Note etnolinguistiche sulle varietà locali della Lucania

86
DIPARTIMENTO DI ISTITUZIONI LINGUISTICO-LETTERARIE, COMUNICAZIONALI E STORICO GIURIDICHE DELL’EUROPA Corso di Laurea in Lingue e Culture Moderne Indirizzo: Lingue per le istituzioni, le imprese e il commercio Note etnolinguistiche sulle varietà locali della Lucania RELATORE: Prof.ssa Barbara Turchetta CANDIDATO: Romeo Ierone Matricola 34 Anno accademico 2011/2012

Transcript of Note etnolinguistiche sulle varietà locali della Lucania

DIPARTIMENTO DI ISTITUZIONI LINGUISTICO-LETTERARIE,

COMUNICAZIONALI E STORICO GIURIDICHE DELL’EUROPA

Corso di Laurea in Lingue e Culture Moderne

Indirizzo: Lingue per le istituzioni, le imprese e il commercio

Note etnolinguistiche

sulle varietà locali della Lucania

RELATORE:

Prof.ssa Barbara Turchetta

CANDIDATO:

Romeo Ierone

Matricola 34

Anno accademico 2011/2012

2

INDICE

Introduzione ................................................................................................ 3

Trascrizione fonetica ................................................................................... 6

1. Dove siamo

1.1 I luoghi: la Basilicata e la valle del Sinni ............................................ 11

1.2 Storia .................................................................................................. 12

1.3 Su Senise ............................................................................................ 17

1.4 Senise oggi ......................................................................................... 19

2. Il quadro linguistico

2.1 Lo sviluppo nel tempo ....................................................................... 21

2.2 Vocalismo ........................................................................................ 26

2.3 Consonantismo ................................................................................ 30

2.4 Verbo................................................................................................ 33

3 Il corpus dei dati

3.1 Il punto di vista etnolinguistico ....................................................... 35

3.2 La raccolta ........................................................................................ 42

3.3 Il tempo ............................................................................................. 51

3.4 I numeri ........................................................................................... 68

Conclusioni ................................................................................................ 78

Bibliografia ................................................................................................ 82

Sitografia ................................................................................................... 85

3

Introduzione

Con questo lavoro ci proponiamo di condurre, come lascia intuire il

titolo stesso, uno studio etnolinguisitico su alcune varietà dialettali

della Lucania. Prima di tutto precisiamo che non si ha la minima

pretesa di realizzare uno studio esaustivo e completo sull’argomento,

ma una semplice descrizione di alcune peculiarità offerte dalla lingua

parlata. L’area che verrà privilegiata sarà quella della Valle del Sinni

con punto di riferimento il paese di Senise. E’ un’idea che nasce dalla

volontà di preservare in primo luogo e poi riscoprire e valorizzare non

solo un patrimonio, ma un intero universo esistente proprio sotto i

nostri occhi. “ I dialetti, non solo della Basilicata, cadono in oblio ed è

un peccato che questo tesoro linguistico inestimabile stia perdendosi’’

diceva il grande studioso tedesco Rainer Bigalke, lasciando intendere

che queste ricchezze potrebbero presto scomparire a causa di stili di

vita in continua evoluzione. L’ indagine nasce per svelare cosa si

nasconde dietro a ciò che viene detto. Vogliamo dare una coscienza alle

parole, e per farlo ci avvarremo di mezzi quali la linguistica

antropologica e l’etimologia in questo caso subordinata ad essa. Questo

è il primo studio del genere; non ci è pervenuta nessun’altra ricerca

simile operata in passato. Ai fini di una ricostruzione sostratica nel

primo capitolo tenteremo di dare un volto ed una carta d’identità

all’ambiente di ricerca, tramite una rassegna geografico – storica. In

4

questa parte è doveroso specificare come non tutte le fonti siano

documenti ufficiali o ricerche archeologiche organizzate; certo, di

testimonianze scritte e di scavi rilevanti ce ne sono ma in altri contesti

se esistono degli studi essi risultano quantomeno datati e non

accessibili, quindi si segue anche la semplice tradizione orale o la

ricerca amatoriale. Ad ogni modo questi limiti alla precisione possono

essere considerati di poco conto, dato il carattere generale della

descrizione. Nel capitolo numero due verrà descritto brevemente il

sistema linguistico, attraverso una descrizione generale accompagnata

da una parte sul vocalismo, una sul consonantismo e qualche cenno sul

verbo. Ciò viene reso necessario al fine di facilitare la buona

comprensione della varietà dialettale e delle parole sotto esame. Non si

scenderà nel dettaglio, elencando solo le particolarità più evidenti.

Questo secondo capitolo risulterà propedeutico al terzo, dove

inizieremo ad addentrarci nel cuore vero e proprio della trattazione,

presentando i principi teorici che hanno ispirato questa tesi ed

analizzando, sotto la loro luce, i dati raccolti. Dopo tutto ciò trarremo

le nostre conclusioni: si valuterà in quale grado la cultura popolare sia

rimasta conservata ed esprimibile sul piano linguistico, considerando

sia l’oggi che il domani. Il lavoro è stato reso possibile grazie al lavoro

svolto da Patrizia Del Puente e dai suoi collaboratori e documentato

nell’A.L.Ba.1 Oltre al materiale già disponibile, si è svolta un’ulteriore 1 Del Puente, Patrizia, A.L.Ba. (Atlante Linguistico della Basilicata), vol. II, Rionero in Vulture, Caliceditore

5

indagine, operando entro determinati limiti geografici e intervistando

un campione di persone ristretto. Questi dati statistici sono stati

utilizzati come prova empirica da confrontare con quelli di altri

ricercatori, ottenuti su una più larga scala.

2010.

6

Trascrizione Fonetica

In questo lavoro è stato fatto largo uso di trascrizioni fonologiche,

pertanto di seguito un elenco con i segni utilizzati. Per ragioni di

uniformità la trascrizione qui presente è la stessa che compare

sull’Atlante linguistico della Basilicata.

Vocali

Simboli Descrizione Esempio

Centrale bassa non labializzata It. Mano

Posteriore bassa non labializzata Ingl. Father

Æ Anteriore bassa non labializzata Ingl. Man

Anteriore medio-alta non

labializzata

It. Rete

Anteriore medio-bassa non

labializzata

It. Sette

Centrale medio-bassa non

labializzata

Ingl. About

Centrale medio-alta non

labializzata

Fr. Je; ingl. Girl

7

Centrale medio-alta non

labializzata tendente a vocale

piena

Anteriore alta non labializzata It. Vino

Anteriore semi-alta centralizzata Ingl. Fish

Posteriore medio-alta

labializzata

It. Fonte

Posteriore medio-bassa

labializzata

It. Corpo

Anteriore medio-alta labializzata Fr. Peu; ted. Hören

U Posteriore alta labializzata It. Culla

Centrale alta labializzata

Anteriore alta labializzata Fr. Lune

Posteriore semi-alta labializzata Ingl. Full

8

Consonanti

Simboli Descrizione Esempio

Occlusiva bilabiale sonora It. Banca

Fricativa bilabiale sonora Sp. Cabeza

Occlusiva velare sorda It. Cane

Occlusiva palatale sorda It. Chiesa

t Affricata alveo palatale sorda

t Affricata palatoalveolare sorda It. Cena

Occlusiva dentale sonora It. Dado

Occlusiva retroflessa sonora Sicil. Bed:a

Fricativa dentale sonora Ingl. That

Fricativa labiodentale sorda It. Filo

Occlusiva velare sonora It. Gatto

Occlusiva palatale sonora It. Ghiotto

d Affricata alveo palatale sonora

d Affricata palatoalveolare sonora It. Gente

9

Fricativa velare sonora Sp. Agua

Soluzione aspirata

Laterale alveolare It. Lana

Laterale palatale It. Paglia

Laterale retroflessa Sicil. Carlo

Laterale alveolare velarizzata Ingl. Full

Nasale bilabiale It. Mano

Nasale labiodentale It. Invio

Nasale alveolare It. Nave

Nasale velare It. Fango

Nasale palatale It. Gnocco

Occlusiva bilabiale sorda It. Porta

Vibrante alveolare It. Riva

Monovibrante alveolare

Fricativa uvulare sonora Fr. Jour

Fricativa alveolare sorda It. Sale

10

Fricativa alveolare sonora It. Asma

Sibilante palatoalveolare sorda It. Scena

Occlusiva dentale sorda It. Torre

Occlusiva retroflessa sorda Sicil. Carta

Affricata prepalatale sorda Sicil. Patre

Fricativa dentale sorda Ingl. Thief

Fricativa labiodentale sonora It. Vedo

Affricata alveolare sorda It. Pazzo

Affricata alveolare sonora It. Mezzo

Approssimante palatale It. Ieri

Approssimante labiovelare It. Uomo

11

1. Dove siamo

« ... La Lucania è il territorio posto tra la costa del Tirreno,

dal Sele al Lao, e quella dello Ionio, da Metaponto a Turi... »

Strabone

1. I Luoghi: la Basilicata e la valle del Sinni

La Basilicata è una delle venti regioni d’ Italia ed è situata nel sud della

penisola, compresa tra Campania, Puglia e Calabria. Affaccia con pochi

chilometri di costa sul Mar Tirreno mentre dispone di un lungo

corridoio sul Mare Ionio. Il suo territorio è montuoso, essendo

attraversato dall’Appennino Lucano di cui si ricordano i monti della

Maddalena e le cime del Pollino al confine con la Calabria. Il resto è

prevalentemente collinare. Il suo capoluogo è Potenza, mentre Matera

costituisce la seconda provincia. I fiumi principali sono Il Basento,

l’Agri e il Sinni. E’ La valle formata da quest’ultimo ad essere al centro

dell’attenzione in questa tesi. Essa giace nell’ area sud-occidentale

della Basilicata e prende il suo stesso nome. Il fiume nasce dal versante

nord-ovest del massiccio del monte Sirino per poi sfociare nel Golfo di

Taranto. Lungo il suo percorso di 94 chilometri costeggia il massiccio

del Pollino e raccoglie le acque di altri corsi d’acqua minori

(Serrapotamo, Sarmento e Frido) per poi sfociare nel Golfo di Taranto.

12

Sulle sue acque sono sorti numerosi abitati tra i quali troviamo Senise,

del quale verrà tracciato di seguito un profilo storico inquadrato

all’interno di quello, più generale, dell’area circostante.

1.2 Storia

L’ospitalità di queste terre ha fatto sì che numerosi popoli vi si

insediassero e vi costruissero le loro case nel corso della storia, sin dai

tempi più antichi. La maggior parte dei centri esiste ancora oggi e

riporta, attraverso varie manifestazioni, i segni dei secoli passati e delle

realtà conosciute. Ci sono stabilimenti che testimoniano la loro antica

esistenza attraverso prove tangibili, come reperti archeologici, mentre

altri invece rimangono sospesi nel dubbio, trovando conferme su testi

storici o nelle supposizioni di pochi studiosi . Ai fini di questo studio la

conoscenza delle molteplici culture, senza dimenticare le relative

lingue, che si sono alternate o che hanno convissuto insieme è

imprescindibile. E’ interessante notare come la maggior parte delle

scoperte archeologiche, di seguito citate, siano avvenute per puro

caso2.

Le testimonianze più antiche, proprio nei dintorni di Senise, risalgono

all’età del ferro con il ritrovamento di oggetti quali vasi, kantharoi e

piatti, e la scoperta di una necropoli nei pressi del torrente

2 Quilici L. e Quilici Gigli S., (a cura di), Carta Archeologica della valle del Sinni, Roma, L’Erma di

Bretschneider, 2003

13

Serrapotamo. Questi rinvenimenti sembrano confermare la già nota

presenza degli Enotri sul territorio; un popolo che allora doveva

ricoprire un ruolo molto importante in quest’area della penisola.

Questa presenza è rilevante se si pensa alla loro mitica città, Pandosia.

La sua esistenza l ungo il corso del Sinni è ancora materia di dibattito,

ma si pensa che fu il più importante centro della zona. I suoi resti, in

Lucania, la posizionano nei pressi della contemporanea Anglona,

proprio tra le due valli formate dal Sinni e dall’Agri. Fiumi che a quel

tempo favorivano l’economia locale in modo decisivo, se pensiamo che

anticamente erano navigabili; oltre al commercio la loro presenza era

significativa per la ricchezza delle terre. In seguito, Pandosia fu

conquistata dai greci, i quali la ribattezzarono così. Testimonianza

della presenza ellenica dovrebbe essere anche il nome del fiume Agri,

perché veniva accostato all’ “Acheronte”.

I greci in questione erano arrivati verso la fine dell’ VIII secolo A.C.,

erano gli ioni di Colofone. Essi fondarono la loro prima colonia sulla

costa ionica, dandole il nome Siri, dallo stesso fiume che passava di lì e

che avevano battezzato Siris. Questo darà poi il suo nome all’intera

regione dove veniva esercitato il potere amministrativo dei coloni: la

Siritide. Pochi chilometri più a nord i greci fonderanno anche

Eracleopoli. I nuovi arrivati non dovettero affrontare molte difficoltà

14

dato che gli Enotri, dediti alla pastorizia e all’agricoltura, non

ambivano a possedere il territorio in prossimità del mare.

La loro decadenza comincerà con l’arrivo, nel V secolo A.C., dei Lucani,

popolazione di lingua osca che premeva per arrivare sulla costa. Ed è

difatti del V secolo una sepoltura lucana riportata alla luce dal fondo

della valle. L’antica regione della Lucania aveva come territori

principali le terre tra basso Sele, Bradano e Sinni.

Passano pochi anni e la regione diventa oggetto delle conquiste

romane, a partire dal III secolo A.C. Per arrivare a controllare l’intera

aerea i nuovi conquistatori sconfiggeranno i Lucani prima e i Greci

comandati da Pirro poi. Deterranno il possesso del territorio fino alla

decadenza dell’Impero. Negli anni del loro dominio praticarono una

politica di coltivazione intensiva e usufruirono degli ampi spazi a

disposizione per l’edificazione di diverse ville , alcune delle quali così

belle da meritare le lodi di Cicerone.

La dominazione romana si rivelerà tappa fondamentale sotto tutti i

punti di vista. Ai nostri fini è importante sottolineare importanti

sviluppi come quelli che videro coinvolte le vie di comunicazione :

sotto quest’aspetto basti pensare che per la valle del Sinni passava la

via Popilia, che collegava Reggio Calabria a Capua. Cosa ancora più

importante: i romani con il loro modello di società e soprattutto con la

15

lingua latina trasmisero alle popolazioni lucane conquistate concetti

fino ad allora sconosciuti, in larga parte astratti. Un impatto che

segnerà, come vedremo più avanti, il lessico che andrà a costituire la

gran parte delle varietà dialettali.

Dopo la caduta di Roma il via vai di genti e di culture diverse

ricomincia: per un breve periodo la regione sarà amministrata dai

bizantini prima di cadere sotto il controllo del ducato longobardo di

Benevento. Uno scontro, questo, che interessa molto la nostra causa:

come ci viene riferito da “I dialetti italiani”3 la differenziazione tra i

dialetti meridionali coincide proprio con quelli amministrativi e

militari dei bizantini e dei longobardi; anche su questo ci

soffermeremo più avanti.

Complici le continue invasioni saracene, il medioevo si rivela molto

duro per chi vive in terra di Lucania. Le continue guerre, la

distruzione, l’anarchia e soprattutto la malaria (uno dei grandi mali

che durerà fino al XX secolo) spingono le persone ad abbandonare

luoghi troppo “esposti” a questi pericoli per rifugiarsi su altopiani

protetti da un castello a qualche centinaio di metri sopra il mare. Uno

dei più importanti centri saraceni della regione sarà Tursi, come ci

testimonia ancora oggi la sua Rabatana; già questa parola di per sé

3 Cortelazzo, M., et al., (a cura di), I dialetti italiani: storia, struttura, uso, Torino, UTET 2002.

16

lascia intuire come i saraceni abbiano lasciato tracce anche a livello

linguistico.

Dopo un’altra parentesi bizantina nel 1059 il territorio passa nelle

mani dei Normanni e del Regno di Sicilia. Comincia così a delinearsi,

anche sul piano politico, quella che sarà la società: con il barone-

feudatario a governare il villaggio e i contadini a lavorare nei latifondi.

Nel corso di questa dominazione e di quella spagnola assistiamo alla

cacciata dei saraceni rimasti, all’arrivo di profughi bizantini in fuga

dopo la caduta di Costantinopoli e a quello di albanesi e greci sempre

dovuto alla conquista ottomana della loro patria.

Grandi stravolgimenti,o novità, a livello di popolazione, di società o di

lingua non ve ne saranno più; almeno fino all’arrivo delle innovazioni

tecnologiche e della cultura di massa del secondo novecento. Prima di

ciò ci saranno il Regno d’italia ed il regime fascista che da un punto di

vista linguistico cercheranno di incoraggiare l’uso della lingua italiana:

con metodi diversi uno dall’altro ma con lo stesso risultato di fallire nei

loro intenti.

17

1.3 Su Senise

Circa le origini di Senise si è ancora incerti; sussistono tuttora diverse

versioni . Una di esse vorrebbe l’attuale paese essere sorto durante il

secondo secolo del primo millennio presso il convento di alcuni

francescani giunti in cerca di rifugio dalla peste. Ma il paese potrebbe

essere molto più antico: un’altra versione infatti, confermata anche da

scoperte archeologiche, trova l’origine in epoca antecedente, per opera

di uno dei fedeli di Cesare: Narsete Servillo, che dopo la morte del suo

leader decise di sottrarsi ai continui contrasti dei quali viveva Roma e

ritirarsi nel sud. Forse era possessore di una villa in questa zona e lì vi

riunì i pastori che vivevano nella valle. Ciò sarebbe confermato anche

dal recupero di alcuni reperti risalenti al’epoca del primo impero.

Invece una terza versione, avente come prova l’attuale stemma del

paese raffigurante una lupa nell’atto di allattare un bambino4, racconta

di un cavaliere crociato di Siena che durante il suo tragitto verso la

Terra Santa avrebbe fondato il paese; così si spiegherebbe anche

l’assonanza tra i due nomi. E ancora, nei primi anni del novecento

furono portati alla luce degli ori di età barbarica conosciuti come “Ori

di Senise”, oggi conservati nel Museo Nazionale di Napoli. Essi

testimoniano l’invasione e l’occupazione del villaggio da parte dei

longobardi e dei goti. Si dice inoltre che il primo centro doveva trovarsi

4 Lo stemma di Siena è proprio una lupa nel gesto di dar del latte ad un bambino.

18

più a valle; poi con l’arrivo delle guerre e della malaria dilagante fu

spostato più in alto, nella sua attuale posizione. Anche per quanto

riguarda l’origine del toponimo non si è sicuri: Giacomo Racioppi

sostenne l’idea secondo la quale ‘Sentia’, luogo di spine, sarebbe stato il

nome originario del borgo5, poi c’è l’ipotesi secondo la quale il nome

deriverebbe dal greco bizantino “ξύνεσίς” <<confluenza>>, poiché il

paese è posizionato la dove il Serrapotamo si immette nel Sinni. Quella

più veritiere dovrebbe essere quella del de Grazia, che rimanda la

nomea al fiume stesso6, ipotesi che sembra trovare conferma anche nei

versi di Isabella Morra “terra che da te deriva il nome”7

Durante l’occupazione normanna e del Regno delle Due Sicilie il paese

rimase sotto l’amministrazione della famiglia Chiaromonte per poi

passare ai Sanseverino, ai Pignatelli, ai Di Sangro e ai Donnaperna. Nei

secoli che trascorsero il carattere agricolo del paese non mutò, né subì

particolari cambiamenti: l’agricoltura e l’allevamento sono sempre

stati al centro dell’economia del paese. Dal cinquecento in poi non

accadrà niente di rilevante a livello storico fino al XX secolo.

5 Racioppi, G., Storia dei popoli lucani e della Basilicata, vol. II, Roma, 1889.

6 De Grazia, P., Basilicata, Torino, Paravia 1926.

7 Morra, I., Rime, Roma, Biblioteca italiana 2004.

19

1.4 Senise oggi

Senise sorge lungo la sponda sinistra del Sinni sul versante di un

monte a 335 metri sopra il livello del mare. Come tutta l’area

occidentale della regione rientra nella municipalità di Potenza ed è il

centro più importante, per numero di abitanti, di tutta la vallata

percorsa dal fiume. Da trent’anni ormai, ai suoi piedi, là dove prima si

estendevano campi agricoli, sorge la diga di Monte Cutugno, la diga in

terra battuta più grande d’Europa. Dalla cima del paese si scorgono

alcuni comuni limitrofi, anche loro posti su alture: Noepoli,

Chiaromonte e Sant’Arcangelo mentre altri come Colobraro, S.Giorgio

Lucano e Roccanova rimangono nascosti alla vista.

Secondo le statistiche ISTAT nel ventennio che va dal 1931 al 1950 si

registrò un notevole incremento, di circa 2.000 persone, della

popolazione che permise di raggiungere gli stabili e costanti 7.000

abitanti dell’ultimo sessantennio. Incremento demografico dovuto alla

fine del regime fascista e della guerra ed al miglioramento delle

condizioni di vita. Anche Senise è stata colpita dal flusso migratorio

per il quale i suoi abitanti lasciavano casa verso lidi più ricchi di

opportunità, sia in Italia che nel mondo. Tornando al presente, i dati

ISTAT aggiornati al Gennaio 2011 rivelano che il totale degli abitanti

ammonta a 7129; considerando solo i parlanti nativi del dialetto la

popolazione è composta da 2299 individui sotto i 30 anni, 3036 con

20

l’età compresa tra i 30 ed i 59 anni e 1665 sopra i 60. A differenza di

quello che accadeva fino cinquanta anni fa, oggi è più facile per gli

adulti e per i giovani diplomati trovare opportunità lavorative o

semplicemente studiare in altre regioni con l’eventualità poi di

stabilirvisi, viste le poche scelte che offre la vita di paese; ciò comporta

logicamente una regressione nell’uso del dialetto nella comunicazione

orale dell’individuo. Per quanto riguarda il numero di stranieri

residente in paese, esso è in crescita e conta di 154 individui.

L’economia del paese è, per tradizione, essenzialmente agricola; a

sostegno di ciò c’è il dato che ci rivela che una buona parte degli

abitanti, oltre alla propria casa in paese, possiede anche porzioni di

terra nei dintorni. Va comunque precisato che rispetto a prima questo

tipo di economia si è ridotta. L’abituale mercato che da anni si tiene

ogni mattina nelle strade del paese offre sempre prodotti freschi, con i

contadini che dispongono su cassette di legno la loro frutta e verdura. I

prodotti principali sono peperoni, finocchi, legumi e pomodori. Il

prodotto principale è sicuramente il peperone, che nel 1996 ha

ottenuto il marchio I.G.P. Rilevante è anche la lavorazione della carne

e la produzione di formaggi e vini locali.

21

2. Il quadro linguistico

2.1. Lo sviluppo nel tempo

Le varietà dialettali considerate rientrano nella famiglia dei dialetti

dell’area meridionale intermedia nella classificazione di G.B.

Pellegrini8. Proprio questa classificazione ci dimostra come la

Basilicata non sia proprio unitaria dal punto di vista linguistico:

Pellegrini la divide in quattro aree: Lucano nord-occidentale,

Materano, Lucano centrale e Area Lausberg. Dell’area nord-

occidentale troviamo Tito, Picerno, Pignola, Vaglio e Potenza, che si

distinguono per essere alcune delle isole gallo-italiche individuate da

Rohlfs negli anni ’30 in Lucania. A questi aggiungiamo 5 comunità

arbëreshë. Il Materano è si avvicina molto alla parlata della vicina Bari

e l’area centrale si distingue per il vocalismo del Vorposten e per una

maggiore conservazione di lemmi greci. Il dialetto oggetto di questa

tesi rientra nell’Area Lausberg: più avanti verranno elencati alcuni

tratti caratteristici.

Nell’età preromana le lingue conosciute in questi territori sono state in

ordine cronologico quella degli enotri e l’osco, con la prima che forse

era affine alla seconda, ma è solo un’ipotesi. A queste aggiungeremo il

greco antico, anche se parlato da una netta minoranza. Le possiamo

8 Pellegrini, G. B., Carta dei dialetti d’Italia, Pisa, Pacini editore 1977.

22

definire come il nostro punto di partenza, il sostrato del dialetto che

tornerà a manifestarsi durante la decadenza dell’impero romano con

quello che Cattaneo chiamò ‘’rinvigorimento’’9. Ma procediamo con

ordine: un primo punto di svoltà, come è stato già affermato in

precedenza, è stata l’avanzata del latino. Le varietà protagoniste di

questa ricerca trovano le loro fondamenta in esso. Possiamo affermare

che è con il latino che nasce il dialetto; da un punto di vista

morfologico e sintattico lo strato linguistico principale è il latino. Senza

contare che la quasi totalità del lessico poggia su di esso. Il latino

assoggetta le lingue italiche preesistente e le livella: una volta entrato

in contatto e cominciato ad essere usare periodicamente dalle

popolazioni non verrà mai abbandonato. Questo si verificò in quasi

tutta la Lucania: i romani diffusero la loro lingua per quasi tutta la

regione. In quegli anni il concetto di dialetto come lo conosciamo oggi

non esisteva in Italia, era legato solo alla situazione linguistica della

Grecia,essendo ‘dialetto’ stesso una parola greca. La lingua parlata in

queste regioni poste alla “periferia” di Roma, dove la realtà romana si

incrociava con un’altra completamente diversa, veniva definita

‘rusticas’, proprio da ‘rus’, contado. La ragione delle differenze è ovvia,

le tribù italiche dovevano imparare una nuova lingua e nel farlo

mantenevano tratti della loro, che si palesavano nella pronuncia.

9 Cattaneo in Grassi C, e Sobrero, A., Fondamenti di dialettologia italiana, Roma; Bari, Laterza 1997, p. 40.

23

Dopo la caduta dell’impero romano ed il passaggio alle lingue romanze

e poi al volgare avvenne quel ‘’rinvigorimento’’ accennato poche righe

sopra. E questo si verificò per tutte le altre regioni d’Italia. In questo

periodo il vocabolario dialettale verrà anche arricchito dalle parole dei

suoi futuri dominatori e cittadini: parole greche e galliche soprattutto,

che con il passare dei secoli si adatteranno alla pronuncia locale e

contribuiranno, alcune più e alcune meno, all’arricchimento lessicale.

Per quanto riguarda il contributo greco potremo citare ad esempio:

/‘vrotk/ <<rana>> che viene dal greco βάτραχος, lagan <<pasta

sfoglia>> da λαγάνον, /’kruop/ <<letame>> da χόπρος; tra i verbi

ricordiamo /ndi’a/ <<inaugurare>> da εγκαινιάζω e /nia’na/

<<salire>> da αναλαβαίνω. Oltre all’area sud-occidentale che ora

stiamo analizzando, alcuni di questi lemmi si possono riscontrare

anche nella Lucania settentrionale, circostanza dovuta alla prossimità

del confine campano, anch’esso sede di grecismi. Questi offrono un

interessante spunto di riflessione: il Rohlfs, colui che per primo li ha

raccolti, sostiene che essi siano frutto dell’influenza della prima

ellenizzazione e poi della seconda, implicando che le conseguenze

linguistiche della prima fossero sopravvissute all’ondata latina. Altri

studiosi, al contrario, come Parlangeli10 e Alessio11 sostengono invece la

10

Parlangeli, O., Storia linguistica e storia politica nell’Italia meridionale, Firenze, Le Monnier 1960.

24

non continuità fra le due fasi, e che la presenza di tratti ellenici sia da

ascrivere solamente al periodo bizantino, vale a dire nel VII

secolo(nota). Ciò verrebbe testimoniato dalla discriminante delle zone

di montagna: le terre occupate dai primi coloni greci non erano che in

prossimità della costa, mentre i bizantini nei periodi in cui sono giunti

in queste terre, sia da conquistatori che da immigrati, riuscirono a

raggiungere anche i monti. Tutt’oggi il dibattito è ancora aperto e

sembra difficile possa mai avere risposte data la totale assenza di fonti

originali.

Il contributo gallico è presente in quantità minore nel dialetto di

Senise, rispetto alle aree più settentrionali; qui ricordiamo

/penden’dif:/ <<collier con ciondoli>> proveniente da pendentif e

/:e()’m:is/ <<camicia>> da chamise. Già da questi pochi esempi

possiamo notare come i diversi contributi ricoprano anche aree

culturali: le parole greche le incontriamo quando parliamo di animali e

di strumenti ed oggetti di tutti i giorni (qui ancora potremmo ancora

riporta /’grast/ <<vaso da fiori>> e /kuk:u’ved:/ <<civetta>>), una

scienza “primitiva”. Il francese, al contrario, viene fuori quando si

tratta di capi d’abbigliamento, gioielli o in maniera più generale di

oggetti legati al mondo della moda.

11

Alessio, G., Saggio di toponomastica calabrese, L. S. Olschki 1939.

25

Un caratteristica che troviamo nel lessico è l’uso di parole in origine

legate ad un concetto astratto per designare significati concreti o

comunque ristretti; sono i cosiddetti cultismi, legati alla cultura

materiale, che possono avvalersi di una presenza importante nel

vocabolario dialettale. Essi possono derivano dalla letteratura ma

anche dal confronto della gente con le istituzioni civili e la religione. Di

seguito tre esempi di cultismo utilizzati a Senise12:

/teta’ts:/ << persona insopportabile >>

/k’frt/ << condoglianze >>

/ku’m:/ <<gran confusione>>

12

Cortelazzo, M., et al., (a cura di), op. cit., p. 771.

26

2.2 Vocalismo

I dialetti di Senise e dei paesi limitrofi condividono caratteristiche

comuni, come vocalismi, coniugazioni verbali, pronomi ecc. Proprio a

causa di alcune di queste caratteristiche, la valle del Sinni fa parte della

zona Lausberg, dal nome del suo scopritore. L’area Lausberg è definita

principalmente dal vocalismo tonico. Secondo la tradizione questo tipo

di vocalismo si è venuto a creare a cavallo del passaggio dal latino alle

lingue romanze: le vocali lunghe e brevi latine si fondono in un’unica

vocale e non prende luogo l’opposizione qualitativa vocale chiusa-

vocale aperta.

Nel periodo classico il latino volgare contava 3 gradi e come già detto

distingueva quantitativamente le vocali13.

ī ĭ ū ŭ

ē ĕ ō ŏ

ā ă

Con il passaggio alle lingue romanze si passa ad una opposizione

qualitativa, cioè vocale aperta- vocale chiusa andando a formare

teoricamente un sistema a 5 gradi con 9 vocali. Nella realtà invece si

verificò una fusione di vocali di grado contiguo: si sviluppa così un

13

Rohlfs, G., Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. I, Torino, Einaudi 1966, pp. 5-6.

27

sistema a 4 gradi con 7 vocali in cui l’antica ĭ breve aperta e l’antica ē

lunga chiusa si fusero nel fonema /e/ e le antiche ŭ breve aperta ed ō

lunga chiusa nel fonema /o/, così da ottenere il vocalismo del futuro

italiano:

i u

e o

a

Invece nel dialetto senisese si è avuto nel corso del tempo un esito

differente: un vocalismo a 3 gradi con 5 vocali che a differenza di

quello sopracitato mantiene separate ĭ breve aperta ed ē lunga chiusa

oltre a ŭ breve aperta ed ō lunga chiusa fondendo in un unico suono

ogni opposizione breve-lungo tra stesse vocali. E’ un sistema

pentavocalico ed asimmetrico, in quanto l’asse palatale ha subito uno

sviluppo diverso da quello velare. Di seguito è riportata una tabella

esemplificativa tratta da “I dialetti italiani”14:

14

Cortelazzo, M., et al., (a cura di), op. cit., p.759.

28

Latino Senise Italiano

Meridionale

AURĬC(U)LA /’ric:/ /’rec:/

PĬPE(R) /’pip/ /’pep/

RESPŌNDĔRE /r’spon:/ /r’spn:/

CRŬCE /’krut/ /’krt

I suddetti tratti, a parte qualche eccezione, sono condivisi con il sardo e

sono unici in Italia. Per quanto riguarda il perché queste particolarità

siano sopravvissute, la tradizione fa risalire il tutto all’isolamento della

regione, mentre Varvaro15 prova a fornire una spiegazione basata sul

contatto linguistico: il fenomeno prende luogo là dove nel Medioevo

coesistevano più realtà, e la popolazione aveva bisogno di distinguere

la propria lingua, quindi anche la propria cultura dagli altri

accentuandone i tratti distintivi. Stando alla voce inerente la Lucania,

sempre presente ne “ I dialetti d’Italia”, ciò sarebbe dovuto alla

contrapposizione di genti di lingua greca con quelle di lingua latina;

dai quali deriverebbero gli arcaismi e i tratti conservativi. Oppure

15

Varvaro, A., in Cortelazzo, M., et al., (a cura di), op. cit., p.757.

29

potremmo citare qualche parola sopravvissuta alla latinizzazione dei

longobardi.

Parlando del vocalismo senisese, e volendo entrare un po’ nello

specifico, vanno considerate le particolari condizioni metafonetiche,

che lo rendono ancora più difficile da classificare essendo oggetto di

metafonia condizionata sia da –i che da –u (seguendo quel modello di

vocalismo detto siciliano), proprio come accade nei dialetti meridionali

non estremi. Cortelazzo ci riporta alcuni esempi, rilevati proprio a

Senise: per quanto concerne la metafonia da –i abbiamo /m:s/ al

plurale /mi:s/ che deriverebbe dal protoromanzo *mēnsī e /npo:t/

che diventa /npu:t/ da *nepōtī; per quella da –u riportiamo /kji:n/

*plēnu e /su:l/ *sōlu16.

Sono da ascrivere a metafonia anche i casi di dittongazione; quando si

indeboliscono le vocali toniche esse tendono a dittongarsi nei frangenti

“-ie-“ e “-uo-“. Come ci spiega Rohlfs, il tutto avviene tramite un

processo di “armonizzazione fra la vocale della sillaba tonica , molto

aperta (// ed /o/) e la vocale i ovvero u, estremamente chiuse”.

Sempre lo stesso Rohlfs ci spiega poi come “il grado di apertura della

16

Cortelazzo, M., et al., (a cura di), op. cit., p.760.

30

sillaba che si trova sotto accento tonico viene a subire una chiusura che

giunge fino a un grado vocalico”17.

Le vocali finali sono atone, risultando indebolite nella fonetica che

percepiamo oggi; come naturale conseguenza subiscono il fenomeno

dell’ammutinamento e vengono prodotte con //.

2.3 Consonantismo

Il consonantismo del senisese può essere illustrato senza problemi

elencando i suoi tratti, di cui alcuni sono comuni ad altri dialetti del

sud. Come questi, ma come anche il toscano e quasi tutte le varietà

nazionali, è stato oggetto di alcuni casi di assimilazione regressiva, cioè

basata sulla trasformazione della consonante che precede. Ad esempio

il latino NŎCTEM diventa /no:tt/, assimilando la c come del resto

accade in quasi tutto il territorio della penisola. L’assimilazione

progressiva, al contrario, non può essere indicata con sicurezza; infatti,

solo poche parole subiscono i suoi effetti.

Un altro tratto è sicuramente la palatalizzazione: come ci spiegano

Grassi e Sobrero “quella tendenza a conguagliare, in tutto o in parte, gli

esiti dei gruppi con consonante labiale sul modello degli esiti dei

gruppi con velare”18. Espresso in parole povere, i gruppi consonantici

17

Rohlfs, G., op. cit., p.13

18 Grassi, C., e Sobrero, A., op. cit., p.113.

31

che si trasformano sono CL-, PL- > KJ- ; GL-, BL- > (L)J-. In altre

varietà dialettali viene coinvolto anche il gruppo FL-, ma non nel

nostro caso. Per rendere più chiara la spiegazione ecco alcuni esempi:

lat. CLĀVE > /’kjav/ <<chiave>>

lat. PLĀNU > /’kjan/ <<pieno>>

lat. volg. BLANCUS > /’jang(k)/ <<bianco>>

Una caratteristica che distingue Senise anche dai paesi limitrofi è il

rotacismo molto accentuato; come ci informa Devoto questa è una

caratteristica dell’umbro antico. Consiste nella trasformazione della

velare sorda d iniziale in una vibrante r. La d iniziale pertanto non

viene mai pronunciata, di conseguenza avremo i vari /ru’menk/ <<

domenica>>, /’kar/ <<cadere>>, /’ri:r/ <<ridere>> ecc.

La d invece la possiamo trovare alla fine della parola, quando va a

sostituire la approssimante laterale l geminata dando luogo ad un

fenomeno di retroflessione: /ka’vad:/ << cavallo>>, /kwod:/

<<collo>>. Le parole pronunciate con la geminazione della l che si

possono ancora trovare sono prestiti letterari.

Fa parte del consonantismo anche la fricativa velare sonora γ che si

presenta al posto dell’occlusiva velare sonora g quando essa si trova a

32

inizio parola davanti a vocali: /’γam:/ <<gamba>>, /’γont/

<<gomito>>.

Inoltre ci sono casi in cui la fricativa labiodentale sonora /v/ è

sostituita da una fricativa bilabiale sonora: /’as/ <<bacio>>,

/ar()a/ <<barba>>.

Alcuni monosillabi tendono al raddoppiamento enfatico: /’k:ju/

<<più>>.

33

2.4 Verbo

Il tratto riguardante il verbo che spicca tra tutti, è la conservazione

delle desinenze –s e –t della coniugazione latina. E’ una caratteristica

tipica del latino ed è molto raro da incontrare nelle altre aree d’Italia;

gli unici dialetti ad aver conservato questo arcaismo sono quelli della

zona Lausberg e il sardo. Riportiamo ancora un esempio proveniente

da “I dialetti italiani”19 ,la coniugazione del verbo cantare:

latino Senise

CANTO /’kad/

CANTAS /’kads/

CANTAT /‘kadt/

CANTAMUS /ka’dam/

CANTATIS /ka’dats/

CANTANT /‘kadn/

19

Cortelazzo, M., et al (a cura di), op. cit., p. 760.

34

E’ possibile riscontrare altre desinenze latine anche nel passato

remoto, anche se ormai in pochi verbi.

Come in tutto il meridione, l’utilizzo del tempo futuro non è popolare,

anzi, è praticamente inesistente. Per esprimere azioni che prenderanno

luogo o nell’immediato o comunque più in là nel tempo si ricorre o al

presente oppure al futuro analitico del tipo ‘’habeo ad cantare’’: un

futuro in cui si implica ancora un poco l’idea della necessità. Forma

peraltro simile a quelle francese, per esempio la frase /’ad: ka’da/

potremmo trasporla in italiano come <<devo cantare>> o

<<canterò>> a seconda dei casi.

Il participio passato si accorda al pronome personale accusativo che

precede; le sue desinenze sono: -ut, -st, -at e -it.

In aggiunta agli elementi latini ancora conservati vi è il

piuccheperfetto, utilizzato oggi come condizionale.

Comune ad altri dialetti della zona meridionale è anche lo spostamento

dell’accento nelle forme verbali : il caso più lampante è l’imperativo,

che si forma con un pronome personale enclitico:

/mada’ti:l/ << mangiatelo >>

/v:’ti:l/ << venditelo >

35

3. Il corpus dei dati

3.1 Il punto di vista etnolinguistico

Da tutto quello che è stato detto sin d’ora, sia dal capitolo storico che

da quello linguistico, risulta come la multiculturalità sia sempre stata

al centro delle vicende della valle del Sinni, a partire da diversi secoli

prima di Cristo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Per multiculturalità

noi intendiamo l’incontro, il confronto tra almeno due culture. Esse

hanno lasciato le loro tracce, sia a livello fisico che a livello astratto.

Hanno definito quelli che ora sono i vari usi e costumi. Riprendendo

ciò che è stato scritto nella parte introduttiva di questa tesi non sono

stati prodotti lavori di linguistica antropologica in quest’area, lavori da

poter commentare e da arricchire. Partiremo da zero cercando di fare

della chiarezza un punto di forza e di riuscire a trasmettere quello che

le parole non dicono.

Al fine di asservire al meglio lo scopo di questa trattazione e

comprendere meglio quali aspetti si vogliono cogliere partiamo dalle

sue vere e proprie basi: la lingua, nel nostro caso un dialetto, e la

cultura. Certo, non staremo a spiegare e ad esaminare tutti i vari studi,

definizioni ecc. Vogliamo solo esporre la nostra indagine e illustrare

come essa sia stata approcciata, con i principi teorici che l’hanno

mossa e ne costituiscono le fondamenta.

36

In questa ricerca i due elementi sopracitati sono inscindibili: la lingua

permette l’elaborazione del pensiero e rappresenta la lente con la quale

noi osserviamo il mondo; citando Cardona “ l’apprendimento della

lingua veicola la cultura”20, e continuando la citazione affermiamo che

essa è “ l’elemento primario nella vita di una comunità “. Ed è proprio

in virtù di questa sua inevitabile rilevanza che essa è “ fatto sociale “,

come la definì Saussure. E’ chiaro adesso come all’apprendere della

lingua avvenga al tempo stesso quel processo per il quale cominciamo

a muovere i nostri primi passi per ambientarci alla realtà esistente

intorno a noi ; essa ne è il filtro. E’ organica ed esiste in correlazione

con la vita e gli usi di chi se ne serve. Una volta definita la lingua in

questi termini scatta automaticamente il legame con la cultura: quella

della visione antropologica, cioè quel “ patrimonio sociale che

comprende regole di comportamento, criteri organizzativi, principi

ideologici che governano la collettività ecc”21. Cultura come insieme di

conoscenze condivise, come memoria comune di una società.

Una volta introdotti i concetti di lingua e cultura, è necessario

esplorare meglio anche l’ottica con il quale il dialetto va a porsi fra

questi due elementi: esso è costituito, come scrivono Grassi e Sobrero,

da due sistemi di segni: quello ‘secondario’ è costituito da segni

20

Cardona, G., Introduzione all’etnolinguistica, Novara, De Agostini Scuola SpA 2006, p. 4.

21 Cardona, G., op. cit., p. 4.

37

linguistici i quali si coordinano con il sistema ‘primario’, quello delle

“classificazioni sistematiche (tassonomie) che ogni cultura elabora”22.

Noi muoviamo dalla diversità dei segni ‘primari’ fra dialetto e lingua

ufficiale. Soprattutto in Italia questa differenza si esalta, visto che ogni

regione, ogni località rappresenta un microcosmo in sé; ognuna con le

sue unicità geografiche: monti, mari, valli ecc. Ecco, la cultura

“primaria” parte per prima cosa da un habitat che determina la vita

dell’uomo e ne plasma la conoscenza scientifica. Da qui, ogni cultura

ha un proprio linguaggio in cui si esprime. “ Il contadino che parla il

dialetto è padrone della sua realtà” scrive Pasolini; e in effetti se

proviamo ad immaginare idealmente un contadino parlare l’italiano

standard percepiamo che c’è qualcosa che non va; mantenendoci su

quest’esempio, diremo che in Italia coltivare la terra è un’azione che si

ripete da millenni, è un’attività che ha sempre avuto pochi margini di

cambiamento: come svolgerla, cosa utilizzare e cosa ricavare sono, se

escludiamo le novità tecnologiche, questioni che di non molto

discostano da quella che era l’agricoltura secoli fa; a maggior ragione

da un punto di vista linguistico. Di ciò ce ne renderemo conto più

avanti, quando sarà il momento di lavorare su esempi pratici; quando

analizzeremo e daremo interpretazione, in un certo qual modo, le voci

raccolte. Questo perché l’habitat decide come si dovrà vivere, cosa si

22

Grassi, C., e Sobrero, A., op cit., p.25

38

dovrà mangiare, come ci si dovrà spostare e così via. Tutto ciò si

manifesta con un linguaggio; ogni parola è collegata a un pensiero,

ogni parola ha una storia; se vogliamo, anche quelle inutilizzate ci

raccontano qualcosa, come dice Santoli “la popolarità delle parole non

dipende dall’origine o dalla forma ma dall’uso e dall’ambiente”23 ;

solitamente soltanto quelle che trovano applicazione nel parlato

“sopravvivono”, mentre le altre si disperdono lentamente. Nei dialetti

di oggi, questo fatto è uno dei maggiori pericoli per la sua integrità.

Con un po’ di fantasia, potremmo paragonare le parole a una valigia

che si porta dietro adesivi e toppe da diverse destinazioni; ricostruendo

la cronologia dei voli troviamo il luogo di partenza e le tappe

intermedie fino ad arrivare a noi. La nostra intenzione, qui in questa

sede, è ripercorrere questo viaggio, anche se in ambito ristretto, per

quel dialetto che viene parlato a Senise.

Nel tentativo di presentare uno sfondo culturale adatto alle

argomentazioni presenti nei prossimi paragrafi, non si può non

menzionare Carlo Levi, che con il suo “ Cristo si è fermato a Eboli ”

traccia una descrizione storico-culturale della Lucania pressoché

completa. Durante i suoi anni di confino egli è stato osservatore acuto

della vita lucana, raccontando le sue riflessioni, ciò che aveva visto,

quello che aveva sentito. Le sue testimonianze, oltre ad essere un

23

Cirese, A., Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo, Palumbo 1992, p. 15.

39

importante contributo alla letteratura, sono un ideale punto di

partenza per un’indagine etnolinguistica. Le sue parole ci trasportano

nella regione e nei suoi piccoli paesi arroccati sui colli, ci racconta

come essi facciano parte di un “mondo fuori dalla storia”. Emblematica

la storia che ci racconta riguardo a questa “seconda Italia”, così come la

definisce lui, destinata ad essere sempre dominata da un qualche

estraneo; che fosse greco, romano o borbone poco importasse. Già ai

tempi dello sbarco dei primi coloni, guidati da Enea, ci narra di uno

scontro tra due civiltà completamente diverse: “ da un lato c’era un

esercito, con armi splendenti forgiate dagli dèi; dall’altro, come le

descrive Virgilio, c’erano delle bande di contadini, a cui nessun dio

aveva dato delle armi, ma che impugnavano a propria difesa le scuri, le

falci e i coltelli del loro lavoro quotidiano”24. La sottomissione degli

abitanti nativi ai greci è stato il primo passo verso la formazione, il

mantenimento ed il rafforzamento di quello che Cirese chiama

“dislivello” culturale25. Cioè viene a crearsi un parallelo tra la cultura

vincitrice dei conquistatori e la cultura dei nativi subordinata ad essa.

Un rapporto, questo, che rimarrà costante nel tempo, fino alla

contemporaneità dove è ancora attuale la distanza tra il Mezzogiorno

ed il resto d’Italia, oggi cambia solo l’unità di misura: l’economia

24

Levi, C., Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi 2010, p.124.

25 Cirese, A., op. cit., p. 10.

40

industriale. Storicamente cambiano solo i dominatori e le loro

credenze e conoscenze nei vari settori. Come si evince dalle parole di

Carlo Levi sopracitate uno dei primi scontri sul livello culturale è stato

quello spirituale-religioso; il politeismo ellenico contro un antico

paganesimo italico, contro un credo di superstizione. E’ proprio la fede

è un parametro fondamentale se ci si occupa di storia della lingua,

l’istruzione del popolo avveniva anche tramite testi sacri. E’ stata già

sottolineata l’influenza della romanizzazione in materia di lingua,

tramite l’insegnamento del latino, i nuovi membri dell’Impero vennero

a contatto con nozioni astratte come civiltà, stato, la religione stessa.

Per di più, a distanza di pochi secoli seguiteranno a conoscere la

religione cristiana che contribuirà in modo decisivo all’evoluzione

culturale. In ogni caso c’è sempre la sensazione che il popolo rimanga

sempre un po’ escluso dalle dinamiche e dai processi culturali, non ne

avrà mai un contatto diretto. Il popolo sarà sempre quello che dovrà

sudare e pagare quell’autorità, alle volte mai conosciuta, che chiedeva

tributi. Per sopravvivere non c’era che il lavoro, la terra. La terra è

sempre stata l’unica ricchezza di cui la popolazione abbia mai disposto.

Averne un pezzo poteva significare sopravvivenza e questa rilevanza

sarà lampante anche nell’organizzazione linguistica.

Cosa si può aggiungere a quanto già detto su Senise: va tenuta presente

la sua natura di centro abitato molto ristretto. Ne consegue che la sua

41

rete sociale è coesa, è un circolo chiuso in quanto la maggior parte

della comunicazione prende luogo all’interno del paese tra i suoi stessi

abitanti. Altri paesi, in altre regioni, sono riusciti, grazie anche a

diversi fattori (es. turismo), a cambiare la loro cerchia sociale, ad esser

casa anche di chi non fosse nativo; con il risultato però di perdere

alcuni tratti dialettali, più o meno marcati. Il turismo a Senise non ha

mai avuto modo di svilupparsi, come del resto in tutta la Lucania,

eccezion fatta per talune località. Logicamente anche questa

preclusione ha rappresentato una buona ragione per il mantenimento

di una solida tradizione dialettale. Le generazioni più giovani tendono

a imparare la parlata locale sin da piccoli e costituisce il mezzo

principale per i loro scambi. Ad ogni modo, complice la comunicazione

di massa e uno stile di vita profondamente diversi da quello dei loro

genitori o nonni, il loro vocabolario tende ad essere meno ricco e in

alcuni casi più vicino all’italiano standard.

Il dialetto senisese è sempre stato marcato dall’assenza di una propria

letteratura, o almeno, non ci sono pervenuti scritti dialettali tipici. Per

inverso constatiamo come la tradizione orale si sia fatta padrona e

custode della trasmissione della maggioranza degli elementi culturali.

Prova ne sono i numerosi detti, proverbi, filastrocche ancora oggi

dette, raccontate e conosciute da gran parte dei senisesi. Da non

dimenticare anche le storie, le fiabe popolari che, ricche di elementi

42

culturali, al giorno d’oggi sono purtroppo ricordate, la maggior parte,

solo dalle persone più anziane.

3.2 La raccolta

Le sfere di interesse poste sotto analisi sono quelle dei numeri

cardinali e del tempo, quest’ultimo inteso come misurazione dei giorni,

dei mesi e delle stagioni dell’anno. Come già detto, il corpus è stato

ricavato consultando l’A.L.Ba., frutto del lavoro dei ricercatori

dell’università di Potenza. Riguardo le parole in esso contenute, si

precisa che sono state registrate cercando la pronuncia più naturale da

parte dell’intervistato, soprattutto per la parte riguardante i numeri.

Nel caso di una scelta multipla tra più lemmi è stata sempre preferita

la forma più antica.

Sono state ottenuti, inoltre, ulteriori risultati tramite un modesto

lavoro di ricerca personale basato su interviste ad un ristretto numero

di persone. A questo proposito si dirà che il campione intervistato

rientra nell’ordine della decina di individui e comprende parlanti di

tutte e tre le fasce 20-30, 30-60, 60-90. I risultati saranno dati solo

come materiale supplementare per notare fatti interessanti o

comunque possibili e assolutamente non per formulare ipotesi o

interpretazioni addizionali.

43

Introducendo brevemente l’insieme di voci raccolte, ad una prima

analisi possiamo individuare come negli ambiti culturali considerati la

stratificazione latina manifesti la sua egemonia nel lessico e

44

nell’organizzazione all’interno della quale le parole sono raggruppate:

esse appartengono allo stesso sistema. Questa affermazione potrebbe

sembrare scontata ma, in presenza di una cultura profondamente

diversa in età preromana, questo fatto doveva essere precisato. Non

dimentichiamo che non tutte le società tendono a classificare eventi e

oggetti secondo un criterio comune al nostro; alcune non tendono a

classificare per niente. Nel nostro caso l’acculturazione subita dai

romani, attraverso la lingua latina, ha avuto una portata enorme se

pensiamo che è arrivata a regolare due campi fondamentali nella

conoscenza. Anche la calendarizzazione e la numerazione possono

essere considerati concetti scientifici, anche se non siamo abituati a

vederli come tali; sono saperi che utilizziamo tutti i giorni e non ci

poniamo la questione della loro relatività, nel senso che potrebbero

benissimo essere organizzati diversamente.

Osservando le carte linguistiche individuiamo facilmente le isole

galloitaliche della Basilicata: Potenza, Vaglio di Basilicata, Pietragalla,

Tito, Picerno, Pignola, Albano di Lucania e Trecchina; come ci informa

l’atlante linguistico, Albano di Lucania ha perso alcuni tratti della sua

galloitalicità, fatto in primo luogo da attribuire alla loro scomparsa

nelle parlate delle generazioni più giovani.

Appartenenti al gruppo delle parlate arbëreshë sono invece le aree di

San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Barile, Ginestra e

45

Maschito, facili peraltro da individuare a causa della quasi totale

divergenza dal punto di vista lessicale e morfologico.

Introducendo la nostra analisi delle carte a disposizione, la prima

verifica che andremo ad effettuare, essendo oggetto di quest’indagine,

coinvolgerà i tratti linguistici che distinguono tutt’oggi la valle del

Sinni, in particolar modo Senise. Illustreremo in maniera molto

generale gli esiti dei moderni vocalismo e consonantismo. A questo

scopo prendiamo come esempio le trascrizioni di “marzo” dove la

vocale tonica non compare come //, seguendo così tutte le altre

pronunce limitrofe, ma si differenzia o registrando una // in

compresenza con /æ/:

46

Passando al punto di vista culturale, di grande interesse è la

distribuzione delle trascrizioni inerenti a “pomeriggio”. Guardando la

carta osserviamo come la variante // sia diffusa solo nelle

47

aree della valle del Sinni, oltre alla più comune / /.

Sempre riguardo quest’ultima rilevazione, notiamo come l’alternanza

vibrante-occlusiva ad inizio di parola divida in due parti la regione: nel

settore occidentale si presenterà una vibrante, con la sola eccezione di

quelle zone prossime al confine con la Calabria, dove è possibile

rilevare questo contrasto anche in altre voci. Nel settore orientale

un’occlusiva sarà la norma. Nei prossimi paragrafi torneremo su

queste circostanze in maniera più accurata.

Se a questa aggiungiamo la carta di “ dodici “, quel che risalta di più ad

una prima occhiata è sicuramente lo sviluppo di un forte rotacismo

nell’area corrispondente a Senise. In questo caso le zone confinanti

non mostrano un esito simile, mantenendosi sempre sull’uso di una

dentale e seguendo così il consonantismo di quei territori vicini al

confine calabrese.

48

Senise è l’unica area dove è stata registrata la dittongazione di a in –je-

anche per “martedì”; in nessun altro paese della regione compare

questa pronuncia, potrebbe trattarsi di un cambiamento per analogia

con “mercoledì” e “venerdì”.

49

Sempre restando nel tema dei giorni, se andiamo a vedere la tavola di “

lunedì “ Senise ci offre un altro spunto: è uno dei pochi paesi a non

aver indebolito la posizione della seconda vocale “ u”.

Nelle trascrizioni di “ dopodomani”, “ due giorni dopo domani” e “tre

giorni dopo domani” le aree di Colobraro, Valsinni, Tursi, Rotondella,

Nova Siri e Policoro sono le uniche a presentare metatesi.

Per quanto riguarda la distribuzione di “ mattina “ potremmo tracciare

un’isoglossa per evidenziare l’alternanza delle varianti maschile-

femminile nelle diverse aree della regione. Si osserva infatti come nella

parte meridionale venga prediletta l’uso di / æ/ << la mattina

>> , nella fascia centrale la versione maschile << il mattino >>, mentre

nelle zone al confine pugliese viene utilizzata per lo più la variante

femminile.

50

51

3.3 Il tempo

Che cos’è il tempo? Questa è una delle domande più difficili che

potremmo mai porre a qualcuno. Forse non saremo mai in grado di

dare una definizione comprensiva di questo fenomeno, ma una

descrizione parziale possiamo sicuramente formularla. Ad esempio

possiamo ricordare Einstein, che lega il tempo allo spazio; legame che

trova conferma anche nella linguistica, in diverse locuzioni; si guardi

ad esempio gli esempi proposti da Cardona : “ diciamo infatti <<alle

7>> come << a casa >> , << in, per, tra due ore >>, come diremmo <<

in, per, tra due chilometri >> , << prima delle due, dopo le due, fino

alle due >> come diremmo << prima del semaforo, dopo il semaforo,

fino al semaforo >>”26. Come sostiene Leroi-Gourhan il tempo viene

separato dallo spazio solo in via convenzionale dalla scienza, se il

tempo esiste su un livello etnologico esso è “una semplice astrazione”27.

Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nella critica della ragion pura,

scrive che la sua “intuizione” è il principale compito del nostro

pensiero e senza questa capacità non potremmo far nulla perché

incapaci di percepire tutto il resto. La rappresentazione del tempo è un

fatto alla base di ogni società, è uno dei fondamenti attorno cui essa

ruota in quanto il calendario rivela i giorni di lavoro, le festività, i

26

Cardona, G., I sei lati del mondo, Roma; Bari, Laterza & f. i. 2001, p. 67.

27 Leroi-Gourhan, A., Gesture and speech, Cambridge, The MIT Press 1993, p.315

52

giorni sacri ecc. Noi siamo stati abituati, sin da piccoli a sentirlo, a

percepirlo in un certo modo. Eppure ci sono culture diverse dove

quest’esperienza assume un forma completamente diversa dalla

nostra. Pensiamo a tanti secoli fa, pensiamo ai popoli che occupavano i

territori della Lucania da molto prima dell’arrivo dell’impero. Sarebbe

molto interessante avere più informazioni su qual era il loro sistema

per misurare la ciclicità del tempo. Appare ovvio che il metodo da noi

oggi usato in Italia e in Europa derivi proprio dai romani, che con il

loro dominio su vaste porzioni di territorio trasmisero questa coscienza

temporale. Con la loro si allargò anche l’uso del calendario giuliano,

calendario solare avente dodici mesi che inquadrava il ciclo di 4

stagioni. Più tardi verrà poi rimpiazzato da quello gregoriano, ma la

sostanza era già stata posta. Questo modello culturale di

rappresentazione ciclica del tempo si impose così in Europa. Facendo

un passo indietro, prima di quello giuliano c’era il calendario romano,

strumento lunare che contava dieci mesi (l’originale settembre, tanto

per dirne uno, viene di là in quanto era il settimo mese dell’anno).

Continuando ancora a viaggiare indietro nel tempo scopriamo che i

romani si erano basati sul sistema greco che a loro volta avevano preso

l’ispirazione da quello babilonese. Insomma, non si è mai potuto fare a

meno di modellare questo alternarsi di giorno e notte, di stagioni e

anni; sin dall’antichità c’è questo istinto, questo impulso dell’essere

53

umano a calendarizzare la sua esistenza, a regolarla. Nella nostra

cultura europea è diventato sempre più difficile cogliere differenze

culturali tramite l’organizzazione del tempo, il sistema è unico;

Cardona28 ci porta come esempio la divisione della giornata: lo schema

è sempre quello a causa delle comuni abitudini di lavoro ma potremo

cogliere qualcosa lo stesso se ci avviciniamo ancora di più e andiamo a

cogliere quelle che sono le abitudini regionali. L’unica eccezione è

rappresentata dal nome dei giorni della settimana, che varia a seconda

della famiglia linguistica. Nelle lingue romanze per esempio, anche

questi risalgono ai romani e devono il loro nome a motivi religiosi. Lo

stesso tipo d’esempio lo potremmo applicare ai dialetti d’Italia: stessa

famiglia linguistica ma diverse abitudini, diversi modi di pensare.

Se si guarda al tempo come una linea retta ci si rende conto di come sia

possibile suddividerlo in segmenti e misurarlo. Dal nostro punto di

vista ci sono due modi possibili per rappresentare il tempo e renderlo

oggetto di misurazione: o come una linea retta o come un cerchio. Per

la prima rappresentazione, il tempo è un susseguirsi di eventi che

scorrono in una certa direzione per non tornare più indietro; da un

punto di vista linguistico diciamo “domani”, “dopo domani”, “ieri”,

“l’altro ieri”, “due giorni prima di ieri” ecc. Secondo la visione che vede

il tempo come un ripetersi continuo di momenti, che tornano sempre

28

Cardona, G., op. cit., p. 74.

54

ecco che possiamo chiamare in causa le stagioni, i giorni, le settimane e

i mesi. La collocazione di eventi lungo queste due visioni risponde a

criteri pratici, ideologici o religiosi.

La folklorizzazione del tempo delle diverse comunità lucane appare

molto chiara nei suoi adattamenti e nelle sue innovazioni, in quanto

possiamo subito distinguerne le utilità pratico-religiose. Queste utilità

portano ad un tipo di rappresentazione non cronometrica, bensì basata

su alcune costanti come il ciclo agricolo; fino a pochi anni fa questa

visione era piuttosto comune nelle comunità rurali italiane. Citando

Fabietti << in verità il senso di un tempo non quantizzato , ma carico

di significati speciali, è presente in tutte le società che hanno bisogno

di rievocare periodicamente l’atto che considerano il fondamento della

propria esistenza >>29 ; così appare molto più logica e sensata la scelta

dei nomi. Per la comunità lucana non poteva essere altrimenti visto

che essa non è mai venuta direttamente a contatto con la ricchezza

economica e che ha sempre vissuto nella e della sua essenzialità, fatta

di lavoro e preghiere. Proprio a questo proposito non esiste descrizione

migliore di quella di Carlo Levi, descrizione di un tempo a ripetersi

all’infinito: << l’altra parola che ritorna sempre nei discorsi è crai, il

cras latino, domani. Tutto quello che si aspetta, che deve arrivare, che

deve essere fatto o mutato è crai. Ma crai significa mai. Il crai

29

Fabietti, U., Elementi di antropologia culturale, Milano, Mondadori Università 2004, p.104.

55

contadino, fatto di vuota pazienza, via dalla storia e dal tempo. In

questa landa atemporale il dialetto possiede delle misure del tempo più

ricche che quelle di alcuna lingua >>30. E se leggiamo le trascrizioni dei

mesi dell’anno possiamo individuare significati molto eloquenti dietro

ai loro nomi. Significati che ancora vanno a puntare all’eterna

ripetitività del tempo. Tornando alla rappresentazione temporale che

ci danno le diverse varietà dialettali della Lucania, abbiamo detto come

il modello di base è quello romano con una visione del tempo continua,

cioè il tempo è un flusso di ore, giorni, mesi ecc.

Di seguito vedremo che tipo di calendarizzazione è possibile

riscontrare. Si può rilevare che, non essendo mai stato scritto, questo

fenomeno potrebbe aver subito diverse evoluzioni lungo i secoli,

almeno fino al dopoguerra quando le abitudini quotidiano

cominciarono a subire i primi cambiamenti, o meglio, le prime

standardizzazioni. Inoltre è chiaro che l’elaborazione popolare si sia

svolta e si svolge all’interno di un contesto collettivo.

Nella varietà dialettali considerate, e quindi anche nel senisese,è

proprio questa ripetitività ad acquistare una certa rilevanza rispetto a

tutte le altre possibili rappresentazioni: se andiamo a leggere i nomi

delle stagioni la prima cosa che salterà all’occhio sarà sicuramente il

30

Levi, C., op. cit., pp.184.

56

nome che viene attribuito all’estate, proprio la “stagione” per

eccellenza.

-cartina estate

Non fatichiamo per nulla ad individuare il motivo di questa scelta, cioè

la coincidenza del periodo più caldo dell’anno con quello più ricco per i

contadini della zona. Le coltivazioni più tradizionali infatti sono quelle

che si raccolgono in estate: i pomodori, i peperoni ed il grano su tutti. I

pomodori specialmente, sono importantissimi anche per la stagione

più fredda, in quanto dopo la raccolta una parte di essi verrà lavorata

in modo da ottenere una salsa, destinata a fare da conserva per

l’inverno.

Le rimanenti stagioni mantengono la loro forma consueta riportando

cambiamenti sul solo piano linguistico:

/l’ / << l’autunno >>

/u / << l’inverno >>

/ / << la primavera >>

Queste forme sono tutte riconosciute anche dagli individui più giovani,

eccetto per quella valida per l’estate, dove nel corso delle poche

interviste effettuate si è constatato il suo avvicinamento a quella

italiana: //.

57

Altro nome che rimanda ad un qualcosa di concreto, di fisico, è quello

di Ottobre, che anche se nella cartina compare come //

non dobbiamo pensare subito che indichi il lasso di tempo all’interno

del mese perché, nonostante l’assonanza, commetteremmo una grossa

imprecisione. Noi presumiamo che nel produrre quest’enunciato la

mente del parlante si riferisca non tanto al periodo di tempo di 31

giorni che inizia dopo settembre, quanto ad una parola che in italiano

renderemmo come “ torbido”, ossia //, e considerando il

periodo dell’anno, quest’immagine ci rimanda a quella del mosto in

fermentazione; è tempo di vendemmia, tempo di produrre il vino.

Questa lettura ci viene suggerita anche dalla trascrizioni che

osserviamo essere state rilevate a San Chirico Raparo e Laurenzana. La

nostra ipotesi è che il nome del mese “ottobre“ abbia subito una

traslazione di significato per andare ad identificarsi con quello che

viene svolto manualmente nei suoi giorni. Il vino è un bene non solo

molto diffuso in queste zone, ma anche molto importante da un punto

di vista culturale. Non manca mai sulle tavole e solitamente per berlo si

usa un apposito bicchiere di dimensioni ridotte rispetto a quelli a cui

siamo abituati per l’acqua.

58

Nei due esempi appena fatti scorgiamo l’utilità pratica del calendario

dialettale come vero e proprio strumento agricolo oltre un esempio

ideale per mostrare la forza di un processo di folklorizzazione. Essendo

59

stata l’agricoltura l’unico mezzo per la sopravvivenza ed il lavoro anche

il tempo è stato relativizzato ad essa.

L’esperienza temporale che si pone davanti analizzando le carte

linguistiche della Lucania ci offrono numerosi spunti riguardo la loro

religiosità e il loro essere in qualche modo strumento liturgico. Qui

incominciamo a vedere quali grandi cambiamenti culturali abbia

portato la cristianizzazione. Se guardiamo più attentamente la cartina

nella pagina precedente rileveremo come in alcune aree il mese di

ottobre è anche conosciuto come // a Tricarico da

San Francesco d’Assisi che si festeggia il quarto giorno del mese, come

//a Vaglio di Basilicata dal santo Gerardo la Porta, ieri

vescovo e oggi patrono di Potenza, celebrato il 30 o come /

/ << San Luca >> a Salandra, Oliveto Lucano e Grassano da San

Luca Evangelista che si festeggia il 18 oppure da San Luca di Demenna

che si festeggia il 13, con quest’ultimo che si trasferì proprio in Lucania

concludendo la sua vita ad Armento. Da questi nomi si evince

l’importanza della fede nella cultura popolare e anche una certa

differenziazione nella scelta dei santi.

A Senise ed in altri paesi il mese da associare ad un altro santo è

Novembre, popolarmente conosciuto come //

molto probabilmente da San Martino di Tours, celebrato il 18.

60

Sempre rimanendo sui mesi dell’anno andiamo a leggere come viene

espresso il mese di “ dicembre “: nella quasi totalità dei casi non

troveremo per niente il nome vero e proprio, bensì l’evento principale

che si svolge nel suo corso, cioè il Natale.

61

I nomi degli altri mesi, qui di seguito riportati, sono ancora conservati

secondo il modello latino:

/()/ << gennaio >>

/()/ << febbraio >>

/()/ << marzo >>

/ / << aprile >>

/() / << maggio >>

// << giugno >>

// << luglio >>

/ / << agosto >>

// << settembre >>

Anche nel caso dei mesi dell’anno le informazioni derivanti dalle

interviste rivelano una tendenza verso l’italiano, soprattutto per gli

esempi sopracitati: novembre non fa più riferimento a San Martino ma

può diventare semplicemente novembre con una vocale debole alla

fine,idem per dicembre a cui verrà tolta ogni menzione alla festività

natalizia.

62

Nella parte introduttiva di questo capitolo avevamo già accennato ai

alla distribuzione delle varianti per “pomeriggio”, di seguito

analizzeremo più da vicino la sua rilevanza a livello culturale: essa

appare in linea con il carattere agricolo-religioso della percezione

dialettale, notiamo come nei lemmi usati per riferirsi a questo

momento della giornata entrambe le dimensioni vengono palesate da

diverse parole:

63

Dalla cartina già vediamo come i termini in questo caso siano

molteplici, ma in questa sezione a noi interessa rilevare come esistano

sia // << l’ora bassa >> e sia // << ai

vespri >>. La seconda abbastanza chiaramente fa riferimento ai vespri

, sarebbe a dire le preghiere del tramonto che viene celebrata

64

quotidianamente in chiesa. La prima potrebbe riportare alla mente il

calare del sole, proponendo così anche una metafora con l’ora.

Gli altri momenti principali della giornata sono:

/ æ / << il mattino >>

// << mezzogiorno >>

// << sera >>

Per completare la descrizione di questo esempio va detto che in alcuni

paesi, Senise incluso, l’uso di // è posticipato sulla

linea temporale, alternandosi così nell’uso con //, ma

all’interno di un numero molto ristretto di parlanti, in quanto i più

giovani usano sempre la variante più vicina alla rappresentazione

italiana.

Ad evidenziare il carattere “arcaico” che contraddistingue il linguaggio

dialettale ci sono anche le forme per fare riferimento a giorni passati o

prossimi molto vicini:

// << oggi >>

/()/ << domani >>

/() / << dopo domani >>

65

// << due giorni dopo domani >>

// << tre giorni dopo domani >>

//<< ieri >>

/ / << l’altro ieri >>

// << due giorni prima di ieri >>

Le forme latine ancora oggi utilizzate ci raccontano piuttosto

chiaramente, tramite la loro conservazione, l’assenza di particolari

evoluzioni culturali. Altro fatto che potremmo osservare è che questi

riferimenti coprono potenzialmente un periodo maggiore della

settimana e rendono così inutili le denominazioni dei giorni, senza

contare che nella varietà senisese non sono state rilevate le forme per

indicare “ quattro giorni dopo domani “ e “ tre giorni prima di ieri “

presenti invece in alcune zone limitrofe. Ciò rispecchierebbe molto

proprio quello stile di vita essenziale che si conduceva fino a meno di

cento anni fa. Si potrebbe presumere che i vari lunedì, martedì ecc.

fossero usati solo in vie ufficiali, ma comunque queste sono solo

ipotesi. Osservando il resto della regione troviamo forme più “

moderne “ come // solo nei pressi dei confini

abruzzesi e campani.

66

Il campione intervistato evidenzia per l’ennesima volta il passaggio dal

dialetto all’italiano quando si tratta di utilizzare queste forme. In

questo caso il mutamento riguarda “ due giorni prima di ieri “ che

anche in questo caso prevede un enunciato più vicino alla lingua

standard con la forma “due giorni fa“.

I giorni della settimana si presentano completamente in linea dal

punto di vista lessicale, cambiando solo sul piano fonologico e

morfologico:

// << lunedì >>

// << martedì >>

// << mercoledì >>

// << giovedì >>

// <<venerdì >>

/()/ << sabato >>

// <<domenica >>

Da un punto di vista prettamente linguistico sono da notare alcuni

cambiamenti comuni che si verificano nella pronuncia di tutto questo

insieme di lemmi. Se guardiamo i giorni infatti ci accorgeremo come

67

venga regolarmente aggiunta alla fine la sillaba -j a quelli aventi

l’accento sulla vocale finale e come venga dittongata la vocale anteriore

medio bassa di “ mercoledì “ e “ venerdì “. Un altro fenomeno

morfologico di rilevante interesse è quello che si presenta nella

trascrizione di “ febbraio “: anche qui si presenta l’aggiunta di una

sillaba, -l- , che in questo caso però viene inserita prima della vocale

accentata. Si noterà inoltre l’aspirazione della geminata nelle pronunce

di “settembre“ e “ottobre ”.

Per dare anche uno spunto sociolinguistico è giusto menzionare alcuni

comportamenti del campione intervistato. Invero durante la

conversazione fra parlanti nell’ordine dei venti/trenta anni d’età,

quando si devono fare riferimenti temporali non è da escludere che si

verifichi un cambio di registro verso l’italiano standard solo per la

comunicazione dei giorni della settimana o dei mesi; fatto che

comunque necessita di una ricerca più ampia, con un maggior numero

di persone.

68

3.4 I numeri

Il concetto di numero è il nucleo più antico che possiamo mai trovare

all’interno di una lingua. Come asserisce Leonard Conant31, il gruppo

di parole è tra i primi a formarsi. A pensarci bene poi, l’utilizzo dei

numeri, l’atto del contare sono le cose più naturali del mondo. E’ un

processo che avviene per prima cosa all’interno della mente umana,

nell’astratto; Platone scrisse che i numeri non fanno parte del mondo

da noi percettibile, di conseguenza soltanto tramite la ragione potremo

usufruirne. In effetti se guardiamo agli stadi primitivi dell’uomo, il

concetto di numero non era ancora sviluppato così come lo conosciamo

oggi: basta provare ad immaginare qualcuno che non sappia contare,

esso si affiderebbe perlopiù al suo istinto, ad una sensazione; il numero

rimane come un’entità non definita, alla ricerca di una forma. A questo

proposito non è un caso che nelle numerazioni più elementari la base

sia cinque, in quanto il primo strumento utile in questo senso erano le

dita della mano. Verosimilmente, la stessa etimologia delle parole

usate per indicare i numeri potrebbe indicare i nostri arti, le mani, le

dita ecc. Possiamo affermare ciò anche in forza di quello che sappiamo

sulle diverse denominazioni attribuite ai numeri da altre lingue e

culture del mondo, ed anche in ragione di come alcuni processi

cognitivi avvengano allo stesso modo nella mente di qualunque

31

Conant in Squillacciotti, M., Antropologia del numero, Brescia, Grafo Edizioni 1996.

69

individuo. Il metodo dell’associazione del segno numerico astratto ad

un oggetto fisico è detto in matematica “corrispondenza biunivoca”.

Anche il sistema scritto romano si richiama a questo “trucco” dato che i

numeri rappresentano idealmente la posizione delle dita. Logicamente

nell’applicazione di questo procedimento le sole quantità ad essere

considerate sono quelle espresse da numeri interi, visto che non si era

ancora sviluppata quella capacità astratta di calcolo comune oggi nella

nostra società.

I numeri nell’immaginario comune fanno parte prima di tutto del

regno della matematica, che è una scienza principalmente teorica. Allo

stesso tempo non possiamo non notare come l’atto dell’enumerazione

sia legato indissolubilmente con la realtà concreta; è anche una

necessità fisica e pratica. Secondo Squillacciotti il numero <<nasce

come strumento e forma d’espressione del pensiero” in quanto esso va

a legarsi alla tecnica ed al linguaggio, alla concretezza e alla parola,

entrambi prodotti delle capacità umane>>32. Il linguaggio è un mezzo

fondamentale per l’espressione e la formazione del pensiero così come

l’interrelarsi dell’uomo con l’ambiente circostante tramite l’invenzione

e la realizzazione di oggetti concreti; bene, in questo sfondo poniamo il

numero sullo stesso piano della parola e del manufatto, in quanto esso

è una nozione che già ci appartiene e con cui ci dobbiamo confrontare.

32

Squillacciotti, M., op. cit., p. 35.

70

In Lucania la nozione di numero esisteva forse in maniera molto

primitiva ai tempi dei suoi primi popoli, dopodichè è indubbio che una

sterzata importante arrivò con i romani, che portarono il loro sistema

imponendolo come modello di riferimento al posto dell’eventuale

sistema nativo antecedente.

Con la caduta dell’Impero e le continue invasioni, il tutto si perdette in

quel caos di guerre, malattie ed emigrazioni. Per anni regnò

l’oscurantismo più totale, che lasciò l’aritmetica ad un livello piuttosto

basico, in quanto i numeri romani non permettevano elaborate

operazioni algebriche; di conseguenza anche tutte le altre scienze

furono pressoché inesistenti. In Lucania comunque questo fatto non

peserà molto come in altri paesi dato che la cultura veniva svolta

altrove. In Europa la ripresa dell’undicesimo secolo portò la rinascita

del commercio che fece conoscere il sistema decimale usato dagli arabi,

particolarmente malleabile e duttile per ogni tipo di calcolo

matematico. In seguito, con il rinascimento i simboli numerici

assunsero una forma grafica più vicina a quella odierna e cominciò a

svilupparsi l’aritmetica per come la conosciamo oggi.

A Senise e nelle altre comunità lucane i segni numerici erano

conosciuti con la denominazione latina e data la natura contadina della

popolazione, non si è mai presentato il bisogno di produrre documenti

scritti, anche perché la maggioranza non era alfabetizzata. Però il

71

bisogno di fare calcoli era comunque presente, nonostante il mercato

fosse molto limitato e l’economia regnante era quella di sussistenza,

bisognava essere in condizione di saper operare con i numeri. Inoltre

c’erano anche i pastori, che dovevano verificare il numero delle loro

pecore al rientro dopo il pascolo. Come facevano a verificare se erano

tornate tutte quante? Quale sistema utilizzavano? Questo non potremo

saperlo per certo, però abbiamo visto come il metodo più antico, ma

anche il più affidabile, fosse quello della corrispondenza biunivoca: i

pastori antichi usavano dei sassolini come riferimento per le pecore, se

i sassolini si esaurivano allora gli animali erano tutti, altrimenti

bisognava uscire e ritrovare quelli mancanti33. Non escludiamo

l’utilizzo di questa prassi o di una quantomeno simile in epoche

medievali o successive, ma comunque rimane probabile la capacità

autonoma di conteggio del pastore. All’incirca, gli ambiti di utilizzo dei

numeri nell’area di cui ci stiamo occupando sono questi; sono contesti

molto pratici e “primari”.

Da un punto di vista linguistico grandi cambiamenti non ce ne sono

stati, la struttura lessicale richiama quella latina mentre su un piano

fonologico abbiamo cambiamenti rilevanti nel consonantismo.

33

Zichichi, A., L’infinito, Milano, Tropea 2009.

72

Del dialetto senisese è proprio il consonantismo a stravolgere le parole,

e questo lo notiamo subito con la pronuncia del numero uno:

Osserviamo immediatamente come la fricativa velare sonora venga

regolarmente prodotta prima della vocale posteriore, tratto, questo,

che contraddistingue la pronuncia della maggior parte della regione.

73

Questo tipo di consonantismo si ripete nella pronuncia del numero

undici che diviene // e in quella di “ottanta”, il quale viene

reso come /()/. Per quanto riguarda quest’ultimo lemma

l’uso della fricativa su scala regionale è meno frequente rispetto agli

altri due. Allo stesso tempo rileviamo come nel materano l’utilizzo

della fricativa corrisponda a quello di una approssimante mentre

questa caratteristica risulta assente nella prevalenza delle aree al

confine campano. Ad ogni modo il suono -γ- si presenta solo a inizio

parola, per cui avremo /ventuno/. Per il vocalismo menzioniamo

l’abbassamento della vocale accentata di // presente nella

parte settentrionale, al confine con la Puglia e la vocale anteriore che

compare negli enunciati materani // <<uno>> e //

<<undici>>.

74

Come abbiamo già avuto modo di vedere in prima istanza, il rotacismo

del senisese ha un carattere molto forte e nell’analisi linguistica del

corpus numerico ciò viene maggiormente rafforzato. Come primo

esempio prenderemo il numero “due” che si presenta nel seguente

modo:

75

La cartina ci presenta una situazione in cui la produzione della

vibrante sarebbe un tratto non molto comune nella valle del Sinni, solo

Senise e poche altre parlate la presentano come variante principale.

Per di più si presenta ancora una volta l’analogia con il consonantismo

76

dei territori lungo il confine campano. La stessa situazione si ripete per

quasi tutti quei numeri presentano una occlusiva dentale sonora ad

inizio o seguito da vocale all’interno della parola, come //

<<dieci>> e // <<sedici>>. Diciamo quasi perché nei

numeri composti può presentarsi anche una forma del tipo

// <<ventidue>>. Anche nel caso del due il materano di

distingue in maniera molto netta presentando una variante

monosillabica come //.

Circa la pronuncia del tre, //, possiamo dire che dato il suo essere

monosillabico è una delle poche parole a non terminare con una vocale

debole. Osservazione peraltro non così scontata visto che nelle aree

limitrofe come Valsinni e Colobraro viene aggiunto un nesso

approssimante-vocale debole -j. Inoltre nella pronuncia di

// <<tredici>> notiamo come la stessa vocale rimanga

accentata e si alzi ad .

Molto ricorrente è l’aspirazione dell’occlusiva dentale sorda nei casi in

cui si presenti geminata come // <<quattro>> e //

<<sette>>; nel caso del quattro la vibrante non compare in quanto

nell’originale latino essa si trova a fine parola. Apparentemente non c’è

nessun altro paese che presenti questo tipo di aspirazione della t così

77

frequentemente come Senise, qui infatti sembra essere un fenomeno

costante e regolare, mentre laddove lo possiamo ritrovare, sembra

ricorrere di meno.

Cartina quattordici

A Moliterno, Lagonegro, Lauria e Sant’Arcangelo la pronuncia della -t-

aspirata coesiste insieme ad altre forme che non la prevedono.

Così come avevamo notato per altri enunciati, l’inserimento di una

sillaba prima di quella accentata si verifica anche per quello di

// <<diciotto>>, peculiarità, questa, condivisa da

poche altre varietà.

Per la formazione dei numeri a partire dal quaranta abbiamo il suffisso

/-()/, equivalente a quello dell’italiano -anta mentre per la

formulazione di quelli nell’ordine delle centinaia ecco il suffisso /-

/ indicante il nostro cento. Alcuni esempi :

/()/ << cinquanta >>

/()/ << settanta >>

// << duecento >>

// << trecento >>

78

Conclusioni

L’indagine ha portato alla luce diversi fatti, soprattutto quelli

concernenti lo stato di conservazione delle varietà analizzate. Lo scopo

di dare visibilità ad uno spaccato culturale lontano nel tempo così

come nella lingua ha anche portato con sé le conseguenze prodotte da

nuove abitudini e dal radicamento di un nuovo tipo di società.

Abbiamo visto come l’enunciazione di giorni, mesi e numeri possa

rivelarci un altro punto di vista, un altro modo di pensare, un’altra

visione del mondo. Vivendo ora in queste comunità, alcune parole

potranno risuonare come un guscio vuoto, altre saranno dimenticate e

altre ancora sapranno adattarsi ai cambiamenti e resistere. Dopotutto

il dialetto rappresenta un’identità forte che distingue le persone. Certo,

parlare il dialetto è anche socialmente riconosciuto come un atto quasi

negativo, da non fare in pubblico. In uno dei suoi articoli Pasolini ci

spiega come il nuovo modello di società, la cultura massificata stava

riuscendo là dove il fascismo aveva fallito, ovvero a soppiantare il

dialetto34. Questo soprattutto attraverso i nuovi mezzi di

comunicazione e l’utilizzo di tecnicismi, fenomeni peraltro ancora

attuali. Oggi potremo parlare non tanto della televisione, ma di

internet come mezzo unificatore del linguaggio, esportatore di nuove

espressioni, di innovazioni linguistiche e utilizzato unicamente nello

34

Pasolini, P., Scritti corsari, Milano, Garzanti Libri 2008

79

standard linguistico. E’ sotto gli occhi di tutti che la vita è

profondamente cambiata dal secondo dopoguerra, le possibilità si sono

moltiplicate, per esempio adesso non è più vitale possedere una

porzione di terra e coltivarsela, non è come cento anni fa. Questo è

valido per il principio che la pressione per il cambiamento linguistico

parte innanzitutto dagli usi per poi trasferirsi sulla lingua parlata.

Adesso ancora non vediamo nella lingua quelle importanti

trasformazioni avvenute nella realtà, perché le grandi evoluzioni

culturali sono solite a presentarsi con ritardo nelle strutture

linguistiche, però possiamo intravedere i primi segnali come alcuni

campi semantici caduti in disuso e dimenticati; tornando all’esempio

fatto prima il lessico contadino potrebbe essere uno dei primi a

perdere la sua ragion d’essere ed essere dimenticato. Complice di

questo processo è anche l’istruzione ovviamente, le scuole e le

università sono una forte spinta verso la lingua standard. Essa è

proprio con le istituzioni che legittima la sua egemonia su tutte le altre

varietà, il suo prestigio consolida la sua posizione. D’altra parte non va

ignorato il forte carattere tradizionale che è proprio di queste

comunità. Ci sono altri campi linguistici che per via della loro fisicità e

del loro significato sono profondamente radicati alla conoscenza

culturale di ogni generazione, parole che ancora ricoprono una

funzione importante nella vita sociale di ogni individuo.

80

Parlando a livello pratico di questa ricerca, abbiamo constatato come il

dialetto senisese, ed anche altri, abbiano ancora conservato

ottimamente vocaboli del lessico temporale e numerico, rilevando allo

stesso tempo il pericolo al quale alcuni di essi sono esposti di essere

rimpiazzati da varianti più vicini alla lingua standard. La rete sociale

chiusa garantisce senza ombra di dubbio maggiori possibilità di una

più lunga difesa del patrimonio linguistico. Circa i pericoli che gravano

pesantemente sul deterioramento dialettale riportiamo i dati presenti

nell’A.L.Ba., secondo cui in alcune zone si sarebbero sviluppate delle

“microaree di transizione” ai danni dei tratti più arcaici. Tramite i

pochi colloqui effettuati si è potuto notare come il dialetto

padroneggiato risulti più povero di lemmi al confronto con quello

parlato da persone appartenenti già alla generazione precedente.

Riguardo gli ambiti linguistici esaminati c’è da aggiungere che alcune

persone hanno confessato di esprimere taluni gruppi come mesi e

giorni della settimana in italiano, idem dicasi per i numeri.

Durante lo svolgimento di questo lavoro siamo stati testimoni

dell’evoluzione di una terra, delle sue vicissitudini storiche e politiche e

di come riesce ancora oggi a raccontare la sua storia con le sue persone

e le loro parole. Dalla nostra analisi riemergono i tratti di

quell’appartenenza, di questa parte di sud, ad un mondo arcaico e

magico pieno di storie e leggende di cui parla Carlo Levi, nonostante

81

tanti anni siano ormai trascorsi; in qualche modo possiamo sentirlo e

ci auguriamo che non possa svanire mai.

82

Bibliografia

Alessio, Saggio di toponomastica calabrese, L. S. Olschki 1939.

Antonini, Giuseppe, La Lucania: Discorsi, vol. II, Napoli, F. Tromberli

1745.

Bastanzio, Francesco, Senise nella luce della storia, Bari, Palo del Colle

1950.

Cardona, Giorgio Raimondo, Introduzione all’etnolinguistica, Novara,

De Agostini Scuola 2006.

“ I sei lati del mondo, Roma; Bari, Laterza & f. i. 2001

Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo, Palumbo

1992.

Conant, Levi Leonard: The number concept: its origin and

development, in Squillacciotti, Massimo, Antropologia del numero,

(v.), p. 48

Cortelazzo, Manlio et al., (a cura di), I dialetti italiani: storia,

struttura, uso, Torino, UTET 2002.

De Grazia, Paolo, Basilicata, Torino, Paravia 1926.

Del Puente, Patrizia, A.L.Ba.(Atlante Linguistico della Basilicata), vol.

II, Rionero in Vulture, Calice 2010.

83

Fabietti, Ugo, Elementi di antropologia culturale, Milano, Mondadori

Università 2004.

Grassi, e Sobrero, Fondamenti di dialettologia italiana, Roma; Bari,

Laterza 1997.

Leroi-Gourhan, Andrè, Gesture and Speech, Cambridge, The MIT

Press 1993.

Levi, Carlo, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi 2010.

Morra, Isabella, Rime, Roma, Biblioteca italiana 2004.

Parlangeli, Storia linguistica e storia politica nell’Italia meridionale,

Firenze, Le Monnier 1960.

Pasolini, Pier Paolo, Scritti Corsari, Milano, Garzanti Libri 2008.

Pellegrini, Giovan Battista, Carta dei dialetti d’Italia, Pisa, Pacini

editore 1977.

Quilici Lorenzo e Quilici Gigli Stefania, (a cura di), Carta Archeologica

della valle del Sinni, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2003.

Racioppi, Giacomo, Storia dei popoli lucani e della Basilicata, vol. II,

Roma, 1889.

Rohlfs, Gerhard, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi

dialetti, vol. I, Torino, Einaudi 1966.

84

Squillacciotti Massimo: Antropologia del numero, Brescia, Grafo

edizioni, 1996.

Varvaro, Alberto, Sulla nozione di area isolata: il caso della Lucania,

in Cortelazzo, Manlio et al, (a cura di), I dialetti italiani: storia,

struttura, uso, p.757.

Zichichi, Antonino, L’infinito, Milano, Tropea 2009.

85

Sitografia

www.basilicata.cc

www.istat.it

www.treccani.it

86

Ringraziamenti

Grazie.

Grazie alla mia famiglia.

Grazie a tutti coloro che mi sono stati sempre vicino.

Grazie agli amici conosciuti in questi anni universitari, grazie per aver

condiviso con me la vostra “avventura”, tra lezioni, interminabili

esami, pranzi al sacco e tanto altro…

Un grosso ringraziamento va anche alla professoressa Patrizia del

Puente ed ai suoi collaboratori dell’Università di Potenza per il loro

prezioso aiuto e la loro gentile disponibilità.

Grazie.