La Chiesa che perdonò Elia. Clero secolare, società, monaci e frati a Cortona nella prima metà...

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SOCIETÀ INTERNAZIONALE DI STUDI FRANCESCANI CENTRO INTERUNIVERSITARIO DI STUDI FRANCESCANI Elia di Cortona tra realtà e mito Atti dell’Incontro di studio Cortona, 12-13 luglio 2013 2014 FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO SPOLETO

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SOCIETÀ INTERNAZIONALE DI STUDI FRANCESCANI

CENTRO INTERUNIVERSITARIO DI STUDI FRANCESCANI

Elia di Cortonatra realtà e mito

Atti dell’Incontro di studio

Cortona, 12-13 luglio 2013

FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVOSPOLETO

2014

2014

FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDISULL’ALTO MEDIOEVO

SPOLETO

INDICE

Consiglio direttivo della Società internazionale di studifrancescani e organi direttivi del Centro interuniver-sitario di studi francescani .................................... pag. VII

Programma dell’Incontro di studio ............................. » IX

GIULIA BARONE, Elia nella storiografia da Sabatier a Man-selli .................................................................... » 1

JACQUES DALARUN, Élie vicaire. Le complexe de Marthe ....... » 17

FELICE ACCROCCA, Frate Elia ministro generale .................. » 61

MARIA PIA ALBERZONI, Frate Elia tra Chiara d’Assisi, Gre-gorio IX e Federico II ............................................. » 91

FILIPPO SEDDA, La deriva storiografica di frate Elia nelle fon-ti francescane trecentesche .......................................... » 123

SEBASTIANA NOBILI, Elia come antimodello nella Cronica diSalimbene de Adam ................................................ » 145

PAOLO CAPITANUCCI, Francescani e alchimia fra mito e realtà:la leggenda di Elia alchimista .................................. » 161

MICHELE PELLEGRINI, La Chiesa che perdonò Elia. Clero seco-lare, società, monaci e frati a Cortona nella prima metàdel XIII secolo ....................................................... » 181

FULVIO CERVINI, Elia e l’arte del costruire. Paradigma di unarchitetto mai esistito, ma non privo di gusto ................ » 213

ANTONIO RIGON, Conclusioni ........................................ » 233

INDICE DEI NOMI ......................................................... » 239

MICHELE PELLEGRINI

La Chiesa che perdonò Elia.Clero secolare, società, monaci e frati a Cortona

nella prima metà del XIII secolo

Il compito affidatomi dagli organizzatori è quello di rifletteresulle relazioni che si vennero a creare, nella prima metà del Due-cento, tra le istituzioni e gli uomini che incarnavano la Chiesa diCortona e il mondo, allora in pieno rinnovamento, delle esperienzedi vita religiosa, cominciando da quelle mendicanti, e minoritichein specie. Un compito già di per sé non privo di interesse, né didifficoltà. Nella logica di questo incontro, volto a gettare nuova lu-ce sulla reale vicenda e sul mito di frate Elia, un tale sforzo di rico-struzione risulta inoltre chiaramente funzionale a mettere a fuoco echiarire, entro la storia della Chiesa e del clero secolare di Cortonacolti nella loro relazione con le religiones novae, il fatto senz’altro piùnoto, e forse anche più interessante, della storia della pratica pasto-rale nella Cortona del pieno Duecento. Mi riferisco, ovviamente, al-le vicende relative della riconciliazione in articulo mortis di frate Eliache appunto, nell’aprile 1253, videro attivo protagonista il clero se-colare di Cortona. Vicende variamente recepite e descritte nelle fon-ti francescane, ma soprattutto ricostruibili attraverso quella fonteper tante ragioni eccezionale che è l’inquisitio compiuta per manda-to papale su e poco dopo quel fatto; fonte da tempo nota alla fran-cescanistica ed ora a tutti accessibile nell’editio optima delle carte delsacro convento d’Assisi 1, ma non per questo priva di ancora ine-spresso potenziale informativo né di croci interpretative.

1 L’originale, ed unico testimone, dell’examen testium allora condotto dal minorita fraVelasco, redatto dal notaio Benvenisse, si conserva con la segnatura II/9 tra le pergamenedel Sacro Convento. L’edizione più recente ed accurata del testo è in Le carte duecentesche delSacro Convento di Assisi: Instrumenti, 1168-1300, a cura di A. BARTOLI LANGELI, con la colla-borazione di M. I. BOSSA e L. FIUMI, Padova, 1997, n° 31, alle pp. 52-61 (qui anche i rin-vii alle principali edizione e alla letteratura precedente).

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Avviare queste riflessioni dichiarando le difficoltà che, almenoper chi scrive, ha da subito presentato il tentativo di assolvere ilcompito affidatogli provando a corrispondere ad entrambe le legit-time attese implicate dal tema, non è solo un espediente retorico,ma serve a giustificare una certa disomogenetà che rimane in que-sto contributo, di necessità articolato in due parti distinte e inevita-bilmente difformi per analiticità e compiutezza. Da un lato, infatti,ho provato a guardare e descrivervi un panorama: quello della storiadella Chiesa, del clero e delle strutture della cura d’anime di unacittà – Cortona – quando ancora non era città, cioè un secolo, unsecolo e mezzo prima della sua elevazione a sede diocesana 2. Unpanorama non solo vasto, ma anche in piena trasformazione, vistoche allora anche la Chiesa di Cortona viveva, dentro la diocesi areti-na, quella fortunata stagione compresa tra gli ultimi decenni delXII secolo e la metà del Duecento che non fu solamente il momen-to della fioritura delle religiones novae, ma fu anche il tempo in cuimaturò e prese forma, entro le chiese locali, una nuova coscienzadelle responsabilità del governo pastorale e un profondo rinnova-mento tanto delle strutture preposte alla cura animarum quanto del-le forme in cui quelle funzioni venivano esercitate 3. Dall’altro la-to, invece, ho provato ad inquadrare e spiegare un evento preciso,quello della riconciliazione di Elia, leggendolo – per quanto possi-bile – all’interno di quel panorama e dunque, vorrei dire, nella pro-spettiva della sua ‘ferialità’: alla luce cioè degli aspetti per i qualianche quell’episodio appare inserirsi nell’ordinario e quotidiano di-panarsi delle funzioni pastorali del clero cortonese. ‘Per quanto pos-sibile’, si è precisato: giacché quella faccenda, toccando un uomo‘famoso’ e a una storia niente affatto ordinaria, straordinaria finì per

2 Per un primo essenziale profilo della vicenda medievale della chiesa cortonese e lasua elevazione a sede diocesana si può ricorrere alla scheda e alla nota bibliografica, curateda A. BENVENUTI, in Le diocesi d’Italia: 2. A-L a cura di L. MEZZADRI, M. TAGLIAFERRI, E.GUERRIERO, Milano, 2008, pp. 398-400. Un approfondito, sebbene sintetico, inquadramen-to del contesto storico e politico che portò all’erezione dell’episcopato nell’estate 1325 siricava dalla voce Casali, Ranieri, di F. CARDINI in Dizionario Biografico degli Italiani.

3 Sulla ‘svolta pastorale’ del XII-XIII secolo, oltre all’ancora imprescindibile. M. MAC-CARRONE, Cura animarum e parochialis sacerdos nelle costituzioni del IV concilio lateranense(1215). Applicazioni in Italia nel sec. XIII, in Pievi e parrocchie in Italia nel Basso Medioevo(sec. XIII-XV), Roma, 1984, pp. 81-195, cfr ora: La pastorale della Chiesa in Occidente dal-l’età ottoniana al Concilio Lateranense 4. Atti della quindicesima Settimana internazionale distudio (Mendola, 27-31 agosto 2001), Milano, 2004.

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apparirlo fin d’allora; sicché inesorabilmente, e non senza qualcheragione, può presentarcisi ancora come il punto mirando al quale sipuò forse mettere a fuoco tutta la storia delle relazioni tra la Chiesadi Cortona e i frati nel primo Duecento.

1. LA CHIESA CORTONESE AGLI ALBORI DEL DUECENTO

Cortona agli albori del Duecento appare come una comunità ca-strense in rapida crescita, ben consapevole della propria fisionomiaquasi-urbana e ormai dotata d’una robusta organizzazione comunale,le cui istituzioni non solo l’avviano a consolidare una solida affer-mazione territoriale sui vicini castelli, ma anche le consentono dicomporre politicamente le tensioni interne a una comunità che ciappare già complessa e socialmente articolata 4. Proprio la consi-stenza di questa esperienza politica e della proiezione territorialeautonomamente intrapresa da Cortona avrebbe peraltro dato occa-sione all’emergere del conflitto che, ora latente, ora virulento,avrebbe segnato le relazioni del borgo della Valdichiana col suo ca-put diocesano a partire dagli anni Trenta del Duecento; da quandocioè i vescovi di Arezzo – facendo leva sui diritti temporali che(fondati o meno che fossero) la sede di San Donato vantava su quelcastello, compreso nella sua ampia diocesi – resero esplicite le pro-prie ambizioni di controllo sul comune del popoloso castello 5.

4 Per una prima ricostruzione dell’affermazione e delle vicende del Comune di Corto-na si veda, B. GIALLUCA, La formazione del Comune medioevale a Cortona, in Cortona: struttura estoria: materiali per una conoscenza operante della città e del territorio, Cortona, 1987, pp. 239-273, ancora imprescindibile resta peraltro il confronto col volume di G. MANCINI, Cortonanel Medio Evo, Firenze, 1897, (ristampa Roma 1969); Sul piano della riflessione sulle fontirilevante è l’apporto di S. TIBERINI, II ‘Registro Vecchio’ di Cortona (e i percorsi documentari pos-sibili per una storia diplomatistica del comune medievale cortonese)in Cartulari comunali. Umbria eregioni contermini (secolo XIII), a cura di A. BARTOLI LANGELI e G. P. SCHARF, Perugia, 2007,p. 119-146 (l’edizione degli atti del Registrum vetus fino al 1261 in C. LUCHERONI, Regi-strum Comunis Cortone (1165-1261), in Annuario dell’Accademia Etrusca di Cortona, XXIII(1987-1988), pp. 79-273. Per le fasi più remote della vicenda cittadina nella fase protoco-munale cfr. inoltre J.P. DELUMEAU, Arezzo, espace et sociétés. Recherches sur Arezzo et son conta-do du VIIIe au début du XIIIe siècle, Roma, 1996, pp. 1231-1234.

5 Delle relazioni conflittuali di Cortona con Arezzo nel corso del pieno Duecento –oggetto privilegiato d’attenzione già in una polemica settecentesca (L. GUAZZESI, Dell’anticodominio del Vescovo di Arezzo in Cortona, Pisa, 1760, F.A. ALTICOZZI, Riposta apologetica al li-bro del antico Dominio del Vescovo d’Arezzo sopra Cortona, Livorno 1763-1765) e ripercorse da

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Sul piano dell’organizzazione ecclesiastica, tuttavia, Cortona ap-pare invece – tanto prima che dopo l’avvio di quel conflitto, stabil-mente e solidamente inserita nel corpo della chiesa diocesana diArezzo. Dalla sede di San Donato dipendeva direttamente, infatti,la pieve ’urbana’ di Santa Maria, che sorgeva nel sito dell’attualecattedrale, ed il cui clero, guidato da un arciprete, aveva sino ad al-lora costituito senz’altro il principale interlocutore degli abitanti diCortona quanto all’ordinaria pratica sacramentale che scandiva letappe essenziali dell’esperienza cristiana.

A quella chiesa-madre si affiancavano sin d’allora, all’interno oin prossimità dello spazio urbano, anche altre chiese. Tra questeemerge senz’altro quella di San Vincenzo, anch’essa strettamente le-gata alla Chiesa aretina in quanto antico priorato dell’abbazia vesco-vile delle sante Flora e Lucilla 6. Se nel primo Duecento la nozionedella formale dipendenza del priorato cortonese dalla badia aretinanon può certo dirsi smarrita – e difatti attorno alla metà del secoloessa avrebbe puntualmente dato materia a contestazioni e verten-ze 7 – tuttavia la connotazione monastica e regolare di quella chie-sa e dei chierici addetti al suo servizio appare, allora, alquanto sbia-dita a favore, invece, di un solido e profondo inserimento nella vitae nella struttura urbana. In particolare San Vincenzo, ubicata nella

MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., pp. 31-44. G.P. SCHARF fornisce ora una attenta letturanel suo recente volume Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312), Spoleto, 2013(pp. 189-190, 310-317), consentendo di contestualizzare pienamente le ragioni e la vicen-de di quello scontro nel quadro delle ambizioni di controllo territoriale di Arezzo, e inquelle – strettamente connesse – di tutela ed esercizio delle prerogative pubbliche dell’e-piscopato che soggiacciono alle irruenti iniziative politiche dei suoi attivissimi presuli edal loro complesso rapporto col Comune aretino.

6 Sulla chiesa – che nel 1325 sarebbe stata scelta come sede della neonata cattedracortonese – cfr. A. DELLA CELLA, Cortona antica, Cortona, 1900, pp. 193-200; Sulle originidella dipendenza dalla Badia cfr. MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p 10. Più ampia bi-bliografia in LICCIARDELLO, Agiografia aretina altomedievale: testi agiografici e contesti socio-cultu-rali ad Arezzo tra VI e IX secolo, Firenze, 2005, p. 539, nota 474.

7 Le carte della Badia attestano tensioni a partire dal 1243: prima in relazione allanomina – favorita dal comune cortonese – e al governo come priore del prete Orlandus,esponente del clero locale non legato all’abbazia madre. A partire dal 1253, nel contestodelle fasi più accese della vertenza tra il comune e l’episcopato aretino, sono attestati piùdiretti interventi della Badia, che impone a capo del priorato propri uomini, sollevandocontestazioni da parte cortonese: documentazione e vicende sono ora ripercorsi da SCHARF,Potere e società cit., pp. 252-253. cfr. inoltre MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p. 38;DELLA CELLA, Cortona antica cit., pp. 198-199.

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porzione meridionale dello spazio urbano, ci appare la chiesa di ri-ferimento dell’area in cui più intensa dovette essere la prima fasedell’espansione dell’abitato, ancora nel corso del XII secolo, nelTerziere che appunto da essa avrebbe, più tardi, preso nome 8. Dif-ficile se non impossibile, attraverso le superstiti testimonianze, èinvece cogliere se davvero il culto del martire Vincenzo cui la chie-sa era dedicata svolgesse già in questa fase, una qualche funzionecome catalizzatore e riferimento simbolico dell’identità collettivadei cortonesi, precorrendo, in certo modo, quel ruolo che la tradi-zione tardomedievale e l’erudizione locale d’età moderna si sarebbe-ro più tardi impegnate ad attribuirgli 9.

Altre chiese, poi, sorgevano già o andavano affermandosi sia nelpiù antico e solido nucleo urbano presso la pieve – come è per lachiesa di Sant’Andrea 10 destinata a divenire, come sede dei consiglicittadini, riferimento privilegiato delle istituzioni comunali – sianel borgo verso San Vincenzo – come la chiesa di San Benedetto 11

– sia, soprattutto, nella vasta area orientale dell’attuale abitato,quella compresa tra l’area centrale delle piazze e la sommità dellarocca. È in quest’ultima area che va identificato l’altro essenzialefronte di avanzamento del tessuto urbano, che lì viene sempre più

8 Sull’espansione urbanistica di Cortona fra XII e XIII secolo. Vedi infra, nota 12.9 L’elevazione, nel 1325, della chiesa di San Vincenzo a sede della neonata cattedra

cortonese ha indubbiamente condizionato pesantemente sia la tradizione agiografica locale– che avrebbe fatto di Vincenzo un martire cortonese, o più francamente il protovescovodella presunta diocesi tardoantica – sia le ricostruzioni erudite d’epoca moderna – peraltroriproposte in tempi recenti da Alfredo Maroni e Angelo Tafi – che anche a quel culto siappoggiarono per sostenere la tesi dell’esistenza di una sede vescovile cortonese in epocapaleocristiana. La questione è stata ora attentamente riesaminata e opportunamente risoltada Pierluigi Licciardello (Agiografia aretina altomedievale, pp. 539-540, cui si rinvia per labibliografia precedente) che valorizza le testimonianze sulla promozione locale del cultodel martire spagnolo in età carolingia ed evidenzia le ragioni delle sue più tardive trasfor-mazioni. Resta al momento tuttavia imprecisata la cronologia da cui far datare questa me-tamorfosi tardomedievale del culto, chiaramente legata al ruolo che – prima dell’imporsidel patronato margheritano – esso assunse come riferimento di un’identità locale non soloautonoma, ma già potenzialmente antagonista alla matrice aretina.

10 Notizie in DELLA CELLA, Cortona antica cit., pp. 207-208. Per l’attestazione dellachiesa come sede del Consiglio generale del Comune di Cortona in alcuni atti del Regi-strum Vetus vedi TIBERINI, II ‘Registro Vecchio’ di Cortona, pp. 139-141.

11 Ricordata già nel lodo del 1219 di cui si dirà ampiamente più avanti (vedi infra, te-sto corr. alle note 18-ss, a nota 25) altre notizie in DELLA CELLA, Cortona antica cit., pp.178-179.

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densamente popolato nel corso del passaggio fra XII e XIII secolo.Prima che nel tardo Duecento e poi nel secolo successivo i grandicanteri da cui sarebbero sorte le chiese di San Francesco, di San Do-menico e poi di Santa Margherita fornissero i nuovi riferimenti sucui ancora oggi si incardina l’organizzazione spaziale di quella por-zione della città 12, troviamo impiantate in quell’area alcune chiese:forse già quella di San Marco, nella parte bassa del Terziere che daessa avrebbe preso nome 13; di certo invece più in alto quella di sanCristoforo, che una tardiva attestazione ci dice consacrata nel1192 14, più oltre quella di San Giorgio 15, e infine alla sommitàdel colle, presso la rocca, quella di San Basilio, che sappiamo edifi-cata dai camaldolesi dell’eremo di Fleri, su terra acquistata al vesco-vo di Arezzo 16, sul finire degli anni sessanta del XII secolo.

12 Per le fasi e le direttrici principali dell’espansione urbanistica di Cortona fra XII eXIII secolo si veda, con qualche cautela, la ricostruzione proposta da E. GUIDONI – A MA-RINO, Territorio e città della valdichiana, Roma, 1972, pp. 82-90, che individua una primaorganica ristrutturazione dell’abitato sul finire del XII secolo, cui seguirebbe, tra gli anniQuaranta e Cinquanta del Duecento, la definitiva riorganizzazione del tessuto urbano; nel-la lettura di questa seconda fase viene senz’altro enfatizzato, in quella ricostruzione, il ruo-lo di frate Elia, additato come consapevole pianificatore della trasformazione della città inorganismo urbano accuratamente costruito in funzione di un articolato modello gerarchico,imperniato su tre templi, tra i quali in assoluta preminenza quello di San Francesco.

13 Notizie in DELLA CELLA, Cortona antica cit., pp. 210-211, Le più solide attestazionidella chiesa risalgono solo – mi sembra – agli anni successivi alle vicende dell’aprile 1261,quando nel giorno di san Marco Uguccio Casali guidò il rientro in città degli esuli corto-nesi e a ricordo dell’avvenimento la chiesa dedicata all’evangelista, allora assunto a patronoprincipale, fu costruita o, secondo altri, riedificata su un preesistente oratorio od ospizio(cfr. MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p. 66). Per l’attestazione di una chiesa (o almenoun ospizio) dedicata a san Marco nel testimoniale del 1253 vedi infra nota 79.

14 Notizie in DELLA CELLA, Cortona antica cit., pp. 156-159.15 Ibid., pp. 150, 209.16 Informa sull’edificazione della chiesa un brano della deposizione resa in un celebre

testimoniale del 1217 da dom Stefano, monaco di origini cortonesi stato poi a più ripresepriore dell’eremo di Fleri e infine abate di san Giusto di Volterra, (ARCHIVIO DI STATO FI-RENZE, Diplomatico, Camaldoli, 1216: « Donnus Stephanus abbas sancti Iusti de Vulterrisiuratus... dicit ecclesiam sancti Basilii de Cortona esse heremi et monasterii de Flere, ethoc immo dicit quia vidit donnum Dominicum, monachum Camalduli qui stabat in mo-nasterio de Flere, insidere constructioni ipsius ecclesie sancti Basilii et faciebat eam edifi-cari nomine Petri prioris tunc de Flere de quo supra dixit, et hoc vidit fieri ab ipsa funda-tione ipsius ecclesie; qui donnus Dominicus quando petebat adiutorium a convicinis percastrum Cortone de pane et vino et aliis que erant necessaria que erant in voluntate dan-tium, et quando ea sibi non sufficierent mittebat ad monasterium de Fleri pro necessariissicut ipse donnus Dominicus tunc dicebat. Item dicit se vidisse iam sunt xlviii anni, et si-

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In che modo si ripartivano in antico tra queste chiese i compiti e iproventi del servizio divino svolto in favore della popolazione? Non nesappiamo molto, ma sappiamo invece per certo che anche a Cortona,come altrove, la veloce espansione dell’abitato, la crescita quantitativadegli abitanti che s’addensavano entro e attorno alle mura, l’affermazio-ne di nuove chiese – inevitabilmente legata a quella crescita demogra-fica – misero in crisi gli sperimentati equilibri del più antico assettoecclesiastico altomedievale, e costrinsero ad elaborare, all’alba del Due-cento, un nuovo sistema territoriale della pastorale, un sistema capacedi assicurare, anche attraverso una non conflittuale ripartizione dellecompetenze di ogni chiesa, un efficace esercizio di quella cura animarumche il quarto concilio lateranenese avrebbe additato, in quegli anni, co-me l’‘arte di tutte le arti’ sancendo, attraverso alcuni celeberrimi cano-ni, l’attribuzione di compiti e responsabilità profondamente rinnovatialla figura del parrochialis sacerdos 17.

Per Cortona getta luce su questo processo un manipolo di docu-menti duecenteschi, conservati tra le pergamene del Capitolo nell’ar-chivio diocesano; il primo dei quali, risalente al maggio del 1219 18, ciinforma di come la pieve di Santa Maria e la chiesa di San Vincenzorisolvessero allora la lite che verteva fra di loro de parrochiis suarum eccle-siarum infra muros Cortone antiquos et extra, infra muros novos. Il docu-mento, più volte segnalato ma assai più citato che realmente conosciu-to 19, può aiutarci a capire il funzionamento della Chiesa secolare diCortona negli stessi anni in cui Francesco e suoi primi compagni la at-traversavano, e vi chiedo dunque la pazienza di seguirmi per qualchemomento nella lettura del suo contenuto.

Anzitutto: l’arciprete della pieve di Cortona e il priore di SanVincenzo – al tempo un presbiter Aldegerius – affidano la soluzione

cut credit plus, ipsam ecclesiam sancti Basilii fuisse habitam et detentam a prioribus deFlere qui pro tempore ibi fuerunt ab eo tempore, tamquam manualem ecclesiam et inproprio hedificatam; et dicit se vidisse instrumentum et legisse apud ipsam ecclesiam inquo continebatur quod prior Petrus de Flere emerat ab episcopo Ieronimo x libris terraminfra certos fines quos dicit se legisse sed non bene recordatur de eius finibus sed scitquod inter ipsos fines continetur locus ubi est modo dicta ecclesia Sancti Basilii, quod in-strumentum dicit fuisse scriptum per Boverium iudicem », Cfr anche DELLA CELLA, Cortonaantica cit., pp. 132-133. Sulle origini dell’eremo cfr. DELUMEAU Arezzo cit., p. 716.

17 Supra, nota 3.18 Archivio diocesano Cortona, Capitolo, pergamene, n. 861 (ora 3000) 1219 maggio 30.19 Riferimenti in MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p. 54; E. REPETTI, Dizionario geo-

grafico fisico storico della Toscana, Rist. anast., Montepulciano, 199, vol 1, pp. 814-815; E.GUIDONI - A MARINO, Territorio e città della Valdichiana, Roma, 1972, pp. 103.

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della vertenza tra le loro chiese all’arbitrato di due altri chierici:uno è il prete Giovanni, titolare di una pieve di cui una lacuna del-la pergamena ci impedisce di conoscere il nome, ma che possiamoimmaginare essere una delle pievi del territorio limitrofo, con ogniprobabilità anch’essa della diocesi aretina; l’altro, di cui non possia-mo leggere il nome, è invece qualificato come cappellanus arcis deCortona, cioè responsabile della cappella che serviva la rocca, nell’a-rea alta della città 20. Gli arbitri sono dunque due chierici impe-gnati nella cura pastorale, sebbene uno in ambito rurale l’altro inquello più propriamente cittadino: non a caso, forse, trattandosi ap-punto di una vertenza tra una chiesa di antica tradizione ‘urbana’ –Santa Maria – e una solo da qualche tempo inglobata nel tessuto fi-sico e sociale del popoloso castello. É significativo che l’accordo nonpreveda alcun tipo intervento, neppure di conferma a posteriori, daparte del vescovo diocesano: tutto viene risolto in loco (e più tardinel Duecento non sarà così 21), il che potrebbe testimoniare nontanto, direi, rapporti già tesi tra la pieve cortonese e il suo vescovo,quanto la matura coscienza dell’ambiente ecclesiastico locale d’unapropria autonoma e solida identità di chiesa territoriale. La vertenzatra le due chiese, relativa al quadrante sud-occidentale di Cortona,nasceva in primo luogo dalla trasformazione che stava allora pren-dendo forma con l’espansione dell’abitato a mezzogiorno, la crescitae la fortificazione borgo di san Vincenzo; ma in qualche modogiungeva a interessare anche la zona centrale di più antica urbaniz-zazione. La soluzione della vertenza allora prospettata dagli arbitri èefficace, ma anche peculiare: essi attribuiscono infatti alle due chie-se le rispettive competenze sull’area più esterna – quella più diret-tamente interessata dall’espansione urbanistica e dalla definizionedel nuovo circuito murario allora ancora realizzato solo in parte 22 –

20 Impossibile da identificare con certezza nella chiesa di San Basilio (di cui supra, nota16).

21 Testimonia l’interveto del vicario generale del vescovo Guglielmino nella soluzionedella vertenza tra le parrocchie di Montalla e Succhio il lodo pronunciato il 29 settembre1277 conservato in Archivio diocesano Cortona – Capitolo – pergamene, n. 852 (ora3001).

22 Archivio diocesano Cortona – Capitolo – pergamene n. 861 (ora 3000) 1219 mag-gio 30: « Sic ... laudamus: ut ecclesia sancti Vincentii habeat pro sua parochia quicquidcontinetur intra hos fines: sicut descendit via recta que exit per Porta sancti Vincentii etvadit ad ipsam ecclesiam et revertit per aliam viam ad Portam Baccarelli et ad pedes mu-ros antiquos reddit ad Portam sancti Vincentii, et plebes habeat ab alia parte dicte vie

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sulla base di un chiaro principio di territorialità; descrivendo – cioè– dei precisi confini, e attribuendo le aree in essi comprese all’unao all’altra chiesa pro sua parrochia, cioè appunto come territorio disua specifica competenza: tanto i residenti che già vi abitavanoquanto coloro che in futuro sarebbero venuti ad abitare nelle zonein tal modo definite (si tratta non dimentichiamolo proprio di areeancora in via di urbanizzazione) avrebbero fatto dunque riferimentoall’una o all’altra chiesa. Con questa clausola però, che indipenden-temente dalla parrocchia cui appartenessero essi avrebbero potutoliberamente decidere di destinare, morendo 23, uno specialem iudi-cium, cioè un legato di qualsiasi entità, alla chiesa che preferissero,senza che l’altra potesse rivendicare qualcosa. Clausola di non picco-lo momento, se si considera che proprio testamenta et mortuoria –cioè i legati regolati prescrittivamente dalla consuetudine in favoredella propria chiesa madre e le somme destinate alla celebrazionedelle esequie e degli anniversari – costituivano allora la parte piùcospicua e gelosamente custodita, si direbbe quasi l’essenza, diquell’indefinito complesso di competenze, diritti di percezione eproventi che viene genericamente definito dalle fonti come ius par-rochianum o iura parrochialia.

Diverso invece è il principio adottato per chiarire la ripartizionetra i due enti delle competenze sui residenti infra muros antiquos: inquesto caso gli arbitri non indicano alcun confine, ma risolvono lacosa elencando minuziosamente le singole domus identificate di nor-ma dal nome d’un capofamiglia o capostipite, di pertinenza di cia-scuna chiesa 24. Gli arbitri attribuiscono dunque all’una o all’altrachiesa, le case, ma anche e ancor più le ‘casate’ di loro pertinenza 25;

que exit per portam sancti Vincentii et vadit ad ipsam ecclesiam et ieterum vadit ad por-tam novam et quicquid continetur infra hos fines a Porta sancti Vincentii ad pedes murosantiquos ad Portam de Calle et a Porta de Calle vadit sive descendit ad campum olim fi-liorum Guarnerii et iterum revenit ad portam novam infra muros novos factos velfacturos ».

23 Ibidem: « ita tamen quod quicumque seu quacumque de dictis et specificatis par-rochiis voluerit facere specialem iuditum de suis bonis alicui illarum ecclesiarum habeatlicentiam et potestatem sine molestia alterius ».

24 Ibidem: « Infra muros vero antquos sic diffinimus, precipimus, arbitramur et lau-damus quod [plebs habeat pro sua parrochia] domum filiorum Rainaldelli ...[etc.]. Itemarbitramur, diffinimus, precipimus et laudamus quod ecclesia sancti Vincentii habeat prosua parrochia infra muros antquos Cortone domum filiorum ...[etc.] ».

25 L’attenzione alla competenza basata sulla attribuzione dei gruppi familiari, più che

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optando cioè per una soluzione che nella definizione delle due giu-risdizioni vede coesistere, e aspirerebbe quasi far coincidere, il prin-cipio di territorialità e quello di personalità 26: una soluzione cheguarda ancora a modelli antichi, (e che ha forse qualcosa a che fareanche coi diritti di proprietà delle superfici su cui quelle domus sor-gono 27, sui quali non siamo ben informati) e che di sicuro si atta-glia bene solo a un ambito territoriale solidamente urbanizzato, abi-tato da una popolazione ormai assestata, composta di famiglie noto-rie e ben riconoscibili, di cui la stessa meticolosa ripartizione nomi-nativa lascia intravedere il ruolo preminente e le capacità cospicue.

Quali conclusioni possiamo trarre dell’esame di questo bellissi-mo documento cortonese del 1219: anzitutto che anche la Chiesa diCortona sta elaborando, negli anni del Lateranense IV, la novitas diquella svolta pastorale che, nel passaggio fra XII e XIII secolo, se-gna con forza la storia delle chiese locali e il loro modo di inserirsinelle società, in primo luogo urbane. Lo fa attraverso un processo digenesi e definizione della distrettuazione parrocchiale non dissimileda quello che possiamo fotografare nei grandi centri urbani dell’Ita-lia comunale, a testimonianza di un profilo di un insediamento chepotrebbe forse già essere definito, con Chittolini, una ‘quasi-cit-tà’ 28: un centro cioè che, pur ancora mancante della dignità vesco-

sul territorio, è peraltro più esplicita in una clausola (riportata al termine dell’atto) ag-giunta al lungo elenco delle domus attribuite alle chiese: ibidem: « Hoc tamen excepto quodilli de domo Bencivenne Bruneri et illi de domo Stephani vadant ad quacumque dictarumecclesiarum voluerint ». Non mancano tuttavia nella designazione delle domus anche spora-dici riferimenti al dato spaziale: « domum que olim fuit Clavellorum que est supra eccle-siam sancti Benedicti, domum meli Muffoli et domum et cellam eiusdem que sunt subvia qua vadit supra dictam ecclesiam sancti Benedicti... domum Bellosti, et ab istis domi-bus versus Plebem ab utraque parte vie pertineant tamen plebi domum Mingule ».

26 Per M. LAUWERS, Paroisse, paroissiens et territoire. Remarques sur parochia dans les texteslatins du Moyen Âge, in La paroisse, genèse d’une forme territoriale, sous la direction de D. Io-gna-Prat et É. Zadora-Rio, Médiévales, 49 (2005), pp. 11-31.

27 Significativa, sebbene del tutto isolata, l’attenzione che la nostra fonte riserva in uncaso, all’attribuzione della competenza parrocchiale su un lotto edificabile. Archivio dioce-sano Cortona – Capitolo – pergamene n. 861 (ora 3000) 1219 maggio 30: « domum filio-rum Arnalid et casalinum eorundem ... ».

28 La definizione avanzata da G. CHITTOLINI nel saggio, ormai classico, « Quasi-città ».Borghi e terre in area lombarda nel tardo Medioevo, in Società e Storia, XIII (1990), 47, pp. 3-26 (ora anche in ID., Città, comunità e feudi nell’Italia centro-settentrionale [secoli XIV-XVI],Milano, 1996, pp. 85-104). Specie per la Toscana, anche in riferimento al caso di Cortona,l’uso-abuso della definizione è stata oggetto di riflessione e dibattito: si vedano ad es: G.

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vile, presenta una consistenza demica, una complessità sociale,un’affermazione territoriale e una dinamicità economica e politicaproprie dei centri propriamente urbani. Anche sul piano ecclesiasti-co dunque, Cortona inizia allora a mostrare qualcosa di quell’artico-lazione interna e di quella complessità che sono proprie delle chiesepropriamente cittadine.

Ciò detto – e non è poco – dobbiamo tuttavia rilevare anchecome il senso complessivo di questo accordo del 1219 vada abba-stanza chiaramente in direzione di un sostanziale mantenimentodella centralità delle funzioni pastorali della pieve urbana e dellapreminenza da essa goduta nei confronti della comunità urbana ri-spetto alle altre strutture ecclesiastiche. Muovono in tal senso sia lascelta di non attribuire esclusivamente a San Vincenzo, come puresarebbe stato possibile, la cura di tutta l’area di nuova urbanizzazio-ne, sia le pesanti limitazioni ai diritti di quella chiesa quanto alleoblazioni testamentarie dei suoi parrocchiani.

La pieve finisce insomma per mantenere, nella nuova e accre-sciuta Cortona primoduecentesca, una posizione di primazìa che ri-corda da vicino l’assoluta preminenza e il quasi monopolio dellaparrocchialità che nei centri castrensi di minore dimensione sonosolitamente detenute dall’unica chiesa-madre. Una complessità dun-que, quella dell’organizzazione ecclesiastica cortonese, più apparenteche sostanziale? Forse è così; o forse, meglio potremmo dire, è an-cora così nel primo Duecento, quando il modello di quella com-plessa pluralità di strutture organicamente composte in un vero si-stema territoriale – proprio delle grandi realtà urbane – resta perCortona più un riferimento cui ispirarsi che un effettivo sistema difunzionamento. In tal senso, mi sembra di poter dire, dobbiamo in-terpretare anche alcuni silenzi eloquenti delle nostre fonti: la man-cata menzione nella nostra carta di circoscrizioni parrocchiali limi-

CHITTOLINI, Centri ’minori’ e città fra Medioevo e Rinascimento nell’Italia centro-settentrionale, inColle di Val d’Elsa: diocesi e città tra ’500 e ’600, Atti del Convegno (Colle Val d’Elsa, 22-24 ottobre 1992), a cura di P. NENCINI, Castelfiorentino, 1994, pp. 11-37; e D. BALESTRAC-CI, La Valdelsa e i suoi statuti. Alcune riflessioni, in Gli statuti bassomedievali della Valdelsa,Atti della Giornata di Studio (Gambassi Terme, 13 giugno 1998), in Miscellanea Storicadella Valdelsa, CV, n. 2, 1999, pp. 7-18: 7, nota 1.; F. SALVESTRINI, Gli statuti delle ‘quasicittà’ toscane (secoli XIII-XV), in Signori, regimi signorili e statuti nel tardo medioevo, (Atti delVII Convegno del Comitato nazionale per gli studi e le edizioni delle fonti normative(Ferrara, 5 - 7 ottobre 2000), a cura di R. DONDARINI, G. M. VARANINI, M. VENTICELLI, Bo-logna, 2003, pp. 217-242, a pp. 212-ss.

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trofe a quelle delle due chiese in oggetto è, ad esempio, un silenzioche può dipendere da molti fattori. Ma non escluderei – anche allaluce di una pur superficiale ricognizione della restante documentazionecortonese 29 – che quel silenzio dipenda in realtà dal fatto che le chiesegià citate, esistenti nella porzione orientale di Cortona, non godesseroancora di piena giurisdizione parrocchiale, cioè di precisi diritti di per-cezione connessi a una competenza ordinaria sulla cura delle anime deiresidenti, vivi e defunti, di un territorio determinato. É possibile, e iodirei probabile, che quelle chiese – o almeno alcune fra loro – allorasemplicemente integrassero, come spesso accadeva, l’esercizio dei servizie delle funzioni pastorali offerte dalla matrice, accogliendo ad esempioi residenti del loro circondario per le più quotidiane ed ordinarie prati-che religiose e sacramentali. Potrebbe essere un altro indizio dellamancata o debole parrochialità di queste chiese, ad esempio, anche ilfatto che a Cortona non accadde quello che invece riscontriamo inmolte città, dove nel primo Duecento fu la distrettuazione ecclesiasticaper populi o cappelle, cioè appunto per parrocchie, a servire da modelloe da riferimento alla definizione della distrettuazione amministrativacivile; distrettuazione che a Cortona avrebbe invece fatto riferimento,per tutta la prima metà del XIII secolo, solo alle sei maggiori portecittadine (di cui solamente tre designate col nome della chiesa più im-portante dell’area cui davano accesso) per venir poi sostituita dall’arti-colazione per Terzi 30.

Debole parrochialità, si è detto; il che peraltro non implica unadebolezza del radicamento urbano di queste chiese o del legame in-

29 Il primo – a quanto mi risulta – esplicito riferimento a competenze parrocchiali diuna di queste chiese è quello, peraltro fugace – relativo ai diritti della chiesa di San Basi-lio in « mortuarium et parrochiale » contenuto nel testo della permuta (ora in Arezzo, Archi-vio capitolare, fondo canonica, 688a) stesa contestualmente alla stipula dell’accordo con cuiil vescovo d’Arezzo Guglielmino e il priore di Camaldoli, il 5 aprile 1269, ponevano finea un lungo contrasto (su cui vedi ora G.P.G. SCHARF, Vescovo e Signore. La parabola di Gu-glielmino degli Ubertini ad Arezzo (1248-1288), in Società e storia, 35 (2012), pp. 699-728, ap. 715-716). In tale contesto il vescovo restituì ai camaldolesi, tra i beni appartenenti al-l’eremo di Fleri, anche « situm ecclesie sancti Basily cum mortuorium et parrochiale ip-sius ecclesie » (cfr. U. PASQUI, Documenti per la Storia della città di Arezzo nel Medioevo, Fi-renze, 1899, vol II, p. 410 nota 1; J. B. MITTARELLI - A. COSTADONI, Annales Camaldulenses,Vol. V, Venetiis, 1760, p. 104, che, pubblicando per esteso il solo testo dell’accordo – ilprimo al n. 638, i secondi in App, col. 201 – riportano tuttavia entrambi anche alcunibrani della permuta).

30 Cfr. MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p. 50; GUIDONI-MARINO, Territorio e città del-la valdichiana cit., p. 85.

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stauratosi tra di esse e la popolazione delle relative vicinìe, relazioneche andrà tuttavia apprezzata soprattutto in dimensioni diverse daquella propriamente religiosa e pastorale. Sarà ad esempio quantomai utile segnalare, almeno per San Cristoforo, il fatto che attornoagli anni Trenta del Duecento, essa sembra costituire il punto di ri-ferimento per una delle societates populi 31 in cui si organizzano poli-ticamente, evidentemente su base rionale, coloro che, anche a Cor-tona, chiedono ed ottengono allora di accedere al governo del Co-mune accanto alla più antica aristocrazia, in parte di origine feuda-le, dei milites. Già più addietro nel tempo, negli anni Settanta delXII secolo – stando almeno a quanto nel 1217 ricordava, ormaivecchio, un abate camaldolese di origini cortonesi 32 – il monacoche aveva promosso l’edificazione e serviva la chiesa di San Basilioassicurava il proprio sostentamento chiedendo per castrum Cortone, ericevendo dagli uomini della vicinìa, pane, vino e altri adiutoria.Esisteva dunque un legame intenso tra quella chiesa, pur marginalerispetto al baricentro dell’espansione urbana, e il laicato dei rionipiù prossimi, appunto quelli del Terzo che sarà poi detto di SanMarco. Ma non è probabilmente casuale che il dettato della testi-monianza – « petebat adiutorium a convicinis per castrum Cortonede pane et vino et aliis que erant necessaria que erant in voluntatedantium » – non manchi di sottolineare il carattere occasionale evolontario di tali oblazioni, le quali paiono dunque configurarsi co-me frutto di una questua urbana ispirata da un’ideale di religiosapaupertas (per noi tanto più interessante in quanto legata ad un ere-mitismo tutto ‘pre-mendicante’ ma già aperto sulla città) piuttostoche come espressione di quelle oblazioni regolate da una consuetu-dine prescrittiva che i fedeli di una circoscrizione parrocchiale dove-vano al loro sacerdos proprius. Una prassi di percezione, questa, chetanta parte ebbe allora non solo nell’elaborazione di un sistema difinanziamento del clero urbano impegnato nella cura d’anime, maanche nella costruzione della stessa nozione ‘moderna’ di parrocchia.

Perdurante centralità religiosa della pieve urbana e deboli pre-rogative pastorali delle altre chiese, dunque: un dato che sembra

31 La societas sancti Cristofori, così come quella di sant’Angelo, (forse in riferimento allachiesa suburbana di S. Angelo di Suchio) sono attestate nel testo della pacificazione conPerugia del 26 marzo 1230 in cui agiscono per il comune di Cortona anche consules mili-tum et societatum cortone. LUCHERONI, Registrum Comunis Cortone cit., p. 139.

32 Vedi supra, nota 16.

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trovare conferma anche scorrendo alcune carte private della primametà del Duecento, ed in particolare alcuni testamenti di cortonesidel tempo. Si prenda ad esempio il testamento di Corsetto del fuPiero, redatto il primo d’ottobre del 1248 33: si tratta d’un cospicuoe devoto mercante; ha già messo alla figlia il nome di Francesca enon dimentica di lasciare alle povere dame del monastero damianitadi Targia 34 una delle 20 lire che egli destina nel complesso al reme-dio dell’anima sua. Ma il grosso di quella somma e il baricentrodella sua devozione puntano in direzione della pieve di Cortona, cuiaffida la sepoltura del suo corpo e il suffragio della sua anima, de-stinandole due lire da spendersi a giudizio dell’arciprete in candele,chierici, messe e oblazioni ai poveri, ma anche un legato di altredue lire in favore della fabbrica della chiesa, e – se non bastasse –anche un obolo in favore di ciascun canonico 35. Oltre che al clerodella pieve, Corsetto destina piccole oblazioni al priore e a ciascunmonaco dell’abbazia camaldolese di Sant’Egidio di Fleri, un’altra algruppetto di monaci di quell’abbazia che, capitanati da un certodom Abraham, portavano avanti un’esperienza di vita ermitica 36,una al priore di San Vincenzo, altre minori a ciascun prete del di-stretto di Cortona 37. Altri più modesti legati pii istituisce poi in

33 Archivio di stato di Firenze, Diplomatico normali (S. Chiara di Cortona) 1248 otto-bre 1.

34 Vedi infra, nota.35 Archivio di stato di Firenze, Diplomatico normali (S. Chiara di Cortona) 1248 otto-

bre 1: « in primis iudico pro anima mea xx lib. den. quod sic dari volo: xl sol. den. inopere plebis Sancte Marie de Cortona, xl sol. in candelis, presbiteris, clericis pauperibusexpendendis archipresbitero eiusdem plebis; ii sol. cuilibet canonico dicte plebis, et prioriabbatie de Fleri et Sancti Vincentii et cuilibet monachorum dicte abbatie de Fleri; itemviii den. cuilebet aliorum presbiterorum omnium totius districtus Cortone, xii den, aliisvero clerici et pauperibus iubeo expendi, ad mandatum et voluntate Johannelli Armeroççiet Brinconis Blacacursi Vilani prout melius eis videbitur pro anima mea expediri ».

36 « Heremo donni Habram v sol » Si tratta senza dubbio dello stesso donnus Abrahamche, insieme a un monaco, un cellarario e un converso sottoscrivono quattro anni prima,presso l’eremo di san Giovanni di Villamagna, la permuta col Comune dei beni presso ilBalneum regine effettuata e sottoscritta dal priore Giovanni e dal resto della comunità nelchiostro del monastero di Fleri (LUCHERONI, Registrum Comunis Cortone cit., p. 180, cfr. infranota 43).

37 « Item ii sol. ... priori abbatie de Fleri et Sancti Vincentii et cuilibet monachorumdicte abbatie de Fleri; item viii den. cuilebet aliorum presbiterorum omnium totius di-strictus Cortone, xii den, aliis vero clericis et pauperibus iubeo expendi, ad mandatum etvoluntate Johannelli Armeroççi et Brinconis Blacacursi Vilani prout melius eis videbiturpro anima mea expediri ».

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favore del lebbrosario di Bacialla e di tre ospedali esistenti nei su-burbi della città, 38 uno dei quali, ubicato presso porta Pecciveraldi(nell’area dove si sarebbero stanziati molto più tardi i domenicani)era stato promosso e prendeva nome da un prete Bencio che è, conogni probabilità, proprio lo stesso Bencio che cinque anni più tardi,in qualità di arciprete della pieve, avrebbe assolto frate Elia moren-te dalla scomunica (ci torneremo fra poco). Il nostro testatore riser-va infine qualche elemosina alle cellane recluse nei pressi delle mu-ra, destinando poi quanto dalle 20 lire previste pei legati pro animafosse eventualmente rimasto, al sussidio dei cristiani di Terrasan-ta 39. Null’altro.

É solo un esempio, certo; ma che fotografa perfettamente, misembra, sia la perdurante centralità che la pieve e il suo clero anco-ra mantengono nell’orizzonte religioso della Cortona del tempo, siaanche un’altra evidenza che mi pare emerga abbastanza chiaramentedall’insieme della documentazione, e che vorrei dunque sottolineare;cioè il carattere principalmente secolare di quell’orizzonte o, in altritermini, la sostanziale povertà che caratterizza ancora il panoramaecclesiastico urbano e suburbano sul piano delle presenze regolari.Per Cortona non sembra infatti essersi realizzato, se non in minimaparte e tardivamente, quello stabile insediamento all’interno dellacittà e nei più immediati suburbi di esperienze di vita religiosa va-riamente connotate che invece, nelle realtà propriamente urbane,anima quell’orizzonte già dalla metà del XII secolo, popolandolo dimonasteri e priorati Camaldolesi o Vallombrosani, di magioni oprecettorie delle milizie legate alla Terrasanta, di chiese e comunitàdi congregazioni canonicali o ospedaliere. Dopo la fondazione negliultimi anni sessanta del XII secolo dell’oratorio di san Basilio, cheaveva trapiantato ai confini dell’abitato in espansione il carisma ere-mitico dell’esperienza camaldolese sviluppatasi da tempo a Sant’E-gidio di Fleri, nessun alto apporto significativo è possibile cogliereper il centro della valdichiana, almeno sino al 1226. In quell’announa testimonianza documentaria ci mostra il Podestà di Cortonaimpeganto a favorire l’ipotesi della costruzione ‘in Cortona vel in

38 « hospitali presbiteri Benci de porta Pecciveraldi x sol., hospitali Rebolotti de portasancti Vincentii x sol., hospitali Cerdonum v sol ».

39 « cuilibet muratarum de Cortona intus et de foris que sunt circum et prope terramxii den., alios vero denarios que superabunt a predicti den. relinquo, volo et iubeo mittiulta mare ad mandatum et voluntate filii mei ».

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burgis’ di una mansio degli ospedalieri di San Giovanni di Gerusa-lemme, dai quali si perita di ottenere rassicurazioni ed impegni inproposito 40: segno evidente, mi sembra, di un’avvertita esigenza diarricchire il quadro delle esperienze di vita religiosa attive in città;esigenza che – si badi – già allora viene percepita, e prova ad essererisolta, in prima luogo dalle istituzioni comunali. Il che ci aiuta, daun lato, a meglio comprendere la portata di reale novitas che l’affac-ciarsi in città delle esperienze mendicanti avrebbe avuto nella sta-gione immediatamente successiva; ma anche, d’altro lato, ci spingefinalmente a inquadrare il deciso favore con cui, di lì a un venten-nio, il Comune cortonese avrebbe accompagnato l’inurbamento delfrati minori guidati dal dissidente Elia, all’interno di una ‘politica’cittadina verso le religiones che non può essere ridotta – come puresi è spesso fatto – all’epopea dell’espansione minoritica (o mendi-cante in genere), se non altro perché, anche qui come altrove, è inrealtà ben più risalente ed ha anche altri interlocutori.

Per Cortona la nuova stagione dell’insediamento mendicante de-collerà, per altro, solo lentamente: se infatti le premesse sono preco-ci – col radicamento delle pauperes dominae nel monastero suburbanodi Targia 41 ed il farsi sempre più stabile della presenza dei fratiminori alle Celle fra secondo e terzo decennio del Duecento – perun vero approdo dei frati all’interno dello spazio urbano occorreaspettare, come è noto, gli anni di frate Elia; il quale nei suoi ulti-

40 Il contratto tra il podestà e il priore della mansio e dell’ospedale di San Basilio inRoma – contenuto nel Registrum Vetus ed ora edito in LUCHERONI, Registrum Comunis Cortonecit., pp. 134-136) – prevedeva l’impegno di quest’ultimo ad assoggettare alla nuova man-sio cortonese quella di Chiusi e tutte le proprietà degli ospedalieri « a Clana usque ad la-cum et a Maziano usque ad Cortonam, et per totum districtum Cortone » e a far ratificaredal capitolo generale, entro un mese dalla richiesta del Comune, tali competenze dellanuova mansio « secundum consuetudinem quam habent aliae domus que sunt in civitati-bus et aliis bonis castellis », cfr. ALTICOZZI, Riposta apologetica cit., pp. 192-195, MANCINI,Cortona nel Medio Evo cit., p. 56.

41 Il monastero delle pauperes dominae, uno dei prime sette fondati in Toscana nel pe-riodo di attività del cardinale Ugolino, sorse, probabilmente con l’aiuto di suor Lucia diRoma proveniente da San Damiano. Almeno dal 1237 la comunità è stanziata nel sito diTarcia, poco distante dalle mura di Cortona. Cfr. A. BENVENUTI, La fortuna del movimentodamianita in Italia (sec. XIII): propositi di un censimento da fare, in Chiara di Assisi. Atti delXX Convegno internazionale, Spoleto, 1993, pp. 86-88, cfr. inoltre S. MENCHERINI, Le Cla-risse in Cortona. Documenti del secolo XIII, in La Verna, 10 (1912-1913), pp. 323-332; Z.LAZZERI, Documenti del secolo XIII sul monastero delle Clarisse di Cortona, in ibid., 11 (1913),pp. 65-75, A. ROTZETTER, Chiara d’Assisi. La prima francescana, Milano, 1993, p. 153.

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mi giorni fa riferimento a una domus 42 in città e che soprattutto,come è ancor più noto, fra il 1245 e il 1246 avrebbe ricevuto indono dal Comune, per destinarle ‘a quelli dei suoi frati che a luipiacessero’, le superfici e le strutture esistenti nell’area del Balneumreginae, in parte sino ad allora appartenute ai Camaldolesi di Fleri 43

e sulle quali sarebbe sorto il locus e poi l’attuale chiesa di San Fran-cesco 44. É tuttavia solo dopo la metà del Duecento che abbiamonotizia dell’avvio della presenza agostiniana nel Terzo di San Vin-cenzo 45, mentre per quella dei frati Predicatori nel borgo che sa-

42 Per l’attestazione della « domus quam idem Helias hedificavit » nel testimoniale difrate Velasco vedi infra, nota 75 Sulla scorta della tradizione storiografica cortonese, moltistudi antichi e recenti (citati in IOZZELLI. I francescani ad Arezzo e Cortona nel Duecento, in Lapresenza francescana nella toscana del ’200, Firenze, 1990, pp. 135-136 nota 1) collocano taledomus nell’area, prossima alla porta allora detta di Pecciveraldi, all’angolo tra Via Coppi evicolo Vagnucci e di norma l’identificano direttamente col palazzetto in pietra che ivi sor-ge. Tale ‘casa di Elia’ viene anche identificata con la « domus episcopi aretini que quon-dam fuit fratris Elie » cui farebbe riferimento un atto del 1264 (ibid, nota 2, atto che an-ch’io cito indirettamente da Azzoguidi). È forse possibile che si tratti della stessa domumpositam in Cortona che nell’aprile 1269 il vescovo Guglielmino restitui all’abbazia di Fleririconoscendo di non poterla occupare più oltre sine periculo anime (vedi supra nota 29): secosì fosse Elia avrebbe in realtà utilizzato (e forse riedificato) in Cortona una casa messaglia disposizione dai camaldolesi, ma di cui non era proprietario.

43 Gli atti che compongono il dossier documentario relativo alla concessione dell’area afrate Elia, tutti contenuti nel Registrum vetus, sono stati oggetto fin dal Seicento di molte-plici edizioni: li si legge ora in LUCHERONI, Registrum Comunis Cortone cit., pp. 178-185,187-189. Essi sono: 1) 1244 dicembre 5, Permuta tra il comune e l’abbazia di Fleri,che cede al comune certe terre poste uxta viam Balneum regine 2) 1245 gennaio 23, Nomi-na del procuratore incaricato di stipulare la donazione del balneum regine a frate Elia; 3)1245 gennaio 23, Donazione del Balneum regine a frate Elia, 4) 1246 gennaio 7, donazionea frate Elia di altre case e superfici edificabili nel Balneum regine contigue ai beni giàdonati.

44 La bibliografia sulla chiesa di san Francesco a Cortona è quanto mai ricca, ma anchedisomogenea (cfr. K. BIEBRACH, Die holzgedeckten Franziskaner- und Dominikanerkirchen inUmbrien und Toskana, Berlin, 1908, pp. 14-17; A. CADEI. La chiesa di S. Francesco a Cortonain Storia della città, 9 (1978), pp. 16-23; G. VILLETTI, Studi sull’edilizia degli ordini mendi-canti, Roma, 2003, p. 72). In gran parte della letteratura in proposito viene postulato, piùche provato, il ruolo di Elia – gia ‘architetto’ della basilica assisana’ – come ideatore eprogettista della chiesa cortonese. Un legato testamentario del maggio 1254 in favore dellocus di San Francesco di Cortona, è utilizzato sovente (seguendo MANCINI, Cortona nel me-dioevo cit., p. 53) per giustificare l’affermazione che nel 1254 la chiesa fosse già terminataed aperta al culto. In assenza di indagini mirate sulla stratigrafia degli elevati restano tut-tavia non poche incertezze sull’esatta cronologia delle fasi edilizie.

45 Sulla presenza agostiniana, forse risalente al 1256 ma più chiaramente documentabi-le dal 1279, cfr. IOZZELLI. I francescani ad Arezzo e Cortona nel Duecento, in La presenza france-

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rebbe poi stato detto di san Domenico 46, come per quella dei Ser-viti 47 occorre attendere gli ultimi anni del secolo.

Nel panorama della vita religiosa cortonese del primo Duecento, aquesta qual certa povertà di presenze e monotonia secolare sembra peròsupplire un dialogo che si mantiene sempre molto intenso tra il siste-ma delle chiese propriamente urbano e le chiese del territorio. Il mona-stero e l’eremo camaldolese di Fleri, in primo luogo, ma anche le chie-se periurbane di sant’Angelo di Suchio, di Rio Loreto, il priorato mo-nastico di Cegliolo sembrerebbero essere, ad esempio, interlocutori or-dinari della gente e dei chierici di Cortona, dove le fonti ci mostranoche il loro clero è di casa e costituisce una presenza familiare. Un’o-smosi profonda dunque, anche sul piano ecclesiastico, tra sistema urba-no e territorio: è questo, mi pare, un altro aspetto caratterizzante dellaChiesa cortonese di inizio Duecento, che anche in questo mostra qual-cosa del suo carattere non ancora propriamente cittadino. Converrà te-nerlo a mente riflettendo, ad esempio, sul rapporto tra Cortona e illuogo minoritico delle Celle negli anni di Francesco e di Elia, rapportoche, pur in termini nuovi, mi pare riproporre questa preesistente dina-mica di forte interazione anche sul piano religioso tra insediamento ur-bano e territorio rurale limitrofo, dunque anche tra le chiese cittadine,gli insediamenti religiosi delle campagne vicine e del monte, familiaredeserto popolato di eremi.

E con questo possiamo forse dire di aver messo in luce almeno iprincipali tratti salienti della fisionomia complessiva della Chiesa edel clero cortonese nella prima metà del XIII secolo, che è quantoappunto mi toccava e mi premeva di fare per poter affrontare conqualche strumento la storia dell’incontro tra questa Chiesa o questoclero locale e l’uomo di cui, in questo convegno, tanto si è parlato.Veniamo, dunque, ad Elia, e ai suoi giorni cortonesi.

scana nella toscana del ’200, Firenze, 1990, pp. 138-139 note 77 e 79, G. INGA, Gli insedia-menti mendicanti a Cortona in Storia della città, 9 (1978), pp. 44, 52 note 10 e 11.

46 La presenza domenicana a Cortona rimonta al 1290, con l’istituzione di una domus,appartenente alla praedicatio conventuale di Arezzo, eretta in convento solo in occasione delCapitolo provinciale di Pisa del settembre 1298. cfr., cfr. IOZZELLI. I francescani ad Arezzo eCortona cit., p. 139, G. VILLETTI, Quadro generale dell’edilizia mendicante in Italia, in Lo spaziodell’ umiltà, Atti del Convegno di studi sull’ edilizia dell’ Ordine dei Minori (Fara Sabina,3-6 novembre 1982), Fara Sabina, 1984, pp. 225-274, p. 265.

47 Il convento dei Servi di Maria risulta già esistente tra il 1288 e il 1294: cfr. dal F.DAL PINO, I frati Servi di S. Maria dalle origini all’approvazione (1233 ca.-1304), Leuven,1972, p. 1191.

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2. AL TERMINE DELLA MALA VIA: ELIA E LA CHIESA DI CORTONA

La nostra fonte principale sulle ultime vicende di Elia è costi-tuita, come s’è detto, dal testo dell’indagine conoscitiva 48 compiu-ta, su preciso mondato del papa e a poche settimane di distanzadalla scomparsa di Elia, sulle modalità con cui l’ex ministro genera-le era stato assolto in articulo mortis dalle censure ecclesiastiche esulla natura della contrizione da lui mostrata. Non si tratta in effet-ti, contrariamente a quel che pure è stato talora scritto, di un ‘pro-cesso a frate Elia’, ma piuttosto di una verifica sull’esistenza dei re-quisiti necessari alla piena legittimità di un atto – l’assoluzione inforo sacramentale da una censura riservata alla sede apostolica delpenitente costitutus in articulo mortis – che, sussistendo tali requisitie non essendo il penitente sopravvissuto, era di per sé operativo enon avrebbe richiesto altra determinazione 49. L’inquisitio, cui nonfece dunque seguito alcuna sentenza, riporta esclusivamente le de-posizioni rese sotto giuramento da cinque testimoni attentamenteinterrogati dal penitenziere papale, il minorita frate Valasco 50, col-laboratore di tutti i pontefici del pieno Duecento.

48 Per l’edizione del testo vedi supra nota 1.49 Sul principio che individua la morte imminente come circostanza che, come causa

necessitatis, costituisce cluasola limitativa di ogni riserva d’assoluzione, anche espressamenteprevista dai provvedimenti papali, si veda O. Condorelli, Cura pastorale in tempo di interdet-to. Un consilium ferrarese di Liberto da Cesena, Superanzio da Cingoli e Giovanni d’Andrea, in,Proceedings of the eleventh International Congress of Medieval Canon Law (Catania, 30 July - 6August 2000), a cura di M. BELLOMO, Città del Vaticano, 2006, pp. 683-698, a p.688-689.

50 Personalità di grande interesse, quella di frate Velasco, uomo di fiducia di tutti ipontefici a partire da Innocenzo IV e sino alla morte nel 1278. Il Golubovich (G. GOLUBO-VICH, Biblioteca Bio-Bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente Francescano. I, Quaracchi,1906, p. 393; v. a. p. 105, 259, 417,419) lo dice « d’ignota patria, religioso di molta vir-tù, celebre nella storia della Chiesa per le sue molte legazioni presso quasi tutti i principid’Europa ». Cinque mesi dopo la sua missione a Cortona lo si ritrova, ora col titolo espli-cito di penitenziere, a Praga, dove come nunzio di Innocenzo IV riceve la fedeltà di Pre-mislao Ottocaro II, erede del regno di Boemia (G. BATTELLI, Sigilli Cecoslovacchi nell’ArchivioVaticano in Folia diplomatica, I (1971), pp. 23-39, a p. 27). Sull’attività di Velasco comepenitenziere cfr. P. L. OLIGER, I Penitenzieri francescani a San Giovanni in Laterano, in StudiFrancescani, 11 (1925), pp. 495-522, pp. 512-515. Attivissimo anche in Italia (nel 1276avrebbe presieduto alla pacificazione di Pisa con le città della lega guelfa toscana), nel1265 sarebbe stato promosso alla sede vescovile di Famagosta, in Cipro, e due anni piùtardi trasferito a quella portoghese di Idahana o Guarda. Nell’aprile del 1277 in Genovaalcuni mercanti ricevono in deposito dai membri della familia vescovile di frate Velasco

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Si tratta senz’altro di una fonte eccezionale: di certo lo è nella e perla storia dell’ordine. In quanto tale essa è stata letta, edita e citata conripetuta insistenza dalla storiografia minoritica, oltre che dall’erudizio-ne cortonese. O meglio, così è avvenuto a partire dall’età moderna, vi-sto che la nostra fonte – dato che varrà la pena sottolineare – non sem-bra invece aver circolato, né aver avuto notorietà, nei decenni successivialla sua stesura, tanto da essere ignorata da tutte le fonti francescanecoeve e successive, così come da quelle trecentesche; molte delle qualipoterono dunque intessere racconti della morte di Elia che – presenti-no in punto di morte l’ex ministro generale assolto o impenitente –sono comunque del tutto indipendenti dalla versione, a suo modo uffi-ciale, che essa fornisce 51.

Ma straordinaria quella fonte lo è anche per chi si interessa del-la pratica pastorale nelle città del Duecento, giacché quel testo cioffre l’occasione, già di per sé rara, di osservare dei curati in azione,di seguire cioè nel suo reale svolgersi quell’insieme di gesti e parolein cui ordinariamente si traduceva l’assistenza religiosa del morente.E per di più ci spalanca questa preziosa finestra in una città che, al-l’epoca dei fatti, era soggetta a censure ecclesiastiche: consentendocicosì di gettar luce su un aspetto della vita religiosa duecentesca –cioè le reali forme d’esercizio della cura pastorale in tempo di inter-detto, realtà di cui, dovremo ammetterlo, conosciamo assai poco 52.

una bibbia un reliquario, preziosi e sacchetti di denaro; nell’ottobre del 1278 Niccolò IIIgli accordava la licenza di testare. Era già morto nel successivo dicembre (cfr. A. FERRETTO,Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante(1265-1321), in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXXI (1901-1903), fasc. II, p.126, n° 276.). Su di lui si veda A. LÓPEZ FERNÁNDEZ, Fray Velasco, nuncio apostólico en los rei-nos de España y Portugal, y obispo de Idanha o Guarda in Biblos, 18 (1942), pp. 249-258.Resta da sciogliere la possibile identificazione col nostro del « dominus fr. Vilasco de or-dine fratrum minorum, episcopus marrochitarum » che sarebbe intervenuto il 9 agosto1237 alla consacrazione della chiesa di San Siro in Genova (Historiae Patriae Monumenta, I,Chartarum, I, Torino, 1836, col. 1335-1336, n° 893; Le carte del Monastero di San Siro, vol.2 (1225-1253), a cura di S. MACCHIAVELLO e M. TRAINO, Genova, 1998, p. 129) e forse daidentificare col presule citato nella lettera del di Gregorio IX 12 giugno di quell’anno (L.AUVRAY, Les registres de Grégoire IX, Parigi, 1896-1955, n. 3752).

51 Per una prima ricognizione di tali narrazioni cfr. A. POMPEI, Frate Elia d’Assisi nelgiudizio dei contemporanei e dei posteri in Miscellanea Francescana, 54 (1954), pp. 539-635.

52 Negli ultimi decenni alcuni contributi hanno aperto a prospettive nuove negli studisulla scomunica, a lungo circoscritti entro interessi prevalentemente storico-giuridici, (sivedano ad es: E. VODOLA, Excomunication in the Middle Ages, Berkeley, 1986; V. BEAULANDE,Le Malheur d’être exclu? Excommunication, réconciliation et société à la fin du Moyen Âge, avant-

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Quella su cui la nostra fonte getta luce è, dunque, una vicenda incui si imbricano e si mescolano di continuo ordinarietà ed eccezio-ne, la sicura consuetudine dei gesti quotidiani e l’attenzione riserva-ta alle circostanze e agli uomini eccezionali.

Prima di addentrami in quel testo, però, vorrei sgombrare ilcampo da quello che a me sembra un fraintendimento; un equivocoche affiora sovente nei tanti lavori che, com’è naturale, si sono inte-ressati, occupandosi di Elia, anche di questa vicenda. È cioè a piùriprese parso naturale, quasi scontato, mettere in connessione la sco-munica fulminata sul ribelle frate Elia e quella che colpì lungamen-te, nel corso del Duecento, Cortona: come se si trattasse di due mi-sure in qualche modo collegate o da collegare, come se quelle sco-muniche fossero il segno e la conseguenza d’una stessa scelta dicampo, politica e religiosa, quasi il marchio di uno stesso spirito ri-belle, d’uno stesso ‘animo ghibellino’ che fatalmente avrebbe unitoi destini di quel frate e di questa città. Una visione da cui finisceinesorabilmente per risultare che l’assoluzione di Elia morente nel1253 da parte del clero locale d’una città interdetta, sia stata inrealtà poco meno d’un abuso 53, un ‘imbroglio’ attuato di sotterfu-gio sulla base d’un muto accordo tra ribelli scomunicati, una for-malità vuota o radicalmente inficiata nel suo contenuto dalla sotta-ciuta e comune opposizione ai disegni politici e religiosi del papatoromano e della parte guelfa.

propos de C. GAUVARD, Paris, 2006). Per quel che riguarda l’attenzione specifica verso l’in-terdetto locale (tema affrontato a suo tempo in contributi e ancora importanti come E. B.KREHBIEL, The Interdict. Its History and Its Operation, with Especial Attention to the Time of PopeInnocent III, Washington, 1909; E. J. CONRAN, The interdict, Washington, D.C., 1930, onel più recente ma non meno tradizionale: R. KNITTEL, La pena canonica dell’interdetto: inda-gine storico-giuridica, Roma, 1998) fondamentale risulta l’apporto degli studi di P.D, CLAR-KE e il suo recente volume di riferimento; The interdict in the thirteenth century: a question ofcollective guilt, Oxford - New York, 2007, che evidenziando motivazioni e obbiettivi dell’e-voluzione della politica papale in materia fra XII e XIV secolo, mette anche in luce l’am-pia morfologia delle reazioni con cui, nelle singole realtà e in diversi momenti, autoritàmunicipali, comunità e clero locali (tra loro più o meno solidali) si conformarono all’ese-cuzione della sentenza d’interdetto o ne disattesero l’applicazione. Assai rari risultano, tut-tavia, gli studi specifici volti a indagare concreti contesti (si vedano ad es. CONDORELLI, Cu-ra pastorale in tempo di interdetto; M. De SMET - P. TRIO, De verhouding tussen Kerk en stad inde Nederlanden in de late Middeleeuwen, onderzocht aan de hand van het interdict, in Jaarboekvoor Middeleeuwse Geschiedenis, 5 (2002) pp. 247-274).

53 In tal senso si esprime, ancora recentemente, P. MESSA, Frate Elia da assisi a Cortona,Storia di un passaggio, Cortona, 2005, p. 48.

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A me sembra che le cose stessero in realtà in modo affatto diverso:in primo luogo perché la Chiesa di Cortona che mi sono sforzato diconoscere e di rappresentarvi, di certo non fu una Chiesa ribelle, unaChiesa ’contro’. Il comune di Cortona, questo sì, sostenne sin dai primianni Trenta del Duecento una lunga e a momenti molto tesa vertenzacon l’episcopato aretino da cui quella terra dipendeva sul piano eccle-siastico. Lo fece, com’è noto, perché quell’episcopato rivendicava comeparte dei corposi diritti pubblici che la chiesa di san Donato vantavaed esercitava, anche la percezione d’un decimo delle entrate connesseall’esercizio di quei diritti da parte del Comune e il potere di interve-nire tamquam senior, cioè come superiore feudale, nella nomina dei ret-tori di Cortona. Richieste con cui i vescovi aretini succedutisi fra glianni Trenta e gli anni Ottanta del Duecento, anch’essi uomini dalla per-sonalità spiccata e non certo ordinaria, – Martino prima, poi quel Mar-cellino che avrebbe trovato nel 1248 la morte per mano dei fedeli diFederico 54, poi soprattutto lo straordinario Guglielmino 55 – tentavanonella sostanza di limitare e coordinare stabilmente alla loro energicaazione politica l’affermazione di Cortona come soggetto politico auto-nomo ed egemone nella Valdichiana 56. Nello svolgersi di quella lungavertenza in più occasioni i vescovi utilizzarono anche l’arma delle san-zioni spirituali, fulminando la scomunica sui magistrati e i consiglidella terra ribelle e sottoponendo la città all’interdetto locale, e in duemomenti – una volta nel 1234 57 e un’altra nel 1252 58 – anche l’auto-rità pontificia sarebbe intervenuta nell’iter processuale, confermando lesanzioni comminate dal vescovo aretino e favorendone la pubblicazione.Ci sono dunque almeno due cose da chiarire: in primo luogo che lesanzioni spirituali cui formalmente e a lungo soggiacque la Chiesa cor-tonese nel corso del Duecento non derivavano da posizioni assunte dalclero cortonese, ma erano la ricaduta di sentenze pronunciate contro al-tri, cioè contro il composito ceto dirigente che guidava le istituzioni

54 Cfr. B. HECHELHAMMER, Zwischen Märtyrermord und Todesstrafe. Die Hinrichtung des Bi-schofs Marcellino von Arezzo im Jahre 1248, in Bischofsmord im Mittelalter, Hg.: N. FRYDE; D.REITZ, Göttingen, 2003, pp. 303-320.

55 Su cui cfr. ora SCHARF, Vescovo e Signore. La parabola di Guglielmino cit.56 Vedi supra, nota 5 e testo corrispondente.57 AUVRAY, Les registres cit. n. 1694 (1234 gennaio 9) = GUAZZESI, Dell’antico dominio

cit., p. 93 cfr. SCHARF, Potere e società cit., p. 189.58 1252 sett 28 Pasqui, Documenti 2 n. 578 (GUAZZESI, Dell’antico dominio cit., p. 101)

cfr SCHARF, Potere e società cit., p. 189.

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politiche di quella terra. Nulla lascia supporre che l’atteggiamento deichierici di Cortona si sia allora discostato da quella sorta di lealtà neiconfronti delle iniziative politiche della città che, non senza qualchedisappunto del papato romano, orientò diversi vescovi toscani di cittàschieratesi sul fronte ghibellino ad atteggiamenti concilianti o almenodi non belligeranza nei confronti del gruppo dirigente della loro ter-ra 59. In secondo luogo occorre considerare che la vicenda del conflittotra il comune di Cortona e il vescovo di Arezzo, fu sì di lunga durata,ma conobbe solo alcune fasi acute, e che di conseguenza la notorietà,l’efficacia, la percezione e il rispetto di sanzioni spirituali legate a unavertenza giudiziaria per molti versi sempre aperta dovettero conoscere,in Cortona e nella regione, lunghi periodi di scarsa o nulla attenzione,forse anche di più o meno inconsapevole rimozione.

É del resto già la stessa l’evoluzione della normativa canonicaprodotta nel corso del Duecento sulla scomunica e l’interdetto,scandita dai canoni sempre più numerosi che a questa materia ven-gono dedicati da ciascuno dei concili generali, ad evidenziare le og-gettive difficoltà che insorgevano nella reale applicazione di quellesanzioni canoniche e gli effetti controproducenti che potevano deri-varne, e a denunciare tra l’altro, in modo assai esplicito, la diffusanoncuranza con cui venivano accolte. Difficoltà che avrebbero in-dotto, sul finire del secolo, a quel sostanziale ridimensionamentodei divieti connessi alla pena che sarebbe stata sancita dalla costitu-zione ‘Alma mater’ di Bonifacio VIII 60. E questo mentre, per partesua, la riflessione teorica condotta dai canonisti, avviando una com-plessa elaborazione sul tema della scomunica ingiusta e delle sueconseguenze, sottolineava i dubbi non infondati sulla legittimitàdell’uso che di quello strumento poteva essere ed era stato fatto 61.

59 Possono essere utilizzati in tal senso come validi casi di confronto i casi senese e pi-sano, oggetto di indagini specifiche alle quali rinvio: M. PELLEGRINI, Chiesa e Città. Uomini,comunità e istituzioni nella società senese tra XII e XIII secolo, Roma, 2004; G. DELL’AMICO,Tra politica e pastorale. I trentacinque anni dell’arcivescovo Vitale nella diocesi di Pisa (1217-1252), in Reti medievali 9, 1 (2008). ID., Federico Visconti di Ricoveranza, arcivescovo di Pisa(1253 - 1277), Università di Pisa Dottorato in storia, a.a. 2011.

60 Sull’evoluzione della normativa canonica in materia cfr. ora il III capitolo di CLARKE,The interdict in the thirteenth century cit.

61 Cfr. P. P. HUIZING, Alcuni testi dei decretisti sulla scomunica ingiusta e l’esclusione dellaChiesa, in Etudes d’histoire du droit canonique dédiées à Gabriel Le Bras, Vol. 2, Paris, 1965,pp. 1243-1256; R. BALBI, L’ingiustizia della sentenza di scomunica in Graziano. Primi principiper una riflessione, Napoli, 1983.

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Vediamo nei fatti come ci si regolò a Cortona: sappiamo che la cit-tadina era entrata in lite aperta con l’episcopato aretino al tempo delvescovo Martino, forse già nel 1230. Di certo cinque anni più tardi,nel gennaio del 1234 62, Gregorio IX lamentava che, sebbene per quel-la disobbedienza tutta politica fosse già stata fulminata dal suo delega-to una scomunica, nondimeno per più di un anno i cortonesi avevanocompletamente ignorato la sentenza pronunciata contro di loro, edabusando della sua mitezza ancora neppure si preoccupavano di doverrispondere di quelle accuse 63. Il papa ingiungeva dunque che, almenoquesta volta, essi concedessero al loro vescovo e signore quanto chiede-va, minacciando altrimenti di far rinnovare la sentenza e pubblicare so-lennemente ai vescovi circonvicini l’interdetto contro di loro. Il che ineffetti avvenne, non avendo evidentemente le minacce ottenuto l’effettosperato, nove mesi più tardi 64: senza peraltro che alcun segnale lasciintendere che nei tre anni successivi, Cortona e le città con cui era incontatto si curassero della nuova scomunica più di quanto non avesserofatto con la precedente 65.

Le cose cambiarono tuttavia decisamente nel vortice di quell’annofatale che fu, tanto per Elia quanto per Cortona, il 1239. I terminidella vertenza tra Cortona e il vescovo aretino non erano affatto mutati,

62 Reg greg Ix 1694 (1234 gennaio 9) = PASQUI, Documenti, II, cit., n. 516. GUAZZESI,Dell’antico dominio cit., p. 93 cfr. SCHARF, Potere e società cit., p. 189.

63 « Quia, sicut, venerabili fratre nostro... episcopo Aretino referente, nobis innotuit, iidemrespondere sibi de juribus, consuetudinibus et honoribus ei et ecclesie Aretine debitis nimisimprobe contradicunt. Et licet propter hoc per venerabilem fratrem nostrum .. Clusinum epi-scopum auctoritate nostra vinculo sint excommunicatonis astricti, ipsi tamen, nec Deum ti-mentes nec reverenles hominem propter Deum, in tantam audaciam proruperunt, quod, latamin eos excommunicatonis sententiam per annum et amplius dampnabililer contempnentes, be-nignitatis nostre mansuetudine abutendo, respondere sibi de premissis dampnabili presumptio-ne non curant. Nolentes igitur eorum pati presumptionis abusimi, sicut nec debemus, ne ap-probari error forsitan videatur, si ei non fuerit fortiter obviatum, universitatem eorum mone-mus et hortamur attente, nostris sibi districtius dantes litteris in preceptis ut, satem hac vocelicet sero ad cor humiliter redeuntes, eisdem episcopo el ecclesie piene respondere de predictis,dilatone ac excusatione cessantbus, non postponant ».

64 1235 agosto 13 Cfr. GUAZZESI, Dell’antico dominio cit., p. 95.65 Di certo la lite tra l’episcopato aretino e il comune di Cortona era ancora aperta

quando, nel Luglio del 1238, si tenne nel prato di fronte alla chiesa di Cegliolo il collo-quium tra le parti, in cui il vescovo Marcellino tornò a rivendicare il suo ruolo di superiorefeudale e di necessario mediatore del rapporto tra Cortona e l’impero. L’atto del del 10 lu-glio 1234, copiato nel registrum vetus, è edito in LUCHERONI, Registrum Comunis Cortone cit.,p. 154-155. cfr. SCHARF, Potere e società cit., p. 189.

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ma il deflagrare del conflitto tra Gregorio IX e Federico II, che il papaaveva scomunicato nel marzo di quell’anno, destabilizzava il quadropolitico della regione, imponendo un sistematico coinvolgimento deiconflitti locali e delle alleanze intercittadine nel più generale e radica-lizzato conflitto politico. Non meraviglia dunque che nell’agosto diquell’anno Cortona, che sino ad allora per oltre un lustro non s’eratroppo curata delle censure canoniche, volendo recuperare l’appoggiodella vicina Perugia e rinnovare i patti d’alleanza già in passato giuratitra le due città, inviasse al consiglio generale perugino il suo Podestà asupplicarne l’aiuto per ottenere, appunto, la remissione della scomuni-ca: addens quod nullatenus dubitarent quod Cortonenses aliam vivendi viameligerent, et tam turpiter mori nolebant, come invece sarebbe accaduto nisieos ab excummunicatione facerent absolvi 66.

Dicendosi pronta a ‘prendere un’altra via’, per bocca del suo Pode-stà Cortona esprimeva un sentimento forse sincero, ma certo quasi im-postole dalla contingenza, mutata a causa della rottura tra il papa el’imperatore. Erano passati allora appena tre mesi dalla deposizione diElia, che proprio in quegli stessi giorni stava maturando le sue scelte e,raggiungendo Federico, intraprendeva i primi passi su quella ‘mala via’cui i ragazzi di tutta la Toscana avrebbero alluso quando, come ricordaSalimbene, incontrando un frate minore lo beffeggiavano cantandoglidietro « Hor atorno frat’Helya, khe pres’ha la mala via » 67.

Anche frate Elia aveva imboccato la sua mala via condizionatodalla stessa contingenza. Per certo sappiamo che anche lui, giuntoormai al termine del suo cammino, non volle morire in modo tur-pe, cioè fuori della visibile comunione della Chiesa in cui credeva.

La Chiesa cortonese si trovava allora ancora, e forse più che mai,coinvolta nelle vicende della sua città. Il ceto dirigente che guidava leistituzioni del Comune e del Popolo orientava allora la politica corto-nese nel solco consueto della resistenza alle pretese temporali dell’epi-scopato aretino. Ma da qualche anno ormai quello scontro sembravalambire più direttamente anche il terreno delle strutture religiose edecclesiastiche del castello, terreno su cui le magistrature cittadine ave-vano ora preso ad intervenire in maniera incisiva. Il Comune avevaavuto parte, ad esempio, nelle vicende che, sin dal 1243, avevano vistomembri del clero cortonese contendere alla badia aretina di santa Flora

66 Il testo in LUCHERONI, Registrum Comunis Cortone cit., pp. 162-164.67 SALIMBENE DE ADAM, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari, 1966, II, p. 234.

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il controllo della chiesa di san Vincenzo; vertenza destinata a deflagrarein violento conflitto proprio nell’estate del 1253 68. È nel contesto diquesta nuova e più spregiudicata linea d’azione comunale in campo ec-clesiastico che va letta anche la scelta operata tra 1245 e il 1246,quando il Comune cortonese si fece, come sappiamo, promotore diquell’operazione che – coinvolgendo gli eremiti camaldolesi di Fleri,essi pure a quel che sappiamo in rotta con Guglielmino – avrebbe resopossibile la cessione del Balneum regine al dissidente Elia e l’avvio delprogetto dell’insediamento urbano dei frati 69. I responsabili del Comu-ne cortonese mostravano così di non curarsi della scomunica inflitta adElia per la sua fedeltà allo Svevo più di quanto si curassero di quellache la vertenza col loro vescovo-signore aveva e avrebbe ancora attiratosu di loro.

Nella fase di incertezza apertasi all’indomani della scomparsa diFederico II, il nuovo presule Guglielmino era difatti tornato a ri-vendicare concrete prerogative giurisdizionali su Cortona e – in at-tesa che maturassero i tempi per l’azione di forza, deflagrata poi nel1258 – aveva intanto riaperto la battaglia giudiziaria, puntandosulle armi della sanzioni spirituali. Un primo pronunciamento infavore del vescovo era stato emesso, già prima dell’estate del 1252,dai tre chierici toscani a ciò deputati dal papa, i quali avevano pre-visto la scomunica sugli officiali e imposto l’interdetto sulla terradi Cortona proprio per il disprezzo e la noncuranza con cui le san-zioni comminate dalla sentenza del 1235 erano state disattese peroltre un decennio. Il Comune di Cortona ricorse prontamente con-tro questa decisione, opponendo, tra l’altro, che l’interdetto localenon poteva essere legittimamente promulgato in quanto l’insiemedella popolazione (e tra questa dobbiamo includere anche il clero,che quella misura avrebbe in primo luogo interessato) non era statodebitamente informato e ammonito in proposito, come invece eraavvenuto coi membri del consiglio cittadino. Nonostante le eccezio-ni presentate, il 18 settembre l’auditore della causa confermò la pri-ma sentenza, e il papa la ratificò dieci giorni più tardi 70.

68 Vedi supra, nota 7.69 Vedi supra, nota 43. Significativo è in tal senso anche il fatto che proprio i beni

dell’abbazia di Fleri e quelli di Elia siano sequestrati da Guglielmino all’indomani dellapresa di Cortona (cfr. SCHARF, Potere e società cit., p. 351 nota 32).

70 Il testo della conferma pontificia è edito in PASQUI, Documenti cit., II, n. 578. Per ilcontesto cfr. SCHARF, Potere e società cit., p. 189 e nota 30.

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Nessun indizio positivo lascia cogliere i segni di una qualche espli-cita azione di contrasto alla politica del Comune da parte dai verticidella Chiesa cortonese, che sembra piuttosto attendere allora gli ulte-riori sviluppi di una vertenza ai loro occhi apparentemente non conclu-sa. Non sappiamo del resto neppure se, ed eventualmente in che ter-mini, la notizia della sentenza emanata nel settembre del 1252 avesseavuto diffusione tra la gente del castello e nelle città circonvicine 71. Seinformato, il clero secolare di Cortona, pur non direttamente interessa-to dalla nuova scomunica, dovette comunque dimostrarsi anche stavol-ta assai poco scrupoloso nel rispetto dell’interdetto; della misura, cioè,che privando la popolazione del culto divino doveva indurre le magi-strature cortonesi al cedimento. Che proprio questo sia stato allora l’at-teggiamento del clero, ed insieme il rilevo oggettivo che tale compor-tamento ebbe nel momentaneo fallimento delle ambizioni vescovili,può forse confermarlo il fatto che Guglielmino, all’indomani della pre-sa di Cortona, si premurò di insediare a capo della pieve un chierico disua assoluta fiducia, proprio quel Cavalcante che in veste di procurato-re aveva perorato nel 1252 la causa per la scomunica dei cortonesi 72.Al suo predecessore, l’arciprete Bencio, invece toccato di agire quando,nella primavera del 1253, l’età e la malattia avevano condotto Elia altemine del suo cammino.

Come andarono allora le cose? Non sono pochi i dettagli su quellavicenda che ci vengono svelati dalle deposizioni testimoniali raccolteda frate Velasco a pochi giorni dai fatti 73. I personaggi interrogati so-no, nell’ordine: l’arciprete Bencio, primo responsabile e attore principa-le dell’assoluzione dell’ex ministro generale dalle censure; il sacerdote efrate minore Deotifece, che aveva assistito e comunicato Elia, dopo lasua assoluzione; il priore Bono della chiesa monastica di Cegliolo, cheaveva frequentato Elia nell’infermità, confortandolo e invitandolo allapenitenza, e aveva avuto parte alla sua assoluzione e alla somministra-

71 Parrebbero indicarlo, quando non le si ritenga mendaci, anche le deposizioni testi-moniali rese nell’inquisitio sull’assoluzione di Elia, nelle quali lo stesso arciprete, interroga-to se a quel tempo egli fosse scomunicato o interdetto, respondit quod nesciebat. Anche nellerisposte degli altri testimoni su questo articolo dell’interrogatorio prevalgono i riferimential fatto che la questione non era discussa pubblicamente.

72 È fatto ben noto e già segnalato da MANCINI, Cortona nel Medio Evo cit., p. 60.73 Utilizzando l’edizione dell’examen testium di frate Velasco proposta in Le carte duecen-

tesche del sacro convento di Assisi (supra, nota 1) faccio riferimento, nelle note successive, allanumerazione delle righe del testo, omettendo ogni altra indicazione.

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zione degli ultimi sacramenti; il frate laico Gianbonino, che lo avevaaccudito fino alla morte, il prete di San Cristoforo, Ugo, che aveva as-sistito alla sua assoluzione. Tutti chierici: forse anche in ragione delloscrupolo con cui l’inviato papale dovette allora evitare i contatti collaicato cortonese, direttamente colpito dalla sentenza di scomunica del-l’anno precedente. Stando ad alcune testimonianze, per altro, diversilaici dell’uno e dell’altro sesso – in particolare una domina Sibilia che latradizione locale vuole consanguinea di Elia, un dominus Guidone miles,almeno tre diversi notai – avevano invece assistito alle diverse fasi dellavicenda su cui verteva l’indagine, e avrebbero potuto essere ascoltati.

Nel loro insieme le testimonianze ci mostrano muoversi attornoad Elia morente tre gruppi ben distinti di uomini di chiesa. Il pri-mo è quello dei compagni, i frati che lo avevano seguito nella malavia e servito fino in fondo. Ne vengono espressamente citati due:frate Angelo, indicato come socius di Elia 74, e soprattutto il laicofrate Ianneboninus / Boniohannes, additato come socius, familiaris e ser-viens dell’ex ministro, e che è sempre presente accanto a lui, nelladomus di Cortona dove Elia giace a letto negli ultimi giorni ma an-che prima, in cella que est in silva, cioè nel luogo delle Celle 75, doveè testimone del primo manifestarsi della sua contrizione. Il secondogruppo è composto da due frati minori che nessuno indica comecompagni e familiari di Elia: sono il sacerdote fra Diotifece e il suosocio, il più noto fra Mansueto da Castiglione, destinato a ricoprireincarichi di rilievo nell’ordine e a svolgere missioni in varie partid’Europa per conto di Alessandro IV, di cui sarà penitenziere e cap-pellano 76. Figure dunque che non è possibile pensare, come i pre-

74 Indicato come sotius eiusdem Elie (r. 109); lo serve nell’infermità (r.126); è testimonedella sua contrizione (r. 163), insieme a fra Dietifece richiede per lui l’estrema unzione alpriore di Cegliolo (r. 202); è presente alla comunione di Elia, (r. 139, 240). Non è statasinora avanzata l’identificazione di questo non altrimenti identificato frate Angelo col no-tissimo frate Angelo Tancredi da Rieti, uno dei primi compagni e dei tre firmatari, nel1246, della lettera di Greccio, ricordato come presente alla morte di Francesco, e chequattro mesi dopo la morte di Elia avrebbe assistito in Assisi, con Leone, alla morte diChiara, essendo poi commissario al suo processo di canonizzazione.

75 r. 239. O forse – perché no – un’altra cella di quel monte, magari legata all’insedia-mento eremitico promosso dal donnus Abraham di Fleri, lo stesso ricordato nel testamentodi Corsetto e sottoscrittore della permuta col Comune della terra del Balneum regine desti-nata ad Elia (supra, nota 36).

76 Sulla figura di Mansueto, per molti versi assimilabile a quella di frate Velasco e og-getto di culto locale, si veda ora l’accurata ricostruzione biografica fornita da Gabriele

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cedenti, esser sempre stati al fianco di Elia nella sua lunga dissiden-za 77, e che sembrano giunti a Cortona appositamente per seguirecon discrezione i suoi ultimi giorni 78. Essi si configurano dunqueabbastanza chiaramente come appartenenti alla cerchia dei frati piùvicini alla dirigenza dell’ordine e al papa, inviati probabilmente dalministro generale – che del resto aveva già inviato ad Elia almenoun’altra missione per tentarne, senza successo, il recupero – e che,almeno ufficialmente, entrano in azione solo all’indomani dell’asso-luzione impartita. Soprattutto fra Diotifece sembra difatti agire, inquanto sacerdote, come in veste ufficiale durante i tre ultimi giornidi Elia, assumendosi l’incarico di somministrargli di persona il via-tico e affiancando i compagni e familiari del morente nei contatticon i preti cortonesi la cui collaborazione risulta necessaria, dopol’assoluzione dalle censure, per la somministrazione degli ultimi sa-cramenti. All’assoluzione, tuttavia, egli tiene a precisare di non es-sere stato presente.

L’ultimo insieme è appunto quello composto dal clero cortonese: alsuo interno distinguiamo nettamente da una parte il gruppetto deipreti di quelle chiese della parte orientale della città di cui abbiamogià parlato – Ugo di San Cristoforo, Giunta di san Gorgio, prete Ner-cone qui moratur ad sanctum Marcum, pur essendo indicato da altri comeprete della chiesa suburbana di san Silvestro 79. E poi ancora, a testi-monianza di quell’osmosi tra clero urbano e rurale di cui si diceva, an-che prete Ventura di Sant’Angelo di Suchio 80: sono le chiese più vici-ne ai luoghi in cui Elia dovette vivere negli ultimi tempi, probabil-mente quelle da lui assiduamente frequentate, se tra le abitudini con-tratte negli anni trascorsi in intimità con frate Francesco e i suoi primi

Taddei (cui devo molti suggerimenti) nel recente volume Fra’ Mansueto da Castiglione. UnLegato Apostolico presso Pisa, Firenze, Londra e Parigi alla metà del Duecento, Firenze, 2010.

77 Né è casuale mi sembra, che nella verbalizzazione stesa dal notaio Bencivenne gli al-tri testimoni omettano sempre, parlando dei due soci di Elia, di aggiungere al titolo difrater la dizione de ordine fratrum minorum che usano, invece, per fra Mansueto (r.109) e fraDietifece (r. 77, 202-203). Al contrario nella sua deposizione Gianbonino indica allo stes-so modo, usando solo frater, tanto Angelo che Dietifece (r. 240).

78 sembra alludere al recente arrivo in Cortona dei due frati lo stesso Dietifece, chenella sua deposizione dice, riferendosi a un momento della sua presenza nella casa di Elia,che era presente anche Mansueto ‘qui secum venerat’ (r. 109).

79 r. 52-53, 183.80 r. 53. Ventura è l’altro prete che, stando alla deposizione di fra Dietifece (r. 142),

Elia avrebbe scelto come suo confessore nel tempo della sua infermità.

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compagni egli manteneva anche quella di satis libenter manere in ecclesiis,cui l’assisiate fa riferimento nel Testamento. Si distacca tra questi chie-rici, per la più esplicita dimestichezza con Elia, la figura del priore diCegliolo, Buono, che tiene ad esibire l’acquisita confidenza con l’ex mi-nistro generale, che più volte l’avrebbe scelto come suo confessore giàprima della malattia 81: il che ci dice che né l’interdetto gravante suCortona né le scomuniche personali fulminate su Elia impedivano lapratica della confessione privata. Per una settimana avanti la morte diElia, il priore lo visita a Cortona quasi ogni giorno, per parlare con lui,confortarlo nell’infermità e invitarlo a penitenza 82. É a lui che dopol’assoluzione frate Angelo e frate Dietifece chiedono l’eucarestia e l’oliodegli infermi con cui somministrare il viatico e l’estrema unzione almorente. La comunione, impartita da fra Dietifece, viene ricevuta daElia due giorni dopo la sua assoluzione con evidente commozione emolte lacrime, testimoni forse del ritrovamento di una pratica sacra-mentale questa sì impedita o ostacolata, per il laico Elia, dalla scomu-nica. L’unzione invece non venne probabilmente impartita: il priore silimita in realtà a dire di non aver potuto esaudire alla richiesta fattagliin tal senso perché la sua chiesa non aveva in quel tempo l’olio degliinfermi.

Si staglia infine su tutte la figura dell’arciprete Bencio 83, cheagisce come richiede il suo dovere d’ufficio su esplicita richiesta delmorente, il quale, nel giorno di Sabato santo, pur circondato da al-tri chierici proprio lui manda a chiamare 84 perché a tutti è chiaroche sua è la competenza ordinaria su quel passo, ormai possibile enecessario. Nella sua deposizione, Bencio rivela come più volte pri-ma della malattia aveva udito dire da Elia – c’era dunque tra i dueuna certa familiarità, non impedita dalle sanzioni caniche – che vo-lentieri egli avrebbe voluto recarsi dal papa per ottenere la remis-sione della scomunica, ma che il timore di essere incarcerato lotratteneva dal farlo 85. L’uno e l’altro, è evidente, sapevano bene che

81 r. 219-220.82 r 158-160.83 Su di lui vedi anche supra, nota 38 e testo corrispondente. L’editore del testimoniale (p.

53 nota 4) avanza anche la possibile identificazione del nostro con l’omonimo proprietario del-la domus confinante con le terre del Balneum regine cedute ad Elia dal comune nel 1245.

84 r. 30-31.85 r 18-21. Si tratta dello stesso timore che Elia, stando al racconto di Salimbene (Cro-

nica, p. 237), avrebbe manifestato a frate Gerardo da Modena inviatogli qualche anno pri-

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solamente l’imminenza della morte di Elia avrebbe dato all’arcipre-te la facoltà di assolverlo legittimamente da una censura altrimentiriservata alla sede apostolica e avrebbe al contempo liberato Eliadalla prospettiva di finire i suoi giorni assolto, ma in un carcere. Almomento giusto, dunque, l’arciprete fece quel che doveva, e lo fecenel modo giusto: agì pubblicamente, compiendo di fronte a testi-moni qualificati tutto ciò che la norma prescriveva e che era possi-bile fare in quelle circostanze: appurò e fece constatare a dei medi-ci 86 l’imminenza e l’ineluttabilità della morte, si sincerò della con-trizione dal morente per il proprio peccato di disobbedienza e lasua disponibilità a sottomettersi alla volontà del papa riguardo allescomuniche inflittegli in ragione della sua adesione a Federico odell’abbandono dell’ordine, fissò con lui i termini esatti degli impe-gni che si sarebbe assunto qualora fosse scampato dal male 87 e rice-vette pubblicamente di fronte a testimoni qualificati il giuramentocon cui garantiva quegli impegni. E solo allora, dopo aver fatto re-digere in forma pubblica dai tre notai appositamente convocati 88 itermini del giuramento ricevuto, egli assolvette Elia, sciogliendolodalla scomunica.

Il carattere platealmente pubblico e lo scrupolo per le garanzieformali che vengono richieste dal titolare della cura d’anime inquesta penitenza sacramentale è, al netto dell’eccezionalità del pro-tagonista, solo apparentemente inusuale: sono passaggi che ritrovia-mo identici – folla di qualificati testimoni e verbalizzazione notari-le comprese – nella procedura ordinariamente seguita nelle città daivescovi e dai loro delegati per ammettere alla sepoltura ecclesiasticagli usurai manifesti e quanti – e non erano pochi – riconoscesserod’aver percepito illeciti interessi su prestito 89. Con gesti ordinari,

ma dal ministro generale Giovanni da Parma per convincerlo, in nome dell’antica amiciziache li aveva legati, a riconciliarsi con l’Ordine.

86 r. 189.87 r. 33-38.88 r. 49.89 In M. PELLEGRINI, Attorno all’ ‘economia della salvezza’. Note su restituzione d’usura, pra-

tica pastorale ed esercizio della carità in una vicenda senese del primo Duecento in Cristianesimonella storia, 25 (2004), pp. 55-98, a pp. 87-90 fornisco alcuni esempi concreti attestatinella documentazione senese già anteriori alla norma sulla cautio notarile de restitutione fa-cienda che il canone 27 del II concilio lionese imponeva di consegnare al vescovo, al vica-rio o al parroco, per poter dar luogo alla sepoltura ecclesiastica di un usuraio manifestocui fosse già stata concessa l’assoluzione (vedi Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna,

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dunque, la Chiesa secolare di Cortona si premurò di sciogliere un’a-nima straordinaria dai nodi dolorosi che l’incatenavano: nessunopuò dire come le cose siano andate agli occhi di Dio, ma lo storicosa bene che quei gesti, pur ineccepibili, non servirono ad assicurarepace alla memoria terrena dell’uomo che avevano inteso salvare.

1973, p. 329). Cfr. anche la carta di cauzione novarese del 1252 citata da G. ANDENNA,« Non remittetur peccatum, nisi restituatur ablatum » (c.1, C. XIV, q.6).Una inedita lettera pa-storale relativa all’usura e alla restituzione dopo il secondo concilio di Lione, in Società, istituzioni,spiritualità, studi in onore di Cinzio Violante, Spoleto, 1994, pp. 98-99.