Meraviglie d'Oriente nei resoconti dei viaggiatori ebrei italiani tra XV e XVI secolo, in F....

24
MONACI E PELLEGRINI NELL’EUROPA MEDIEVALE Viaggi, sperimentazioni, conflitti e forme di mediazione a cura di FRANCESCO SALVESTRINI EDIZIONI POLISTAMPA COMUNE DI MONTAIONE 2014

Transcript of Meraviglie d'Oriente nei resoconti dei viaggiatori ebrei italiani tra XV e XVI secolo, in F....

MONACI E PELLEGRININELL’EUROPA MEDIEVALE

Viaggi, sperimentazioni,conflitti e forme di mediazione

a cura di

FRANCESCO SALVESTRINI

EDIZIONI POLISTAMPA COMUNE DI MONTAIONE

2014

€ 20,00

MONACIEPE

LLEGRIN

INELL’EUROPA

MEDIEVALE

12485_BMSV_n26_sovracop.qxd:Layout 1 9-05-2014 9:10 Pagina 1

BIBLIOTECA DELLA «MISCELLANEA STORICA DELLA VALDELSA»Collana fondata da Sergio Gensini

DIRETTA DA ORETTA MUZZI

N. 26

MONACI E PELLEGRININELL’EUROPA MEDIEVALE

VIAGGI, SPERIMENTAZIONI,CONFLITTI E FORME DI MEDIAZIONE

a cura diFRANCESCO SALVESTRINI

Edizioni Polistampa2014€ 20,00

MO

NA

CIE

PELLEG

RIN

IN

ELL’

EU

RO

PAM

ED

IEVA

LE

BIBLIOTECA DELLA «MISCELLANEA STORICA DELLA VALDELSA»Collana fondata da Sergio Gensini

DIRETTA DA ORETTA MUZZI

N. 26

MONACI E PELLEGRININELL’EUROPA MEDIEVALE

VIAGGI, SPERIMENTAZIONI,CONFLITTI E FORME DI MEDIAZIONE

a cura diFRANCESCO SALVESTRINI

2014

COMITATO SCIENTIFICO

MARIO ASCHERI • DUCCIO BALESTRACCI • MARIO CACIAGLIPAOLO CAMMAROSANO • FRANCO CARDINI • GIOVANNI CHERUBINI

GIOVANNI CIPRIANI • ZEFFIRO CIUFFOLETTI • ITALO MORETTISTEFANO MOSCADELLI • PAOLO NARDI • CARLO PAZZAGLI

GIULIANO PINTO • MAURO RONZANI • FRANCESCO SALVESTRINISIMONETTA SOLDANI

© 2014 SOCIETÀ STORICA DELLA VALDELSAVia Tilli, 41 - 50051 Castelfiorentino - Tel. 0571 [email protected] - www.storicavaldelsa.it

© 2014 EDIZIONI POLISTAMPAVia Livorno, 8/32 - 50142 Firenze - Tel. 055 737871 (15 linee)[email protected] - www.leonardolibri.com

www.polistampa.com

ISBN 978-88-596-1372-5

SOMMARIO

Saluto di PAOLA ROSSETTI, CRISTIANO ROSSI .......................................

Premessa di FRANCESCO SALVESTRINI ........................................................

PARTE PRIMA

FRANCESCO VERMIGLI, Bernardo di Chiaravalle e la Terrasanta. Pel-legrinaggio a Gerusalemme e cristologia ..................................................

RENZO NELLI, Il pellegrinaggio in trasformazione .....................................

GIOIA ZAGANELLI, Il meraviglioso geografico medievale. Per una ridefi-nizione ..............................................................................................................

ROBERTO ANGELINI, Il meraviglioso nel «Libro d’Oltramare» di Nic-colò da Poggibonsi e l’epistolario di Giovanni dalle Celle: due ideedel pellegrinaggio a confronto ......................................................................

GIUSEPPE LIGATO, Il diario di pellegrinaggio del notaio Nicola de Mar-toni (1394-1395) .........................................................................................

SAMUELA MARCONCINI, Meraviglie d’Oriente nei resoconti dei viaggia-tori ebrei italiani tra XV e XVI secolo ...............................................

RICCARDO PACCIANI, La prima edizione a stampa del viaggio a Geru-salemme. Caratteri, testimonianze e confronti con l’Edicola del SantoSepolcro: il Tempietto Rucellai e la cappella del Santo Sepolcro aSan Vivaldo ...................................................................................................

LAURA MINERVINI, Gli esotismi nei libri di viaggio in Terrasanta .......

Pag. 7

» 9

» 15

» 33

» 57

» 73

» 85

» 115

» 131

» 139

PARTE SECONDA

ROBERTO ANGELINI, «Iniuriam pertulit»: dell’offesa ricevuta dal beatopadre Giovanni Gualberto, fondatore di Vallombrosa, durante ilsoggiorno a Camaldoli. Testimonianze, reticenze e trasformazioninella tradizione agiografica .........................................................................

RICCARDO CILIBERTI, Vallombrosa, Montecassino e il papato nell’XIsecolo .................................................................................................................

ANTONELLA DEGL’INNOCENTI, Polemiche monastiche nella Francia deisecoli XI e XII ..............................................................................................

GIUSEPPE LIGATO, Separazioni e distinzioni fra i Templari e gli Ospi-talieri nell’Oriente latino .............................................................................

FRANCESCO SALVESTRINI, ‘Sacre dispute’ e affermazioni di identità. IVallombrosani, i Minori e l’eremita Torello da Poppi (ca. 1202-1282) ...............................................................................................................

TIMOTHY SALEMME, Alcuni esempi di conflittualità politica e sociale nelcontado di Milano nella seconda metà del XIII secolo: il caso delmonastero benedettino di San Vittore di Meda ...................................

SOMMARIO6

Pag. 157

» 169

» 179

» 199

» 233

» 253

SAMUELA MARCONCINI

Meraviglie d’Orientenei resoconti dei viaggiatori ebrei italiani

tra XV e XVI secolo

Pellegrini e viaggiatori ebrei italiani alla volta di Gerusalemme, spintiin Terra Santa dall’anelito religioso oppure da necessità commerciali, di pas-saggio o destinati a rimanervi tutta la vita: i loro racconti si intrecciano conle coeve narrazioni odeporiche cristiane, ma sembrano ignorare i percorsidevozionali che i cristiani seguono ormai da secoli, forse perché questi ebreihanno occhi soltanto per le numerose comunità giudaiche che incontranolungo il loro cammino o perché interessa loro solo ciò che resta della Geru-salemme dell’Antico Testamento?

Non è proprio così. Lo dimostrano i diari di viaggio di Mešullam daVolterra e di Moše Basola e le lettere inviate dalla Terra Santa da ‘Ovadyahda Bertinoro.1 Anche nelle loro descrizioni si avverte quel fascino per l’e-sotico, quella curiosità di scoprire un mondo nuovo che comincia ad affac-ciarsi in Occidente tra basso Medioevo e prima età moderna. E se il mondocristiano risulta quasi del tutto assente nelle loro descrizioni, al contrarioquello islamico (senz’altro anche per le affinità di riti e di costumi che carat-terizzano la religione ebraica e quella musulmana) trova un rilievo, e talvoltaaddirittura un apprezzamento, assolutamente impensabili nelle opere coevedi cristiani, il che dimostra, da parte ebraica, una volontà non pregiudizialedi aprirsi al mondo.

1 Per la loro biografia, si veda oltre. Talvolta, si farà riferimento anche all’Itinerario delpiù famoso viaggiatore ebreo dell’epoca medievale, Binyamin da Tudela, fonte di primariaimportanza per lo studio delle comunità ebraiche in Italia, in Palestina, nell’Impero bizan-tino e in Mesopotamia tra XII e XIII secolo, cfr. BYNIAMIN BEN YONAH DA TUDELA, Librode viajes de Benjamín de Tudela, traduzione spagnola, introduzione e note di J. R. MAGDALENANOM DE DÉU, Barcelona, Riopiedras, 1989; per la versione italiana, B. DA TUDELA, Itinerario(Sefer massa’ot), Traduzione, introduzione, note e appendice di G. BUSI, Rimini, Luisé, 1988.

Ma chi erano questi viaggiatori e pellegrini ebrei italiani che prende-remo in considerazione in questa sede? Mešullam ben Menahem da Vol-terra (Buonaventura di Emanuele)2 era un ricco mercante di questa città,impegnato nella gestione del locale banco di prestito, dedito indifferente-mente alla compravendita di beni immobili in ambito toscano e al com-mercio di metalli preziosi in area mediterranea. La sua famiglia, originariadi Bologna, si era trasferita nella cittadina toscana agli inizi del Quattro-cento. Mešullam, primo di quattro figli, nacque in data anteriore al 1443.3Nel 1481 compì un viaggio che aveva come scopo primario quello com-merciale, non disgiunto, però, da un intento religioso, ovvero sciogliere unvoto nella città santa, Gerusalemme. Durante il viaggio, o al termine diquesto, scrisse un diario in lingua ebraica,4 del quale purtroppo è andataperduta la prima parte: la narrazione comincia infatti in medias res con ladescrizione di una battaglia navale al largo di Rodi. Il fatto che sia statoscritto in ebraico non deve portarci alla conclusione affrettata che si trattidi un’opera pensata esclusivamente per un uditorio di correligionari. Giànella prima metà del secolo scorso Lea Sestieri, traducendo un brano deldiario, aveva notato che Mešullam aveva usato un numero molto alto diparole italiane, anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno, e che soventela costruzione della frase era tale da far pensare che l’autore «non dovetteaver pensato direttamente in ebraico quello che doveva scrivere, ma dovettetradurre dall’italiano in ebraico», cosa che dava ragione di periodi che inebraico sarebbero stati privi di senso.5 Più recentemente Michele Luzzati,in occasione della presentazione della prima traduzione integrale in italiano

SAMUELA MARCONCINI116

2 Il primo nome è lo šem kadosh, o šem ha-kodesh, o šem be-Israel (nome sacro), usatoper i rapporti tra correligionari e nel caso in cui ci si esprimesse per iscritto in lingua ebraica;il secondo, lo šem kinnùi (nome di chiamata, ossia di uso corrente) era usato nei rapportiesterni, ed aveva una corrispondenza più o meno costante con il nome ebraico (V. COLORNI,La corrispondenza fra i nomi ebraici e i nomi locali nella prassi dell’ebraismo italiano, in ID., Judaicaminora. Saggi sulla storia dell’ebraismo italiano dall’antichità all’età moderna, Milano, Giuffrè, 1983,pp. 67-86).

3 Ulteriori informazioni sulla sua vita si possono rintracciare in A. VERONESE, Unafamiglia di banchieri ebrei tra XIV e XVI secolo: i da Volterra. Reti di credito nell’Italia del Rinasci-mento, Pisa, ETS, 1998.

4 La traduzione italiana è disponibile in MEŠULLAM DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’I-sraele, Traduzione, introduzione, note e appendice a cura di A. VERONESE, Rimini, Luisé,1989. I vocaboli italiani che Mešullam usa, traslitterandoli in ebraico, sono scritti in corsivonella traduzione della Veronese, uso mantenuto anche nelle citazioni contenute nel presentearticolo.

5 L. SESTIERI, Un viaggiatore Ebreo del Secolo XV. Meshullam ben Menachem da Volterra, «LaRassegna Mensile di Israel», II, 1936, 10, p. 485.

del viaggio tenutasi presso la sinagoga di Pisa il 30 maggio 1990,6 ha avan-zato l’ipotesi che Mešullam avesse composto due redazioni del testo, unain ebraico e l’altra in volgare, delle quali quest’ultima avrebbe addiritturapreceduto la prima. Nel dettato, infatti, la presenza di termini italiani risultaperfettamente comprensibile in alcuni casi (ad esempio, per indicare oggettiparticolari, quali ‘spingardella’ o ‘bombardella’), ma molto meno in altri,nei quali si fa riferimento a realtà comunissime, come ‘isola’, ‘spiaggia’,‘vele’,7 che in altri passi lo stesso Mešullam indica con il nome ebraico.Tutto questo per avvertire della particolarità che distingue dagli altri que-sto resoconto, nel quale si nota una maggiore affinità con gli interessi e letematiche legate al mondo cristiano: Mešullam, forse prima ancora di essereun ebreo, era un tipico mercante toscano.

‘Ovadyah Yare da Bertinoro8 e Mošeh Basola,9 pur con le loro reci-proche differenze, sono all’opposto due figure tipiche dell’ebraismo, en-trambi rabbini, entrambi dediti, per un periodo della loro vita, ancheall’attività bancaria. Non sono altro, dunque, che due esempi dei molti ban-chieri ebrei italiani i quali, lungi dall’essere quelle figure di avidi strozziniche tanta pubblicistica antisemita ha voluto propinare come verità storicain un passato fin troppo recente,10 si dilettavano anche di arti e letteraturao di scienze talmudiche.11

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 117

6 Cfr. A. VERONESE, Il viaggio di Mešullam ben Menahem da Volterra, in Viaggiatori ebrei.Berichte jüdischer Reisender vom Mittelalter bis in die Gegenwart, Atti del Congresso Europeo del-l’Associazione Italiana per la Storia del Giudaismo, San Miniato, 4-5 novembre 1991, a curadi G. BUSI, Bologna, Pizzoli, 1992, p. 51, n. 16.

7 Ivi, pp. 50-51.8 Le notizie sulla sua vita si trovano sparse in ‘Ovadyah Yare da Bertinoro e la presenza

ebraica in Romagna nel Quattrocento, Atti del Convegno di Bertinoro, 17-18 maggio 1988, a curadi G. BUSI, Torino, Zamorani, 1989, Supplemento a «Henoch», XI, 1; A. DAVID, Bertinoro,Obadiah ben Abraham Yare, in Encyclopaedia Judaica, 4, col. 698; Emilia Romagna. Itinerari ebraici,a cura di A. SACERDOTI, A. TEDESCHI FALCO, Venezia, Marsilio, 1994; A. TOAFF, Gli ebrei aCittà di Castello dal XIV al XVI secolo, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Um-bria», 62 (1975), 2, pp. 18-19, 36-37, 60-61. Yare è l’acrostico di un versetto biblico (YehiRezui Ehav, ‘sia nelle grazie dei suoi fratelli’, Deut. 33, 24). Era molto frequente tra gli ebreidell’epoca accompagnare il nome con l’acrostico di un verso della Bibbia, affinché fosse difausto augurio (cfr. U. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze nel Rinascimento, Firenze, Olschki, 1918,p. 263, n. 6).

9 Per la sua biografia, si veda MOŠEH BASOLA, A Sion e a Gerusalemme. Viaggio in TerraSanta (1521-1523), Introduzione e note di A. DAVID, Versione italiana di A. VERONESE,Firenze, Giuntina, 2003, pp. 7-8 e 11-24.

10 Cfr. ad esempio P. FICAI-VELTRONI, Usurai giudei a Cortona, «La difesa della razza»,2 (1939), p. 31.

11 Cfr. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze nel Rinascimento cit., pp. 259 ss.

‘Ovadyah fu attivo in varie località dell’Italia centrale durante la secondametà del XV secolo. Il suo nome è legato indissolubilmente al Commentoalla Mišnah.12 Il Commento di ‘Ovadyah (che non ha un titolo proprio), purmancando di originalità, si è affermato soprattutto perché in esso l’autoreriporta in forma chiara e comprensibile le spiegazioni dei commentatori pre-cedenti. Superò in popolarità lo stesso commento di Maimonide, tanto chefu stampato, completamente o parzialmente, in una settantina di edizioni.13

Venne pubblicato postumo per la prima volta a Venezia tra il 1548 e il 1549per i tipi di Me’ir Parenzo.14 Da allora è divenuto il commento standard allaMišnah (così come quello di Raši lo è per il Talmud), e come tale è statoperciò pubblicato insieme al testo in quasi tutte le edizioni della Mišnahstessa, giacché ne propone una versione chiara e leggibile, che ha facilitatotutti coloro i quali, per i più svariati motivi, hanno inteso ed intendono acco-starsi alla letteratura mišnica.15 Non solo, la sua importanza venne ricono-sciuta anche al di fuori del mondo ebraico, tanto che il Commento fu tradottoin latino col titolo Mischna sive totius Hebraeorum juris, rituum, antiquitatum aclegum oralium systema, cum clarissimorum rabbinorum Maimonidis et Bartenorae Com-mentariis integris. Quibus accedunt variorum auctorum notae ac versiones in eos quosediderunt codices. Latinitate donavit et notis illustravit Guilielmus Surenhusius,16 edito

SAMUELA MARCONCINI118

12 La Mišnah è un trattato composto di sei ‘ordini’ (sedarim) riguardanti norme di com-portamento ritenute molto importanti: il mancato rispetto di queste poteva essere infattisanzionato da un apposito Tribunale Rabbinico. Insieme con la Gemarah costituisce il Tal-mud. La Mišnah, nonostante il suo indubbio valore nell’ambito della tradizione giuridica erituale ebraica tardo-antica, medievale e moderna (dopo la Bibbia, è stato il primo corpus dileggi ad aver ricevuto una sistemazione organica), difficilmente è stata commentata e stam-pata come codice autonomo e separato dalla Gemarah (cfr. G. TAMANI, La diffusione del com-mento alla Mišnah di ‘Ovadyah Yare da Bertinoro, in ‘Ovadyah Yare da Bertinoro e la presenza ebraicacit., p. 47). In altre parole, con molta più frequenza si è commentato e stampato il Talmudnella sua interezza, piuttosto che le due parti di cui si compone.

13 Ibidem.14 «Come Me’ir Parenzo, in una città come Venezia in cui agli ebrei non era consen-

tito lavorare in proprio e in cui il patriziato veneziano controllava rigidamente l’attività edi-toriale, sia riuscito a stampare sei libri ebraici e ad esporre nei frontespizi la propria marcatipografica – il candelabro ebraico – non è ancora stato appurato. Quasi certamente egligodeva della protezione del patrizio Carlo Querini: nel frontespizio dell’edizione del Com-mento di ‘Ovadyah si legge infatti che essa è stata stampata nella casa di questi» (TAMANI,La diffusione del commento alla Mišnah cit., p. 49).

15 Cfr. B. CHIESA, Il supercommentario di ‘Ovadyah da Bertinoro a Ra?i, in ‘Ovadyah Yare daBertinoro e la presenza ebraica cit., pp. 35-45, in particolare p. 35.

16 M. STEINSCHNEIDER, Catalogus librorum Hebraeorum in Bibliotheca Bodleiana, Berolini,A. Friedlaender, 1852-60, 2 voll., n. 2012; A.E. COWLWEI, A Concise Catalogue of the HebrewPrinted Books in the Bodleian Library, Oxford, Clarendon Press, 1929, p. 442; L. FUKS, R.G.FUKS-MANSFELD, Hebrew Tipografy in the Northern Neederlands, 1585-1815. Historical Evaluationand Descriptive Bibliography, Leiden, Brill, 1984-1987, 2 voll. fino al 1700, n. 612.

in sei volumi ad Amsterdam tra il 1698 e il 1703. Solamente due sono statii commenti alla Mišnah che hanno avuto l’onore di essere tradotti in latino,e l’altro è quello di Mošeh ben Maimon.

‘Ovadyah iniziò il suo Commento in Italia, e la sua è senz’altro un’o-pera che rispecchia la «cultura rabbinica italiana del Quattrocento».17 Tutta-via, il commento venne portato a termine a Gerusalemme. ‘Ovadyah, infatti,decise di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in Terra Santa, decise cioèdi compiere una aliah, termine che in ebraico significa ‘salita’ e con cui siindica specificamente l’atto di recarsi a Gerusalemme, poiché la città si ergein posizione elevata, a circa 800 m di altitudine, senza considerare, poi, chenelle vicinanze si trovano zone al di sotto del livello del mare, che esaltanoulteriormente il senso ‘mistico’ del percorso da compiere.18

Di ‘Ovadyah sono giunte fino a noi tre lettere, composte in ebraico,inviate dalla Terra Santa tra il 1488 e il 1489 o 1491.19 La prima è destinataal padre, e contiene un resoconto dettagliato del viaggio, la seconda al fra-tello e l’ultima ad un anonimo che da molti è stato identificato con ‘Imma-nu’el Hai da Camerino (Manuele di Buonaiuto), famoso banchiere ebreo edimportante uomo di cultura20 che si occupava della gestione dei beni lasciatida ‘Ovadyah in Italia. Sono dunque documenti di carattere privato, com-posti per circolare in ambito familiare e, come ricorda Giulio Busi, arrivatifino a noi «grazie ad una fortunosa trafila manoscritta».21

‘Ovadyah esercitò a sua volta un forte potere attrattivo nei confrontidi giovani ebrei italiani che ne seguirono l’esempio, stabilendosi a Gerusa-lemme e dedicando interamente la propria vita agli studi. Tra questi vi fu

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 119

17 Cfr. R. BONFIL, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1991,p. 131.

18 Oggi il termine aliah (sempre usato al singolare, anche quando la grammatica lorichiederebbe al plurale, alioth) ha un’accezione laica sconosciuta ai secoli precedenti, inquanto si riferisce alle ondate migratorie di ebrei che, provenienti da varie parti del mondo,a partire dalla fine del XIX secolo hanno raggiunto la Palestina per insediarvisi stabilmente,cfr. A. VERONESE, Il pellegrinaggio ebraico in Eretz Yisrael nel Medioevo, «Egitto e VicinoOriente», 10 (1987), 1, p. 157, n. 3, e M. LOUVISH, Aliyah, in Encyclopaedia Judaica cit., 2,coll. 633-635.

19 La nota inserita nel manoscritto ebraico reca come data il 1489, ma nell’ultimadelle tre lettere si fa riferimento alla guerra che oppose il sovrano mamelucco Qā’it Bā’yal sultano ottomano Bāyazīd tra il 1485 e il 1490, e alla pace che ne seguì, raggiunta peròsolo nel corso del 1491 (cfr. ‘OVADYAH YARE DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa,Introduzione, traduzione, note e appendice di G. Busi, Rimini, Luisé, 1991, p. 73, n. 120).

20 Cfr. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze cit., pp. 262-264.21 G. BUSI, ‘Ovadyah da Bertinoro come viaggiatore, in ‘Ovadyah Yare da Bertinoro e la presenza

ebraica cit., p. 21.

un giovane del quale non conosciamo il nome, che, partito da Venezia nel1495, ha lasciato una lettera scritta dalla Terra Santa.22

Di Mošeh Basola, invece, non ci è giunto quasi nulla. Il resoconto rela-tivo al viaggio in Terra Santa compiuto tra il 1521 e il 1523 è stato a lungopubblicato anonimo con il titolo di Elleh Mase (‘Questi sono i viaggi’).23

Mošeh nacque in Italia, in una località imprecisata, intorno al 1480. Il padre,che dal 1489 risiedeva a Soncino, lavorava con Yehošua Soncino in qualitàdi correttore di bozze (corresse due trattati talmudici).24 Come rabbino ecome cabbalista, Mošeh ebbe un ruolo di primo piano nell’Italia del Cin-quecento e fu più volte tenuto a prendere posizioni pubbliche in diversequestioni che turbarono il mondo ebraico mediterraneo. In particolare, neglianni compresi tra il 1556 e il 1560 si trovò impegnato su due fronti: da unaparte, a combattere il progettato boicottaggio internazionale di Ancona,25

SAMUELA MARCONCINI120

22 La prima edizione conosciuta della lettera, tratta da un manoscritto oggi andatoperduto, è dovuta a A. NEUBAUER, e fu pubblicata in «Jahrbuch für die Geschichte der Judenund des Judenthums», 3 (1863), pp. 271-302. Fu nuovamente edita da A. LUNCZ nella rivi-sta «Ha-Me‘amer», 3 (1919), pp. 151-170. Per il presente contributo è stato fatto uso dellaversione spagnola, in J.R. MAGDALENA NOM DE DÉU, Relatos de viajes y epístolas de peregrinosjudíos a Jerusalén (1481-1523), Sabadell (Barcelona), Ausa, 1987, pp. 151-168. Una parzialetraduzione in inglese si trova in F. KOBLER, Letters of Jews through the Ages from biblical Timesto the Middle of the Eighteenth Century, Tombridge (Kent), Tombridge Printers Ltd, 1952,pp. 312-318.

23 Con questo titolo, forse attribuito dall’editore, venne pubblicato per la prima voltaa Livorno nel 1785 da rabbi Ya‘aqov ben Mošeh Hayyim Baruk, all’interno di una raccoltadi testi intitolata Šivhe Yerušalayim, e in seguito dato alle stampe almeno altre sei volte, sem-pre in forma anonima. La sola versione manoscritta anteriore all’edizione a stampa si trovain una raccolta di trattati del XVI e XVII secolo, scritti in varie grafie italiane (Heb. 8º 1783,cc. 64v-91v), conservata presso la JEWISH NATIONAL AND UNIVERSITY LIBRARY di Gerusa-lemme; verso la fine del diario, vi è un fugace cenno al nome dell’autore, Mošeh. L’identifi-cazione di quest’ultimo è stata possibile solo in seguito all’edizione di questo manoscritto,voluta nel 1938 da Yishaq Ben-Zvi, il futuro secondo presidente di Israele, e grazie al con-fronto con il trattato di ‘Azaryah min ha-Adummim (de Rossi), Me’or ‘Enayim, in cui si fariferimento al resoconto di viaggio di rabbi Mošeh Basola, caratterizzandolo per una frase,«la scrittura dei Cuteani si trova sulle monete», che effettivamente si trova verso la fine deldiario di viaggio dello stesso (cfr. l’edizione a cura di D. CASSEL, Vilna, 1864-1866, rist. anast.Jerusalem, 1970, pp. 449-450).

24 Cfr. la Premessa a Tipografia ebraica a Soncino, 1483-1490, Catalogo della mostra, Son-cino-Rocca Sforzesca, 22 aprile-24 giugno 1988, a cura di G. TAMANI, Soncino, Edizioni deiSoncino, 1988, pp. 6, 20-21.

25 Nel 1556 ad Ancona venticinque conversos stabilitisi in città erano stati giustiziati perordine di papa Paolo IV. In risposta a questa strage, due potenti cortigiani del sultano otto-mano, ovvero Don Yosef e Doña Gracia Nasi, entrambi ebrei di origine portoghese, cerca-rono di promuovere un boicottaggio internazionale ai danni delle attività portuali di Ancona,favorendo invece la vicina Pesaro. Il piano incontrò l’opposizione di molti degli ebrei ita-liani – tra cui Basola, che scrisse allo stesso Nasi – i quali temevano che i loro affari venis-

dall’altra, a discutere sull’opportunità o meno di stampare le opere cabbali-stiche.26 Nel 1560, ottantenne, decise di andare a morire in Terra Santa. DaVenezia raggiunse Safed, dove venne accolto con gli onori riservati ad uncabbalista del suo calibro, per poi morire poco tempo dopo.27

Tra tutti questi viaggiatori, è sicuramente Mešullam colui che dimo-stra maggiore curiosità verso il meraviglioso mondo orientale, che acqui-sta nelle sue descrizioni il carattere fascinoso di un racconto da ‘Mille e unanotte’: perle e pietre preziose, animali bizzarri, piante miracolose e cittàdalle dimensioni smisurate popolano le pagine del suo diario, soprattuttonella parte relativa all’Egitto. È qui, infatti, ad Alessandria e a Il Cairo, chel’occhio scopre continuamente nuove realtà, che sanno di magico, di inu-sitato, di spropositato. Anche ‘Ovadyah, transitando per l’Egitto mame-lucco, non può fare a meno di riportare molte delle meraviglie notate dalmercante volterrano, seppur in forma molto più pacata e concisa. NelMedio Oriente solo Damasco, città pullulante di commerci e ornata di ric-chi palazzi, riesce ad ispirare lo stesso senso del meraviglioso, che affioraqua e là anche negli altri viaggiatori, meno sensibili, però, a lasciarsi affa-scinare dall’inconsueto, presi come sono dal prevalente interesse per glistudi oppure dalle ricerche mistiche.

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 121

sero danneggiati e che le autorità locali si adirassero, per cui, anche a causa di questa oppo-sizione interna, il boicottaggio ebbe durata breve. Per un riassunto dell’intera vicenda cfr.C. ROTH, Doña Gracia of the House of Nasi, Philadelphia, The Jewish Publication Society ofAmerica, 1977, pp. 134-175.

26 In quegli anni a Pesaro si andava discutendo l’opportunità o meno di dare alle stampele opere cabbalistiche, incluso lo Zohar, dopo che nel 1553 la Chiesa aveva ordinato e messoin atto la distruzione dei manoscritti e delle edizioni del Talmud, vietandone la ristampa (cfr.G. TAMANI, Il giudaismo nell’età moderna e contemporanea, in Ebraismo, a cura di G. FILORAMO,Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 192). Basola, che in un primo momento si dimostrò favorevolealla diffusione di tali opere – ma solo perché trascinato dall’onda emotiva suscitata in lui daun denigratore della qabbala –, cambiò rapidamente e definitivamente idea, opponendosi confermezza alla loro stampa. I suoi timori erano dovuti sia alla possibilità che tali opere finis-sero in mani sbagliate (vuoi persone non sufficientemente dotte – ebree o cristiane – perintenderne a pieno il messaggio senza travisarlo, vuoi l’Inquisizione romana, che avrebbepotuto censurarle), sia che distogliessero gli ebrei dallo studio della halakah, ovvero il dirittoebraico, che certo doveva apparire ben più arido rispetto alle affascinanti dottrine della misticaebraica, la qabbalah, appunto. Non va dimenticato che Basola stesso era un cabbalista, e anchese nessuna sua opera di qabbalah ci è giunta (eccettuato un commentario, recentemente sco-perto, e alcuni sermoni a carattere mistico), tuttavia la sua competenza in questa dottrinanon può venir messa in dubbio. Egli, tra l’altro, era in contatto con il cabbalista ed ebraistacristiano Guillaume Postel, che tradusse lo Zohar in latino.

27 Cfr. BASOLA, A Sion e a Gerusalemme cit., p. 10. Nella traduzione in italiano di Ales-sandra Veronese i numerosi termini in antico italiano presenti nel testo, ma vergati in carat-teri ebraici, sono stati indicati in grassetto, mentre i vocaboli ebrei ed arabi non tradotti sonostati resi in corsivo.

Alessandria, per chi sbarca in Egitto, costituisce il primo impatto con unmondo totalmente altro, diverso. Mešullam rimane fortemente impressionato,fin dall’ingresso nel porto, dalla magnifica scenografia che gli offre la fortezzadella città, fatta recentemente costruire dal sultano Qā’it Bāy, «con trentaduetorri e mura spessi dieci braccia, che vanno da torre a torre, e portano dinascosto in città» e dove «dimorano ogni notte ottocento mamelucchi».28

Ad Alessandria scopre che esiste una sorta di quelle che noi oggi chia-meremmo ‘incubatrici’, che permettono un’ottimizzazione della produzioneinvidiabile: volatili in gran quantità, e a prezzi contenuti:

I volatili là costano molto poco e questo è dovuto al fatto che gli alessandrini produ-cono i volatili nei forni: scaldano, cioè, il forno, e vi mettono dentro letame di bue e dicavallo; poi, mettono nei forni mille o duemila uova per volta, e così fanno ogni giorno,di modo che in tre settimane escono i pulcini vivi; e in questo modo producono vola-tili senza fine.29

Ma ad Alessandria tutto eccede i limiti, tutto è oltre misura: la rugiadacade così copiosamente da supplire alla pioggia, assente tutto l’anno; i ventiche vi spirano sono capaci di accecare, o addirittura uccidere gli uomini,decimandoli come fa la peste. Gli abitanti, soprattutto i mamelucchi, ecce-dono nello sfarzo, sfoggiando sui loro asini, con assoluta nonchalance, selleda più di duemila ducati, foderate di perle, oro e diamanti.30 E, in quest’at-mosfera da favola, non manca una colomba, tramite la quale l’emiro comu-nica con il sultano in caso di urgenza, mettendo i messaggi nel beccodell’uccello o legandoglieli addosso, certo che a Il Cairo, ad una finestra delpalazzo, vi sia una guardia che scruta il cielo in attesa.31

Lasciata Alessandria, durante il viaggio sul Nilo, Mešullam ha mododi notare degli «strani» animali, che identifica come grossi serpenti:

In mezzo al Nilo, su alcune isolette, vidi dei serpenti grandi e grossi come me: essi hannocorte zampe e la pelle che è fatta come a squame, ed è talmente dura che non si puòucciderli con arma alcuna se non d’inverno, quando dormono sulle isolette stando distesia terra, e si vedono i loro ventri; allora dalle germe si lanciano con l’arco delle frecce neiloro ventri e li si uccide. Gli israeliti ne tagliano la testa e la coda, anche se quest’ultimaè corta, e ne mangiano la carne che, a quanto mi hanno detto, è un cibo prelibato. Gliisraeliti lo chiamano al-tamsa. […] Plinio, che era un pagano, lo chiama coccodrillo, e diceche esso può crescere sino alla lunghezza di 18 piedi. Io però ne ho veduti, quanto èvero Dio, di più grandi, e anche di più grandi di me […]. Questi serpenti non hanno

SAMUELA MARCONCINI122

28 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., pp. 33-34, n. 37.29 Ivi, p. 37.30 Ivi, p. 36.31 Ivi, pp. 40-41.

ano, e non possono defecare. Ma il Signore ha creato un uccello per questo, simileall’oca; questo uccello ha la testa piccola e il suo becco è lungo e appuntito; è tuttobianco e ha sulla testa un corno molle lungo un palmo, che solleva e abbassa a suo pia-cimento. Quando il serpente ha bisogno di espellere i suoi escrementi, apre la bocca (ei suoi denti sono aguzzi come quelli di un cane); non appena l’ha spalancata, arrivanocento di questi uccelli, e chi primo arriva meglio alloggia: l’uccello mette infatti il collonella bocca del serpente, e il suo corno si alza in modo che il serpente non possa mor-derlo, e mangia i suoi escrementi. Il nome dell’uccello nella lingua degli israeliti è apis ein lingua latina Plinio lo chiama torchilo […].32

Simile, ma molto più sintetica, e priva di stupore, la descrizione offertada ‘Ovadyah, a proposito di quella che per lui è una grande rana:

Sul Nilo vidi un tipo di rana, detto in arabo al-timsah. , più grande di un orso e la cuipelle appariva come a bolle; i marinai mi hanno detto che ve ne sono di grandi il dop-pio. Si tratta di una rana sopravvissuta dal tempo di Mosé. In verità, egli, come ricordaNahmanide nel suo Commento, narra che questa bestia mangia ma non evacua: unuccello ne mangia gli avanzi, introducendosi nelle fauci spalancate.33

Mešullam è costantemente preoccupato di riportare pareri autorevoli asostegno di ciò che va affermando, conscio che spesso si tratta di cose sco-nosciute nel mondo occidentale, e forse anche del fatto che ogni tanto… esa-gera un po’. Nel caso specifico, la descrizione che ci offre del coccodrillo èricalcata, anche se non interamente, sul brano della Naturalis Historia di Plinioil Vecchio,34 e la scelta di ricorrere ad un’auctoritas classica dimostra una certafamiliarità anche con la letteratura non ebraica. ‘Ovadyah invece, e forse nona caso, si appoggia ad una fonte ebraica, Nahmanide. Il rabbino di Bertinoroè come «ripiegato sulla specificità del patrimonio tradizionale ebraico».35

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 123

32 Ivi, pp. 44-45.33 DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., pp. 31-32.34 Riporto a titolo di confronto il brano latino: «Crocodilum habet Nilus, quadripes

malum et terra pariter ac flumine infestum. Unum hoc animal terrestre linguae usu caret,unum superiore mobili maxilla inprimit morsum, alias terribile pectinatim stipante se den-tium serie. Magnitudine excedit plerumque duodeviginti cubita. Parit ova quanta anseres,eaque extra eum locum semper incubat praedivinatione quadam, ad quem summo auctu eoanno egressurus est Nilus. Nec aliud animal ex minore origine in maiorem crescit magnitu-dinem. Et unguibus autem armatus est, contra omnes ictus cute invicta. Dies in terra agit,noctes in aqua, teporis utrumque ratione. Hunc saturum cibo piscium et semper esculentoore in litore somno datum parva avis, quae trochilos ibi vocatur, rex avium in Italia, invitatad hiandum pabuli sui gratia, os primum eius adsultim repurgans, mox dentes et intus fau-ces quoque ad hanc scabendi dulcedinem quam maxime hiantes, in qua voluptate somnopressum conspicatus ichneumon, per easdem fauces ut telum aliquod inmissus, erodit alvum»,tratto da PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, libro VIII, 25 (37), secondo il testo stabilito,tradotto e commentato da A. ERNOUT, Parigi, Les Belles Lettres, 1952, p. 54.

35 DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., Introduzione, p. 9.

Mešullam è a mio parere prima di tutto un mercante, orgoglioso diappartenere a questa categoria, di cui rivendica gli attributi caratteristici equelle che sono le virtù ‘boccaccesche’, ovvero scaltrezza e abilità. Eccoperché osserva tutto con molta cura, si interessa dei dati materiali e liriporta con accuratezza (che si tratti di distanze tra le città, di tasse dapagare, o del modo di evitarle, cosa ben più importante), verificando tuttodi persona. Tuttavia, anch’egli riporta la leggenda (a cui fanno riferimentomolti pellegrini e viaggiatori occidentali nelle loro relazioni di viaggio)36

dei ‘granai del faraone’: si pensava cioè che le piramidi fossero i magaz-zini in cui Giuseppe fece depositare i viveri in previsione della carestia.37

Mešullam infatti dice: «Al di là del Nilo vi sono tre grandi depositi, similiad una punta di diamante; non ho mai visto una costruzione così grande,neppure a Roma».38 Eppure ad un altro mercante, il fiorentino GiorgioGucci, già nel 1384 era venuto il dubbio che questi granai altro non fos-sero che mausolei:

Questi granai, che sono di grande edificio, si dice avere fatti Faraone al tempo del grancaro, che fu al tempo di Giuseppo, bene che a vederli elli paiono più tosto cose fatte auna perpetuale memoria che a granai.39

Anche ‘Ovadyah vi accenna, ma è molto poco il tempo che ha da per-dere con questo genere di cose:

SAMUELA MARCONCINI124

36 Cfr. ad esempio Viaggio in Terrasanta di Santo Brasca 1480, a cura di A.L. MOMIGLIANOLEPSCHY, Milano, Longanesi, 1966, p. 143, cap. 313: «Passando el Nillo a lo incontro delCairo, longe circa sei miglia, si trovano li granari de Pharaone, li quali sono di pietra viva, informa quadrangolare, como è la sepultura de Romulo, ma molto magiore in altitudine d’unacommune torre». La vicenda di Giuseppe e della sua predizione della carestia, per la qualefece ammassare il grano, è narrata nel cap. 41 della Genesi.

37 In ambito ebraico, troviamo questa leggenda già nell’opera di Binyamin da Tudela,v. DA TUDELA, Itinerario cit., p. 77: «[attorno al Cairo] si conservano, sparsi dovunque, i moltimagazzini di Giuseppe – sia su di lui la pace – edifici solidissimi di calce e di pietra». Elea-zar Gutwirth, che ricorda come molti viaggiatori si avvalessero di guide locali – anche sespesso non compaiono nelle relazioni – ritiene – sulla base di documenti attestanti la pre-senza in loco di un tipo di letteratura ispanofona, ritrovati alla fine del XIX secolo nella geni-zah (deposito) dell’antica sinagoga della comunità ‘palestinese’ della Vecchia Cairo (al-Fusta) –che si tratti di una tradizione sorta in ambito ebraico, soprattutto tra le comunità sefarditecairote, particolarmente interessate alla figura di Giuseppe. Si veda E. GUTWIRTH, Coplas deYocef from the Genizah, «Revue des Études Juives», 155 (1996), pp. 387-400. Ringrazio la pro-fessoressa Laura Minervini per la segnalazione dell’articolo.

38 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 48.39 G. GUCCI, Viaggio ai luoghi Santi in A. LANZA TRONCARELLI, Pellegrini scrittori. Viag-

giatori toscani del Trecento in Toscana, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, p. 269. Sono debitrice diquesta informazione a Renzo Nelli, che ringrazio.

Prima di arrivare a Bulaq,40 scorgemmo due grandi cupole di una costruzione antichis-sima, poste sullo stesso lato del fiume. Dicono che si tratti dei magazzini di Giuseppe;non hanno ingresso, se non in alto, dal tetto e, sebbene siano in rovina, conservano l’a-spetto di edifici solidi e forti. Nelle vicinanze non sorge alcun insediamento.41

Mešullam ama indulgere, invece, nella descrizione di elementi strani ofantastici, la cui veridicità non tollera possa essere messa in discussione,tanto che arriva ad affermare, non senza una punta di stizza: «La verità faràla sua strada e nonostante tutto non rinuncerò a scriverla!».42

A Il Cairo nuove meraviglie lo attendono, questa volta però sono pro-digi della tecnica e della laboriosità umana. Mešullam è come sommersodalla grandiosità e dalla magnificenza della città, la cui metà è grande quantonove città dell’Italia:

[…] se avessi voluto descriverne l’importanza, la ricchezza e gli abitanti non mi sarebbebastato tutto questo libro. Giuro che se fosse possibile mettere assieme Roma, Vene-zia, Milano, Padova, Firenze e altre quattro città, tra tutte non arriverebbero a conte-nere la ricchezza e la popolazione di metà Cairo, senza alcun dubbio.43

Persino ‘Ovadyah, che in un primo momento dichiara di non volerripetere ciò che è già stato detto da altri viaggiatori infinite volte,44 succes-sivamente non può fare a meno di notare che

nella città si incontra un numero grandissimo di persone di ogni stirpe e di ogni nazione,che vi si affolla tanto di giorno quanto di notte: durante la notte, infatti, in tutte le stradee nelle piazze, sono accese torce. La gente dorme per terra, davanti alle botteghe, e nellestrade, a proprio piacimento.45

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 125

40 «Būlāq nel corso del XV secolo si affermò come il porto fluviale più importantedel Cairo. L’urbanizzazione della zona di Būlāq venne iniziata ad opera del sultano al-Malikal-Nāsir al-Dīn Muh. ammad (1309-1340), allo scopo di riempire il vuoto creatosi con ladistruzione del porto di al-Maqs, molto importante durante il periodo fatimida e ayyubida.Solo nel XV secolo, tuttavia, Būlāq divenne il luogo dal quale si dipartiva gran parte delcommercio internazionale dell’Egitto» (DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 52,n. 100).

41 DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., p. 32.42 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 45.43 Ivi, p. 46.44 «Non mi dilungherò sulla grandiosità degli edifici del Cairo e sulla moltitudine di

genti che vi abita, giacché molti miei predecessori ne hanno riferito, e quanto se ne è dettocorrisponde a verità» (DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., p. 33). Santo Brasca (Viag-gio in Terrasanta cit., p. 141, cap. 308) nel 1480 scrive: «Questa cità de Caero circunda percommune stima miglia 32 et ègli dentro tanta multitudine de gente che non si pò andarese non a spalla a spalla, et non si potria andare presto in alcuno locho chi non montasse acavalo».

45 DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., p. 38.

Nella immensa metropoli egiziana, oltre a pietre preziose in gran quan-tità (che le donne sfoggiano facendosi anche otto o dieci buchi alle orec-chie, e gli uomini indossando anelli d’argento su cui si trovano incastonate),46

vi è tutto ciò che un uomo possa immaginare, e la ricchezza fa capolino dadietro a paraventi di finta povertà:

In ogni fonnaco ci sono mille magazzini e più, e altrettante botteghe più piccole. È impos-sibile trovare cosa al mondo che non ci sia al Cairo.47 Quando si entra nelle case delCairo, a dispetto delle strade corte e scure, si vedono meraviglie, come mosaici e porfido.Le case sono ricoperte d’oro puro, con cortili fatti a mosaici, cose incredibili.48

L’acqua del Cairo, nelle parole di Mešullam, è a dir poco paradisiaca,anzi, è l’elisir dell’eterna giovinezza:

Gli abitanti del Cairo bevono l’acqua del Nilo, cioè del gran fiume, dato che acquabuona come quella non ce ne è in tutto il mondo; e chi ne beve sino ad averne la pan-cia piena non invecchia mai, poiché essa è dolce come il miele e proviene dal giardinodell’Eden.49

In una città che soffoca per il continuo calore, ma che abbonda diacque, è stato approntato un efficientissimo servizio di ‘annaffiatura’ dellestrade onde eliminare la polvere, e vi sono addetti e volontari che garanti-scono un sorso di questa impareggiabile acqua da bere, fresca e profumata,per chiunque ne abbia bisogno:

Al Cairo si trovano sempre anche più di diecimila uomini adibiti a spargere acqua perle strade per far posare la polvere, e la detta acqua dà molta frescura. Inoltre, si trovanoin ogni momento anche più di duemila uomini che portano acqua in otri che hannocannelle ricoperte d’oro e d’argento alla damaschina e danno da bere ad ognuno per unfilio [moneta di scarso valore] in stoviglie apposite […] si trovano anche alcuni che fannoquesto servizio gratis, per l’anima di qualche parente morto, e si possono distingueredagli altri perché portano un segno. Sempre, troverai da bere sostanze profumate, chevengono messe nell’acqua qualora se ne faccia richiesta.50

SAMUELA MARCONCINI126

46 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 50. L’anonimo dirà che «al Cairo e adAlessandria si trova molto argento ed è il luogo dei lapislazzuli» (MAGDALENA NOM De Déu,Relatos de viajes cit., p. 156).

47 Mešullam dirà poi di aver ricevuto una «lista di tutte le mercanzie che i goyim por-tano, due volte all’anno, dalle terre dei cristiani: si tratta di tremilaseicento diverse merci, perla maggior parte vari generi di spezie e medicine», senza considerare tutte le altre merci chearrivavano dal Sahara, dall’Africa occidentale, dal Maghreb, dalla Penisola arabica, dalla Siria,dall’India e dalla Cina (cfr. DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 56, n. 105).

48 Ivi, p. 52.49 Ivi, p. 49. Anche secondo Binyamin da Tudela l’acqua del Nilo aveva «proprietà

medicinali» (DA TUDELA, Itinerario cit., p. 77).50 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 49.

Ma ciò che più colpisce, nell’oculata gestione delle acque, è senz’altroil ‘nilometro’, strumento che serviva a misurare il livello delle acque delfiume, sito nei pressi di Būlāq. Si tratta di una costruzione risalente nellasua struttura di base al IX secolo, ma rimaneggiata più volte nel corso deisuccessivi. Binyamin da Tudela la descrive come una colonna di marmo,posta su un’isola in mezzo alle acque;51 Mešullam invece come

un luogo dove vengono tracciati dei segni nel terreno, scalino dopo scalino. Quando ilNilo sale, copre alcuni di questi scalini: gli egiziani hanno segni indicatori per vedere sequell’anno sarà molto abbondante o mediocre o negativo. […] Ogni giorno al Cairo siannuncia: ‘Il Nilo è salito così e così’; quando ha smesso di salire, il soldano si reca inquel luogo accompagnato da una gran folla, con canti e suoni di tamburello e arpa: eglistesso comincia a scavare, e dopo di lui scavano i suoi servitori: l’acqua esce, irrigandotutto l’Egitto […].52

A poche miglia dal Cairo c’è un giardino dal valore inestimabile, nelquale crescono gli unici alberi al mondo capaci di produrre il ‘balsamo’. Laleggenda cristiana vuole che, durante la fuga in Egitto, a Maria venne setee, non essendoci alcuna fonte, fu suo figlio Gesù che con un piede fece sca-turire una sorgente. Lì la Madonna lavò i panni del bambino e li stese adasciugare su quegli alberi che, proprio grazie a questo suo gesto, secernonoil balsamo. Nella descrizione fatta da Mešullam non rimangono che i sin-goli oggetti, privi di ogni eziologia cristiana, ma non per questo il giardinoperde di fascino ai suoi occhi:

[…] c’era un giardino dove si coltivava il balsamo. In tale giardino c’erano circa centoalberi molto piccoli, dai rami sottili e con foglie piccole come quelle dei cussi,53 ma piùverdi e più sottili; vi sgorgava una sorgente di acqua calda, con cui si innaffiano quoti-dianamente gli alberi e il terreno circostante. Quegli alberi crescono soltanto in quelgiardino.54

Le magiche virtù degli alberi sono determinate proprio da quell’acqua,e per questo non è possibile trapiantarli altrove: ogni volta che si è cercatodi farlo, la pianta invariabilmente è morta. Questo fatto da solo sarebbedovuto bastare a scoraggiare chi pensasse ingenuamente di poterne avereuno nel proprio giardino, tuttavia, onde prevenire eventuali furti del pre-ziosissimo balsamo, non solo il terreno è circondato da un muro, ma ognipianta è protetta da ben quattro guardie che impediscono a chiunque di avvi-

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 127

51 DA TUDELA, Itinerario cit., p. 76.52 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., pp. 52-53.53 Alessandra Veronese spiega che si tratta della Hagenia abissinica.54 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 57.

cinarsi. Il ‘balsamo’ altro non è, infatti, che una sostanza resinosa (secondoMešullam il prodotto finale non risulta dissimile dall’olio di ricino) che coladai rami più piccoli e dalla corteccia della pianta. Per raccogliere ogni sin-gola goccia vengono sistemati degli appositi recipienti, un po’ come avvienenella raccolta del caucciù. Tutto il balsamo, raccolto una sola volta l’anno,viene portato al sultano, che lo regala poi ai sudditi più importanti o allealte cariche delle potenze straniere amiche, per cui, avverte Mešullam,

non credete a chi vi dica di aver portato del balsamo in Toscana: poiché non è possi-bile che il balsamo sia giunto in possesso di alcuno, eccezion fatta per i ministri e potenti,e in piccolissima quantità.55

È quindi assai probabile, come ha ipotizzato Alessandra Veronese, cheproprio da questo giardino provenisse quel balsamo donato dal sultano d’E-gitto Qā’it-Bāy alcuni anni dopo a Lorenzo de’ Medici, e di cui rimane noti-zia in una lettera indirizzata nel novembre del 1487 alla moglie del Magnifico,Clarice Orsini de’ Medici, dal suo segretario Pietro, il quale ricorda appunto,tra gli altri doni, «una grande ampolla di balsamo».56 Mešullam prosegue poi,con accento da favola, spiegando le miracolose virtù curative del balsamocui ha assistito con i suoi stessi occhi:

Giuro sulla mia vita di aver visto un poco di quel balsamo nella casa del gran turcimanno,che gli era stato dato dal soldano. Un suo amico, chiamato Muhammad, si era ferito l’al-luce del piede sinistro con un’ascia mentre stava tagliando un albero: misero il balsamosu quella ferita, e in tre giorni guarì, e non rimase alcun segno: non ho mai visto in vitamia un prodigio grande come questo.57

SAMUELA MARCONCINI128

55 Ivi, p. 58. Eppure, circa un secolo prima, il Gucci raccontava di averne acquistataun’ampolla: «In questo campo fummo, e vedemo e toccamo il detto balsimo; e sagretamentenoi veggenti e presenti ce ne facemo cogliere una piccolissima ampolla, che costò catunadue ducati d’oro. Fannone i Saraini, che istanno ivi per lo soldano, grandi beffe e inganni didare una cosa per un’altra a chi non è presente, ingannano con mettere iscialiva [saliva] indetto balsimo. […] io me ne feci cogliere una ampolla, ch’era forse il quarto d’uno piccolobicchiere, e furono da IIII saraini, e istettono circa di due ore ad empiere la detta ampolla;la quale ampolla recai meco» (GUCCI, Viaggio ai luoghi Santi cit., pp. 271-272). SANTO BRA-SCA (Viaggio in Terrasanta cit., p. 279, n. 380) afferma che il giardino è senz’altro lavorato dacristiani, ché altrimenti non darebbe frutto! Il giardino venne purtroppo distrutto nel 1497.

56 Cfr. J. WANSBROUGH, A Mamluk Commercial Treaty Concluded with the Republic of Flo-rence, 894/1489, in Documents from Islamic Chanceries, Oxford, ed. S.M. Stern, 1965, p. 40, dove,inoltre, si informa circa la presenza della lettera riprodotta in appendice a A. FABRONI, Lau-rentii Medicis Magnifici Vita, Pisa, 1784, II, p. 337, e si ricorda che la scena dell’ambasciatavenne dipinta da Giorgio Vasari in Palazzo Vecchio per decorare il soffitto della Sala diLorenzo il Magnifico nel quartiere di Leone X.

57 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 58.

Vi è poi una leggenda, relativa alle acque del Mar Rosso, a cui accenna,nonostante non provenga affatto da ambiente ebraico (compare già nellopseudo-aristotelico Liber de lapidibus, di cui esisteva comunque una versionein lingua ebraica),58 il nostro ‘Ovadyah: «Nel mar Rosso di [sic] trova la cala-mita: le navi che lo attraversano non caricano ferro, neppure un chiodo».59

Anche la Siria è terra di prodigi e di ricchezze fantastiche. Poco primadi arrivare a Beirut, Basola attraversa un fiume sulle cui rive un tempo sitrovava un magico… ‘antifurto’, di cui però non rimane più traccia, giacchéi briganti non ne tolleravano la presenza:

A cinque miglia da Beruti c’è un ponte alto, a forma di cupola, sopra il fiume chiamatoal-Kalb. Molto tempo fa c’era là un cane di pietra che è stato fatto per mezzo dellamagia. Se dei briganti giungevano via mare o attraverso la foresta, abbaiava in modomolto forte. I briganti lo buttarono giù, ed esso è ancora giù, colà, nel fiume sotto-stante.60

È Damasco infine, l’antica capitale dell’Impero omayyade, a suscitareancora ammirazione e stupore. Le lodi di Mešullam nei suoi confronti sifanno sperticate, tanto più che che vi è giunto dopo un viaggio estenuante,in groppa ad un asino, e su strade impervie, per cui la reazione che suscitain lui lo splendore della città è aumentata dal contrasto con la bruttezza ela scomodità del viaggio:

in tutto il mondo non esiste città più bella: nei suoi dintorni la terra è buona e fertile,e i suoi frutti sono stimati i migliori in assoluto […]. Gli abitanti della città sono bel-lissimi, ed essa è superiore al Cairo in tutto per quello che concerne la quantità, e superatutte le altre città che ho visto sino a questo giorno, dato che mai ne ho vista una chele sia pari per la quantità delle merci e degli ornamenti.61

Il palazzo della zecca è superlativo: al suo interno si trova addiritturauna stanza termale: «c’è una grande stanza per il bagno, cioè una stufa, lamigliore in assoluto, con mosaici e diaspri: una cosa meravigliosa a vedersi».62

Infine, ci sono quattro grandi bāzar, vigilati giorno e notte dalle guardie,

MERAVIGLIE D’ORIENTE TRA XV E XVI SECOLO 129

58 Cfr. DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., p. 34, n. 46, dove viene riportatoanche il relativo passo in latino: «Minera huius lapidis est in ripa maris propinqui terre indie.Quando naves transeunt prope montem ubi lapis iste est non potest in eis remanere ferrumquin saliat extra et evolans nunc supra nunc subtus non cessat donec perveniat ad magne-tem. Similiter clavi navium eradicantur unde competit navi transfretantes per illud mare nonconiungi clavis ferreis sed cavillis ligneis alioquin periclitarentur».

59 Ivi, p. 34.60 BASOLA, A Sion e a Gerusalemme cit., p. 50.61 DA VOLTERRA, Viaggio in Terra d’Israele cit., p. 86.62 Ivi, pp. 86-87.

dove si vendono pietre preziose e perle, spezie, sete e damaschini di ramerivestiti d’oro e d’argento. «È affascinante», conclude Mešullam, il quale sitrova inaspettatamente in un luogo che supera le sue aspettative, «osservarei mercanti della città e le loro mercanzie»,63 del tutto a proprio agio in unmondo pullulante di vita.

Molto più contenute risultano le lodi di ‘Ovadyah, che tra l’altro nonha nemmeno visto la città di persona: «oggigiorno, non v’è in nessun paeseuna città altrettanto benedetta da Dio come Damasco: si dice che le suecase, gli orti, i giardini non temano paragoni»,64 e dell’anonimo viaggiatoresuo discepolo: «Damasco è una città enormemente grande e le sue stradeampie. Vi sono lì case bellissime e cortili con molte fontane».65

Dunque, Mešullam si conferma senz’altro come il viaggiatore mag-giormente disponibile a lasciarsi affascinare dal meraviglioso, quel meravi-glioso che ancora oggi riteniamo appartenere all’Oriente, secondo unaconcezione tutta occidentale, come ricordava Edward Said, stratificatasi findall’antichità, in base alla quale l’Oriente è sì «luogo di avventure, popolatoda creature esotiche, ricco di ricordi ricorrenti e paesaggi, di esperienze ecce-zionali», ma in quanto «invenzione dell’Occidente» finisce per riguardare il‘nostro’ mondo più di quanto non riguardi il mondo orientale.66

SAMUELA MARCONCINI130

63 Ivi, p. 87.64 DA BERTINORO, Lettere dalla Terra Santa cit., p. 67.65 MAGDALENA NOM DE DÉU, Relatos de viajes cit., p. 157.66 Cfr. E.W. SAID, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Milano, Feltrinelli, 2006,

pp. 11 e 22.