Oltre la Bibbia, Archeologia del Culto

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Sisba –Scuola Interateneo di Specializzazione in Beni Archeologici “Oltre la Bibbia” di Mario Liverani “Dal terreno al divino. Archeologia del culto nella Palestina del primo millennio” di Ida Oggiano Specializzanda:Marta Narducci Esame di Storia Orientale Antica Prof. Lucio Milano

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Sisba –Scuola Interateneo di Specializzazione in Beni Archeologici

“Oltre la Bibbia” di Mario Liverani

“Dal terreno al divino. Archeologia del culto nella Palestina del primo millennio” diIda Oggiano

Specializzanda:Marta Narducci

Esame di Storia Orientale AnticaProf. Lucio Milano

Sommario

Immagine di copertina p. 1

Citazione di apertura p. 2

Struttura del libro

Prefazione p. 3

Imprinting p. 4

Parte Prima. Una storia normale p. 6

Intermezzo p. 17

Parte Seconda. Una storia inventata p. 20

Epilogo p. 29

Sviluppo dei punti nodali p. 30

Considerazioni personali p. 31

Fonti p. 35

“Oltre la Bibbia” di Mario Liverani

IMMAGINE DI COPERTINA

La tomba di Abshalom nella valle del Kedron: perché l’immagine di James Clark? Abshalom,

Assalonne secondo alcune versioni, fu uno dei figli ribelli di David, secondo una tradizione

medievale ebraica, il monumento conico nella valle del Cedro, era la sua tomba; ebrei, cristiani e

musulmani portavano qui i figli a colpire la tomba con delle pietre (che hanno parzialmente

rovinato la facciata) per ricordare la sorte della prole ribelle e maledirlo per le sue imprese. Uccise il

fratellastro Amnon per rapire la sorella Tamar, fuggito a Ghesur, ci vollero tre anni per poter tornare

e vedere il re suo padre, quattro anni dopo sobillò una ribellione contro il padre facendosi re

(2Samuele 2:13-16). La valle del Cedro (detta anche valle di Giosafat e valle del Re) è uno dei posti

più sacri di Gerusalemme, tra la città vecchia di Gerusalemme ed il monte degli Ulivi. La tomba

con copertura conica, insieme a quella di Zaccaria (curiosamente, il monumento vicino alla tomba

di Abshalom è chiamato tomba di Zaccaria, attribuito al Zaccaria biblico, figlio del gran sacerdote

Yéhoyadah. Verso la fine del V secolo d.C., le reliquie di Zaccaria del Nuovo Testamento vennero

deposte nel monolite piramidale, attualmente conosciuto come la tomba di Zaccaria) e dei figli di

Hezir, è tra le più antiche del cimitero, costruite tra il II ed il I secolo a.C.; probabilmente però,

Abshalom, non fu seppellito in questa struttura, costruita centinaia di anni dopo la sua morte.

L’attribuzione, è stata fatta sulla base di un passo della Bibbia, 2Samuele 18:18 che recita: “Ora

Assalonne, mentre era in vita, si era eretta la stele che è nella Valle del Re; perché diceva: ‹‹ Io non

ho un figlio che conservi il ricordo del mio nome››; chiamò quella stele con il suo nome e la si

chiamò di Assalonne fino ad oggi”. Nel 2003, fu scoperta, grazie alla luce dell’alba, un’iscrizione in

caratteri greci commemorativa della morte e del martirio di Zaccaria, padre del Battista. “Questa è

la tomba di Zaccaria, martire, sacerdote molto pio, padre di Giovanni.” Sulla morte e martirio di

Zaccaria non vi sono indizi biblici, una tradizione del IV secolo d.C., lo vuole seppellito con

Simeone e Giacomo, fratello di Gesù, nella valle del Cedro; lo storico ebreo Josephus dice che fu

ucciso dagli Zeloti nel tempio e gettato nella valle del Kedron, spiegando il riferimento al martirio

nell’iscrizione. La Bibbia riferisce invece di Giacomo, che fu allontanato dal tempio ebreo, colpito a

morte nella valle del Cedro e seppellito poco distante, nulla riguardo a Simone. Secondo gli

studiosi, l’antropologo Joe Zias e l’epigrafista Emile Puech, è stata incisa da bizantini cristiani (sia

per i caratteri che per la presenza della parola “martire”) che nel IV-V secolo d.C., guidati da Elena,

madre dell’imperatore Costantino che scelse il sito, ora contrassegnato dalla chiesa del santo

Sepolcro, dove Gesù fu sepolto, viaggiavano per la terra santa alla ricerca di luoghi di tradizione

biblica. L’iscrizione, incisa sulla facciata di uno dei tre monumenti costruiti per l’aristocrazia di

Gerusalemme, si trova sull’arco d’entrata a circa 9 m d’altezza, le due righe, lunghe ciascuna 1,2 m,

sono scritte in caratteri di epoca bizantina di circa 10 cm di altezza, a queste, si sono aggiunte, sei

linee d’iscrizione, sempre in caratteri greci, che riportano un passo del Vangelo di Luca 2:25, dove

parla di Simone, in greco Simeone, l’uomo che cullò Gesù, riconoscendolo come Messia. Il

passaggio, è identico alla versione del IV secolo della Bibbia, il Codex Sinaiticus, revisionato poi

ampiamente. Scoperte archeologiche che confermano la narrazione biblica o che si riferiscono a

figure della Bibbia sono rare, secondo Jim Frange, studioso del Nuovo Testamento dell’Università

del Sud della Florida, per gli antichi, incidere le Sacre Scritture sui monumenti, ne sviliva autorità e

significato, ed il suo uso si attesta solo in Europa a partire dall’anno 1000 d.C., questa scoperta offre

un nuovo sguardo sulle tradizioni locali che circondano i primi secoli della chiesa cristiana, e

permette di comprendere come la complessa stratigrafia narrativa e storica abbia ricoperto sotto la

coltre del tempo le epoche che precedettero l’arrivo del messia cristiano, Gesù il Nazzareno Re dei

Giudei, morto sotto Ponzio Pilato. Secondo Stephen Pfann, studioso del testo biblico e preside

dell’Università della Terra Santa, è una testimonianza molto importante per la storia della cristianità

bizantina, che potrebbe mettere in condizione di confermare l’esistenza di una tradizione in loco,

quando i pellegrinaggi bizantini a Gerusalemme trasformarono tombe sepolcrali giudee in meta di

pellegrini cristiani.

CITAZIONE DI APERTURA

Dalla Bereshit Rabba XVI.4: “Tutti gli imperi possono chiamarsi Assiria, perché si arricchiscono

su Israele. Tutti gli imperi possono chiamarsi Egitto perché tiranneggiano Israele.” In ebreo Genesi

Rabba, uno dei testi del periodo del giudaismo classico, comprendente antiche interpretazioni

rabbiniche del libro della Genesi e nato nella Palestina cristiana del III secolo d.C.. Il giudaismo è la

religione del popolo ebraico ed insieme della sua cultura, si fa iniziare dal VI secolo a.C., periodo

dell’esilio in Babilonia, il centro religioso è il secondo tempio di Gerusalemme e l’istituzione

sinagogale (in ebraico “casa di riunione”) legata alla realtà della diaspora degli ebrei. La loro legge

religiosa è la Torah, l’insieme degli insegnamenti e prescrizioni rivelate da Dio attraverso Mosè e

raccolti nei cinque libri del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). La

Bibbia di Gerusalemme, usata dalla Chiesa, è stata tradotta per l’Antico Testamento dal testo

Masoretico, un testo ebraico vocalizzato tra il VI ed il X secolo d.C. dai Masoreti, maestri ebrei, per

il Nuovo Testamento dal greco. La Bibbia ebraica, fissata dagli ebrei di Palestina sull’inizio dell’era

cristiana è conservata dagli ebrei moderni e per l’Antico Testamento dai protestanti, è divisa in tre

parti: la legge, i profeti, gli scritti. La Bibbia greca dei Settanta è la più antica traduzione del testo

ebraico ed aramaico dell’Antico Testamento in greco ed ebbe inizio nel III secolo a.C., rimanda ai

70 saggi che vi lavorarono, (evidente il rimando simbolico al 7 numero della pienezza), ed è

destinata agli ebrei della diaspora, comprende i libri della Bibbia ebraica tradotti in greco, libri che

non appartengono alla Bibbia ebraica, libri apocrifi; dalla LXX, attraverso il latino della Vulgata

(“edizione per il popolo”, realizzata all’inizio del V secolo da Sofronio Eusebio Girolamo, fino al

Concilio Vaticano II, 1962-1965, ha rappresentato la versione ufficiale della Bibbia per l’intera

chiesa cattolica) è giunta fino alla forma corrente italiana. I due regni, del nord (Israele) e del sud

(Giuda), restano fianco a fianco per molto tempo, culturalmente simili ma politicamente molto

differenti, fino a quando, il regno del nord, segnato da intrighi, colpi di stato ed omicidi, a

differenza del più stabile regno di Giuda, vede la sua fine per mano assira, con la conquista della

capitale e la deportazione della maggior parte della popolazione. Nel verso d’introduzione riportato

dal Liverani, i grandi nemici dell’affermazione del popolo eletto da Dio sono Egitto ed Assiria, ma

tutti i tiranni e tutti gli sfruttatori possono chiamarsi Assiria ed Egitto perché cercheranno sempre di

ostacolare il disegno divino, di affermazione di un popolo eletto, nell’eterna lotta tra bene e male,

metaforizzati dal ricorrente patto/punizione del rapporto tra Yahweh/popolo. L’interpretazione

rabbinica del Libro della Creazione pone l’accento sui regni che oppressero Israele, che li annullò

come entità etnica e dal cui giogo solo la fedeltà a Dio li ha liberati, saranno soltanto gli esuli in

Babilonia, provvisti anche dei membri dell’elite cittadina a compattarsi e ricostituirsi come unità

nazionale, sia a livello linguistico che soprattutto religioso. Questo popolo minore, gli israeliti, vive

tra II e I millennio, la prima fase della sua storia, all’ombra dell’Egitto, influenzato dai fenici, in

lotta con gli aramei e con le nazioni circostanti, poi, oppresso da assiri e babilonesi, viene

schiacciato militarmente da questi ultimi, ma riuscirà a riemergere con una nuova fisionomia

culturale e religiosa di matrice esilica, durata fino ai nostri giorni.

STRUTTURA DEL LIBRO

Prefazione: il Liverani afferma di non essere un Alttestamentler (studioso del vecchio

testamento) e quindi di non voler descrivere Israele parafrasandone la storia contenuta nel testo

biblico come fatto finora, ma di voler scrivere “l’ennesima” storia d’Israele su base storica,

dimostrando l’inattendibilità della Bibbia come retroiezione post-esilica, intesa a giustificare l’unità

nazionale e religiosa ed il possesso della terra per i gruppi di reduci dall’esilio babilonese.

L’archeologia d’altra parte, ha confermato l’assenza di prove a conferma dei testi biblici, che hanno

fatto della normale storia di uno staterello spazzato via dalla conquista assira, la storia di un popolo

eccezionalmente predestinato. Già alla fine dell’ottocento i filologi tedeschi misero in dubbio i

racconti biblici, arrestandosi però al regno unito di David e Salomone considerato sostanzialmente

storico, convalidando la ricostruzione dell’entità etnica, politica e religiosa dei reduci dell’esilio. Il

Liverani si propone così di rimontare i materiali letterari all’epoca della loro redazione e definire

due racconti della storia d’Israele, la storia normale di un paio di regni dell’area palestinese

praticamente cancellati dalla conquista assira e babilonese, e la storia inventata ed eccezionale, base

per la fondazione di una nazione, Israele, e di una religione, il giudaismo, che avrebbero influenzato

il corso della storia a livello mondiale. L’evento particolare si ha con Giosia, re di Giuda, che volle

dar vita ad un regno unito Giuda-Israele, tra la fine dell’Assiria ed il decollo di Babilonia,

sostanziando il tentativo sul piano religioso con il monoteismo yahwista e la legge “mosaica”.

Imprinting : dall’inglese, “prendere forma”. Elementi determinanti furono la conformazione

ambientale e geografica di queste terre ed il ruolo della politica imperiale egiziana.

La Palestina nel Tardo Bronzo (secoli XIV-XIII ): già evidenzia i contrasti, la realtà storica e

geografica modesta, e la fascinosità della terra santa e promessa, idealizzata e valorizzata dal suo

stesso popolo, creata dalla stratificazione storica del paesaggio antropizzato e la stratificazione

simbolica delle memorie. L’agricoltura non è irrigua ma pluviale, alle dipendenze delle incerte

precipitazioni cui sono preposte divinità imprevedibili. Agli antipodi con il vicino Egitto, dove

l’acqua è un dato di fatto stabile che non produce ansia, già nel Deuteronomio (11:10-12) si avvisa

che l’ingresso in un paese diverso dall’Egitto, avverrà per volontà di Yahweh. Un piccolo paese di

circa 20.000 km², in cui impressiona la densità di memorie e di eventi di valenza mondiale e

ripercussioni millenarie. Il territorio è utilizzabile a scopo agricolo solo in alcune nicchie

intermontane e con una pastorizia di transumanza, con villaggi miniaturistici come in un presepio.

Le lodi del paese “dove scorre latte e miele” (Numeri 13:27), sono esagerate ma rendono l’idea di

un paese vivibile con grande fatica quotidiana dell’uomo, in Deuteronomio 8:7-8, si parla della

buona terra, con torrenti e sorgenti, grano, orzo, viti, fichi e melograni, pietre di ferro e montagne di

rame. In realtà, ai margini della mezzaluna fertile, sta una terra che ha scarsi metalli, non pietre

dure, né legnami pregiati, una costa con modestissime lagune e nessun approdo sicuro, attraversata

in fretta dalle carovane per paura degli agguati. Un paese insomma, che nell’età del tardo bronzo,

quando Egitto e Mesopotamia ospitavano milioni di abitanti, non raggiungeva neppure le 250.000

persone. L’unico ruolo riconosciuto, fonte più di sventura che ricchezza, è quello di connessione tra

Egitto ed Asia Anteriore. L’assetto o la frammentazione geopolitica della Palestina per lunghi

millenni, sono determinate dalle caratteristiche topografiche ed ecologiche, incrociate con il livello

tecnologico del mondo antico. Il termine più adatto è in questo caso “stato cantonale”, con al centro

una città di dimensioni correlate alle risorse del territorio che è in grado di drenare, e che nel caso

della Palestina vanno dimezzate rispetto ad esempio ad Ugarit nella Siria settentrionale. La cellula

base del sistema politico (20% dipendenti palatini, 20% pastori, 60% contadini), si perpetua a lungo

in Palestina, dove, la carenza di risorse, non renderà necessario il salto dimensionale di unificazione

politica, per motivi sostanzialmente topografici ed ambientali. A questo va aggiunta la marginalità

insediamentale e socio-economica e politica della Palestina, dove la popolazione si accentra in

poche zone: la costa e le colline a ridosso della costa, la piana di Yizre’el e la media e alta valle del

Giordano; zone che corrispondono nel paesaggio politico agli stati cittadini. Dall’archivio egiziano

di el-‘Amarna, una carta politica della Palestina mostra l’addensarsi dei piccoli stati nelle zone

pianeggianti e poi, quasi isolate, le due città di Gerusalemme e Sichem. Nel Tardo Bronzo la

popolazione si concentra verso le zone più dotate per l’agricoltura. Il diretto dominio egiziano dal

1460 al 1170 a.C. circa, ha influenzato in modo permanente la Palestina, il controllo avveniva per

via indiretta, i “piccoli re” locali conservavano l’autonomia ma non l’indipendenza, erano servi e

tributari del faraone. Il progetto iniziale di Tuthmosi III, il grande faraone che nel 1470-60

conquistò definitivamente la Palestina e gran parte della Siria, prevedeva un controllo diretto molto

esteso con porti e migliori terre agricole sotto diretta gestione egiziana, gli eccessivi costi lo fecero

sostituire con una gestione indiretta che ha lasciato una traccia indelebile anche dopo il venir meno

dell’impero. Il faraone era un dio incarnato, e tutta l’imagery verbale e cerimoniale relativa al modo

di rapportarsi a lui da parte dei re locali dimostra che questa ideologia era conosciuta ed accettata. Il

faraone era in effetti però un dio lontano, che i re palestinesi trovavano inerte e tacito, interessato a

tenere sotto controllo il sistema ed intervenire qualora fosse stata in gioco la permanenza

dell’autorità egiziana sul paese, l’eventuale usurpatore di un trono locale infatti, non lo

preoccupava, perché gli sarebbe stato altrettanto fedele. La capitale palestinese, cinta di mura, era

accentrata sul palazzo reale, residenza del re e della sua famiglia, sede dell’amministrazione, degli

archivi, dei magazzini e di botteghe di artigiani specializzati. La popolazione è divisa in due grandi

categorie, gli uomini del re, lavorano per lui e ne ricevono mezzi di sostentamento, e la popolazione

libera, che detiene mezzi di produzione propri e fornisce al re una quota del reddito sotto forma di

tassa. La classe alta gestisce il potere economico, la classe bassa potrebbe anche cadere nella

schiavitù per debiti. Per quanto riguarda il tempio, i sacerdoti sono considerati uomini del re, con

una laicizzazione del mondo politico mai vista in tutto il Vicino Oriente fino ad allora. Pur

all’interno di un paese dalle modeste risorse, le città palatine del XIV-XIII secolo, sono floride

economicamente e culturalmente vivaci, ospitano infatti scuole scribali di ascendenza babilonese e

l’artigianato di lusso d’influenza egiziana è documentato dall’archeologia, il commercio si svolge

all’interno del sistema regionale, che abbracciava zone urbanizzate e statalizzate, con scarse

relazioni sulle rotte del mediterraneo. I palazzi erano il centro della circolazione e tesaurizzazione di

beni di prestigio, esercitavano una pressione socio-economica sulla popolazione agro-pastorale, e

furono fautori della vistosa cultura Cananea di quel tempo, producendo un forte sbilanciamento a

lungo andare insostenibile. La maggioranza della popolazione era concentrata nei villaggi,

configurabili come unità insediative di modeste dimensioni ed al contempo unità parentelari e

decisionali. La popolazione è suddivisa in una maggioranza di case di contadini liberi e pastori ed

una minoranza di servi del re. Il villaggio, dato lo scambio matrimoniale e la suddivisione ereditaria

è un’unità gentilizia o clan, riconosciuto dall’eponimo, dotato di organismi collegiali necessari sia

alla gestione interna del villaggio che alle relazioni con il palazzo. La gestione collegiale era a due

livelli, uno, ristretto, dato dal consiglio di anziani ed uno, allargato, o assemblea popolare; per i soli

rapporti col palazzo esisteva il “sindaco”, una funzione individuale. L’unità famigliare era data da

persone impegnate nelle varie attività agro-pastorali, che però nelle liste di Alalakh sono ben

distinte tra case di pastori e case di contadini. Nei testi del tardo bronzo tuttavia, si fa riferimento a

nomadi esterni, definiti con termini tribali, la loro presenza è pericolosa, di rado vengono assoldati

come guida o scorta nell’attraversamento dei territori. Di questi nomi tribali presenti nei testi,

nessuno delle tribù d’Israele riportati dai testi biblici è attestato in Palestina alla fine dell’età del

bronzo, solo due menzioni di gruppi tribali sono connessi alla terminologia biblica ma non ai nomi

delle tribù classiche, e sono quelle degli habiru del monte Yarmuti e della tribù di Raham (antenato

eponimo un padre di Raham e cioè Abu-Raham, Abramo). Nel 1230, la stele di Merenptah celebra il

trionfo del faraone in una sua campagna attraverso la Palestina citando i nemici vinti tra cui un

nome col determinativo di gente, cioè Israele, prima menzione in assoluto del nome. Abramiti ed

israeliti erano nel XIII secolo i gruppi pastorali attivi negli interstizi dell’assetto geo-politico

palestinese, tenuti a bada dall’azione militare egiziana. Il tardo bronzo è un periodo di forti

difficoltà sociali ed economiche, dovute alla pressione palatina sui villaggi agro-pastorali, a sua

volta pressata dal faraone, che porterà i contadini liberi ad indebitarsi e ripagare i debiti con la

schiavitù, fino alla fuga nell’impossibilità di pagare il debito. Nel periodo precedente, il medio

bronzo, si tendeva a tutelare il mantenimento della proprietà in ambito famigliare con l’emissione di

editti di remissione dei debiti, ma la cultura palatina, eliminò questa possibilità proteggendo così il

proprio ruolo di creditore e maggiore beneficiario della schiavitù per debiti, i contadini, datisi alla

fuga, si aggregavano ai clan pastorali diventando habiru, termine connesso con le più antiche

attestazioni della parola con cui si traduce ebrei e cioè ‘ibri, nelle lettere di el-‘Amarna, il termine,

dal significato di fuggiasco diventerà sinonimo di nemico. L’atteggiamento duro dei re cananei,

unito all’indifferenza del faraone, porterà alla ribellione ed alla fuga della popolazione di base,

sfociando nella crisi finale dell’età del bronzo che interessò gran parte del mediterraneo orientale e

del vicino oriente.

Parte prima. Una storia normale: cioè storicamente plausibile.

La transizione (XII secolo ): l’etnogenesi d’Israele, riconosciuta come caso singolo nella grande

crisi epocale del passaggio dall’età del bronzo all’età del ferro. Le principali teorie storiografiche

sono: la conquista militare compatta e distruttiva d’ispirazione biblica sostenuta ancora da ambienti

tradizionalisti soprattutto americani ed israeliani, l’occupazione progressiva nelle due varianti della

sedentarizzazione di gruppi pastorali presenti nell’area e dell’infiltrazione dall’adiacente pre-

deserto, la teoria sociologica della rivolta contadina in voga negli anni ’70-’80 ed oggi malvista per

motivi politici. Il quadro da comporre secondo il Liverani, è multifattoriale, adatto ad un fenomeno

complesso. La società palestinese del FI confrontata con quella del TB mostra : elementi di grande

innovazione tecnologica ed insediamentale che segnano una cesura profonda ed interessano l’intero

scenario vicino-orientale e mediterraneo, elementi di continuità nella cultura materiale che

escludono l’immigrazione di genti da chissà dove (i Filistei, veri immigrati, evidenziano la loro

origine “aliena”), elementi di complementarietà nell’occupazione del territorio tra il nuovo

orizzonte agro-pastorale di villaggi ed il pre-esistente orizzonte agro-urbano con conseguente

concorrenza nella gestione delle risorse e consecutiva conflittualità. Il complesso di fattori, scandito

su tempi lunghi, e attraverso riassetti insediamentali complessivi, si coagula in un preciso momento.

Il tempo sociale si concretizza in mutamenti delle competenze tecnologiche, nelle tensioni socio-

economiche, nell’evolvere dell’organizzazione politica, connessi in un momento preciso con i fatti

migratori e gli eventi politico-militari. La crisi socio-economica della fine dell’età del bronzo si

forma dal 1500 al 1200 a.C., la ricerca di un nuovo assetto durerà altrettanto (1200-900 a.C), in

mezzo alle due grandi fasi sta il lasso di tempo di convulsi eventi che si concentra nella prima metà

del XII secolo e che segna il tracollo finale della traballante società del TB. I fattori climatici e

migratori sono stati esclusi dalla fase idealistica della storiografia, tuttavia, le linee interne della

crisi finale del TB, possono essere sommate a quelle esterne di movimenti di popolazioni inquadrate

nel particolare sussulto nel processo di mutamento climatico. L’inaridimento della zona arida del

Sahara e dell’Arabia ebbe momenti di particolare acutezza attorno al 3000, 2000 e da ultimo 1200

a.C., i dati storici confermano tra XIII e XII secolo a.C., l’arrivo in massa nella valle del Nilo di

tribù libiche, le scarsissime precipitazioni sono state evidenziate dalla dendrocronologia anche per il

versante mediterraneo. In questo quadro s’inseriscono le ondate dei cosiddetti “Popoli del Mare”

che s’infrangono su tutte le coste mediterranee fino al margine del Delta dove vengono fermati

dagli egiziani, le invasioni sono registrate dall’archeologia con gravi distruzioni ed abbandoni.

Alcune di queste popolazioni, come i Filistei in Palestina, si stanziarono nelle città distrutte,

ricostruendole, sulla base del modello del regno precedente, di raggio cantonale e centrato sui

palazzi reali, ben visibili gli apporti esterni, sia nell’onomastica che nella cultura materiale. La tribù

di Dan deve il suo nome ai Danuna (Popoli del Mare nella descrizione del loro arrivo da parte del

faraone)? Il sistema regionale del VO muta completamente, Egitto e Khatti (la cui contrapposizione

aveva condizionato la politico vicino-orientale degli ultimi secoli e che si erano divise la sovranità

della striscia siro-palestinese) collassarono, così come il regno Hittita, l’Anatolia centrale occupata

dai Frigi regredisce a livello di villaggi e tribù pastorali. Il contenimento degli invasori avvenne

tramite la concessione di insediamenti in massa sulla costa palestinese, ciò, significò la liberazione

dalla sovranità straniera e la possibilità di dispiegare la dinamica politica interna. L’istituzione

palatina crolla, forse non con unico attore l’invasore dal mare, ma collassa il tipo di regno basato

sulla centralità del Palazzo, crollano le strutture amministrative, le scuole scribali con l’uso del

cuneiforme, scompaiono i maryannu (mantenuti dal re con cospicue concessioni di terre affinché

allevassero cavalli e si addestrassero all’uso del carro in battaglia). Nel TB solo i Palazzi erano cinti

di mura, nell’età del ferro anche i villaggi saranno fortificati, in un’ottica sia di autodifesa che di

pareggiamento gerarchico. A contribuire maggiormente alla configurazione del nuovo assetto

furono soprattutto i gruppi pastorali, la vicenda palestinese infatti è scandita da processi di

nomadizzazione (non visibile archeologicamente quanto il fenomeno sedentario ma evidente sia

dagli habiru che dalla progressiva riduzione di insediamenti stabili dall’AB al MB ed al TB) e

sedentarizzazione (con i nuovi insediamenti del Ferro I). Il gruppo parentelare si consolida

soprattutto sulla base dello sfruttamento territoriale. Le tribù, villaggi considerati fratelli nell’ambito

di un più ampio raggruppamento, hanno dimensione e forza nuova, tramite matrimoni incrociati, i

rapporti sociali sono rappresentati su modello genealogico, il fenomeno è conosciuto ed usato non

solo in Palestina, ma anche fra le tribù di nomadi cammellieri, Amaleciti e Midianiti, e fra le genti

aramaiche in Siria, dove Bit, Casa di…, equivale al gruppo gentilizio, come sarà per la casata di

David. L’assemblea cittadina assume ora un ruolo primario, solo attraverso la solidarietà gentilizia è

stato possibile uscire dal ristretto ambito del villaggio e diventare città. Tra TB e FI si notano

innovazioni tecnologiche e socio-economiche (lavorazione del ferro, alfabeto, addomesticamento ed

utilizzo come animale da soma del cammello e del dromedario, nuove tattiche belliche) di grande

rilievo dovute sia ad apporti esterni che sviluppi interni, è proprio la rottura delle tradizioni culturali

che facilita l’adozione di nuove tecniche, funzionali alla realizzazione del nuovo assetto territoriale.

Il ferro comportò lo sviluppo di fabbri da villaggio, cui necessitava un’attrezzatura modesta, e le

fonti di procacciamento non dipendono da commerci a lunga distanza. Già nel TB alcune

amministrazioni palatine come quella di Ugarit, avevano sostituito il complicato cuneiforme

babilonese, riflesso del prestigio e dell’esclusività della formazione scribale, con il più semplice

alfabeto, che si espande lungo le direttrici commerciali delle rotte mediterranee e delle carovaniere

della penisola araba; i grandi spazi desertici dell’Arabia, dell’Asia centrale e del Sahara, saranno

percorribili grazie all’uso di cammelli e dromedari, in luogo degli asini, più forti e più resistenti alla

fame ed alla sete. Cambia anche il ruolo degli allevatori di cammelli, prima disturbatori poi soggetti

attivi nei commerci, daranno vita alle città carovaniere. Nuove anche le tecniche di navigazione con

i grandi traffici mediterranei fenici e greci e conseguente apertura dei mari. Innovazioni tecniche si

hanno anche in campo agricolo con lo sfruttamento dei territori montani attraverso opere di

terrazzamento e disboscamento. Importanti le opere di canalizzazione, con la messa a punto di

tecniche di aridocoltura sul fondo degli wadi e la costruzione di pozzi profondi e cisterne con

intonaci a migliore tenuta idrica, in Palestina, vennero usati canali di accesso alle falde acquifere

profonde. La nuova occupazione territoriale palestinese si estese agli altopiani ed alle steppe semi-

aride, i villaggi crebbero e gli stanziamenti divennero più omogenei. Il mutamento di orizzonti se

ebbe effetti positivi da un lato, ponendo la Palestina al centro di una vasta rete di scambi

commerciali per terra e per mare, dall’altro, guardando il fenomeno più da vicino, gli altopiani

centrali, a differenza della zona costiera e della Transgiordania, restarono tagliati fuori dall’uno e

dall’altro, procurando a questa terra una nuova e costante marginalità.

La nuova società (ca. 1150-1050): la nuova società occupa gli altopiani con piccoli villaggi su

altura ed ha una formazione agro-pastorale, la popolazione può essere definita “proto-israelitica”

come nuovo complesso etnico già indicato nella stele di Merenptah alla fine del XIII secolo. In

Manasse e Bassa Galilea si ha una continuità con la cultura Cananea, in Efraim e Beniamino, Alta

Galilea e Negev si ha un’occupazione radicalmente nuova, distinguendo due fasi di evoluzione

insediamentale: un primo scenario di XII-XI secolo nelle zone semi-aride con campi pastorali di

transumanza stagionale, o negli altopiani come siti ellittici in cui le abitazioni strette e lunghe sono

disposte in cerchio attorno ad uno spazio aperto ereditando la disposizione delle tende dei nomadi,

un secondo scenario di XI-X secolo, con insediamenti ovoidali ben costruiti con case del tipo a

pilastri attorno all’area vuota centrale. Lo scenario di colonizzazione è dal basso, praticata da

piccoli gruppi famigliari che si impiantano prima in forma leggera e poi stabile. Le case, in cerchio,

tendono a formare una linea chiusa, in modo da assicurarne anche la difesa, l’unità abitativa tipica,

a quattro ambienti, ospita 5/7 persone, tipica famiglia nucleare, il villaggio su altura, con la

disposizione ad anello, corrisponde al clan, con un’estensione che al massimo copre 1ha, accoglie

100/150 persone. L’individuazione delle varie tribù è alquanto complessa, più semplice la visibilità

della frontiera tra il mondo tribale (con l’assenza di ossa di maiale) ed il residuo mondo cananaico.

Modeste anche le installazioni cultuali, aree all’aperto e unico il sacello nello strato XI di Hasor, il

fermento sociale alla base della nuova società non sembra aver avuto una matrice religiosa.

Comprensione dei processi di etnogenesi su base proto-storica, cioè con informazioni testuali

esterne e/o posteriori. I villaggi del FI come proto-israelitici si intendono con un processo in atto,

non ancora cristallizzato né auto-coscientemente pieno, che pone le basi per ciò che le fonti coeve

sui regni storici di Israele e Giuda del FII affermano. Per i villaggi del FI la documentazione scritta,

libri di Giosuè e dei Giudici, è di tradizione storiografica posteriore di parecchi secoli, quindi di

dubbia attendibilità, in particolare le descrizioni delle 12 tribù d’Israele vanno dall’VIII al IV secolo

a.C.. La tipologia delle deformazioni e delle invenzioni non è casuale, i testi utilizzati lasciano delle

tracce o spie attraverso cui retrodatare leggi, personaggi, contesti sociali. Si attribuisce al FI

l’esistenza di tribù e la strutturazione della società in una gerarchia di unità gentilizie decrescenti:

tribù, clan, famiglia allargata, famiglia nucleare; l’aggiunta di tribù o di filiazioni fittizie allo scopo

di far comparire genealogie fondanti non è impresa difficile e secondo l’autore, visto che anche la

terminologia tribale è piuttosto tardiva, il livello di tribù si è costituito in progresso di tempo, con la

sistematizzazione delle tribù e dell’idea della grande federazione tribale sul modello del grande

nomadismo del VI secolo. Riguardo alla collocazione spaziale delle tribù, conoscendone la

localizzazione attraverso i testi biblici, queste possono essere identificate con i nuovi villaggi del FI,

alcune, confluite nella lista canonica, sono funzionali o di dubbia origine, o precocemente

scomparse inducendo dubbi sulla loro esistenza. Esistette effettivamente una lega delle 12 tribù od

una confederazione israelita (ne comprende teoricamente 10, 6 partecipano all’impresa 4 ritengono

di non farlo e ne sono sbeffeggiate, la coalizione è definita Israele ed effettivamente coincide con

quello che sarà poi il regno del nord) come commentato nella Bibbia di Gerusalemme al canto di

Debora (Giudici 5)? Già nel XII secolo i gruppi umani agro-pastorali avevano tale coscienza etnica

comune? Le forme della cultura materiale sono diverse. Ad età molto antica possono risalire le

consuetudini tradizionali, che ben si attagliano alla struttura tribale, ma la gestione di situazioni di

gravità particolare, richiede la scelta di un leader carismatico che una volta passata la necessità

rientri nei ranghi. La legge, Torah, comprende le norme giuridiche cui gli ebrei si attengono, e

proviene da Mosè, dal suo dialogo con Dio sul monte Sinai, ma: come datare il Decalogo?

Sembrerebbe un’insieme di leggi provenienti da epoche diverse, o molto antiche, come il quarto

comandamento, o ben più recenti, il tempo di Giosia, come il primo comandamento. Il Codice

dell’Alleanza, a differenza degli altri testi tardivi, è pertinente alla società israelitica pre-

monarchica, come se, nella nascente società israelitica fossero presenti rivendicazioni da accreditare

all’elemento habiru, debitori alla ricerca della loro tutela e salvaguardia della loro libertà. Grande

sviluppo della pentapoli filistea (Ashdod, Ascalona, Gat, Gaza ed Ekron) tra XII ed XI secolo, che

cercherà sia di subentrare alle guarnigioni egiziane sulla costa, che d’imporre l’egemonia sui

nascenti stati degli altipiani ed espandersi a nord lungo la costa fino al Carmelo, il tutto segnato

archeologicamente dalla presenza di ceramica filistea. La presenza egiziana, come evidente dal

racconto di Wen-Amun, resta radicata, sia sul prestigio che su una presenza commerciale forte. Si

delineano due culture, quella degli stati etnici “proto-israelitici” sugli altopiani e nei tavolati interni

e quella delle città-stato, sulla costa e nelle grandi vallate.

Il processo formativo (ca. 1050-930): la formazione del mosaico palestinese si deve

fondamentalmente a tre fattori: crollo del sistema regionale nel TB e conseguente autonomia e

libertà d’azione del Levante, crisi della centralità palatina con riequilibrio del peso politico

istituzionale e socio economico delle componenti agro-pastorali di base, processi d’innovazione

tecnologica e stanziamento tribale che comportano addensamento demografico ed allargamento

degli orizzonti sia spaziali che sociali. Le tribù israelitiche si trovano a contatto sia con le città stato

della costa che con genti di origine tribale, come le tribù cammelliere (Israeliti, Midianiti,

Amaleciti) del deserto interno che tengono in mano la carovaniera. Prime aggregazioni: Ammoniti,

Moabiti, Edomiti, gruppi aramaici. Accentramento degli altopiani centrali attorno a due città

palatine: Gerusalemme e Sichem; “stati dimorfici”, rapporto urbano-tribale, pochezza delle città

contrapposta alla vigorosa crescita dell’elemento tribale, qui l’evoluzione è per linee interne, la

nuova società prende il sopravvento sugli antichi palazzi conglobandoli in una nuova formazione

politica, a differenza delle pianure, dove le piccole città stato entrano in collisione con gli elementi

tribali. Già dalle lettere di el-‘Amarna, Gerusalemme e Sichem sono connesse con l’elemento

habiru ed hanno una tendenza espansiva, Gerusalemme in particolare, assisterà alla nascita dei due

regni israelitici di Saul e David nel suo territorio, restandole il controllo di un modestissimo cantone

tra Betlemme e Gibe’a. Per Sichem l’assimilazione è progressiva, come confermato

dall’archeologia. Nel nord, piana di Megiddo e Galilea, la situazione è complessa, le zone di

pianura, insediate da una fitta rete di città stato cananee con presenze egiziane prima e filistee poi,

s’incuneano lungo la vallata d’Yizre’el, la media valle del Giordano ed il bacino del lago di

Tiberiade. Su questi centri urbani gravitano le tribù pastorali di Manasse, Asher, Zabulon e Neftali.

Degli scontri riportati dalla cronologia biblica, quello plausibile è la battaglia di Ta’anak presso

Megiddo che vede le milizie tribali della Galilea e centrali guidate da Baraq contro i carri da guerra

cananei, ebbe come esito, alla fine dell’XI secolo, il collasso del sistema delle città stato cananee

con incursione dei nomadi cammellieri e consolidamento del predominio filisteo. Intorno al 1000,

nella zona di confine tra le vecchie città stato di Gerusalemme e Sichem, si forma il primo regno

considerato dalla tradizione propriamente israelitico: Saul e la sua breve discendenza, sugli

altopiani centrali nel territorio di Efraim e Beniamino, due tribù che costituiscono una piccola unità

politica, cultuale il nord con Efraim da cui proviene il profeta Samuele, politico-militare il sud di

Beniamino. Un regno carismatico, con un capo, senza apparato fiscale ed amministrativo come

conferma l’archeologia. Dopo la sua morte e quella del figlio Ishba’al gli “anziani di Israele”

decidono di unirsi alla formazione statale nata più a sud nel territorio della tribù di Giuda ad opera

di David. La “deformazione” biblica metterà in sequenza i due regni per la costituzione di una

storia unitaria del popolo d’Israele e denigrerà la follia di Saul a vantaggio di David in un momento

in cui il rapporto tra monarchia e sacerdozio era oggetto di rilevanti polemiche. Nel sud, territorio di

Giuda, David, come “capo-banda” raccoglie “circa 400 persone” (1Samuele 22:1-2) compresi

habiru, per guerreggiare contro i Filistei, che sottomette e coinvolge. Il suo regno, Hebron,

combatterà contro quello d’Israele ed il suo re Ishba’al fino alla morte di questo e la sua

proclamazione a re di Giuda ed Israele. Della Gerusalemme di David non si hanno resti archeologici

indicativi e dovette restare una modesta formazione politica sotto l’egemonia dei Filistei. Il racconto

biblico di David, incentrato sull’ascesa e sulle lotte di successione, riflette un tipo di autobiografia

monumentale del XV secolo siriana ed una forma letteraria ampia e romanzesca non attribuibile al

X secolo. David, riuscì a trasmettere il suo regno al figlio Salomone, come una vera discendenza o

“casata”, attribuendogli così il ruolo di fondatore del tempio di Gerusalemme, ma può restare

nell’utopia il regno d’Israele perfetto ed unitario, dato che non si estese più a nord della zona di

Sichem. Alla figura di Salomone è attribuito un regno più che pan-israelitico e l’impresa della

costruzione del tempio. L’estensione biblica del regno corrisponde alla satrapia persiana della

Transeufratene, configurando un vero e proprio progetto imperiale, l’estensione pan-israelitica in

1Re 4:7-19 si basa sulla lista dei 12 distretti di Salomone, numero motivato dalla rotazione mensile

nel sostentare i bisogni del Palazzo reale. Il progetto di estensione ai territori del nord può essere

effettivamente solo quello di Giosia del VII secolo. La sapienza e giustezza salomonica sono tratti

tipici della regalità siro-palestinese del X secolo. Riguardo poi alla costruzione del tempio,

l’archeologia ha conferito una datazione bassa, a dinastia omride di Samaria, cioè IX secolo, ai

rinvenimenti di Megiddo, Gezer ed Hasor. Favolistica anche l’impresa marittima con il re di Tiro in

1Re 9:26-28 e 10:11-22? Nel 925 a.C., durante la spedizione di Sheshonq attraverso tutta la

Palestina, i regni di Giuda ed Israele sono ancora uniti sotto Salomone o sono già separati con

Roboamo a Giuda e Geroboamo ad Israele? Il percorso del faraone attraverso la lista di nomi di

luoghi toccati, messo in pianta, sembra costeggiare solamente i regni di Giuda ed Israele forse

perché separati e troppo piccoli per essere di suo interesse.

Il regno di Israele (ca. 930-740): alla morte di Salomone, l’assemblea a Sichem rigetta Roboamo

suo erede ed elegge Geroboamo, lo scisma è posto dal racconto biblico, e la realtà è la persistente

separazione dei due centri di Gerusalemme e Sichem. Beniamino confermò i suoi rapporti con

Gerusalemme e Giuda, mentre Efraim si collegò con Manasse per la comune figliolanza da

Giuseppe, dando vita ad una nuova entità politica detta Israele, utilizzando un nome legato agli

altopiani centrali sin dalla stele di Merenptah e facendo proprie la saghe patriarcali di Abramo,

giunto qui da Ur nella terra promessa Canaan e di suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe detto

Israele, centrate sulla zona di Sichem e Bet-El, il luogo di culto più importante. Il pericolo arameo,

nel grande regno di Damasco. Fino ad Omri, che sposterà la capitale da Tirsa a Samaria, il territorio

d’Israele, da Sichem, incluse la piana di Megiddo, Gile’ad e Galilea. La casata di Omri sarà il nome

con cui gli Assiri indicheranno Israele, fu un trentennio di stabilità e crescita, parallelo a quello dei

regni aramaici di Hamat e Damasco, il regno unito di Tiro e Sidone e la comparsa del regno di

Mo’ab, il testo biblico è antisamaritano. Con Achab si allargano le prospettive politiche d’Israele, la

sua strategia viene proseguita dai figli Ochozia e Yoram, la dinastia omride finisce per mano del

generale Yehu, che agisce per conto e col sostegno di Damasco, le motivazioni sono sia di ordine

religioso, baalismo contro yahwismo, che politico, alleanza o meglio sudditanza con gli aramei di

Damasco in posizione anti-fenicia per la gravitazione sul mediterraneo. Anche la dinastia di Yehu

conferisce al paese la stabilità e la crescita, questa prosperità per tutto il Levante entra in crisi nel

745 a.C., con l’avvento di Tiglat-pileser III in Assiria. Sotto Omri e Yehu, Israele è protagonista per

quasi un secolo nel sistema di alleanze e guerre della fascia siro-palestinese, la situazione pregressa

di contrasto con Ammoniti e Filistei aveva trovato un equilibrio, in Transgiordania invece, il regno

di Edom gravita nell’orbita di Giuda, mentre Mo’ab entra in conflitto con Israele. Nel sistema

regionale gli scontri più importanti si hanno con i regni di Damasco e Hamat con i re assiri che

tentano continuamente di estendere il loro dominio. Con Haza’el per circa 60 anni (845-785)

Damasco fu la potenza egemone di gran parte della Siria-Palestina, e di cui Israele si rassegnò al

ruolo di vassallo che la Bibbia attribuisce ad una punizione divina. Il processo decisionale alla corte

regia avveniva attraverso due canali, la consultazione umana, con tecnici esperti dei vari settori e

due organismi collegiali di anziani e di giovani, e la consultazione divina, attraverso il responso

mantico, sottaciuto dai testi biblici ed i profeti, in grado di trasmettere messaggi divini. I profeti

avevano una funzione sia politica che pubblica di grande valenza, perché in nome di Dio potevano

influenzare le scelte del re. A Samaria ed Israele regna il pluralismo religioso, rivisitato più tardi

come lotta tra il dio nazionale Yahweh ed il dio straniero e di corte Ba’al, ma effettivamente, pur se

nel IX secolo Yahweh era già il dio nazionale, il suo culto teneva in conto la presenza di altre

divinità ufficialmente accettate. La dinastia omride, già con la fondazione di Samaria come capitale,

mostra l’intenzione e la capacità di sviluppare una politica edilizia nuova, con un progetto palatino

esplicito e supportata da maturazione delle procedure fiscali e dalle risorse finanziarie necessarie. Il

periodo è caratterizzato anche da forti tensioni sociali, con il lusso della corte e l’asservimento della

popolazione più bassa.

Il regno di Giuda (ca. 930-720): alla morte di Salomone il regno di Gerusalemme perde Efraim e

resta circoscritto al territorio di Giuda e Beniamino. La casata di David finisce nel sangue e con

pegni (le ricchezze erano tesaurizzate nel “tempio salomonico” che era quindi un annesso del

palazzo) continui da pagare agli aramei ed infine agli assiri per essere difeso da Israele di cui sarà

vassallo. La lenta crescita di Giuda tra X-VIII secolo, s’inserisce nel panorama degli stati di nuova

formazione dell’entroterra della Palestina e della Transgiordania, quali sono la regione abitata dagli

Ammoniti, la regione di Mo’ab ed Edom, quest’ultimo si mantenne in concorrenza con Giuda e poi

in sottomissione all’Assiria per la sua collocazione geografica, a controllo di importanti direttrici

commerciali sulla carovaniera sud-arabica e come sbocco delle vie palestinesi sul mar Rosso. Tra

IX e metà dell’VIII secolo, lo sviluppo è molto modesto, di sostanziale stagnazione. Gerusalemme

resta circoscritta alla città di David e la zona più popolata è quella della Shefela con il sito chiave di

Lakish. Lo yahwismo a Giuda prese piede nel IX secolo con i re Asa e Yosafat, questo non implica

che la popolazione non fosse dedita ai culti della fertilità, ma che nella gestione della cosa pubblica

si facesse ricorso solo a Yahweh; tuttavia, il profetismo, che necessita di una corte vivace con ampi

dibattiti e strategie, qui non è così in voga come al nord, lo yahwismo però è più saldo, sia per

l’assenza d’influenze esterne vista la marginalità di Giuda, che per la probabile origine meridionale

di Yahweh, in età pienamente storica, VIII secolo, si ha dalla piana del Sinai, un’iscrizione che

menziona Yahweh e la sua paredra Asherah, rito definibile come sincretico, cioè di fusione di

elementi diversi, vista l’estraneità del culto originario di Yahweh da simili rapporti. Tra inizi IX e

fine VIII secolo, Giuda ed Israele mostrano un’ideologia religiosa e politica comune, tanto a loro

quanto a tutti gli stati del Levante, i principi basilari sono: dio nazionale, guerra santa, punizione

dell’infedeltà. Il ruolo nazionale deve avere preso consistenza in un’epoca in cui l’identificazione

tra dio e stato etnico era pienamente operativa sul piano politico e militare.

L’impatto imperiale assiro (ca. 740-640): l’indipendenza raggiunta dagli stati del Levante grazie ai

Popoli del Mare vede la fine alla metà dell’VIII secolo ad opera dell’impero assiro. La prima fase di

espansione fu opera di Salmanassar III (858-824), contro Damasco ed Hamat e altri stati siro-

palestinesi tra cui Israele, sottomessi al pagamento del tributo. Con Tiglat-pileser III (744-727)

riprende la politica di espansione esterna con la rapida annessione della Siria e della Palestina fino

allo scontro diretto con Israele, questo pagò tributo come vassallo e vennero costituite le province

assire di Dor, Megiddo e Gile’ad, un certo numero di israeliti vennero deportati in Assiria. Osea

pagò tributo fino a quando contando sul sostegno del faraone non lo sospese, ma l’intervento di

Salmanassar V fece capitolare e trasformare in provincia Samaria e deportare circa 30.000

samaritani. Il regno di Giuda cerca dapprima di contrastare l’Assiria chiedendo l’alleanza

dell’Egitto, poi, con Ezechia, costretto a capitolare sotto Sennacherib nel 701, diviene vassallo dell’

Assiria che assicurerà mezzo secolo di pax assyriaca. La conquista assira è caratterizzata da

deportazioni in massa, anche di famiglie e persone con legami affettivi per rendere più salda la loro

permanenza in terra straniera, selezionando all’arrivo particolari professionalità, e installazione

degli “alieni” a Samaria, il vinto diventa assiro per volere del dio Assur, l’assimilazione linguistica

avviene a vantaggio dell’aramaico, la lingua più diffusa nell’impero, la religione sfociò in un

variegato sincretismo, con una revisione dello yahwismo come elemento di auto-individuazione ed

anche di legame con Giuda, che, connotato da una ferrea ortodossia, stava già definendo sempre più

precisamente ed esclusivamente le forme del culto. Giuda intanto, con Ezechia, è un regno in rapida

crescita, sia nelle risorse materiali che nella consapevolezza ideologica, sono evidenti grandi

interventi urbanistici sia di difesa che di opere idrauliche, crescono anche i villaggi agricoli, con

grandi spostamenti di derrate alimentari verso Gerusalemme. Grande riforma di Ezechia di stampo

yahwista, eliminazione dei culti agrari e delle bamot (alti luoghi), emerge il profetismo come era

stato per il nord (Osea, Michea, proto-Isaia), viene messo in dubbio il rapporto tra classe dirigente,

popolo e divinità. Gli invasori, secondo modelli circolanti nel VO dal III millennio, sono il segno

dell’ira del dio e da lui vengono inviati a punire il popolo infedele, gli assiri, nell’assedio a

Gerusalemme si rivolgono agli assediati in ebraico, con particolare attenzione al popolo che

invitano ad essere deportato in un luogo fertile in cui poter riprendere una via normale. I vinti

possono o riconoscere la superiorità di Assur o tentare la riconciliazione con Yahweh. L’ideologia

del patto, attraverso cui l’Assiria proteggeva o puniva gli stati sottomessi, viene ripresa per stringere

un patto di fedeltà incondizionata ed assoluta con Yahweh, fondandolo all’epoca di David, Giosuè,

Mosè, visto che il sostegno della “canna rotta”, l’Egitto, non era più possibile.

Pausa tra i due imperi (ca. 640-610): raggiunto il culmine della potenza con il lungo regno di

Assurbanipal e la definitiva sottomissione anche dell’Elam e dell’Egitto, l’impero assiro comincia il

suo declino con le guerre di successione ed i grandi costi di un apparato amministrativo ed

economico divenuto ormai di dimensioni spropositate. Nel 625, Napobolassar, capo dei Caldei, si fa

re di Babilonia ed inizia la lotta armata nella Bassa Mesopotamia, zona di sempre difficile controllo

per gli assiri. I Medi, allevatori di cavalli che vivevano negli Zagros centrali, si alleano ai Caldei

portando avanti quello che sarà definito il “lavoro sporco” di distruzione, mentre i babilonesi

saranno i ricostruttori ed i continuatori dell’impero. Il collasso assiro significò per un cinquantennio

(640-590 circa) libertà d’azione per la periferia imperiale, l’allentarsi dei prelievi fiscali e dei tributi

invece la ripresa d’iniziative, come le imprese commerciali di Tiro, lo sviluppo del regno di

‘Ammon, la nascita del regno di Cilicia e Cappadocia, la sostituzione dei persiani all’Elam creando

quello che sarà lo stato di Fars. In Giuda, il collasso assiro, corrisponde al regno di Giosia (640-

609), suoi aspetti salienti sono di carattere ideologico e religioso, di difficile distinzione

archeologica con Manasse, si evidenziano avamposti in zone aride con sofisticate tecniche di

aridocoltura. Il progetto di ampliamento con l’unificazione del regno del nord, con cui Giuda

avvertiva una comunanza etnica e religiosa, andò in fumo sia per l’intervento egiziano che per la

morte di Giosia. La religione di Giosia parte dalla giustificazione della sua riforma come

ritrovamento della legge della Torah, un antico manoscritto, dato da Dio a Mosè, conservato

nell’arca di Yahweh depositata nel tempio sin da Salomone, il tutto in coincidenza con la crisi

dell’autorità assira. Il libro della legge di Giosia, coincide, secondo gli studiosi tedeschi

ottocenteschi, con il nucleo originale dello strato redazionale detto “Codice Deutoronomistico”,

assegnabile a quest’epoca per indizi contenutistici e su cui posteriormente, in età esilica e post-

esilica sono intervenuti. Il nucleo fondante e fondamentale è nel patto d’alleanza con Yahweh, da

quando ha portato il suo popolo fuori dall’Egitto e lo ha condotto alla terra promessa Canaan

all’immediato futuro, se sarà unito (Giuda ed Israele) e fedele, potrà mantenersi autonomo sotto la

protezione dell’unico Dio, Yahweh. Il re impone l’unicità del dio, del culto e del luogo di culto, la

stessa Pasqua di Giosia, “che non si era celebrata dal tempo dei Giudici”, doveva essere una

festività pastorale di transumanza trasformata da Giosia nel pellegrinaggio all’unico tempio, quello

di Gerusalemme, celebrando la fuoriuscita dall’Egitto. La riforma si estende anche a Bet-El,

santuario del nord. La storiografia deutoronomista attraversa i libri di Giosuè, Giudici, Samuele 1-2,

Re 1-2, la corrente o scuola di pensiero deve essere nata dalle riforme di Giosia, il crollo di Giuda

occupa infatti un posto importante. I modelli fondanti di Giosia sono: Mosè che ha stipulato il patto,

Giosuè che ha occupato la terra di Canaan, David che ha realizzato l’unificazione politica e

Salomone che ha costruito il tempio. I vari regni “storici” sono stati condizionati nella loro storia

dalla fedeltà o meno al patto, così Israele è stato punito e Giuda ha potuto raggiungere con Giosia il

momento di riunificazione e pacificazione. Nel 609 il faraone Neko risale la costa palestinese per

contrastare i babilonesi, a Megiddo, Giosia, si scontra con gli egiziani ma viene sconfitto ed ucciso,

Neko, deporta in Egitto l’erede al trono Yoachaz e mette sul trono come tributario un altro figlio di

Giosia, Elyaqim o Yoyaqim. Lo stesso faraone verrà presto sconfitto da Nabucodonosor. Dopo la

morte di Giosia, il profeta Geremia ci informa della sorte delle riforme giosianiche, con la condanna

del baalismo e la critica alla politica dei sacerdoti, condanna anche Yoyaqim per apostasia, con la

ricerca dell’appoggio straniero.

L’impatto imperiale babilonese (ca. 610-585): dopo aver sconfitto a Karkemish ed Hamat gli

egiziani nel 609, l’impero neobabilonese attacca e sottomette tutta la fascia siro-palestinese, con

ferocia maggiore di quella assira. Famosi gli assedi di Tiro e Gerusalemme. A livello locale i vari

stati rivali tra loro approfittano del nemico mandato da dio per maledire i vicini contrapposti,

“Oracoli contro le Nazioni” di Geremia ed Ezechiele, quest’ultimo soprattutto contro Tiro per la sua

potenza marittima. Durante l’assedio di Gerusalemme, tra il 598 e la distruzione finale del 587, il

dibattito interno riconduceva le scelte politiche a generali principi teologici, Ezechiele sosteneva di

dover restare fedeli al giuramento in nome di Yahweh, Geremia era contrario all’idea di formare una

coalizione anti-caldea. Sedecia, re di Giuda regna per nove anni come vassallo babilonese poi si

ribella, l’assedio di Nabucodonosor dura a lungo ma poi il re evade, viene raggiunto a Gerico e

catturato, i conquistatori installano Godolia come governatore della città, pochi mesi dopo viene

ucciso, per paura delle ritorsioni babilonesi la popolazione si solleva, Gerusalemme, povera,

assediata ed intimorita è nel caos, Geremia consiglia di rimanere a Giuda ma i maggiorenti ed il

“resto di Giuda” decidono di rifugiarsi in Egitto. La deportazione babilonese a differenza di quella

assira, porta in Babilonia la sola classe dirigente, lasciando i contadini sul posto ma in una

situazione di degrado e deculturazione totale con conseguente frammentazione amministrativa, non

costruiranno edifici né provvederanno ad una amministrazione locale come fu per gli assiri, gli

assiri cancellarono l’identità nazionale mentre i babilonesi non riusciranno ad estinguere il senso di

auto-identificazione dei deportati.

Intermezzo: intervallo, pausa, interruzione. Una riflessione sugli elementi caratterizzanti la

religione giudaica pre e post esilica: emersione dell’individuo, eticità della religione, cerimonialità

comune in un mondo alieno.

L’età assiale: il VI secolo, nel mondo antico in generale, si configura come l’età assiale, il

momento in cui, post grandi potenze, l’individuo emerge nelle varie culture, come nuovo centro

d’interesse. Quando nasce il monoteismo? Le due storie vanno scisse: quella di Yahweh come dio

tra tanti déi e quella della concezione etnica soggiacente al monoteismo, impatto con il dio Assur e

la fedeltà univoca all’imperatore assiro, elemento di auto-identificazione nella diaspora, congiuntura

storica del VI secolo con la teologia babilonese identificativa, il dualismo cosmico zoroastriano ed

il profetismo etico giudaico, unita all’ambito geografico ristretto. L’assenza del potere egemonico

che si occupa della relazione con la divinità, permette un canale di collegamento diretto, la legge è

collegata e data direttamente da dio, il patto con Dio sostituisce il patto con l’imperatore.

Prospettive di monoteismo universale con il Deutero e Trito-Isaia attraverso lo strumento del

proselitismo. Nell’età monarchica la religione d’Israele si contraddistingue come culto cerimoniale

fondato su palazzo-tempio e rapporto popolo-divinità-re, quando queste condizioni vengono a

cessare la religione diventa etica, di livello personale e collocazione interiore, ma comunque di

cerimonialità formali, necessarie a sostenere la comunità in modo compatto sia sul piano religioso

che etnico, queste regole riguardano soprattutto la circoncisione e l’osservanza del sabato,

l’attenzione per le impurità ed il terrore della contaminazione, tutto questo porterà ad un isolamento

superbo ed un ritualismo ossessivo. Nella collocazione dell’individuo in uno stato di piccole

dimensioni, questo sarà partecipe e responsabile delle sorti della comunità politica, la responsabilità

individuale nell’antico Oriente ed in particolare ad Israele ha un campo di applicazione sia verticale

(i figli sono responsabili delle colpe dei padri fino alla settima generazione, collegato alle norme di

trasmissione ereditaria della proprietà) che orizzontale, la responsabilità di un delitto, ricade sulla

famiglia e sulla comunità cui egli appartiene (responsabilità collettiva o corporativa). Ora, il “nuovo

patto” prospettato dal Deutero-Isaia, comporta una retribuzione o punizione personale, fornendo lo

spiraglio sulla crisi dei valori che la classe sacerdotale e dirigente deve aver tentato di occultare. Più

che provvedere alla rinascita nazionale, molti devono aver preferito la possibilità di continuare a

godere dei frutti del loro lavoro in Babilonia od Egitto, altrove in ogni caso.

La diaspora: Yoyakin e la sua discendenza, vengono riconosciuti dai sovrani di Babilonia come re e

principi di Giuda, nelle vicende di esilio e ritorno, il loro è un ruolo fondamentale. Dai profeti

Geremia ed Ezechiele sappiamo che sussistette un’èlite dirigenziale, una sorta di governo ombra

sottostante l’amministrazione babilonese che potrà produrre il problema della doppia fedeltà. Il

culto, si ricostituisce all’interno dell’esilio, prova ne è l’assenza di sinagoghe in età esilica e la

presenza in età post-esilica matura. Tra gli esiliati babilonesi persiste una forte coesione, a

differenza della dispersione delle dieci tribù deportate dagli assiri in Alta Mesopotamia ed in Media.

Contatti tra i vari gruppi di deportati? Prende forma l’unità pan-israelitica nel segno del mito della

comune conquista sull’azione delle 12 tribù. In Babilonia gli esiliati s’inseriscono nelle attività

finanziarie, i più abbienti, gli altri vengono collocati in cittadine o villaggi abbandonati da

colonizzare come pastori. Oltre ad elementi, ad esempio nell’onomastica tradizionale, fedeli alla

loro origine, si notano elementi di assimilazione come l’adozione dell’aramaico al posto

dell’ebraico o dei nomi dei mesi babilonesi, il tutto nel segno di una forte auto-referenzialità etnica

e religiosa. Ci fu anche una diaspora volontaria, connessa a tutti gli emigrati, ad esempio in Egitto,

che mantennero il collegamento con Gerusalemme pur amalgamandosi alla popolazione locale, si

hanno culti sincretici e costruzioni di templi locali a Yahweh come ad esempio ad Elefantina, anche

questi però, trovarono un richiamo nei coevi gruppi di deportati al coinvolgimento nei progetti di

riscatto nazionale. Questione del “resto”, coloro che sono rimasti nella terra d’origine perché fedeli

a Yahweh, in Ezra si loda però il resto puro preservato in esilio, problematica connessa con il

patrimonio, la terra è di chi è stato esiliato, non colpevole di idolatria e di cedimento all’ambiente

circostante (quindi gli esuli che torneranno) o di chi è rimasto? Nell’ottica imperiale, il “resto”,

viene lasciato sul posto anche come base per un nuovo assetto politico, coloro che sono senza colpa,

non colpevoli di peccato e disprezzo. L’azione profetica di Ezechiele e del Deutero-Isaia, attivo

all’avvento di Ciro, fu fondamentale per il compattamento nazionale degli esuli babilonesi, la

speranza del ritorno deve riguardare Giudei ed Israeliti insieme, fondata sulla “casa di David”, con

una nuova alleanza, basata su un cuore nuovo ed un nuovo comportamento, ed intorno al nuovo

tempio, quello gerosolimitano, Ciro verrà salutato come il messia di Yahweh, venuto a punire e

maledire, come tutti gli strumenti divini, la dinastia caldea. Nell’ultimo periodo pre-esilico si fa

strada la teologia della presenza, Yahweh è presente nel suo tempio seduto in trono sostenuto da

cherubini, il disastro nazionale comporterà l’incomprensione dell’abbandono divino, e pur se

l’aniconismo era imperante, la distruzione del tempio implicherà l’assenza di un luogo in cui

venerare dio. Nel progetto di restaurazione si fa strada la teologia del nome e la teologia della gloria

che consentono di evitare la materialità del culto perché Yahweh, signore delle schiere celesti ha il

suo luogo in cielo ed in terra, il nome, legato alla pratica regale d’impiantare una stele al re

vittorioso, sarà “re della Gloria”, con presenza simbolica in un qualunque santuario terreno. La

storiografia deutoronomistica nacque al tempo di Giosia, il progetto unitario e la mitica fondazione,

vennero ripresi durante l’esilio babilonese confluendo nei libri di Samuele e dei Re. Babilonia,

epicentro di opere cronachistiche, fu terreno fertile per la composizione delle storie del popolo

d’Israele, dalla conquista fino a Salomone con racconti favolistici e leggendari ed il periodo dei

regni divisi, periodo in cui, dal X secolo fino al 587, si poteva disporre di documentazione ufficiale

attendibile, i raffronti, nel sistema di datazione, nel luogo di sepoltura dei re di Giuda e d’Israele,

nel giudizio a ciascun re nell’aver eliminato o meno i luoghi di culto non yahwisti, sono evidenti.

Il paesaggio desolato: la prima metà del VI secolo, dal collasso assiro alla costituzione dell’impero

di Ciro il Grande, è un periodo di profonda depressione per gran parte degli stati del VO,

analogamente al XII secolo di profonda crisi, ma ora soprattutto ideologica. Tra l’impero d’Assiria e

quello di Persia, vi furono situazioni nettamente opposte, la crescita di nuclei forti dell’agricoltura

irrigua e dell’urbanizzazione, e la depressione di tutto il resto del territorio. A parte la Babilonia

caldea, l’Egitto saitico ed alcune zone riparate dall’espansione imperiale come la Lidia e le città

carovaniere sud-arabiche, il resto mostra un collasso generalizzato, riemergono realtà tribali e

riprende il nomadismo, le rovine delle vecchie città abbandonate sono prese da squatters (anarchici,

occupanti di terre privi di titolo) accampati, la Palestina, dovette sembrare, vista da Babilonia, un

immenso deserto in rovina. Confronti tra i miti babilonesi e le leggende bibliche, come per il diluvio

universale, stagionali episodi d’inondazioni del Tigri e dell’Eufrate, divenuto archetipo mitico della

ricorrente vicenda di punizione divina contro l’umana violenza. La torre di Babele e le difficoltà di

vivere e lavorare in un paese dove le varie popolazioni parlano lingue tra loro incomprensibili,

grandezza delle ziqqurat e sconcerto per strutture mai viste dagli ebrei, vecchia tradizione sumerica

dell’imperfezione di più lingue. Il giardino dell’eden come “paradiso”= ebraico pardes, babilonese

pardesu, persiano pairidaeza cioè recinto, riflette sia le grandi fattorie agricole produttivissime che

il giardino regio, ma anche i sentimenti di inclusione-esclusione, protezione-esposizione, agio-

fatica. La griglia genealogica tripartita nei figli di Noè, unico sopravvissuto all’ira divina e dunque

capostipite, riflette la situazione del mondo conosciuto all’epoca della redazione del testo. La

“tavola dei popoli” o terra popolata in Genesi 10, è la genealogia mondiale, le tre grandi ripartizioni

nei figli di Yafet, Sem e Cam riflettono le egemonie mede, caldee ed egiziane. La preistoria

d’Israele è infarcita di genealogie, fenomeno tipico del VI secolo sia nel VO che in Grecia, il mondo

si era talmente ampliato che era tenuto a bada in senso mentale e conoscitivo attraverso griglie

spaziali e diacroniche dei vari gruppi etnici ed il rinvenimento del comune capostipite. Stile

arcaizzante ed interesse per il passato nei nuclei forti della Babilonia caldea e dell’Egitto saitico. Il

crollo dell’impero assiro comportò anche lo sviluppo dell’elemento nomadico-tribale, nei grandi

blocchi delle genti iraniche sulle alte terre del nord e delle genti arabe nel deserto siro-arabico, la

loro presenza minacciosa è evidente sia nei testi storici assiro-babilonesi che in quelli biblici, a loro

si collega il paradigma del nemico dal nord di antica formulazione mesopotamica. La stessa

terminologia ebraica per tribù appartiene a questa fase, furono le grandi formazioni tribali arabe del

VII-VI secolo a fornire il modello per immaginare l’esistenza della grande confederazione delle 12

tribù d’Israele.

Parte seconda. Una storia inventata: il “mito” Israele.

Reduci e rimanenti: l’invenzione dei Patriarchi: viene attribuito a Ciro il ruolo di salvatore, la

venuta del re persiano è un momento di grande speranza per gli esuli, perché concederà esenzioni e

libertà alla popolazione babilonese, il “servo di Yahweh” annuncia il nuovo esodo da Babilonia

(2Isaia 49). L’impero universale persiano sarà di dimensioni allargate, disponibile ad utilizzare

forme di governo locale, aperto alla libertà di culto. L’editto secondo cui, dice Ezra, Ciro consente il

ritorno in patria degli esuli e la ricostruzione del tempio di Yahweh appare un falso, così il secondo,

necessari a garantire il privilegio imperiale ed a controbattere le pretese del tempio rivale di

Samaria. Il ritorno avvenne soltanto nel 520, guidato da Zerubabbel e Giosuè e che diede il via alla

ricostruzione del tempio come profetizzato da Zaccaria, alla metà del V secolo invece, si ha un altro

importante rientro con il gruppo guidato da Ezra su editto di Artaserse. Il rientro appare così

scaglionato nel tempo, in modo informale e poi di volta in volta autorizzato dagli imperatori. I

gruppi di reduci non potevano essere molto consistenti, forse tornò solo una minoranza. Il rientro

comporta il dibattito delle proprietà terriere e dell’appartenenza a clan israeliti e quindi

l’inserimento di ognuno nelle liste delle case d’Israele. Riguardo alla loro collocazione topografica,

questi provengono da Gerusalemme (personale di culto) e da cittadine e villaggi della Giudea

(territori tribali di Giuda e Beniamino), i gruppi più consistenti sono definiti per clan o eponimo

d’origine (figlio di…); consistenti gruppi da Mo’ab e dall’Elam. Secondo la lista di Ezra, sacerdoti,

leviti ed una parte del popolo si stabilirono a Gerusalemme, servi templari ed israeliti originari di

specifiche città nelle loro città. La ricostituzione del nucleo nazionale giudaico avvenne in parte

mediante il ritorno degli esiliati ma per una parte maggiore mediante il loro compattamento e la

crescita in loco. Altrettanto pochi dovevano essere i rimanenti che furono o rigettati o fusi, grande

peso dovette avere lo status sociale e peso culturale, erano stati infatti deportati i sacerdoti, gli scribi

ed i funzionari, ed erano rimasti i contadini; i reduci avevano maturato una grande convinzione

d’identità etnica e di esclusività divina. Accezione ora negativa dell’espressione “popolo della

terra”, legata alla proprietà, indica il contadiname rimasto ed escluso dall’osservanza religiosa e

tutte le nazioni differenti da quella israelitica. Il rientro andava convalidato con autorevoli tradizioni

che assegnassero la terra di Canaan alle tribù d’Israele, giustificando come legittimi eredi i nuclei

dei reduci. Gli atteggiamenti conflittuali andavano da posizioni dure ad accoglienti, i miti di

fondazione addotti furono quello di Giosuè e la conquista della terra promessa da parte dei reduci

dalla cattività egiziana, e soprattutto quello collocato all’epoca dei Patriarchi, gli antenati eponimi

delle 12 tribù ed i loro padri comuni Abramo, Isacco e Giacobbe, il mito, di epoca leggendaria,

poteva accomunare reduci e rimanenti, perché Abramo fu residente ed ospite, perché dovette

comprare il lotto di terra con un contratto dialogato, perché il suo viaggio da Ur alla Palestina era un

messaggio promozionale per chi dalla Caldea volesse tornare in Palestina, dovendo affrontare sia il

viaggio che la convivenza con altre genti. Il mondo patriarcale viene menzionato soprattutto dai

profeti esilici, e giungerà alla sua forma più completa dal redattore del Pentateuco, in età post-

esilica avanzata non se ne fa più menzione. Le saghe patriarcali sono ambientate in zone palestinesi,

come evidente dai simboli di culto pastorale ma piuttosto tradizionali e senza data, la provenienza

extra-palestinese, come quella di Abramo, prefigura il rientro degli esuli e giustifica i matrimoni tra

cugini incrociati, l’invito è quello di privilegiare il connubio tra reduci e residenti, purché yahwisti e

di discendenza comune. Racconti che fondano gli specifici rapporti con i popoli vicini che

effettivamente contendevano ai reduci il possesso della Palestina nel V-IV secolo, Edomiti, Aramei,

Arabi, Moabiti ed Ammoniti, Filistei di Gerar. Il ruolo di Gerusalemme non è ben definito, si parla

di una pluralità di luoghi di culto sparpagliati nel territorio e per Sichem, l’episodio di Dina mostra

una presa di posizione contro il matrimonio con gli incirconcisi; Gerusalemme e Sichem

rappresentano non tanto i due regni cananei storici degli altopiani quanto piuttosto centri politici dei

rimanenti. La storia di Giuseppe ha sfondo chiaramente novellistico, con paralleli sia ad Ugarit che

dell’epoca dell’impero persiano ed in relazione con il grande mercato di schiavi asiatici egiziano.

Reduci e alieni: l’invenzione della conquista: modello debole di rientro dato dalle tradizioni

patriarcali, dunque mediante convivenza ed accordi, modello forte delle tradizioni della conquista

realizzato sullo scontro duro e sulla chiusura verso i popoli estranei. Il libro di Ezra, come quello di

Nehemia, appare incerto a livello esegetico, ma lascia trasparire un rientro di gruppi di volontari

aiutati finanziariamente dai rimanenti nelle terre della diaspora, in un momento in cui il tempio di

Gerusalemme è ricostruito e con una connotazione cultuale del rientro attraverso le offerte al

tempio. Il gruppo più consistente dovette rientrare nel 2° anno di Dario, il 521, guidato da

Zerubabbel della casa di David e da Giosuè, sommo sacerdote della linea sadocita, il modello forte

della conquista violenta di Canaan da parte di Giosuè appare più che altro un manifesto politico ed

utopico, riferito ai reduci che rientrano nella terra a loro promessa. La Palestina di età achemenide,

V secolo, è in stato di grave degrado e spopolamento, i re persiani, sviluppano la zona costiera

senza occuparsi molto dell’interno lasciato alla libera iniziativa locale. L’archeologia conferma una

modesta ripresa della città di David ed una forte crescita per la fascia costiera da parte imperiale con

evidenti apporti fenici. La presenza fenicio-persiana si estese internamente in due zone, estremo sud

ed estremo nord, aggirando gli altopiani centrali. Gaza assunse il ruolo di terminale mediterraneo

delle carovaniere sud-arabiche prosperando in proporzione a quei traffici che in età persiana ebbero

un incremento notevole. I reduci rientrati in Palestina trovarono una terra non vuota e disponibile,

ma occupata da vari gruppi, i contadini scampati alle deportazioni, i deportati di altra provenienza

stanziatisi in età assira, genti limitrofe che avevano approfittato del vuoto per espandersi o spostarsi.

L’installazione dei reduci venne giustificata dalla vicenda modello di un’antica conquista e la

formulazione di liste di popoli dai nomi fittizi e non includendo quelli storici e reali dell’età del

ferro, sterminando chi non c’è si prova lo sterminio proprio grazie alla loro assenza. Prototipo più

potente per il possesso della terra di Canaan fu l’esodo dall’Egitto sotto la guida di Mosè. Il codice

motorio entrare/uscire è ben conosciuto sia dai testi del TB che in Egitto ed Assiria e mostra il

mutamento di dipendenze politiche da un conquistatore all’altro, la venuta dall’Egitto è motivo ben

conosciuto anche nell’VIII secolo e la migrazione nel deserto di gruppi armati suddivisi per tribù

con struttura decisionale di tipo assembleare, sembra lo spostamento sotto scorta militare di

deportati e reduci organizzata dall’autorità persiana con formulazioni di liste censorie, allo scopo di

assegnare all’arrivo lotti di terra. La metafora dell’uscita dall’Egitto e l’attraversamento del deserto

riflette il dibattito sulla proposta sacerdotale di abbandono di Babilonia, terra ormai conosciuta e

produttiva, per un paese ostile ed abitato da popolazioni agguerrite, il percorso è di difficile

interpretazione, la ricerca d’acqua, riflette il costante motivo del timore di affrontare il viaggio di

una zona desertica, popolata da scorpioni e serpenti. Il dettaglio sulla Legge data a Mosè nell’esodo

serve a legittimare il patto per l’ingresso in Canaan. Coincidenza del Giosuè che attraversa il

Giordano e conquista la terra di Canaan con il sacerdote che con Zerubabbel guida i reduci da

Babilonia. Nei libri di Ezra e Nehemia, appaiono centrali la ricostruzione delle mura di

Gerusalemme e l’opposizione di una coalizione di nemici. La ricostruzione delle mura significa sia

difesa dai nemici che ricostruzione dell’unità nazionale, gli oppositori allarmarono la corte persiana

contro un’operazione che poteva essere atto di ribellione, mentre i sostenitori poterono avallare la

loro azione tramite editti di Ciro, Dario ed Artaserse che consentivano il ritorno e la riedificazione

del tempio con automatico riconoscimento della loro identità nazionale. La conquista fondante

sottolinea l’unitarietà di azione delle 12 tribù e la forte conflittualità dei residenti, i reduci di

Babilonia appartenevano alle tribù di Giuda e Beniamino, nucleo finale dell’ex regno di Giuda

conquistato da Nabucodonosor ed il paese ospitava genti anche non estranee come gli israeliti

yahwisti con cui si poteva giungere ad un compromesso. Il paradigma adottato è quello della guerra

santa, di matrice deutoronomista con profonde radici siro-palestinesi sin dalla pressione assira e

fondato sulla pratica del herem, funzionale alla sostituzione del popolo estraneo con quello eletto, e

ricalcante la visione post imperiale di deportazione e sostituzione. Gli elementi paesaggistici di una

terra in rovina danno spiegazioni eziologiche della conquista archetipica, e conferiscono anche il

carattere di autenticità al racconto, “sono ancora lì a dimostrazione di”, caso più famoso quello delle

mura di Gerico, che l’archeologia ha dimostrato più antiche dell’epoca di Giosuè, o della città di

‘Ai, il cui stesso nome significa “rovina”. L’assimilazione archetipica di alcuni popoli come i

Gabaoniti, alla corvée del santuario di Gerusalemme, doveva servire da spiegazione alla persistenza

di popolazioni e città limitrofe di vistosa consistenza. I popoli immaginari vennero sterminati

mentre quelli veri rimasero, le terre non conquistate da Giosuè coincidono con quelle sviluppate in

età persiana e che lo storiografo deutoronomista non poteva ignorare. La definizione del territorio

comporta la determinazione delle frontiere estreme, così, il presunto impero davidico-salomonico

che va dall’Eufrate al “torrente d’Egitto”, lo wadi Arish, non è nient’altro che la satrapia persiana

della Transeufratene, altra definizione quella dei confini di Canaan coincidenti con la provincia

egiziana di Canaan del XIV-XIII secolo, riflettono la terra assegnata da Yahweh. Altra ricorrente

definizione è “da Dan fino a Be’er-sheba’”, coincidente con la somma dei territori tribali, unità

post-esilica fortemente deteriorata e compromessa; nella realtà di V-IV secolo, corrispondeva alla

provincia di Samaria con unità amministrative minori come il tempio di Gerusalemme. Le

ripartizioni tribali riportate in Giosuè 13-19 hanno un forte accento realistico e possono risalire a

qualche regno che abbia progettato di includerli sotto il suo controllo, dislocazioni tribali

tradizionali pre-esiliche ormai svanite in età post-esilica.

Uno stato senza re: l’invenzione dei Giudici: la struttura amministrativa achemenide, doveva

riflettere quella babilonese, ma rispetto a questa a più livelli e con una gerarchia più complessa

stanti le dimensioni dell’impero. Con Dario I le satrapie diventano due, quella della Transeufratene

aveva come capitale Damasco. La satrapia era poi divisa in province, numerose sulla costa, ed

affidate al governatore della Samaria quelle degli altopiani interni della Palestina. Successivamente

anche la Giudea con capitale Gerusalemme diventerà provincia, la zona d’insediamento dei reduci

andava da Bet-El e Gerico a nord fino a Bet-Sur al sud, una zona certamente piccola. La provincia

di Giudea emetteva monete, spiccioli di circolazione locale. Al di sotto della provincia vi erano

comunità locali regolate da organi collegiali ristretti, organi collegiali ampi e capi politici di vario

tipo. La situazione in Giudea sarà complicata dalla coesistenza di comunità locali rimanenti, nuclei

di rimpatriati da Babilonia e dal prestigio del tempio di Gerusalemme, con conseguenti diverse

opzioni: giudici ed anziani in dipendenza amministrativa da Samaria, statuto reale con

rivitalizzazione della dinastia davidica, statuto di città-tempio su modello babilonese. La scelta, del

modello templare, avverrà dopo un certo tempo e dopo lunghi dibattiti di cui è rimasta traccia

cospicua. Dal 587 al 515, inaugurazione del secondo tempio, sotto i re babilonesi e persiani, la

Giudea rimane senza autorità politica formale e con gli affari locali gestiti da giudici ed anziani,

caso analogo, Tiro, ben documentato. Secondo il testo biblico del libro dei Giudici, il periodo non

risale ad età pienamente storica ma pre-monarchica, cioè dopo la distruzione dei regni cananei da

parte di Giosuè, e prima di Saul e David il paese fu affidato a giudici, sufeti, da sofetim. I 12

giudici, sei maggiori e sei minori, sono utopici, riflettono le cariche giudiziarie che avevano gli

anziani delle comunità locali, e nell’intento dello storiografo affermano che non vi fossero re

israelitici e che le tribù non dipendevano dai residui re alieni. Il libro dei Giudici è una continua

sequela di giudici liberatori da oppressori, un tot di anni di pace e poi di nuovo oppressore e

liberatore, seguendo lo schema di punizione e compassione di Yahweh per il suo popolo,

l’anacronistica e confusa storiografia deutoronomista, in assenza di fonti scritte, causa mancanza di

amministrazione centrale ed archivi, ha inserito alcune memorie in ambientazioni fiabesche e

leggendarie. Le saghe non sono facilmente databili, appartengono a motivi ripetitivi usati da tanti

popoli e la stessa distribuzione geografica dei Giudici si accentra nelle zone di rioccupazione e di

frizione con i vicini, di età post-esilica. Nel periodo dei Giudici, le dodici tribù funzionano

“normalmente” secondo la tradizione storiografica. Il numero dodici, come le liste dei nomi, hanno

carattere artificioso, il modello anfizionico proposto da M. Noth, legato a contribuzioni mensili

dovrebbe basarsi su un santuario che non coesiste mai con la lega e dunque non funziona. La lega è

stata sistemata a livello storiografico per dare unitarietà ai gruppi tribali, le tribù avevano una loro

storia concreta ed una localizzazione pre-esilica notoria. Esistono due modelli d’identità tribale,

quello genealogico delle grandi tribù cammelliere e quello territoriale dei gruppi agro-pastorali

integrati, in età post-esilica la corrispondenza tribù-territorio doveva essere quasi completamente

disgregata. In definitiva le tribù come raggruppamenti geografici di comunità locali imparentate per

discendenza sono sempre esistite e continuamente riplasmate, hanno subito l’interferenza

amministrativa del regno di cui facevano parte, la sistemazione formale in una lega di 12 tribù è

utopica e tarda. I rapporti che regolano gli spazi intertribali sono visibili attraverso alcuni racconti

pseudo-storici come quello di Hasor, e riflettono la visione post-esilica delle interazioni delle tribù

pre-monarchiche. La guerra contro Beniamino è l’unico episodio in cui la lega agisce come corpo

politico unitario; prima di David, senza re, senza capitale e senza amministrazione centrale né

santuario, esistono luoghi di convergenza comunitaria, le decisioni sono prese per acclamazione

assembleare, l’oracolo si chiede 3 volte con impegno crescente e la convocazione per mezzo di

pezzi di bovino inviati e ricomposti durante l’assemblea poteva essere la forma normale. C’è un

ritmo di riunione e dispersione vitali alla gestione del territorio ed alla soluzione dei momenti di

crisi. Centrale il problema dell’ospitalità per muoversi in un territorio insicuro per la sua

differenziata appartenenza con conseguente insegnamento di un modello di comportamento

corretto. Lo scenario di un territorio diversificato ed insicuro, con rapporti alla ricerca di un

equilibrio, viene collocato nel passato fondante dell’epoca pre-monarchica, ma sarà stato il riflesso

della condizione post-esilica, con i reduci sparsi in un territorio che è in parte in mano loro ed in

parte in mano a popoli alieni ed ostili, ed in parte in mano a gruppi con loro imparentati ma

d’incerta inaffidabilità, circoscritti alla zona tra Betlemme ed i centri beniaminiti, forse coincidente

con il territorio che i reduci babilonesi occuparono al rientro.

L’opzione monarchica: l’invenzione del regno unito: il rientro è segnato da posizioni filo-

monarchiche con il profeta Aggeo e filo-sacerdotali con Zaccaria, la storia sembra aver dato un

qualche ruolo al re Zerubabbel, erede della casa di David, fino all’inaugurazione del nuovo tempio,

operazione tipicamente regia, poi, operando una vera e propria rivoluzione nella storia della Siria-

Palestina, il sacerdozio assume la guida della comunità giudea e della nuova città-tempio. Il

dibattito pro e contro la monarchia è collegabile con manifestazioni di particolarismo tribale

insofferente alla soggezione al Palazzo, e viene proiettato al tempo in cui la regalità fu adottata per

la prima volta da Israele, al tempo di Abimelek e Saul, il profeta Samuele è contrario e coincide con

la contrarietà di Yahweh. Chi, come le altre nazioni, vuole un re, è idolatro, non vuole lasciarsi

guidare da Dio soltanto. Secondo la concezione deutoronomistica, il re è sottomesso al controllo

della Legge e dunque del sacerdozio, a differenza della regalità davidica eterna ed incondizionata. Il

re diviene un operatore cultuale, che edifica o restaura il tempio, esegue riforme e assicura le risorse

per l’espletamento del culto. La fondazione mitica non può non avere come archetipo anche il regno

unito di David e Salomone, il “tutto Israele” compreso il nord. Il nuovo patto stipulato tra Yahweh e

David comporta come fattore essenziale la continuità dinastica, nel periodo esilico significa

ricostruzione del tempio e restituzione della casa reale. L’intronizzazione doveva essere legittima e

la continuità dinastica assicurata. Vere e proprie storie di successione sono tra David e Salomone e

tra Salomone e Geroboamo. Una dinastia prestigiosa deve essere sapiente nei rapporti di corte e

giusta nei rapporti con il popolo, tra i libri sapienziali ci sono i Proverbi. Attribuiti a Salomone,

sembrano raccolte di tradizioni orali, con una introduzione apparentemente ellenistica e contenuto

banale quasi popolaresco. La cerimonia d’intronizzazione del re in tutto il vicino oriente è salutata

come un evento gioioso che dona nuova speranza, sia per le azioni propagandistiche di amnistia e

distribuzioni di cibo che per quel rapporto d’intermediario tra divinità e re che doveva garantire il

buon andamento del regno. Sono stati riconosciuti dalla scuola scandinava i salmi messianici, legati

all’epiteto del re come unto (masiah) da Dio. Da un messianismo regio si passerà ad un

messianismo del popolo tutto d’Israele.

L’opzione sacerdotale: l’invenzione del tempio salomonico: l’utopia monarchica viene battuta da

quella sacerdotale, con un regno diretto di Dio, la comunità giudea si configura come una città-

tempio ed il sacerdozio ha un ruolo politico. Il tempio palestinese era sempre stato un annesso del

palazzo con attività cerimoniali, a Babilonia, gli esuli vengono a contatto con tutt’altro modello

templare. La casa di dio era complessa sia a livello organizzativo che architettonico, di tradizione

sumerica con enormi proprietà, il clero giudaico o sadocita (da Sadoq, sacerdote di David) aveva in

mente questo modello, funzionale ai rapporti con gli imperatori, in grado di sopperire alla debolezza

della residua monarchia, in grado di assicurare ai sacerdoti il modo di gestire la nuova comunità

nazionale. Il modello assunto è quello delle origini, il tempio di Salomone, dimostrandone la sua

centralità nella storia d’Israele. La descrizione del tempio salomonico nel libro dei Re combacia con

l’apadana del palazzo achemenide, la dimensione stessa del complesso, 1000 m², non è collocabile

nella Gerusalemme di X secolo, dove occuperebbe praticamente l’intera città di David. Gli esuli

cercarono di riprodurre rafforzandolo il primo tempio, che non era quello di Salomone ma forse

quello di Giosia e distrutto da Nebuzardan. Il primo tempio, costruito da Salomone, viene distrutto

nel 587, sulle rovine, dovettero continuare a celebrare qualche attività cultuale, resta luogo sacro per

i superstiti. I reduci, s’impadronirono delle rovine e riassettarono l’altare, scacciando i sacerdoti ed

entrando in collisione con il popolo della terra che voleva collaborare alla ricostruzione del tempio.

Furono respinti perché l’autorizzazione imperiale riguardava i soli reduci. Il satrapo della

Transeufratene confermò l’autorizzazione e collaborò alla ricostruzione. La costruzione deve essere

iniziata nel 2° anno di Dario e terminata nel 515 con la celebrazione della Pasqua, il sommo

sacerdote Giosuè ha pieni poteri. Al tempo di Artaserse, proseguono le ostilità contro la comunità

templare. Nel 445, un giudeo alto funzionario alla corte persiana, Nehemia, viene mandato a

Gerusalemme come delegato regio, per agevolare la ricostruzione delle mura ed il riordino della

comunità. La città-tempio venne distaccata da Samaria ed ebbe autonomia completa. Dopo il ritorno

di Nehemia alla corte persiana nel 425, la sequenza dei governatori (pehah) s’interrompe e continua

quella dei sommi sacerdoti. La presa di potere sacerdotale deve essersi solidificata nel IV secolo,

quando Ezra, scriba e sacerdote, viene in missione a Gerusalemme come inviato imperiale.

Incaricato di compilare le leggi del paese, accentuò le implicazioni teologiche e politiche, con totale

chiusura verso il popolo della terra e affermando l’autorità suprema delle legge di Dio. Con Ezra la

nuova fase della storia ebraica, è governata dal sacerdozio, unico e legittimo interprete della Legge.

La pluralità di culti e luoghi di culto, dopo Giosia e l’esilio, era stata notevolmente ristretta,

potevano rimanere nel territorio i luoghi sacri d’ambientazione rurale riletti in chiave davidica. I

dati archeologici mostrano però una distribuzione di templi palestinesi d’età persiana lungo la costa,

nell’interno solo un paio in Galilea, la provincia di Giuda era orientata compattamente verso il

nuovo tempio di Yahweh. Samaria però, non poteva accettare di perdere anche il ruolo religioso e

con la questione dei matrimoni misti, venne istituito a Sichem un tempio di Yahweh. Lo scisma

deve essere avvenuto prima di Ezra. La tradizione storiografica samaritana scrive così una storia

alternativa che parte dalla fondazione a Sichem da parte di Giosuè di un regno ed un tempio di

Yahweh ed il ritorno dei samaritani dall’esilio assiro molto prima dei giudei da quello babilonese.

Grazie alla protezione delle autorità persiane Gerusalemme cresce lentamente, la città-tempio

acquista sempre più potere sia economico che politico, pur poco conosciuta la struttura

amministrativa della Giudea, questa era divisa in nove distretti, con a capo un prefetto, nella

capitale l’autogoverno era assicurato da un collegio di anziani, le grandi scelte legislative erano di

competenza dell’assemblea popolare cui tutti i capi-famiglia erano obbligati a partecipare, tuttavia,

a Gerusalemme, la guida effettiva della comunità era gestita dai sommi sacerdoti, che attraverso

l’interpretazione della Legge regolavano tutte le questioni rilevanti della comunità. Chi poteva

esercitare la funzione sacerdotale? Titolo fondamentale era la discendenza da personaggi eponimi e

fondanti e poi la successione ereditaria. L’inserimento però di Ebyatar, figlio di Ahimelek, scampato

al massacro dei sacerdoti di Nob eseguito da Saul, presso David, propone l’alternativa. Il clero

sadocita dovette confrontarsi con quello venuto dal nord alla fine del VII secolo ed il clero dei

rimanenti giudei, il criterio di discendenza formulato si rifaceva all’epoca di Mosè e di Aronne, i

sacerdoti figli di Sadoq diventano figli di Aronne. Il tempio, data la sua complessità, aveva bisogno

di molto personale, c’erano così schiavi templari, oblati, ed operatori specializzati, i Gabaoniti ed un

gruppo di leviti, pochi nelle liste dei reduci, dall’etimologia oscura: aggiunti o dati, affidati, dunque

personale ausiliario. Vengono nominati spesso nell’esodo dall’Egitto, e finirono per venir

riconosciuti come una delle 12 tribù d’Israele, con Levi, eponimo figlio di Giacobbe e Lea ed

associata a Giuda ma dotata di statuto speciale perché non territoriale; ricevono la decima in beni

mobili e vivono distribuiti in tutto il territorio, in città levitiche con spazi riservati di residenza e

pascolo. Le genealogie della tribù di Levi includono Aronne e quindi i grandi sacerdoti sadociti. Il

termine leviti includerà l’insieme degli addetti al culto, il loro passaggio da ausiliari a sacerdoti

deve essere stato dovuto al conferimento di incombenze più strettamente cultuali.

L’auto-identificazione: l’invenzione della legge: ricorrenza dei patti tra Yahweh ed il popolo, alle

assemblee storicamente accertate come quelle convocate da Giosia, si aggiungono assemblee e patti

immaginate come fondanti (v. Abramo e Mosè). Nel tempo, il patto/promessa evolve da fedeltà e

benevolenza a dettagliate clausole comportamentali, con relativi riferimenti prima al patto di

vassallaggio e poi ai codici antico-orientali. Anche per quanto riguarda i protagonisti, si passa da

ruolo centrale del re al ruolo centrale del popolo una volta tramontata la monarchia (ma comunque i

ruoli fondanti si ravvisano in personaggi carismatici del popolo in un momento non monarchico).

La pubblica lettura si contrappone alla clandestinità del testo scritto, di cui unico corretto interprete

è il clero e cui i profeti vorrebbero accedere. Israele, destinatario del patto, ha definizione di tipo

gentilizio, da Abramo discendono anche genti altre, non solo israelitiche. Il modello fondante le

prospettive post-esiliche, va cercato nell’ambientazione tribale, nella formulazione di Mosè, con

Israele come entità astratta e vagante nel deserto. La Torah , “legge” si fa chiudere al tempo di Ezra

e si attribuisce a Mosè, è un complesso vario e disorganico, ricco di contraddizioni, all’interno del

quale si individuano raccolte legislative ridotte, queste organiche. Israele si auto-identifica mediante

l’osservanza della legge, sia nel periodo esilico per mantenere coesa la comunità in terra straniera,

sia nel rientro per ricostruire l’unità nazionale. La configurazione della legge si fonda su antichi

modelli ma per essere non inventata si sviluppa e si formalizza in tutta la storia della nazione. La

legge d’Israele non è mai stata attribuita ad un legislatore regio, come sarebbe normale, persino

Giosia riscopre un antico codice, il dover fondare una nazione senza re la fa risalire ad un periodo

pre-monarchico, Mosè, colui che conduce il popolo dall’Egitto ai confini della Palestina ha una

storia personale largamente fiabesca, raccorda le leggende patriarcali e la conquista della terra

promessa e funge da legislatore, ruolo base nella costituzione di un popolo. L’ambientazione nel

Sinai rimanda a tradizioni delle tribù meridionali e le loro vie di transumanza, i santuari montani e

l’origine meridionale di Yahweh. Il corpus legislativo è conservato in documenti tardi, esilici e post-

esilici, ma non tutti i materiali costitutivi sono tardi. Il Decalogo, con sistemazione monoteistica e

dunque giosianica, contiene materiali databili tra TB e FI. Il Codice dell’Alleanza potrebbe essere

pre-monarchico, forse attribuibile al mondo cananeo. Il Codice Deuteronomico costituisce o deriva

dalla riforma di Giosia con interventi post-esilici. Il Codice di Santità si colloca nella prima età

esilica, al tempo di Ezechiele. Il Codice Sacerdotale è post-esilico. La fissazione avviene nel IV

secolo con Ezra. La ricerca di una “nuova alleanza” riflette l’esigenza di rinnovamento spirituale

portata dai profeti e di cui si fecero redattori i sacerdoti ed i leviti. I testi, redatti dai sacerdoti,

contengono norme di impatto sociale basate sulla giustizia, cioè sul mantenimento dei giusti

equilibri, i disordini, erano dovuti ai processi d’indebitamento, endemici nelle società vicino-

orientali e che corrodevano il sistema socio-economico distruggendo il modello teorico di una

pluralità di famiglie libere. Le remissioni, nelle situazioni monarchiche avvenivano con

l’intronizzazione del nuovo re, nella legislazione biblica hanno carattere utopico e si legano al

problema della proprietà terriera, di quelli che sono rimasti a coltivarla e di quelli che sono tornati e

vorrebbero riprendersela. In stato di emergenza, quale quello post-esilico, vengono riutilizzate le

norme fondanti del remoto passato, cambiano i beneficiari, dagli ebrei come habiru, agli ebrei come

israeliti. La questione più controversa nel diritto di famiglia è quella dei matrimoni misti. Da

sempre denigrate le “donne straniere” o “forestiere”, le linee matrimoniali nei clan israelitici

preferivano i matrimoni con cugine, anche lontane, per mantenere il patrimonio nella famiglia e per

evitare contaminazioni religiose, data la multi-etnicità post-esilica il dibattito si farà sempre più

acceso, ed i matrimoni misti bollati come contaminazione. I comportamenti auto-identificativi

(circoncisione, abitudini culinarie, osservanza del sabato – divenuto essenziale con il rinvio alla

creazione del mondo, particolarità del culto religioso e funerario) divennero in esilio molto

importanti, permettevano di distinguere “noi” eletti dagli “altri” immorali. Le norme

dell’alimentazione e del culto sono incentrate sul concetto di contaminazione-impurità correlato al

concetto di sacralità. La separazione tra sfera umana e divina è intermediata dal sacerdozio che

attraverso norme e criteri, che aumenteranno per severità e dettaglio, opera un potente controllo

sulla comunità tutta. Al rientro, i puri reduci si trovano in un paese contagiato da genti,

comportamenti, divinità impure. La purificazione generalizzata poteva avvenire attraverso la guerra

santa e il herem. In realtà, la strage generalizzata si applicò a popoli immaginari e con quelli reali si

instaurò la convivenza. I rapporti con i ger, residenti stranieri di status libero, inseriti per attività

lavorative in unità famigliari israelitiche, che vengono in qualche modo assimilati; per quanto

riguarda la religione si tenta di fare “proseliti” (ger verrà tradotto dalla LXX con proselytos).

Epilogo: parte finale, conclusiva di un’opera narrativa o drammatica, per estensione, compimento,

termine di una vicenda. Perché una storiografia d’Israele.

Storia locale e valori universali: la storia antica d’Israele è compresa tra due processi più che due

date, l’inizio, si consegna all’etnogenesi che investì il Levante a seguito delle invasioni dei Popoli

del Mare e che affonda le sue radici nelle condizioni socio economiche e politiche del TB, la

fine/prosecuzione si situa al 398, data simbolo per l’inizio del giudaismo con la missione di Ezra;

fenomeni tra loro in continuità fino alla distruzione del “secondo” tempio nel 71 d.C.. Il rapporto

tempio/diaspora, mostra come un Giano bifronte il guardare avanti ed indietro le rielaborazioni

necessarie a concretizzare la promessa divina di Abramo. I due grandi processi sono segnati da

grandi cesure storiografiche, la prima, quella degli inizi del XII secolo, mette fine alla società siro-

palestinese del TB, ed è visibile a livello archeologico anche in buona parte del Levante con

ripercussioni di carattere materiale, economico e tecnologico, la seconda, definita età assiale, di VI

secolo, produce mutamenti ideologici, culturali e religiosi, dovuti ai grandi sconvolgimenti

demografici-insediamentali. Lo storico deve analizzare il testo riuscendo a leggere la vicenda antica

sotto quella ricreata, l’ideologia originaria sotto quella del rielaboratore e scrivere una storia antica

d’Israele al di fuori del filo conduttore biblico. Il libro, con formazione dell’autore negli anni ’70, è

destinato ad un pubblico che s’interroga oggi sulle problematiche internazionali di convivenza

sociale e di tolleranza religiosa, che vengono alluse perché ritenute influenti.

SVILUPPO DEI PUNTI NODALI

Imprinting: la Palestina del TB, XIV-XIII a.C., il dominio egiziano, la cultura palatina, sfruttamento

delle risorse economiche, costante impoverimento della “classe bassa”, cultura agro-pastorale,

habiru.

La storia normale: la transizione del XII secolo con la crisi multifattoriale che porterà dal TB al

primo ferro con notevoli elementi di contrasto. Sconvolgimenti climatici con eventi di grande

siccità ed invasione dei Popoli del Mare. La liberazione dal dominio straniero creerà nuove

dinamiche interne alla Palestina. Processi di nomadizzazione e sedentarizzazione, apporto degli

“sbandati” ed “emarginati” al rafforzamento dei gruppi pastorali, concetto di tribù, importanza

dell’elemento cittadino. Innovazioni tecnologiche. Marginalità in ogni caso degli altopiani centrali

della Palestina rispetto alle vie carovaniere e marittime. I proto-israeliti. Problemi di tradizione

testuale e rielaborazione tardiva dei dati. Fonti bibliche e fonti storiche sulla natura, rapporti e leggi

delle 12 tribù. Datazione delle norme giuridiche. Embrione della nuova società tra XII-XI secolo

a.C.; formazione del mosaico palestinese nell’orizzonte allargato tra 1050-930, importanza delle

aggregazioni tribali e del grande asse carovaniero che attraversa da sud a nord la Transgiordania. I

regni di Saul e David, spezzoni di una storia unitaria del popolo d’Israele? La figura di Salomone

tra amministrazione e leggenda. Il regno d’Israele e le saghe patriarcali. Il secolo di prosperità ed

equilibrio d’Israele con le casate di Omri e Yehu. Il modesto regno di Giuda, vassallaggio ad Israele,

fine della casata di David. L’impatto imperiale assiro, le deportazioni e la crescita di Giuda.

Collasso assiro, nuova libertà per la periferia imperiale nella pausa tra i due imperi, zoroastrismo

iranico e profetismo ebraico. Giosia, le riforme, il progetto unitario, i mitici elementi fondanti della

storia d’Israele. Nabucodonosor e la riconquista imperiale, la deportazione selezionata e la

deculturazione degli stati palestinesi.

Intermezzo: VI secolo, la diaspora e la formazione tra reduci e rimanenti del popolo di Yahweh.

Una storia inventata: i Patriarchi come modello debole di venuta di un popolo da un altro paese, la

conquista come modello forte di presa violenta della propria terra. I giudici, sufeti, in uno stato

senza re. L’utopia della lega delle 12 tribù. L’opzione monarchica, il regno unito. L’opzione

sacerdotale ed il tempio salomonico. La Legge.

Epilogo: i due processi formativi della storia d’Israele e l’approccio storico. Il terzo scenario al di

fuori della tendenza tradizionalista e di quella innovatrice.

CONSIDERAZIONI PERSONALI

“Eppure questo paese così modesto per risorse naturali ed addensamento umano, è un paese che

ha svolto un ruolo di primaria importanza nelle vicende storiche di gran parte del mondo.”

Il contrasto, inaudito per l’autore, tra povertà del soggetto e successiva fama, è evidente fin dalle

prime battute, l’autonoma considerazione, della eccessiva distruttività critica della seconda parte del

testo, è dovuta, afferma, alla non “accettazione” della collocazione nella “storia inventata” biblica,

di valori universalmente accettati. La grande eco di queste vicende, comporta sia considerazioni di

stampo religioso che di stampo politico internazionale. Tuttavia, la nostra semplice Storia,

richiederebbe la ricostruzione dei fatti così come sono avvenuti collocandoli nel tempo archeologico

assoluto. L’implicazione biblica, che ha improntato popoli, culture, guerre sante, e non meno

importante la cronologia, a.C. o d.C., comporterebbe approfondite analisi a livello di critica

teologica, o esegesi biblica, cosa che non spetta all’autore in quanto non studioso vecchio-

testamentario, ma storico di professione. A prescindere dalla storia d’Israele, non è forse negli

sviluppi occidentali più che vicino-orientali, più ecclesiastici che non rabbinici che risiede la cassa

di risonanza di questa mitica fondazione? La moderna esegesi biblica nasce con i filosofi ed i

teologi del XVII secolo come Hobbes e Spinoza, una delle prime opere fu quella di Richard Simon

del 1685 “Histoire critique du vieux testament”, gli studiosi iniziarono a chiedersi chi avesse scritto

soprattutto i libri del Pentateuco e quale fosse la loro origine, in particolare trovarono contraddizioni

ed incongruenze che li fecero dubitare circa la loro paternità mosaica. Ascrivibili ad un periodo

compreso tra 1880 e 1890, sono due quaderni custoditi alla Biblioteca Comunale di Amelia (TR) e

la cui analisi è stata gentilmente concessa in via inedita dal Dottor Andrea Lorenzoni, egittologo.

L’autore, Marucchi, elaborò questi testi che non possono essere definiti semplicemente “appunti”, in

quanto contengono uno studio comparato tra le fonti bibliche e quelle Vicino Orientali, Assiro-

Babilonesi ed Egizie in particolare, mettendo a confronto, soprattutto, toponimi, eponimi e nomi di

sovrani. Come lui stesso ammette in uno dei due quaderni: “lo studio delle antichità orientali si è

reso necessario come risposta alle critiche di alcune correnti protestanti”. La “corrente protestante”

cui si riferisce è probabilmente quella del protestantesimo liberale, corrente teologica che si

sviluppa in ambito luterano e tedesco nel XIX secolo e che promosse lo studio scientifico dei testi

biblici. In quel periodo si posero infatti i fondamenti delle scienze storiche e letterarie, che

sottolineavano “con speciale radicalità il problema della «ispirazione» della Sacra Scrittura e della

sua veridicità nei confronti dei dati forniti dalle scienze naturali e storiche, che cercavano di

precisare il contesto storico e letterario della Bibbia”. Archeologo paleocristiano e cattolico

convinto, nominato da Papa Leone XIII scrittore per la lingua latina della Biblioteca Apostolica

Vaticana e archeologo dei Musei Pontifici, il Marucchi sembra avvicinarsi allo studio delle antichità

orientali per finalità apertamente “apologetiche”, come dimostra un altro passaggio contenuto nella

prima pagina del secondo quaderno: “il documento più antico e veridico che esista della storia è la

Bibbia. Essa risale al secolo XIV av. G.C. Altri documenti non vi sono, solo i miti e le favole

Egiziane, Assire, Caldee”, egli tenta di provarne l’antichità e l’autenticità rispetto alle tradizioni

mesopotamiche. I due quaderni presentano in primis un valore documentario in quanto importanti

documenti d’archivio, in secondo luogo, non può essere non ravvisata la loro importanza storico-

culturale, legata soprattutto alla storia degli studi, in quanto testimonianza della “temperie culturale”

post-unitaria nell’ambito della cosiddetta “questione biblica”, sorta proprio in quegli anni e punto di

partenza di quella che verrà poi comunemente definita “ermeneutica” delle Sacre Scritture, cioè la

loro interpretazione e ricerca dei molteplici significati (“polisemia”). Non bisogna dimenticare che

nel 1872 l’assiriologo George Smith, citato più volte dallo stesso Marucchi nei suoi quaderni,

riordinando le tavolette di contenuto mitologico provenienti dalla biblioteca di Assurbanipal, era

riuscito ad individuare la versione caldea del diluvio universale. La scoperta mostrava che un testo

pagano precedeva e confermava narrazioni contenute nell’Antico Testamento. Questo diede un

grandissimo impulso, non solo agli studi di Assiriologia, ma anche a quelli comparati con la

tradizione biblica. Il punto di vista del Marucchi, come uomo e studioso, sembra essere quello di un

archeologo paleocristiano strettamente legato agli ambienti ecclesiastici, impegnato attraverso le

sue ricerche a difendere l’unicità e la veridicità delle Sacre Scritture contro alcune correnti

razionalistiche che vedevano nella Bibbia una “semplice” raccolta di scritti anteriori. Il problema è

tutt’ora irrisolto e, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, una serie di campagne archeologiche

nel Vicino Oriente hanno cercato di chiarire, confermare o smentire alcuni episodi biblici.

L’importanza di questi quaderni sta, soprattutto, nel costituire una delle prime testimonianze di un

approccio scientifico, storico-filologico, alla “questione biblica”, seppur in un’ottica chiaramente

“cristiano-centrica”. La loro datazione può essere ristretta ad un periodo compreso nel quinquennio

1880-85, cioè dal momento dei primi studi del Marucchi in ambito orientale e mediterraneo e la

pubblicazione de “Le Catacombe e il Protestantesimo” del 1884, in aperta polemica con la scuola

protestante. L’esegesi biblica tedesca del XIX secolo con Julius Wellhausen arrivò alla versione

definitiva dell’ipotesi documentale, affermando che il Pentateuco era formato da almeno quattro

documenti distinti, nessuno dei quali composti prima del X secolo e combinati da uno scriba nella

forma presente al più tardi nel V secolo. Il dibattito, proseguito attraverso le critiche dei sostenitori

della fede, passando per la storia della tradizione (orale) di Martin Noth, e l’archeologia biblica di

William Foxwell Albright, giunge negli anni ’60 a criticare sia Albright con l’archeologia a

sostegno di quanto detto nella Genesi e nell’Esodo che l’ipotesi documentale, arrivando a proporre

nuovi modelli frammentari di composizione. Alla fine del XX secolo, il Vaticano accoglie, con le

dovute cautele, l’esegesi biblica. Nella presentazione de “La Bibbia di Gerusalemme” Monsignor

Ravasi, spiega che la Bibbia della CEI (versione curata dalla Conferenza Episcopale Italiana, detta

BC, “editio princeps” del 1971) tenta, attraverso un team di biblisti italiani, di fornire note di critica

testuale con una “lezione” e quindi versione diversa dalla BJ (Bible de Jérusalem nella revisione del

1984 ad opera di esegeti cattolici francesi). Versioni dunque, tentativi di lettura. Ritroviamo lo

stesso Mons. Ravasi nella critica sull’Avvenire al libro di Filkenstein e Silbermann “Le tracce di

Mosè. La Bibbia tra storia e mito”, affermare che: « la Bibbia presenta una storia profetica, una

storia narrata per il suo valore di segno, una storia fortemente interpretata». Ed ancora, nella

prefazione al libro di Beretta e Broli “Gli undici comandamenti”: « a raccogliere l’immensa mole di

equivoci, luoghi comuni, e miti che nei secoli si sono accumulati intorno alla Sacra Scrittura, si

sono impegnati due giornalisti, Roberto Beretta ed Elisabetta Broli, che, come segugi, sono andati

alla ricerca di questi tartufi pseudo-biblici, deliziosi e maleodoranti al tempo stesso […].». Larga

accettazione dunque di una visione distaccata del testo biblico. Ma, la storia, per essere ricostruita

necessita dell’apporto di altre scienze, come l’archeologia, l’epigrafia, le fonti, la Bibbia, può essere

una fonte al pari delle lettere di el-‘Amarna o gli Annali Assiri? Quale è più o meno inficiata

dall’ideologia imperiale o tribale che dir si voglia? Meno mitologica dell’Epopea di Gilgamesh?

Chi ha preso da chi? Certo, il materiale extra-biblico è da considerarsi di uso immediato perché

coevo e dovuto a motivi più ovvii e banali, ma per la Bibbia, solo l’analisi delle successioni

stratigrafiche ci darebbe risposte nella compilazione del matrix narrativo.

“L’area occupata dalle tribù israelitiche, collocata nell’interno e nella parte meridionale del

Levante, non può certo pretendere miracolose precedenze”.

L’autore forse calca troppo la mano sulla pretesa di miracolo, quale popolo non ha eroe eponimo o

fondazione mitica? Nel testo “Antico Oriente. Storia società economia.”, pur percorrendo il filo

conduttore che troviamo in “Oltre la Bibbia”, il Liverani ha un atteggiamento più morbido nei

confronti dell’AT, senza il quale, dice, sarebbe difficile una ricostruzione storica della Palestina pre-

classica. Soprattutto nella parte dedicata alla “storia normale” sono moltissimi i rimandi ai passi

della Bibbia, con una continua conferma della “bugia biblica” che a volte viene comunque presa

come fonte, laddove, vista l’invenzione presunta, mi sarei aspettata una storia sulla sola base

“archeologica”. Vero è che la ricerca archeologica è limitata in quelle zone dagli attuali assetti geo-

politici instabili, e dunque causa del permanere di lacune di dati. Nell’intermezzo, viene definita la

Palestina come terra vuota e paesaggio desolato, abbandonata da Dio e dagli uomini, evidente il

contrasto tra l’emersione di gruppi tribali che ora sono soltanto squatters disperati, ma che nel

passaggio dal bronzo al ferro furono la nuova società. Il raffronto tra ciò che è buono e ciò che non

lo è appare soggettivo, forse nei termini, perché concettualmente la ricostruzione storica del

Liverani convince. Nelle conclusioni il Prof. Liverani afferma che l’unica Storia può essere

bipartita, considerando quella normale e quella inventata l’una in funzione dell’altra. Leggendo

questa complessissima opera, l’ho avvertita come il passo successivo alla sola Storia Antica

d’Israele, storia che, forse nel dubbio della stratificazione narrativa della Bibbia, potrebbe essere

fatta con il solo confronto materiale, archeologico sicuramente, e più ancora riferito a fonti “altre”.

L’approccio, deve andare oltre sia il metodo tradizionalista che quello innovatore, cercando la sola

verità tangibile delle condizioni geografiche, ambientali, economiche e relazionali che hanno

segnato l’evoluzione della Palestina. “Oltre la Bibbia” è una grandissima opera storiografica, che

pone immensi spunti per uno studio approfondito delle Sacre Scritture che appartengono a questo

popolo. Su suggerimento della Dottoressa Mangolini, che critica in maniera molto aspra il Liverani,

soprattutto su posizioni politiche e spirituali, ho potuto visionare il sito www.israele.net,

capacitandomi del fatto che sia la Bibbia che qualsiasi altra antica fonte, vanno interpretate, ed

essendo l’interpretazione soggettiva, cioè dipendente da propri obiettivi e formazioni, può

illuminare talune verità e non altre magari, così ad esempio, la Stele di Tel Dan, in

www.sezione,,3472.htm, viene presa come il più antico riferimento extra biblico alla monarchia

davidica, mentre in “Oltre la Bibbia” come riferimento all’occupazione della città di Dan da parte di

Haza’el di Damasco. Max Weber in “Introduzione all’antico giudaismo” affermava che ci sarebbe

voluta più di una vita per conseguire una vera padronanza della letteratura concernente la religione

d’Israele e la Bibbia, che potrebbe essere secondo G.P. Miller, “la più antica filosofia politica

d’Occidente”, contenendo infatti, la formalizzazione delle idee politiche attraverso la narrativa, la

storia di Adamo ed Eva, Abramo, l’arca di Noè, Mosè, i re ecc., raccoglie gli spunti per un’analisi

sofisticata, coerente e logica del problema dell’autorità. La modalità narrativa è già di per sé

validante rispetto all’obiettivo iniziale, attraverso benefici mnemonici (le antiche culture sono

effettivamente caratterizzate dall’oralità), qualità artistiche, autenticazioni del messaggio grazie

all’autorità del passato, figure ancestrali, importanti rituali, eziologia, etimologia, cultura popolare,

si forma la radice comune e splendente in cui un popolo fonda la sua essenza. Non considerando il

valore spirituale del testo, la Bibbia può essere considerata un documento secolare a servizio delle

necessità di una particolare società umana. Da un punto di vista strettamente spirituale, non storico

quindi, per ebrei, cristiani e musulmani, proprio questi contrasti, appaiono il fondamento della loro

fede, con la pochezza di una terra promessa da Dio cui gli ebrei sono guidati da Mosè, la semplicità

e la ricchezza di un “avatar” come Gesù Cristo, Verbo che si è fatto Carne, con la meta di

Maometto in questo luogo, alla fine di un miracoloso viaggio notturno, che mosse da Mecca e che

lo fece poi ascendere al cielo visitando il paradiso dopo aver sorvolato l’inferno.

(N.D.R.: in corsivo le citazioni dell’autore)

FONTI

R. Beretta-E. Broli, Gli undici comandamenti, Alessandria 2002

R. Carcano, Le tracce di Mosè, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.mht, 2003

Database Antikitera, 2003

Database Archeologia Biblica, 2003

Enciclopedia Treccani

E. Galavotti, Le bugie della Bibbia, Homolaicus.mht, 2012

www.israele.net/sezione,13,.htm

La Bibbia di Gerusalemme

G. Lacerenza, Israele ed il Levante, in La Grande Storia. Le civiltà del Vicino Oriente, Milano

2011, pp. 415-433

www.LaParola.net

M. Liverani, Antico oriente. Storia società economia. Bari 2003

A. Lorenzoni, Osservazioni preliminari. [inedito] Amelia 2012

L. Mangolini, Oltre la Bibbia. Storia Antica D’Israele, in Episteme.mht n°6

G.P. Miller, The ways of a king. Legal and political ideas in the Bible, in Journal of ancient

Judaism. Supplements, Gottingen 2011, pp. 7-25

www.mostrabiblica.it

G. Regalzi, Chi si librava sulle acque? Interpretazioni e trasformazioni in Gen. 1:2, in Mutuare,

interpretare, tradurre: storie di culture a confronto. Atti del 2° incontro “Orientalisti”, Roma 2003,

pp. 105-114

A. Socci, Indagine su Gesù, Milano 2008

J. Zias-E. Puech, The tomb of Absalom reconsidered, in www.asor.org/pubs/nea/

B. Zissu-A.S. Tendler, The Kidron Valley Tombs in the Bizantine Period: A

Reconsideration, in New studies on Jerusalem, Volume 17, Ramat-Gan 2011

Sommario

Immagine di copertina p. 1

Struttura del libroIntroduzione p. 1

Ferro I: il cambiamento nella continuità delle tradizioni p. 2

Ferro IIA-IIB: il primato del regno settentrionale ed il lento sviluppo della Giudea p. 10

Ferro IIC: la conquista assira tra deculturazione e pax assyriaca p. 18

Periodo babilonese ed età persiana: la Palestina ancora luogo di incontro tra culture p. 25

Il tempio di Gerusalemme: una questione ancora aperta p. 32

Il culto: luoghi, oggetti, immagini p. 34

Sviluppo dei punti nodali p.44

Confronti con “Oltre la Bibbia” e considerazioni personali p. 45

Fonti p. 46

“Dal terreno al divino. Archeologia del culto nella Palestina del primo millennio” di Ida Oggiano

IMMAGINE DI COPERTINADivinità maschile dal santuario tribale di Horvat Qitmit: parte di una statua di divinità in terracotta,

la testa, di 13 cm, è dipinta in rosso con boccoli neri, indossa il tipico attributo divino del copricapo

a tre corna, la figura, vista come divinità femminile guerriera per l’acconciatura e la pittura rossa sul

viso, ma soprattutto per l’elmo con corno centrale, trova confronti solo nelle figurine in metallo di

dee provenienti da scavi clandestini in Siria ed Israele. Simili a questo esemplare per l’espressione

del viso ed il metodo di attacco delle corna alla testa, sono tre figurine da Kafr Kanna in Galilea. Il

reperto, rinvenuto a 3-5 metri a sud del recinto del complesso A, ci parla, insieme ai numerosi altri

testimoni materiali, di un luogo, extraurbano, specificatamente sacro, intensamente frequentato,

sede del culto a varie figure divine, iconiche ed aniconiche, transitato da diverse popolazioni. Un

santuario tribale ai margini orientali della valle di Beer-Sheba-Arad non connesso con nuclei

abitativi ma testimonianza della cultura dei popoli che controllavano le vie meridionali commerciali

e che potevano liberamente adorare le loro divinità senza precise direttive religiose tra VII e VI

secolo. Un’immagine a tutto tondo quella fornita dalla copertina di questo libro, obiettivo del quale

è misurare la varietà reale delle manifestazioni di culto con la unidirezionalità del testo biblico.

STRUTTURA DEL LIBROIntroduzione: “si può scrivere oggi una sintesi sulla storia del culto nell’area del Levante

meridionale attraverso lo studio della documentazione archeologica?” L’esito degli studi

archeologici, secondo l’archeologia contestuale e cognitivo-processuale, è la ricostruzione storica.

Quindi: “perché una sintesi storico-archeologica su un tema così insidioso come quello della

religione (in particolare dell’aspetto cultuale) dell’area del Levante meridionale del I millennio, […]

con una tradizione di studi fortemente legata agli ambienti teologici, […] una bibliografia

amplissima da interpretare e codificare, […] in modo da cogliere la possibile trappola di una

volontaria alterazione delle informazioni?”. I numerosi studi relativi a quest’area nella

documentazione cultuale, sono marginali, parziali e settoriali, limitati a classi di monumenti e

materiali, specifiche problematiche, periodi ben definiti o singoli gruppi. Manca una sintesi nel

contesto geografico-culturale che segua il complesso svolgersi dalla fine del II millennio al V

secolo, così da cogliere continuità e cambiamenti. L’analisi dei singoli contesti archeologici, con

l’aggiornamento delle datazioni, non è stata disgiunta dall’esame delle singole classi di materiali,

confluendo, nel confronto con le fonti epigrafiche e letterarie non riesaminate dall’autrice, nella

lettura storica dell’area levantina meridionale del I millennio; a livello metodologico è stato seguito

un approccio contestuale. Per quanto riguarda i limiti geografici, l’area, chiamata negli anni in modi

assai diversi (Palestina, Siria-Palestina, terra di Canaan, terra d’Israele, Terra Santa e Terra

Promessa), per le esigenze della Oggiano è stata definita Levante Meridionale, suddivisa in aree

geografico-culturali: filistea, fenicia, giudaica, transgiordanica. In alcune zone di contatto gli

influssi sono sfumati o prevalgono quelli di aree limitrofe. I limiti cronologici si pongono tra

l’inizio dell’età del ferro e l’età persiana inclusa, riprendendo le grandi “cesure storiografiche” di

Mario Liverani, quella dell’inizio del XII secolo che con le innovazioni tecnologiche,

insediamentali ed etnopolitiche caratterizza il passaggio tra TB e FI e quella del VI secolo, con

nuovi rapporti socio-politici e nuove concezioni religiose e culturali. Conclusivi di un grande ciclo

della storia palestinese sono i secoli VI e V in cui si colloca il fermento di elaborazione ideologica

che caratterizza l’età persiana e sfocerà nel giudaismo e che si fa iniziare con la missione di Ezra del

398 a.C.. Per quanto riguarda la periodizzazione si è mantenuta la divisione tradizionale in Ferro I,

IIA, IIB, IIC, periodo babilonese ed età persiana. Per quanto riguarda la cronologia assoluta è stata

adottata la cronologia bassa proposta dallo studioso israeliano Israel Finkelstein, sulla base

dell’assenza della ceramica “monocroma filistea” dalle fortezze egiziane della XX dinastia nella

Palestina meridionale e sull’assenza di ceramica egiziana/egittizzante dai siti filistei, ed affermatasi

secondo Finkelstein dopo la fine della dominazione egiziana nella regione e cioè il 1135 a.C..

Problema principale della cronologia “palestinese” è la mancanza di dati di cronologia assoluta certi

per il periodo compreso tra la fine del dominio della XX dinastia egiziana in Canaan nel XII secolo

e le campagne assire della fine dell’VIII secolo. Gli archeologi si sono basati perciò su due

elementi: la comparsa sulle coste della Palestina della “Monochrome Pottery” e la stratigrafia dei

vecchi scavi di Megiddo. Sito chiave per la definizione del passaggio tra FI e FII in Palestina è lo

strato IV di Megiddo, qui, edifici a pilastri furono datati all’inizio al X secolo, interpretati come le

stalle di Salomone, poi, Yadin, propose di datare solo la fase iniziale dello strato al X secolo, con la

porta urbica a sei vani, e di datare lo strato IVA, le stalle ed il sistema idrico, all’inizio del IX

secolo, la dinastia di Omri. In base all’abbassamento della cronologia della ceramica filistea, lo

strato VIA di Megiddo andrebbe collocato nel X secolo, quello salomonico della monarchia unita,

caratterizzato come periodo di continuità culturale sostanzialmente cananeo. Questo abbassamento

porterebbe come conseguenze l’eliminazione delle uniche testimonianze archeologiche della

monarchia unita con capitale Gerusalemme, la rivalutazione del Regno d’Israele, l’individuazione

della presenza aramaica nella parte settentrionale del paese.

Ferro I: il cambiamento nella continuità delle tradizioni: crisi dei grandi stati regionali

dell’età del bronzo. Tra la metà del XIII e la seconda metà del XII secolo vengono distrutte alcune

tra le più importanti città cananee, declina il controllo egiziano sulla regione, entra in crisi il sistema

politico-amministrativo delle città cananee, gruppi nomadi si sedentarizzano parzialmente. Le

popolazioni costiere vivono un periodo di crescita economica dovuta all’allargamento dei propri

orizzonti commerciali in seguito alla crisi del controllo egiziano sulla regione, nasce, grazie anche

all’emergere dei ceti mercantili, la pentapoli filistea e si sviluppano i centri urbani fenici. La zona

interna della Palestina mostra una sostanziale continuità, le regioni della Transgiordania invece,

sono occupate da una popolazione organizzata in tribù che tende a dividersi tra piccoli villaggi ed

insediamenti periodici. Nella prima metà del XII secolo in alcuni centri urbani come Hazor,

Megiddo e Beth-Shean, il passaggio alla nuova fase culturale sembra avvenuto. Il panorama extra-

urbano si ridisegna con un drastico aumento della popolazione sedentaria nelle colline centrali e con

la nascita di villaggi in cui si insediano tanto le popolazioni indigene prima dedite alla pastorizia,

quanto gli abitanti delle città cananee in crisi. A questi si aggiunsero, genti dalla costa e delle terre

basse adiacenti alle colline e gruppi nomadi provenienti dall’est. All’interno di questo panorama

territoriale, così come Aramei, Fenici, Ammoniti, Moabiti, Edomiti si affermano gli Israeliti, come

realtà politica autonoma dotata di proprio corredo religioso, ideologico e culturale.

La continuità funzionale del tempio urbano.

Uso e ricostruzione dei templi cittadini del bronzo tardo e nuove formule architettoniche: nel XII-X secolo,

le testimonianze relative al culto ed alle diverse manifestazioni della cultura materiale mostrano da

un lato una sostanziale continuità con la fase precedente specialmente in ambito urbano, dall’altro

una progressiva tendenza al mutamento soprattutto nei centri urbani costieri. Il tempio urbano

prosegue la sua funzione di centro di aggregazione politica. I più antichi ed importanti santuari

vengono ricostruiti e restaurati. I centri che hanno restituito documenti di architettura templare

databili a questa fase sono tre: Megiddo, Sichem e Beth-Shean. Megiddo fu una delle città più

prospere del TB e caposaldo della XX dinastia egiziana, distrutta verso il 1135-1130, sulle sue

rovine sorse un piccolo villaggio. Agli inizi del FI viene ricostruito il tempio-fortezza o migdol che

si trovava nell’area sacra BB occupata fin dal III millennio da edifici di culto, dopo di questo, dal

IX secolo, l’area sarà occupata da edifici secolari. L’edificio del TB era un tempio magnifico dalla

tecnica raffinata, quello dei FI sarà più povero. Sichem non presenta tracce di distruzione violenta,

continua ad esistere nel FI come villaggio agricolo, il migdol, del bronzo viene usato fino alla metà-

fine del X secolo quando l’area templare viene occupata da case rurali. Il tempio ricalca lo schema

tipico dei templi nord-siriani a pianta longitudinale. Beth-Shean nella piana di Esraelon, fu uno dei

più importanti centri della regione del TB e caposaldo egiziano in Palestina, occupata soprattutto da

edifici amministrativi, ebbe un rapporto privilegiato con gli egiziani, tanto che continuarono a

governare anche dopo la distruzione della fine del XIII secolo; l’influsso egittizzante è palesato nel

tempio da evidenti affinità con le installazioni cultuali di El Amarna. Il definitivo declino della

presenza egiziana si avverte nell’emergere di tratti culturali tipicamente locali che trovano

espressione nella costruzione di edifici monumentali come il 1700 o i cosiddetti “templi doppi”.

Realizzati nell’area occupata dal tempio nel TB e da quello della fine del XII secolo, sono assai mal

preservati, il Tempio Nord, non avendo traccia di installazioni cultuali, non ha natura sacra certa, il

Tempio Sud, collegato a quello Nord da uno stretto corridoio, era orientato EO a differenza di quelli

del TB e FI orientati N-S, al suo interno sono stati trovati molti oggetti di culto, supporti in

ceramica decorati. I templi e la città fiorirono nella seconda metà dell’XI secolo e furono in uso fino

al X, mostrando una continuità nell’adorazione di statue di culto e stele di Sethi I, Ramses II e III,

logico riflesso di tradizioni culturali e religiose egiziane fortemente radicate.

Oltre il Giordano: l’area, tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XII rientrava nel circuito

economico egiziano che faceva capo a Beth-Shean. A Tell Deir ‘Alla esisteva un importante

santuario frequentato da genti di diversa provenienza che commerciavano tra le montagne di Gilead

e l’Egitto, che aveva la funzione di garantirne le attività e che anche dopo l’abbandono del centro

nel 1200 venne recuperato da pastori transumanti e metallurghi itineranti. La stele di Balu’a, di

carattere egittizzante, indica le relazioni tra l’Egitto e le zone ad est del Giordano, trovata fuori

contesto, mostrerebbe un capo degli Shasu, turbolenti nomadi, condotto per mano da una divinità

verso un’altra. In Ammon, Tell ‘Umayri, fu un ricco centro agricolo che nel FI venne dotato di un

sistema fortificato a ridosso del quale erano due edifici, uno dei quali definito luogo di culto grazie

ad un masso tondeggiante dalla sommità piatta e posto di fronte ad una pietra ovale di calcare. A

Tell el-Mazar, simile situazione con un tempio a corte aperta, l’edificio, di dimensioni notevoli,

visse fino alla seconda metà del X secolo ed è stato interpretato come santuario, sia in base al tipo di

pianta, con tre ambenti che si aprivano su una corte, che al rinvenimento di ceramica di tipo

cultuale, insieme a resti di ossa animali e cenere.

L’area costiera ed il suo entroterra: la nuova realtà urbana e sociale dei centri filistei: questione

filistea. Area costiera interessata nel XII secolo da sostanziali cambiamenti nel quadro insediativo e

nella cultura materiale tradizionalmente collegati all’invasione dei Popoli del Mare e successivo

stanziamento dei Filistei. Chi erano i Filistei? Genti che alla fine del II millennio diedero vita ad una

cultura palestinese costiera dai caratteri chiaramente definibili, o provenienti dall’Egeo o emergenti

tra Cipro e la Fenicia come nuovo gruppo sociale, una classe di mercanti che grazie alla crisi del

sistema palatino, poté dar vita a nuove forme di organizzazione economica e politica. Quando

“nacquero”? Sulla base delle testimonianze materiali peculiari, cioè la ceramica Monocroma

Filistea, secondo alcuni studiosi tra la fine del XIII e la prima metà del XII, secondo altri verso il

1135. La Oggiano usa in questa sede la cronologia bassa di Finkelstein e con il termine Filistei,

indica un insieme di genti di provenienza varia, la cui caratteristica fu nella connotazione mercantile

della sua classe dirigente. La facies culturale della pentapoli filistea combina tradizioni cananee e

forme di cultura dei presunti paesi d’origine.

Lo spazio sacro filisteo tra strutture templari ed aree produttive: della pentapoli solo due città hanno

restituito testimonianze relative al culto per le prime fasi del FI: Ashdod ed Ekron. Ashdod era stato

un importante centro commerciale in stretto rapporto con Ugarit e sotto influenza egiziana, al ritiro

dell’Egitto da Canaan nel XII secolo, fu distrutto e sui suoi resti fu costruita una città che mostra

caratteri di continuità con la locale tradizione Cananea del TB. Nell’area G, fu rinvenuta, all’interno

di una zona artigianale di lavorazione della ceramica, una struttura denominata “alto luogo”, con

frammenti di ceramica ed ossa. Negli ambienti che servivano come laboratori sono state rinvenute

figurine fittili del tipo detto ashdoda. Tra fine XI ed inizi X secolo, la città prospera, nell’area H è

testimoniata l’attività edificatoria di un centro ben pianificato dai caratteri chiaramente rinnovati.

Del centro filisteo rimangono due complessi di edifici divisi da una strada, una struttura rettangolare

di mattoni intonacati appoggiata ad una delle due basi di colonne all’interno della corte rettangolare

è stata interpretata come altare per offerte. Anche un vano con una struttura absidata su sostruzione

rettangolare è stata riletta come installazione cultuale, sia per la vicinanza alla corte che per il

rinvenimento in un vicino ambiente di una figura di personaggio femminile in trono: la cosiddetta

“ashdoda”. La produzione della ashdoda è locale, con origini micenee e cipriote, la cui

interpretazione come “Grande Dea Madre” è concettualmente superata. Molti elementi di tradizione

egea si trovano nella documentazione del centro di Ekron, città stato cananea del TB, tra XII ed XI

secolo fu estesa, ben pianificata, fortificata ed economicamente fiorente, le prime testimonianze

relative al culto risalgono agli inizi dell’XI secolo quando fu costruito il Building 351. L’edificio

presenta un vano quasi interamente occupato da un focolare, importante elemento sia nell’Egeo che

a Cipro, in particolare degli edifici a megaron. Al di sopra fu realizzato il Building 350, tra fine XI

ed inizi X secolo, che aveva un focolare più piccolo rispetto a quello della fase precedente. Negli

ambienti rettangolari sono stati rinvenuti oggetti di ascendenza cipriota ed egea. Nella fase finale

dell’edificio il pavimento è coperto da coppe in Red Slip, e, nel vano settentrionale, un deposito di

oggetti unici di influsso egiziano della XXI dinastia. La monumentalità dell’edificio ed elementi

come il portico, lo fanno interpretare come struttura di funzione sacra, pur in assenza di confronti

precisi nel Levante ed a Cipro. Elementi cultuali sono stati infine rinvenuti nella zona delle

fortificazioni cittadine di Ekron. Le più importanti testimonianze sul culto filisteo si hanno da Tell

Qasile, un piccolo centro dell’area settentrionale costiera al limite della Filistea vera e propria. Fu

fondato ex novo nell’XI secolo, il primo insediamento ebbe nell’area sacra il punto focale intorno a

cui si articolarono le altre strutture, questa, era separata dal resto dell’abitato da un recinto che

delimitava lo spazio all’interno del quale era un piccolo tempio, il Tempio 319, un vano di forma

allungata ed un’ampia corte. L’area templare mostra una continuità d’uso fino al definitivo

abbandono alla fine del X secolo. Non si è in grado di dire a chi fosse dedicato, i molti oggetti con il

motivo del volatile possono essere confrontati con la documentazione ugaritica in cui una coppa

mostra una dedica a Reshef. La struttura templare di Tell Qasile è l’unica dell’area costiera

definibile con certezza come tempio per queste fasi. Il suo inserimento all’interno del tessuto

urbano mostra il ruolo che aveva nell’ambito del centro, uno spazio dedicato alle attività religiose di

una cittadinanza culturalmente orientata tanto verso l’entroterra cananeo quanto verso il mare e le

sponde cipriote.

Incontri, scambi e memoria del passato all’origine dei rituali filistei: i centri costieri meridionali di queste

fasi funsero da aree sacre urbane, sono assenti edifici sacri monumentali e le attività religiose sono

collegate, all’interno dei centri, alle attività economiche. Il tempio a pianta longitudinale delle città

cananee era simbolo della città stessa in quanto rappresentazione dell’aspetto religioso della

regalità, le strutture cultuali dell’area filistea erano testimoni di una pianificazione dell’attività

religiosa piuttosto originale e svincolata dalla tradizione locale. Il culto e le sue strutture sembrano

riflettere la principale attività commerciale e mercantile della nuova classe dirigente.

L’inquadramento tipologico di queste strutture fu tentato dal Mazar, definendo la categoria degli

Irregular Plan Temples, distinguendoli dal tempio monumentale a pianta longitudinale di tradizione

nord-siriana. La definizione è stata criticata sulla base di un uso libero di formule architettoniche

differenziate tra la costa palestinese e Cipro. La presenza di elementi d’arredo e cultuali simili può

essere spiegata con l’appartenenza dei costruttori ad un medesimo milieu culturale, in un complesso

intreccio di tradizioni antiche cananee con nuove egee, cui non dovevano essere estranei influssi

levantini. L’integrazione delle aree di culto all’interno del tessuto urbano si può spiegare con

l’emergere di nuove forme di religiosità cittadina, che videro affiancate, attività cultuali ed attività

quotidiane. Una connessione permarrà nelle fasi successive, come testimoniato in ambito filisteo ad

Ekron nel VII secolo od in Fenicia a Sarepta. L’origine parallela in area egea e vicino orientale è

stata ipotizzata per i kernoi, conosciuti già nel AB e nel MB nel Levante, nel TB hanno una grande

fortuna nell’Egeo e successivamente in area palestinese. Il legame con Cipro è rafforzato dalla

presenza di maschere antropomorfe e zoomorfe che in Fenicia vengono trovate anche in contesti

funerari. Nella coroplastica, gli influssi egei convivono con le tradizioni cananee. La cultura

materiale filistea mostra caratteri assai eterogenei, essendosi formata già nel corso della fase finale

del TB per il confluire ed il mescolarsi di elementi cananei, egiziani, ed egei. Questi ultimi,

interlocutori economici e culturali già da secoli, diventano parte integrante del mondo vicino-

orientale, ricoprendo un nuovo ruolo all’interno dello sviluppo regionale delle culture palestinesi

del FI.

La realtà del villaggio ed i locali di culto: alcuni insediamenti come Hazor, vengono ridotti, da

capoluoghi regionali, a piccoli villaggi. Il centro rurale è tipico del periodo con la nascita di villaggi

sorti ex novo nelle zone collinari palestinesi. L’attività di culto si svolge entro vani domestici non

architettonicamente connotati ma definiti cultuali in base al tipo di reperti rinvenuti. Quindi

l’attività religiosa non aveva impegno pubblico e si svolgeva nel quotidiano degli abitanti. Hazor ha

restituito allo strato XI della fine dell’XI secolo, la stanza 3283, dove, sotto il pavimento, era

nascosta una giara con bronzetto imberbe e mano forata, lame di asce e punte di freccia,

identificandolo così come dio guerriero. La pratica è attestata anche ad ‘Ai, villaggio di nuova

fondazione del FI, riconosciuto per la caratteristica cultuale della ceramica ivi rinvenuta, come a

Khirbet Raddana, dove al di sopra di una piattaforma erano due supporti con offerte votive, sempre

da questa zona un cratere che combina caratteri locali dei crateri poliansati e vasi in stile hittita con

una canna tubolare a livello dell’orlo da cui emergono teste di bue.

Il santuario extraurbano come centro di aggregazione delle comunità delle alte terre: centri

urbani/templi di antica tradizione, villaggi/piccoli vani domestici, la novità fu nel santuario

extraurbano. L’alternatività è evidente nella collocazione topografica e nell’originalità delle formule

architettoniche adottate, rispondenti ad una popolazione sparsa sul territorio ed etnicamente

eterogenea. Il centro della regione è il centro della comunità che la occupa. L’impresa architettonica

mostra anche un certo impegno economico, come se nella città fosse venuta meno la possibilità di

sostenere determinate spese e la popolazione dei villaggi si organizzasse in qualche forma di

congregazione per realizzare un’impresa d’interesse comune. Le evidenze archeologiche lasciano

anche ipotizzare un qualche tipo di normativa unitaria. Il primo monumento è il cosiddetto Bull

Site, dalla statuina di toro rinvenuta presso il muro occidentale del recinto. L’altura si trova nei

pressi di Samaria, nel territorio di Manasseh, si tratta di un’area all’aperto chiusa da un recinto di

forma circolare irregolare. I reperti sono scarsissimi ed in base al testo biblico che recita “presente

in ogni collina e sotto ogni albero frondoso”, lo scopritore, Mazar, la interpretò come bamah, o area

sacra aperta. Il bronzetto taurino ha confronti sia con FI che TB e la sua simbologia è molto

complessa, il culto del toro può relazionarsi sia alla divinità in senso stretto che come suo attributo o

compagno, ed è ben radicato nella cultura cananea cui è accompagnato al dio della tempesta Ba’al.

Tuttavia, il suo rinvenimento in territorio samaritano e l’esistenza a Sichem del santuario di El-

Berit, potrebbe far anche pensare al dio El. Una struttura più articolata è quella ritrovata sul pendio

nord-est del Monte Ebal a nord della valle di Sichem. Si tratta di una grande area recintata con

doppia cinta muraria, del recinto interno sono state individuate due fasi, entrambe del FI. Della

prima fase resti di murature sono riferibili ad un recinto che racchiudeva una larga corte, nel mezzo

della quale si trova un’installazione cultuale rotonda, all’esterno, alcune strutture sono state

interpretate come abitative. Nella seconda fase furono realizzati lavori per la creazione di un

complesso monumentale che aveva il suo fulcro nello spazio superiore dell’area che venne

recintato. L’edificio principale era una grande terrazza rettangolare edificata con grosse pietre.

Sembra mancare di una qualsiasi forma d’ingresso ed aveva gli angoli orientati secondo i punti

cardinali. La seconda fase è datata alla prima metà del XII secolo e l’abbandono senza distruzione

intorno al 1130. Secondo Zertal, il suo scopritore, l’area, un’ampia terrazza-altare con struttura

centrale usata come altare per sacrifici, era area sacra centrale supertribale se non nazionale per

l’intera confederazione tribale associata all’altare di tradizione biblica eretto a Monte Ebal, sarebbe

il primo centro religioso degli israeliti abbandonato in seguito alla creazione del santuario

supertribale di Shilo, nei resti faunistici di animali giovani e maschi, bruciati all’aperto e tagliati

vicino alle giunture, ritenuti puri, vedrebbe una conformità con il giudeo mizvot del periodo del

Secondo Tempio. Altri studiosi hanno posizioni più caute, altri sono dubbiosi o contrari, altri ancora

hanno proposto funzioni alternative tipo quella militare per cui l’altare sarebbe una torre di

avvistamento del tipo attestato a Giloh.

Oggetti di culto e strumenti per il culto: i supporti cultuali: le pratiche rituali all’interno dei vari

contesti sono poco note, tuttavia, esiste una categoria di oggetti che per singolarità della forma ed

interpretazione del loro uso all’interno delle cerimonie, meritano una trattazione specifica, si tratta

dei supporti cultuali o cult stands. Questi oggetti, incensieri o meglio bruciaprofumi, sono

riccamente decorati, attestati anche nel II millennio, ebbero particolare fortuna tra XII ed XI secolo.

Dal punto di vista decorativo rientrano in due categorie: dipinti, nella regione costiera e nelle valli

settentrionali e con decorazione a rilievo ed incisa. L’abbondanza dei supporti cultuali è uno dei

tratti distintivi del FI in Palestina e delle forme di attività rituale di questo periodo. I supporti

cultuali di Beth-Shean provengono dall’area sacra del Tempio Sud e da contesti ignoti, la forma ha

l’aspetto di un edificio, la ricca decorazione è sia dipinta che applicata, peculiare il motivo del/dei

serpente/i che avvolgendo il supporto tocca/no il becco di una colomba che si affaccia da aperture

praticate nel vaso, la raffigurazione richiama motivi cananei e viene interpretata come divinità

femminile legata al tema della fertilità. A Ta’anach, due supporti cultuali sono generalmente

inquadrati nel X secolo, si riferiscono ad una medesima tradizione sia per quanto riguarda la

tipologia che la stessa formula iconografica e decorativa. Per la funzione, si ipotizza il supporto a

coppe per offerte e libagioni, o per la statua della divinità, opinione diffusa è che rappresentassero

un tempio contenente l’immagine della divinità e quindi un modellino di santuario. L’ingresso del

tempio era custodito da figure mitologiche ed il tempio, secondo confronti con la “Signora degli

animali”, forse erede della Athiratu ugaritica, era dedicato ad Asherah, operante a fianco di Yahweh

nella fase pre-esilica. Della tipologia dei supporti decorati è anche l’incensiere con musici da

Ashdod, immagini di musici sono rare ma un confronto si ha con la Orpheus Jug dove l’unità

narrativa della rappresentazione richiama l’illustrazione di un mito ben preciso. Sempre tipo di

supporto cultuale, il vaso ritrovato nello strato XIV della città di David a Gerusalemme.

Dèi, uomini e animali: le immagini dei sigilli e della coroplastica: forme ed iconografie dei supporti

cultuali di XI-X secolo, sono evidenti i legami con Siria, Anatolia, ambito hittita e del medio

Eufrate, a testimonianza dell’apertura della Palestina del I millennio. I legami con la tradizione

siriana ed egiziana risalgono fin al MB, quando divinità locali ed eroi mitici furono rappresentati

nella glittica e nella scultura palestinese in forme egittizzanti e siriane. La religiosità dell’età del

Ferro, grazie alla forte conservatività iconografica e stilistica della bronzistica del XII-XI secolo, è

prova dell’attività delle ultime botteghe del TB palestinese e della resa iconografica di divinità dalle

vecchie forme e nuovi nomi. Per l’influsso egiziano, notevoli testimonianze le abbiamo grazie alla

glittica, continuando come ricco campionario per la classe politica locale anche dopo il ritiro

dell’Egitto dalla regione. Tra XII-XI secolo le iconografie egiziane vengono in parte modificate con

tendenza all’elaborazione autonoma di un’originale simbologia e scomparsa di alcune immagini in

uso nel TB dal repertorio egiziano. Nei sigilli e negli amuleti tendono a scomparire le raffigurazioni

di divinità femminili, sopravvivono le immagini legate al tema della fertilità reso attraverso forme

simboliche. In ambito urbano, la forte impronta egiziana, pare indicare che l’elite cittadina era

orientata verso un sistema di simboli provenienti dalla valle del Nilo. In ambito extraurbano

sopravvivono elementi della cultura cananea. In città, è nelle classi meno elevate che sopravvive la

tradizione locale, come per le “placchette di Astarte”, o statuine di terracotta raffiguranti la figura

femminile nuda senza attributi. Connesse ai culti della fertilità del mondo cananeo,

rappresenterebbero Astarte o Ishtar per alcuni, per altri, dedicanti che richiedevano la protezione nel

matrimonio, gravidanza, parto. Le placche del FI vengono usate soprattutto in ambito urbano e

cerimonie di devozione privata praticata dalle donne. Nell’ultima fase del FI, nel corso del X

secolo, cominciano a delinearsi nuove tendenze, la modificazione di motivi iconografici noti e

l’introduzione di nuove immagini, a testimonianza dell’emersione di forme di organizzazione

politica ed amministrativa assai diverse, si afferma sempre di più la tendenza alla rappresentazione

non antropomorfa della divinità, gli déi sono rappresentati attraverso il loro attributo o entità

sostitute. La produzione glittica locale si allineerà a queste tendenze, con raffigurazioni di attributi o

simboli divini. La scuola iconografica di Fribourg individua in alcuni animali gli attributi di

specifiche divinità ed in alcune scene l’illustrazione di miti, l’approccio iconografico tuttavia è

limitato, gli attributi tendono ad essere polifunzionali e cambiano a seconda del contesto

cronologico e regionale, rintracciare i nomi di divinità sia nella raffigurazione antropomorfa che,

ancor più, nella resa simbolica, è impresa difficile. Questo problema è tanto più forte e dibattuto

nella divinità femminile, la raffigurazione antropomorfa infatti, permane nelle terrecotte del X

secolo, ma a dispetto della conservatività del genere, fu interessata da innovazioni. Emergono i tipi

a tutto tondo ed il motivo della donna che suona il tamburello, l’immagine della dea sarebbe

sostituita con quella di una partecipante al culto, seguendo la tendenza del periodo alla

rappresentazione non antropomorfa della divinità.

Ferro IIA-IIB: il primato del regno settentrionale ed il lento sviluppo della Giudea:

dalla seconda metà del X secolo in area palestinese maturano le condizioni che, attraverso la

centralizzazione politica, economica e religiosa, porteranno alla riorganizzazione delle diverse

componenti, cittadina, tribale, contadina sotto la guida di un rinato istituto monarchico. Le radici

sono nell’incremento della produzione agricola, nello sviluppo dei contatti tra aree collinari e

pianure e nei commerci tra regioni, esiti del variegato panorama economico e politico dei secoli XII

e X. Il riaffermarsi dell’istituto monarchico rispose ad esigenze amministrative nuove, che

riunissero una popolazione socialmente ed etnicamente eterogenea. La “tarda fioritura cananea”

della Palestina settentrionale si compì definitivamente solo nel IX secolo. Il passaggio al IX secolo

è segnato da una serie di distruzioni tradizionalmente attribuite al faraone Sheshonq ma che

comunque coincidono con un cambiamento nella cultura materiale del paese. I popoli degli

altipiani, demograficamente cresciuti e culturalmente uniti rappresentarono una nuova forza vitale

dell’area. Molti piccoli villaggi furono abbandonati e confluirono in centri di dimensioni maggiori

che si trasformarono in città fortificate. La città assume un ruolo primario in seguito all’affermarsi

di un modello insediativo gerarchico con capitali, centri regionali, villaggi, fattorie e fortezze poste

a controllo delle vie carovaniere. Il processo di pianificazione urbana e di monumentalizzazione è

stato posto in relazione con l’attività del re costruttore Salomone ma che con la cronologia bassa si

colloca nel IX secolo. La nuova formula urbana, diffusa anche in area siro-anatolica, si basava sulla

cittadella, all’interno della quale si concentravano il complesso palatino e strutture come stalle,

silos, granai ed imponenti sistemi idrici. All’interno del territorio palestinese convivono realtà che si

intrecciano in relazioni pacifiche e conflittuali, la cui fine sarà decretata dall’avvento assiro, tra i

conflitti l’archeologia evidenzia quello tra Aram ed Israele che portò Aram a controllare tra l’835 e

l’800 la valle dell’alto Giordano ed alcune importanti zone della regione israelita. La cultura

materiale del periodo riflette il frazionamento politico, con la parte settentrionale del paese

economicamente e culturalmente orientata verso l’area fenicia e siriana e la parte meridionale

politicamente e culturalmente più isolata.

La corte di Samaria ed il suo sistema di simboli: il regno d’Israele è dunque uno stato egemone e

dinamico grazie alla sua economia fiorente ed alle intense relazioni politiche e commerciali con i

regni aramaici di Siria e con quelli fenici della costa. Alla dinastia degli Omridi (re Omri ed Achab)

si fanno risalire le intense attività edilizie e la fondazione della capitale a Samaria. La nuova

capitale del regno era in posizione strategica tra Gerusalemme e Damasco e la valle del Giordano e

la costa. Proprio per soddisfare le esigenze delle corti levantine si era sviluppato nel IX secolo un

circuito commerciale di prodotti di lusso ed allusivi al prestigio ed al potere che favorì la fioritura

delle arti minori, con botteghe e centri specializzati cui dovettero rivolgersi i sovrani di Samaria.

Questi, commissionarono gli arredi suntuari rinvenuti nell’Edificio degli Avori e che rappresentano

l’unico strumento per indagare il mondo spirituale della corte samaritana dipinta dalla Bibbia come

baalista e filofenicia. Il repertorio iconografico usato a corte è evidentemente pagano, con la ripresa

di motivi egittizzanti. Queste immagini dovevano riflettere una religiosità lontana ma nota da

millenni in cui è evidente la stratificazione semantica come adeguamento della corte ad una

tendenza culturale del periodo. L’elite palatina riconosceva questo repertorio standardizzato, grazie

anche alla mobilità culturale e sociale, quale è l’ambito dei matrimoni dinastici. A fianco della

residenza reale deve essere stato costruito il tempio della divinità dinastica, sepolto oggi

probabilmente dalle strutture di età ellenistica e romana. La capitale Samaria aveva un suo santuario

o il luogo di culto più importante continuava ad essere quello di Dan?

La città di Dan: il percorso “sacro” dalla porta alla terrazza di culto: nell’835 il regno di Aram-

Damasco conquista Israele, l’alta valle del Giordano e la regione nord-orientale del paese furono

politicamente e culturalmente dominati dagli aramei, i centri in cui l’influsso fu maggiore furono

Hazor, Dan e Bethsaida. Dan si trova nella parte settentrionale della valle di Hula, al confine con il

regno di Aram, fu uno dei maggiori centri economici, religiosi e politici della regione. La città, tra

fine IX ed VIII secolo fu dotata di un imponente sistema di fortificazioni ed ingresso monumentale.

La sacralità del centro si percepisce già dalla collocazione, all’interno della porta bassa, di

un’installazione cultuale, strettamente connessa alla via processionale della strada che collegava la

porta inferiore a quella superiore. L’assetto generale della porta con il canopo e la piattaforma

sembrano sconosciuti all’ambiente israelitico e giudaico e rimandano a quello aramaico. Il ruolo

della porta di Dan fu anche cerimoniale, visto che verso la metà del IX secolo vi fu eretta una stele

scritta in aramaico per celebrare la vittoria di un re di Damasco sulla città. Sul versante nord-

occidentale del sito agli inizi del IX secolo, si inizia la costruzione di un centro di culto la cui

importanza è testimoniata dall’uso fino ad età ellenistica e romana. Il complesso nella sua prima

fase, agli inizi del IX secolo, vede la costruzione di un recinto che racchiudeva ambienti chiusi e

spazi aperti, la parte più importante del santuario era costituita da una massiccia struttura costruita

in blocchi di travertino e posta nella parte settentrionale del recinto. La parte meridionale fu

denominata Bamah A, attorno alla corte erano diverse installazioni cultuali la più notevole delle

quali era una fondazione di forma quadrangolare, forse la base di un grande altare. Una serie di altre

installazioni comprendeva magazzini coperti, una corte acciottolata ed una installazione produttiva

per la produzione di olio, le statuine frammentarie, in faience, di iconografia egiziana, ritrovate

all’interno delle giare e dei bacini vanno interpretati come oggetti di uso cultuale. Nella parte

meridionale del complesso fu individuato un piccolo bacino rettangolare ed una grande vasca in

terracotta con sedile. Intorno alla metà del IX secolo il santuario fu distrutto probabilmente in

seguito agli attacchi degli Aramei di Damasco. Quando fu ricostruito, il podio, Bamah B, fu

ampliato. Dopo la cacciata degli Aramei dalla zona settentrionale del regno e la ripresa del potere da

parte di Geroboamo II il santuario vide un momento di ripresa e restauri. Di questo periodo è una

porzione di altare a forma di corno ed un altare in pietra del tipo detto “a corna”, oltre ad una serie

di ambienti disposti su un unico allineamento, forse ausiliari. La “stanza dell’altare” a sud-ovest del

podio ha restituito tracce di bruciato sulla superficie superiore, la testa di uno scettro in bronzo e

materiali connessi all’uso dell’altare per sacrifici animali. La fine di questa fase si connette con il

momento di distruzione del sito intorno al 732 con l’arrivo degli assiri. Il complesso architettonico

di Dan fu un grande santuario con nucleo centrale dal possente podio con il tempio e strutture

funzionali alle attività cultuali. Difficile stabilire le modalità di accesso da parte dei fedeli.

I luoghi di culto alla porta tra antiche tradizioni e rinnovati influssi aramaici: a partire dal MB la

porta aveva assunto all’interno del panorama urbano delle città palestinesi un ruolo centrale come

luogo di passaggio, di mercato ed aggregazione della comunità, a livello simbolico indicava il

passaggio tra due mondi, quello esterno e quello interno alla città. Nel nuovo processo di

urbanizzazione nel corso del IX secolo, ebbe una forte connotazione la costruzione di cinte

fortificate con porte a sei vani, cui non dovettero essere estranei gli influssi di area aramaica. Nel

nord della Palestina esempi di questa tradizione si hanno a Megiddo VA con il Locus 2160, ed a Tell

el-‘Ureyme, a nord-est del lago di Tiberiade, dove, dietro un pilastro interno della porta urbica

dell’VIII secolo, è stata trovata una piattaforma nelle cui vicinanze fu scoperto un incensiere ed un

cucchiaio per incenso di origine aramaica. Anche nella meridionale Beer-Sheba V l’accesso alla

porta era protetto da un avancorpo e nella nicchia tra la torre e la tenaglia è stata messa in luce una

struttura arrotondata interpretata come base di podio di culto. Tell el-Far’ah Nord, la biblica Tirzah,

la città più importante della regione prima della fondazione di Samaria, visse nel IX secolo, un

periodo di particolare sviluppo, con uno schema insediamentale a griglia regolare cinto da

fortificazioni che, risalenti al MB, furono restaurate in questo periodo. Nel IX secolo, in asse con

l’ingresso est si trovava un bacino ed una base di pietra di forma squadrata che fu interpretata come

parte di una stele grazie a confronti con Ta’anach ed Arad. Un riesame della stratigrafia ha proposto

che si trattasse di un impianto per la lavorazione delle olive da attribuirsi alla fase successiva di VII

secolo, possibile che il monolite fosse una stele sconsacrata collocata tra X e IX secolo presso la

porta della città. La sacralità del passaggio è ben attestata a Tell el-Bethsaida, città sulla riva nord-

orientale del lago di Tiberiade all’imboccatura del Giordano, che nel IX secolo rientrò nel piano di

ristrutturazione dei centri israeliti di confine da parte di Damasco, e fu circondata da un massiccio

muro di fortificazione e dotata di una porta a quattro vani. Nel livello 5, in una nicchia della torre fu

trovata un’installazione cultuale denominata dallo scavatore “alto luogo” costituita da un podio cui

si accedeva tramite due gradini, sul podio era collocata una stele decorata, un bacino rettangolare

con una depressione ed una cavità poco profonda. Nella nicchia della torre meridionale fu messo in

luce uno scaffale a circa 90 cm al di sopra del pavimento della corte, la destinazione cultuale,

doveva estendersi a comprendere lo spazio immediatamente all’interno ed all’esterno del passaggio.

La stele decorata, ritrovata rotta in 5 pezzi, aveva un’immagine zoomorfa stilizzata formata da una

sorta di palo, da cui si dipartivano degli arti concavi rivolti verso il basso e la cui sommità

terminava con la testa di un toro con grandi corna, la figura portava una spada la cui lama era

sormontata da un disco quadripartito o da una rosetta; l’immagine, deriverebbe da un’antica

iconografia del dio Luna di Harran che vedeva il toro associato al crescente lunare, confronti si

hanno in area siriana ed anatolica. Potrebbe anche riferirsi ad una manifestazione locale del dio

della tempesta Hadad o che le due divinità erano rappresentate contemporaneamente.

La crisi del tempio cittadino e i vani di culto in ambienti domestici: la zona settentrionale della

Palestina è in questo momento politicamente vitale ed economicamente florida. Samaria e Dan

erano i due poli religiosi di rilevanza nazionale in contesti di tipo urbano. Nel resto del paese, cioè

Gerusalemme, la documentazione di X-IX secolo è scarsa, la città doveva essere una roccaforte

collinare in cui gran parte del suo spazio urbano era occupato dalla cittadella di Sion e dal millo, il

terrazzamento ritrovato sul fianco della collina dell’Ofel. Il territorio circostante doveva essere

costellato da villaggi ad economia agricola e pastorale e centri di dimensioni maggiori dalle

funzioni specifiche, militari ed amministrative, un grande impegno fu profuso nella ricostruzione di

alcuni importanti centri urbani e nella costruzione di edifici pubblici tra cui mancano quelli di culto.

I grandi templi di Sichem e Megiddo, ancora in uso nel FI, perdono la loro funzione di complessi

cultuali e vengono utilizzati a scopi diversi. A prescindere dal tempio sede ufficiale della divinità

nazionale, in ambito urbano nel IX secolo, sono attestati ambienti, definiti Cult Rooms in cui la

presenza di oggetti collegabili ad attività di culto, li rende interpretabili come templi o santuari. La

Megiddo dello strato VA nella prima metà del IX secolo, restituisce testimonianze di pratiche

cultuali da abitazioni private, una di queste, forse la casa del governatore, ha riportato alla luce una

serie di oggetti in situ, come altari a corna, supporti in ceramica ed in calcare, calici, massebah, che

hanno lasciato ipotizzare o la funzione di vano-ripostiglio per gli arredi di culto o come luogo

cerimoniale riservato ad un pubblico ristretto. Spazi dedicati alla semplice conservazione degli

strumenti rituali è già attestata nel Building 10 di Megiddo. Alla metà del IX secolo il santuario di

Dan rappresenta l’unica struttura di culto pubblica. La lettura funzionale degli oggetti come

strumenti di culto e non oggetti di prestigio è resa ancora più problematica dalla collocazione

contestuale all’interno di vani di passaggio, così come è per i due vani cultuali di Ta’anach, città che

sorgeva in posizione strategica lungo un importante asse di collegamento viario e che rivestì un

ruolo rilevante durante l’età del Ferro. Al IX secolo si data un quartiere abitativo al centro del

settore meridionale del sito, qui, negli ambienti detti Room 1 e 2, scavi austriaci rinvennero oggetti

da correlare ad attività cultuali. Un bacino delimitato da lastre, rinvenuto da Sellin nel 1902, fu

interpretato come pressa per olive, poi, il rinvenimento di una grande lastra, collocata all’interno del

bacino stesso ed interpretata come massebah, lo identificò definitivamente come struttura di culto,

tuttavia, i vani ed il cortile, non direttamente destinati allo svolgimento di pratiche rituali ma

annessi ad un santuario come quelli del temenos di Dan, furono anche interpretati come magazzini

di un’abitazione privata dalla particolare funzione di luogo di culto. Il materiale di Megiddo 2081 e

di Ta’anach trova confronti precisi con quello di Lachish V, unico luogo di culto rinvenuto in area

giudaica databile al IX secolo. La città, capoluogo della Shefelah, ospita tra la fine del X e gli inizi

del IX secolo, all’interno di un’area che in età persiana-ellenistica avrà una destinazione cultuale, un

edificio che conteneva reperti riferibili alla sfera del culto, la Cult Room 49. La piccola stanza, che

si appoggiava ad un muro di terrazzamento, aveva ai tre lati banchette di pietra intonacate, su queste

e sull’ingresso erano diversi reperti: altare a corna, brocche, calici, lucerne, coppe, pentole. Il

materiale, in base alla disposizione ed alle dimensioni della stanza, doveva essere qui custodito.

Anche in centri minori come ‘En Gev III, Tell el-Sa’idiyeh VIII, Tell Halif, Tell el-Far’ah Nord e

Tell Michal, forme di culto erano praticate in contesti domestici. In particolare, a Tell Michal, sono

emersi resti di strutture cultuali su tre delle cinque collinette che formavano l’insediamento del X

secolo, Herzog, ha ipotizzato che fossero usate contemporaneamente come sacelli di famiglia da

parte degli abitanti del Tell.

Immagini divine come simboli di prestigio sociale: a parte la piccola bronzistica figurata ed il

frammento di statua in terracotta di Dan, non sono rimaste testimonianze di statue o immagini di

culto, a meno che fossero in materiale deperibile. Sull’indicazione delle divinità adorate tuttavia, la

glittica e la coroplastica ci consentono delle riflessioni. La glittica circolò nel IX secolo grazie

all’affermazione di alcune categorie di personale amministrativo e militare che divenne il perno su

cui ruotava il nuovo sistema politico riorganizzato intorno alla figura del monarca, le esigenze delle

classi degli alti ufficiali e degli amministratori di nomina palatina vennero soddisfatte da botteghe

di incisori che produssero sigilli quasi identici a quelli dell’area fenicia ed aramaica, distinguibili da

questi a volte solo se presente l’iscrizione. Il repertorio iconografico è costituito da immagini

tradizionali quali il “Signore degli Struzzi” ed il “Signore dei Capridi” ed immagini nuove

d’influenza egiziana. La ripetizione seriale ed il processo di standardizzazione mitigarono il valore

religioso di molte figure, la scelta ricadde soprattutto su motivi apotropaici come l’occhio di Horus

e Bes ed i simboli solari, diffusi comunque in tutta l’area levantina. Queste iconografie erano legate

alla regalità, come è evidente dal disco solare e scarabeo alati nei sigilli lmlk, appartenenti al re.

Le figurine a pilastro: quale divinità?: la coroplastica ci aiuta ad indagare aspetti meno ufficiali della

religione. Oltre alle iconografie tradizionali come la divinità femminile nella posizione frontale con

mani ai seni o lungo i fianchi, si trovano figure femminili che esaltano l’aspetto della maternità

essendo raffigurate con in braccio o al seno un bambino. Tra la popolazione giudea circolava la

figurina fittile a pilastro “Judean Pillar Figurine”, la cui produzione si inquadra tra VIII e VI secolo,

plasmate con tecnica mista, a mano ed a stampo, si presentava con una capigliatura a casco con fitti

riccioli di tipo egittizzante. Provengono da contesti domestici privati e da tombe, sono scarsamente

attestate fuori dell’area giudaica, in singoli esemplari anche da contesti palatini, mentre sono assenti

nei pochi contesti cultuali noti di questo periodo. Nella Giudea considerata diffusamente

monoteista, queste forme di culto definite popolari e non ufficiali, si ritrovano in abitazioni ma mai

associate ad altari, supporti ceramici e simili, il dibattito ruota attorno alla loro probabile

identificazione con Asherah, tuttavia, l’assenza di rapporto diretto tra immagini e fonti scritte lascia

per ora semplicemente ipotizzare che si trattasse di una divinità femminile tutelare della casa e del

riposo eterno.

Le tradizioni costiere e la “scomparsa” dei Filistei: fino al FI l’area costiera mantiene la sua

specificità culturale di impronta egea, dal IX secolo l’archeologia non testimonia più la peculiarità

filistea rispetto al panorama palestinese e si è detto che i Filistei furono assimilati dalle popolazioni

locali. Meglio però ipotizzare la graduale trasformazione dei caratteri culturali di una popolazione

urbana costiera, con la perdita o l’attenuarsi della “patina egea”, la spiegazione non descrive tuttavia

la reale entità della trasformazione culturale di cui furono protagonisti i centri filistei tra IX e VII

secolo. Per l’aspetto religioso ad esempio, poco si conosce sia dell’architettura religiosa che delle

divinità adorate, non riuscendo ad evidenziare la presenza di credenze formatesi lungo le coste della

Palestina tra XII e X secolo dall’incontro delle componenti egee e quelle della costa siro-

palestinese. Gli indizi dell’esistenza nel FII di un’identità culturale filistea si ricavano dalle fonti

scritte, dalla Bibbia ai testi neoassiri dove la Filistea ed i suoi centri maggiori sono descritti come

unità politiche e culturali autonome. A parte la continuità d’uso del tempio di Qasile, l’unico

edificio di culto dell’area filistea costiera è quello venuto alla luce nello strato VIII di Ashdod,

fiorente nell’VIII secolo. Nella città bassa si trovava un complesso di ambienti con diverse funzioni:

immagazzinamento e vani cultuali. Il nucleo principale delle attività religiose era il Vano 1010 di

forma irregolare, nell’angolo nord-occidentale si trovava un’apertura che portava alla stanza 1003

di forma rettangolare. Connessi alle attività cultuali svolte nella parte meridionale del complesso

erano il Podio 1025 e la Favissa 1004. Dopo la distruzione della fine dell’VIII secolo il complesso

edilizio non fu ricostruito e l’area occupata da pozzi. Ashdod mostra che alcune usanze provenienti

dalla locale tradizione dei secoli finali del II millennio, perdurarono, carattere tipicamente filisteo è

l’inserimento del culto all’interno del tessuto urbano e nelle vicinanze di un’area produttiva e

l’usanza di impiegare nei rituali religiosi kernoi e rytha, per il resto della documentazione materiale

i richiami rimandano ad area palestinese, la coroplastica in particolare ne condivide in pieno i

motivi iconografici. Statue di culto nei centri di Gaza, Ashdod e Ashkelon sono testimoniate da due

lastre, una da Nimrud e l’altra da Ninive in cui gli assiri raffigurano la presa di Gaza e di Ashkelon

con il bottino costituito da quattro statue e portato in spalla dall’esercito assiro.

I culti extraurbani: santuari rurali, di frontiera e di confine: testimonianze relative ad edifici di culto

sono scarse in area palestinese, tuttavia, i centri urbani erano i fulcri dell’aggregazione territoriale

ed ospitavano le sedi delle principali istituzioni pubbliche del paese. Al di fuori delle mura cittadine,

altrettanto poco noti sono i rituali praticati, tuttavia, decaduta la necessità di collocare al centro del

territorio del paese un edificio che fungesse da punto di aggregazione della popolazione, come era

stato per il XII-XI secolo, manifestazioni di culto dovevano essere svolte in aree aperte forse

utilizzando oggetti d’uso quotidiano. La collocazione extraurbana del luogo di culto sembra

rispecchiare una scelta cosciente di semplice necessità alternativa alla locazione cittadina. Fin dal X

secolo, l’extraurbanità assunse il carattere di rapporto personale con la divinità, senza bisogno di

mediazione della classe sacerdotale, connotandosi così con semplicità, riflessa nei luoghi costituiti

forse da soli altari. La critica dei redattori biblici rifletterebbe l’espressione sacerdotale contro

queste forme di culto. Tra IX e VII secolo si afferma il fenomeno dell’architettura sacra extraurbana

detta “di frontiera” o “di confine”. La dimensione commerciale del paese fortemente dinamica

comportò l’allargamento dei confini, con conseguente incontro di genti diverse, questi spazi

extraurbani ed extraterritoriali sacri documentano forme di sincretismo religioso, si tratta per lo più

di santuari edificati entro fortezze, in cui la volontà di controllo della sfera cultuale è ancora

marcata, e caravanserragli, luoghi di passaggio e di commercio e di confine ideologico. Per il

tempio fortezza si ha un esempio a Beer-Sheba, città provinciale pianificata, qui, lo strato II ha

restituito pietre ben squadrate, parti di un altare a corna, riutilizzate all’interno di uno dei muri del

magazzino di Beer-Sheba II. Lo smantellamento e la sconsacrazione di questo luogo di culto

potrebbe essere la testimonianza delle riforme dei re giudei e del progressivo accentramento del

culto a Gerusalemme. Per il culto entro caravanserraglio un’importante testimonianza è a Kuntillet

‘Ajrud al confine del territorio giudaico, sulla strada che da Gaza portava a Rafah ed al Golfo di

Elath e al Sinai. I resti di due edifici divisi da un’ampia corte sono su un altopiano nella parte

settentrionale della penisola del Sinai. L’edificio principale aveva l’aspetto di una grande struttura

rettangolare, appena entrati è un ambiente di forma stretta ed allungata, diviso in due ali, a fianco di

quella nord una stanza rivestita di intonaco decorato e con numerose iscrizioni, a sud ed ad ovest

della grande corte centrale, due vani lunghi con funzione di magazzino contenevano pithoi e giare

di conservazione. L’ambiente a due ali vicino all’ingresso ha restituito due pithoi iscritti e decorati

con motivi vari e diverse coppe in pietra, offerte votive che, dopo essere state deposte sulle

banchette, venivano trasferite all’interno della stanza. Confronti tipologici hanno permesso di

datarli intorno all’800 ed analisi chimiche ne hanno identificato come luogo di provenienza

Gerusalemme, i due grandi pithoi (A e B) sono tuttora oggetto di controversa interpretazione,

realizzati da tre mani, furono deposti privi di iscrizioni e decorati in momenti diversi, manca

evidentemente la coerenza compositiva. Il pithos A in particolare, rende difficile sia la definizione

del sesso dei due soggetti rappresentati, che la loro identificazione (Yahweh e Asherah come

rimanderebbe l’iscrizione) che il loro rapporto con l’arpista/divinità/re in alto. Il pithos B invece, di

più facile lettura, riporta una processione di uomini come confermato dai nomi presenti sulle giare.

Anche le pitture parietali frammentarie non destano particolare problemi d’interpretazione, con

evidenti richiami sia alle coppe fenicio-cipriote che a tematiche assire ed egiziane. Nell’insieme il

complesso evidenzia che l’inserimento della Palestina tra IX ed VIII secolo, nell’allargato orizzonte

commerciale del Levante, comportò la somma di diversi caratteri e la polifunzionalità di questi

luoghi di culto, l’aspetto religioso forse non era totalmente lasciato alla libera iniziativa dei

visitatori, ma non si registra nemmeno la presenza di una classe sacerdotale dirigente delle pratiche

rituali, le diverse forme di credo convivono in modo più o meno libero, affiancando, Yahweh a Bes,

dio minore del pantheon egiziano scelto forse per la forte valenza apotropaica della sua immagine.

I regni tribali della Transgiordania: anche i gruppi ad est del Giordano come quelli della

Cisgiordania, si organizzarono dal IX secolo in stati nazionali con a capo un sovrano, “regni tribali”

con caratteri locali in cui il sovrano era il capo di una comunità formata da un insieme di tribù che

sotto un’unica autorità mantenevano spazi di vita autonomi. I sovrani si allinearono con quanto

avveniva nelle corti degli stati contermini, avvalendosi di un apparato celebrativo che utilizzava

iconografie e stili dell’area siriana ed egiziana. Le antiche tradizioni artistiche costituirono

l’ispirazione per la scultura statuaria tra la fine del IX e gli inizi dell’VIII secolo. La cittadella di

Amman ha riportato alla luce statue che furono prodotte da una scuola di scultura locale che

perpetrò la sua attività anche dopo la conquista assira, la statuaria ammonita riproduce immagini di

divinità e sovrani defunti, con chiaro riferimento ad un’antica tradizione siriana. I re ammoniti

adotteranno la corona egiziana atef come attributo regale. La stele di Shihan riflette la grande

varietà d’influssi che raggiunse l’area transgiordanica in queste fasi cronologiche.

Ferro IIC: la conquista assira tra deculturazione e pax assyriaca : l’intervento militare

della potenza assira e poi quello successivo neo-babilonese portarono alla distruzione degli stati

territoriali-nazionali, intere aree furono depredate, le città distrutte, la popolazione deportata, il

territorio palestinese, al termine delle campagne militari assire, venne riorganizzato ed inserito

all’interno del sistema provinciale assiro. La fine dell’indipendenza dei piccoli regni del Levante,

portò la cosiddetta pax assyriaca, un clima di pace forzata che ebbe come conseguenza un’intensa

ripresa economica della regione. Alcune aree divennero punti di raccolta e transito di prodotti

provenienti da regioni lontane, altre trasformate in zone specializzate nella produzione di beni

particolari. Il clima di pace favorì una certa osmosi culturale determinata da diversi tipi di mobilità

di genti all’interno dell’area, una forzata, dovuta allo spostamento di popolazioni da un confine

all’altro dell’impero a seguito della distruzione di grandi centri, l’altra libera, dovuta alla

circolazione di genti all’interno di un mondo levantino ormai aperto verso terre assai lontane dai

suoi tradizionali e millenari confini. Il modello economico creato dall’impero neo-assiro favorì la

ricerca di materie prime e la produzione di un certo surplus di beni, portando, nel primo quarto del

VII secolo, ad uno sviluppo differenziato delle aree del Levante. Da un lato s’incentivò la crescita

della città basata sui commerci con le aree trans-desertiche e con quelle trans-mediterranee,

dall’altro la crescita di alcune zone agricole. La regione settentrionale interna del paese ad

economia prevalentemente agraria fu quella che risentì maggiormente della perdita

dell’indipendenza politica ed economica con conseguente decadenza culturale. I governatori assiri

ricostruirono le città distrutte ed alcune vennero trasformate in capoluoghi provinciali assiri come

Megiddo e Samaria. Pur se sono scarse le informazioni sul regno d’Israele, fu questo probabilmente

a subire le maggiori deportazioni ed il ripopolamento tramite genti mandate da Babilonia e

dall’Arabia. Unica eccezione a questo silenzio documentario è il centro di Dan, nodo di

collegamento tra Palestina settentrionale e Siria, continuò a rivestire qualche interesse per l’Assiria,

e l’antica area di culto mantenne una sua forma di attività testimoniata da resti di edifici, uno di

questi è stato interpretato come lishkah, termine usato nella Bibbia per indicare un vano all’interno

del recinto del tempio, sala per le assemblee o tempio sussidiario.

Samaria ed il deposito votivo E207: testimonianza dei culti praticati dalla popolazione etnicamente

eterogenea nella Palestina interna settentrionale di VII secolo è la struttura E207 rinvenuta extra

moenia a Samaria. L’area, di 30x26m, è di forma trapezoidale con gli angoli arrotondati, qui sono

state rinvenute moltissime ceramiche in frammenti di tipo cultuale e figurine fittili di cavalieri a

cavallo, donne con bambino, figurine a pilastro, animali. I confronti sono con la Cave I di

Gerusalemme di dubbia interpretazione. Studi recenti lo datano tra la fine dell’VIII secolo e la

prima metà del VII. La collocazione topografica e la vicinanza con un’area sepolcrale lo ha fatto

leggere come luogo di pratiche rituali connesse con le cerimonie funerarie, oltre alla interpretazione

del sito è controversa anche l’analisi delle figurine a cavallo, che compaiono proprio dal FIIC.

La politica religiosa dei conquistatori e la diffusione della simbologia astrale: le deportazioni e lo

spopolamento della regione comportarono una progressiva crisi di identità culturale, dovuta alla

fine delle dinastie locali e all’influenza assira sui centri cittadini, il collasso della monarchia

israelitica portò con sé la crisi del sistema di simboli da essa adottato per la celebrazione della

propria potenza, segno dell’indissolubile legame tra sovrano e dio nazionale. Le città capoluogo di

provincia dovettero accogliere probabilmente divinità e santuari dei conquistatori, anche se le

uniche testimonianze si trovano in area filistea e transgiordanica. Gli elementi di acculturazione

archeologicamente evidenti sono limitati agli aspetti ufficiali dell’architettura monumentale palatina

ed alla glittica importata, che testimoniano un coinvolgimento percepibile solo ai livelli più alti

della scala sociale, riflesso della marginalità del ruolo svolto dalla religione nella politica di

annessione territoriale assira. Gli edifici di culto collegati alla presenza di persone di provenienza

assira si trovano in località particolarmente coinvolte nei rapporti con l’Assiria. Nel lontano Sinai, il

centro fortificato di Abu Salima dell’VIII secolo al fine di controllare il mercato -karu-, mostra

tracce di costruzioni realizzate secondo tipologie architettoniche e tecniche edilizie di diretta

derivazione assira, nella parte nord-occidentale del forte, una sala di forma rettangolare, per

analogie con edifici assiri, è stata interpretata come tempio. Un impianto sostanzialmente simile si

ha nel centro industriale filisteo di Ekron, qui, intorno al primo quarto del VII secolo, fu costruito

un complesso monumentale con una sala del trono o di ricevimento che dava accesso ad un’area

cultuale. Sul lato sud dell’edificio era stata realizzata una stanza destinata alle attività produttive

connesse al culto come la produzione di olio. I reperti mobili sono in parte connessi alla fase assira

ed in parte alla successiva egiziana. Dal complesso provengono anche tre dei sei ripostigli ritrovati

nel sito di Ekron. L’edificio 650 fu costruito secondo schemi assiri e dedicato da un sovrano dal

nome greco, ‘kys, ad una divinità dal nome non semitico di Ptgyh. A fianco di questa divinità di

origine egea dovevano essere adorati Ba’al ed Asherah oltre a divinità egiziane successive. Questa

tendenza della religiosità locale ad accogliere forme di culto derivanti dalle altre aree si afferma nel

momento in cui la città diviene centro di produzione di olio internazionale, a questo periodo risale

anche la diffusione dell’altare a corna collegato a tipologie diffuse in area israelitica e forse

introdotte da gruppi di popolazione provenienti da Israele deportati dagli assiri in area filistea e

impiegati nella produzione di olio di Ekron. La connessione tra gli altari e la più importante attività

economica della città spiega la grande popolarità che questi manufatti ebbero nello svolgimento

delle pratiche religiose delle famiglie della città nel VII secolo. Tra le aree in cui maggiormente si

avvertì l’influsso assiro vi fu la regione edomita, che dalla conquista assira trasse forte impulso alla

crescita dei propri traffici commerciali. Nella capitale di Edom, Buseirah, tra la fine dell’VIII ed il

VII secolo, un complesso palatino, il Building B, era organizzato su due corti secondo uno schema

planimetrico di chiara derivazione assira. Qui, come ad Ekron, differentemente da Abu Salima, è

difficile l’identificazione negli assiri dei fruitori dei templi, gli edifici della cittadella mostrano

somiglianze con l’architettura assira ma elementi simili si trovano in tutto il Levante e la

Mesopotamia alla fine dell’età del Ferro ed Edom pur pagando tributo all’Assiria non divenne mai

provincia di questo impero. Per l’area filistea, sono attestate forme di religiosità piuttosto aperte alla

ricezione di influssi esterni che videro affiancarsi rituali assiri e forme cultuali di tradizione locale.

Per quanto riguarda la diffusione di culti, come è deducibile dalla glittica, le divinità e le scene

mitologiche raffigurate nella glittica d’importazione, sono solo l’immagine della religiosità degli

assiri mandati nelle lontane province del Levante meridionale. Maggiore impatto dovette avere la

diffusione di culti astrali, come Venere a otto raggi, le Pleiadi, il crescente lunare ed il simbolo del

dio Luna di Harran, quest’ultimo, venerato fin da tempi antichissimi nella Siria settentrionale, fu

molto amato dagli assiri col nome accadico di Sin, al seguito delle truppe assire fu una sorta di

patrono dell’espansione dell’impero.

Dentro e fuori le mura di Gerusalemme: il regno di Giuda rispetto all’impatto assiro, fu

geograficamente più isolato e più vicino all’Egitto e la politica dei suoi sovrani più cauta nei

confronti dell’invasore, mantenne così la sua indipendenza anche se dopo la presa di Lachish da

parte di Sennacherib nel 701, la Shefelah ed il Negev dovettero andare perduti e l’economia del

paese messa a dura prova in seguito alle deportazioni ed imposizione di tributi. Una ripresa si

avverte alla fine dell’VIII secolo durante il regno di Ezechia, Manasse e Giosia, Gerusalemme fu

ampliata con la costruzione di nuovi quartieri, una cinta fortificata e sistemi idrici di

approvvigionamento. Venne costruita la residenza reale di Ramat Rahel e si intensificò il controllo

delle vie commerciali del Negev con la costruzione o ricostruzione delle fortezze. Dopo la

distruzione di Lachish e del suo santuario, Gerusalemme con il tempio al centro della politica

religiosa dei sovrani di Giuda, assurge a simbolo della nazione e dell’identità ebraica. I pochi dati

relativi alle attività di culto si hanno nella Grotta I erroneamente interpretata come santuario in base

alla presenza di numerose figurine fittili ma che il riesame della ceramica l’ha assegnata ad un

orizzonte essenzialmente domestico.

La divinità nazionale di Giuda aveva una sua forma di rappresentazione iconica?: la grande

diffusione del simbolo di Harran è stato riletto in ambito provinciale palestinese secondo le regole

del codice religioso locale. In alcuni sigilli di ambiente giudaico il motivo astratto dello stendardo è

stato sostituito dalla rappresentazione della divinità in trono in atto di benedire, al di sopra della

base che sosteneva lo stendardo è stato posto il dio che in alcune iconografie d’influsso fenicio è

collocato all’interno di una barca. Questa figura può essere interpretata come Yahweh? I

committenti colti giudaici commissionarono la combinazione dell’antica divinità lunare, diffusa con

la conquista assira, con le tradizioni artigianali fenicie per dar vita ad una divinità nazionale dotata

di una propria iconografia? Sicuramente, sui sigilli è rappresentato un dio antropomorfo che viene

considerato da alcuni proprio protettore. In un gruppo di terracotta dal mercato antiquario,

Uehlinger ha riconosciuto Yahweh e la sua Asherah. Nella glittica si individuano invece due

tendenze, la diffusione di una simbologia astrale con prevalenza di quella lunare e sigilli privi di

raffigurazioni. Dalla fine del VII secolo si diffondono sigilli iscritti aniconici, con diffusione di

iscrizioni a discapito delle immagini, in una progressiva alfabetizzazione delle classi di possessori e

fruitori dei sigilli e nella probabile tendenza alla non rappresentazione di immagini che alcuni

legano alla riforma religiosa di Giosia.

La statuaria ammonita e la divinizzazione dei sovrani defunti: tra VII e VI secolo l’area ammonita

vive un momento di grande prosperità, dalla zona di Amman provengono sigilli decorati ed iscritti,

brevi iscrizioni ed un importante gruppo di sculture in pietra. La produzione scultorea è

paragonabile solo alla straordinaria fioritura della produzione plastica cipriota. I resti scultorei sono

pertinenti a statue a tutto tondo sia maschili che femminili, si inquadrano tra IX e VI secolo e

rimandano a tre gruppi stilistici: egiziano, di tradizione locale, neo-siriano cui si aggiungono le

“teste hatoriche”. Tra i personaggi maschili, quelli con copricapo a fasce orizzontali rappresentano

dei sovrani o dignitari. Per i personaggi che indossano la tiara atef egiziana, l’interpretazione è più

problematica, la corona di Osiride sarebbe anche in Transgiordania attributo divino e la corona reale

ammonita potrebbe essere stata utilizzata a Rabbath-Ammon fin dal TB per indicare la

divinizzazione dei sovrani defunti. Questo spiegherebbe il gran numero di teste “reali” rinvenute,

ma non è certo se la corona ammonita fosse indossata da re o da divinità. Caso tipico quello del “re”

Yerah ‘Azar che non indossa la corona. L’assenza di una caratterizzazione delle pupille in alcune

statue che indossano l’atef indicherebbe la deificazione dei re dopo la morte. Supporto alla

discussione è il ritrovamento di alcune figurine maschili in argilla rinvenute nella cittadella di

Rabbath-Ammon a Tell ‘Umayri e Tell Jawa che mostrano caratteristiche quasi identiche nella

forma del copricapo. Anche la statuaria femminile viene identificata con divinità ed il tipo di figura

femminile con le mani ai seni è attestato anche nella glittica ammonita, i tipi iconografici si

ritrovano quindi in aree contermini.

La religiosità del confine. I santuari entro fortezza e la sacralità del passaggio alla porta: all’interno delle

fortezze nella periferia meridionale vengono eretti luoghi di culto strettamente dipendenti

dall’autorità centrale giudaica, come testimoniato dal santuario extraurbano di confine. Il confine

controllato assolveva una funzione di riferimento politico in un periodo in cui la Giudea andava

accogliendo profughi delle regioni settentrionali e della Shefelah ed i suoi abitanti rafforzavano il

senso di identità culturale e religiosa. Il luogo di culto entro fortezza indicava l’estensione delle

direttive religiose della capitale a nuclei abitativi periferici. Quale divinità indicassero non è

percepibile attraverso i dati archeologici. I centri sorti lungo le vie che conducevano all’Arabia

meridionale, ebbero un ruolo importante visto che il Negev rappresentò la terra di passaggio verso il

golfo di Aqaba ed il terreno di confronto con gli edomiti. In diverse fortezze del Negev è

testimoniata la presenza di edifici templari, elementi primari nella progettazione di questi luoghi tra

cui il caso più noto è quello di Arad. La sequenza stratigrafica è stata fissata da Aharoni ed i suoi

collaboratori, in base alla cronologia alta e con evidente influenza del testo biblico soprattutto

nell’adattamento all’adozione del cubito reale. Il tempio, ebbe secondo lui diverse fasi legate alle

distruzioni e ricostruzioni, mutando dimensioni, posizione ed aspetto, delle tre stele solo quella più

grande e rossa venne lasciata nell’adyton. La recente revisione della stratigrafia della fortezza e

della datazione del tempio, portano ad una completa riconsiderazione della messa in fase proposta

da Aharoni, che vedrebbe tre fasi costruttive di cui solo l’ultima interessata dalla fabbrica templare

vissuta fino alla distruzione finale del forte nel VI secolo. Anche i ritrovamenti dell’area del tempio

datati da Aharoni tra IX-VIII secolo, sono stati collocati entro il VII, riaprendo anche il dibattito

sull’iscrizione su ostrakon con l’identificazione del tempio denominato “casa di Dio”, unico

riferimento epigrafico sicuro dell’esistenza di un tempio di Yahweh nella regione. Sulla base della

datazione ceramica si può affermare che la fabbrica templare non poteva far parte del programma

edilizio salomonico ed è difficile pensare che sia stata distrutta immediatamente dopo la sua

costruzione. Il tempio è dunque una costruzione tarda di VIII-VII secolo, il suo impianto tripartito è

stato paragonato a quello di Salomone, ma rispetto a questo, la cella ha sviluppo latitudinale. La

differenza, attribuita al carattere locale del tempio, è legata a tradizioni architettoniche locali dei

templi a sviluppo latitudinale e radici nelle tende dei beduini e nelle case israelitiche a quattro vani.

Incerta l’esistenza a Kadesh Barnea nella fase datata tra VII-VI secolo, di un luogo di culto, qui, la

fortezza, ospitava un ambiente rettangolare posto nella parte nord-occidentale della zona interna, ed

all’interno di uno dei vani si trovava un’installazione rotonda di mattoni crudi piena di cenere e

circondata da muretti nei pressi dei quali è stata rinvenuta una struttura più piccola in ceramica

piena di cenere. Se non erano dotate di strutture templari, le fortezze accoglievano forme di culto

legate alla funzione sacra del passaggio, così è per Horvat ‘Uza e Horvat Radum, in entrambe, ai

lati della porta sono state trovate rispettivamente un podio sopraelevato cui si accedeva da tre

gradini ed una piattaforma su cui si saliva grazie a gradini.

Fuori dalle mura, fuori dai confini: tra VIII e VII secolo la regione meridionale palestinese divenne

centrale per l’economia degli Stati levantini ed anche per il potere politico imperiale assiro, per

l’area del Negev, passavano le vie che collegavano l’Arabia meridionale al Mediterraneo, fu

percorsa da carovane e punteggiata di insediamenti con funzione di controllo, passaggio, mercato,

raccolta di prodotti ed incontro di uomini. Alla fine del VII secolo tra la piana costiera fino alle alte

terre di Edom vi fu una vera e propria esplosione demografica, la regione era abitata da popolazioni

nomadi che controllavano i traffici carovanieri anche attraverso la pirateria terrestre e sfruttavano le

miniere di rame controllandone la commercializzazione. È difficile dire chi realmente dominasse

tali terre, vista la mobilità dei confini politici e la difficoltà delle popolazioni che vi risiedevano a

creare forme di organizzazione statale stabile. Il controllo giudaico è testimoniato dai forti costruiti

nella regione, il controllo edomita è stato ipotizzato, ma queste genti erano per lo più commercianti,

il reale controllo era esercitato forse dalle tribù arabe che detenevano il principale potere di

conoscenza degli itinerari desertici e le attrezzature adatte per affrontarli. Il Negev rappresentò una

terra di confronto per i poteri locali ed imperiali che si succedettero, due luoghi di culto ci aiutano a

comprendere la religiosità espressa da quelle popolazioni: ‘En Hazeva e Horvat Qitmit.

Un caso di tempio extra-moenia: ‘En Hazeva: nel sito venne costruito un forte piuttosto imponente a

casematte con porta a quattro vani, ebbe vita piuttosto lunga, dal X al IX secolo fino al periodo

islamico. La fortezza del VII secolo si distingueva per dimensioni e forma dai forti giudaici della

valle di Beer-Sheba, è stato ipotizzato che insieme a Kadesh-Barnea fossero state erette sotto egida

assira e che vi fossero truppe stanziate provenienti da Giuda e da Edom. La ceramica presente nel

forte testimonia il passaggio di genti eterogenee in questo importante snodo viario. Nella fortezza di

metà del VII secolo non è attestata la presenza di luoghi di culto ufficiali, mentre fuori dalle mura è

un piccolo edificio di culto di forma allungata, in cui doveva essere originariamente collocato il

materiale ritrovato in una favissa scavata a pochi metri da esso, gli oggetti, collocati interi, vennero

intenzionalmente distrutti con massi provenienti dal tempio stesso forse per preservarli dal

saccheggio babilonese in arrivo. Per la pianta non si hanno termini di paragone, mentre gli oggetti

aiutano ad inquadrare la struttura sia cronologicamente che culturalmente. Molto caratteristici i

supporti antropomorfi realizzati in tecnica mista con testa e corpo fatti al tornio, braccia e particolari

del volto applicati a parte, con tracce di pittura rosso-bruna, in atto di ossequio o benedizione, molto

originale la presenza della coppa sul capo. Numerosi i pendenti a melagrana, attestati in area

transgiordanica e diffusi fin dal TB in area siro-palestinese. La ceramica ritrovata presenta caratteri

simili a quella di altri siti giudaici e manca del tutto quella edomita, i supporti cultuali mostrano

elementi derivati da diverse tradizioni artistiche, tra cui riveste un ruolo importante quella dell’area

giudaica. Il carattere edomita è stato posto in luce soprattutto dalla presenza nelle iscrizioni del

nome del dio edomita Qaus, ed il carattere locale negevita sarebbe confermato dall’assenza nel

deposito cultuale di ceramica dipinta edomita, che sarebbe stato logico trovare tra i materiali all’atto

della sconsacrazione, la ceramica e le statue sono di un tipo che ha rimandi in area giudaica. La sua

collocazione fuori le mura lo rende accessibile alla popolazione esterna al forte e non lo fa sembrare

pianificato nel complesso fortificato, non è quindi espressione ufficiale del culto giudaico. Per

quanto riguarda gli inizi, Cohen ed Yisrael lo datano tra VII-VI secolo, inquadrando la

frequentazione giudaica in un periodo di vitalità ed espansione del regno di Giuda, quindi fu

costruito sotto egida assira e frequentato dai negeviti. Riguardo alla divinità cui era dedicato il

sacello, oggetti diversi, una stele ed un sigillo, riportano il simbolo delle corna di toro o crescente

lunare o altare a corna, lasciando supporre che il sito fosse interessato dal fenomeno che vide la

diffusione dei culti nord-siriani nella tarda età del Ferro, in particolare del dio Luna, la

documentazione più tarda, dimostrerà la venerazione da parte delle tribù arabe del dio Salm sotto

forma di toro.

Il santuario tribale di Horvat Qitmit: nel VII secolo è attestato in area negevita il santuario tribale,

ricompare dai tempi del FI la formula del santuario isolato all’interno di un territorio occupato da

piccoli villaggi agricoli, centri minerari, accampamenti beduini. Il santuario di Horvat Qitmit

mostra l’occupazione in un'unica fase divisa in due sottofasi. Era formato da due complessi di

edifici detti A e B distanti tra loro circa 15 metri. L’edificio B di forma quadrangolare presenta una

corte scoperta ed una serie di ambienti che si aprono su di essa, le due fasi di vita riconoscibili sono

state identificate solo nel Vano 108. Nell’angolo meridionale della corte fu rinvenuta in situ una

pietra rettangolare interpretata come massebah. Il complesso A, nella parte meridionale del sito, era

costituito da un edificio a tre vani, un recinto costruito intorno ad una piattaforma, un altare ed un

bacino di pietra, dell’edificio tripartito sono state distinte due fasi, nella seconda furono apportate

modifiche di non chiara funzionalità, realizzando segmenti di muro perpendicolari all’ingresso delle

stanze non legati alla statica dell’edificio e quindi forse percorsi rituali. Diversi oggetti sono stati

rinvenuti in tutta l’area, concentrati in gruppi sulla superficie rocciosa o in sottili strati di terra,

molti ritrovati all’esterno. La loro funzione è varia, alcune statuette antropomorfe sono state

interpretate come oranti, altri, immagini di guerrieri con funzione di rappresentare l’interesse del

fedele che lo aveva depositato all’interno. L’inquadramento culturale è piuttosto complesso e data la

mancanza di confronti precisi a livello architettonico, è fattibile solo attraverso l’analisi dei reperti

materiali. Gli artigiani che produssero questi oggetti erano pienamente partecipi del carattere

eclettico che connotava l’artigianato levantino di queste fasi, riguardo ai luoghi di produzione,

l’analisi delle argille potrebbe portare delucidazioni tra la produzione in loco e l’importazione.

Riguardo alla produzione in loco si potrebbe parlare sia di arte edomita che di varia origine dei

frequentatori del santuario. Lo scavatore, datando l’insieme dei reperti ceramici tra VII e VI secolo

ed in base alla presenza di ceramica edomita, ritenne che fosse stato costruito dagli edomiti alla fine

del periodo monarchico dopo la conquista di questi territori del Negev nel senso di un

conservatorismo spinto nei confronti di un tradizione religiosa ed iconografica cananea. Di parere

diverso Finkelstein e Bienkowski, che, sulla base dei caratteri transgiordanici della documentazione

e l’identificazione dei costruttori e frequentatori del complesso, ritengono, che il santuario e gli

oggetti sarebbero lo specchio della cultura dei popoli che vivevano in questa zona controllando le

vie commerciali meridionali. L’associazione di iconismo ed aniconismo, sarebbe prova della

mancanza di direttive cultuali precise. La quantità del materiale ci dà l’idea della fortuna del

santuario pur se su tempi brevi. Il santuario è spiccatamente originale sia per l’organizzazione dello

spazio sacro, che per la posizione e la funzione esclusivamente sacra, oltre naturalmente alla varietà

di figure divine, titolari del culto o “visiting gods”, nel complesso sacro transitavano le diverse

popolazioni che si incontravano intorno ad una o più divinità riconosciute o riconoscibili, santuario

tribale come ve ne saranno nell’Arabia Saudita del II secolo d.C..

Santuario commerciale e spazio della divinazione: Deir ‘Alla: un confronto con Horvat Qitmit è fattibile

con il santuario del TB di Deir ‘Alla, qui, la fama mai perduta di luogo sacro, lo fece intorno all’800

sede di luogo di culto in cui veniva praticata la divinazione. Costruito nell’VIII secolo, in una

piccola stanza ipetrale (priva di copertura nella zona centrale), con pavimento digradante verso il

centro, è stata rinvenuta un’iscrizione tracciata in inchiostro nero su intonaco bianco datata intorno

al 700, il testo, in una lingua semitica del nord-ovest, inizia con “Libro di Baalam, il veggente degli

Dei”, indicando così la sede della comunicazione con la divinità attraverso il veggente pur se in un

quartiere abitativo, industriale, commerciale. Secondo altri era una scuola per scribi.

Periodo babilonese ed età persiana: la Palestina ancora luogo di incontro tra culture.

Dal ritiro dell’Assiria alla distruzione del tempio di Gerusalemme: il 586 a.C., grazie al forte valore

ideologico attribuito alla data della presa di Gerusalemme, è stato considerato per l’intera area

palestinese l’anno del cambiamento e del passaggio ad una nuova fase culturale. In realtà, pur se

l’archeologia documenta distruzioni ed abbandoni in numerosi centri, la Palestina nel passaggio

dalla dominazione assira a quella babilonese è caratterizzata da una sostanziale continuità nella

cultura materiale del paese. La violenza degli interventi babilonesi fu differenziata, Gerusalemme

viene distrutta, le zone a nord ed a sud della capitale mostrano continuità insediativa ed in

Transgiordania gli edomiti estesero il loro dominio sul Negev. Sulla costa, la crisi dell’Assiria aveva

già lasciato campo libero alla XXVI dinastia egiziana che fino alla sconfitta di Karkemish dominò

politicamente e culturalmente l’area meridionale e costiera. Alcune immagini di dèi menfiti fecero

la loro comparsa in terra palestinese, come Ptah e Sekhmet ed i nani Bes e Ptah Pateco. Sull’area

filistea, l’Egitto ebbe un notevole influsso nelle forme di culto, anticipando un fenomeno diffuso in

età persiana. Nel territorio conquistato dai babilonesi però la documentazione relativa all’attività

religiosa è quasi inesistente, gli interventi dell’autorità babilonese non sono stati ben studiati e per la

Palestina ci si può riferire solo ad alcuni sigilli d’importazione che ci danno la possibilità di

ipotizzare che la tendenza a rappresentare gli déi in forma non antropomorfa diffusa in

Mesopotamia e sulle coste mediterranee, potrebbe essere posta in relazione ad un primo sviluppo

dell’aniconismo programmatico dell’area giudaica in età persiana.

La koiné achemenide e la nuova percezione della diversità giudaica: la metà del VI secolo è

caratterizzata da eventi militari e vicende politiche incalzanti: presa di Gerusalemme e distruzione

del tempio nel 586, la conquista persiana di Babilonia nel 539, l’editto di Ciro il Grande che

autorizzava gli esuli al rientro nel 538. La Palestina, insieme alla Siria ed alla Fenicia venne

immediatamente inserita nella satrapia chiamata nei testi persiani Athura, ma solo nel 450 viene

istituita la provincia autonoma di Samaria e Yehud. La definizione dei caratteri principali della

cultura palestinese tra metà V e IV secolo, ebbe inizio già dagli anni finali del VI secolo. La

lentezza e gradualità del processo sono provate dalla difficoltà a distinguere dal punto di vista

archeologico il periodo babilonese da quello persiano. Col progresso degli studi, l’età persiana

viene vista come un momento di straordinaria crescita sia economica che culturale. La ripresa del

fenomeno urbano costiero si affianca nelle regioni interne ad uno sviluppo delle attività agricole ed

artigianali, la costa con gli scali filistei e fenici e l’intensificazione dei commerci con il

Mediterraneo orientale ed occidentale, rappresentò il luogo d’incontro e transito di popoli e culture,

la terra dove meglio si colgono le manifestazioni della koiné culturale persiana di cui partecipò tutto

il Levante. L’irruzione della grecità nel mondo vicino orientale ebbe come esito l’ellenizzazione dei

costumi, sia per le classi elevate che quelle più umili, che tentarono di imitare nella coroplastica.

L’influsso persiano invece fu limitato ai soli aspetti ufficiali dell’architettura monumentale. Anche

l’Egitto, in un clima politicamente stabile, venne reinserito nell’orbita delle relazioni del Levante

costiero, da sempre fonte d’ispirazione, bilancerà la moda occidentalizzante che permeò la cultura

siro-palestinese di V-IV secolo. Da tutto questo rimasero esclusi i territori della Transgiordania e

l’area dell’antica provincia di Giuda, schiacciata dalle devastazioni subite e penalizzata dalla

povertà di risorse del suo territorio, e provata dai conflitti interni tra popolazione esiliata e quella

rimasta nel paese, elementi che definirono la specificità culturale e religiosa della provincia giudea.

Dal punto di vista della religione, l’opposta tendenza della regione costiera e di quella giudaica,

diede luogo al mosaico religioso della Palestina di quegli anni, le testimonianze del periodo

persiano mostrano che si era andato formando un quadro etnico e religioso assai composito che

portò all’affermazione di forme di culto nuove o rinnovate.

Il tempio alla periferia dell’impero: da Gerusalemme alla costa fenicia: i sovrani persiani attuarono

una politica di ricostruzione delle strutture religiose in tutte le regioni poste sotto la loro

giurisdizione, dalla Fenicia alla Palestina all’Egitto. Lachish, dopo la distruzione ed il momentaneo

abbandono, fu oggetto di grandi opere pubbliche, ad est del palazzo, verso la metà del V secolo,

venne edificato un edificio templare noto come Solar Shrine, orientato est-ovest e coperto da un

tetto con volte, vi si accedeva dal lato est, i diversi ambienti hanno restituito materiali assai vari che

hanno portato diverse datazioni su cui permangono dei dubbi. Lo scavatore, Starkey, lo datò ad età

persiana, Tufnell, in base all’assenza di materiali achemenidi negli strati d’uso e ceramica greca e

monete di II secolo negli strati superiori lo datò ad epoca più tarda, Aharoni confermò quanto detto

da Tufnell, tutti, senza spiegare la presenza in strati di età ellenistica di materiali di età persiana.

Stern datò il complesso alla prima metà del V secolo e l’uso fino ad età ellenistica. Sulla funzione,

non sussistono dubbi, ma Starkey lo definì dedicato a culti intrusivi in Palestina in età persiana,

l’orientamento ad est e la posizione dell’altare lo fecero attribuire ad un culto solare, Aharoni,

confrontandolo con quello di Arad affermò che sarebbero stati entrambi dedicati a Yahweh con la

permanenza del culto solare tra i giudei di età post-esilica. A chi fosse dedicato, resta in realtà un

problema aperto, la teoria da prendere in considerazione ed approfondire, visto il ritrovamento di

figurine fittili tra cui una rappresentante Eracle, riguarderebbe quella koiné culturale che si andava

formando in quegli anni con l’assimilazione tra Eracle e Melqart. Il santuario di Dan in Alta Galilea,

è l’unico di cui si segue quasi ininterrottamente la vita a partire dal IX secolo fino al periodo

ellenistico, all’età persiana si datano alcune strutture messe in luce all’interno del temenos ed i

materiali contenuti all’interno di una favissa trovata nella corte, segno delle ristrutturazioni

intraprese in questa epoca.

La ricostruzione del tempio di Gerusalemme: la prospettiva persiana e quella giudaica: dopo il 586

Gerusalemme fu rioccupata soltanto per una sottile striscia della collina dell’Ofel, dovette tornare

ad un vero e proprio status urbano soltanto in età ellenistica. Ciro, dopo aver conquistato Babilonia

nel 539, emana un editto nel 538, con cui autorizza gli esuli ebrei a tornare in Giudea e ricostruire il

tempio a Gerusalemme, restituendo ai sacerdoti gli arredi d’oro e d’argento depredati da

Nabucodonosor. Per i persiani significava il riconoscimento ufficiale di Giuda come distretto

amministrativo achemenide, lo spostamento verso il tempio di funzioni amministrative e quindi la

fine dell’istituto monarchico, per i giudei ebbe un impatto fortissimo con il riconoscimento del

diritto a riprendersi la loro terra e l’individuazione del tempio come luogo fisico intorno a cui

ricostruire il tessuto politico, sociale e religioso. Per quanto riguarda la conservazione del tempio

oggi è praticamente nulla, ricerche per individuare il Primo Tempio si sono concentrate sulla

presenza nella muratura di contenimento orientale della piattaforma dell’Haram esh-Sherif, di una

discontinuità o straight joint, che evidenzia l’appoggio della muratura di età erodiana ad una più

antica, che secondo alcuni è ciò che resta del periodo post-esilico. In base alla tipologia della

struttura ed il tipo di tecnica utilizzata, trova precisi confronti con gli edifici terrazzati di età

persiana a Sidone e Biblo (il cui contatto con l’area costiera a fronte dell’evidente isolamento

giudaico, sarebbe limitato a questa testimonianza) e definiti dal Kenyon “podi di magnificenza”.

Secondo altri saremmo di fronte all’angolo sud-est del muro di sostegno della spianata su cui

sorgeva il complesso palatino e templare salomonico.

I templi dell’area fenicia: culti salvifici e i voti per i bambini: la fase persiana è ampiamente documentata

nell’aspetto cultuale e religioso dell’area costiera fenicia con Amrit, Biblo, Sidone e Kharayeb, ma

anche in territorio palestinese con Dor e Makmish, i santuari sorgevano in zone urbane ma

soprattutto extraurbane isolate e ricche di acque ed in contesti naturali dal particolare potere

evocativo. La collocazione topografica dei templi, le forme architettoniche impiegate, gli oggetti

rinvenuti nei santuari e le immagini raffigurate, indicano che un cambiamento nel rapporto tra

divinità e fedele era avvenuto. La crisi della regalità in seguito alle conquiste assire e babilonesi ed

alla riduzione della regione palestinese a provincia persiana, e quindi del ruolo del santuario urbano

come luogo dell’intermediazione controllata tra individuo e déi dinastici, trovò espressione nella

scelta di collocare in zone extraurbane ed isolate sia i templi più importanti che i semplici sacelli.

Le stesse soluzioni architettoniche enfatizzeranno il ruolo nuovo dell’individuo, coinvolto in prima

persona nelle attività rituali, con la permeabilità ed accessibilità dello spazio destinato ai fedeli. In

città comunque, continuano ad esistere i santuari, legati come a Sidone e Biblo, alla figura del

sovrano nella sua veste di re costruttore. I déi dinastici però subiscono, al pari del sovrano, un

ridimensionamento rispetto alle divinità dai caratteri universali, e gli edifici cui sono dedicati,

diventano poli di forte richiamo culturale ed artistico. L’apertura dei nuovi scenari economici

d’altronde, comporterà la circolazione di idee nella facciata mediterranea del Levante e l’incontro di

genti dal cui confronto nacque quella koiné culturale che coinvolgerà in età achemenide il mondo

levantino ed in età ellenistica l’intero bacino mediterraneo. In Grecia esplode la devozione ad

Asclepio in stretta connessione con la fioritura delle scienze mediche, legata e preceduta dai culti

alle divinità guaritrici in area fenicia. Il maggior coinvolgimento dell’individuo è evidente anche

nella quantità di ritrovamenti di offerte votive soprattutto in terracotta di produzione seriale

collocate nei templi. Alle divinità si affidano ora, fenomeno nuovo, i bambini, le statuine Temple

Boy si trovano ora in templi sia fenici che palestinesi con dedica. Queste forme di rituale e

l’elevazione del bambino in atto giocoso a dignità d’immagine votiva ebbero origine in ambito egeo

e furono introdotte in area palestinese grazie ai rapporti con l’area cipriota. L’accoglienza di queste

pratiche si deve a motivazioni di carattere politico e sociale in ambito urbano, in ambito extraurbano

all’affermazione dell’insediamento rurale cui si lega la ripresa di forme di culto agrario e

fertilistico. La costa palestinese rientrò politicamente e culturalmente sotto influsso fenicio grazie

all’inserimento di Dor e Giaffa all’interno del regno di Sidone per concessione del re di Persia. Il

sito di Tell Michal-Makmish ha restituito importanti testimonianze, situato tra Tiro e Giaffa, fu

notevole sia per gli scambi commerciali tra area costiera palestinese e Fenicia, che per il controllo

dell’area costiera. La collinetta nord-orientale ospitò già nel X-IX secolo un locale di culto e nella

fase persiana venne costruito un tempio. Qui, dovevano essere collocate le numerose figurine in

terracotta rinvenute sia nell’edificio che all’esterno con varie iconografie che imitano e richiamano

stili persiani, ciprioti, egiziani, greci. La dedica del tempio rimane incerta. Un’altra struttura sacra

doveva essere sulla collinetta orientale, una struttura a banchette e nelle vicinanze una favissa con

lucerne usate ed un anello sigillo in bronzo. Un certo influsso culturale fenicio dovette estendersi

oltre la costa nei siti più interni come Mizpe Yammin, scelto grazie alla posizione per installarvi un

insediamento fortificato. La vasta corte recintata ospitava un tempio di medie dimensioni, l’edificio

era costituito da due ambienti, fondato in età persiana, vi sono state riconosciute due fasi edilizie,

rimase in uso fino al II secolo, alcune importanti scoperte furono fatte nell’area rocciosa presso la

piattaforma occidentale, indicando che le pratiche di culto adottate erano piuttosto simili a quelle

della costa fenicia e palestinese, da dove provenivano gli impulsi culturali che coinvolgevano anche

la sfera religiosa.

Gli déi e le dee delle città costiere: la regione filistea emerge a nuovo vigore nel periodo persiano, si

avverte l’influsso fenicio in questa fase dovuto anche ad una reale predominanza politica di Sidone.

La tendenza religiosa è quella del sincretismo, innestata su forme di religiosità locali, dalla Fenicia

provengono simboli ed iconografie elaborate nell’area della costa settentrionale tra cui furono

predilette quelle di divinità femminili, sia nella loro forma antropomorfa come la pregnant woman

che in quelle aniconiche come il simbolo di Tanit. Il contatto oriente/occidente permane in età

romana, quando ad Ashkelon si conierà una moneta con iscritto “Phanébalos”, “faccia di Ba’al”,

epiteto creato in contesto punico d’occidente e frequente nel tofet, luogo di incinerazione di

bambini. Le città costiere, mostrano nei ritrovamenti di età persiana, terrecotte, sigilli, amuleti,

scarabei, di divinità femminili che le fonti chiamano Astarte/Atargatis/Afrodite, coesistenti con

divinità maschili. Così è nelle favissae di Acco e Dor. La documentazione di Ashkelon non ci dà

elementi sul tempio di Afrodite Urania di cui parla Erodoto, ma un piccolo tesoro di bronzi,

testimonia l’adozione di divinità ispirate al pantheon egiziano ed egittizzanti, forse di produzione

locale. L’Egitto continua dunque ad essere fonte d’ispirazione, grazie anche al rinnovato contatto tra

le sponde della Palestina meridionale e l’area del Delta riaperto al Levante grazie alla politica dei

sovrani achemenidi.

Il cimitero dei cani di Ashkelon: nella città, in aree occupate da livelli di abbandono delle fasi

precedenti, sono state rinvenute 1400 tombe di cani. La cura nella posizione della coda e delle

zampe, la sigillatura perfetta delle piccole fosse, permettono di percepire l’importanza che tra metà

del V e fine del IV secolo dovettero avere cani femmine e maschi morti per cause naturali e non

ancora in età adulta, tanto da meritare degna sepoltura. Sepolture di cani sono note nel Mediterraneo

e nell’area vicino orientale fin dal calcolitico, ma la documentazione di Ashkelon è a tutt’oggi

eccezionale. Le componenti etniche e religiose di questa città sono varie e per ognuna si può

ravvisare un’origine sacra nel trattamento post mortem di questo animale, così per i persiani e la

religione zoroastriana, ancor più per gli egiziani che già lo mummificavano, così per greci e fenici

che condividevano le idee circolanti. Non si esclude, che la fortuna di questo animale in età persiana

fosse dovuta alla diffusione di culti delle divinità salvifiche cui il cane è da sempre collegato.

Ciò che resta del tempio? Le favissae : gli ex voto, in occasione di ristrutturazione o ripulitura del

santuario, venivano raccolte all’interno di depositi chiamati favissae. La favissa, come luogo

esterno al santuario, entro cui venivano raccolte le offerte votive nelle ripuliture del tempio o per

una ristrutturazione, in area palestinese, a volte si trova isolata rispetto all’edificio templare,

generando confusione nella definizione funzionale del contesto di ritrovamento. A volte, semplici

contesti stratigrafici, accumuli, sono stati comunque interpretati come votivi. La datazione dei

depositi palestinesi si rimanda ad età persiana, momento in cui la grande frequentazione di questi

luoghi era tale da richiedere una continua ripulitura del santuario e deposizione di questi oggetti, ma

vale anche l’ipotesi per cui questi “tesori” siano stati seppelliti in età ellenistica, intenso momento di

attività di ristrutturazione e ricostruzione. La grande diffusione di bronzi e terrecotte tra V e IV

secolo ha permesso il costituirsi di una buona base documentaria che viene esposta appoggiandosi

agli studi di Stern. In base a criteri di carattere iconografico e stilistico, lo studioso individua due

gruppi, uno occidentale con figure maschili tipo Apollo, Eracle, Hermes, e figure femminili in trono

o stanti in abiti greci, rari esemplari di bambini, ed un gruppo formato da un personaggio seduto a

banchetto, una maschera di satiro, un pigmeo nudo, ed uno orientale, con figurine femminili nude di

ascendenza locale ed abbigliate con vesti fenicie, egiziane, persiane e babilonesi, tra i tipi maschili

un personaggio seduto avvolto da un mantello con barba e grandi baffi. Ampiamente diffuso in

questo periodo il tipo del cavaliere, rappresentazione di una classe sociale che costituì il modello

iconografico semplicemente per un individuo di rango, orgoglioso della sua appartenenza.

Particolare fortuna tra le figure femminili ebbe la dea tyria gravida, per l’origine fenicia del tipo

iconografico, si è incerti sulla sua interpretazione come divinità o come dedicante in cerca di

protezione per il suo parto. Il numero elevato degli esemplari ci dà la misura della grande attività

levantina dei laboratori, in un circuito commerciale di oggetti artigianali legati al culto, che dalla

costa, dove giungevano per il commercio delle città fenicie e filistee prodotti rodii e ciprioti,

arrivava fino all’interno.

Madri e bambini, déi ed eroi. Le immagini che parlano della divinità e alla divinità: anche in età

achemenide, la ripresa dei sistematici rapporti tra area costiera siro-palestinese, Egitto e Cipro,

lasciò segni evidenti sia come luoghi di origine di alcune importazioni, che fonti d’ispirazione per

gli artigiani fenici e palestinesi. Nella selezione del repertorio iconografico prevalgono le immagini

legate agli aspetti della maternità e dell’infanzia, sia di tradizione locale che fenicia, che egiziana e

cipriota, con la doppia funzione di parlare della divinità ed alla divinità. Per quanto riguarda

l’accoglienza, comprensione e riproduzione delle immagini da parte della popolazione palestinese,

questa può essere analizzata attraverso più chiavi di lettura: la divinità straniera era accolta sia nella

forma esteriore che negli aspetti funzionali grazie a nuclei stranieri in loco che ne filtravano il

messaggio; forme e stili stranieri vengono accolti per la rappresentazione di divinità locali in modo

superficiale; tipi iconografici sia noti che sconosciuti vengono accolti in area palestinese sia

stravolgendone il significato originario che creando nuove iconografie dall’incontro dei mondi

greco e levantino come è stato per l’Eracle tirio, eroe-dio incedente, di stile greco ed elaborazione

cipriota, con elementi di origine orientale di II millennio tipo lo smiting god, assimilato a Melqart,

re della città e protettore dei coloni.

Bruciare incenso nei templi e nelle case: la diffusione degli altarini a cassetta: dal V-IV secolo, si

diffonde sempre più l’usanza di bruciare incenso, come dimostrano i numerosi incensieri o

bruciaprofumi o thymiateria. Gli esemplari più pregiati erano in bronzo, di forma umana, maschile

o femminile, con la testa sormontata da una coppa destinata alla combustione delle sostanze

odorose. Più diffusi gli altarini a cassetta o cuboidi, comparsi in area palestinese intorno al VII

secolo e rimasti in uso fino ad età ellenistica. Stern li ha suddivisi in quattro tipi in base alla

decorazione incisa sulla superficie esterna. L’area di origine sarebbe la Mesopotamia e secondo lo

studioso la loro diffusione si deve alla conquista assira. Lo studio del 1983 di O’Dwyer Shea, ha

definito tre gruppi in base all’associazione del tipo di materiale, della forma e della decorazione,

riflettendo produzioni regionali. Secondo Millard, sarebbero la riaffermazione nel VII secolo, di un

tipo noto nell’area del Medio Eufrate fin dal II millennio. Certo è, che furono usati per fumigare

incenso e sostanze aromatiche, come dimostrano sia le iscrizioni presenti su di essi che l’analisi

delle superfici combuste. Essendo stati trovati in gran numero in contesti domestici, il loro uso non

doveva essere esclusivamente pubblico e rituale, magari anche igienico e di profumazione

dell’ambiente, ma comunque accessibile a tutti i livelli della popolazione grazie all’apertura della

via dell’incenso dovuta ai commerci con la penisola araba. Difficile individuare la o le divinità cui

la fumigazione doveva essere gradita, le iconografie non ancora totalmente studiate, parlano più

della provenienza degli artigiani o dell’incenso che non di tematiche sacre.

L’area giudaica: le “assenze” che parlano del cambiamento: emerge, dal confronto con i centri

fenici e costieri, la peculiarità culturale dell’area giudaica. Templi e favissae contenenti oggetti di

culto sono stati trovati in tutta la Galilea e nella Shefelah, ma quelli definiti dalla letteratura

scientifica pagan remains, non si incontrano né a Samaria né in Giuda. L’isolamento del territorio e

la sua povertà devono aver contribuito alla non omogeneità con i siti della costa e parte della

Transgiordania, ma da queste fasi cronologiche si registra un certo recedere di alcune forme di

rituale fino ad allora praticato, scompaiono le Judean Pillar Figurines, segno forse del ban of idol

applicato in area giudaica. Le “assenze” parlano di un effettivo cambiamento delle pratiche religiose

di giudei e samaritani, in una vera e completa rivoluzione nella loro attitudine verso le attività

cultuali rispetto al periodo precedente.

Il tempio di Gerusalemme: una questione ancora aperta: il tempio di Salomone nelle

trattazioni archeologiche viene collocato nel X secolo, cioè per noi, Ferro I o IIA. La descrizione

biblica è ritenuta una vera testimonianza dell’architettura templare di questo periodo, più reale della

realtà documentaria e soggetto di confronto per monumenti perduti come il tempio di Hiram di Tiro.

Il Liverani stesso tratta il tema nella parte finale del libro “Oltre la Bibbia”, indicandolo come

invenzione. Il Primo Tempio non esiste e nella forma descritta dalla Bibbia non esisteva forse

nemmeno ai tempi di Salomone.

La fonte biblica e la documentazione archeologica: il testo biblico, (1Re 5:16-6, 2Cronache 4) è

l’unica fonte d’informazione di cui si dispone. Descrive nella Gerusalemme di X secolo, capitale

della monarchia unita, piccolo centro gebuseo della Palestina interna trasformato in centro politico,

cerimoniale e religioso, la progettazione di un complesso monumentale da parte di Salomone,

annettendo la collina monte Sion o Moriah alla città di David e costruendo le fabbriche palatine e

templari note come Casa della Foresta del Libano ed il tempio di Yahweh. La descrizione del

tempio è molto dettagliata, ci informa sulle dimensioni, porte, coperture, decorazioni interne ed

arredi, maestranze locali e fenicie che lo realizzarono. La fabbrica principale ad asse longitudinale,

era tripartita, con ingresso assiale ad est, il sancta sanctorum, separato dalla cella da un tramezzo di

legno, custodiva l’Arca dell’Alleanza, il tesoro del tempio si trovava nell’annesso che circondava la

cella. La fronte dell’edificio era ornata da due colonne di bronzo, chiamate Yachin e Boaz, con

capitelli decorati con fiori di loto da cui pendevano melagrane di bronzo. Gli arredi erano in oro e

bronzo. All’interno del tempio era il Trono di Yahweh, formato dalle ali di due cherubini tese

all’interno orizzontalmente ed all’esterno verticalmente a proteggere il trono. La descrizione è

attendibile, sia per l’estremo dettaglio per cui chi ha redatto il testo, vide il tempio prima della

distruzione del 586 o doveva aver consultato documenti d’archivio (Liverani ritiene che il redattore

del passo vide il progetto del Secondo Tempio enunciato da Ezechiele), sia perché rende l’immagine

di una tipologia templare nota nell’area siro-palestinese fin dal II millennio. Archeologicamente, a

parte lo straight joint di Laperroussaz, del tempio salomonico non è stata trovata traccia. L’unico

oggetto assegnabile alla fase di VIII secolo e proveniente dal mercato antiquario è una melagrana

d’avorio su cui l’incisione, che lo ha datato paleograficamente, riferisce l’oggetto all’ambiente

liturgico.

La cultura materiale come testo:proposta di messa in fase archeologica della descrizione del tempio:

l’analisi del monumento dovrà indirizzarsi sul confronto tra la descrizione biblica dettagliata,

l’assenza di testimonianze archeologiche e la collocazione storica della redazione del passo biblico.

Il tipo di approccio deriva dal metodo archeologico ed è quello della “messa in fase” applicata

all’analisi del testo. L’esposizione particolareggiata del testo biblico deve essere scaturita o dalla

visione diretta poco prima della distruzione o da documenti d’archivio che lo descrivevano. Se

avvenuta in base alla memoria degli esuli ritornati da Babilonia, i redattori avranno ricordato

l’ultima fase d’uso e di vita del tempio, se hanno consultato documenti d’archivio, devono essere

stati quelli forse relativi al progetto iniziale, ma più probabilmente i dati di un grosso rifacimento

dell’edificio, forse l’ultimo. La costruzione del tempio ed il suo aspetto iniziale sono elementi

sfuggenti nella messa in fase testuale, l’edificio descritto quindi non sarà quello di Salomone del X

secolo, ma il tempio che forse edificato dal sovrano fu usato, riedificato e ristrutturato prima della

presa di Nabucodonosor. La documentazione testuale ci consente di immaginare la fase d’uso del

tempio di VI secolo. Le uniche considerazioni fattibili sono quelle di ordine storico, in quale

momento e quale sovrano di Gerusalemme fu in grado sia politicamente che economicamente di

realizzare un’acropoli monumentale comprendente palazzo e tempio annesso? Nel X secolo la città

non era grande ma solo uno dei tanti centri dell’altopiano giudaico, quindi meglio spostare il florido

momento all’VIII secolo, quando sia Gerusalemme che la Giudea, vissero un periodo vivace e si

avviò quel processo di crescita demografica che culminò nell’espansione del VII secolo. In questo

contesto si colloca la rifondazione ideologica del tempio da parte di Giosia e la sua ricostruzione

fisica. La descrizione biblica richiama tradizioni architettoniche di riferimento differenti, per il

palazzo l’architettura achemenide con la grande sala a colonne detta apadana, per il tempio, quello

palatino a pianta longitudinale tripartita di ascendenza nord-siriana. Il rimando alla Fenicia con

l’uso di maestranze tirie all’opera nel tempio sono indicate dal testo biblico, ma l’impianto

architettonico dell’edificio e la tipologia del complesso cerimoniale palazzo-tempio, hanno origine

nella Siria settentrionale del II millennio. Riguardo agli oggetti poi, questi danno l’istantanea

immaginaria del tempio ideale con tutti gli oggetti più preziosi e ricchi di significato accumulati nei

secoli e scomparsi perché depredati. Il riferimento alle tradizioni siro-palestinesi del II millennio è

evidente anche nella descrizione delle decorazioni. Il Trono stesso di Yahweh, fiancheggiato da

sfingi alate o cherubini, trova numerosi confronti nell’area levantina, particolarmente in Fenicia, fin

dal II millennio. Il trono era in genere associato all’immagine del sovrano, la connessione con la

regalità di questo tipo di trono pare certa, meno sicuro se il trono accogliesse o meno in origine una

statua di divinità. Nel caso dell’aniconismo comunque, sarebbe conciliabile con l’uso del periodo

post-esilico, la tendenza alla rappresentazione aniconica rese naturale identificare nel trono vuoto

un adeguato simbolismo per il dio “invisibile” di Giuda, mentre per le fasi precedenti è possibile

che accogliesse un’immagine antropomorfa della divinità, forse in trono. Al centro del sistema

simbolico nazionale e religioso di quella che era ormai una casa regnante piuttosto potente, si trova

il trono fiancheggiato da cherubini, simbolo di una divinità che, visibile o invisibile, era sovrana, i

cherubini hanno funzione di guardiani dell’albero della palma. Tori, leoni e sfingi sui dieci carrelli

rituali di bronzo vanno intesi come animali mitologici, associati nel corso dei secoli alle varie

divinità e dunque di difficile interpretazione in quel contesto a causa della stratificazione semantica.

Il repertorio iconografico del tempio di Gerusalemme pare creato a tavolino, basandosi su una

selezione di oggetti e simboli che aveva lo scopo di rafforzare la scelta della tipologia di tempio da

dedicare a Yahweh: il sovrano era garante del culto dinastico, legittimato dalla divinità nazionale

legata indissolubilmente alla casa del sovrano.

Il primo tempio è mai esistito?: le considerazioni di cui sopra confermano l’inquadramento

cronologico basso, sia nella tipologia templare che nel mondo delle immagini che si ritrovano sugli

avori di Samaria e sulle coppe fenicie, affermandosi e diffondendosi tra VIII-VII secolo. La fioritura

fenicia sembra attagliarsi di più al IX che non al X secolo, con l’allargamento degli orizzonti

commerciali tirii all’Egeo ed il consolidarsi delle relazioni con Cipro, quella del X secolo è forse

creazione dei redattori biblici cui si ispirò Giuseppe Flavio parlando di Hiram di Tiro come sovrano

illuminato simmetricamente a Salomone. È probabile che il Primo Tempio sia esistito, non con

l’aspetto descritto dalla Bibbia, ma non dissimile da quelli di altri centri di questa fase cronologica,

modificato, restaurato e depredato nel corso dei secoli.

Il culto: luoghi, oggetti, immagini: questa sintesi storico-archeologica dà luogo a tematiche

riassuntive rispondenti a queste domande: dove erano svolte le attività religiose delle comunità che

nel I millennio abitavano il Levante meridionale? Quali erano i rituali, come si effettuavano e con

quali strumenti? Chi adoravano e come lo rappresentavano?

Dove praticavano il culto: la difficoltà va dalla generica definizione del concetto di spazio sacro a

quella più specifica di santuario, tempio ecc., è stata individuata una gerarchia concettuale che

consente di collocare le informazioni archeologiche all’interno dell’antico “dove mentale”, “dove

topografico” e “dove architettonico”.

Definizione di spazio sacro: il “dove mentale”. Lo studio del rapporto tra l’uomo e lo spazio, e per

estensione lo spazio sacro, è campo privilegiato delle scienze sociali ed in particolare

dell’antropologia, questa, intende per spazio sacro un territorio recepito sia come concetto

geografico che come luogo dove un determinato gruppo si sente sicuro in virtù del rapporto che

stabilisce con gli “spiriti del luogo” che lo popolano. All’origine della definizione di sacralità

possono essere un’apparizione soprannaturale, la richiesta di una benedizione divina su un luogo

occupato dall’uomo, una porzione del territorio umano riservata al dio. Nelle civiltà storiche lo

spazio cultuale coincide con lo spazio sacro perché è lo spazio in cui si effettuano i rituali, può

essere l’interno di una casa, il tempio, uno spazio aperto. La definizione di edificio di culto è più

complessa, rientrano in questa accezione, santuari e templi e cult corners in abitazioni private.

Nell’archeologia del Levante lo spazio sacro è affrontato in studi che trattano di architettura.

Holladay Jr. nel 1987 distingueva tra santuari, struttura ampia e multicomponente, e shrine, singola

unità integrata nel contesto circostante che invece è dominato dal santuario. Zwickel invece

distingue in: tempio, cappella, vano accessorio, area cultuale, culto privato. Il contesto storico

trattato nel libro, raramente offre la possibilità di elaborare una serie di dati che condividano

caratteristiche comuni e codificabili.

L’ubicazione dello spazio sacro: in relazione agli altri tratti del paesaggio urbano ed extraurbano o

anurbano, permette di dedurre numerose informazioni circa le proporzioni del sacro all’interno di

una civiltà. Il ruolo della geografia quale ambito significante per la storia dei luoghi di culto è

basilare, distinguendo la posizione urbana ed extraurbana nei diversi periodi.

Spazi sacri urbani ed extraurbani: nelle città stato cananee del TB la collocazione del tempio della

divinità principale all’interno dello spazio urbano era fondamentale per garantirne il significato

politico. Nel FI il ruolo dello spazio urbano non esiste più a parte la sopravvivenza delle aree

templari di Sichem e Megiddo, e Beth-Shean. Nei centri filistei il nuovo spazio urbano comprende

gli edifici di culto e li affianca alle attività produttive, evidenziando nuove forme di religiosità

cittadina. Così a Tell Qasile il tempio è parte della città stessa. Così ad Ashdod, dove era collocato

presso i laboratori ceramisti. Permarrà nelle fasi successive di VII secolo ad Ekron e Sarepta. Lo

spazio urbano riacquista un ruolo importante a partire dal FII quando sorgono templi cittadini e

nazionali come quello di Dan. Nel resto del paese però, nella città non sorgono aree isolate riservate

ad edifici di culto, ipotizzando che si svolgessero in spazi aperti ad esse dedicati, interessante in

quest’ottica il ruolo della porta urbica. In età persiana si avrà una nuova fioritura dei centri urbani,

in particolare costieri, il santuario cittadino perde il suo significato politico di esclusivo riferimento

religioso e l’extraurbanità assume un ruolo significativo. Il Monte Ebal è il sito che maggiormente

offre con la sua collocazione extraurbana e collinare, la visuale su una cosciente alterità espressa sia

dalla collocazione topografica che dalla tipologia monumentale. L’anurbanità come alternativa tese

a perdersi nel momento in cui cambiarono le condizioni politiche, amministrative ed economiche

che riconsegnarono lo spazio urbano alla popolazione come sede ufficiale del culto nazionale.

L’extraurbanità viene collegata al controllo, anche militare, delle pericolose vie commerciali del

deserto e delle aree di confine. I santuari del deserto meridionale non ebbero mai quella centralità

ideologica che si può supporre per i santuari extraurbani del FI. Unica eccezione Horvat Qitmit,

luogo d’incontro di tribù, e commercianti. I santuari extraurbani nati tra VII e VI secolo, ebbero

tipicità nell’età persiana. Dopo l’impatto assiro, sia per la posizione isolata che per la dedica a

divinità salvifiche, sembrano sopravvivere alle conquiste, ed acquisiscono una preminenza nella

regione che li trasformerà in poli dal forte richiamo culturale ed artistico.

Architettura. La questione all’approccio tipologico alla classificazione dell’architettura religiosa: le

formalizzazioni tipologiche necessitano la selezione all’interno di una base documentaria, di un

numero sufficiente di individui che condividano una serie di attributi. Questo tipo di approccio

difficilmente dà risultati soddisfacenti relativamente all’area levantina di I millennio. A parte i

templi a pianta longitudinale, le altre strutture non rispondono a codici architettonici di volumetria e

planimetria. Tuttavia, è stata proposta una categoria architettonica templare definita irregular plan,

in cui queste strutture non sono inquadrabili in un modulo predefinito né in una categoria

architettonica nota. Secondo Wright, la tradizione cananea precedente l’età del ferro, si definisce su

quattro moduli planimetrici: a sviluppo longitudinale, a sviluppo latitudinale, ad asse spezzato, a

pianta quadrata; soddisfacendo due condizioni generali: la simmetria della costruzione e la

monumentalità, e per l’età del bronzo, la monumentalità e le dimensioni delle strutture murarie;

queste caratteristiche vengono a mancare nell’edilizia del I millennio. Nell’area palestinese infatti

esistevano due linee parallele di sviluppo dell’architettura templare: la locale tradizione cananea con

origini nord-siriane e le diverse ispirazioni architettoniche e cultuali della variegata popolazione

della Palestina tra fine TB e Ferro. Eredi della tradizione architettonica proto e paleo-siriana sono le

due tipologie di architettura sacra rappresentate nell’area: il tempio a sviluppo longitudinale

(utilizzata per il tempio urbano sia nel FI che FII, migdol o templi fortezza di Megiddo e Sichem) e

la terrazza di culto (più antico e grandioso esempio il monumento P3 della città bassa di Ebla che

Matthiae ha chiamato bamah). Il confronto archeologico-architettonico, a prescindere dal termine

biblico e dalla sua vera natura, mostra una struttura che ha come caratteristica principale quella di

creare uno spazio architettonico sopraelevato ed aperto. Questa forma di santuario, un podio

sopraelevato all’aperto, fu adottata anche nel I millennio. Le varianti tipologiche si devono sia allo

sviluppo bimillenario, che alla mancanza di canoni edilizi da applicare a questa tipologia

monumentale. Caratteristico dell’area palestinese fin dal FI è lo spazio cultuale aperto, troppo

genericamente associato con la definizione di “alto luogo”, è difficilmente rintracciabile sul terreno.

La classe degli Irregular Plan Temples, secondo Mazar, raggruppa edifici templari che non rientrano

nelle categorie architettoniche note nell’area levantina tra AB e TB, si distinguevano sia

architettonicamente che funzionalmente dal tempio a pianta longitudinale nord-siriano. L’esistenza

di questa categoria è stata messa in dubbio, orientandosi a vedere nelle caratteristiche condivise,

l’appartenenza dei costruttori ad un medesimo ambito culturale. Altra caratteristica è la mancanza di

allineamenti ed orientamenti costanti nei luoghi di culto.

Forme architettoniche e testimonianze letterarie: cosa era una bamah ?: il termine, bamot al plurale, è desunto

dalla Bibbia, dove è usato in relazione a luoghi di culto, la traduzione più diffusa, desunta dalla

Vulgata, è quella di “alto luogo”. Con il termine sono state designate varie realtà ma quella che ha

avuto maggior seguito è la definizione di “installazione piuttosto semplice a cielo aperto su altura

naturale, che aveva come elementi caratteristici la presenza di asherah (albero o palo sacro) e

massebot (stele)”. Nello studio diacronico ed in riferimento a strutture socio-politiche che usarono

questo tipo di luogo di culto, Alper Nakhai giunge alla conclusione che il termine indichi in modo

generico luoghi di culto distribuiti sul territorio con funzione di centri religiosi regionali, potevano

essere costruiti dagli stessi sovrani in diverse parti del paese e vi officiavano sacerdoti di tutti i

gruppi della popolazione tranne che i Leviti. Era un luogo complementare alla regalità e considerato

legittimo fino a quando i sacerdoti levitici non manifestarono nei loro scritti un chiaro

atteggiamento di condanna nei confronti di un tipo di santuario gestito da una classe sacerdotale di

cui loro non potevano far parte per decreto regio. L’impostazione della questione sul rapporto tra il

termine bamah ed i diversi contesti storico-culturali all’interno dei quali fu usato, rende impossibile

la definizione di criteri tipologici monumentali. La terrazza di culto invece o piattaforma cultuale,

ha precisi riferimenti architettonici nella tradizione dell’edilizia sacra siro-palestinese.

Ambienti e strutture annesse agli edifici di culto: gli impianti produttivi: archeologicamente sono testimoniate le

attività di tessitura, produzione di olio, ceramica e figurine di culto. L’atto della produzione era

sacro, realizzato entro il recinto sacro del tempio, ed oltre al controllo della purezza del prodotto, la

gestione degli introiti delle vendite comportava un ritorno economico.

Come praticavano il culto. Gli oggetti: quelli offerti e votati alla divinità e quelli usati nei rituali: non

sempre è possibile identificare la funzione cultuale dei manufatti, spesso nelle pratiche religiose

erano utilizzati oggetti d’uso quotidiano, rara è la circostanza in cui un oggetto per forma,

dimensioni e decorazione può essere indicato come esclusivamente cultuale. Nel caso della

Palestina meridionale è difficile estrapolare differenze nelle pratiche rituali dei singoli gruppi

abitanti nelle diverse regioni culturali. Così, se dappertutto si sacrificava e si bruciavano sostanze

aromatiche, non sappiamo con quali gesti e parole. Una distinzione può essere fatta tra oggetti

rinvenuti nei templi e nei luoghi di culto e quelli offerti in virtù del loro valore intrinseco e quelli

impiegati nelle pratiche cultuali. Quanto alle dimensioni è ben attestato anche in Palestina il

fenomeno della miniaturizzazione.

Oggetti offerti o votati: figurine, gioielli, vasi pregiati e ceramica comune: le figurine di terracotta vennero

prodotte ed offerte nei templi in tutte le epoche. Sulla funzione sono state formulate varie ipotesi,

dalla riproduzione di grandi statue di culto, a dedica votiva, a riproduzione dell’offerente. La crisi

dei santuari urbani e del sistema della religiosità dei centri cananei del TB, nel FI si ripercuote

sull’attività dei coroplasti con una notevole flessione. La ripresa si ha nel FII, con maggiore utilizzo

in ambito domestico, con eccezione di Horvat Qitmit ed ‘En Hazeva, ma la vera esplosione si ha in

età persiana, le terrecotte diventano il principale indicatore dei mutamenti sociali e religiosi del

periodo, il contatto con il mondo greco, il tipo di rapporto tra fedele e divinità e la diffusione dei

culti terapeutici. Sul lungo periodo i tipi iconografici attestati sono limitati, segno del concetto

legato nelle varie epoche alle diverse divinità. Nuova e originaria da Cipro la figura del Temple

Boy, accovacciato con il sesso in evidenza, forse richiesta di protezione dalle infezioni nella

circoncisione. Altri oggetti erano offerti, ma di questi, per la loro preziosità, le tracce sono scarse,

gioielli, coppe in oro e bronzo, furono depredati e ne restano pochissimi esemplari da ripostigli. La

ceramica offerta mostra la pratica di iscrivere coppe e piatti a finalità cultuali.

Oggetti usati nel rituale: altari, supporti cultuali, modellini e maschere: tra i rituali praticati, ricostruibili

attraverso gli oggetti, è sicuramente quello della cremazione di sostanze aromatiche ed incensi su

incensieri o cult stands. In pietra, ceramica e bronzo, erano diffusi in area palestinese lungo tutta

l’età del ferro, provengono sia da contesti domestici (dove potevano essere usati per la

profumazione degli ambienti) che da templi e luoghi di culto. Venivano usati anche altari di piccole

dimensioni e varia forma, noti fin dal BA in area palestinese, evolvono nella foggia all’interno del

FII. A partire dal IX e fino al VII secolo le varianti delle sagome aumentano. Gli altari a corna

compaiono per la prima volta nel X secolo con esemplari ad alto profilo triangolare e sono attestati

fino al VII secolo ad Ekron. La maggior parte proviene da Israele, il dato è stato associato alla

minore centralizzazione del culto a differenza di Giuda. Gli altari potevano essere mobili, hanno

infatti tutti i lati ugualmente decorati, altri, con uno o più lati non rifiniti, dovevano essere collocati

entro nicchie. Nel caso di cerimonie all’aperto, dovevano essere custoditi nelle cult rooms adibite a

magazzini. A volte i supporti, erano usati per le libagioni, offerte rituali di liquidi, ed avevano una

coppa, esistevano comunque per questa pratica appositi strumenti, rhyta e kernoi. Riguardo ai

modellini di santuari, questi sono attestati dall’età del bronzo, si diffondono dal X secolo e restano

in uso durante il FII B-C. Fu posto in luce il loro aspetto di contenitore di un oggetto o una statuetta

di culto, ma non sono mai stati trovati associati in situ con queste e quindi l’associazione è avvenuta

per confronto con modellini da Cipro e Achzib. Rispetto all’architettura templare contemporanea,

questi non trovano corrispondenza. Trovati frequentemente nelle case, potevano avere funzione

sostitutiva. Le maschere in ceramica sono conosciute in area palestinese tra TB e XII secolo, sono

comuni in Fenicia ed a Cipro. L’origine è levantina e si diffondono dal FI. Esemplari antropomorfi a

grandezza naturale e con fori per occhi e bocca, indicano l’uso in cerimonie rituali. La pratica della

divinazione sembra attestata grazie alla scapola da Ekron e i dadi del vano con altare di Dan.

La preghiera, la musica, la danza: l’informazione su tali pratiche, può essere dedotta dalle dimensioni

e dalla forma dell’edificio di culto, il grande recinto del Monte Ebal, lascia supporre la

partecipazione ai rituali di un certo numero di fedeli e l’esistenza di feste periodiche in cui

confluivano genti di diversa provenienza. Le iconografie indicano l’esistenza di una gestualità

tipicamente usata nella preghiera, così nella glittica vediamo scene di uno o più fedeli con le mani

sollevate o la mano sinistra che regge un’offerta e la destra alzata. Anche nella coroplastica è

attestato il gesto dell’orante, come nei supporti antropomorfi da ‘En Hazeva. Sul Pithos B di

Kuntillet ‘Ajrud è dipinta una processione di uomini ed in quello A la presenza di musici è

dimostrata. Le cerimonie del FI infatti erano accompagnate dalla musica, come dimostra il supporto

dei musici da Ashdod e la pratica proseguirà fino ad età persiana. Le statuine di terracotta con

tamburello sono state interpretate come donne che suonavano all’interno di cerimonie cultuali,

l’alternanza con l’iconografia della dea nuda rende possibile che si tratti di una divinità il cui

attributo la collega a cerimonie propiziatorie di matrimoni e nascite. Strumenti di vario tipo quali

sonagli di ceramica e metallo sono stati trovati anche in ambienti domestici, ma soprattutto nelle

sepolture. Il supporto fenestrato da Qasile con persone che si tengono per mano ci fa supporre che

danzassero.

Sacrificare, cucinare e banchettare: il cibo nel rapporto con la divinità: l’offerta alimentare comportava

rinuncia e sacrificio cruento, cioè morte, comprendeva la fruizione immediata del bene offerto,

enfatizzando l’azione del nutrimento per la vita stessa.

Sacrificare e cucinare: l’offerta sacrificale era la principale forma di comunicazione tra sfera umana e

divina in tutto il Levante, poteva essere animale, vegetale, alimentare e incenso. Il sacrificio cruento

si svolgeva nel tempio o nel luogo di culto pubblico, mentre le offerte non cruente erano dedicate

anche nelle case. L’appannaggio al tempio del sacrificio cruento era legato alla consumazione dei

pasti rituali, cui si connette la “cucina del sacrificio” ed il rinvenimento di ceramica da mensa; il

sacrificio era praticato in tutta la Palestina dal FI al FII, cucinava il pasto il personale addetto, sia

maschi che femmine probabilmente e quest’ultime erano anche ammesse alla partecipazione ai

pellegrinaggi ed attività comunitarie. Gli animali scelti erano selezionati tra quelli usati come cibo, i

maiali sono raramente attestati come cibo ed esclusi totalmente dal rituale sacrificale a parte alcuni

riti associati ai morti, interessante il collegamento con l’Antico Testamento, in cui è proibito

mangiare e quindi sacrificare, animali ritenuti impuri come il maiale.

Tabù alimentari: la società a base pastorale avrà soprattutto consumato capre e pecore, con evidenti

limitazioni per motivi economici, la carne di maiale era minoritaria, sicuramente per le condizioni

ambientali che ne limitavano l’allevamento, ma non solo, vista la presenza scarsa di suini in territori

in cui, come Egitto e Babilonia la presenza di acqua ne consentiva l’allevamento ma che erano

presenti nella dieta ma proibiti nei sacrifici. La contrapposizione tra puro ed impuro e quindi

l’impurità del maiale (forse perché mangiava gli scarti degli uomini?) quando nasce? Questo tabù

definisce la nascita della comunità israelitica? L’abitudine di mangiare il maiale è attestata nell’area

palestinese ininterrottamente dal bronzo al ferro, la concezione giudaica quindi sarebbe

un’innovazione esilica e post-esilica, sempre poco usato come alimento in Siria e Palestina

comunque, divenne sempre più raro e poi proibito anche tra i Fenici. Il processo di eliminazione del

maiale ebbe nel FI il momento chiave, entrando in crisi il suo allevamento in seguito al crollo

dell’intero sistema economico levantino. Il confronto nella percentuale di ossa di maiale nei siti

delle alte terre palestinesi e delle città filistee mostra diverse percentuali in base alle situazioni

ambientali ed al retroterra socio-economico dei siti. Nel FI appaiono in gran numero nella Shefelah

e nella piana costiera meridionale e sono piuttosto diffusi nelle altre alte terre, scompaiono dagli

insiemi faunistici delle colline centrali. Ora e poi nel FII continuano ad essere presenti in numero

significativo a Heshbon in Transgiordania. L’assenza nel FI nelle colline centrali è ritenuto l’unico

vero elemento di definizione dei confini etnici delle popolazioni israelitiche o proto-israelitiche.

I banchetti cultuali: la loro esistenza è nota dai testi di Ugarit dove erano denominati mrzh, il termine

già attestato ad Ebla ed Emar, indicava un’associazione religiosa dotata di una propria struttura

economica, con famiglie che possedevano terreni, case dove avvenivano gli incontri, e vigneti, dove

era prodotto il vino consumato durante particolari cerimonie, svolte forse mensilmente, il consumo

alcolico aveva lo scopo di creare uno stato di trance. Il termine era usato sia per la cerimonia del

banchetto che per il locale, che per l’associazione religiosa, quest’ultima, nel primo millennio è

testimoniata in area fenicia ed israelitica, nella Bibbia ed in una iscrizione fenicia databile ad età

persiana incisa su una coppa bronzea di un tipo noto e diffuso in ambienti sia palatini che religiosi.

Il profeta Amos tra l’altro, disapprova quanti “bevono vino dalle coppe”. L’uso non sembra

esclusivo di tali cerimonie, ed è noto ad Elefantina e Palmira. Il collegamento tra pratiche rituali e

mrzh è stato proposto in riferimento a poche testimonianze, tra cui un gruppo di avori studiati da

Ferris Beach, provenienti da diverse località tra Assiria e Palestina che condividendo caratteristiche

tecniche, iconografiche e funzionali, ne ha fatto ipotizzare un loro specifico impiego per la

decorazione di un particolare gruppo di mobili, decorati per essere usati nel mrzh. Il carattere

funerario, connota cerimonie di contesto levantino meridionale. Esistevano però dei mrzh

all’interno dei quali la connessione tra la vita, il banchetto e la morte era forte ed alla base stessa del

rituale praticato. Così, la donna alla finestra, Inanna/Ishtar, è la divinità che discende all’aldilà ed

ammicca al cliente.

Il culto in ambiente domestico e la sfera intima della religione delle donne: nella casa, le attività cultuali,

sono denotate dal ritrovamento di statuine di terracotta, supporti per bruciare sostanze aromatiche,

amuleti e piccoli gioielli. In base allo studio del repertorio ceramico di VIII-VII secolo di Tell Jawa,

col ritrovamento di statuine in associazione con particolari forme ceramiche in strati di crollo, ha

fatto avanzare l’ipotesi che particolari rituali avvenissero sul tetto. Nella casa non doveva esserci

sempre un luogo preposto al culto, gli oggetti, potevano essere riposti su scaffali e mensole, e se

non più utilizzati, seppelliti all’interno della casa per preservarne la sacralità. Sembra che il ruolo

delle divinità maschili nel I millennio fosse prevalente nei culti ufficiali, come divinità nazionale,

quelle femminili erano ad appannaggio delle donne, legate ai riti della fertilità, salute e benessere

dell’infanzia, la ripartizione, potrebbe essere reale quanto potrebbe derivare dall’esclusione biblica

delle donne da un ruolo all’interno della religione israelitica e giudaica. Le donne dovevano forse

preservare anche il culto della memoria e del passato, come potrebbe indicare l’analogia tra figurine

di terracotta rinvenute nelle abitazioni ed i terafim della Bibbia. Un ruolo femminile importante era

quello in occasione del rituale funerario, in cui le piangenti, ritualizzavano comportamenti di furore

ed erotismo, come nell’iconografia del sarcofago di Ahiram di Biblo.

Onorare e disonorare il passato: il seppellimento rituale delle stele e dei supporti cultuali: in forma diversa

dall’area mesopotamica, anche in Palestina il tempo passato era qualcosa da onorare o disonorare,

così, l’abbattimento delle sue sgradite testimonianze è ben visibile a Dan con la rottura ed il

riutilizzo della stele aramaica, od il riuso delle stele di Sethi I, Ramses II e III a Beth-Shean, dove il

glorioso passato tentava così di essere rievocato, od il seppellimento come ad Hazor del FI, della

statuina di bronzo insieme ad armi in bronzo, od il seppellimento nella cisterna a Ta’anach di un

supporto cultuale integro.

L’incenso bruciato sui tetti: gli altari a corna e l’origine siriana di un rituale: gli antecedenti del tipo in

pietra caratteristico dell’età del ferro sono stati trovati, grazie allo studio di Gitin, nella Siria del

Medio Eufrate del II millennio per conservarsi nel Levante meridionale e durare fino all’età

persiana. I più antichi esemplari caratterizzati dalla presenza di quattro corna alla sommità sono i

modelli di torri di terracotta da Emar, Mumbaqat e Tell Faq’ous del TB e riprendono l’architettura

siriana ed erano usati per bruciare offerte o come altari. Le corna, oltre a richiamare la merlatura, si

relazionano al simbolismo di questa forma in tutto l’ambito mesopotamico, anatolico ed egeo. Lo

sviluppo naturale sarà quello degli altari a corna in pietra che si affermerà nel FII. L’aspetto

originario della torre, sul cui tetto veniva collocata la sostanza aromatica da bruciare, richiama

cerimonie di culto che trovano conferme nei testi, sia mesopotamici che biblici, e dal crollo ad

Ashkelon di un edificio amministrativo.

Chi adoravano e come lo rappresentavano: a chi dedicavano i templi? E chi sono le divinità

rappresentate sui diversi supporti? E quando nasce l’aniconismo giudaico?

Le immagini di culto: il Renger annovera tra le immagini di culto, tutte le rappresentazioni

antropomorfe, teriomorfe e simboliche, sia in forma di statue a tutto tondo che a rilievo, che

rappresentavano divinità e sovrani defunti, sia simboli e soggetti secondari come ad esempio gli

oranti. Rappresentazioni aniconiche ed iconiche dunque, compresa quella non antropomorfa. Nel

VO, i rituali religiosi si svolgevano di fronte ad un’immagine di culto, nel Levante meridionale del

I millennio, la situazione doveva essere simile ma ne abbiamo ben poche tracce. La lacunosità della

documentazione è stata ritenuta prova dell’aniconismo biblico e della proibizione alla

rappresentazione di Yahweh. La statuaria deve essere andata perduta, perché realizzata in materiali

deperibili e adornata di gioielli soggetta a bottini di guerra, la glittica e la coroplastica possono

aiutare nell’analisi della pratica della religione ufficiale.

Antropomorfismo ed aniconismo de facto : nel VO veniva adorata in genere la statua di una divinità in

forma antropomorfa, il mondo divino mesopotamico ed egiziano era antropomorfo, sebbene

esistano divinità rappresentate aniconicamente o attraverso simboli. Nel Levante meridionale del I

millennio la quasi totale assenza di statue ed immagini di culto è stata legata al divieto di

rappresentazione della divinità, fatto che troverà espressione programmatica in ambito giudaico e

poi islamico. Immagine di culto è qualsiasi forma di rappresentazione della divinità, anche quella

non antropomorfa, culto aniconico è la venerazione di simboli aniconici o di uno spazio vuoto

ritenuto sacro, tendenza aniconica quella di certe iconografie divine che non possono considerarsi

con certezza espressione di un programmatico ripudio delle immagini. La documentazione levantina

offre due forme di aniconismo: quello de facto e quello programmatico. L’aniconismo de facto è

l’indifferenza verso le icone, la mera assenza di immagini, un’osservanza convenzionale attestata in

area semitica occidentale che si affianca al culto antropomorfo senza una reale contrapposizione.

Secondo Mettinger, la radice sta nei santuari all’aria aperta, in cui il simbolismo cultuale consiste in

alberi sacri, stele e altari, con significato convenzionale di spazio sacro ed accesso alla presenza

divina. L’aniconismo programmatico è il cosciente ripudio di ogni forma di immagine che può

sfociare nell’iconofobia e iconoclastia. Lo studio di questo ambito permetterebbe di trarre modalità

convenzionali di rappresentazione in base alle concezioni della divinità presso i vari popoli. Molto

complessa la lettura delle forme aniconiche di rappresentazione, le massebot, oltre a

rappresentazioni aniconiche potrebbero essere indicatori visuali dello spazio consacrato e di

conseguenza della presenza divina. Tra XII e VI secolo, normalmente, i culti ufficiali all’interno dei

templi cittadini, erano incentrati sulla venerazione della divinità dinastica nazionale, quando si

afferma l’aniconismo giudaico? Nei primi secoli del I millennio, le poche testimonianze di piccola

bronzistica figurata vengono dall’area settentrionale della regione, mentre per l’area giudaica, in

virtù del suo isolamento e quindi di cambiamenti di carattere economico e sociale, la

documentazione è praticamente inesistente. L’unica classe dimostrativa della tendenza alla

recessione di figure antropomorfe, sostituite da altri soggetti, è la glittica, meno conservativa di

iconografie cultuali tradizionali e dunque piuttosto sensibile alle trasformazioni temporali

congiunturali. Le terrecotte invece, continuano ad avere nella forma umana il principale soggetto

d’ispirazione. Le radici dell’aniconismo vanno cercate nel FI? Secondo Mettinger il culto di

Yahweh fu aniconico fin dall’inizio, collegato alle aree cultuali all’aperto. Il Bull Site ad esempio,

mostrerebbe la convivenza di forme iconiche ed aniconiche. L’aniconismo dello spazio vuoto è

attestato nel supporto Lapp di Ta’anach. Al FI risalgono le poche testimonianze di rappresentazione

di scene mitiche come nella Orpheus Jug, o nell’incensiere dalla Città di David a Gerusalemme. Nei

secoli IX e VIII da un lato si tende alla continuazione nell’utilizzo di immagini della tradizione

locale cananea soprattutto nella coroplastica, dall’altro alla presenza di alcune innovazioni

testimoniate nelle produzioni glittiche. Nei secoli che precedettero la conquista assira, il nord del

paese continuò ad orientarsi verso poli culturali siro-fenici mentre il sud elaborò forme cultuali che

raggiungeranno la maturità solo nel VII-VI secolo. Nel panorama figurativo, le raffigurazioni divine

antropomorfe diminuiscono a favore della simbologia astrale. Per la statuaria di culto antropomorfa

all’interno dei templi, questa è testimoniata da statue in pietra del regno di Ammon e da quella in

terracotta di Dan, e per l’area filistea dai rilievi assiri con la raffigurazione della presa di Gaza ed

Ashkelon. Nella coroplastica, in contesti domestici e funerari prevale l’iconografia della figura

femminile con mani ai seni. Continuano ad essere attestati i culti aniconici, con alcune importanti

testimonianze nelle massebot di Lachish, Arad, Dan e Megiddo. La tendenza del periodo è comune

in tutta l’area palestinese, senza prevalenza degli abitanti della Giudea. Nel FIIC convivono in area

palestinese diverse forme di rappresentazione della divinità, in contesti funzionali e sociali

differenti. Il culto filisteo predilige la forma umana. L’area desertica meridionale del paese è quella

che offre i migliori dati per l’origine dell’aniconismo e per la compresenza con l’iconismo, nel

tempio di Arad, sede del culto ufficiale, la divinità veniva adorata nella forma di una o più stele,

mentre nell’aperto santuario di Horvat Qitmit, le figure divine assumevano forme varie ed originali.

Le differenti forme di religione di Giuda ed Edom ed il diverso retroterra di cui sarebbero

testimonianza, sono rappresentate in forma iconica ed aniconica. Con la fine del VII secolo, le

immagini sono sostituite dalle iscrizioni, il fenomeno va letto sia nel senso della progressiva

alfabetizzazione che, probabilmente, nell’esito della riforma di Giosia. In età persiana,

differentemente da quella neobabilonese, le diverse tendenze religiose sono meglio definibili. La

costa viene invasa da immagini di divinità egiziane e greche, mentre la Giudea resta isolata, forse

per il divieto programmatico alla rappresentazione della divinità, che scompare anche dalle

terrecotte. Secondo alcuni, questa proibizione si generò dal confronto con la “terra delle immagini”

babilonese, il confronto con i culti degli esiliati, fece ritenere inadeguate le rappresentazioni di

qualunque tipo per Yahweh. L’aniconismo giudaico in realtà, limitato peraltro al periodo del

secondo tempio, non è un fenomeno isolato nel VO del I millennio. Nella tradizione mesopotamica,

sia iconografica che testuale, gli déi sono rappresentati in forme umane. Alcuni però trascendono gli

altri, perché il loro aspetto non può essere compreso, così sono gli emblemi divini ad interpretare la

funzione del dio, questi simboli, comune nel TB, si diffondono nel Ferro. La tendenza alla

rappresentazione simbolica del dio si afferma quindi tanto in area mesopotamica quanto in quella

levantina.

Per una conclusione: “ la storia della Palestina del I millennio non può più proporsi, … nei termini

della storia della religione del popolo di Yahweh, ma deve essere la storia, e la storia delle religioni,

di tutti i popoli di tutti gli dèi che abitavano questa regione.”

SVILUPPO DEI PUNTI NODALI

Introduzione: definizione particolareggiata della “mission”, tipo di approccio metodologico, ambito

cronologico e geografico.

Ferro I: il cambiamento nella continuità delle tradizioni: il tempio urbano e la continuità funzionale

dal TB, la nuova realtà urbana dei centri filistei, la realtà del villaggio ed i locali di culto, il

santuario extraurbano come centro di aggregazione delle comunità delle alte terre, i supporti cultuali

e le immagini dei sigilli e della coroplastica.

Ferro IIA-IIB: il primato del regno settentrionale ed il lento sviluppo della Giudea: la corte di

Samaria ed il suo sistema di simboli, la città di Dan, il percorso sacro dalla porta alla terrazza di

culto, il culto alla porta, la crisi del tempio cittadino ed i vani di culto domestici, le figurine a

pilastro, la scomparsa dei filistei, santuari rurali, di frontiera e di confine, i regni tribali della

Transgiordania.

Ferro IIC: la conquista assira tra deculturazione e pax assyriaca : Samaria ed il deposito votivo

E207, i conquistatori e la diffusione della simbologia astrale, Gerusalemme e la forma di

rappresentazione aniconica, la statuaria ammonita e la divinizzazione dei sovrani defunti, la

religiosità del confine.

Periodo babilonese ed età persiana: la Palestina ancora luogo d’incontro tra culture: il ritiro

dell’Assiria e la distruzione del tempio di Gerusalemme, la koiné achemenide e la diversità

giudaica, il tempio alla periferia dell’impero, interpretazioni della divinità ed alla divinità, la

fumigazione e gli altari a cassetta, le assenze in area giudaica che parlano del cambiamento.

Il tempio di Gerusalemme: una questione ancora aperta: la fonte biblica e la documentazione

archeologica, la messa in fase della descrizione del tempio, esistenza del Primo Tempio.

Il culto: luoghi, oggetti ed immagini: dove praticavano il culto, come, chi adoravano e come lo

rappresentavano.

CONFRONTI CON “OLTRE LA BIBBIA” E CONSIDERAZIONI PERSONALI

“Voluta assenza di riferimenti incrociati a fonti epigrafiche e letterarie”. Una “storia”, tangibile, di

ricostruzione del dato materiale, che sì, passibile di interpretazione, ma che dà l’idea di ciò che può

dirsi esistito. L’autrice, delinea lucidamente, nella cornice ben delimitata e proposta, “la storia delle

religioni di tutti i popoli e di tutti gli dèi”. Onde non dare adito a malintesi, introduce i punti

cardinali del suo lavoro, confrontando solo come sottofondo, la biblicità inventata del Liverani.

Questa storia dell’archeologia del Levante meridionale del I millennio, è quanto mi sarei aspettata

nella Storia antica d’Israele di Oltre la Bibbia, quest’ultimo, libro millenario, ma denso di

coinvolgimenti emotivi e politici assolutamente non super partes. Vero è che la “verità” emerge solo

tramite una visione a 360° della realtà, così nella trattazione di Kuntillet ‘Ajrud, al confine con il

territorio giudaico, la Oggiano evidenzia maggiormente le iscrizioni e le immagini sui pithoi A e B,

mentre il Liverani, trattando delle iscrizioni su intonaco, pone il problema dello “Yahweh di Teman”

e “Yahweh di Samaria”, dove Teman è il nome biblico di Kuntillet ‘Ajrud. Od anche Deir ‘Alla, per

la Oggiano, antico santuario del TB, dove l’iscrizione su intonaco è presa per parlare della

divinazione, mentre in Liverani, citato in più punti, come santuario pastorale, e per le iscrizioni di

tipo egeo che confermerebbero apporti esterni nel periodo di transizione del XII secolo. Horvat

Qitmit poi, se nella Oggiano è simbolo e portabandiera della varietà religiosa della Palestina del I

millennio, o meglio del Levante meridionale, come santuario tribale di area negevita, per Liverani è

un tempietto edomita del VII secolo. Il filo di Arianna, è cronologico e riferito ai movimenti

politici, economici e sociali in cui la Palestina e l’isolato territorio di Giuda sono immersi,

mancherebbe forse, una definizione dei tratti del tardo bronzo cui si riferisce nel capitolo dedicato al

FI, ma i rimandi sono frequenti in tutta la trattazione. Come il Liverani, ma facendo sembrare che

non lo faccia per lo stesso motivo, tratta il tempio di Gerusalemme alla fine del testo, a mio parere il

capitolo più bello, di “scienza dell’archeologia applicata”.

“The past exist only in the things we say about it” (Matthew Johnson). L’archeologia, studia le

evidenze del passato, per ricostruire oltre a livello storico, l’evoluzione umana anche dal punto di

vista cognitivo. Proprio per fare una storia delle religioni, o la storia della religione di un popolo,

dovremmo essere capaci di entrare in quel mondo, per noi visivamente simbolico, di concetti

rimasti espressi nel reperto materiale. L’archeologia è una materia interdisciplinare, necessita dei

più diversi apporti per arrivare ad una “verità”, che per essere chiamata tale forse deve essere intesa

come “verità” dai più se non da tutti. Il record archeologico delle comunità umane del passato viene

studiato in senso diacronico. La teoria dei sistemi complessi (il sistema è un organismo complesso,

composto da parti che interagiscono in base alla loro funzione all’interno del mantenimento del

sistema stesso) è l’approccio che la Oggiano ha ritenuto valido, rivalutando la lettura storica rispetto

a quella astorica di certa archeologia processuale, all’interno sì della New Archaeology

(l’archeologia deve seguire l’evoluzione storica delle scienze naturali), con approccio contestuale e

cognitivo-processuale, ma non condividendo alcune forzature metodologicamente discutibili della

Interpretive Archaeologies di Shanks, ramo dell’archeologia processuale che sostiene che la

conoscenza scientifica non è mai oggettiva, un’archeologia post-processuale di applicazione di

metodologie scientifiche, al fine di ricostruire ciò che le popolazioni di cui ritroviamo i testimoni

materiali, “sentivano” e così esprimevano, l’aspetto essenziale è la contestualità. In archeologia

l’assenza di ogni possibile condivisione determina la necessità che nella fase di lettura dei segni si

debbano ricostruire contemporaneamente le sfere del significante e del significato, cioè capire allo

stesso tempo qual è il segno e qual è il suo significato in quel determinato contesto.

FONTI

A.M. Bietti Sestieri, L’archeologia processuale in Italia, o l’impossibilità di essere normali, Edizioniall’insegna del Giglio 2001

M. Montagnari Kokelj, Archeologia teoretica: una breve introduzione, in La preistoria dell’uomo.L’oriente mediterraneo. Vol. I, Storia d’Europa e del Mediterraneo, Salerno Editrice.

New archaeology, archeologia processuale.mht

E. Zanini, S. Costa, Organizzare il processo cognitivo nell’indagine archeologica: riflessionimetodologiche ed esperimenti digitali, in Archeologia e calcolatori 17, 2006, pp. 241-264.