Medi e Persiani: dall'Iran al Mare Egeo, in Storia d'Europa e del Mediterraneo. Il mondo antico II....

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Capitolo VII MEDI E PERSIANI: DALL’IRAN AL MARE EGEO di ANDREA PIRAS 1. Le migrazioni degli Iranici nell’Altipiano Prima della nascita dello stato dei Medi – evento che segna il passaggio a forme piú organizzate di vita sociale, politica e militare – l’insieme delle in- formazioni sui periodi piú antichi della migrazione degli Iranici compone un disegno con zone d’ombra e tratti evanescenti, forniti dalla archeologia in confronto con testimonianze letterarie piú recenti (testi epico-religiosi dell’Avesta, il canone della religione zoroastriana), piú utili nel rilevare aspet- ti ideologici che elementi di cultura materiale. La espansione e completa ira- nizzazione dell’altipiano si effettuò in un periodo compreso tra il 1300 e il 900 a.C.: 1 verso il 1300 vi fu una prima ondata di indo-iranici nel sud-ovest dell’Iran, mentre la seconda ondata del 900 vedrà l’affermarsi di genti, tra le quali spiccano i Medi, registrati nelle fonti cuneiformi assire del IX secolo, a seguito di campagne di esplorazione degli Assiri verso est (iscrizioni di Sal- manassar III 835 a.C., nome dei “Medi” in varie cronache, annali, lettere e rapporti con onomastica meda: *Arya-, *Bagada 6ta-, *Dahyuka-). Nell’Iran occidentale vi erano altri popoli con cui gli Iranici vennero a contatto: Hurriti, Urartei e Mannei a nord, Elamiti e Cassiti a sud-ovest. Il vocabolo Hurriti, citato da fonti accadiche, rimandava a etnie dell’Iran nord- occidentale parlanti lingue iraniche, nella prima metà del primo millennio: i Mitanni (con i quali per la prima volta appaiono nomi indo-iranici) nel nord della Mesopotamia, gli Urartei e i Mannei. Al momento dell’arrivo degli Ira- nici nell’Altopiano vi erano quindi già delle genti parlanti lingue indoeuro- pee nel Vicino Oriente che già si erano incontrati con le popolazioni autoc- tone. Gli autoctoni verso il 1000 erano organizzati in piccoli stati-tribú: i Cassiti assorbiti poi in Mesopotamia, l’Elam ormai in declino nel sud-ovest dell’I- ran, in quella regione che sarebbe poi divenuta la Persia, con capitale Ansˇan (oggi Tall-e Malya 6n), ma nessuna di queste formazioni statuali era predomi- 1. M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 906-7. 305

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Capitolo VII

MEDI E PERSIANI: DALL’IRAN AL MARE EGEO

di ANDREA PIRAS

1. Le migrazioni degli Iranici nell’Altipiano

Prima della nascita dello stato dei Medi – evento che segna il passaggio aforme piú organizzate di vita sociale, politica e militare – l’insieme delle in-formazioni sui periodi piú antichi della migrazione degli Iranici componeun disegno con zone d’ombra e tratti evanescenti, forniti dalla archeologia in confronto con testimonianze letterarie piú recenti (testi epico-religiosidell’Avesta, il canone della religione zoroastriana), piú utili nel rilevare aspet-ti ideologici che elementi di cultura materiale. La espansione e completa ira-nizzazione dell’altipiano si effettuò in un periodo compreso tra il 1300 e il900 a.C.:1 verso il 1300 vi fu una prima ondata di indo-iranici nel sud-ovestdell’Iran, mentre la seconda ondata del 900 vedrà l’affermarsi di genti, tra lequali spiccano i Medi, registrati nelle fonti cuneiformi assire del IX secolo, aseguito di campagne di esplorazione degli Assiri verso est (iscrizioni di Sal-manassar III 835 a.C., nome dei “Medi” in varie cronache, annali, lettere erapporti con onomastica meda: *Arya-, *Bagada6ta-, *Dahyuka-).

Nell’Iran occidentale vi erano altri popoli con cui gli Iranici vennero acontatto: Hurriti, Urartei e Mannei a nord, Elamiti e Cassiti a sud-ovest. Ilvocabolo Hurriti, citato da fonti accadiche, rimandava a etnie dell’Iran nord-occidentale parlanti lingue iraniche, nella prima metà del primo millennio: iMitanni (con i quali per la prima volta appaiono nomi indo-iranici) nel norddella Mesopotamia, gli Urartei e i Mannei. Al momento dell’arrivo degli Ira-nici nell’Altopiano vi erano quindi già delle genti parlanti lingue indoeuro-pee nel Vicino Oriente che già si erano incontrati con le popolazioni autoc-tone.

Gli autoctoni verso il 1000 erano organizzati in piccoli stati-tribú: i Cassitiassorbiti poi in Mesopotamia, l’Elam ormai in declino nel sud-ovest dell’I-ran, in quella regione che sarebbe poi divenuta la Persia, con capitale Ansan(oggi Tall-e Malya6n), ma nessuna di queste formazioni statuali era predomi-

1. M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 906-7.

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nante o in espansione in questa area, benché nuovi eventi nei primi anni delsecolo del millennio dovettero di lí a poco cambiare gli scenari politici. Co-me l’espansione dell’Assiria e di Urartu e il progressivo inoltrarsi degli Irani-ci dentro il plateau, già con alcune caratteristiche loro proprie: natura tribaledella loro organizzazione sociale, distinta in “nazioni”, abilità nell’alleva-mento bovino, equino (negli Zagros) e dei cammelli (“battriani” a due gob-be, provenienti dall’Asia centrale), uso dei carri da guerra; la mancanza distrutture urbane non era dissimile dalla condizione autoctona che gli iranicitrovarono nell’Asia centrale e nel plateau, dove incontrarono pochi ed esiguiinsediamenti urbani.

La situazione etnica e politica di questo periodo registra un progressivo af-fermarsi dell’elemento iranico in una fase di affinamento e perfezionamentodelle sue potenzialità, a contatto con forme di elevata organizzazione statua-le, come quella degli Assiri, che esercitarono una forza di attrazione centri-peta e di influenza su molteplici piani (militare, politico) e che riguardò levicende di diverse stirpi. Non solo i Medi ma anche i Cimmeri, attivi spe-cialmente tra VIII e VII secolo in un vasto ambito territoriale che compren-deva Urartu, Frigia, Lidia, Ionia e gli stessi confini dell’Assiria, della cui for-za di attrazione imperiale risentirono, pur rimanendo un fenomeno margi-nalizzato che non si rafforzò in strutture politiche maggiormente articolate.2

2. I Medi: un impero mancato

La vicinanza della potenza neo-assira, che realizzò una grande espansionedi conquista per due secoli, dalla metà del IX in poi, fino alla caduta di Nini-ve nel 612 a opera dei Medi e dei Babilonesi, è un elemento di notevole im-portanza per la definizione della storia dell’antico Oriente, in un momentodi trasformazioni e sviluppi di nuovi assetti politici e forze emergenti: comeappunto gli Iranici, che transitarono nella sfera di influenza assira e che nefurono sensibilmente stimolati nella elaborazione di una propria cultura ecompattezza etnica, sociale, politica, economica e amministrativa. È il perio-do della cosiddetta « formazione di stati secondari »,3 non ancora pienamen-

2. G. Lanfranchi, I Cimmeri. Emergenze delle élites militari iraniche nel Vicino Oriente (VIII-VII sec.a.C.), Padova, Sargon, 1990, pp. 1-8, 218-19.

3. S.C. Brown, Media and Secondary State Formation in the Neo-Assyrian Zagros: an AnthropologicalApproach to an Assyriological Problem, in « Journal of Cuneiform Studies », a. xxxviii 1986, fasc. 1pp. 107-19, specifica che la qualifica di “Medi” deve riferirsi a popolazioni dello Zagros centrale

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te realizzati nelle loro possibilità di affermazione, ma comunque già signifi-cativamente presenti sulla scena geo-politica dell’epoca, legati agli Assiri daun sistema consolidato di alleanze tributarie e di vassallaggio. Tra questi rea-mi in formazione, quelli dei Medi furono senz’altro i piú ricettivi nell’assi-milare tecniche militari e consuetudini dell’ambiente della corte assira e del-la sua supremazia tattica e militare, al punto da diventare un corpo scelto diguardia nei palazzi di corte negli anni tra il 675 e il 672.4 Un accordo stipula-to tra Esarhaddon e i capi medi, in coincidenza con l’avvento di suo figlioAssurbanipal, impegnava le truppe mede a proteggere il re sotto giuramentidi fedeltà (adû) e a svolgere un servizio di lealtà come “ufficio della guardia”e “servizio alle porte”, in una situazione di confidenza e di vicinanza alla cor-te che favorí una maggiore acculturazione dei Medi nelle competenze belli-che e di governo.

Tali premesse furono determinanti nei processi di formazione delle aggre-gazioni mede, ormai in crescente mobilitazione secondo le dinamiche diquesti “stati secondari”, sviluppando capacità organizzative, difensive e offen-sive che li avrebbero portati a muoversi contro Ninive per distruggerla (nel612), seguendo la via che univa gli Zagros e che gli stessi Assiri avevano inse-gnato ai Medi.

Questa valutazione, insieme ad altre che ridimensionano le informazionidi Erodoto (i 95-106) sulla storia dei Medi,5 concorre a delineare nuovi orien-tamenti e prospettive che stemperano i dati classici in una comparazione contestimonianze dell’annalistica orientale, distinguendo commistioni tra storiae affabulazioni, rimaneggiamenti epici e leggendari che sarebbero confluitinel racconto erodoteo. Un tale approccio non nega valore alla fonte classicama anzi ne rileva lo specifico valore di resoconto – consono anche al gustopopolare per le gesta epiche dei sovrani achemenidi – e lo corrobora con in-formazioni primarie. Tutto ciò non spiega in ogni modo il problema di co-me attribuire ai Medi una connotazione imperiale: rimane anzi una questio-ne aperta e controversa, partendo dai dati che riguardano la dinastia ache-menide, risalire ai precursori Medi col rischio di applicare proiezioni e infe-

(nella piana di Kermanshah e a est della Grande Strada) identificate dagli Assiri con una ono-mastica indo-iranica.

4. M. Liverani, The Medes at Esarhaddon’s Court, in « Journal of Cuneiform Studies », a. xlvii1995, pp. 57-62. Su trattati e patti all’epoca di Esarhaddon cfr. F.M. Fales, L’Impero Assiro, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 197 e 313.

5. P.R. Helm, Herodotus’ Mêdikos Logos and Median History, in « Iran », a. xix 1981, pp. 85-90.

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renze desunte dalla situazione politica achemenide, senza cogliere le pecu-liarità del sistema di formazione statuale dei Medi; o, peggio ancora, facendodell’impero medo una fase preparatoria di quello achemenide. In realtà, sen-za negare l’apporto della dinastia che precedette l’affermarsi degli Acheme-nidi – a cui si dovrà accostare un piú durevole e incisivo apporto dell’Elam edella sua raffinata cultura di governo – una piú cauta prospettiva dubita chepossa applicarsi ai Medi la nozione di “impero”, non ritenendo sufficiente lapresenza di fattori occasionali – come la personalità di un capo o di singoligruppi, in una estemporanea visibilità di dinamiche aggregative e di organiz-zazione sociale – per definire un impero.6

Al contrario, è nell’avvento di Ciro II il Grande che si deve fissare il mo-mento in cui una stabile organizzazione nasce e si sviluppa con segni di unaprogettualità socio-politica destinata a una lunga durata e non limitata al suc-cesso di un individuo, che nel solo arco di tempo di un decennio seppe mu-tare la compagine geo-politica dell’antico Oriente. Il confronto tra fonti clas-siche (Erodoto) e cuneiformi (assire) non rivela uno stato medo o una pre-minenza di un re a capo di una struttura di stato permanente, ma solo di ca-pi locali come Umakistar (= Ciassare) che attaccò Ninive nel 612 o comeIstumegu (= Astiage) che 50 anni dopo combatté i Persiani, situazioni diprovvisorie confederazioni tribali in un livello germinale di organizzazionein cui doveva ancora formarsi una strutturazione delle varie componenti so-ciali ed etniche in un vero e proprio stato: con un governo centralizzato (bu-rocrazia e amministrazione); con una forza militare stabilmente ordinata inun esercito; con uno sviluppo di urbanizzazione (e consapevolezza di citta-dinanza); con una produttività economica in grado di fornire il surplus di ri-sorse necessario al mantenimento di uno stato.

E infine, con una affermata ideologia comune di legittimazione identitariaintorno ad alcuni valori fondanti (etnici, tribali, dinastici, mitico-religiosi) emanifestamente raffigurata in un’arte celebrativa e in una elaborazione cari-smatica della regalità e del suo legame con il mondo divino. Non mancanoindizi di tali elementi di una funzionalità di base: quanto dice Erodoto (i 131)sul re medo Ciassare, primo organizzatore di un esercito, sembra indicare uncambiamento nella strutturazione della forza militare; e si è ipotizzata una

6. H. Sancisi-Weerdenburg, Was there ever a Median Empire?, in Achaemenid History, iii. Methodand Theory, a cura di A. Kuhrt, H. Sancisi-Weerdenburg, Leiden, Nederlands Instituut voorhet Nabije Osten, 1988, pp. 197-212.

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gerarchia di mansioni politiche e burocratiche, sulla base di epiteti medi ri-costruiti linguisticamente, anche se non è sempre chiaro se si tratti di fun-zioni provvisorie e interscambiabili (ganzabara: un tesoriere o un capomagaz-ziniere?) o di uffici permanenti e istituzionali di una amministrazione con-solidata.7

Dai ritrovamenti dell’archeologia della cultura materiale vengono confer-me del quadro interpretativo che limita l’applicazione del concetto di imperoal periodo medo e consiglia prudenza nell’inferire forme e strutture socio-politiche mede sulla base della posteriore documentazione achemenide:8 co-me spiegare quindi le poche tracce archeologiche dei Medi? O ipotizzare unatipologia dell’abbigliamento medo a partire dai rilievi persepolitani o per altrioggetti, provenienti da zone distanti (Luristan, Oxus, Hamadan, Ziwiye), eimpropriamente catalogati come medi? La mancanza o la scarsità di testimo-nianze non determina certo l’inesistenza di un qualcosa di “medo” ma è co-munque un segnale di incongruenza che invita all’attenzione.

L’archeologia è quindi un valido strumento analitico per identificare trac-ce di movimenti etnici nell’Altipiano, in un periodo storico complesso e im-portante come l’Età del Ferro iii, nel sec. VII, in cui gli Iranici si affermanocome etno-classe politica emergente, in una vasta area geografica, eteroge-nea dal punto di vista climatico, topografico ed ecologico, con varietà equantità di risorse naturali e lungo importanti direzioni di vie che – inol-trandosi tra catene montuose (gli Zagros) e zone desertiche centrali – univa-no la Mesopotamia all’Asia centrale (strada del Khorassan). In questa dina-micità di flussi migratori, di acquisizioni e di potenzialità ambientali favore-voli, l’affermazione dei Medi non fu comunque tale da esprimersi nelle suecompiute realizzazioni, soprattutto in quella ideologia che avrebbe dovutotradursi in un’arte ufficiale, come strumento di identità e di coesione di ungruppo strutturato in una rete di competenze, ruoli e gerarchie, con un pro-gramma ufficiale e con un linguaggio di propaganda, tipico di uno stato.

Nessun dato concreto rimanda purtroppo a questo livello pre-achemeni-de di una produzione regia nella cultura materiale o artistica:9 i Medi riman-

7. H. Sancisi-Werdeenburg, op. cit., p. 209.8. B. Genito, The Material Culture of the Medes. Limits and Perspectives in the Archaeological Re-

search, in Un ricordo che non si spegne. Scritti di docenti e collaboratori dell’Istituto Universitario Orientale diNapoli in memoria di Alessandro Bausani, Napoli, Dipartimento di studi asiatici, 1995, pp. 103-18.

9. B. Genito, The Archaeology of the Median Period. An Outline and a Research Perspective, in IA, a.xl 1995, pp. 315-40.

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gono quindi all’interno di quel modello interpretativo e politico degli statisecondari, formazioni di unità tribali piú o meno confederate a seconda del-le circostanze ma senza una linea unificante e senza un’idea forza di con-densazione etnica e sociale; con organizzazioni minime di attività pastoralinomadiche; con residenze in insediamenti di fortificazioni (anche i siti attri-buibili ai Medi come la capitale Ecbatana = Hamadan non comportano indi-catori archeologici di stratificazione gerarchica o di pratiche funerarie).

2.1. Cronologia dei Medi. Dal concorso delle fonti classiche e orientali, e di-stinguendo tra realtà e distorsione dei testi, è possibile delineare le fasi sa-lienti della storia meda, nell’arco di tempo di due secoli (750-550), evitando alcontempo di incorrere nella teoria erodotea della successione degli imperi(Assiria, Media, Persia), per cogliere lo specifico della storia politica meda,dalla loro affermazione, dopo la caduta di Ninive (612), sino alla vittoria diCiro il Grande su Astiage (550).

Questa suddivisione in tre periodi comprende una prima fase (dal 750 al670) ricostruibile dalle iscrizioni assire dove i Medi (Mada6yu) sono detti rag-gruppati in tribú comandate da signori delle città (be6l a6li), insediati in manie-ri fortificati, con edifici-magazzini e di culto e una economia pastorale di ba-se (cavalli, cammelli);10 la loro posizione sulla strada del Khorassan è un ele-mento che suscitò l’attenzione degli Assiri verso queste regioni e una loropenetrazione, in un’epoca, quella di Sargon II (due ultimi decadi dell’VIIIsecolo) che vede la presenza assira nella regione al suo apice.

La seconda fase (dal 670 al 610) dopo Sargon II è quella del progressivo ri-tirarsi della Assiria che coincide con la primigenia formazione statuale meda,sotto la guida di Ciassare, il cui ruolo nella sconfitta di Ninive è confermatodalle cronache babilonesi, anche se la mancanza di dati rende difficile lacomprensione del ruolo effettivo di questo re, per cui rimangono due ipote-si: o Ciassare era già re di uno stato medo unificato prima della caduta di Ni-nive oppure è stato designato come leader comune nel momento dell’attaccoall’Assiria, e dopo questo evento avrebbe mantenuto tale posizione di domi-nio vantando crediti e consensi per la vittoria ottenuta.

La terza fase (dal 610 al 550) è quella che necessita di piú approfondite ana-lisi e ripensamenti per il fenomeno di abbandono degli insediamenti, para-

10. M. Liverani, The Rise and Fall of Media, in Continuity of Empire (?): Assyria, Media, Persia, a cu-ra di G.B. Lanfranchi, M. Roaf, R. Rollinger, Padova, Sargon, 2003, pp. 1-12, alle pp. 5-7.

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dossalmente nel periodo della massima espansione meda; e per l’aspettocombattivo e distruttivo dei Medi – come risulta dalle cronache babilonesi –che non lascia intravedere, oltre le razzie, pianificazioni di un dominio e diuna strategia unificatrice delle sparse aggregazioni di “re”, come anche i testibiblici del periodo tra la caduta di Ninive e quella di Babilonia, confermano:in Geremia (li 11) il profeta auspica la conquista di Babilonia a opera di unapluralità di “re” della Media alla testa di una coalizione di Urartei, Mannei eSciti.

Da questo insieme di informazioni appare sensibilmente ridotta la conti-nuità imperiale nella trafila erodotea di Assiria-Media-Persia e quindi la con-sistenza statuale e amministrativa dei Medi trasmessa agli Achemenidi; cosícome la geografia del regno medo si assottiglia notevolmente, risultandopriva di regni e province indipendenti come Persia, Elam, Assiria, Siria set-tentrionale, Armenia e Cappadocia; e piú a est Drangiana, Partia, Haraiva.Emerge invece un fattore di incidenza maggiore di una realtà etnica e cultu-rale diversa, l’Elam, situato in quelle zone sud-occidentali in cui si stanzieràl’elemento persiano, vicino alla capitale elamita Ansan, nei cui pressi sorge-ranno i futuri siti achemenidi di Pasargade e Persepoli.

L’Elam esercitò un influsso piú durevole negli albori del futuro imperoachemenide, fornendo un sistema di scrittura cuneiforme e una lingua (l’ela-mico) che risulterà fondamentale nell’amministrazione imperiale e in altridocumenti epigrafici (iscrizioni regie achemenidi, insieme al babilonese e al-l’antico-persiano). Al contrario, la mancanza di un sistema di scrittura e diuna lingua meda sottolinea ulteriormente la debolezza culturale dei Medi –e anche la mancanza di autodefinizione di “medo” o “Media” – nel fornirequegli strumenti di centralizzazione burocratica, di tradizione statuale e diuna attività scribale e archivistica,11 unita a un sistema di relazioni e di capa-cità organizzative etno-sociali e politiche, propri invece dell’Elam e in speciedi quel regno neo-elamita (750-653) che prosperò nella zone del sito diAnsan, nella pianura del Marv Dast, che si chiamerà Persia (il Fa6rs attuale).

Il ritrovamento di edifici (palazzi, templi) e di scrittura su tavolette testi-moniano quello che sarà il nerbo strutturante di ogni futura organizzazionepolitica achemenide, tale da far sí che i primi sovrani achemenidi, a partireda Teispe fino a Ciro II, assumessero il titolo di “re di Ansan” – subentrando

11. Un diverso punto di vista, a favore di un maggiore apporto medo, è invece quello di J.Harmatta, The Rise of the Old Persian Empire: Cyrus the Great, in AAntHung, a. xix 1971, pp. 3-15.

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agli elamiti battuti da Assurbanipal nel 646, la sconfitta dei quali lasciava spa-zio di affermazione per l’elemento persiano – non fregiandosi invece del ti-tolo di “re della Media”. Vi è quindi la prova di una intenzionale assimila-zione di titoli, consuetudini e prodotti culturali elamiti considerati di presti-gio tra i Persiani, non ultimi quegli elementi di lusso dell’Elam nell’abbiglia-mento (vesti, monili) e nelle attrezzature di guerra (carri argentati, pugnalid’oro) che impropriamente vennero registrati dai Greci come un “lusso me-do” (forse dagli Ioni d’Asia, memori delle conquiste di Ciassare contro la Li-dia). Un esempio significativo – a ogni modo – di quanto fosse propagata larinomanza delle gesta dei Medi, testimoniata comunque dopo la conquistapersiana dall’inserimento dei Medi nei quadri governativi e militari del na-scente impero achemenide, una fama che originò in ambito ellenico l’appel-lativo di “medismo” per quei Greci affascinati dalla ricchezza dell’Oriente esospettati di tradimento e cospirazioni anti-elleniche col nemico persiano.12

3. Gli Achemenidi

3.1. Ciro II, il Grande (559-530). Nonostante una maggior problematicità eridefinizione dell’eredità meda, nel confronto con l’Elam, è in ogni caso danotare la dinamica di convivenza tra Medi e Persiani in quegli anni di decli-no della potenza assira, dopo il 670 e fino alla sconfitta del 612, che vedonocompresenze di forze in contrasto, tra Assiri e Iranici e tra gli Iranici al lorointerno: Kastaritu (= Fraorte/Fravartis) che oltre ad attaccare gli Assiri sotto-mette Teispe re di Ansan (ca. 675-640), sito della futura Persia; Deioce eFraorte II, contemporanei di Ciro I (ca. 640-600); Ciassare che oltre a di-struggere la potenza assira sottomette Cambise I (ca. 600-559), padre di CiroII. La morte di Ciassare segna la fine dell’espansione meda e preannuncial’avvento di Ciro II in una serie di circostanze proficue che lo porteranno aconquistare velocemente una estensione che andava dalla Asia Minore all’A-sia centrale. La situazione di alleanze politiche, commerciali e matrimonia-li, con i regni di Babilonia, Egitto, Cilicia e Lidia, e piú a est con la Battriana,promosse dal lungo regno di pace (584-50) dell’ultimo re medo, Astiage

12. Sui diversi significati e applicazioni di questo termine, cfr. D.F. Graf, Medism: The Originand Significance of the Term, in JHS, a. civ 1984, pp. 15-30, e C.J. Tuplin, Medism and its Causes, in« Transeuphratène », a. xiii 1997, pp. 155-85, per distinguere tra aspetti politici e fattori legati allamoda e al gusto esotico dei Greci verso il lusso persiano e l’imitazione nell’abbigliamento, neibanchetti, nelle arti e nell’architettura.

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(= Istumegu), faceva dello scacchiere medio-orientale un territorio di pro-gressive acquisizioni a effetto domino, a partire dal vertice della Media (edella capitale Ecbatana) sino ai regni alleati con Astiage, di volta in volta in-corporati da Ciro II che al momento della sua entrata in scena, nel 559, si tro-va a fronteggiare regni antichi e di prestigio: l’Egitto del faraone Amasi (concapitale Sais), l’Elam di Ummanis (con capitale Susa), la Lidia di Creso (concapitale Sardi), la Babilonia di Nabonedo (con capitale Babilonia). La docu-mentazione su Ciro II presenta una varietà di toni, dal resoconto storico adaffabulazioni epiche, che convivono nello stile dell’annalistica orientale e inuna circolazione narrativa attestata anche nel mondo greco, visto che lo stes-so Erodoto, nell’esordio del lógos di Ciro (i 95) avvisa il lettore di tre versionidella vita di Ciro; oltre alla sua che non intende magnificare il sovrano maesporre il racconto vero del fondatore dell’impero persiano, rifiutando que-gli elementi epici e soprannaturali presenti in altre saghe, accettati da autoricome Senofonte (nella Ciropedia) che provavano una certa simpatia per il ree ancor piú per il modello di virtú militare, etica e civica che rappresentava.

Un altro problema è quello della composizione tribale delle genti persia-ne e della genealogia degli Achemenidi che dopo Teispe si divide in due oforse piú linee dinastiche che nell’epoca di Ciro vengono riunite sotto la su-premazia del clan achemenide della tribú dei Pasargadi, la piú nobile, comeriporta Erodoto (i 125) in un passo che enumera anche altre stirpi (Mará-phioi, Máspioi).13 L’impatto di una varia e energica aggregazione che partivadal sud della Perside fu in grado di avere ragione non solo della Media, con-quistando la sua capitale Ecbatana (al termine di un triennio di ostilità, 553-550) ma di vedersi aperte le vie di accesso che da Ecbatana portavano versol’Asia centrale (con le cui genti Ciro perpetuò la politica di alleanze inaugu-rata da Astiage).

A Occidente, muovendosi verso la Lidia, e superando il confine con laMedia, lungo il fiume Halys (l’odierno Kizil Irmak, nell’Anatolia centrale),Ciro andava contro il re lido, Creso, nel periodo tra il 547 e il 546, anno del-la presa di Sardi, l’eco della cui sconfitta fu pari nel mondo antico a quella diNinive, vista la rinomanza dei dinasti lidi per la grecità di confine tra Orien-te e Occidente.14 Dopo la presa di Sardi, al termine di un assedio di 14 giorni

13. R.N. Frye, The History of Ancient Iran, München, Beck, 1984, p. 89.14. Cfr. sulla Lidia e sulla Ionia i capp. iii e iv di S. Mazzarino, Tra Oriente e Occidente. Ricerche

di storia greca arcaica, Milano, Rizzoli, 1989.

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Ciro riparte per Ecbatana con Creso, lasciando i suoi generali medi, Mazárese dopo di lui Arpago, che conquistano progressivamente in quattro anni laLicia, la Frigia e la Caria non riuscendo tuttavia a garantire stabilità perma-nenti, anche servendosi di quadri dirigenziali locali,15 come nel caso dellasommossa condotta dal lido Pakties a cui Ciro aveva assegnato la gestionedei tributi; il che dimostra come fosse incerta la cooperazione tra la etno-classe dominante dei Persiani e gli ambienti dei nuovi sudditi che potevanofornire competenze nel territorio.

Dopo la Lidia, Ciro indirizza la sua azione verso la parte superiore dell’A-sia (Erodoto, i 177-78), nel periodo tra il 546 e il 539, e contro gli “Assiri” (= iBabilonesi), conquistando Babilonia nell’ottobre del 539, un altro evento dinotevole fama nella storia del Vicino Oriente: dopo un ingresso trionfale evittorioso, viene acclamato dalla popolazione verso cui si presenta come re-stauratore del culto del dio Marduk, facendosi garante delle esigenze del cle-ro di Marduk contro il re Nabonido, sostenitore del dio lunare Sin. Questoaccadimento fu l’emblema di una intelligente e strategica politica religiosa diacculturazione, tolleranza e convivenza che si perpetuerà nella storia ache-menide e che può considerarsi in parte come una innovazione (rispetto allerepressioni di alcuni sovrani mesopotamici); e in parte come una continua-zione della politica di alcuni sovrani dell’Assiria, in particolare di Assurbani-pal, restauratore dei culti babilonesi, al cui operato Ciro si conforma, come sievince dal testo del Cilindro, utilizzando un linguaggio di propaganda dove siproclama « re del mondo, gran re, re potente, re di Babilonia, re dei paesi diSumer e di Akkad, re dei quattro angoli del mondo ». Dalla conquista di Ba-bilonia derivarono anche benefiche conseguenze per gli abitanti ebrei, de-portati dai territori siro-palestinesi, che salutarono l’arrivo di Ciro con accen-ti messianici per la liberazione dalla “cattività babilonese”. Non è facile valu-tare la storicità delle fonti bibliche, e bisogna anzi distinguervi rimaneggia-menti ideologici e confessionali che presentano Ciro il Grande come « untodel signore », in base a connotazioni di uno schema messianico che indiriz-zava verso il re persiano attese di riscatto dell’ebraismo. È comunque rimar-chevole che queste aspirazioni religiose e politiche concordino col program-ma del sovrano che si fa garante – cosa del tutto nuova fino allora – di ren-dere giustizia alle vittime di un suo predecessore e al loro dio, Jahwé in que-sto caso, ponendo le basi di un universalismo che influirà sulla storia cultu-

15. P. Briant, Histoire de l’empire perse, Paris, Fayard, 1998, pp. 47-48.

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rale e politica di Israele, almeno fino al regno di Dario, per esaurirsi con Ser-se.16

Gli avvenimenti che riguardano l’Egitto (nel periodo del faraone Amasi)coincidono con gli ultimi anni della vita di Ciro II e si sovrappongono all’a-scesa di suo figlio Cambise. La scarsità di fonti e la inattendibilità delle in-formazioni non confermano – al di là delle intenzioni – la spedizione di Ci-ro II che invece morirà (nell’estate del 530) per mano della regina Tomiri inuna zona del tutto differente, durante la spedizione contro i nomadi Massa-geti nelle regioni caspiche.

3.2. Cambise. Dopo la morte di Ciro in Asia centrale, Cambise gli subentròsenza apparenti contrasti, viste le disposizioni volute dal padre, divenendo renel 529. Alcuni dati babilonesi e il iii libro di Erodoto sull’Egitto (spedizionedel 525-522), piú qualche notizia aneddotica di autori come Senofonte (Ciro-pedia, viii 8 2), tratteggiano una fase di decadenza per il suo regno, anche acausa di insensatezze del suo comportamento – la cosiddetta « follia » diCambise – avvenute durante la campagna contro la dinastia egiziana saitica(al potere dal 664): al ritorno da Menfi fu colto da violenta intolleranza con-tro dèi, templi e sacerdoti (episodio dell’uccisione del toro Api, in Erodoto,iii 29), in totale contrasto con la politica benevola di Ciro. Tuttavia il reso-conto erodoteo appare viziato da intenti polemici anti-persiani e vanno bi-lanciato con iscrizioni egiziane che lo descrivono come « Re dell’Alto e Bas-so Egitto ». Non solo, ma i suoi rapporti con gli ambienti locali denotano unelevato grado di acculturazione: nell’assumere titoli ed epiteti regali che gliconsentissero di presentarsi al popolo come legittimo erede della dinastiasaitica, facilitando altresí il mantenimento degli usi egiziani in materia di am-ministrazione (militarmente vi rimase invece una guarnigione).

La conquista dell’Egitto fu preceduta da un importante programma di raf-forzamento della flotta, la cui effettiva creazione, a seguito di apporti tecnicidell’ambiente fenicio e dell’Asia Minore, si deve proprio a Cambise; comepure la conquista di Cipro,17 sottratta al faraone Amasi, un fondamentaleavamposto nevralgico per il dominio persiano del mare – a causa della sua

16. G. Garbini, Storia e ideologia dell’Israele antico, Brescia, Paideia, 1986, par. 7, alle pp. 128-29;134-36.

17. A. Zournatzi, Persian Rule in Cyprus: Sources, Problems, Perspectives, Atene, De Boccard, 2005,pp. 71-73.

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posizione nella rete di rapporti politici e commerciali tra Fenicia, Persia eGrecia – e come base navale per future conquiste (in specie negli ultimi an-ni di Serse e nel regno di Artaserse I). Un tale potenziamento della flottapermetteva di agire su un vasto spazio marittimo che nel periodo tra Ciro eCambise si estendeva sul Golfo Persico, sul Mediterraneo e sul Mar Nero;inoltre, la conquista dell’Egitto apriva anche spazi verso regioni interne co-me la Nubia a sud, la Libia e la Cirenaica a ovest, il cui progetto di conquistaperò non riuscí.

3.3. Dario I. Prima della salita al trono di Dario nel 520 bisogna distinguereun periodo di tumulti che dalla morte di Cambise (522) si protrae per circadue anni e vede alla ribalta la figura di Bardiya/Smerdi, rivale di Dario inuna vicenda di finzioni e dissimulazioni, dai tratti romanzeschi e di fortunaletteraria, tanto in Oriente quanto nell’Occidente greco. Uno degli atti cri-minosi di Cambise fu l’uccisione del fratello (Smerdi in greco, Bardiya in an-tico-persiano), per invidia e per timore di essere spodestato e ucciso dal fra-tello, inviato in Persia. A questo delitto segue l’episodio del “falso Smerdi”,un racconto di novellistica erodotea (iii 61) sul contrasto fra menzogna e ve-rità, costruito su infingimenti e cospirazioni, a partire da due fratelli, dueMagi: uno, Patizeiti, custode della dimora di Cambise, venuto a conoscenzadella segreta morte di Smerdi si ribella e si impadronisce del regno, serven-dosi del proprio fratello, uguale a Smerdi nell’aspetto e per di piú con lo stes-so nome.

La versione del racconto nella iscrizione di Dario a Bisitun menziona unBardiya (Smerdi) ucciso da Cambise e aggiunge che il popolo ignorava que-sto crimine; durante il viaggio di Cambise in Egitto il popolo divenne slealee preda della ribellione. Segue l’accenno al mago Gauma6ta che si proclamaBardiya, figlio di Ciro e fratello di Cambise, e si prende il regno (1o luglio522). Dario rivendica l’appartenenza del regno alla sua famiglia, che lo pos-siede da lungo tempo, e lamenta il fatto che non vi sia nessuno in grado di ri-conoscere e smascherare il temuto mago, almeno fino al suo interventoquando, per grazia del suo dio Ahura Mazda6 e con l’aiuto di altri sei congiu-rati, che saranno insieme a Dario i capostipiti delle sette grandi famiglie del-la nobiltà persiana, riuscirà a ucciderlo (29 settembre 522), conquistando lasovranità e compiendo varie opere di ripristino (proprietà sottratte alla casa-ta, templi distrutti, pascoli rubati alla popolazione). Dalla iscrizione di Bisi-tun si ricostruisce anche la linea genealogica di Dario, che da un confronto

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con altri testi cuneiformi (Cilindro di Ciro) o classici (Erodoto) rivela variazio-ni in una successione che diverge da Ciro il Grande: nel secondo paragrafodi Bisitun si ha, a ritroso, Dario, Istaspe, Arsame, Ariaramne, Teispe, Ache-mene; mentre in Erodoto (vii 11 2) Serse enumera Dario, Istaspe, Arsame,Ariaramne, Teispe, Ciro, Cambise, Teispe, Achemene. In ambedue i casi viè una sintonia nel presentare le due linee genealogiche come un’unica dina-stia, il che conferma la diffusione di questo lignaggio – nelle provincie del-l’impero achemenide o ai confini, tale da giungere all’attenzione di Erodotoo della sua fonte – anche se in due liste, che hanno comunque uno stesso ca-postipite, Achemene, ma due linee diverse che si separano dopo Teispe: una(corrispondente in parte alla lista del Cilindro di Ciro) che arriva a Ciro ilGrande e un’altra, quella dell’iscrizione di Bisitun, che si conclude con Darioe che deve essere stata inventata a scopo di legittimazione e giustificazionedella sua ascesa al trono.

La differenza tra il documento orientale e Erodoto testimonia il contrastofra una storiografia dinastica, autoreferenziale e centrata sulla figura del so-vrano che parla in prima persona per garantire la veridicità del suo discorsoed esortare l’ascoltatore a un rispetto dovuto alle sue gesta, compiute sotto laprotezione della divinità e a maggior ragione prive di menzogna. Dall’altra,la storia di Erodoto (e poi di Ctesia e Tucidide) è opera di cittadini,18 di sin-gole personalità che infrangono il monopolio regio dell’annalistica orientalee di una storiografia di corte, autocelebrativa e di prestigio, rivolta verso sud-diti, a cui oppongono una investigazione privata, scevra da intenzioni di le-gittimazione dinastica, riportando avvenimenti che non sono sottoposti algiudizio del sovrano, per essere approvati o respinti.

3.3.1. Ulteriori conquiste di Dario. Nei primi tre anni del suo regno Dario fuimpegnato a rafforzare la propria autorità sopprimendo delle rivolte nell’E-lam e organizzando una spedizione contro le popolazioni scitiche (Saka)dell’Asia centrale, per arginare lo sconfinamento dei nomadi ma forse ancheper il desiderio di emulare le gesta di Ciro, e al contempo di vendicarne lasconfitta – è opinabile che fossero da intendersi gli Sciti europei della Russiameridionale. Mentre l’Egitto veniva riannesso, dopo le rivolte di Babilonia,nell’inverno tra il 519 e il 518, nello stesso periodo emanava un decreto che

18. O. Klíma, Wie sah die persische Geschichtsschreibung in der vorislamischen Periode aus?, in ArchO-rient, a. xxxvi 1968, pp. 213-330, alle pp. 219-20.

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permetteva agli Ebrei tornati in Palestina di riedificare il Tempio (Esdra, vi 1).A Occidente, sul fronte dell’Egeo, l’occupazione di Samo negli anni tra il 520e il 519 costituiva una fondamentale acquisizione di grande importanza geo-grafica, strategica e commerciale per l’egemonia achemenide negli spazi ma-rittimi.19

La campagna di conquista verso l’India si desume da un’altra iscrizione re-gia (DPe, Kent p. 136) che nomina oltre a Hindus anche regioni del confineindo-iranico come l’Arachosia e il Gandhara. L’esplorazione del fiume Indoe, al ritorno, della rotta del Mar Rosso vennero compiute dall’ammiraglioScilace di Caria che aprí una via di comunicazione tra India e Egitto; lo stes-so che forse incitò Dario a intraprendere lo scavo di un canale dal Nilo alMar Rosso, nel 498, a completamento di un progetto iniziato dal faraoneNecho (610-595), un’impresa che fece apparire Dario agli occhi del popoloegiziano come il legittimo erede dei grandi re dell’Egitto.

L’ultima spedizione di Dario, quella della Grecia conclusasi con la disfattapersiana a Maratona (nell’agosto del 490), fu motivata dalla rivolta della Ionia– nella fascia costiera dell’Asia Minore – suscitata da alcuni gesti avventati deiGreci (Ciprioti, Cari, Ioni) che espugnarono e bruciarono Sardi (498), anticacapitale della Lidia e ora punto nevralgico della via regia che univa l’Asia Mi-nore a Susa. La sollevazione ionica – che provocò anche molte critiche da par-te ellenica – fu motivata dal timore che il dominio persiano sui traffici mer-cantili potesse estendersi sul Bosforo e sul commercio con la Scizia meridio-nale e con l’Egitto. La spedizione contro la Grecia – che comportò l’annessio-ne della Tracia e della Macedonia, a opera del generale Mardonio – vennecondotta non solo per punire l’intervento greco a supporto della Ionia ma an-che per garantire all’impero achemenide il dominio sui mari, ponendo cosí lebasi di un controllo marittimo, avversato però dall’egemonia greca: che spe-cialmente dopo Maratona preparò la riconquista di alcune isole dell’Egeo,inaugurando una dialettica di conflitti che sarà ricorrente fino alla seconda di-sfatta persiana a Salamina, nel periodo di Serse. Ma Dario morí in età avanza-ta nel 486 e non riuscí a organizzare una controffensiva dopo Maratona.

3.3.2. Ideologia, carismi del Gran Re e scenografia imperiale. Con Dario I si inau-gura la consuetudine achemenide di assumere “nomi di trono”: tra questi il

19. A. Panaino, Silosonte “benefattore del re” e la conquista persiana di Samo, in Samo. Storia, letteratu-ra, scienza, a cura di E. Cavallini, Pisa-Roma, Iepi, 2004, pp. 225-47.

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piú ricorrente sarà quello di Dario (se ne contano tre), di Serse (due) e di Ar-taserse (tre), a causa del prestigio e del carisma evocato da una tale onoma-stica beneaugurale – a cominciare dal fondatore eponimo della dinastia,Achemene (Haxa6manis, ‘che ha una mente di seguace’) – nota anche ai Gre-ci, che osservavano come i nomi persiani corrispondessero alle qualità delcorpo e alla nobiltà dell’animo (Erodoto, i 139). Prima di Ciro il Grande e diCambise non era cosí evidente la pratica di assumere nomi che denotavanol’intento di impersonare elevate facoltà spirituali e morali: come la bontà, latemperanza e la giustizia, non meno che la forza o la virtú guerriera e di co-mando. Nomi come quelli di Dario (‘colui che tiene il bene’), Serse (‘che do-mina gli eroi’), Artaserse (‘che ha il giusto dominio’) compendiano il passoerodoteo (i 136) sull’apprendistato sia marziale sia etico dei fanciulli persianie rivelano ugualmente la duplice formazione educativa – e si direbbe il pro-gramma di governo – del buon re achemenide, cui non difetta, inoltre, l’aiu-to divino.

Qualità personali e assistenza divina sono infatti strettamente interdipen-denti – nella testimonianza delle iscrizioni achemenidi come nei testi greci –a cominciare dalla stessa elezione del re: nel caso di Dario, nell’episodio delnitrito del cavallo al sorgere del sole, segno oracolare abilmente manipolatodallo scudiero Ebare, che sanziona la vittoria di Dario sugli altri sei preten-denti a cavallo, convenuti a un giudizio di scelta divina espressa dalla mani-festazione solare, astro che al pari della luna simboleggia importanti ierofa-nie della religiosità persiana. Il volere del dio supremo Ahura Mazda6, piúvolte menzionato nelle iscrizioni regie, è garanzia di riconoscimento e di le-gittimazione del sovrano, e di concessione del regno (xsaça) il quale vienequindi protetto, insieme al popolo, da conflitti e ribellioni che vengono equi-parate alla Menzogna, entità malefica di disordine morale, metafisico e poli-tico. Nella maggiore iscrizione di Dario, quella di Bisitun – come in altre dif-fuse in vari siti dell’impero – viene ripetutamente dichiarato il programmaideologico che commisura il Gran Re al Gran Dio, Ahura Mazda6; altrove siprecisano le elargizioni divine, la creazione del cielo e della terra, dell’uomoe del benessere di quiete per l’uomo: sia la divinità che Dario possono com-piere gesti creativi mirabili di eccellenza (frasa), belli a vedersi, nel caso del reopere di edificazione architettonica che sono presentate all’ammirazione deisudditi. Alla magnificenza del re, corroborata dalla temperanza, dal dominiodegli istinti, dalla saggezza e dalla protezione del debole, non possono ovvia-mente mancare le virtú della guerra e dell’abilità nelle armi (lancia, arco), sia

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a piedi che a cavallo. Il re achemenide, diversamente da altre concezioni del-la sovranità, che in ambito indoeuropeo si esprimono con la qualifica di re« che traccia la giusta direzione », risulta essere piú una figura investita da unpotere (xsa6y-) che eredita funzioni e carismi delle monarchie vicino orienta-li di Urartu, di Assiria e di Babilonia, perpetuando la loro articolata costru-zione ideologica di rappresentazioni e scenografie del potere.

La ricchezza di monumenti, e di testimonianze iconografiche della ideo-logia regale achemenide, autorizza a considerare questo periodo come un“impero dei segni”,20 in cui il lascito culturale delle tradizioni imperiali me-sopotamiche e la centralità della figura del sovrano configurano uno spaziodi rappresentazioni il cui punto focale è il re. Dal Gran Re si effonde tuttoun sistema di gerarchie, di luoghi e momenti deputati all’incontro con i suoifunzionari, come la raffigurazione del corteo di popoli sudditi, di nazioni,doni e tributi che magnificano, in una processione di onori e di sottomissio-ni, la grandezza del monarca, ritratto nei rilievi architettonici di Persepoli edella sua terrazza, o nelle tombe di Naqs-e Rostam. Le vestigia delle grandiopere urbanistiche del re costruttore Dario – a Persepoli, Susa, Pasargade,Babilonia, Ecbatana – sono uno racconto visivo, corredato spesso da iscrizio-ni cuneiformi su statue, palazzi e finestre, che illustrano le imprese del GranRe: come la sequela degli avversari sconfitti e legati, nella iscrizione di Bisi-tun; o la schiera dei popoli, dall’India all’Egitto, che reggono il suo trono. Ètutta una celebrazione dell’ecumene achemenide che converge sul punto fo-cale del re Dario, centro da cui si irradia la periferia di regioni incluse in unmondo circolare di territori e provincie, costruito intorno alla Persia, con-quistato – dice una iscrizione – dalla lancia dell’uomo persiano che è andatalontano. Intorno al re – assiso in trono, protetto da un ombrello, guardato al-le spalle – si può vedere in occasione della udienza l’atteggiamento supplicee rispettoso di chi si avvicina, le dita alla bocca, la postura inclinata – talvoltafino a quel gesto di adorazione e prostrazione (proskynesis) considerato daiPersiani come un omaggio « davanti all’immagine del dio che provvede al-l’universo » (Plutarco, Vita di Temistocle, xxvii 4-5).

La struttura gerarchica della corte non esclude comunque il popolo delsovrano, ripetutamente menzionato nelle iscrizioni, insieme a quella “gran-de terra” su cui si esercita il governo del re, fino al punto di esserne il giardi-

20. Una definizione che P. Briant, Histoire de l’empire perse, Paris, Fayard, 1996, p. 16, ha mu-tuato dal titolo del libro del semiologo R. Barthes, L’empire des signes, Paris, Flammarion, 1970.

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niere, come testimonia Senofonte (Economico, iv 4) a proposito di Ciro, ri-portando un’usanza di antiche origini assire. Il popolo è quindi insieme allaterra la base dell’azione mediatrice del re, fra questo mondo e quello celestedel dio supremo che elargisce benefici e protezione, oltre a legittimare la so-vranità. Del resto, lo stesso sacrificio (Erodoto, i 132) eseguito dai sacerdotipersiani – i Magi – viene compiuto non solo per la fortuna del re ma ancheper quella dei Persiani, affermazione che riecheggia numerosi passi delleiscrizioni achemenidi in cui l’identità etnico-culturale “aria” e persiana ri-vendicata dal sovrano si estende a tutto il regno,21 con toni di un forte senti-mento di orgoglio nazionale e di sollecitudine verso un popolo su cui si in-voca felicità e benessere.

3.3.3. L’organizzazione dell’impero. L’aspetto innovatore del regno di Darioconsistette nel perfezionamento di quanto Ciro e Cambise avevano iniziato;e questo è particolarmente evidente nella pianificazione di una efficiente in-frastruttura imperiale, funzionale nella rapidità delle comunicazioni tra cen-tro e periferia all’interno di un vasto territorio controllato da una rete di fun-zionari, da una burocrazia ben coordinata e da una amministrazione di cuisono rimaste importanti testimonianze in varie lingue (documenti economi-ci, contratti). L’efficacia di un tale sistema di organizzazione non sarebbe sta-ta pensabile senza una attenta progettazione della viabilità: strade, vie regie,tratte mercantili di terra, di fiume o di mare, canalizzazioni, opere di inge-gneria e di costruzioni di ponti che non ostacolassero la navigazione; svilup-po di una segnaletica col fuoco (pyrsetica) per comunicazioni a distanza, cheverrà impiegato anche dai Greci. Se oltre a ciò valutiamo il ruolo primariodella scrittura e l’abbondanza di testi in varie lingue (aramaico, babilonese,elamita) delle cancellerie e degli archivi, oltre alle già citate iscrizioni regie inantico-persiano, si ha un quadro ancor piú completo dell’abilità persiana nel-l’aver creato una articolata catena di comando e di mansioni, di pratiche econsuetudini amministrative, giuridiche, economiche. Per tutti questi aspet-ti si potrebbe quindi estendere anche alle istituzioni achemenidi la qualificadi “impero della comunicazione”,22 nel segno di una multiculturalità non

21. Gh. Gnoli, Presentazione della storia e identità nazionale nell’Iran antico, in Presentazione e scrittu-ra della storia: storiografia, epigrafi, monumenti, a cura di E. Gabba, Como, New Press, 1999, pp. 77-99,a p. 79.

22. Coniata per l’impero assiro da G. Lanfranchi, in AA.VV., Lettere dalla corte assira, intr. di G.Lanfranchi, trad. e commento di F.M. Fales, Venezia, Marsilio, 1992, p. 25.

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appiattita sull’idioma della etnoclasse dominante ma anzi esaltata da una va-rietà linguistica, non solo nelle registrazione di archivio ma nella diffusionedella parola del re, in piú lingue e con diversi sistemi di scrittura e di mate-riali (iscrizioni, papiri, pergamene), in modo da rendere i suoi editti cono-sciuti « a ogni provincia secondo la sua scrittura e a ogni popolo secondo lasua lingua » (Ester, viii 9).

La capillare attestazione di una importante lingua franca come l’aramai-co, da un estremo all’altro dell’impero, non fu comunque un fattore diesclusione di altre lingue locali, come dimostrato dalla vitalità di idiomi (li-dio, licio, frigio, greco) che nella fascia intermedia tra iranismo ed elleni-smo,23 in Asia Minore, rappresentavano elementi di una situazione di note-vole interferenza culturale: non solo a livello della comunicazione – bilin-guismo, interpreti, scribi – ma in tutta una serie di relazioni diplomatiche,di trattative e negoziazioni tra la corte del Gran Re e quelle periferiche deiSatrapi, dotati di un personale specializzato nella corrispondenza ufficiale edi archivio.

La creazione di satrapie a cui presiedeva il ruolo e il titolo del satrapo, eraun sistema efficiente di controllo ramificato che consentiva di far affluire alcentro del potere beni e risorse di vario genere dall’ecumene, specialmentedoni, tributi, leva militare. Il satrapo esercitava una funzione di “protettoredel regno”, come indica la etimologia del suo epiteto, con il compito di ga-rantire la legge del re e amministrare la giustizia; piú che un semplice fun-zionario era un fedele del sovrano che dipendeva strettamente da lui e dalsuo potere decisionale di nomina, vista la delicatezza di un incarico che inmomenti difficili e di conflitto poteva trasgredire alla norma corrente di rap-presentanza del Gran Re, con ribellioni o tendenze separatiste a formareprincipati indipendenti. Da ciò la necessità di un controllo ulteriore, di unasupervisione affidata a ispettori regi – chiamati secondo le fonti classiche« occhi del re » o « orecchi del re » – alti ufficiali addetti alla sorveglianza chepercorrevano l’impero con proprie truppe per riferire al sovrano l’operatodei suoi governanti.

La relazione di fedeltà tra il re e i suoi sudditi si esprime con un termineche indica un legame (bandaka6, malcompreso dai Greci come ‘schiavo’, doú-los), un vincolo di alleanza rinnovato periodicamente da tutto un sistema discambio, materiale e simbolico, di doni tra il re e i suoi nobili. In questo mo-

23. D. Asheri, Fra Ellenismo e Iranismo, Bologna, Pàtron, 1983, pp. 19-21.

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do si rinsaldavano molteplici obblighi tramite elargizioni che servivano aperpetuare nella società di corte sia privilegi che dipendenze.

Al di fuori della corte, era l’amministrazione che agiva come fattore di co-esione burocratica in una vastità territoriale cui venne concesso di preserva-re tradizioni locali (nella politica, nelle leggi, nella economia e nella cultura),garantendo cosí identità multiple intorno a un nucleo di dominio – persianoe achemenide – formato dal trono, dalla corte e dai funzionari. La città piúdeputata a questa funzione di rappresentanza governativa era Susa, capitaledella gestione amministrativa, luogo in cui pervenivano i rapporti e sede de-gli incontri diplomatici. Altre città venivano usate come residenze invernali(Babilonia) o estive (Ecbatana), in base agli spostamenti della corte, o inquanto sedi di adunanze solenni per importanti festività come quella del-l’Anno Nuovo (Persepoli) o per la celebrazione dell’investitura regale (Pa-sargade secondo Plutarco, Vita di Artaserse, iii).

Nel variegato personale della corte, oltre al principe reale, il ‘figlio dellacasa’ (*vis-puthra) e ai sei congiurati – che avevano assistito Dario nella suaascesa al trono, guadagnando per se stessi e i loro discendenti il diritto diguardare il re in viso (Ester, i 14) e il primo posto nel regno – si distingue ilChiliarco (*haza6rapati) che sovrintendeva alla guardia reale di mille nobili edera il responsabile della sicurezza palatina e delle ambascerie; un ‘signoredella casata’ (*vithapati) responsabile amministrativo delle proprietà e con-trollore dei depositi e dei magazzini; ufficiali della guardia reale potevanosvolgere il ruolo di “portatori della lancia” o di “portatori dell’arco” oltre aquello di aurighi reali; di non minore fidatezza per la sua vicinanza al sovra-no era il ruolo del coppiere (Erodoto, iii 34), tra cui si ricordi il nome biblicodi Nehemia, sotto Artaserse II (Nehemia, ii 1). Funzioni di salvaguardia dellerisorse erano affidate al tesoriere (ganzabara) e al contabile (hamma6rakara),mentre il giudice reale (da6tabara), la polizia di sicurezza (*vistarbara) e gli in-vestigatori giudiziari (*fra6saka) completavano la supervisione di controllo.Una schiera di ‘benefattori’ (euergétai; in una forma persiana trascritta in gre-co, orosangai) che avevano reso importanti servigi al Gran Re venivano iscrit-ti in liste di rinomanza e premiati con doni preziosi al pari degli “amici delre” che potevano sedere alla sua tavola.

La giurisdizione achemenide, istituita da Ciro e da Dario che promosseronuovi modelli e legislativi, era in parte fondata su usi consuetudinari persia-ni e in parte influenzata dalla tradizione vicino-orientale. La legge (da6ta), ri-petutamente menzionata nelle iscrizioni achemenidi era il fondamento del-

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l’impero ed espressione del volere del sovrano, i cui decreti recavano l’im-pronta del suo sigillo: è questa “legge del re” che viene nominata nei docu-menti babilonesi o in quelli aramaici e il cui magistero spettava ai giudici, i‘portatori della legge’ (*da6tabara) che amministravano l’insieme delle norma-tive, interpretandole o adattando le procedure consuetudinarie alla legge delsovrano.

La procedura di esazione dei tributi (ba6ji), descritta nel resoconto di Ero-doto (iii 89), dopo le satrapie e i governatori (arconti), viene considerata unadelle ulteriori sistematizzazioni di Dario, nominato per questo ‘bottegaio’(kápelos) dai Persiani – mentre Cambise è chiamato « despota » e Ciro « pa-dre » – per aver pianificato una esazione fissa in ogni provincia, con l’ecce-zione della Persia. Per agevolarne il funzionamento, Dario aveva dispostouna regolamentazione di pesi e misure, per uniformare le operazioni ed evi-tare sviste e ammanchi nei tributi, che ogni ‘distretto’ (nomós) doveva versare,come somma fissa annuale in oro e in argento, piú tributi supplementari innatura. Non è sempre facile distinguere fra tributo e dono, essendovi unasfumatura ideologica e politica di maggior sudditanza nel primo caso e di al-leanza nel secondo, oltre a una componente di scambio simbolico, di reci-procità e di ostentazione cerimoniale e pubblica che il regime fiscale nonprevede. È anche verosimile che Dario sia stato il primo sovrano a batteremoneta, come dice Erodoto, riprendendo una pratica di Creso re di Lidia,con l’ovvio vantaggio di promuovere le migliori condizioni per il commer-cio in tutto l’impero, grazie anche all’utilizzazione di banche, la cui attivitàera comunque già attestata da secoli in Mesopotamia (la casata di Murasu6 edegli Egibi).

L’economia poteva quindi svilupparsi al meglio grazie a tabelle di pesi emisure e a un sistema monetario che favorivano la regolamentazione deitraffici, maggiore fluidità delle operazioni finanziarie e una comunicazionetra luoghi diversi dell’impero lungo una rete di strade di ampia percorrenza,come la via regia tra Sardi e Susa – che passava attraverso Assiria, Armenia,Cilicia, Cappadocia, Frigia e varcando tre fiumi, Tigri, Eufrate e Halys, perun totale di 2600 km. – su cui erano disseminate 111 stazioni di posta e chepoteva essere percorsa dagli inviati regi (ángaroi) in sette giorni. Altri percor-si univano la Mesopotamia alla Persia, come quello della tratta fra Babiloniae Persepoli o che da Babilonia portava a Ecbatana e da qui in Battriana e inIndia.

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3.3.4. Religione. Una definizione della religiosità achemenide deve affronta-re questioni controverse come quella dell’appartenenza dei Persiani al mes-saggio di Zarathustra (Zoroastro nelle fonti classiche), personalità innovatri-ce della spiritualità arcaica della società iranica orientale, vissuto secondo re-centi interpretazioni tra il VII e il VI sec. a.C., portatore di una sensibilitàmonoteistica – centrata su Ahura Mazda6 – e di una filosofia del rituale nonpriva di aspetti etici e meditativi, nonché di una tradizione di poesia sacra edi ispirazione visionaria che si perpetuò nei secoli della storia dell’iranismo.Anche se non vi è certezza della adesione di Ciro e Cambise a questo mes-saggio – chiamato zoroastrismo o mazdeismo – è verosimile che a partire daDario questa religiosità si sia progressivamente affermata, come si può evin-cere dalle iscrizioni.

Il complesso di credenze, miti e rituali del periodo achemenide rientra inparte nella ideologia di legittimazione della regalità, con la relativa produ-zione di segni culturali (artistici, architettonici, iconografici) già esaminati aproposito delle rappresentazioni del potere. Le iscrizioni achemenidi offro-no un primo elemento di verifica della pervasività di nozioni o credenze,prima fra tutte quella del dio supremo Ahura Mazda6, con cui il sovrano in-trattiene una relazione privilegiata, in quanto la divinità somma gli ha con-cesso la terra e lo ha soccorso nei momenti di ribellione. Il tono politico e“secolare” delle iscrizioni rivela in ogni caso significativi elementi di base diconcezioni e pratiche religiose che concordano con i dati dei testi religiosicanonici dello zoroastrismo (l’Avesta); e in aggiunta, con le testimonianze deitesti classici, Erodoto (i 131-40) in particolare, che confermano una certa dif-fusione di usi e credenze dei Persiani anche a un osservatore straniero: il sa-crificio sui monti a Zeus (‘il cielo’) e al sole, alla luna, alla terra, al fuoco, al-l’acqua e ai venti; il ruolo dei Magi nel rituale; la riprovazione della menzo-gna; il rispetto per l’acqua; le pratiche funerarie della esposizione del cadave-re alle bestie da preda; l’uccisione di animali nocivi considerati demoniaci.

L’impostazione eminentemente storica di testi epigrafici che magnificanol’operato dei sovrani non trascura l’impiego di un vocabolario e di espressio-ni che si richiamano a un patrimonio ancestrale di concezioni religiose, siairaniche che indo-iraniche, cioè di un’eredità comune che ha subíto adatta-menti e riformulazioni, spesso con ribaltamenti di significato: come nel casodei ‘demoni’ o ‘falsi dèi’ proscritti da Serse, i daiva, un termine negativo, alcontrario del sanscrito deva (‘dio’, come essere luminoso). La tipologia duali-sta dello zoroastrismo, e il suo scontro tra Ordine e Errore, si riscontra pari-

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menti nella connotazione epica dell’iranismo achemenide e nella volontàpolitica di denunciare e combattere ciò che è male e che per Dario si con-cretizza in una menzogna (drauga) equiparata alla ribellione. La menzogna èquindi un contrassegno di devianza che si traduce in usurpazioni e rivolteche allontanano dal retto sentiero della legge regale di un sovrano voluto daAhura Mazda6, divinità che assicura ai sudditi del Gran Re una prosperità difelice esistenza: e solo chi presta venerazione alla divinità suprema potrà ot-tenere benefici in questo mondo e in quell’altro.

Gli aspetti culturali di netta impostazione zoroastriana subirono inoltre ri-adattamenti a seguito della espansione delle etnie iraniche dalle zone piúorientali alle sedi occidentali del Medio e Vicino Oriente, regioni in cui l’in-contro con le tradizioni figurative dell’Antico Oriente generò nuovi sviluppidel portato originario, favorendo iconografie e rappresentazioni: come quel-la di Ahura Mazda6 antropomorfico, con tiara sormontata da un glifo astrale,all’interno di un disco alato e nimbato; o come il Genio alato di Pasargade,sintesi di motivi egiziani e assiri. Una tendenza all’ecclettismo sembra esserestata la caratteristica della classe dei Magi, eredi e continuatori del messaggiodi Zarathustra, che nell’incontro con l’antica e raffinata cultura mesopotami-ca elaborarono sincretismi mitologici, assimilando inoltre i saperi della divi-nazione, della mantica, dell’astrologia, oltre che di conoscenze scientifiche diastronomia e matematica. Gli dèi zoroastriani venivano inoltre reinterpreta-ti secondo modelli mitologici diversi (una tendenza che si intensificò dopola conquista di Alessandro e con l’ellenismo): Ahura Mazda6 con Zeus; la deaAna6hita6 acquistava risalto e sfumature iconografiche nell’incontro con Istaro con Nana, versioni mesopotamiche della grande dea, o ancora, secondo unpunto di vista ellenico, con Athena, Afrodite e Artemide; mentre il dio sola-re e garante dei patti, Mithra, accresceva la sua fisionomia nel confronto condivinità attive e combattive come Marduk e Samas. Questa triade divinaguadagnerà una sua popolarità anche per il ruolo da essa svolto nella legitti-mazione della regalità, un tratto di eminente pertinenza di Ahura Mazda6 mache implicherà anche la presenza degli altri due, che vengono espressamen-te nominati nelle iscrizioni di Artaserse II, documento che conferma la cen-tralità di Ana6hita6 e Mithra in una ideologia regale che si perpetuerà nell’e-poca partica e sassanide.

Si può dire che l’atteggiamento ottimistico degli Achemenidi abbia decli-nato i valori tipici dello zoroastrismo nella concretezza storica del loro tem-po: in una positiva affermazione di stirpi organizzate e in espansione, in una

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dinamica propulsiva di conquiste e di ideali sintonie col mondo divino perinstaurare un ordine fatto di armonia e legge, divina oltre che regale; e conuna progressiva trasformazione dell’ambiente, da luoghi desertici a spazi col-tivati e irrigati da opere di canalizzazione, o in giardini recintati con vegeta-zione, animali e sorgenti, luoghi di ristoro dei sovrani (“paradisi”). Se si con-sidera che la nozione di sacralità dello zoroastrismo consiste in una crescita ein un incremento dell’esistenza, si coglie una analogia con l’umanesimo per-siano e con il programma politico di una sovranità attenta al benessere delsuo popolo, che invoca Ahura Mazda6 contro i flagelli « del cattivo raccolto,dell’esercito nemico e della ribellione/menzogna ». La stessa capacità del redi compiere imprese eccellenti lo pone in relazione – oltre che con la divini-tà – con l’ufficio sacerdotale che nell’ideologia rituale ha lo scopo di vivifica-re il mondo con energie di rinnovamento impetrate nel culto.

Nello stesso richiamo autoreferenziale del Gran Re che esalta le sue capa-cità intellettive e volitive si può cogliere un intento di ispirazione a valori re-ligiosi di controllo degli istinti – anche se non mancano somiglianze conesortazioni morali di iscrizioni assire – , di temperanza e di equanimità checonsegue a un dominio dell’ira: atteggiamento proscritto nello zoroastrismoal punto da raffigurarlo come demone del Furore, per cui indulgervi com-porta il soccombere a errore, devianza e quindi oppressione e ingiustizia ver-so i sudditi.

Il successore di Dario, Serse, non fu meno sensibile nel menzionare riferi-menti del comportamento religioso, come nella famosa iscrizione dei daiva,in cui proscrive il culto di tali divinità sconfessate al rango di “demoni”, a cuiviene sostituito il giusto culto di Ahura Mazda6; e anche espressioni metafo-riche del suo discorso rivelano tratti di concezioni che si trasmisero nei seco-li; come quando parla del padre Dario che « se ne andò verso il trono » (sot-tinteso, “degli dèi”, un riferimento allo scenario oltremondano che si ritrovaanche in iscrizioni sassanidi). Una certa diffusione di temi e nozioni rispon-denti alle componenti piú etiche della religiosità non mancano in Serse, lad-dove raccomanda di eseguire i sacrifici nei momenti appropriati per ottene-re benefici in questa esistenza e nell’altra, con particolare enfasi su quella di-mensione di quiete/felicità che contribuisce a rendere una persona contentain vita e beata dopo la morte, realizzando qui in terra le premesse di una suafutura beatitudine.

Lo sfondo culturale epico e mitologico dell’iranismo achemenide si lasciaintravedere, oltre che nella documentazione primaria delle iscrizioni, anche

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in taluni aspetti delle istituzioni militari: è il caso del corpo scelto della guar-dia degli Immortali, piú volte menzionata nella descrizione dell’esercito diSerse, composta da diecimila unità e appunto chiamata “i Diecimila”, cheformano il corpo scelto a guardia del Gran Re. In questa denominazione diuna forza perennemente rinnovata nel numero dei suoi componenti – e per-ciò simbolicamente invitta e invulnerabile – si può scorgere il riflesso di unaantica concezione mitologica presente nell’Avesta, quella di entità angelichee protettrici (Fravasi) connesse al culto degli antenati e a credenze sull’im-mortalità, che vengono raffigurate come schiera bellicosa di miriadi, addob-bate con armi e insegne di guerra che avanzano in battaglioni, per crearescompiglio nei ranghi del nemico.24

Una valutazione della diplomazia religiosa persiana deve considerare ilproblema della tolleranza achemenide e della gestione politica della religio-ne,25 in quella stessa prospettiva di integrazione e convivenza tra usi e con-suetudini diverse, all’interno di un impero trans-nazionale ma con un fortecentro di valori identitari “ariani” e persiani che assumeva strategicamenteconcezioni e atteggiamenti delle terre conquistate. Il sovrano si ergeva a rap-presentante di divinità locali, al punto da esserne il difensore; e in alcuni casia patrocinare la causa dei ministri di culti stranieri, come è illustrato dalla let-tera che Dario scrisse al suo satrapo Gadata, accusato di aver riscosso un’im-posta dai giardinieri consacrati a Apollo, un dio verso cui Dario e i suoi ante-nati nutrivano rispetto e venerazione per aver detto ai Persiani la verità.26

È bene tenere comunque presente che in una situazione storico-culturalecome quella delle società antiche i termini “tolleranza” e “intolleranza” de-vono essere interpretati in base a criteri politici, commisurati alla fedeltà del-le genti dell’impero alla legge del Gran Re; per cui le alterne dinamiche diaccettazione o repressione sono atteggiamenti dipendenti dalla ragion di sta-to e non da una presunta maggiore o minore devozione del regnante. Inquesto modo sono comprensibili gesti alterni di simpatia o di avversione che

24. Gh. Gnoli, Antico-persiano anusya- e gli Immortali di Erodoto, in AA.VV., Monumentum GeorgeMorgenstierne, i, Leiden, Brill, 1981, pp. 266-80.

25. Gh. Gnoli, Politica religiosa e concezione della regalità sotto gli Achemenidi, in Gurura6jamañjarika6.Studi in onore di Giuseppe Tucci, i, Napoli, Ist. Universitario Orientale, 1974, pp. 23-88.

26. Cfr. per una informazione aggiornata – anche se l’autore dubita dell’autenticità del testo –P. Briant, Histoire et archéologie d’un text. La Lettre de Darius à Gadatas entre Perse, Grecs et Romains,in Licia e Lidia prima dell’Ellenizzazione. Atti del Convegno internazionale, Roma, 11-12 ottobre1999, a cura di M. Giorgieri, M. Salvini, M.-C. Trémouille, P. Vannicelli, Roma, Cnr, 2003,pp. 107-44

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specialmente nel caso di aperte ribellioni, come nell’episodio della rivolta diBabilonia contro Serse, potevano sfociare in repressioni e distruzioni, in mo-do da annientare i rivoltosi anche nella loro identità religiosa, oltre che so-ciale e cittadina, privandoli dei favori e delle protezioni magiche delle divi-nità autoctone.

3.4. Serse. Il periodo del regno di Serse (486-65) è considerato come una fa-se di alterni esiti nella gestione di quanto compiuto dal suo predecessore.Serse era uno dei figli di Dario che venne reso il piú grande tra tutti i figli,per poi divenire re dopo la morte del padre, instaurando alcuni cambiamen-ti nel segno della politica imperiale, in cui si possono leggere indizi di unacerta stagnazione e preamboli di un declino nella gestione amministrativadel regno.27

Dalla documentazione si constata una certa recrudescenza di intolleranzain materia religiosa, come nel caso della suddetta rivolta di Babilonia e del ri-ferimento sui “falsi dèi” che vengono proscritti, un episodio che sembra al-ludere a tratti di un’insicurezza del suo carattere, forse dovuto alla forte per-sonalità di Dario. Il che non vuol dire che Serse debba essere ricordato comecampione della ortodossia della fede zoroastriana, ma pur escludendo unozelo eccessivo verso le patrie usanze è ugualmente vero che nel suo regno sipuò distinguere una progressiva affermazione dei Magi – dopo una certaprevenzione nei loro confronti, che in epoca di Dario era conseguente allalotta dinastica contro il mago Gauma6ta. Cosí sembra di poter leggere, nell’e-pisodio della spedizione contro la Grecia, e nel rituale solenne officiato daiMagi che inaugurarono l’evento con un sacrificio sulla rocca di Pergamo(Erodoto, vii 43), dedicato alla Athena di Ilio (= Ana6hita6) e agli “eroi”, chenella tradizione zoroastriana coincidono con le divinità guerriere delle Fra-vasi: il tutto davanti a uno spiegamento di forze militari che veniva simboli-camente rafforzato e motivato da una cerimonia che legittimava l’imperiali-smo di Serse, col richiamo ai valori etnici, epico-mitologici e religiosi di in-vincibilità e di protezione divina.

L’invasione della Grecia (nella primavera del 480) fu un evento di immen-se conseguenze storiche, e di notevole impatto suggestivo ed emotivo, chegenerò da parte ellenica la negativa rinomanza di Serse vile e feroce, al con-

27. R.N. Frye, The History of Ancient Iran, München, Beck, 1984, p. 126.

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trario della memoria rispettosa verso il saggio padre Dario. I dati storici e let-terari greci configurano necessariamente stereotipi di efferatezza e di deca-denza, in una corte persiana dominata da presenze femminili crudeli, deditealla congiura e all’intrigo.

Oltre alla Grecia l’azione di Serse si concentrò sull’Egitto e sulla Babilonia,due territori in cui la politica imperiale di Dario aveva già sperimentato ladifficoltà di un radicamento durevole: per la Babilonia i documenti parlanodi violente reazioni del sovrano e provvedimenti amministrativi, oltre allasua assenza nella piú importante festività del Nuovo Anno: ma in realtà sia inquesto caso che in quello dell’Egitto il concorso delle fonti erodotee e diquelle primarie deve anzi consigliare di non sovrapporre l’immagine negati-va di Serse a circostanze che del tutto fortuitamente potevano coincidere contale stereotipo. Infatti, alcune iscrizioni geroglifiche con espressioni quali« Serse signore dei Due Paesi » o « Signore dei Due Paesi, figlio di Râ, signo-re delle corone che vive eternamente » dimostrano che non vi sono testimo-nianze di una politica unilaterale di repressione contro i templi egiziani.

Il giudizio controverso sul regno di Serse, superate le distorsioni letterarie,può giungere alla conclusione equilibrata di una sconfitta – non solo quelladella flotta persiana a Salamina ma la sua personale che forse lo portò a mor-te per una congiura di palazzo – a cui conseguí un ridimensionamento dellospazio di espansione achemenide sul fronte occidentale, anche se il Gran Reera riuscito a promuovere una intelligente politica di colonizzazione per ra-dicare la presenza achemenide in Asia Minore oltre a una dinamica di svi-luppo di alcune province che in epoche anteriori non avevano raggiunto unuguale prestigio.

4. Trasformazioni, decadenza e continuità

Le vicende della storia dell’impero nel periodo tra Artaserse I (465-24) el’ultimo re della dinastia, Dario III (336-30), presentano indicatori di varia-zioni nella gestione politica, con abusi, peggioramenti e declini di varia na-tura, spesso causate da tendenze di emancipazione dei Satrapi e da rivolte (inAnatolia, Cipro, Egitto). Fonti economiche babilonesi registrano un impove-rimento dovuto a eccessive tassazioni e usura, con ricadute nell’efficienzadel lavoro agricolo e delle tecniche di canalizzazione, oltre a fenomeni dimalcontento e rivolte nella popolazione; mentre alla fine del V secolo la le-va militare non era piú in grado di esaudire le richieste di forza bellica: per

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cui si favoriva l’arruolamento di truppe mercenarie, aprendo alla penetrazio-ne di stranieri (come i mercenari greci di Senofonte) la conoscenza del terri-torio e procurando sempre piú informazioni geografiche a futuri invasoricome Alessandro.

Nonostante i contingenti di Dario III – descritti dai resoconti ellenistici –sembrassero attestare un’egemonia del Gran Re su tutte le province dell’im-pero, dall’Indo all’Egeo, la sconfitta delle armate persiane nei campi di batta-glia di Granico, Isso e Gaugamela dipese, oltre che da fattori interni, dallanovità di un’offensiva straniera che per la prima volta nella storia dell’impe-ro achemenide si era inoltrata nel territorio persiano per condurre una guer-ra totale di conquista. Questo elemento di sorpresa,28 unito al successo di unnuovo soggetto, Alessandro, che si premurava dopo ogni vittoria di legitti-marsi come erede del Gran Re, favorí uno slittamento di potere, di immagi-ne e di consenso verso conquistatori dotati di prestigio e del carisma dellavittoria, una nozione quasi sovrannaturale per la mentalità dell’iranismo co-sí incline alla mistica dell’invincibilità.

Iniziava quindi la feconda stagione dell’Ellenismo, nel difficile panoramadi un’ ecumene che si ridisegnava in nuovi assetti socio-politici e in sintesimolteplici, destinate comunque a propagare l’eredità ideologica achemenideper diversi secoli e in diverse forme di acculturazione: nella ispirazione mo-rale degli editti indiani, greci e aramaici del re maurya Asoka (272-231) nelladinastia dei Frataraka, del periodo seleucide (e partico), fine III-inizio II a.C.;nei proclami greci del re seleucide Antioco I di Commagene (64-31 a.C.) checelebra le lodi di Zeus-Oromasdes e Mithra-Apollo-Helios-Hermes; e anco-ra, nella iscrizione battriana del “re dei re” Kaniska (II sec. d.C.) che dichiaradi aver ottenuto la regalità da tutti gli dèi, tra i quali Nana (dea mesopotami-ca affine a Ana6hita6), Aurmuzd (Ahura Mazda6) e Mihr (Mithra).29

28. Briant, Histoire de l’empire perse, cit., pp. 886-88.29. F. Scialpi, The Ethics of Asoka and the Religious Inspiration of the Achaemenids, in « East and

West », a. xxxiv 1984, fasc. 1 pp. 55-74, cfr. anche G. Pugliese Carratelli, Gli Editti di Asoka,Milano, Adelphi, 2003. Sulla grande iscrizione di Antioco I di Commagene, cfr. B. Virgilio,Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica, Pisa, Giardini, 2003, pp. 251-62, e piú in generaleil recente volume di M. Facella, La dinastia degli Orontidi nella Commagene ellenistico-romana, Pisa,Giardini, 2006. Sull’iscrizione di Kaniska, cfr. N. Sims-Williams-J. Cribb, A New Bactrian In-scription of Kanishka the Great, Kamakura, The Institute of Silk Road Studies, 1995-1996, pp. 77-81e G. Fussman, L’inscription de Rabatak et l’origine de l’ère sáka, in « Journal Asiatique », to. cclxxxvi1998, 2 pp. 571-651, alle pp. 595-97.

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5. Bibliografia

Le indicazioni bibliografiche in lingua italiana possono annoverare sia opere gene-riche che alcuni studi particolari e di settore. Ormai introvabile, tranne che nelle bi-blioteche o talvolta nei remainders, è il volume, della collana « Il Portolano », R.N.Frye, La Persia preislamica, Milano, Il Saggiatore, 1963, traduzione italiana di un’operadel 1962 ora riveduta in nuova edizione: The Heritage of Persia, Costa Mesa-California,Mazda Publishers, 1993. Notizie storiche e letterarie si trovano in A. Pagliaro-A.Bausani, La letteratura persiana, Milano, Nuova Accademia, 1960 (iscrizioni antico-per-siane alle pp. 17-32); il libro di A. Olmstead, L’impero persiano, Roma, Newton Comp-ton, 1982 è una traduzione parziale di un’opera del 1948; migliore per la storia non so-lo achemenide ma anche partica e sassanide è J. Wiesehöfer, La Persia antica, Bolo-gna, Il Mulino, 2003. Il volume di D. Asheri, Tra Ellenismo e Iranismo, Bologna, Pàtron,1983 fornisce un’eccellente trattazione sui contatti tra mondo greco d’Asia Minore ecultura persiana; si veda anche A. Panaino, Greci e Iranici: confronto e conflitti, in I Greci.Storia, cultura, arte, società, a cura di S. Settis, iii, Torino, Einaudi, 2001, pp. 79-136.

Un utile sussidio iconografico e fotografico è P. Briant, I Persiani e l’impero di Dario,Torino, Universale Electa-Gallimard, 1995. Per la religione si veda Gh. Gnoli, Le re-ligioni dell’Iran antico e Zoroastro, e Id., La religione zoroastriana, in Storia delle religioni, i. Lereligioni antiche, a cura di G. Filoramo, Roma-Bari, Laterza 1994, pp. 455-98; 499-565.Sul sacerdozio dei Magi: A. Piras, I Magi persiani, in I Tre Saggi e la Stella. Mito e realtàdei Re Magi, a cura di A. Morganti, Rimini, Il Cerchio, 1999, pp. 7-30. Sull’ideologiaregale A. Piras, La corona e le insegne del potere nell’impero persiano, in AA.VV., La corona ei simboli del potere, Rimini, Il Cerchio, 2000, pp. 7-29.

Tra le fonti, quelle greche delle Storie di Erodoto sono pubblicate nella serie « Scrit-tori greci e latini » della Fondazione Valla-Mondadori: Libro i. La Lidia e la Persia (suCiro II), a cura di D. Asheri, trad. di V. Antelami, 1989; Libro ii. L’Egitto (su Cambi-se), a cura di A.B. Lloyd, trad. di A. Fraschetti, 1996; Libro iii. La Persia (su Dario),a cura di D. Asheri e S.M. Medaglia, trad. di A. Fraschetti, 1990 (contiene una tra-duzione della iscrizione antico-persiana di Bisitun); Libro iv. La Scizia e la Libia (suDario), a cura di A. Corcella e S. M. Medaglia, trad. di A. Fraschetti, 1993; Librov. La rivolta della Ionia (su Dario), a cura di G. Nenci, 1994; Libro vi. La battaglia di Ma-ratona (su Dario), a cura di G. Nenci, 1998. Nella stessa serie, il volume di Plutarco,Le vite di Arato e Artaserse, a cura di M. Manfredini e D.P. Orsi, 1987, documenta lainvestitura regale di Artaserse II. Una trattazione piú romanzata della figura di Ciroil Grande è quella di Senofonte, Ciropedia, intr., trad. e note di F. Ferrari, Milano,Rizzoli, 1997. Una traduzione del documento babilonese chiamato « Cilindro di Ci-ro » è in G. Pettinato, Babilonia, Milano, Rusconi, 1994, pp. 243-45. L’iscrizione egi-ziana di Dario a Susa e la Cronaca Demotica (un testo di età tolemaica con spunti di po-lemica antipersiana) sono tradotte in E. Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto,Torino, Einaudi, 1999, pp. 534-36; 803-14.

Fra le molte opere in altre lingue si segnala, per le istituzioni e la storia, oltre a P.

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Briant, Histoire de l’empire perse, Paris, Fayard, 1996, i capitoli sull’impero achemenidein J. Wiesehöfer, Ancient Persia from 550 BC to 650 A.D., London-New York, I.B. Tau-ris Publishers, 2001. Inoltre: M.A. Dandamayev, A Political History of the AchaemenidEmpire, Leiden, Brill, 1989; M.A. Dandamayev-V.G. Lukonin, The Culture and SocialInstitutions of Ancient Iran, Cambridge-New York, Cambridge Univ. Press, 1994, spec.alle pp. 96-237 (amministrazione, legge, società e regime schiavistico, economia,commercio, esercito); R.N. Frye, The History of Ancient Iran, München, Beck, 1984; laCambridge History of Iran, vol. 2. The Median and Achaemenian Periods, a cura di I. Ger-shevitch, Cambridge-London, Cambridge Univ. Press, 1985. Il volume di M. Bro-sius, Women in Ancient Persia (559-331 B.C.), Oxford, Clarendon Press, 1998, analizza ilruolo delle donne nella società persiana e certe situazioni di indipendenza (economi-ca, lavorativa) e di potere (uso di sigilli individuali), ridimensionando il topos greco diintrighi e di predominio su maschi deboli e effeminati.

Per le iscrizioni achemenidi, vd. R.G. Kent, Old Persian. Grammar, Texts, Lexicon,New Haven (Conn.), American Oriental Society, 1953, e P. Lecoq, Les inscriptions dela Perse achéménide, Paris, Gallimard, 1997; vd. anche R. Schmitt, The Bisitun Inscriptionsof Darius the Great. Old Persian Text, London, Corpus Inscriptionum Iranicarum, 1991;Id., The Old Persian Inscriptions of Naqsh-i Rustam and Persepolis, ivi, id., 2000. Sulla re-ligione: M. Boyce, A History of Zoroastrianism II: under the Achaemenians, Leiden-Köln,Brill, 1982. Sull’archeologia cfr. il vol. vi della collezione « Persika » a cura di P.Briant e R. Boucharlat, L’archéologie de l’empire achémenide: nouvelles recherches, Paris,De Boccard, 2005, per una rassegna sugli scavi in Iran, Egitto, Asia Minore e AsiaCentrale e sulla vitalità culturale delle aree periferiche. Sull’arte persiana dei grandicomplessi architettonici, cfr. M.C. Root, The King and Kingship in Achaemenid Art. Es-says on the Creation of an Iconography of Empire, Leiden, Brill, 1979.

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