Metamorfosi: una trama di sguardi tra Grecia e Roma. Il caso di Atteone e Diana (2)

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international journal of classical art history 8 · 2011 pisa · roma fabrizio serra editore mmxi estratto

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METAMORFOSI : UNA TRAMA DI SGUARDITRA GRECIA E ROMA. IL CASO DI ATTEONE E DIANA

(2)

Gian Luca Grassigli

Riassunto

Nella struttura del racconto ovidiano l’episodio di Atteone e Diana introduce il tema della vi-sualità in un libro, il Secondo, che fa dell’antropologia dello sguardo il suo tema strutturale. Nel-la visione di Ovidio la vicenda di Atteone si contrappone a quella di Penteo, non a caso posta inchiusura del medesimo libro, in una sorta di simmetria speculare, il cui asse centrale consiste nelcarattere volontario o meno dello sguardo stesso. A differenza della tradizione precedente, in-fatti, per Ovidio lo sguardo di Atteone è innocente, perché non mosso da una volontà specificadi guardare. Sottraendo lo sguardo del giovane cacciatore al dogma religioso della inviolabilitàvisiva del corpo di Diana, la cultura romana libera di conseguenza la possibilità di rappresenta-re il corpo nudo della dea, come accade finalmente in pittura, consegnandolo ora allo sguardo,oltre che di Atteone, di un qualunque spettatore romano.

Abstract

Ovid puts the story of Actaeon and Diana at the beginning of the Second book of Metamorpho-sis, a book structured on the matter of the power and the functioning of the look. At the end ofthe book we can find the story of Pentheus. If Actaeon looks at Diana’s toilette by chance,Pentheus wants to look at the forbidden dance of the Maenads. In the Greek tradition this dif-ference is not important: Actaeon and Pentheus are guilty in the same way. Their look, as a mat-ter of fact, is impious. On the contrary, Ovid, for the first time, conceives the tale of Actaeon outof a religious perspective: Actaeon’s look is innocent because he did not want to look at. In thisway, Ovid – the culture of Ovid’s world – frees Diana’s body not only for Actaeon’s eyes, but al-so for the look of Romans. At the same way of Venus’ body, now Diana can be painted beauti-ful and naked on the walls of the rich Pompeian domus.

1. Premessa

n un poema sostanzialmente visivo, quale appare immediatamente lo straordinariocapolavoro ovidiano,1 non poteva mancare evidentemente il racconto dell’episodio di

Atteone e della sua atroce trasformazione. M. Menichetti, infatti, ha messo in evidenzaquanto la vicenda presupponga – almeno per quanto riguarda il mondo greco – unaconcezione peculiare della natura, della forza e dell’implicazione religiosa dello sguar-do stesso.2

Come spesso accade in Ovidio, o per lo meno molto più di quanto non sia comune-mente rilevato,3 ci troviamo di fronte, tuttavia, all’evidenza di una frattura con la tradi-zione della grecità, dal momento che il racconto nella sua struttura o comunque in una

1 Per il ruolo fondamentale della visualità nel-l’opera appaiono molto importanti le pagine inizia-li di Segal 2005; cfr. Fabre-Serris 1998.

2 Vedi supra M. Menichetti, a cui si rimanda an-

che per la bibliografia concentrata in particolare sul-le origini e sulle versioni greche del mito.

3 Vedi Grassigli 2007, pp. 99-102.

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serie di aspetti fondamentali appare riplasmato, quando non ricreato, nell’ambito di unaprospettiva culturale romana, e quindi secondo riferimenti specifici e autonomi rispet-to ai precedenti. Si tratta, in altre parole, di privilegiare nell’analisi l’elemento di frattu-ra rispetto alla tradizione greca, anziché – come accade di solito – di ricercare gli ele-menti di continuità, essendo del resto questi ultimi ben noti, quando effettivi, dalmomento che costituiscono in generale il vero interesse della maggior parte delle ri-cerche correnti.

Tale prospettiva ermeneutica, di grande urgenza, meriterebbe ovviamente una trat-tazione a parte, non essendo questa l’occasione opportuna. Andava, in ogni caso, men-zionata, almeno per dichiarare la posizione di lettura che adotta questo studio, il qua-le, una volta definito il senso e il meccanismo costitutivo nell’ambito della cultura greca,pone la questione della possibilità di un’autonoma specificità romana nella sua ripro-posizione.4

2. I primi sguardi

Prima di affrontare nella sua peculiarità l’episodio di Atteone così come narrato da Ovi-dio nelle Metamorfosi, che costituisce per noi il primo documento di una versione ro-mana del mito, è importante analizzare come nel poema venga introdotto e fatto agi-re lo sguardo, nella parte che precede il iii libro, essendo quest’ultimo il luogo in cui,nell’episodio di Narciso, ma anche in quello di Atteone, proprio il senso e il modo diguardare assumono un ruolo decisivo. Se la storia di Atteone ruota attorno al concettoe al modo di intendere lo sguardo, analizzare come il poema abbia già affrontato la que-stione definisce ovviamente in maniera più circoscritta il contesto in cui operare l’ana-lisi dell’episodio, che ci interessa più da vicino.

Una prima menzione distintiva dello sguardo la si incontra all’interno del libro i, nelmomento in cui nell’ambito di una vera e propria narrazione cosmogonica il poeta sitrova a dover definire la specificità dell’essere umano rispetto agli altri viventi:

Se gli altri animali contemplano a testa bassa la terra,la faccia dell’uomo l’ha alzata, gli ha imposto la vista del cielo,perché levasse lo sguardo spingendolo fino alle stelle.5

La possibilità di guardare, dunque, diventa la caratteristica distintiva peculiare dell’es-sere umano rispetto agli animali. Non la parola, pertanto, bensì la possibilità di solleva-re lo sguardo ad sideras è causa di elevazione e di prossimità con le creature ultraterre-ne. Si tratta, evidentemente, di una funzione e di una possibilità che si definisce comeassolutamente positiva.

Dopo questo accenno, pur importante, lo sguardo viene introdotto nel poema in tut-ta la sua potenza tramite una figura, che pare proporre un ribaltamento assoluto ri-spetto a ciò che è appena stato sottolineato. Sul finire del ii libro, infatti, l’ingresso del-

4 Utili considerazioni in questa direzione inBergmann 1995; per quanto non specificamente ri-levato la frattura emerge anche dalla ricognizionedelle attestazioni nelle arti visive prodotta daSchlam 1984, p. 95; mentre la questione della rifor-mulazione di età romana resta sostanzialmenteesclusa da studi pur importanti, quali ad es. Nagy

1973 o Lacy 1990. Anche Gualerzi 2005, che purecostituisce un importante studio sulla concezione esui modi di azione dello sguardo, non scinde nellasostanza i due universi culturali greco e romano, ap-piattendoli in un’unica prospettiva.

5 Ov., met., i, 84-86 (trad. di L. Koch).

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 53lo sguardo quale vero protagonista nell’integrità della sua forza viene affidato, in ma-niera del tutto inaspettata, a una forma assolutamente orrida dello sguardo stesso, qua-le è quella di Invidia.6 L’occasione è data dalla volontà di Minerva di punire Aglauro:uno sguardo, pertanto, che sviluppa tutta la sua potenza distruttrice, che mette in attoil complesso delle sue possibilità di azione negativa.

Il legame tra Invidia e sguardo è così intimo da stare nel cuore del nome stesso, os-sia nella sua origine. L’essenza di Invidia, infatti, consiste «nel guardare troppo intensa-mente, e di traverso, le gioie e il successo altrui».7 Invidia, dunque, implica la volontà diguardare e precisamente un guardare in eccesso in funzione di causare danno, che puòdarsi esclusivamente nell’ambito di una relazione. Pertanto, se lo sguardo è uno stru-mento di elevazione dell’uomo, risulta anche essere un’arma potente, che all’interno diun rapporto può essere usata efficacemente contro qualcuno. Si deve concludere chefin dall’inizio viene definita l’ambiguità di fondo su cui si muove e agisce lo sguardo.

Come spesso accade in Ovidio il paesaggio instaura una relazione col tono affettivoe morale dell’azione, che vi si svolge all’interno, così che la sua analisi contribuisce auna migliore comprensione dell’oggetto del discorso. Nel momento in cui Minerva de-cide di servirsi di Invidia per esercitare la sua terribile punizione su Aglauro, ella deverecarsi nella dimora di questo vero e proprio «demone dello sguardo».8

[…] È una casa nascosta in fondo a una valledove il sole non batte e non passa una folata di vento,funerea, piena soltanto di torpore e di gelo,che manca sempre di fuoco e abbonda sempre di nebbie.9

Così scopriamo che Invidia vive in una casa nascosta, in una valle oscura, dove mancasempre il fuoco (e quindi una fonte di luce) e dove allignano nebbie perpetue: in sostan-za, chi fa dello sguardo la propria forza, chi pone le proprie radici nella potenza negati-va di uno sguardo eccessivo, vive poi in un posto in cui per ragioni oggettive, quali ilbuio, le nebbie, e altre condizioni che causano oscuramento, è impossibile guardare.

Ma, ancora, il tema dello sguardo continua a inquadrare l’episodio. Infatti, una vol-ta spalancata la porta dell’abitazione di Invidia, Atena ha una visione terribile del de-mone, intento a mangiare carne di vipera, al punto da essere costretta a distogliere losguardo, visaque oculos avertit.10 Con questo verso Ovidio opera un capovolgimentostraordinario, sempre legato al campo visivo: Atena, infatti, ha intensa dimestichezzacon la potenza dello sguardo, non solo perché ‘glaucopide’, ma soprattutto perché por-ta sull’egida la testa mozzata di Medusa, ossia l’origine del massimo potere mortiferodello sguardo, l’inguardabile assoluto. Nonostante questa potente macchina visiva chepure è Atena,11 nonostante la sua confidenza con lo sguardo pietrificante della Gorgo-ne, di cui può disporre a suo piacimento, la dea è costretta a distogliere lo sguardo difronte a una visione così orrida.

6 Ivi, ii, 755-833.7 Barchiesi 2005, p. 302; per il legame etimolo-

gico e i nessi dell’accostamento tra Invidia e verbidel vedere cfr. Wieland 1993.

8 Barchiesi 2005, pp. 300 ss., in cui si sottolineasia il suo apparire come un’innovazione romana, siala sua importanza in quanto una delle «prime e piùcomplesse raffigurazioni allegoriche nell’epica».Mii

9 Ov., met., ii, 761-764: domus est imis in vallibus

huius / abdita, sole carens, non ulli pervia vento, / tristiset ignavi plenissima frigoris et quae / igne vacet semper,caligine semper abundet (trad. di L. Koch).

10 Ov., met., ii, 768-770.11 Per Atena come «macchina … visiva», vedi

Menichetti in Grassigli, Menichetti 2007, pp.147-148, con bibliografia precedente, sempre però inrelazione al mondo greco. Intorno allo sguardo diAtena cfr. Barchiesi 1998, pp. 132-135.

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Se all’inizio del i libro, pertanto, la possibilità di vedere è segnalata come un caratte-re distintivo fondamentale e positivo, quale tratto specifico che eleva l’uomo sugli ani-mali, in conclusione del ii libro lo sguardo mostra anche tutto il suo potere distruttivo,tanto più che anche il rapporto tra Atena e Aglauro si muove all’interno della sfera vi-siva, nella quale si esplica un furore mortifero.12 In relazione alla storia di Atteone, ciòche ci interessa, in ogni caso, oltre alla dimensione ambigua dello sguardo che apparesubito nelle Metamorfosi, è il fatto che almeno nelle attestazioni fin qui considerate es-so implica sempre una volontà di azione.

3. Una colpa, un errore

Diventa indispensabile a questo punto analizzare la storia di Atteone in se stessa, primadi mettere in evidenza la qualità delle relazioni che l’episodio instaura con quelli di Nar-ciso e di Penteo, ossia i principali del iii libro.

Ha già rilevato M. Menichetti che la tradizione raccolta e rielaborata da Ovidio è attestata per la prima volta da Callimaco.13 Come già dichiarato in apertura, la pro-spettiva che proponiamo è quella della frattura ovidiana rispetto alla tradizione prece-dente, in cui la colpa di Atteone è esplicitata chiaramente come l’infrazione a una proi-bizione divina: ci si muove, pertanto, nell’ambito della sfera religiosa, che non ammettederoghe, che condanna lo sguardo verso il corpo nudo della dea in quanto tale.14

Ovidio, fin dal primo momento del suo racconto, esprime manifestamente l’incom-prensione nei confronti di tale dimensione: per il poeta la dannazione di Atteone è as-solutamente inspiegabile, si configura come del tutto priva di giustificazione. In altreparole Ovidio, o se vogliamo la cultura in cui Ovidio si muove, libera lo sguardo di At-teone dalla dimensione religiosa, in cui la tradizione greca lo aveva condannato. Ovidionon lascia dubbi, dichiarando la sua perplessità ancor prima di narrare la storia:

Ma in lui [Atteone] vedrai, a ben guardare, un torto della Fortuna,non un crimine: che crimine c’è in un errore?15

Nel momento in cui passa al racconto il poeta insiste ulteriormente sul carattere acci-dentale dello sguardo di Atteone, sulla mancanza di volontà del suo gesto, e quindi sul-la conseguente assenza di colpa, considerazione non conciliabile col valore di proibi-zione religiosa dello sguardo stesso. La narrazione dell’avvicinamento del giovanecacciatore al luogo e al momento del bagno della dea, infatti, è costellata di sfumatureche sottolineano la natura assolutamente casuale del fatto:

[…] ecco giungere al bosco il nipote di Cadmoche ha smesso ogni traffico e ha errato con passi malcertiper forre a lui sconosciute, seguendo la guida del fato.16

La presa di distanza di Ovidio,17 espressa peraltro chiaramente all’inizio della narrazio-

12 Wimmel 1962.13 Vedi supra M. Menichetti.14 Call., Hymn., v, 97-102.15 Ov., met., iii, 141-142 (trad. di L. Koch).16 Ivi, 174-176 (trad. di L. Koch): ecce nepos Cadmi

dilata parte laborum / per nemus ignotum non certi-bus passibus errans / pervenit in lucum; sic illum fataferebant (tondi miei).

17 Barchiesi 2007, p. 150, in cui si sottolinea co-

me successivamente Ovidio farà di Atteone una del-le allegorie della propria situazione di esiliato per unacolpa non commessa, e pp. 162 s.; non scindendo laprospettiva greca da quella romana, la questione nonviene colta in Gualerzi 2005, p. 78 che ignora gli in-dizi sparsi dal poeta nel testo per mettere in luce il ca-rattere del tutto casuale dell’episodio, sostenendoche Atteone «è rimasto talmente affascinato da nonpotere fare a meno di osservarne lo svolgimento [del

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 55ne, viene indirettamente ribadita in questa descrizione dell’approssimarsi del protago-nista alla situazione, in cui si sarebbe consumata la sua colpa. Del tutto inaspettata-mente il poeta torna a ragionare sulla questione in chiusura del racconto, nel momen-to in cui esprime la divergenza dei pareri intorno al senso di giustizia della dea,approvato da alcuni, ma riconosciuto eccessivo, e quindi fallace, da altri, tra cui evi-dentemente il poeta stesso.18

Le perplessità di Ovidio, il quale per altro userà più tardi Atteone come allegoria del-la sua situazione di esiliato per un errore ingiustamente considerato una colpa, ci inte-ressano non tanto dal punto di vista morale, quanto perché denunciano uno scardina-mento, o se si vuole una mutazione, del sistema culturale in cui la vicenda era stataconcepita. Discutere della colpevolezza di Atteone significa inevitabilmente non senti-re più come vincolante la proibizione dello sguardo rivolto, anche senza volontà, al cor-po inattingibile di Diana, e quindi non comprenderne più la dimensione religiosa. Delresto è proprio questa nuova e diversa prospettiva culturale, che consente ad Ovidio diusare in un periodo successivo Atteone come metafora della sua condizione di esiliatoper una colpa non commessa:Perché ho visto? Perché ho reso colpevoli i miei occhi? Perché per imprudenza ho conosciutouna colpa? Atteone vide senza volere Diana nuda.19

Più avanti, esplicitamente, dichiara di subire «una punizione perché senza volere i mieiocchi videro un fatto scandaloso, così la mia colpa fu quella di avere avuto gli occhi».20Naturalmente tutto ciò non significa che la posizione di Ovidio sia l’unica possibile nel-la cultura del tempo, anzi proprio il suo richiamo in chiusura del racconto nelle Meta-morfosi sulle differenze di giudizio circa la giustizia della punizione sottolinea l’esisten-za di diversi modi di pensare. La novità, tuttavia, e quindi l’evidenza che il sistemaculturale è cambiato, consiste proprio nella possibilità di una diversità di opinione, nel-l’ammettere il carattere discutibile della punizione divina: ci troviamo di fronte al-l’espressione indiretta che un sistema determinato da una sequenza di legami necessa-ri è venuto meno. In questo senso, peraltro, la versione, ovviamente assai tarda, diNonno, non priva di contraddizioni,21 in cui Atteone viene esplicitamente riconosciu-to come colpevole di aggressione sessuale nei confronti della dea, può essere interpre-tata come il recupero di una tradizione precedente altrimenti perduta, di cui tuttavianon abbiamo certezza, ma può, a mio avviso con maggiore verosimiglianza, essere vi-sta anche come l’unica maniera per rendere ragione di una punizione, che sarebbe al-trimenti ormai apparsa incomprensibile.22

La necessità tardo-antica di ridefinire l’azione di Atteone, trasformandola in stupro,

bagno della dea]», inserendo per altro un’idea di durata temporale dello sguardo del giovane caccia-tore assolutamente assente nel racconto ovidiano,dove tutto è ridotto a un solo brevissimo istante.

18 Ov., met., iii, 253-255.19 Cur aliquid vidi? Cur noxia lumina feci? / Cur

imprudenti cognita culpa mihi? / Inscius Actaeon viditsine veste Dianam (Ov., trist., ii, 103-105); non è qui illuogo per discutere della colpa o dell’errore ovidia-no (per una rilettura generale della questione ri-mando a Luisi, Berrino 2008, con ampia biblio-

grafia), ma mi paiono improbabili i tentativi di pro-iettare dietro i personaggi del mito, in particolaredi Diana, figure reali della famiglia imperiale: vediLuisi, Berrino 2008, pp. 78-84, con discussione didiverse ipotesi.

20 Ov., trist., iii, 5, 49-50.21 Gigli Piccardi 2003, p. 271.22 Nonn., D., v, 287-551, in part. 303 s. e 435-437;

cfr. Barchiesi 2007, pp. 146-149, con bibliografia pre-cedente, e Gigli Piccardi 2003, pp. 271 s. e 430; ap-pare un po’ avventuroso il tentativo di tracciare iprecedenti di tale tradizione in Schlam 1984, p. 87.

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per poterla comprendere come colpa, sia attraverso l’eventuale recupero e manipola-zione di una precedente e per noi perduta tradizione, sia attraverso la reinvenzione del-la storia, non è che la conseguenza del cambiamento già denunciato dalla posizione diOvidio, per cui ciò che qualche secolo prima veniva percepito inevitabilmente comeuna colpa assoluta nei confronti del divino, non viene più compreso come tale, e senti-to al massimo come uno sfortunatissimo errore. Altrettanto interessante, tuttavia, ap-pare il fatto che, nonostante ci si trovi in un contesto culturale profondamente diverso,in cui il nucleo religioso ed etico essenziale non viene più percepito in sé, la storia con-tinua a vivere e a essere rielaborata in quanto strumento straordinariamente efficace perproiettare simbolicamente un aspetto della concezione del potere dello sguardo.

4. Una trama di sguardi

L’enfasi che Ovidio pone sullo sguardo in chiusura del ii libro per mezzo dell’appari-zione di Invidia non è semplicemente in funzione del racconto in sé, ma assume un si-gnificato particolare in relazione al ruolo dominante che la dimensione visiva assumenel libro successivo, che può essere letto anche come costruito attorno a una strutturacostituita da una vera e propria trama di sguardi, il cui culmine – l’episodio di Eco e Nar-ciso – potrebbe definirsi un canto dello sguardo.

A prima vista una schematizzazione della struttura del iii libro sulla base del ruolo edell’azione dello sguardo potrebbe apparire un po’ semplicistica, ma credo che possaavere una qualche utilità interpretativa:- Atteone: vede, senza volere, Diana nuda; perciò, apparendo come cervo ai suoi cani,

viene da essi sbranato (vv. 138-255);- Giunone, celata alla vista da una nube, appare a Semele in figura di vecchia per in-

gannarla, suggerendole di chiedere a Giove di potere vederlo nella sua maestà divina(vv. 273-286);

- Semele chiede a Giove, quale pegno d’amore, di poterlo guardare nelle sue sembian-ze, fatto che causerà la morte della donna (vv. 287-309);

- Giunone acceca Tiresia per il suo parere (vv. 320-338) (inutile ricordare qui la differen-te versione su Tiresia, dall’andamento parallelo a quello di Atteone, non accolta daOvidio; Call., Hymn., v, 57 ss.);

- Narciso ed Eco (vv. 339-510);- Penteo: vede ciò che non dovrebbe vedere e perciò viene punito in quanto viene vi-

sto altro rispetto a ciò che non sia nella realtà (vv. 511-733).

L’episodio di Atteone, pertanto, apre un libro in cui lo sguardo, potremmo dire la na-tura e i modi di agire del guardare, costituiscono un elemento strutturale. Si dipana, in-fatti, una sequenza di situazioni, in cui lo sguardo si definisce come un elemento scate-nante di conseguenze impreviste, sia nell’ambito di relazioni tra persone, sia di tipopsicologico, oltre che risultare uno strumento di azione potente e in un certo modo‘magico’ di intervento su un altro essere. In particolare l’episodio di Atteone, costruitoevidentemente sullo sguardo, delinea un rapporto diretto e da un certo punto di vistaprolettico, nei confronti sia del racconto di Narciso sia di quello di Penteo.

Più precisamente, rispetto alla vicenda di Narciso l’episodio di Atteone anticipa unparticolare assai significativo, anzi il cuore stesso della vicenda, ossia il momento in cuiil protagonista si vede riflesso in uno specchio d’acqua. Narciso, infatti, nell’istante nelquale si riconosce nell’immagine specchiata, di cui era caduto innamorato, comprende

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 57anche la verità su se stesso, morendo infine d’amore. Analogamente, nel racconto del-la fuga di Atteone, una volta che Diana aveva espresso la sua maledizione, e dato attoall’immediata metamorfosi, il giovane, mettendosi in fuga, inseguito dai cani, si accor-se con grande meraviglia di correre molto più veloce del solito:

Ma appena giunse a vedersi nell’acqua la faccia e le corna“ahimè!”, voleva gridare; ma non gli veniva una sillaba;gemette, per tutto discorso, e gli scorsero lacrimelungo la faccia non sua; la ragione soltanto rimase immutata.23

Dunque, è solo nel momento in cui si vede riflesso in uno specchio d’acqua che Atteo-ne comprende la novità del suo essere, la metamorfosi compiuta, intuendo anche l’av-vicinarsi della sua fine.

Ancora più interessante, dal punto di vista di questo studio, risulta il confronto conl’episodio di Penteo. D’altra parte i due racconti aprono e chiudono il iii libro: sceltanon casuale evidentemente, dal momento che vengono a costituire una simmetria svi-luppata per contrario. Voglio dire, in altre parole, che l’uso dello sguardo di Penteo èspecularmente opposto a quello di Atteone. Mentre Atteone, infatti, come abbiamo vi-sto, capita del tutto casualmente in un posto assolutamente sconosciuto e prima an coradi aver visto Diana nuda è già scoperto dalle ninfe, Penteo usa consapevolmente, e quin-di colpevolmente anche per Ovidio, lo sguardo.24

Del resto per non lasciare all’iniziativa ermeneutica del lettore la definizione dellostretto rapporto tra i due episodi, il poeta inserisce un richiamo specifico ad Atteone sul-le labbra di Penteo, che, ormai sopraffatto, tenta di aprire gli occhi della mente della zia,ossia della madre del giovane trasformato in cervo alcune centinaia di versi prima, evo-candone il nome:

Ma sanguina, e “aiutami zia”, si mette a gridare:“possa l’ombra di Atteone commuovere la mente di Autonoe!”.25

Pertanto, leggere la vicenda di Atteone alla luce del dramma di Penteo non solo è le-gittimo, ma rappresenta una chiave fornita da Ovidio stesso. L’epilogo della vicenda diPenteo è tutto giocato sul mondo della visualità, agita in forme diverse, che instaura ne-cessariamente una relazione col carattere visivo della storia, che apre il iii libro. Infatti,dopo l’episodio di Acete, l’unico dei Tirreni che riconosce immediatamente Bacco nelgiovane dai bellissimi tratti femminei catturato dai pirati, e quindi ricompensato dal dio,che è ancora un racconto della visualità (la bellezza del dio, la trasformazione del-l’aspetto dei pirati, le apparizioni bacchiche sulla nave),26 Penteo decide di recarsi in pri-ma persona sul monte Citerone, per vedere egli stesso come si svolgano i riti in onoredel dio straniero.

Il momento finale dell’episodio, dunque, quello in cui Ovidio stesso suggerisce espli-citamente un legame con la vicenda di Atteone, si gioca tutto intorno alla declinazionedi distinte forme di visualità, che vanno dallo sguardo volontario e consapevole del pro-tagonista, a quello condannato a fraintendere della madre di Penteo, coinvolta nel cul-to bacchico:27

23 Ov., met., iii, 200-203 (trad. di L. Koch).24 Ivi, 511-733.25 Ivi, 719-720 (trad. di L. Koch).26 Ivi, 572-700.

27 Sottolinea l’enfasi posta sulla visualità da Ovi-dio, come del resto già in Euripide, Barchiesi 2007,p. 239.

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Qui, mentre guarda i misteri con occhi sacrileghi,lo vede per prima, e per prima gli si avventa addosso impazzita,per prima sul suo Penteo scagliò, ferendolo, il tirsosua madre, e si mise a gridare: “Sorelle, accorrete, tutte e due!Quel cinghiale gigante che vaga nelle nostre campagne,lo devo ammazzare” […].28

Al contrario di ciò che accade nell’episodio in apertura del iii libro, in cui Atteone po-sa gli occhi del tutto casualmente sul corpo nudo per il bagno di Diana, l’azione di Pen-teo, che intessendo un rapporto speculare chiude lo stesso libro, è condotta da una vo-lontà ferrea. Adirato per la diffusione del culto di Bacco, egli va sul Citerone perosservare di persona come questo culto abbia luogo. Dirige, quindi, appositamente losguardo verso ciò che è proibito. Sottraendo la realtà dello sguardo a una dimensionereligiosa, dunque, la colpa dello sguardo stesso non sta più nell’oggetto dello sguardo,proibito per quanto riguarda sia Atteone, sia Penteo, bensì nella volontà che indirizzaquello sguardo. Per questo a differenza di Atteone, nel cui guardare non v’è colpa, losguardo di Penteo è colpevole, oltre che profanus, ossia empio, perché indirizzato vo-lontariamente verso ciò che non sarebbe da vedere.

La reazione delle menadi, in particolare della madre e della zia di Penteo, si compieinnanzi tutto mediante la dimensione visiva. A uno sguardo che viola, risponde unosguardo che fraintende, tanto più grave e assoluto questo fraintendimento, perché è unamadre a non riconoscere più il proprio figlio.29 Così ella, guardando Penteo, vede in re-altà un «grosso cinghiale», scagliandosi di conseguenza contro di lui. In questo frain-tendimento visivo, in tale incapacità di vedere si compie il dramma del dilaniamento diun figlio da parte della madre. Del resto che la situazione sia concepita e si consumi tut-ta nell’ambito della visualità è testimoniato dalle ultime terribili parole di Penteo, unadrammatica implorazione: «aspice, mater!», ovvero «guarda, mamma!», rivolgendole lebraccia ormai troncate. Ma è proprio il guardare, il riconoscere attraverso lo sguardo,ciò di cui la madre non è più capace.

Pertanto, la sottrazione dello sguardo a una dimensione religiosa, che costituisce ilradicale mutamento della concezione ovidiana rispetto alla tradizione della classicità,non toglie allo sguardo la complessità di declinazione, la varietà e la molteplicità di azio-ne, e soprattutto la sua connotazione di forza che agisce sul sé e sull’altro. Tale muta-mento implica, dunque, non una semplificazione delle possibilità di esistenza e di azio-ne della sfera della visualità, bensì un mutamento dell’antropologia della visualità.

5. Le immagini: finalmente l’irrappresentabile

Nella visione di Ovidio, dunque, la volontà o meno di guardare diviene un fatto discri-minante: non vi è colpa senza volontà. In altre parole possiamo dire che lo sguardo haperso la sua valenza assoluta dipendente dalla sfera religiosa, in cui prima era concepi-

28 Ov., met., iii, 710-715 (trad. di L. Koch).29 Ovidio pone enfasi ulteriore sul fraintendi-

mento, in quanto un’etimologia possibile di Auto-noe, madre di Atteone e zia di Penteo, è «colei checonosce se stessa», il che rende paradossale il suo

non saper riconoscere prima il figlio e poi il nipote,del quale partecipa allo sbranamento (vedi Bar-chiesi 2007, pp. 157 e 239 s.; diversamente Micha-lopoulos 2001, p. 54).

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 59to, legata sostanzialmente al-l’oggetto del guardare, ossia ilcorpo di una dea, come nelmondo greco; senza una volon-tà precisa, che è proprio ciò checontrappone, pur nello svilup-po parallelo, le due vicende diAtteone e Penteo, lo sguardo,qualunque cosa esso veda, è in-nocente.

In questa nuova e diversaposizione è da individuare laspia di un mutamento cultu- rale, che rende possibile unanuova e diversa rappresenta-zione dell’episodio, e che con-duce, pertanto, all’invenzionedi un nuovo soggetto figurato.Al contrario del mondo greco,infatti, quello romano nel rac-conto per immagini della sto-ria sceglie il momento dellosguardo, che implica ovvia-mente anche la rappresenta-zione della dea nuda, ciò cheper un greco della classicità sa-rebbe stato assolutamente impensabile. L’inviolabilità anche al solo sguardo del corposacro di Artemide/Diana, infatti, non aveva valore solo nella sfera delle storie del mito,ma ancor più nella concretizzazione che le immagini ne offrivano per gli occhi deimortali.

Di conseguenza il momento dello sguardo della dea al bagno, sconosciuto e soprat-tutto impossibile nell’arte greca, diventa il tema dominante nella rappresentazione ro-mana, sia utilizzato come scena esclusiva, sia nelle rappresentazioni a ‘narrazione con-tinua’, in cui si vogliono raffigurare il momento dello sguardo e quello successivo dellapunizione.30 La novità della rappresentazione e l’assoluta mancanza di precedenti in re-lazione alla raffigurazione del corpo nudo di Diana obbliga gli artisti romani ad attin-gere alla tradizione iconografica peculiare di una dea, che non ha mai avuto problemicon la proprio nudità, e che anzi in essa riconosce uno dei suoi valori dominanti, ossiaAfrodite. Nelle rappresentazioni romane, dunque, è proprio ad alcuni tipi di un’Afro-dite pudica che ci si rivolge, per poter rappresentare Diana in quella situazione di nudi-tà prima inconcepibile.

Non è questo il luogo per presentare la rassegna delle immagini di età romana ine-renti questo episodio, che attraversano per cronologia e per area di diffusione tutto l’Im-pero.31 Mi pare più importante riconoscere come in un determinato insieme di rappre-

30 Guimond 1981, p. 469. 31 Rimando, naturalmente, a Guimond 1981;vedi inoltre Lacy 1990.

Fig. 1. Pompei, vi 16, 7.38 Casa degli Amorini dorati;cubicolo (R), parete meridionale.

Quadro con Diana e Atteone (ppm, v, p. 839, fig. 223).

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sentazioni proprio la nudità della dea, posta in primo piano, costituisca l’interesse e ilsenso primario della rappresentazione stessa, come appare in maniera evidente in unquadro della Casa degli Amorini dorati di Pompei (Fig. 1),32 capovolgendo nei fatti latradizione precedente, in cui l’istanza religiosa induceva a concentrare l’interesse sul-l’ira della dea e la conseguente atroce punizione inflitta ad Atteone.

La scena in questione non contempla l’espressione dell’intera vicenda tramite il no-to meccanismo della cosiddetta ‘rappresentazione continua’, bensì si concentra sul-l’istante dello sguardo proibito. Composta sulla diagonale che attraversa lo specchio delquadro da sinistra a destra, l’immagine pone Atteone sullo sfondo, caratterizzato comedi norma dall’incarnato scuro, che emerge da dietro una roccia, rivolgendo il suo sguar-do a Diana, posta nell’angolo sinistro, e quindi in primo piano, che offre allo spettatorela fronte della sua nudità, appena coperta dalla mano sinistra in un gesto inventato perun’Afrodite pudica, mentre la parte posteriore del suo candido corpo svelato è rac-chiusa nello sguardo del giovane cacciatore. Proprio la nudità di Diana, e comunque diun corpo femminile, prima ancora che l’episodio in sé, costituisce il vero interesse diquesta pittura concepita per decorare un cubiculum. Questa idea trova conforto nelle al-tre due pitture, che decorano il medesimo vano. Il quadro principale della parete meri-dionale, infatti, mostra una Venere nuda raffigurata in primo piano, mentre il corpofemminile di Leda, a cui sta per accostarsi il fortunatissimo cigno, è rappresentato nelquadro centrale della parete occidentale. Si tratta, dunque, di un discorso pittorico chevira verso il tema dell’erotismo incentrato attorno all’esibizione della bellezza del cor-po femminile, mostrato nella sua nudità e narrato mediante specifici episodi ad essocorrelati. Bisogna, dunque, sottolineare come sia ora possibile equiparare la nudità diDiana, tradizionalmente casta e fieramente estranea a ogni dimensione erotica, per ciòche riguarda il committente e lo spettatore romano, nelle forme ed evidentemente an-che nelle funzioni, a quella di una dea legata essenzialmente all’erotismo, quale Vene-re, così come a quella di una figura femminile, Leda, il cui significato sta proprio nellabellezza e nella capacità di indurre il desiderio maschile.

Questo discorso si ripropone identico per un altro gruppo di rappresentazioni pom-peiane, che mantengono in linea di massima la medesima composizione, e che pongo-no pertanto in primo piano il corpo nudo della dea, non più in piedi, in questo caso, mainginocchiata al bagno, secondo uno schema di età ellenistica coniato sempre per Afro-dite, come risulta chiaro da una bella tavola di F. Morelli, raffigurante un quadro dellaparete meridionale del viridarium 32 della Casa di Sallustio (Fig. 2).33 Ricordo qui sol-tanto il caso analogo del quadro della casa cosiddetta della Venere in bikini,34 nella qua-le è raffigurato l’episodio dello sguardo di Atteone in una maniera assai simile a quellasopra descritta. Lo stesso tipo di analisi è da proporre per una serie di quadri destinatialla cosiddetta ‘rappresentazione continua’ della storia, ossia all’unificazione in una me-desima raffigurazione del momento in cui lo sguardo di Atteone colpisce Diana al ba-gno con quello della punizione di Atteone stesso.35

A differenza del mondo greco, dunque, che focalizzava la rappresentazione dell’epi-

32 Pompei, vi 16, 7.38, cubicolo R, parete meri-dionale; vedi F. Seiler in ppm, v, pp. 838 s.

33 Pompei, Casa di Sallustio, vi 2, 4; ppm, iv, pp.131-135; vedi anche per la tavola di F. Morelli, ppm, Di-segnatori, p. 94, nn. 31-32.

34 Pompei, i 11, 6.7, triclinio (10), parete est; ppm,ii, p. 564, fig. 58.

35 Vedi, per es., il quadro nella casa di Elpidio Sa-bino, Pompei, ix 1, 22.29, esedra (t1), parete ovest(ppm, viii, p. 1043, fig. 151).

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 61

sodio sul momento terribile della punizione di Atteone, il mondo romano preferisce digran lunga raffigurare l’altro momento cruciale del racconto, ossia quello della vistadella dea al bagno e pertanto la rappresentazione della sua nudità proibita. Potremmodire che lo sguardo dello spettatore funziona esattamente come quello di Atteone: nelmomento in cui quest’ultimo non viene più considerato colpevole, attraverso il suosguardo anche lo spettatore romano può fissare gli occhi sull’impensabile, ossia il cor-po nudo di Diana.

Questo fatto, che evidentemente costituisce un importante cambiamento nella con-cezione dello sguardo, non implica, tuttavia, una semplificazione delle implicazioniche la sfera della visualità comporta. Ne è chiara dimostrazione un mosaico tunisino dietà medio imperiale, in cui nella solita rappresentazione dello sguardo di Atteone aDiana al bagno, viene aggiunto un particolare del tutto estraneo alla narrazione lette-raria, ma destinato a creare una serie di rimandi, anche con episodi del iii libro delleMetamorfosi, che innesca nuovi significati e possibilità dello sguardo stesso. In questo

Fig. 2. Pompei, vi 2, 4 Casa di Sallustio, viridarium (32), parete sud. Diana e Atteone(ppm, iv, p. 131, fig. 76).

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mosaico, attualmente al Bardo e proveniente da Thaene (Fig. 3),36 la composizione ètutta rivolta a mostrare la bellezza del corpo nudo di Diana, raffigurata al centro dellascena, in posizione frontale, mentre si sta bagnando nelle acque della fonte. Al di sopradi lei si estende un arco di roccia, quasi un’approssimativa quinta architettonica, dietroalla quale appare il volto di Atteone. Fin qui non vi è nulla di particolare rispetto alle at-testazioni precedenti, a parte un’ancora maggiore enfasi posta, tramite la composizio-ne della scena, sul corpo della dea, senonché, in maniera del tutto inaspettata, nellospecchio d’acqua di fronte a Diana si riflette il volto di Atteone.

Il tema dello sguardo proibito, dunque, viene a intrecciarsi con quello dello sguardoriflesso, così che Atteone, mentre guarda la dea, vede anche se stesso, declinando, per-

36 Mus. du Bardo (A293); vedi Guimond 1981, p. 465, n. 117a, con bibliografia precedente.

Fig. 3. Tunisi, Museo del Bardo. Mosaico da Thaene (Yacoub 1995, p. 87, fig. 30).

metamorfosi: una trama di sguardi tra grecia e roma (2) 63tanto, il meccanismo visivo di Narciso ed Eco, che vivono nel medesimo libro delle Me-tamorfosi e che intreccia il riconoscimento di sé alla perdita del sé.

D’altra parte il motivo magico e ambiguo dello sguardo di Atteone torna in ambitoletterario nella versione di Apollodoro, il quale racconta come, una volta sbranato At-teone nelle sue sembianze di cervo, i suoi cani si misero alla ricerca del loro giovane pa-drone, senza, tuttavia, riuscire a trovarlo. Questo folto gruppo di animali si aggirava ulu-lando, senza tregua, fintanto che giunse dinanzi alla grotta di Chirone, il quale, perplacarli, costruì per loro un’immagine (eidola) di Atteone, alla vista della quale i cani siquietarono.37 La tragedia del giovane cacciatore, dunque, che inizia con uno sguardosbagliato, e che si sviluppa mediante una metamorfosi, ossia un inganno visivo, per cuiil protagonista viene visto come cervo, e come cervo vede se stesso, nel momento in cuisi vede riflesso in uno specchio d’acqua, mantenendo intatta, tuttavia, la sua consape-volezza e la sua sensibilità umana, termina con un altro inganno visivo, ossia la sostitu-zione di una rappresentazione iconica del suo corpo vivente, così che solo la sua imma-gine poté far uscire dalla follia i suoi cani, quegli stessi che, non avendolo riconosciuto,lo avevano sbranato. Se tutto ciò è vero, le rappresentazioni di Atteone come un giova-ne dalle corna di cervo, prendono un senso maggiore rispetto alla semplice funzione diespediente figurato per il riconoscimento del personaggio, divenendo piuttosto il rac-conto di un inganno visivo, di una trasformazione mai completata nella sua essenza.

Sia pur sottratto alla sfera della religiosità, lo sguardo, dunque, continua nel mondoromano, secondo meccanismi propri della nuova cultura, a sviluppare la propria esi-stenza all’interno di un ambito mai certo, in cui l’ambiguità, la magia e la definizione dialterità possibili e mai definibili con sicurezza, intrecciano e dilatano la propria esistenza.

37 Apoll., Bibl., iii, 4 (31).

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SOMMARIO

Francesca Ghedini, Ovidio e il Progetto MArS 11Chiara Torre, À rebours: dalle immagini al testo (o brevi istruzioni, dedicate ai filo-

logi, per l’uso di MArS) 15Sara Santoro, L’instabilità dell’essere e l’irrappresentabile metamorfosi 29Mauro Menichetti, Metamorfosi: una trama di sguardi tra Grecia e Roma. Il caso

di Atteone e Diana (1) 45Gian Luca Grassigli, Metamorfosi: una trama di sguardi tra Grecia e Roma. Il caso

di Atteone e Diana (2) 51Isabella Colpo, Tutte le Arianne di Ovidio 65Monica Salvadori, Monica Baggio, Lo svelamento di Marte e Venere: fra reperto-

rio iconografico e narrazione ovidiana 79Sabina Toso, Non vanno d’accordo ... la maestà e l’amore. Lo scottante caso di Giove ed

Europa 97Gianluigi Baldo, Splendidior vitro. Idee per uno studio del paesaggio nella poesia

augustea 119Francesca Ghedini, Spunti di riflessione sulla casa romana nelle Metamorfosi di

Ovidio 129Fabrizio Slavazzi, Ovidio nelle residenze di Augusto e della sua corte 143Luigi Sperti, Temi ovidiani nella Libreria Sansoviniana a Venezia 155Francesca Ghedini, Ovidio sommo pittore? Le Metamorfosi tra testo e immagini 179

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