’ non si fece mai la %era a Prato che io non vi andassi; e e’ non c’è castel veruno all’intorno dove io non sia stato. E ti vo’ dir più là: io sono stato a Pisa e a Livorno, o va’!

Frequenti sono le espressioni plebee («non ci vo di buone gambe», «mi parto mal-volentier da bomba», «non sanno quello che si pescano») e i titoli oAensivi espres-sivamente rilevati («mi paiano parecchi uccellacci»), oltre che qualche tic («a dirti el vero», due volte a distanza ravvicinata): tutti elementi che intendono oArire una testimonianza linguistica dell’aggressiva angustia mentale di Nicia. Ma va ribadito che la lingua di questi personaggi è tanto diversa nelle scelte espressive quanto unifor-me dal punto di vista grammaticale. I tratti del %orentino argenteo si trovano in egual misura nelle battute di Callimaco, Ligurio e Nicia: si notino nei passi citati, tra l’altro, l’articolo el, la forma ridotta dei pronomi («i’ mi morrò» Callimaco, «e’ mi paiano parecchi uccellacci» Nicia), i futuri di &9 pers. condurreno, fareno (Ligurio), il tipo d’ogni qualità gente (Ligurio).

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La perfezione teatrale della Mandragola e il suo forte ancoraggio a Firenze ne determinano una fortuna a binario doppio: il testo è amato e imitato dai maggiori drammaturghi contemporanei e successivi (da Ruzante ad Aretino, %no a Goldoni), ma – in grazia della sua intensa dialettalità – diventa un modello ineludibile anche per il teatro municipale %orentino. All’ombra di questo grande precedente si accomodano infatti, in specie dal punto di vista linguistico, commediogra% come Cecchi e Lasca, attrat-ti soprattutto dalla connotazione popolaresca della lingua di messer Nicia e di fra Timoteo-#. Così, nel Frate del Lasca (!/$#-!; cito da Lasca, !*.") elementi demotici come bufolo ‘sciocco’ *+, salvaggiume ‘aspetto rozzo’ !#!, na#e ‘in fede mia’ !#", !#., !!-, imbertescare ‘raggirare’ !#" (alcuni già nel-la Mandragola) increspano appena un fondo linguisticamente uniforme, che tende alla veicolarità ed è il corrispettivo dell’andamento «gelido e neutrale» della farsa (Davico Bonino, !*+$, p. "*). Nell’Assiuolo di Cec-chi (!/$*) la componente linguaiola è invece più esibita, a testimonianza di un «docile e bonario [...] provincialismo» (Borsellino, !*.", &, p. !"-, dalla cui ed. cito il testo): nel solo primo atto s’incontrano tra l’altro «le son cose che non si gettano in pretelle» ‘che non si fanno in fretta’ !-!, «non valete tre man di noccioli» ‘non valete nulla’ !-!, «aveva a un tempo cura alla padella, e al gatto» !-., «ella ci ha piantati come duo zughi» !-* (espressione analoga a quella di Mandragola III 9&& «m’hanno qui posto come un zugo a piviolo»).

#.#. La tradizione toscana tra vernacolo e tentativi di riforma

Il riuso provinciale della Mandragola è la tappa intermedia d’un processo che segna tra Cinque- e Seicento lo scadimento del %orentino al rango di vernacolo, proprio mentre l’Accademia della Crusca metabolizza le idee bembesche e propone una prima tesaurizzazione del lessico italiano. Signi-%cativa da questo punto di vista è la produzione teatrale di Michelangelo Buonarroti il Giovane, la cui Tancia si presenta come vasto collettore di lessico popolaresco, attinto anche alle zone rustiche giusta la lezione della letteratura nenciale che aveva preso avvio in epoca medicea-!. Proprio la Tancia – rappresentata a Firenze il "/ maggio !.!! – è citata in una delle

-#. Cfr. Figorilli ("##/) e D’Onghia ("##,, pp. !!$-/, n -!).-!. Cfr. Poggi Salani (!*.*); per l’altra sua commedia, La !era, cfr. Pelosi ("##-).

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prime commedie di Giovan Battista Andreini, Lo Schiavetto (!.!"): qui tra gli altri personaggi compare Succiola «albergatrice %orentina», che s’esprime in una lingua intensamente vernacolare e a tratti rusticale (cito da Andreini, !."#): vi abbondano tra l’altro forme con epitesi di -e (cosie !", piue !- ecc.) e palatalizzazione di l preconsonantica (aibergo !", aitro !/ ecc.), ma anche il dimostrativo cotesto !", ", ecc. e l’invariabile gnene !/, -. ecc.; buona parte della caratterizzazione è a?data al lessico: ecco ad es. otta ‘ora’ !-, ",, manucare ‘mangiare’ !-, )ascherie, muccerie, pappolate tutti sinonimi per ‘sciocchezze’ !$, gocciolone ‘stupido’ -! e %n dalla prima bat-tuta un’esclamazione come O corpo di san Puccio !!, che fa subito pensare al potta di san Puccio di messer Nicia in Mandragola II 9&. Con Andreini il %orentino vivo entra dunque a far parte del repertorio linguistico della Commedia dell’Arte e anche questo fatto mostra bene che quella tratteg-giata %n qui è una vicenda di irrigidimento e di progressiva limitazione: gli elementi linguisticamente popolari impiegati con ra?natezza da Ma-chiavelli nel corpo di un congegno comico plurivoco si fanno poco a poco decorativi, adatti al blasone e alla macchietta vernacolare (cfr. D’Onghia, "#!!a, pp. +$-+).

L’area toscana continua tuttavia ad avere una forte autocoscienza lin-guistica, se è vero che qui si assiste a una delle prime reazioni ai modi della Commedia dell’Arte: a partire dal primo Settecento, il %orentino Giovan Battista Fagiuoli e i senesi Girolamo Gigli e Jacopo Nelli scrivono una se-rie di testi comici nei quali si fa strada la ricerca di un certo equilibrio espressivo e di un qualche realismo ottenuto per via linguistica. Tale ri-conoscimento non deve far dimenticare che la comicità dei loro testi è prevalentemente linguistica, come prova la congestione espressiva che contraddistingue soprattutto i personaggi popolari-". Nel Cicisbeo scon-solato di Fagiuoli il vecchio %orentino Anselmo usa una lingua popolare che si quali%ca come la voce del buon senso rispetto alle svenevolezze del cicisbeo Vanesio (cito da Fagiuoli, !+".):

Vi s’incontrano espressioni come «qui s’è speso a braccia quadre» !, imbietolito ‘rammollito’ -, «se la cionca» ‘se la scola’ -, «a ciel rotto» ‘a squarciagola’ ,, bab-baccio "/ e tratti morfosintattici del %orentino parlato («l’ha ire a parare» $#, con cancellazione della preposizione reggente; «O che nuora m’è toccato!» $$, con

-". Cfr. Altieri Biagi (!*./b) e Trifone ("###, pp. .+-+!); per Gigli e Nelli cfr. Strambi (!**$) e la bibliogra%a in Mattarucco ("##,). Resta molto da fare sul piano editoriale.

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participio passato invariabile; «codesta costì» $", che replica al «questa qui» del genovese Silvio). Vanesio si esprime invece come un amoroso dell’Improvvi-sa oramai screditata, con tirate ad alto indice metaforico: «Signora, ella è, che ha spremuto della manna in su gli accenti, che scioglie e va con tanta piena di saporiti favori, inondando gli animi di tutti quegli che godon l’onore di servirla, che non reggendo con le sponde d’ogni più valida corrispondenza rimangono sommersi nel-la confusione» !,.

Nell’Astuto balordo l’escursione linguistica è accentuata grazie al personag-gio del villano Ciapo, che torna in tante altre commedie e che adopera un idioma rustico corposo (si notano ava ‘aveva’ !+!, sane ‘sa’ !+!, coresta ‘codesta’ !+/, palora ‘parola’ !+/, lagorare !,$), costellato da malapropismi (dailmatica ‘grammatica’ !,/, eretico ‘aritmetico’ "!" ecc.) ed esclamazioni colorite (diaschine ‘diamine’ !++, canchita ‘canchero’ !,$ ecc.)--. Con Cia-po interagiscono il vecchio Anselmo, novello Nicia (ecco così i suoi «ma-gistrati da chiocciole» ‘da quattro soldi’ ",., biliorsa ‘creatura mostruosa’ ",,, «non vo’ bubbole né pantraccole» "*!, babbusca ‘stupida’ -!" ecc.), e il pedante Fidenzio (che parlando col villano innesca vari qui pro quo: "!"-/); ma più conta mettere agli atti il tentativo, pur marginale e solo par-zialmente riuscito, di foggiare una lingua media e ragionativa che si coglie ad esempio nel monologo della giovane innamorata Isabella (".#), e a cui guarderà con interesse lo stesso Goldoni.

Le cose vanno un po’ diversamente nel Don Pilone, la commedia più importante di Gigli, andata in scena tra il !+#. e il !+#+ e stampata nel !+!!-$: il fatto che il testo sia fondato sul comico di carattere più che su quello di lingua – esso dipende dal Tartu#e di Molière e costò all’autore l’allontanamento dalla propria città – determina infatti una maggior di-screzione espressiva rispetto all’esibizionismo di Fagiuoli-/.

Scompaiono insomma le macchie rusticane, e restano le venature municipali e popo-lareggianti: madama Pernella, «decrepita madre» del Buonafede raggirato da Don Pilone, usa per esempio espressioni come «voi pigliate [...] tutta la strada delle forche» ", «Mariana non monda nespole» ‘non perde tempo’ ", «faceva %no il puntale alle ginestre per a?bbiarsi» ‘si ornava con cose da poco’ " e snocciola proverbi in continua-zione («dice il proverbio, guardati da quest’acque chete!» ", «bestia ammajata vuole

--. Cito da Fagiuoli (!+-$); per i tratti linguistici rusticali cfr. Altieri Biagi (!*./b, pp. ,"-/) e Poggi Salani (!*.+).-$. Cito da Gigli (!+!!); edizione recente in Turchi (!*,+a).-/. Cfr. Strambi (!**$, p. "*+) e Trifone ("###, p. +#).

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andare alla festa per mutar padrone» " ecc.); ma è notevole che la caratterizzazione linguistica del personaggio conti anche su elementi insistiti ma un po’ meno appari-scenti come lo scialo di forme alterate notato anche da Strambi (!**$, p. -#,) e Trifone ("###, p. +!): nella sola prima scena servicciuola, bocchina, capetto, zucchino, sciagu-ratello, ribaldoncello, massimacce, pazzarello, )aschette, linguaccia, poveretto, peccatacci, canino, mondaccio, canagliaccia). Ancor più che in Fagiuoli, in Gigli si nota il tentativo di costruire una lingua media e veicolare in cui spiccano meglio anche certi tratti di sintassi parlata: piuttosto ampio è per esempio il ricorso alla dislocazione con ripresa pronominale (ad es. pp. $, -,, $,-*, /#, // bis, /., /, ecc.), e può capitare di imbattersi in un costrutto in declino nello scritto – ma evidentemente ancora vivo nel parlato – come la paraipotassi («s’egli è povero, e per questo io voglio sollevarlo» "")-..

#.$. Zannoni

Trascorsi quasi tre secoli dalla Mandragola, il %orentino vivo è dunque avvertito come lingua comica di per sé, e lo mostra tra l’altro l’attacco del-la Finestrina di Al%eri (!,##-#"), dove un Mercurio in missione nell’Ade può apostrofare Cerbero così: «Ba, baù; baù. baù. Sii maledetto tu, / Cer-beraccio sguajato. E che, non vuoi / riconoscermi più? Vorrestù forse / un po’ assaggiar di questo Caducéo? / Ei ti parrà amaruccio [...]»-+. A pochi anni di distanza è attivo l’ultimo notevole esponente del teatro vernacolare %orentino preunitario, Giovan Battista Zannoni, erudito e segretario della Crusca dal !,!!. Nel !,!* Zannoni stampa in forma anonima un Saggio di scherzi comici accresciuto nel !,"/ di due commedie-,. Le quattro comme-die raccolte nel Saggio sfruttano la parlata del popolino di Firenze, imitata in maniera minuziosa con intenzioni paternalistiche: ne è prova La Crezia rincivilita per la creduta vincita di una quaderna (composta nel !,!#, stam-pata nel !,"/), la cui morale – «ognuno gli ha esseccontento dissò stato e [...] immestier dissignore gna lasciallo fare a chi lo sa fare» ("/,) – si impo-ne anzitutto per via linguistica, specie nelle scene in cui la parvenue Crezia

-.. Considerazioni simili si potrebbero svolgere per il capolavoro del Nelli, La serva pa-drona, andato in scena per la prima volta nel !+#* e stampato nel !+-!, per cui mi limito a rinviare ad Altieri Biagi (!*./b), Trifone ("###, p. .,) e all’edizione (Turchi, !*,+b); l’esame linguistico di un’altra sua commedia, La moglie in calzoni, è in Strambi (!**$, pp. "++-*/). Quanto alla paraipotassi cfr. De Caprio ("#!#).-+. Forti (!*/,, p. -); nella prima scena si trovano poi, limitandosi al lessico, babbo, golacce, codesto, urlacci, po#ar, oibò, pacioni.-,. Cito dalla terza edizione, anch’essa anonima, Zannoni (!,-,); cfr. poi Ugolini G. (!*/#), Bencistà ("###) e ("##!).

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parla in dialetto con la propria servitù, che è invece inverosimilmente ma perfettamente italofona (!+*):

;&:'5==5: Illustrissima.725B&3: Che voleche o’ ora?;&:'5==5: Non altro, che dirle una cosa che la interesserà assai.725B&3: Bene, che v’è egli?;&:'5==5: È entrato in casa un contadino che tiene per la mano un ragazzetto. M’immagino che questo sarà il padroncino.725B&3: Davvero!;&:'5==5: Illustrissima sì; l’ho visto io con questi occhi. Anzi le dirò di più, ch’è di sì belle e nobili fattezze e di sì delicata complessione, che si conosce all’istante che non è nato contadino, quantunque di contadino abbia i panni.725B&3: Da contadino me l’hanno estito! Gnarà fagli subito piglià la misura da issarto per vestillo da par suo.

Le poche battute di Crezia rivelano un’attenta riproduzione del %orentino popolare: si notino per esempio la probabile articolazione fricativa di -t- indicata da ch (voleche), il dileguo di spirante in fonetica di frase (l’hanno estito), l’assimilazione rl > ll (vestillo) e l’uso delle forme pronominali ri-dotte (che voleche o’ ora?). La cura prodigata nella mimesi, non meno della ricchezza lessicale, fanno del %orentino demotico di Zannoni un oggetto degno di studio sistematico, anche in vista di una auspicabile edizione cri-tica commentata dei suoi Scherzi-*.

$. Teatro dialettale fuori dalla Toscana$.". Ruzante

Nell’area padano-veneta l’esperienza drammaturgica delle corti settentrio-nali, la presenza di Ariosto e la vivacità teatrale di Venezia creano le condi-zioni per la %oritura di una notevolissima tradizione drammatica soprat-tutto dialettale e plurilingue$#. In questo panorama spicca l’opera teatrale

-*. Cfr. intanto Binazzi ("##,) per la lingua della Crezia rincivilita e Renzi (!**!) per lo studio d’un singolo aspetto sintattico. $#. Per il teatro in area padana cfr. per es. l’antologia di Tissoni Benvenuti, Mussini Sac-chi (!*,-), gli studi riuniti in Bongrani (!*,.) e le recenti edizioni, attente anche a fatti linguistici, di Acocella, Tissoni Benvenuti ("##*) e Favaretto ("#!!). Sul plurilinguismo teatrale veneto restano insuperate le pagine di Folena (!*,-a); per il Friuli cfr. Pellegrini ("##$).

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di Ruzante (per il cui italiano cfr. =32. ".!), che a più riprese si serve del pavano, lingua rustica delle campagne padovane usata a scopo letterario %n dal Quattrocento$!; Ruzante plasma e rinnova il proprio strumento espressivo piegandolo alle esigenze più diverse, secondo il diagramma indicato da Paccagnella: «la vicenda stessa del pavano di Ruzante, dalla Betìa alla Vaccaria, nel confronto con il toscano ormai percepito come do-minante proprio sul piano letterario [...], è storia di una perdita dei tratti più rustici sul piano della costruzione sintattica e su quello della caratte-rizzazione lessicale» (Paccagnella, !**,, p. !-.). La Betìa, scritta dilatando i contrasti matrimoniali (mariazi), è ben ancorata alla letteratura campa-gnola precedente: nei primi atti la parodia delle teorie amorose volgari stende sul pavano dei contadini una patina irrisoria e coprolalica, come mostra bene il furioso – ma in fondo ludico – litigio tra Zilio, Barba Scati e Bazarello sulla natura di Amore$". Diverso è quel che accade di lì a poco con Parlamento, Bilora e Moschetta (!/"*--"), dove il pavano viene usato senza chiari intenti contrastivi o giocosi, e acquisisce una forza espressiva soAerta quando non violenta: nella Moschetta lo dimostrano il martellante ricorso a tipiche imprecazioni come cancaro, sangue, pota e la frequenza di similitudini animali che esprimono il degrado ferino dell’umanità messa in scena (D’Onghia, "#!#b, pp. "/-,). Nel pavano di personaggi come Bi-lora (Bilora) o Menato (Moschetta) questa componente pulsionale si alter-na però con un’attitudine ragionativa ignota ai contadini della Betìa. Ecco l’entrata in scena di Bilora:

Orbéntena, on’ no va uno inamorò, e on’ no ’l se %ca! el no se ghe %cherae gnan ’na sbombarda. Potta, an, l’amore! Chi arae mè ditto che l’amore m’aesse tirò sì %eramen che ’l m’aesse menò in zente ch’a’ no viti mé, e fuora de ca’ mia! Ch’a’ no sé on’ sùpie, mi. I dise che l’amore no pò fare, o che ’l no sa fare; mo a’ vezo mi che ’l sa fare e che ’l fa fare zò che el vuole. Mo mi [...] se no foesse stò l’amore de vegnir a veere s’a’ catto la me cristiana, ch’a’ no sarae zà vegnù tutto ieri, tutta sta notte e tutta sta doman per buschi, per çiesie e per scattaron: ch’a’ son tutto inscurentò, ch’a’ no posso pì de la vita (Padoan, !*,!, p. !-*).

La meditazione sulla potenza della passione – tragicamente premonitri-ce, dato l’eccezionale esito omicida della vicenda – è condotta in maniera

$!. Le rime pavane preruzantiane sono edite in Milani (!**+).$". Cfr. Zorzi (!*.+, pp. !.*-"--); per i problemi linguistici ed editoriali connessi cfr. Tomasin ("###) e Cecchinato ("##/).

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vibrata (sbombarda ‘bombarda’, tirò [...] !eramen ‘trascinato %eramente’, per buschi, per çiesie e per scattaron ‘per boschi, per siepi e per stoppie’, inscurentò ‘pieno di lividi’), ma senza le maledizioni che si trovavano riferite ad Amore in apertura della Betìa; piuttosto con considerazioni quasi logicamente concatenate (on’ no va uno inamorò!, I dise che [...]; mo a’ vezo mi che [...]; se no foesse stò l’amore [...] a’ no sarae zà vegnù). Con la Piovana, pur scritta quasi contemporaneamente alla Moschetta, Ruzante raggiunge invece una classicizzazione del pavano, che compete con il latino di Plauto (principalmente quello del Rudens) e dà voce non più solo a contadini, ma anche a servi, innamorati, vecchi e loschi fac-cendieri, con diversi livelli linguistico-stilistici$-. Ecco un assaggio dalla lingua dell’innamorato Siton:

A’ no catto deferintia da uno inamorò a uno dei sti bosatiegi manzuoli zoveniti, che un boaruolo per rire ghe abbia buttò un gabban su gi uogi e cazzòghe un spin sotto la coa, che ’l fa andar roellando de qua e de là, senza saer don el vaga o don el suppia. Mi a’ son el manzuolo, l’amore è el boaro, i spini è la duogia che a’ he appettà al cuore, e ’l stornimento sì è el gabban, che a’ he su gi uogi; che a’ no sè se a’ vaghe né ben né male, perché don a’ son, a’ no ghe son, e donde a’ no son, a’ ghe son [...] (cito dal testo stabilito in Schiavon, "#!#a, p. !"#).

Proprio perché il tema è sempre lo stesso (Amore), è utile un esame con-trastivo rispetto all’attacco del Bilora: anche qui l’andamento è meditativo, ma mancano le immagini corpose e risentite di Bilora, e il monologo di Siton è costruito su una similitudine giocosa di tono rustico (innovazione del Beolco rispetto al testo plautino) e sulla sua illustrazione a bene%cio del pubblico («Mi a’ son el manzuolo, l’amore è el boaro [...]»). Al di là di questi rilievi, è bene ricordare che resta tutt’ora aperto il problema di un’adeguata descrizione grammaticale del pavano di Ruzante, che potrà contare ora su una nuova edizione complessiva della sua opera e sul Voca-bolario del pavano$$.

$-. Cfr. Paccagnella ("##$, p. !+.) e Schiavon ("#!#a, pp. --+-+$).$$. La nuova edizione dell’opera ruzantiana è stata avviata con D’Onghia ("#!#a); il dizionario è Paccagnella ("#!"). L’unico lavoro linguistico-grammaticale con ambizioni di completezza descrittiva è l’invecchiato Wendriner (!,,*), cui vanno aggiunti Schiavon ("#!#a, pp. "-/--#-) e, su singoli problemi sintattici, D’Onghia ("##-) e ("#!#c).

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$.!. Andreini

Si resta nel Veneto con un secondo e cospicuo caso di dialettalità, legato al nome di Giovan Battista Andreini: nel suo corpus comico prevalentemen-te plurilingue (cfr. =32. /.-) il caso della Venetiana (!.!*) – scritta tutta in veneziano – è unico, e tanto più notabile per l’ottima qualità del dialetto impiegato da uno scrivente che non ne è parlante nativo$/. Il veneziano è qui sottratto all’impiego contrastivo tipico del teatro professionistico, e la monodialettalità si lega a una diAerenziazione stilistica interna dei diver-si personaggi, con una tecnica che rammenta seppur di lontano quella di Machiavelli o Ruzante. Nella commedia Belina e Orseta (che parlano un dialetto complessivamente stinto e “borghese”) mettono a punto un piano per incontrarsi con i loro spasimanti durante il Carnevale senza farsi sco-prire dagli anziani genitori (Cocalin e Stefanelo), e avvalendosi dell’aiuto della mezzana Venetiana, che dà il titolo alla commedia (allusivo però an-che alla sua sostanza linguistica). Nell’eloquio dei due Magni%ci – ma an-che in quello della Venetiana e del servo Pachiera – è viva la lezione espres-siva di Andrea Calmo (cfr. =32. /."), portata alle estreme conseguenze in una girandola di continue metafore per lo più a doppio senso. Ecco uno scambio tra Pachiera e Cocalin (il primo allude alla scarsa vigoria amatoria del secondo):

=37<&523: Vu inamorà? Vu? Amor ve ha sbolzonà? Oh, che %abe, oh che pan-zane!71736&): Mo perché sier castronazzo, me soié-u forsi? Disé!=37<&523: Mo no saveu co’ xè el vechio?71736&): Co’ muo’ sè-lo de gratia, sier pedagogo dal cuius?=37<&523: L’è come el reloio vasto; el martelo no bate, e le riode no core, i con-trapesi no se tira più suso, el razo sta sempre su ’l segno dele "$ hore.71736&): Oh, ciera de quel fantolin, che no se infassa mai, nomè quando l’ha mal ala testa! Credistu che mi no sapia a che muodo se navega in tel mar d’Amor? [...]=37<&523: Perdonéme, signor Patron, mi ve ho per mariner, ma per quel mariner che vien via a vele sgionfe e po co’ ’l xè per intrar in porto el le sbassa, e ’l resolve la cosa in do o tre canonae ch’amorba tuto el porto.(Andreini, !.!*, p. !+).

Spiccano il lessico basso (castronazzo ‘stupido’, pedagogo dal cuius ‘coglione’) o corposo (panzane, sbolzonà ‘frecciata’), e l’impiego di metafore tradizionali – in

$/. Cfr. Zorzi (!*./, pp. !.*-+#), Stussi (!**-a, pp. ,--$), D’Onghia ("#!!a, pp. +#-").

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questo caso quella della navigazione – per veicolare una pletora di doppisensi: le vele sgionfe che il pilota è costretto a sbassare alludono all’impotenza di Cocalin, e le canonae a imbarazzanti emissioni intestinali. Del pari sessuale, e già calmiana, l’immagine del reloio vasto ‘orologio guasto’ e dei suoi meccanismi che «no se tira più suso» (altra allusione all’impotenza: cfr. già D’Onghia, "##., p. .! e n.). An-che il «fantolin, che no se infassa mai, nomè quando l’ha mal ala testa» altro non è che il pene: Cocalin ha dunque insultato pesantemente il proprio interlocutore, ma ha seppellito l’insulto sotto una spessa coltre di metafore. Espressivamente diverso – rifacendosi alla letteratura “alla bulesca” – è invece il veneziano dello spaccone Zorzeto, a più bassa incidenza metaforica e incline a figure di accumu-lazione e iperboli$..

$.#. Goldoni veneziano

Per arrivare a un uso pienamente naturalistico del veneziano – in buona sostanza all’esatto opposto della miscela libresca di Andreini – si devono aspettare le grandi commedie veneziane di Goldoni$+. Come mostrato già da Folena (!*.*), Goldoni libera il veneziano dalle pastoie espressive in cui l’aveva costretto il teatro professionistico: tale processo inizia con le Donne gelose (!+/!), passa per il Campiello (!+/.) e culmina in una sta-gione di capolavori che tra il !+.# e il !+." annovera I Rusteghi e La Casa nova (!+.#), Sior Todero brontolon (!+.!), Le Baru#e chiozotte e Una delle ultime sere di Carnovale (!+."). In maniera volta a volta diAerente, il ve-neziano di Goldoni rappresenta con mirabile duttilità diverse situazioni esistenziali e diverse classi sociali: dal «quarto stato sulla scena» (Folena, !*.*, p. !,!) in Baru#e e Campiello alla borghesia tirannica, sospettosa e patologicamente avida dei Rusteghi e del Sior Todero brontolon, %no agli sventati sposini della Casa nova. Per alcuni di questi testi non si dispone di a?dabili edizioni critiche (fanno eccezione Le Baru#e, Una delle ultime sere di carnovale e il Sior Todero brontolon: cfr. Vescovo, !**-; Pizzamiglio, !**-; Padoan, !**+), e bisogna dunque sospendere il giudizio sugli aspet-ti fonomorfologici della loro lingua: Stussi (!**-b) ha infatti dimostrato, per il testo della Putta onorata e de La buona moglie, che la pur merito-ria edizione Ortolani si allontana spesso dalle stampe antiche sul piano gra%co e fonetico, con conseguenze non irrilevanti rispetto a un’eventuale

$.. Per un campione della lingua di Zorzeto cfr. ad es. Andreini (!.!*, p. !/).$+. Ma non va dimenticata la tradizione comica tardoseicentesca, per cui cfr. Vescovo (!*,+).

!," 6:73 4’1);<&3

valutazione di quei fatti$,. Se si prende uno dei pezzi meglio studiati anche sotto il pro%lo testuale, il Sior Todero brontolon, si vede che la lingua del vecchio non è caratterizzata in maniera conservativa come ci si potrebbe aspettare, ossia non vi ricorrono per esempio i participi passati in -ao re-gistrati nella Putta onorata da Stussi (!**-b, p. .!) e da Ferguson ("##+, p. "/#); a delineare il personaggio concorrono piuttosto alcuni elementi lessicali e sintattici. Ecco un suo monologo:

Nissun fa gnente in sta casa. Mio %o xe un alocco; le donne no gh’ha giudizio. Se no fusse quel bon galantomo de sior Desiderio, poveretto mi. Son vecchio; certe fadighe no le posso più far; gramo mi, se nol fusse elo; el xe un omo attento, el xe un omo fedel, el xe nato int’el paese dove che son nato anca mi; el xe anca, alla lontana, un pochetin mio parente: avanti che mora, lo voggio bene%car. Ma no voggio miga, per bene%carlo elo, privarme mi: che son vecchio, xe vero, ma posso viver ancora dei anni assae; ghe n’è dei altri che xe arrivài ai cento e quindese, ai cento e vinti, e no se sa i negozi come che i possa andar. Troverò ben mi la maniera de bene%carlo senza darghe un bezzo del mio. Vélo qua. No vòi per altro che el creda che gh’abbia bisogno de elo, no vòi che el se insuperbissa. Lo voggio bene%-car; ma vòi che el laora e che el se sfadiga (Padoan, !**+, pp. !-.-+).

Tenendosi all’essenziale, va registrata la tendenza del vecchio a concatenare frasi brevi o brevissime («Nissun fa gnente in sta casa. Mio %o xe un alocco; le donne no gh’ha giudizio [...]»), e a impiegare un lessico disadorno (le massime eAusioni espressive consistono in alocco, gramo, sfadiga), nel quadro di una sintassi ancorata al parlato («certe fadighe no le posso più far»; «Ma no voggio miga, per bene%carlo elo, pri-varme mi»). Dal punto di vista morfologico, un indizio di naturalezza sembra da cogliere nell’impiego indiAerente, per ‘voglio’, di vòi (due volte) e voggio (tre volte). Non sembra in%ne casuale l’insistenza quasi ossessiva su di sé (mio occorre tre volte, mi cinque) e sulla propria condizione («son vecchio» due volte; e in chiasmo «Se no fusse quel bon galantomo de sior Desiderio, poveretto mi [...]; gramo mi, se nol fusse elo»). Con gli ultimi fatti siamo dunque a un passo da quei tic linguistici rive-latori attribuiti a personaggi come il Lunardo dei Rusteghi con il suo «vegnimo a dir el merito».

Se le splendide Baru#e spiccano per il tentativo di diAerenziare la lingua dei personaggi anche per via diatopica, stendendo una patina chioggiotta sulle battute dei popolani, un felice esperimento di caratterizzazione dia-stratica è oAerto invece dalla Casa nova (!+.#), che presenta una sapiente

$,. Molto meglio vanno le cose quanto alla conoscenza lessicale del veneziano goldonia-no, grazie al vocabolario di Folena (!**-).

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alternanza di livelli espressivi interni al veneziano$*. Se ne ha una prova %n dall’inizio, con gli ordini impartiti dal tappezziere Sgualdo, che ricorre a lemmi tecnici come camera da recever, far la massarìa ‘fare il trasloco’, s)isi ‘fregi’, insoazè ‘mettete la cornice a uno stipite’ (+); nel corso della comme-dia si alternano poi parecchie altre modulazioni: dalle chiacchiere della serva Lucietta condite con proverbi e scivoloni («La lo gh’ha el cavalier serpente», "!), alle algide conversazioni tra gentildonne che rintoccano di strissime e strissima (II 9&&, $-; e anche II C&&, dove lustrissimo e vusustris-sima rimbalzano di battuta in battuta ben quindici volte), %no al vibrante discorso (III C&&&, +,-+*) con cui Cecilia persuade Cristofolo ad aiutare il nipote Anzoletto: orazione aAettuosa e scattante, punteggiata di tricola ma solidamente ancorata alla realtà di «stabili ipotecai, [...] mobili bolai, citazion, sequestri, cartoline fora» che è sul punto di travolgere gli sposini.

$.$. Momenti del teatro postunitario

Dopo l’exploit goldoniano, sono i decenni successivi all’Unità a segnare per il teatro dialettale una nuova grande stagione, che riguarda non solo centri da sempre vivacissimi in tal senso (come Venezia o Napoli, sui cui ci si soAermerà), ma un po’ tutta l’Italia: non potendo andare oltre un nudo regesto, si devono almeno ricordare testi di alta qualità come Le miserie d’Monssú Travet di Vittorio Bersezio (!,.-, torinese), El diavel in cà di Antonio Fiacchi (!,+-, a stampa nel !,*-, traduzione in bolognese de Le barufe in famegia di Giacinto Gallina), El nost Milan. La povera gent di Carlo Bertolazzi (!,*-, milanese), La sôcera di Giggi Zanazzo (!*#,, romanesco)/#.

A Venezia Giacinto Gallina, con La famegia del santolo (!,*", con-cepita nel !,,,-,*), svolge in dialetto un tema di notevole complessità psicologica/!. La pièce si ispira a L’anitra selvatica di Ibsen (autore allora

$*. Per le Baru#e cfr. la Nota linguistica di Vescovo (!**-, pp. /.-+#) e Ferguson ("##+, pp. "$*-/#). Citerò la Casa nova da Davico Bonino (!**#)./#. Per i testi citati cfr. rispettivamente Ferrone (!*+*, &&, pp. "#*---#); Guizzardi (!*,", pp. !#*-$+); Ferrone (!*+*, &&&, p. !*+-"+!), Portinari (!*+! e !*+.); Bonanni Paratore (!*,#). Gli studi su Zanazzo sono stati vivaci anche negli ultimi anni: cfr. ad es. Vaccaro ("#!#) e Onorati, Scalessa ("#!!). Per uno schizzo linguistico del teatro romanesco postu-nitario cfr. Giovanardi ("##., pp. !#,-!!)./!. Cito da Vescovo ("##", pp. **-!/-), e in generale cfr. Vescovo ("##", pp. -#$-!.) e Vescovo ("##-).

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pressoché sconosciuto in Italia, letto da Gallina in francese), e s’incentra sulla dolorosa presa di coscienza di un personaggio inetto e buono, Mi-cièl, che di colpo mette a fuoco il tradimento consumato molti anni pri-ma dalla moglie con il santolo (ossia il padrino delle sue %glie), e si rende conto dell’avidità che domina le azioni di quasi tutti i suoi familiari. In questa amara commedia la pressoché totale dismissione dei tradizionali espedienti della comicità linguistica (deformazioni, fraintendimenti, al-lusioni salaci) spinge il veneziano verso un tono neutro, alieno dalla ri-cerca di ogni color locale: sicché c’è da credere all’autore quando, intervi-stato da Ojetti nel marzo del !,*/, aAermava che «La famegia del santolo era stata pensata in italiano» (Vescovo, "##-, p. 6CCC&&&). Gallina tende a diAerenziare il dialetto dei diversi personaggi (e si tratta di un aspetto che meriterebbe di essere studiato ora che si dispone di un’edizione cri-tica): il protagonista Micièl è per esempio connotato, quasi goldoniana-mente, con una parola-blasone (dopotuto), mentre un linguaggio incline alla %guralità e al colorito gnomico è quello delle serve Nina e Perina (%n dalla seconda battuta di Nina: «Mi no so’ dona da far piatini, ma per %data e sfadigona me dago a tagio [mi do da fare]», !#!); perfetta-mente colti dal punto di vista espressivo sono anche Amalia, moglie di Micièl, compresa del proprio senso pratico e delle proprie ambigue virtù di madre («Mi son stada sempre avezza a dar l’esempio del lavorar [...]» !#", «ti sa che mi no go avùo altre mire che la feliçità de vualtre do» !!!, «Per vostra norma, mi so’ una dona che ga l’odorato %n» !!" ecc.), e la spumeggiante, super%ciale Mina che, si intuirà alla %ne, non è %glia di Micièl ma del santolo-usuraio che incombe su tutti i personaggi con il potere ricattatorio del proprio denaro. Il mezzo linguistico, proprio in quanto perfettamente dominato, tende insomma a far corpo con il caso psicologico e lo studio dei caratteri, in uno dei capolavori del teatro dialettale italiano postunitario.

Qualche apposita considerazione si deve fare anche per la dram-maturgia di ambiente napoletano, che d’ora in poi tende ad assumere un valore paradigmatico (cfr. =322. ..! e ..-). Alla fortuna di Antonio Petito, erede di una gloriosa tradizione pulcinellesca, formidabile at-tore e parodista, segue quella di Eduardo Scarpetta, che nel !,+# veste per la prima volta i panni di Felice Sciosciammocca, il personaggio che tornerà anche nel suo capolavoro Miseria e nobiltà (!,,,), paradigma di una «riforma del teatro popolare napoletano fondata sul secolare mestiere degli attori e sulla pratica scenica, organizzati secondo l’ordi-

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ne di strutture drammaturgiche ricavate dalla commedia borghese»/". Il napoletano vi è impiegato in maniera naturalistica soprattutto nel primo atto, ambientato in interni miserevoli che risuonano per litigi dettati da cronica mancanza di quattrini; negli atti successivi – quando Sciosciammocca e i suoi si travestono da aristocratici per ingannare il parvenu Gaetano Semmolone – la dialettofonia integrale cede il passo a un italiano con venature regionali (spicca l’uso di tenere ‘avere’ /$, // ecc.) sempre a rischio di errori. Così Concetta, che si %nge la contessa del Pero e crede che il proprio nome avventizio derivi dal napoletano pere ‘piede’, proclama (/.):

71)75003: Erano padroni di fare ciò che volevano... ma io... la contessa del Pie-de...@56&75: Del Pero, contessa, del Pero.71)75003: Scusate, principe, del Pero lo dicono i lazzari. Noialtri nobili dicia-mo del Piede.@56&75: (Nun nce fa’ avuta’ lu stummaco!);3503)1: Perdonate, principe, me pare che ave ragione la contessa... Lu Pero chi lo dice? Proprio chille de miezo a la via.@56&75: (Siente a chill’auto pede de vruoccolo da llà!)71)75003: Dunque, io, la Contessa del Piede [...]

L’ipercorrettismo denuncia le modeste origini di Concetta, ma lo scambio acquista efficacia grazie al contrappunto comico dialettale di Felice (che gioca sulla serie pero ‘pero’ - piede / pero ‘piede’ - pede de vruoccolo ‘balordo’), e alla sciocca risposta di Gaetano, i cui conati verso l’italiano si inseriscono in una lunga tradizione analoga (che va dalla Moschetta di Ruzante ai Consigli di Meneghino di Maggi). Più o meno negli stessi anni si dedica al teatro in napoletano anche Salvatore Di Giacomo, nel quale si è soliti indicare il rappresentante di un uso liricizzato del dialetto; ma bisogna forse temperare questo giudizio osservando che i suoi mezzi espressivi non sono diversi da quelli di Scarpetta o Petito (al primo Di Giacomo si opponeva in nome di una ideale napoletanità, al secondo guardava con sufficienza): sono sem-mai le situazioni lacrimevoli a imprimere un alone lirico sul dialetto

/". Così Siro Ferrone (!**#, p. v; edizione da cui citerò); su Petito cfr. Massarese (!*+,-,$), Petito (!***) e gli studi di Cantoni (!***, "###, "##!), raccolti in volume in Cantoni ("#!#), nonché Cantoni ("##$).

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teatrale digiacomiano. Nell’atto unico ’O mese mariano (!*##) si nota per esempio l’uso esteso di qui pro quo/-: preferito ‘riferito’ "#!, «requia schiatta in pace» per requiescat in pacem "#+, «’O vero generale d’ ’e mbriacune» per «Un vero degenerato ubriacone» "!+ ecc.; ma il fatto che molti di questi scivoloni siano imputati a Carmela – cui nessuno ha il coraggio di rivelare la morte del figlio – ne annulla il potenziale comico. Così, anche il vivace scambio dialogico che occupa gran parte del testo non è che un lungo preludio all’acme dell’atto, l’entrata in sce-na della suora che riuscirà a congedare Carmela facendole credere che il suo Peppiniello è impegnato a cantare le lodi della Vergine previste dal mese mariano. La suora è la sola a parlare in italiano, la lingua della consolante bugia inventata per non far piombare nella disperazione Carmela: ma non appena Di Giacomo lascia il terreno del dialetto le stonature sono in agguato, e la reverenda madre saluta la donna rassi-curandola sui suoi peccati con un «Oh, no! Ma lei è tanto buonina!» "-+, dove buonina è stucchevole toscanismo individuato nella sua stra-nezza dalla stessa Carmela, che risponde: «Buonina!... Lei site buoni-na!» "-+.

/. Pluridialettalità e plurilinguismo

%.". Città e campagna

I fatti su cui ci si soAerma in questo paragrafo hanno il loro minimo co-mune denominatore «nello sfruttamento espressivo o decisamente co-mico dei contrasti tra lingue, dialetti, varietà sociali e culturali, registri stilistici, gerghi» (Trifone, "##", p. -/#). Una prima opposizione in tal senso produttiva, legata a una diAerenza storica di lunga durata, è quella tra città e campagna, come mostra il successo teatrale europeo delle par-late rustiche, da Gil Vicente a Juan del Encina, dai Rozzi a Ruzante/$. Be-olco appunto esordisce attorno al !/!, con una Pastoral nella quale il pa-vano del Ruzante agens si scontra con il bergamasco del medico messer Francesco e con l’italiano dei pastori, arcadico e poli%lesco. È un dialogo

/-. Cito da Flora, Vinciguerra (!*/", pp. !,*-"$")./$. Cfr. Stegagno Picchio (!*+!) per la comparazione con il teatro iberico, e più recente-mente Guarino ("##/, pp. -#+-!.).

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tra sordi punteggiato di frantendimenti (cito da Padoan, !*+,): il nome della divinità Pan è confuso con quello del pan ‘pane’ !!*, manìchi ‘man-giatori’ con manizi ‘masturbi’ !!*, segnali ‘campioni d’urina’ con segnali ‘segni della dignità di decano’ !//, l’urina con Lorina nome di vacca !/+, e così via. Città e campagna s’oppongono linguisticamente anche in opere successive come il Bilora (!/"* ca.) e l’Anconitana (post !/-#): nella se-conda il contrasto si dà tra il pavano di Ruzante e il veneziano di messer Tomao, ma stante la complessa situazione testimoniale e l’instabilità dei tratti linguistici microscopici è bene limitarsi a notare che i due dialetti si alternano con intenzioni a tratti giocose, legate però a una resa fedele, come nel botta e risposta, già notato da Stussi (!**/b, p. !-!), in cui il pavano neghe ‘natiche’ si oppone al veneziano nadeghe//. Sintomatico è pure il dialogo %nale, scandito dalla tiritera interrogante del vecchio che s’informa sull’equipaggiamento di viaggio con domande che cominciano con hastu ‘hai tu […]?’: siamo qui al displuvio tra la riproduzione attenta di un tratto del veneziano (-s desinenziale protetta dal pronome encliti-co) e la sua degradazione a blasone, innescata dalla comica ripetitività. Diverso il discorso per il Bilora, dove il contrasto tra i due dialetti non è giocoso ma quasi antropologico (Bilora %nirà per assassinare il vecchio Andronico), e dove il veneziano – punteggiato di tratti curiali (tandem, maxime ecc.) secondo un uso che scadrà a tic nei vecchi messi in scena da Calmo – mostra sull’unico e postumo testimone a stampa (!//!) una qualche connotazione arcaica che si coglie nella costanza del participio passato in -ao e delle forme tipo vogia e megio (Ferguson, "##/, pp. "!+ e """). Ben rappresentato nel teatro del Beolco è anche il bergamasco, che subisce un trattamento simile a quello indicato per il pavano (=32. $.!): ci si muove infatti dalla varietà espressionisticamente spinta della Pastoral (qui il medico Francesco lardella il proprio bergamasco con ci-tazioni latine, proverbi e coloritissimi insulti) verso quella più neutra e realistica della Moschetta, dove il soldato Tonin parla un bergamasco con venature farsesche, che non innesca tuttavia il fuoco di %la di qui pro quo della Pastoral/..

L’attenzione per le parlate campagnole è viva anche nel teatro sene-se di pre-rozzi e Rozzi, fiorito nella prima metà del Cinquecento: in questa produzione l’idioma contadinesco tiene la scena spesso senza

//. Sul veneziano dell’Anconitana cfr. Ferguson ("##/, pp. ""--$) e Paccagnella ("##+)./.. Cfr. Paccagnella (!*,,) e D’Onghia ("#!#b, pp. -/-*).

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confrontarsi con le varietà cittadine, che però sono sottintese pena la non godibilità della lingua grossa dei villani: quest’ultima è ricca – ma non sovraccarica – di quei tratti contadineschi e deformanti che lievi-teranno nella produzione rusticale sei- e settecentesca, ed è disponi-bile a continue allusioni salaci/+: vi si notano senesismi come laggare ‘lasciare’, chesto e chello con riduzione del nesso labiovelare, il tipo liei ‘lei’, l’articolo el; forme rusticali come carrino ‘carlino’, cor un ‘con un’ e i metatetici capresto ‘capestro’, gaveggiar ‘vagheggiare’ e simili; o ancora deformazioni come filosomia ‘fisionomia’ e gramuffa ‘grammatica’ (ess. tratti da Persiani, "##$). Notevole è anche la ricchezza lessicale – tan-to che il corpus consente varie retrodatazioni (Persiani, "##+) – specie in direzione erotica: cfr. tra l’altro fratello, fratelmo ‘organo sessuale maschile’, callaia ‘organo sessuale femminile’, fare a ghinghillosso ‘co-pulare’ e così via. Figura eminente della fase pre-rozza è Niccolò Cam-pani detto lo Strascino, che contribuisce alla diffusione nazionale di questi prodotti senesi (contemporaneo è l’esperimento rusticale della Catrina di Francesco Berni, !/!.-"#)/,: le opere dello Strascino, che godettero in alcuni casi di straordinaria risonanza, sono del resto gli individui più celebri di una nutrita compagine di testi spesso di qualità assai alta ma per lo più ancora in attesa di adeguate cure editoriali e linguistiche/*.

%.!. Una metropoli in scena: Venezia

Unica in Italia per vivacità culturale ed economica è la situazione della Venezia cinquecentesca, centro cosmopolita la cui cangiante realtà lingui-stica si rispecchia in una 8orida produzione drammaturgica: vi fa spicco Andrea Calmo, dalle cui commedie maggiori (Spagnolas !/-*, Rodiana !/$- e Travaglia !/$.) si ricava l’immagine, «vasta e policroma, del po-

/+. Cfr. lo spoglio di Persiani ("##$) e le osservazioni di Mauriello (!**$, pp. "!.-,); per la produzione rusticale successiva cfr. Poggi Salani (!*.+)./,. Per Strascino cfr. Pieri ("#!#), con studio ed edizione delle opere; la Catrina si legge in Nigro R. (!***, pp. $*-/$)./*. Valenti (!**") ha schedato settantré opere; quanto ai testi cfr. le edizioni, perfettibili ma meritorie, prodotte nell’ultimo quindicennio da Menotti Stanghellini (per es. "##" di Cenni; !**+, !**,, !***, "##- di Fumoso dei Rozzi; "##.a, "##.b di Legacci; "##/ di Mengari; "##.c di Strascino).

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liglottismo massimale veneziano».#. In esse l’italiano letterario e alcuni dialetti settentrionali (veneziano, pavano, bergamasco) si alternano infat-ti con l’imitazione di lingue straniere eAettivamente risonanti a Venezia: lo spagnolo (Spagnolas), il greco nella sua stilizzazione “greghesca” (Spa-gnolas, Rodiana) e il turco (Travaglia II &), cui s’aggiunge l’arabo egiziano usato dalla protagonista nella Zingana (!/$/) del rodigino Gigio Artemio Giancarli.!. L’idea che Calmo testimoni «una proliferazione e superfeta-zione del plurilinguismo, che si espande perdendo le sue funzioni prima-rie» (Folena, !*,-a, p. !$.), pur legittima e fondata, non è incontrover-tibile: si potrebbe dire piuttosto che nelle sue commedie più ambiziose le intenzioni mimetico-realistiche, mai del tutto spente, si legano a uno sfruttamento giocoso delle lingue e dei dialetti, ben percepibile tra l’altro in una scena come quella di Rodiana II 9&&& nella quale il servo TruAa, %n-gendosi indemoniato, parla in forme più o meno storpiate e sempli%cate veneziano, napoletano, francese, milanese, raguseo, spagnolo, %orentino e albanese (Vescovo, !*,/, pp. !"---!). Si ricordi in%ne – a ulteriore testimo-nianza d’una carriera non riducibile ai soli fuochi d’arti%cio plurilingui-stici – che la fase ultima della produzione teatrale calmiana, a cavallo tra anni quaranta e cinquanta, è caratterizzata da una drastica riduzione dei mezzi espressivi (emblematica una commedia come il Saltuzza, del !//!, in cui l’italiano è accompagnato solo da veneziano, pavano e bergamasco).". Franco Fido ha notato molto bene che il realismo e la temperatura espres-siva dei migliori testi calmiani e giancarliani non hanno nulla da invidiare a quelli di capolavori come la Celestina e il Lazarillo, con la fondamentale diAerenza – cruciale dal nostro punto di vista – che il «grandioso bilan-cio» rappresentato da quei testi «riposava sulla trasparenza di una lingua veramente nazionale» (Fido, !*,-, p. +-).

L’innegabile istanza edonistica di certi testi calmiani risulta ad ogni modo evidente se li si pone a confronto con la solitaria e anonima Venie-xiana, risalente alla metà degli anni trenta del Cinquecento: in questa straordinaria commedia l’italiano cortigiano del forestiero Giulio, il ve-

.#. Folena (!*,-a, p. !$-); per le edizioni cfr. Lazzerini (!*+*), Vescovo (!*,/) e (!**$)..!. Cfr. Stussi ("##.) per lo spagnolo a Venezia, Lazzerini (!*++) per il greghesco, Tom-masino ("##.) per l’arabo della Zingana. I testi di Giancarli sono pubblicati in Lazzerini (!**!)..". Per il Saltuzza cfr. D’Onghia ("##.); per osservazioni su un’altra commedia minore di Calmo, La potione, che assume come ipotesto la Mandragola, cfr. D’Onghia ("##*).

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neziano delle gentildonne Angela e Valiera che ne sono innamorate e il bergamasco del factotum-mezzano Bernardo «sono funzionalizzati senza residui» e oArono un esempio tanto insigne quanto raro di «plurilingui-smo organico» (Folena, !*,-a, p. !$!), in opposizione a quello di stampo giocoso rappresentato da certe zone della produzione calmiana. Analisi più recenti hanno precisato e consolidato la diagnosi di Folena, mettendo in luce sia la sostanziale naturalezza della riproduzione di veneziano e ber-gamasco sia l’eccezionale intensità espressiva di alcune scene (spicca III &, in cui Angela, s%nita dal desiderio, prega la serva Nena di %ngersi Giulio, e di baciarla bestemmiando e usando «le parolle sporche: co’ fa i omeni», Padoan, !**$, pp. -*-$-).-.

%.#. La Commedia dell’Arte

Mano a mano che ci si inoltra nel Cinquecento gli elementi di verosimi-glianza geogra%ca o sociale che nutrivano il teatro ruzantiano o la Venie-xiana tendono a venir meno per far posto a un plurilinguismo di marca giocosa e macchinistica, che è il portato della specializzazione attoriale e della %ssità dei ruoli proprie della Commedia dell’Arte. Messi da parte i canovacci – referti scheletrici e veicolari che ben poco oArono a una cam-pionatura articolata su fatti linguistici (cfr. Testaverde, "##+) – un esa-me dell’Improvvisa e dei suoi dintorni si deve svolgere sui testi scritti per intero, dalla cui distribuzione geogra%ca emerge un’incrinatura della ten-denziale preponderanza quantitativa e qualitativa delle esperienze teatrali centro-settentrionali. Signi%cativi in tal senso i testi raggruppati sotto l’eti-chetta della ‘commedia ridicolosa’ %orita a Roma sul principio del Seicen-to.$: la ridicolosa si distingue per l’ampia tastiera linguistica e dialettale, estesa %no all’eccesso in una commedia come I diversi linguaggi di Virgilio Verucci (!.#*), dove s’alternano il veneziano di Pantalone, il %orentino di Lavinia e il romano di Giorgietto (suoi %gli), il bolognese di Silvio e il bergamasco di Zanni (suoi servi), il siciliano del Pedante, il francese di Claudio, il perugino di Aurelia (sua %glia), l’amatriciano di Franceschina

.-. Cfr. Lepschy (!**., pp. ."-,; .*-!#,), Tomasin ("##+), Vescovo ("##+b, pp. !/.-.*). L’edizione Padoan della commedia è stata da poco ristampata (cfr. Padoan, !**$) con un saggio d’aggiornamento di Piermario Vescovo..$. Cfr. Giovanardi ("#!#) e la silloge di Mariti (!*+,); per il teatro romanesco d’antico regime cfr. anche Serianni (!**.a, pp. "$"-.).

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(sua serva) e il napoletano del Capitano./. Nel prologo, Verucci osserva che «essendo questa città di Roma un comun ricetto di tutte le nazioni del mondo, non è gran cosa che in essa vi sia gran varietà di linguaggi» (!!#); al passo hanno dato rilievo sia Trifone ("###, p. /#) che Giovanardi ("#!#, p. !#+), anche se il peso delle parole di Verucci non andrà esagerato: I diversi linguaggi resta infatti un «mostro a dieci teste [...] in cui i dialetti, espressionisticamente forzati, alludono alle parlate delle maschere» (Ma-riti, !*+,, pp. 76CC&&&-76CC&9). Di là dall’aspetto plurilingue, senz’altro più vistoso, risulta interessante e meritevole di approfondimento l’indi-cazione di Giovanardi ("#!#, p. !!*) secondo cui si manifesta in questa produzione romana anche un italiano «colloquiale, “colluso” a volte col dialetto, ma non risolto interamente all’interno di esso».

Nello stesso anno dei Diversi linguaggi viene stampata a Parigi una commedia indicativa del livello medio cui si attesta il teatro professio-nistico scritto, gli Amorosi inganni del messinese Vincenzo Belando..: vi si alternano il veneziano del vecchio Busnatico, il bergamasco del servo Zanne, il siciliano di Catonzo, lo spagnolo del capitano Basilisco e l’italia-no degli amorosi Cinzio, Camilla, Dorotea e della serva Filicetta, varietà rispetto alle quali Belando rileva i limiti della propria mimesi («Mi scuso anco che in cinque lingue, cioè la buona toscana, la spagnola, la siciliana, la bergamasca e la veneziana, non si può non solamente esser perito in tutte, ma perfetto in una sola» "#.). Oltre a registrare la buona riproduzione di siciliano e bergamasco, ci si può soAermare sul veneziano, più precisamen-te riprodotto rispetto a quello di Verucci.+. Ecco una porzione della prima battuta del Magni%co ("-!-"-"):

I antighi, Zanne %o mio caro, s’han lambicao el cervello, e han volesto saver, squasi per openion, che cosa fosse Amor. Ma non avendo acordo né stabilitae, i no puol saver né iudicar rettamente la sua real essenzia: perché essendo nassuo col mondo, besogna che ’l sia vecchio, e tamen è semper fantolin; patron e signor del tutto, e’ non s’ha mai podesto far un vestìo, ma quotidie mostra el culetto e la becchina coi piombini attaccai; tira diritto e non ha occhi: cosa contraria e falsissima; porta le ale de color mille, co dise el Petrarca: e come svolando no se l’è abrusae?

./. Il testo si legge in Mariti (!*+,, pp. !#+-"#.); cfr. in proposito le osservazioni di Gio-vanardi ("#!#, pp. !#*-!").... Il testo di Belando si legge in Ferrone (!*,., &, pp. !*+-"*$)..+. Per il siciliano e il bergamasco di Belando cfr. rispettivamente Ferlazzo ("#!#) e D’Onghia ("##*, pp. -$-/).

!*" 6:73 4’1);<&3

La riproduzione è ben condotta: si notano i participi in -ao e in -esto, l’apocope della vocale %nale negli in%niti, il plurale ale. Notevole, come già nell’Andreini della Ve-netiana (=32. $."), la preponderanza del modello di Calmo (le cui Lettere furono usate dai comici come repertorio): in questo caso l’immagine di Amore che «quoti-die mostra el culetto e la becchina coi piombini attaccai» sembra in eAetti derivata delle rime calmiane (becchina ‘becchino’ e piombini designano per metafora l’organo sessuale e i testicoli di Amore).,.

In un diagramma decrescente, la posizione opposta rispetto al caleidoscopio di Verucci spetterebbe al plurilinguismo a basso voltaggio di certe commedie di Giulio Cesare Croce: nella sua Farinella (stampata sempre nel !.#*) tutti i personaggi parlano italiano a eccezione di Stramazzo «facchino grosso del bergamasco» (cfr. Cazzani, !*./); analogamente, nel Tesoro e nel Sandrone astuto all’italiano di vecchi e giovani si oppone il bolognese dei servi, degno di nota perché reso assai meglio rispetto a quello stinto che caratterizza la maschera del Dottore nella media dei prodotti dell’Arte.*. Ecco l’inizio della prima battuta di Mingon nel Tesoro (noto da un autografo):

Oh, cancar, a’ son intrigà cun sta litra. Madonna Ardelia m’ha dà sta carta ch’a la porta al signor Lelii, es m’ha dit ch’a’ n’la daga s’n’a lu, es a’ n’ so mo dund atruva-ral: s’a’ savis pur liezr, ch’a vre’ vder cosa la dis. A’ cred ch’al sia pr cont d’amor, pr quant a’ i ho psù qusì cunsidrar, ch’a’ so ch’ugn’ not al vien sot al fnestr cun una grengula, es canta i più bia rspiet d’amor in cant s%gurà, ch’al i é dentr tant sulfania ch’l’è una cosa granda: in%n nu villan a’ sen iust chm’è i asn’, es sen più gruos ch’n’è l’acqua di maccarùn, guarda qui quant pia d’ moscha è scrit qui su [...] (Foresti, Damiani, !*,", pp. "!-", con qualche ritocco ai diacritici).

Il servo analfabeta è ritratto in maniera linguisticamente fedele: si notino almeno la larga rappresentazione della sincope vocalica (liezr, vder, pr, psù ecc.), le forme meta-fonetiche (ugn, rspiet, maccarun, gruos), la gra%a tipica di tutta l’area emiliana qusì e il ricorso a lemmi caratteristici (grengula ‘strumento musicale’, sulfania, deformazione di sinfonia per incrocio con solfa) e a espressioni %gurate (pia d’moscha ‘lettere mal tracciate’, più gruos ch’n’è l’acqua d’i maccarun ‘sciocco’).

.,. Cfr. Belloni ("##-, p. !",): «Per far le mie vendete con Cupido, / un zorno ch’el dormiva / in mezo un prào mostrando la becheta, / ghe von adosso, e rido, / per darghe sul culeto sie vischiàe» (corsivi miei)..*. Spezzani (!*+#, pp. !$/-.; ma tutto il lavoro è assai rilevante); un esame approfondito del bolognese crocesco resta ancora da fare, e non può contare su a?dabili edizioni: utili ma complessivamente insoddisfacenti le antologie di Rouch ("##.) e Fava, Chia ("##*); parziale il sondaggio di Martinelli (!**!).

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I rilievi fatti mostrano dunque che il plurilinguismo è una costante del te-atro comico seicentesco, ma dosature e risultati sono assai diversi, e ancora di?cili da valutare anche per la cattiva situazione editoriale in cui versano molti testi. L’osservazione non è meno valida per il massimo drammaturgo del secolo, Giovan Battista Andreini, le cui commedie hanno ben poche edizioni %lologicamente attrezzate. Pur discostandosi dai modi dell’Arte (specie per la struttura dei testi), Andreini è uno scrittore emblematico dal punto di vista dello sperimentalismo espressivo: nel suo corpus comico – vera summa culturale e linguistica del teatro barocco – si osserva un’escur-sione amplissima che va da pezzi interamente italiani (Li duo Leli simili, !."") o quasi solo italiani (Amor nello specchio, !."") a pezzi di sbrigliato virtuosismo espressivo, come il Lelio bandito (!.""), in cui una trentina di personaggi parlano dieci tra lingue e dialetti diversi+#.

.. Uno sguardo sul Novecento

Gli appunti novecenteschi che seguono escludono – anche per la mi-nor pertinenza con il taglio della nostra analisi – le esperienze del tea-tro d’avanguardia e si concentrano sul cosiddetto «teatro di parola» o meglio «di parole», plurale «certo meno impegnativo e più adatto a documentare una varietà di scelte linguistiche»+!. Seguendo alcune re-centi ricostruzioni, in queste pagine il Novecento teatrale assume una con%gurazione ellittica, nella quale i due fuochi Eduardo De Filippo e Dario Fo in8uenzano e spiegano una parte notevole di quel che è acca-duto negli ultimi decenni (cfr. per es. Barsotti, "##+). Si tratta ad ogni modo di uno schema nel quale non rientrano autori e testi anche rile-vantissimi, sui quali occorre comunque registrare qualche indicazione bibliogra%ca recente: per Svevo cfr. Trifone ("##*b) e la nuova edizione delle commedie in Lucchini ("#!!); per Petrolini l’edizione in Giovanar-di, Consales ("#!#), Giovanardi ("##+a, "##+b, panoramico sul teatro romanesco dopo il !,+#) e D’Achille ("##*); per Campanile e Valeri cfr. ivi; per Testori, Patroni Gri? e Brancati cfr. D’Achille ("##.); per

+#. Cfr. Trifone ("###, pp. /.-+) e D’Onghia ("#!!a); tra le poche edizioni andreiniane di buon livello cfr. quella di Amor nello specchio in Snyder ("##*).+!. La prima etichetta risale, com’è noto, a Pasolini (!*.,, pp. "$,--$); la seconda deriva da D’Achille ("##!, p. "*$).

!*$ 6:73 4’1);<&3

Fabbri e Brusati cfr. D’Achille ("##!); per Manfridi cfr. ivi, Giovanardi ("##!), Giovanardi ("##*a).

&.". Eduardo

Nel teatro di Eduardo De Filippo è cruciale il rapporto tra italiano e dia-letto, che si precisa in una serie di aggiustamenti diacronici condizionati dall’ascesa dell’italiano al rango di lingua parlata (cfr. in generale De Blasi, "###): taluni lavori conoscono un’evoluzione per la quale a un copione ad alto indice dialettale segue una stampa integralmente italiana, mentre l’edizione de%nitiva – talvolta a decenni di distanza dalla prima stesura – si assesta su uno stadio intermedio d’italiano colloquiale con venature regionali. Ciò accade per esempio a Io l’erede, trasmesso in forma parzial-mente dialettale da un copione del !*$!, tradotto in italiano per la pub-blicazione in rivista nel !*$" e in%ne licenziato per Einaudi nel !*+. in una veste linguisticamente aperta all’in8usso del dialetto+". L’iter appena descritto rivela che in Eduardo quello tra italiano e dialetto è un rapporto messo progressivamente a fuoco all’insegna della fusione e dello scambio, e perciò nel suo teatro i fenomeni di mescolanza o code-switching tra le due varietà sono assai frequenti (De Blasi, "###, pp. 6CC&&-6CC&&&): si assiste insomma, entro il parlato dello stesso personaggio e non di rado entro la stessa battuta, a un naturale pendolarismo da una varietà all’altra, con una gradazione che va «dal dialetto più compatto [...] ad un dialetto italia-neggiante, all’italiano popolare, all’italiano regionale %no all’italiano col-loquiale qua e là caratterizzato in senso locale» (De Blasi, "##$, p. **). A questo esito naturalistico Eduardo arriva osservando un fatto storico, ossia la progressiva aAermazione di un italiano regionale nelle %le della piccola borghesia napoletana spesso oggetto dei suoi drammi. Esempli%chiamo attingendo a Uomo e galantuomo (!*""-".), oggetto d’un processo di ita-lianizzazione che non elimina aAatto la componente dialettale, come si vede %n dalla prima battuta della commedia, pronunciata dall’attrice Flo-rence+-: «Viola! Violetta! Hai %nito co sti panni? Io la corda l’ho messa: fa’ ampressa. Ce sta nu bello sole, sa’ come s’asciuttano ampressa!» (*!: si passa da un italiano di tono colloquiale – sti panni, la corda l’ho messa – al dialetto). Ma si veda più avanti uno scambio come questo (!#!-!#"):

+". Cfr. De Blasi, Quarenghi ("###, pp. !$-+-/+) e De Blasi ("##$).+-. De Blasi, Quarenghi ("###, pp. !/*-,#); da quest’edizione cito il testo.

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;5))321: [...] Mamma mia che caldo che fa a sto paese! Sono %amme che esco-no da sottoterra! E le mosche... La quantità e la qualità... Una razza piccola piccola ma insistente [...]. Sono proprio mosche cafone... (Toglie un cartoccio di sugna dal-la tasca e s’accorge che essa, squagliandosi per il gran caldo, gli ha macchiato la giacca) Te’, te’, te’... S’è squagliata ’a sugna dint’ ’a sacca!300&6&1: Uh, voi che avete combinato? Vi siete arrovinata ’a giacchetta!;5))321: E nun m’avvilì cchiù assaie! Chillo, ’o cane mozzeca allo stracciato: io solo questa giacca tengo... Come recito, stasera? Mo vediamo se con un poco di benzina si toglie...300&6&1: Co ’a benzina, nun se leva...;5))321: Con la polvere di sapone...300&6&1: È peggio: nun se leva!;5))321: Coll’ammoniaca. Acqua e ammoniaca, si fa una bella spazzolata...300&6&1: Nun ce facite niente... Rimane l’alone. Nun se leva, nun se leva.;5))321: Se taglia stu pezzo, va bene? Se taglia! Tu come sei catastro%co!

Il movimento tra italiano e dialetto è continuo, spesso sull’onda dell’e-motività, e non mancano zone intermedie di italiano regionale (che avete combinato?, Mo vediamo se...) e ben calcolate opposizioni (co ’a / con la; si toglie / se leva): dal punto di vista linguistico, questo impasto perfettamen-te mimetico è senza dubbio la maggior conquista di Eduardo, ma merita di essere ricordato qui anche l’italiano pretenzioso e accidentato del prota-gonista di Sik-Sik, l’arte!ce magico, del !*"*+$:

Sik-Sik è il mio nome d’arte. Faccio il prestigiatore e lavoro in questo tiatro. Il mio aiutante... Il mio sigritario non è venuto, ha mancato all’appuntamento... Io avreb-be bisogno di una persona che lo rimpiazzerei... Una persona che si mette nella sala del tiatro, facenno vedé ch’è uno del pubblico e che mi seconda, me fa ’o palo a qualunque giuoco faccio (De Blasi, Quarenghi, "###, p. /!/).

Al tragitto linguistico di Eduardo si oppone almeno in parte quello dell’altro grande drammaturgo napoletano del primo Novecento, RaAa-ele Viviani, che eleggendo a oggetto di rappresentazione le classi popola-ri o marginali, resta aAezionato a un mezzo espressivo più visceralmente dialettale, con poche eccezioni risalenti agli anni !*-"--,+/: lo si vede bene, nel quadro di una produzione vastissima, in quello che si considera

+$. Su questo testo cfr. De Blasi, Quarenghi ("###, pp. /-.-*) e Barsotti ("##+, pp. "#!--).+/. Cfr. Lezza (!**.), Cerbasi ("#!#, pp. /+-,$) e soprattutto De Blasi ("##!).

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uno dei suoi capolavori, la fosca tragedia Zingari del !*"., integralmente dialettale+..

&.!. Fo

La carriera di Dario Fo, iniziata negli anni cinquanta e coronata dal premio Nobel (!**+), domina la seconda metà del secolo scorso, nonostante una certa ripetitività nell’ultimo quindicennio++. L’attenzione degli studiosi è stata attirata soprattutto dal grammelot, «il confuso gorgoglio vocale reso signi%cante dall’abilità mimetica e gestuale dell’istrione» (Trifone, "###, p. !#$), per il quale si dispone di buone analisi complessive+,; ma l’espe-rienza espressiva di Fo merita di esser valutata anche per l’uso di un ita-liano da «periferia lombarda» (così l’autore, citato ivi, "###, p. !/$), che caratterizza già Gli arcangeli non giocano a &ipper del !*/*, e che torna poi in tutta la sua produzione (ivi, pp. !/"-/). Fin dalla farsa Marcolfa (!*/,, Rame, !*,$, pp. ---/), gli elementi di matrice settentrionale sono evidenti: povera stella ‘poverino’ !", col Giuseppe !", il Giuseppe "/ ecc., magone ‘nodo alla gola’ "!, morosi ". (nel composto rubamorosi), tarellata ‘forte colpo’ "* (in didascalia) ecc.; così come sono numerosi, e lo resteranno costante-mente, i tratti sintattici di imitazione del parlato (dislocazioni con ripresa pronominale in testa). Un impasto simile si incontra più tardi in Morte accidentale di un anarchico (!*+#; cito da Rame, "##$), dove si trovano voci come gabola ‘imbroglio’ *, smarrono ‘faccio un errore’ "#, di sguincio ‘di striscio’ "#, sbragata ‘eccesso’ "#, imbranato ". e così via; ma qui è note-vole anche la ripresa straniante del linguaggio burocratico (Trifone, "###, pp. !/.-,): il personaggio del Matto, %ngendosi giudice, mette infatti a nudo gli arbitrii del potere poliziesco dando lettura di un verbale conti-nuamente citato tra virgolette. Si crea così una sfasatura espressiva tra l’ar-ringa del Matto-giudice, spesso condotta con toni sbrigativi e irrisori, e la piattezza del referto burocratico, messo alla berlina e più volte risucchiato dal furore argomentativo del protagonista. Le stesse virgolette diventano per il lettore il primo segnale del distacco e della di?denza che il Matto vuol trasmettere nei confronti di ogni u?ciale “discorso” del potere. Ecco un esempio (-!--"):

+.. Davico Bonino, Lezza, Scialò (!*,+-*$, &9, pp. --+-*/) e Viviani ("##.).++. Cfr. Vescovo ("#!#); ma si tenga conto, anche per la bibliogra%a, di tutto il fascicolo della rivista, dedicato a Dario Fo e a Franca Rame.+,. Cfr. Pozzo (!**,, pp. .*-!-/) e Barsotti ("##+, pp. "#--!$).

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>3001: [...] Proseguiamo! Qui dice (legge su di un foglio): «L’anarchico non sembrava toccato dall’accusa, sorrideva incredulo». Chi ha fatto questa dichia-razione?71>>&''32&1 '=120&91: Io, signor giudice.>3001: Bravo, allora «sorrideva»... ma qui si commenta anche: sono parole vostre... testuali... riprese anche del giudice che ha archiviato l’inchiesta... «in-dubbiamente ha concorso nella crisi suicida la paura di perdere il posto, d’essere licenziato». Ma come, prima sorrideva incredulo, e poi tutto a un tratto ha paura? Ma chi gliel’ha messa ’sta paura?... Chi è andato giù a piedi giunti a parlargli di licenziamenti in tronco?71>>&''32&1 '=120&91: No, glielo giuro, per quanto mi riguarda... io...>3001: Per favore, non minimizziamo... E che, non sarete mica dei violinisti voi due... andiamo, tutti i poliziotti di ’sto mondo vanno giù di brutto che è un pia-cere, e non capisco perché, proprio voi, dovreste essere gli unici ad andarci con la vaselina? Ma la guardate la televisione?... I serial sulla polizia?... Ma è nel vostro diritto che vi comportiate così! Ma che, scherziamo?D:5'0125 e 71>>&''32&1 '=120&91: Grazie, signor giudice!>3001: Prego.

Una lingua a forte connotazione settentrionale contraddistingue anche Sotto paga! Non si paga!, riscrittura aggiornata al "##+ di uno spettacolo del !*+$ (cito da Rame, "##,), dov’è più interessante il tentativo di deli-neare, per i poveri operai protagonisti, una parole gremita di espressioni usurate (si notino, solo all’inizio, becco di un quattrino !", bianco come uno straccio !", va come un razzo !", pareva l’assalto a Porta Pia! !$, gambe in spalla !$, rancio ottimo e abbondante "#, ha tirato la cinghia -# ecc.).

Al polo opposto rispetto a questo italiano medio settentrionale stan-no le sperimentazioni culminate in Mistero bu#o (!*.*) con la creazione di un pastiche di dialetti antichi, soprattutto di area padano-veneta: qui emerge con maggior chiarezza il legame di Fo – legame che non è storico-%lologico ma reinventato – con la tradizione giullaresca e le invenzioni dell’Improvvisa (cfr. Barsotti, "##+, pp. "#.-+ e Vescovo, "#!#). Di séguito qualche considerazione su Il diavolo con le zinne (!**+, Rame, !**,), la cui protagonista Pizzocca Ganassa si presenta così (".-",):

E poeu chi gh’è ammò? Oh dio, che loca! Ghe sun mi... Son catàda de tale mode-stia che seri dré desmentegàrme de presentàrve me medésema! Che el meo nome a l’è Pizzocca Ganassa e son la regióra servànta del sior Ziùdice... ve l’ho già ditto... ma quèl che non ve ho ancora ditto... (si porta le mani a imbuto intorno alla bocca e abbassa la voce) pòdo minga criàrlo... parché se me sénton i altri cumediànti de la

!*, 6:73 4’1);<&3

cumpagnìa i son invedeósi i... se inrabìseno! Fèt atensiün... che mi a sunt el pilone portante del batèlo!

Anche il dialettologo più agguerrito non sarebbe in grado di indicare la prove-nienza di Pizzocca, che parla una «fricassea di dialetti» (Folena, !*,-a, p. !"#): nella sua lingua voci lombarde o lombardeggianti (poeu, minga, atensiün) vanno a braccetto con forme che starebbero a loro agio in Veneto (desmentegàrme, sior, criàrlo) e con altre che sarebbe di?cile considerare settentrionali (meo, invedeósi), o che hanno l’aspetto di coniazioni (inrabìseno, podo; si noti anche l’alternanza tra il panveneto son e sun lombardo). Analoghe considerazioni si possono fare per un frammento della lingua dei diavoli (p. -"), pastiche a base mediana (lu e nu articolo, chillo, me ve e re- protonici), linguisticamente incoerente (va be’ vs. riabbìlita) o im-preciso (domànda senza assimilazione del gruppo nd). Ma un’analisi simile rischia di essere inutilmente sollecitante, perché Fo non intende riprodurre un dialetto, antico o moderno che sia, ma riallacciarsi in maniera inventiva a due antiche tradi-zioni drammatiche: quella ruzantiana e arlecchinesca per Pizzocca Ganassa, quella giullaresco-iacoponica per i diavoli.

&.#. Neodialettalità e antirealismo

Eduardo chiude la propria carriera traducendo la Tempesta di Shakespe-are in un napoletano corposo e metaforico modellato su quello de Lo cunto de li cunti di Basile+*: il fatto che sia dovuta a un maestro del natu-ralismo linguistico rende questa traduzione una testimonianza sintoma-tica della «vocazione sostanzialmente regressiva» che si associa all’uso del dialetto soprattutto nel teatro napoletano degli ultimi trent’anni,#. Tale tendenza è ben rappresentata dall’antologia Dopo Eduardo (Libe-ro, !*,,), che contiene Bellavita Carolina (!*,+) di Manlio Santanelli, Ferdinando (!*,/) di Annibale Ruccello e Pièce noire (Canaria) (!*,/) di Enzo Moscato. Studiando alcuni di questi testi dal punto di vista lin-guistico Giovanardi ("##") ha parlato con buone ragioni di antireali-

+*. De Filippo (!*,$); per la scelta del dialetto da parte di De Filippo cfr. Megale ("##*).,#. La citazione viene da Vescovo ("##+c, p. $,); sul sapore potenzialmente regressivo del dialetto vanno ricordate, pochi anni prima dell’esperimento shakespeariano di Eduar-do, le osservazioni di Zanzotto (!*+., pp. /$"--). Cfr. da ultimo D’Achille ("#!"a), cui si rinvia anche per la bibliogra%a, che ha proposto di distinguere, per il tardo Novecento italiano, un “teatro dialettale”, sostanzialmente mimetico, amatoriale e bozzettistico, da un “teatro in dialetto”, «svincolato da intenzioni realistiche e tutt’altro che privo di inten-zioni letterarie» (D’Achille, "#!"a, p. -/$): è del “teatro in dialetto” che ci si occuperà qui.

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smo: il dialetto, spesso accompagnato da altre varietà, vi assume in eAetti tonalità oniriche e ctonie, facendosi strumento d’uno sguardo crudele su situazioni esistenziali tormentose ed esperienze estreme; e da questo punto di vista non è certo un caso che la prostituzione e la morte violen-ta siano temi ossessivamente ricorrenti in questa produzione,!. L’osserva-zione vale anche per altre varietà dialettali, usate nel teatro contempora-neo con intenzioni tutt’altro che semplicemente mimetiche, decorative o ludiche: ciò vale ad esempio – pur nella diversità delle esperienze e dei presupposti – per il %oretino/valdipesino “nero” di Ugo Chiti, per il palermitano di Emma Dante e per il messinese della prima produzione di Spiro Scimone,". Tornando a Napoli, che è indubbiamente il centro propulsivo di questa vicenda, un altro caso indicativo nello stesso senso è quello di Shakespea Re di Napoli (!**$) di Ruggero Cappuccio, che a dieci anni di distanza rappresenta in certo modo uno sviluppo coeren-te dell’esperimento di Eduardo sulla Tempesta. Nel testo di Cappuccio Shakespeare è stato davvero a Napoli, e nei panni di viceré per una notte ha portato con sé a Londra Desiderio, facendone il proprio amante e l’attore/attrice di tutti i suoi capolavori. Nei )ammenti in cui è divisa la pièce si alternano l’italiano iperbarocco e liricizzato di alcune delle prose d’apertura (scritte nella %nzione da Desiderio) e il napoletano immagi-ni%co, plebeo e viscerale dei dialoghi tra Desiderio e Zoroastro (varie osservazioni su questo testo in Giovanardi, "##"),-. Ecco due esempi in-dicativi (Cappuccio, "##", pp. ,-!#):

I grani della rena riardono le memorie alla mia febbre. Ossessione purpurea. La ricordevole bianchezza di questa incamiciata che m’è addosso s’isfuma di minio nella trama di garza e indensa il dolore d’una ruggine antica. Maledetto inchio-stro. Sotto l’ascella sinistra la stoAa e la carne, ciecamente ai miei sensi aAezionata, impastano marcibile sudario d’un colore che non mi è più [...]. Indeiscente mi

,!. Cfr., oltre a Giovanardi ("##"), di Bernardo ("##$), Megale ("##/), Moscato ("##.) e Barsotti ("##+, pp. ""*-$!); non è di taglio linguistico, ma rende ragione della straordinaria vitalità teatrale della Napoli contemporanea, il libro di Vescovo ("#!!).,". Per i testi dei tre autori e per la relativa bibliogra%a cfr. rispettivamente Chiti ("##$, "##*) con le dichiarazioni di Chiti ("##.) nonché Binazzi, Calamai ("##-, pp. !!/-"! e !/"-.+), Calamai (!**,, "##$, "##*a, "##*b); Dante ("##+) e Barsotti ("##*); Nunzio in Scimone ("###, pp. !!--+) e Calamai ("##*a). In D’Achille ("#!"a) analisi linguistiche e bibliogra%a anche sul teatro dialettale di Annibale Ruccello (Napoli), Giuseppe Manfridi (Roma) e Giovanni Testori (Milano).,-. Cito da Cappuccio ("##").

"## 6:73 4’1);<&3

sono, come la vampa di questo melograno, sbocciato in fuoco sotto l’ascella sini-stra, bubbone, in%orescenza, ninfea decomposta, proterva elevazione della carne, sanguinante nei semi della morte.

[...]

45'&452&1: Tu fusse notte oi notte?Stu scuretorio stravinato ’e stellec’ha addubbechjato pure ’e pucundruse...[...]B1213'021: Desiderio! Desidè! Desiderio! Desidè! E ca te pozza cogliere na lanzata catalana! Tu llà ’ncoppa a fa ’a lacerta sott’ ’a luna e io ccà abbascio a fa ’o ciuccio a tre turnise...45'&452&1: Notte oi notte...B1213'021: Notte oi notte sissignore è notte; e p’arrivà ccà dinto cu stu tavuto ’e mmerda me stevo sfascianno pure st’autra coscia.45'&452&1: Notte... Oi notte...B1213'021: Desidè tu nun stai bbuono! Io creo ca pe la famme, lu stommaco t’è sagliuto ’ncapo, ha sputato ’n faccia a chillu muorzo ’e cervella ca tiene e l’ha ditto: mò va tu abbascio ca cca ’ncoppa m’ ’o beco io!

Nel primo brano vanno registrati l’alta metaforicità («i grani della rena riardono me-morie», «la stoAa e la carne [...] impastano marcibile sudario» ecc.) e l’inclinazione a un lessico inusuale quando non visionario e violento (ricordevole, isfuma, indeiscente, nonché la serie dei correlativi del bubbone); nel secondo il napoletano si dispiega dal concettismo dell’immagine dello stomaco che sale alla testa per spodestare il cervello %no al popolarismo – in realtà iperculto – della «lanzata catalana» ‘colpo mortale’ (che è un prelievo dalla ’ntroduzzione del Cunto: Petrini, !*+., p. ,, r. "!) e al disfemi-smo del «tavuto ’e mmerda» (tavuto vale ‘cassa da morto’).

&.$. Monologhi

Soprattutto l’esperienza di Fo apre la strada a quella «emergenza del monologo» che è tra i fatti salienti nel teatro italiano dell’ultimo tren-tennio,$. L’autore-attore, solo sul palco, si rivolge al pubblico con un racconto drammatizzato che può avere impianto narrativo-civile (come in Marco Paolini e Ascanio Celestini) o più nettamente comico (come

,$. La citazione viene da Barsotti ("##+, pp. !,+-,); cfr. anche Barsotti ("##.) e Soriani ("##/, "##+).

423>>30:2;&3 "#!

in Roberto Benigni, Massimo Troisi e Paolo Rossi). Si tratta di esperi-menti linguisticamente diversi, nei quali il dialetto può giocare un ruolo di primo piano come in Dio (!*+*) di Troisi, dove il napoletano assume tonalità neopulcinellesche e afasiche al tempo stesso, o in Cioni Mario di Gaspare fu Giulia (!*+/) di Benigni, dove rivive la maschera vernaco-lare e demoniaca del buAone/contadino,/. Ma un ruolo di primo piano nell’ultimo decennio – soprattutto per la diAusione su scala televisiva – l’hanno tenuto gli esponenti del cosiddetto teatro di narrazione come Paolini e Celestini, che hanno raggiunto platee vastissime anche grazie a un mezzo linguistico a base italiana, aperto però agli elementi regionali (veneti per Paolini, romani per Celestini),.. Diamo dunque un’occhiata qui, prima di concludere, al testo di uno spettacolo/romanzo (poi %lm nel "#!#) di Celestini, La pecora nera ("##/): il matto protagonista e narratore parla un italiano popolare punteggiato di elementi romaneschi e inquietanti accensioni %gurali (che sembrano il correlativo stilistico della sua follia):

Io sono nato negli anni Sessanta.I favolosi anni Sessanta.

Tutti volevano nascere negli anni Sessanta, ma purtroppo qualcuno è nato prima. E si vergogna di essere nato negli anni Cinquanta con tutti quei poveri morti di fame che non c’avevano niente da comprare nei negozi, che li vediamo vestiti da poveri ancora oggi nei %lm in bianco e nero sulle reti televisive private [...].

Il -! dicembre del !*/* tutti aspettavano l’arrivo dei favolosi anni Sessanta.

Tutti tranne mia nonna.

Quella volta mia nonna andò a letto alle otto come tutte le sere.Mia nonna schifava gli anni Sessanta. Schifava anche gli anni Cinquanta e

gli anni Quaranta. Aveva schifato la guerra e il fascismo, i tedeschi e l’americani. L’unica cosa che non schifava erano le galline.

Mia nonna era vestita da vecchia, col zinale da vecchia e l’alito puzzolente. E quando faceva i ròtti non erano ròtti di cocacola e pepsicola. Erano ròtti che sape-vano di ovo fresco (Celestini, "##., pp. +-*).

,/. Per Troisi cfr. Stromboli ("##$) e Barsotti ("##+, pp. "!$-""); per Benigni ivi, pp. """-*, e per un panorama sul teatro toscano nell’ultimo secolo cfr. Binazzi, Calamai ("##-).,.. Osservazioni linguistiche su entrambi gli autori in Stefanelli ("##+); su I cani del gas ("###) di Paolini cfr. anche Caracchini ("##+, pp. !!$-/).

"#" 6:73 4’1);<&3

Nel quadro di un discorso spesso lunare («tutti volevano nascere negli anni Sessan-ta, ma purtroppo qualcuno è nato prima») – scandito da ripetizioni che mimano le modeste facoltà mentali dell’emittente (anni Sessanta tre volte a distanza ravvicinata, poveri due volte, mia nonna tre volte, schifava, aveva schifato, schifava, ròtti tre volte) – spiccano sintagmi stereotipi (favolosi anni sessanta, bis) e nomi imposti dalla società dei consumi (cocacola, pepsicola), che si accompagnano a tratti morfosintattici po-polari (c’avevano, poveri morti [...] che li vediamo) e soprattutto a quelli romaneschi: sono da notare in tal senso gli articoli di l’americani e col zinale, il vocalismo tonico di ovo e ròtto e una macchia lessicalmente vistosa come zinale ‘grembiule’,+.

,+. Cfr. per il primo tratto Chiappini (!*--, pp. "#! e "//), e per la forma zinale ivi, p. --+.

Bibliogra%a

Riviste citate in sigle“BollOVI” “Bollettino dell’Opera del Vocabolario Italiano”“CN” “Cultura Neolatina”“CoFIM” “Contributi di Filologia dell’Italia mediana”“ID” “L’Italia dialettale”“LI” “La lingua italiana. Storia, strutture, testi”“LId’O” “LN d’oggi”“LS” “Lingua e Stile”“MedRin” “Medioevo e Rinascimento”“MLI” “Medioevo letterario d’Italia”“MR” “Medioevo romanzo”“RELI” “Rassegna europea di letteratura italiana”“RLI” “La Rassegna della Letteratura Italiana”“RPh” “Romance Philology”“RSD” “Rivista di studi danteschi”“SFI” “Studi di Filologia italiana”“SGI” “Studi di Grammatica italiana”“SLessI” “Studi di Lessicogra%a italiana”“SLI” “Studi linguistici italiani”“SM” “Studi medievali”“SMV” “Studi mediolatini e volgari”“SPCT” “Studi e problemi di critica testuale”

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