Luogo di direzione effettiva e accertamento della residenza fiscale delle società

79
Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea triennale in Amministrazione aziendale e Diritto Tesi di laurea Luogo di direzione effettiva e accertamento della residenza fiscale delle società Relatore: Prof. Michele Fiorese Laureando: Umberto Caruso Anno Accademico 2013/2014

Transcript of Luogo di direzione effettiva e accertamento della residenza fiscale delle società

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea triennale in Amministrazione aziendale e Diritto

Tesi di laurea

Luogo di direzione effettiva e accertamento della residenza fiscale delle società

Relatore:

Prof. Michele Fiorese

Laureando:

Umberto Caruso

Anno Accademico 2013/2014

2

3

INTRODUZIONE ................................................................................................................... 5

1. LA RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE GIURIDICHE NEL DIRITTO NAZIONALE E

CONVENZIONALE ...................................................................................................................... 7

1.1. La definizione di residenza fiscale nella normativa nazionale ...................................... 7

1.1.1. La sede legale .............................................................................................................. 8

1.1.2. La sede dell’amministrazione ........................................................................................ 9

1.1.3. L’oggetto principale ................................................................................................... 12

1.1.4. L’elemento temporale: “per la maggior parte del periodo d’imposta” .............................. 15

1.2 La definizione di residenza fiscale secondo il diritto convenzionale e comparato ....... 16

1.2.1. Il Modello OCSE ....................................................................................................... 16

1.2.2. La residenza fiscale nel diritto di alcuni Paesi UE ed extra-UE ....................................... 19

2. PRESUNZIONE DI RESIDENZA TRA ESTEROVESTIZIONE E LIBERTÀ DI STABILIMENTO ......... 25

2.1 Esterovestizione societaria: art. 73, comma 5-bis e 5-ter, Tuir .................................... 25

2.1.1. L’inversione dell’onere della prova .............................................................................. 28

2.1.2. Definizione preventiva della fattispecie ........................................................................ 31

2.1.3. Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero ..................................................... 32

2.2 Compatibilità della presunzione di residenza con il diritto comunitario ...................... 36

2.2.1. La libertà di stabilimento ............................................................................................ 36

2.2.2. La sentenza Cadbury Schweppes .................................................................................. 38

2.2.3. Compatibilità dell’inversione dell’onere della prova con il principio della libertà di

stabilimento ........................................................................................................................ 39

3. LA PROVA DELL’ESTEROVESTIZIONE .................................................................................. 45

3.1. La presunzione legale dell’art. 73, comma 5-bis, Tuir e la prova contraria ................ 45

3.2. Le presunzioni semplici ............................................................................................. 49

3.2.1. La gravità .................................................................................................................. 49

3.1.2. La precisione ............................................................................................................. 57

3.2.3. La concordanza .......................................................................................................... 60

4. LIMITI DI UTILIZZO DEL CRITERIO DEL PLACE OF EFFECTIVE MANAGEMENT ...................... 61

4.1. Rapporti tra diritto interno e disposizioni pattizie ...................................................... 66

CONCLUSIONI .................................................................................................................... 69

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................... 71

4

5

INTRODUZIONE

Il presente lavoro è frutto di un’affascinante ricerca sulla residenza fiscale delle persone

giuridiche, forse uno degli argomenti più controversi nel panorama del diritto tributario

nazionale ed internazionale.

Tale problema si inserisce all’interno di un contesto economico sempre più

internazionale che, combinato al processo di globalizzazione, ha generato una maggiore

mobilità delle attività economiche non solamente nell’ambiente comunitario, ma anche

mondiale.

Se questo fenomeno nel passato era rimasto circoscritto soltanto ad imprese di grandi

dimensioni, recentemente si sta assistendo ad un’espansione del fenomeno verso la

piccola e media impresa, rappresentazione della struttura portante del nostro Paese, la

quale percepisce l’internazionalizzazione come passo obbligato al fine di ottenere nuove

possibilità di investimento e sopravvivere alla pressione dei grandi gruppi multinazionali.

Inoltre, su tale scelta non influiscono solamente valutazioni di tipo economico, come ad

esempio la vicinanza ai mercati di sbocco o il minor costo della manodopera, ma anche

fattori ambientali, come il rispetto delle regole, i tempi di pagamento, l'efficienza della

Pubblica Amministrazione ed il rapporto con il sistema bancario.

Tale interdipendenza economica internazionale se, da una parte, ha contribuito

significativamente a migliorare gli standard di vita di alcuni Paesi, dall’altra, ha

amplificato la sensibilità delle economie nazionali alle manovre di politica fiscale degli

Stati esteri, generando nei Paesi industrializzati un clima di sommaria ed affrettata lotta

all’elusione ed all’evasione fiscale, al fine di scongiurare l’impossibilità di tassare il

reddito mondiale prodotto in capo a tali contribuenti, con una conseguente massiccia

perdita di gettito tributario.

Esistono due opposti modelli di giustificazione della pretesa tributaria statale. Mentre il

principio della fonte consente al soggetto impositore di esercitare la potestà impositiva

sui redditi prodotti od esistenti nel territorio dello Stato, il principio della residenza

permette di assoggettare a tassazione i redditi ovunque prodotti nel mondo, dal soggetto

residente fiscalmente nel territorio dello Stato1.

1 La predilezione per l'uno o l'altro metodo dipende da un insieme di fattori che nella realtà si esplicano

nella tendenza all'applicazione del criterio della fonte per i Paesi importatori di capitali, in modo tale da

incentivare gli investimenti nel territorio. Al contrario, i Paesi esportatori di capitali saranno propensi ad

applicare il principio della residenza, in modo da ancorare la ricchezza del soggetto residente al territorio

dello Stato a prescindere dal luogo in questa viene prodotta.

6

Presupposto impositivo in Italia è la sussistenza di un collegamento con il nostro

ordinamento, sia esso soggettivo od oggettivo. In particolare, secondo il worldwide

principle, il concetto di residenza nello Stato determina per i residenti la soggezione

illimitata per tutti i redditi ovunque prodotti alla potestà impositiva dello Stato stesso. Per

converso, la “non residenza” determina la soggezione sui redditi strutturalmente connessi

al territorio dello Stato. Pertanto, la definizione di residenza fiscale, conducendo

all’imposizione piena, assurge a presupposto fondamentale per l'individuazione del

regime impositivo del contribuente2.

Tale concetto, pur universalmente riconosciuto nella legislazione e consolidato nella

prassi amministrativa degli Stati, nonché oggetto di occasionali e frammentarie pronunce

giurisprudenziali in ambito nazionale ed internazionale, assume particolare criticità nella

concreta applicazione.

Il primo capitolo è frutto dell’impegno volto a ripercorrere le previsioni normative

relative alla residenza fiscale delle persone giuridiche, sia in ambito nazionale che

convenzionale. Si è proceduto nel secondo capitolo con la trattazione delle problematiche

connesse all’introduzione nel nostro sistema della presunzione legale di cui al comma 5-

bis dell’art. 73 Tuir, con particolare riferimento alla compatibilità in ambito comunitario.

Nel terzo capitolo, attraverso l’analisi della prassi e della giurisprudenza, si è cercato di

esplorare quali sono gli elementi indiziari che possono attrarre la residenza fiscale in

Italia. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, si sono puntualizzati quali sono i limiti

dell’applicazione del place of effective management e le soluzioni prospettate per un

adattamento di tale principio.

2 G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova, 2012, p. 126 e P.

VALENTE, Residenza ed esterovestizione. Profili strutturali e (dis)allineamenti tra forma e sostanza, in

Fisco, 2008, n. 20, fasc. I, p. 3640

7

1. LA RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE GIURIDICHE NEL

DIRITTO NAZIONALE E CONVENZIONALE

1.1. La definizione di residenza fiscale nella normativa nazionale

Ai fini della determinazione della residenza in materia fiscale dei soggetti diversi delle

persone fisiche, gli artt. 5 e 73 Tuir individuano i criteri di collegamento fra tali enti e il

territorio italiano. In particolare, mentre l’art. 5 disciplina la residenza delle società di

persone, l’art. 73 precisa la nozione per le società di capitali e gli altri enti. Pertanto, in

riferimento ai soggetti Ires, l’art. 73, comma 3, primo periodo, dispone che:

«Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per

la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede

dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato»3.

Dalla lettura testuale della norma, si può evincere che il legislatore ha previsto tre criteri,

uno di natura formale e due di tipo sostanziale, alternativi ed equivalenti fra loro. Per tale

motivo, è sufficiente che uno solo di essi sia verificato affinché le società o gli enti

possano essere considerati fiscalmente residenti in Italia e, conseguentemente, soggetti a

imposizione diretta per i redditi ovunque prodotti nel mondo4. Tale scelta, se da un lato,

consente di individuare in sede ispettiva il criterio più idoneo sulla base

dell’osservazione concreta della realtà economica presa in esame, dall’altra, può essere

fonte, in alcuni casi, di conclusioni fuorvianti.

Prima di proseguire con l’analisi dei tre parametri - sede legale, sede

dell’amministrazione e oggetto principale - bisogna evidenziare che, come puntualizzato

dalla stessa dottrina, la residenza, di per sé, non può essere manifestazione di capacità

economica, ma rileva come “condizione obiettiva di imponibilità” di un soggetto

passivo, la cui sussistenza è data dalla norma tributaria, già ritenuta presupposto5.

3 Analogamente per le società di persone e le associazioni, l’art. 5, comma 3, lettera d) Tuir afferma che:

“si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo d’imposta

hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

L’oggetto principale è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di

scrittura privata autenticata, e in mancanza, in base all’att ività effettivamente esercitata”. 4 In tal senso la pronuncia della Comm. Trib. Centr., sez. VII, n. 4992 del 10 Ottobre 1996. Dello stesso

parere G. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Cedam, Padova, 1999, p. 94 e G. ZIZZO, Reddito

delle persone giuridiche (imposte sul), in Riv. Dir. Trib., 1994, I, p. 650. Da questa posizione si

discostano M. LEO, F. MONACCHI, M. SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, II, Giuffrè,

Milano, 1990, p. 1344, i quali sembrano prefigurare una gerarchia nell’applicazione dei suddetti principi. 5 F. NANETTI, Riflessioni in tema di “oggetto principale”, ai fini dell’art. 73, comma 3, del Tuir, in

Fisco, 2007, n. 26, fasc. I, p. 3817.

8

1.1.1. La sede legale

Il primo dei criteri adottati dall’art. 73, comma 3, Tuir è quello della sede legale. Il

riferimento alla sede legale delle società è fondato su elementi sia economici sia di fatto:

lo Stato della sede, infatti, ha un interesse primario e prevalente a tassare su base

mondiale la società che agisce entro il proprio sistema economico e, a tal fine, il criterio

formale della sede consente una più agevole individuazione. Essendo assente nel Tuir

una definizione di sede legale, la dottrina è pacificamente concorde nel rinviare

implicitamente al concetto di sede proprio del diritto internazionale privato e del diritto

civile. Pertanto, per sede legale della società o dell’ente si deve intendere, sic et

simpliciter, la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto, nel testo

concordato o fissato dalla legge al momento della costituzione dell’organizzazione , ai

sensi dell’art. 16 c.c., e in seguito annotata nel registro delle imprese, secondo quanto

dispone l’art. 33 c.c., o in quello risultante da successive modifiche6.

Tuttavia, è stato da sempre messo in risalto come la sede sociale possa non coincidere

con la sede effettiva, cioè con il luogo in cui si svolgono concretamente le attività

amministrative e di direzione dell’ente ed in cui si convocano le assemblee. Nel codice

civile, tale problema viene affrontato dal secondo comma dell’art. 46, in cui viene

specificato che nei casi in cui la sede legale sia differente da quella effettiva, i terzi

possono considerare come sede della persona giuridica quest’ultima7. Muovendo dalla

considerazione che la nozione civilistica di sede effettiva coincida sostanzialmente con

quella di sede dell’amministrazione, si ritiene che ai fini dell’art. 73, la sede legale sia

riferita esclusivamente al luogo indicato nell’atto costitutivo.

Tale disposizione presenta delle affinità, in diritto internazionale privato, con i c riteri

previsti per le società non residenti dalla L. n. 218 del 31 Maggio 1995, diretta

6

Nello specifico l’art. 16 c.c. afferma che “l' atto costitutivo e lo statuto devono contenere la

denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme

sull'ordinamento e sull'amministrazione”. L’art. 33 c.c. chiarisce che “nel registro devono indicarsi la

data dell'atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il

patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il

nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza”. In merito,

l’art. 2328 c.c. prevede che l’atto costitutivo della società deve indicare la sede della società e le eventuali

sedi secondarie. Inoltre, anche nelle comunicazioni effettuate presso gli Uffici finanziari e nel Registro

delle imprese deve essere necessariamente indicata la sede legale della società. 7 L’art. 46 c.c. sancisce che “la sede effettiva è il luogo dove l'ente svolge le attività amministrative e di

direzione, se diverso da quello della sede legale, e rileva sempre nell'ottica di tutela dei terzi, cosicché

risulterà (secondo un esempio frequente nella pratica) validamente notificato un atto presso la sede

effettiva pur diversa da quella indicata nell'atto costitutivo”. In tale direzione Cassazione, sezione penale,

n. 1156 del 19 Aprile 2000.

9

applicazione del criterio dell’incorporazione (law of incorporation), di stampo

anglosassone8. In merito, infatti, l’art. 25 della legge in questione, la cui disciplina ha

sostituito quella precedentemente contenuta nell’art. 2505 c .c., dispone al primo comma:

«le società, le associazioni, le fondazioni e ogni altro ente, pubblico o privato,

anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui

territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la

legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se si trova

l’oggetto principale di tali enti».

Secondo le disposizioni di diritto privato internazionale, dunque, laddove una società

non abbia la sede legale in Italia, potrebbe comunque essere soggetta anche alle norme

italiane se la propria sede dell’amministrazione o il proprio oggetto principale siano

comunque rinvenibili in Italia9.

1.1.2. La sede dell’amministrazione

Per sede dell’amministrazione si intende il luogo in cui viene effettivamente esercitata

la gestione amministrativa, nel senso di alta direzione dell’impresa relativa

all’assunzione delle decisioni chiave e alla determinazione delle strategie aziendali,

prescindendo sia dalla formale, ed eventualmente fittizia, attribuzione del potere di

amministrare a determinati soggetti, sia dal luogo in cui si svolgono le riunioni del

consiglio d’amministrazione10

.

In tale direzione anche la Corte di Cassazione, la quale ha ribadito la necessità di

individuare la sede amministrativa attraverso un'indagine circa la sussistenza di un

complesso di fattori che sembrano ricondurre alla nozione di sede effettiva, intesa

come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione

dell'ente e si convocano le assemblee, cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato,

per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici

8 J.M. RIVIER, General report, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 47 ss. 9

In tal senso B. ACCILI, La responsabilità penale degli amministratori di società esterovestite , in Dir.

Prat. Trib. Int., 2012, II, p. 1669 e S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, Egea, Milano, 2007, p. 43 ss..

10 In questo senso A. M. GAFFURI, Sede di direzione e sede dell'amministrazione: i presupposti della

stabile organizzazione e della residenza, in G. GAFFURI, M. SCUFFI (a cura di), Lezioni di diritto

tributario sostanziale e processuale, Edizioni del Bollettino tributario, Milano, 2009, pag. 169, per cui il

legislatore italiano ha voluto scindere l'attività direttiva da quella amministrativa per l'identificazione

della sede dell'amministrazione. La sede amministrativa è il luogo dove sono compiuti quotidianamente

gli atti gestionali e non quello da cui provengono le indicazioni di massima sugli obiettivi imprenditoriali

da raggiungere. In tale senso, anche C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, II edizione,

Ipsoa, Milano, 2008, p. 282 e la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVI,

n. 108 del 18 Aprile 2007.

10

societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività del l'ente11

. In

altri termini, riproponendo una delle espressioni utilizzate in giurisprudenza, “la sede

dell’amministrazione è il luogo dal quale provengono gli impulsi volitivi inerenti

all’attività amministrativa delle società ed enti”12

.

Di conseguenza, si giunge alla conclusione che la sede dell’amministrazione è unica e,

pertanto, non possono esistere più sedi. Ciò significa che se la sede

dell’amministrazione viene spostata, ossia se gli impulsi volitivi in cui si concretizza

l’attività amministrativa provengono in un secondo momento da una sede ubicata

all’estero, il requisito indicato non sussiste più e quindi viene a mancare, se esso era

l’unico criterio di collegamento al territorio italiano, la sottoposizione della società alla

legge stessa.

La determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica la

presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la

sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti

societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale

società13

. A tali elementi possono essere aggiunti la residenza degli amministratori, la

figura professionale di chi, come nel caso di trust company, riveste la carica

dirigenziale, e il potere di movimentare i conti correnti intestati alla società14

. Tale

11

Cass., sez. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013 e B. SANTACROCE, D. AVOLIO, Esterovestizione e abuso

del diritto: la Corte di cassazione si pronuncia sulla “sede effettiva”, in Corr. Trib., 2013, n. 15, p. 1173

ss.. Inoltre, così come sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, n. 3910 del 9 Giugno 1988,

la sede effettiva di una società non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della medesima,

oppure una persona fisica che generalmente ne cura gli interessi o è preposta ad uffici di rappresentanza,

ma si identifica con il luogo ove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell’impresa . 12

La definizione riportata è estrapolata dalla pronuncia del Tribunale di Genova del 31 Marzo 1967. Della

stessa opinione, C. GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Cedam, Padova, 1990, p. 184

e V. PIACENTINI, Principi generali di tassazione: la residenza. I redditi esteri dei soggetti residenti ed i

redditi italiani dei soggetti non residenti, in Manuale di fiscalità internazionale, A. DRAGONETTI (a

cura di), Ipsoa, Milano, 2012, p. 324. 13

Così come sostenuto da M. PARPIGLIA, M. SERINO, La “sede dell’amministrazione” nell’attribuzione di

residenza fiscale delle persone giuridiche. Criticità operative, in Fisco, 2008, n. 24, fasc. I, p. 4301, per

l’individuazione della sede dell’amministrazione bisogna prendere in considerazione il ruolo degli

amministratori che operano in concreto e non soltanto a quelli preposti all’amministrazione in via meramente

formale. In tal senso anche le sentenze della Corte di Cassazione, sez. III, n. 4172 del 10 Dicembre 1974 e della

Cassazione, sez. penale, n. 16001 del 8 Aprile 2013 e M. CERRATO, Sui confini tra esterovestizione societaria

e stabile organizzazione, in Riv. Dir. Trib., 2013, n. 6, p. 55 ss.. Nonostante l’ampia letteratura a supporto di tale

tesi, si rileva la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di di Verona, sez. IV, n. 64 del 28 Febbraio

1996, la quale non ha riconosciuto la residenza fiscale in Italia ad una società costituita all’estero in cui

l’amministratore di fatto era residente in Italia e da tale sede diffondeva i suoi impulsi volitivi. 14

Di tale opinione, G. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Cedam, Padova, 1999, p. 119 e V.

PIACENTINI, Principi generali di tassazione, cit., p. 325. Inoltre, così come descritto da C.

GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, cit., p. 283, un ulteriore problema affrontato è stato

quello inerente l’individuazione della sede dell’amministrazione nel caso in cui sia presente all’interno

della società un top management che ha il compito di attuare gli impulsi volitivi degli amministratori. In

11

impostazione, di tipo sostanziale, è stata confermata anche dall’Agenzia dell’Entrate la

quale, con la Circolare n. 28/E del 4 Agosto 2006, ha affermato che l’esistenza della

sede dell’amministrazione deve essere determinata in base ad elementi di effettività

sostanziale e richiede complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o

dell’ente con un determinato territorio, che può non corrispondere con quanto

presentato nell’atto costitutivo o nello statuto15

. Con specifico riferimento all’attività

svolta dai rappresentanti della società estera, la Commissione Tributaria Centrale ha

avuto l’opportunità di ribadire la prevalenza del requisito della sede amministrativa e

quello del centro dell’attività sociale rispetto a quello della sede legale, qualora una

società risulti con sede legale all’estero, ma abbia in Italia una sede amministrativa con

poteri di gestione indipendenti e con a capo una persona che rivesta formalmente la

qualifica di institore16

. In tal modo, è stata rilevata l'equivalenza delle discipline interna

e convenzionale in tema di elezione di residenza ai fini fiscali, individuando quale tie-

breaker rule operante anche sul piano nazionale, la localizzazione della sede effettiva.

Constatato che la sede amministrativa non deve essere confusa con il luogo formale in

cui è convocato il C.d.A., è stato comunque messo in risalto che la facilità negli

spostamenti e il progresso della tecnologia consentono di collocare l’attività di

amministrazione nel luogo più conveniente sotto il profilo fiscale, e persino di rendere

del tutto evanescente il luogo dove la stessa viene esercitata, come ad esempio nei casi

di Consigli di Amministrazione itineranti, o tenuti per videoconferenza17

.

detta ipotesi, la ricerca della sede dell’amministrazione si dovrà indirizzare al luogo in cui la società

svolge, tramite i propri top manager, la prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio

dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli

affari e i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il

raggiungimento dei fini sociali. Detto criterio, però, è ritenuto sussidiario rispetto a quello primario che si

riferisce, invece, all’attività degli amministratori, ritenendosi del tutto irrilevante il luogo della semplice

esecuzione delle delibere assembleari. In tal senso anche la sentenza della Commissione Tributaria

Provinciale di di Savona, sez. VII, n. 46 del 10 Marzo 2011 e A. ROMA, La prova dell’esterovestizione in

assenza di presunzioni legali, in Fisco, 2011, n. 20, fasc. II, p. 3223. 15

Come mostrato dalla Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007, per quanto riguarda i criteri di

individuazione della sede dell’amministrazione delle società, è stato evidenziato come il riferimento agli

uffici amministrativi deve essere effettuato in senso sostanziale, così da escludere studi professionali o

società di servizi sia quando vengono utilizzati per la mera domiciliazione della sede, ma anche quando

sono designati quali amministratori del soggetto estero. È stato messo in evidenza, infatti, che molti studi

professionali e società di servizi agiscono per diversi clienti e generalmente si limitano a svolgere

un’attività di esecuzione di decisioni assunte altrove. 16

Commissione Tributaria Centrale, sez. VII, n. 4992 del 10 ottobre 1996. 17

Così come descritto da G. MARINO, La residenza, cit., p. 109, essendo implicita dalla stessa

espressione di sede la continuità dell’attività volitiva, non è sufficiente la localizzazione spaziale di un

solo atto occasionalmente ivi riferibile, anche se proveniente dalle persone che concretamente

amministrano.

12

Nel caso di società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento, la riforma del

2003 ha introdotto la possibilità per la società madre di poter intervenire sulle altre

società del gruppo, emanando direttive vincolanti per queste ultime. In dottrina, tale

potere gestorio è stato frequentemente ricondotto, non essendo sottoposto ad ulteriore

sindacato da parte di organi esecutivi, al potere degli amministratori, soprattutto in

termini qualitativi. Dato il consenso nella migliore dottrina, si può affermare che, nei

casi in cui l’attività di direzione e coordinamento si traduca in una cessione delle

prerogative amministrative a favore della società capogruppo, la sede

dell’amministrazione della società sottoposta coincida con la sede della controllante o

con il luogo nel quale l’organo decisionale di quest’ultima esercita stabilmente le sue

funzioni. Tale impostazione può assumere varie gradazioni, a seconda dell’influenza

esercitata dalla capogruppo. Infatti, fintantoché la maggior parte delle competenze è in

capo agli amministratori della società sottoposta, è difficile trovarsi nel caso in cui vi

sia traslazione della sede dell’amministrazione nello Stato della controllante, pur in

presenza di direttive che, tuttavia, non eccedano la normale pianificazione strategica

del gruppo18

. Tale problematica potrebbe essere risolta in due maniere, in relazione al

fatto che possa essere considerato:

a) il livello superiore, ossia quello del controllo, e quindi dei soci, con il rischio di una

sovrapposizione di piani soggettivi distinti;

b) il livello inferiore, ossia quello della gestione operativa, con il rischio di un

appiattimento del criterio dell’oggetto principale19

.

In conclusione, ritenendo che la sede dell’amministrazione è il luogo in cui è fissata la

sede centrale di direzione, controllo ed impulso della complessa e variegata attività

economica sociale, indipendentemente dai risvolti meramente gestionali ed attuativi ,

seppur di vertice, risulta complessa la sua individuazione, allorché la fattispecie

concreta è composta da un insieme di elementi spesso non tutti convergenti.

1.1.3. L’oggetto principale

Per quanto concerne il criterio dell’oggetto principale, che dovrebbe trovare

applicazione soltanto nel caso in cui la sede legale o amministrativa non siano in Italia

per la maggior parte del periodo d’imposta, l’art. 73, co. 4, Tuir lo definisce quale

18

In tale direzione la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di di Firenze, sez. XXV, n. 61

del 18 Gennaio 2008. 19

G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Cedam, Padova, 2010, p. 268.

13

“l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge,

dall’atto costitutivo o dallo statuto”20

. Se gli atti indicati prevedono lo svolgimento di

più attività, di cui alcune non commerciali, si deve fare riferimento all’attività che

risulta essere essenziale, vale a dire quella che consente il raggiungimento degli scopi

primari e che tipicizza l’ente medesimo21

. Inoltre, in mancanza dell’atto costitutivo o

dello statuto nelle forme di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata,

l’oggetto principale della società o dell’ente residente è determinato in base all’effettiva

attività svolta nel territorio22

.

La dottrina prevalente, esprimendosi sulla portata di tale disposizione, riconosce che, ai

fini della localizzazione dell’oggetto principale, deve essere presa in considerazione non

solo l’attività prevista a livello statutario, ma, come per la sede dell’amministrazione, si

deve fare riferimento al carattere sostanziale dell’attività stessa, avendo riguardo, quindi,

all’attività effettivamente esercitata23

. Ciò comporta necessariamente un accertamento di

fatto circa gli aspetti quantitativi e, soprattutto, qualitativi, afferenti lo svolgimento

dell'attività tipica, il che non potrà ricondursi alla semplice localizzazione dei beni

attraverso cui l'attività viene esercitata24

. Dunque, risulterebbe erroneo identificare il

luogo di svolgimento dell’oggetto sociale o principale nel luogo in cui si esplica

materialmente l’attività caratteristica della società, dovendosi esso identificare, invece,

nel luogo in cui si concretizza l’attività posta in essere dagli amministratori per realizzare

gli scopi indicati nell’atto costitutivo25

. Di conseguenza, ai fini dell’individuazione

20 Tale obbligo è contenuto per le S.p.A. nell’art. 2328, co. 3, n. 3) c.c., e per le S.r.l. nell’art. 2463 c.c.. 21

Circolare Ministeriale n. 124/E del 12 Maggio 1998. In giurisprudenza, Tribunale di Roma del 2 Maggio

1963, e Cass., sez. un., n. 1857 del 26 Maggio 1969.

22 Con l’oggetto principale dell’impresa, di cui all’art . 2505 c.c., si era voluto sottolineare l’importanza

della connessione con il territorio dello Stato, oltre che dell’attività amministrativa, come attività di

propulsione della società, anche dell’attività concreta che la socie tà svolge nel mondo economico.

Tuttavia, con l’abrogazione di tale articolo, ad opera dell’art. 25 L. n. 218/1995 il quadro sembra essere

rimasto quasi inalterato. In tale direzione anche C. SACCHETTO, Imposta sulle persone giuridiche, in A.

AMATUCCI, Trattato di diritto tributario, Volume IV, Cedam, Padova, 1994, p. 88. 23

In tal senso la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la sentenza della Corte

di Cassazione, sez. I, n. 10409 del 4 Ottobre 1991. 24

Sulla prevalenza del dato formale sul sostanziale ai fini della individuazione dell'oggetto sociale merita

menzione l'interpretazione data da F. NANETTI, Riflessioni in tema di oggetto principale, cit., p. 3810 e

ss., secondo cui deve essere dato rilievo al radicamento economico prevalente del soggetto nel territorio

dello Stato, indipendentemente sia dalla sede legale, sia dall'assunzione di decisioni di alta

amministrazione. In tal senso, il radicamento economico deve consistere nello svolgimento di un'attività e

non può limitarsi al possesso di beni.

25 In tale direzione, anche la Circolare della Guardia di Finanza, n. 1 del 22 Dicembre 2008, la quale

precisa che trattandosi di una definizione estremamente ampia, è necessario prendere in considerazione lo

svolgimento dell’attività per il cui esercizio la società è stata co stituita, nonché gli atti produttivi e

negoziali ed i rapporti economici che la stessa pone in essere con terzi, distinguendo così tali atti di

gestione da quelli concernenti l’attività amministrativa della società.

14

dell’oggetto principale dell’attività dovrà farsi riferimento a dati concreti, materialmente

riscontrabili, quali, ad esempio: la localizzazione degli investimenti, la sede degli

impianti produttivi e/o di stoccaggio, la sede degli uffici ove si svolgono le funzioni

amministrativo-contabili26

.

La dottrina civilistica ha da tempo stigmatizzato l’uso infelice di questa espressione,

mettendo in evidenza che l’oggetto indica propriamente “lo scopo della società, che non

può essere localizzato nello spazio”27

. Sempre in dottrina, è stato affermato che qualora

una parte dell’oggetto sia perseguita all’estero e una parte in Italia, si tratta di giudicare

la prevalenza quantitativa dell’esplicazione dell’attività sociale , fermo restando che non

è possibile indicare a priori quale elemento sia da ritenere come prevalente, se la

quantità di affari o di produzione degli stabilimenti sociali, oppure l’importanza in

termini di valore dei medesimi28

. Se la parte dell’oggetto perseguita nel territorio

italiano è prevalente rispetto a ciascuna attività estera, ma non prevalente rispetto

all’insieme delle attività svolte negli altri Paesi sommata insieme, la dottrina ritiene che

la prevalenza relativa sia sufficiente a ritenere esistente l’oggetto principale in Italia .

Alla luce di quanto esposto, i requisiti che potrebbero consentire di considerare

residente una società priva di sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato,

possono essere i seguenti:

a) con riferimento all’atto costitutivo: principalità delle attività svolte in Italia rispetto

alle attività svolte al di fuori del territorio italiano;

b) in assenza di indicazioni nell’atto costitutivo: principalità in base ad un’analisi

sostanziale delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte al di fuori del

territorio italiano;

c) mantenimento di tale principalità per la maggior parte del periodo di imposta.

26

Di tale opinione la sentenza Corte di Cassazione, sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012 e P.

VALENTE, Il criterio dell’oggetto principale ai fini dell’identificazione della residenza fiscale delle

società, in Fisco, 2010, n. 28, fasc. n. 1, p. 4468 ss.. Inoltre, così come esposto da G. MELIS, Il

trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi , Giuffrè, Milano, 2009, p. 241, i

parametri quantitativi potrebbero essere, ad esempio, il fatturato lordo, il valore delle attività localizzate e

il numero di dipendenti in ciascuno Stato. 27

R. BAGGIO, Il principio di territorialità e limiti alla potestà tributaria, Giuffrè, Milano, 2009, p. 315. 28

In tal senso A. M. GAFFURI, La tassazione dei redditi prodotti all’estero, Giuffrè, Milano, 2008, p.

162 ss., secondo cui la scelta di ricondurre l’oggetto principale al fatturato non è ammissibile anche

perché, valorizzando unicamente le operazioni di vendita, si finisce per trascurare che tali operazioni

rappresentano, invece, soltanto la fase conclusiva di un processo ben p iù articolato (cd. catena del valore),

costituito da una serie di funzioni tutte ugualmente indispensabili per il conseguimento dell’oggetto

sociale. Come per altro riconosciuto da tempo in giurisprudenza, l’attività di impresa non può essere

identificata con i singoli affari essendo, al contrario “un complesso di atti diretti ad un fine” che richiede

un quid pluris rispetto allo svolgimento di una serie di operazioni commerciali (Cass. , sez. I, n. 1439 del

26 Febbraio).

15

1.1.4. L’elemento temporale: “per la maggior parte del periodo d’imposta”

Analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, per verificare il momento di

acquisizione della residenza fiscale di una società, al fine di contrastare eventuali

manovre elusive derivanti da cambi fittizi di sede, è opportuno definire il concetto di

periodo d’imposta, tenendo presente che vanno considerate residenti le società e gli enti

che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede

dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato29

.

Generalmente, salve specifiche previsioni legislative, la durata degli esercizi sociali

prevista negli atti costitutivi di società redatti in Italia è fissata in dodici mesi, che

possono coincidere o meno con l’anno solare; ne consegue che il periodo d’imposta si

estende a una fase temporale di dodici mesi30

. Poiché non sono indicati sub-criteri in base

ai quali identificare il significato dell’espressione della “maggior parte del periodo

d’imposta”, ne consegue, in analogia a quanto avviene per le persone fisiche, l’acquisto

della residenza in Italia può dirsi pienamente compiuto da parte delle società quando la

sede legale o amministrativa permanga nel territorio dello Stato per la maggior parte del

periodo d’imposta e, quindi, per un termine minimo di 183 giorni l'anno31

. Ciò vale anche

nelle ipotesi di trasferimento di sede in Italia, nel presupposto che il periodo d’imposta

della società, che opera la variazione della sede, abbia durata di dodici mesi. Pertanto, nel

caso in cui la società abbia trasferito la sede successivamente al 183° giorno dell’anno,

non potrà considerarsi residente in Italia, in quanto per la maggior parte del periodo

d’imposta non ha avuto nel territorio dello Stato italiano la sede legale ovvero

amministrativa, nonché l’oggetto principale32

.

29

Come mostra la Relazione Governativa all’art. 87, DPR 917/1986 “l’introduzione di tale previsione

normativa, che ha subito notevoli critiche, è finalizzata a colmare una lacuna della normativa a causa

della mancanza di un criterio temporale per accertare la sussistenza della condizione di residenza”. 30

Al riguardo si ricorda che l’art. 76, comma 2, Tuir sancisce che “ il periodo di imposta è costituito

dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto

costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinato dalla legge o dall’atto

costitutivo o è determinata in due o più anni il periodo di imposta è costituito dall’anno solare ”. 31

Relativamente all’elemento temporale, così come affermato da S. CAPOLUPO, D.L. n. 223/2006. La

presunzione di residenza in Italia, in Fisco, 2006, n. 33, fasc. I, p. 5070, ai fini del calcolo della

sussistenza dei requisiti sembrerebbe possibile sommare anche più frazioni di anno ancorché tra di loro

discontinue. Di tale opinione anche F. CARRICOLO, Il trasferimento all’estero della sede di società e in

Italia della sede di società estera, in Fisco, 2009, n. 48, fasc. I, p. 7912 ss.. Inoltre, nel caso si tratti di

anno bisestile, il termine minimo è fissato in 184 giorni. 32 Così come illustrato da P. VALENTE, Delocalizzazione migrazione societaria e trasferimento sede ,

Ipsoa, 2014, p. 4, nell’ipotesi di trasferimento, nel corso del periodo d’imposta, della sed e legale in Italia

dall’estero, o viceversa, al fine di determinare il Paese di residenza della società o dell’ente occorre

assumere, così come mostrato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 9 del 17 Gennaio 2006,

16

1.2 La definizione di residenza fiscale secondo il diritto convenzionale e comparato

In ambito internazionale può accadere che, adattando quasi tutti i Paesi ad economia

avanzata il criterio della tassazione dei redditi su base mondiale per i soggetti residenti

(cd. worldwide taxation principle), e quello della territorialità per i non residenti, più

Stati affermino contestualmente la residenza fiscale di una società nel proprio territorio,

facendo emergere fenomeni di doppia tassazione internazionale33

. Pertanto, i trattati

stipulati tra gli Stati stessi, servono a prevenire il verificarsi di casi di doppia

imposizione, dovuti all’utilizzo di diversi criteri da parte di due Paesi interessati,

mediante l’adozione di speciali principi per la determinazione della residenza34

.

1.2.1. Il Modello OCSE

Gran parte delle limitazioni all’esercizio della potestà tributaria dei singoli Stati deriva

dai trattati contro le doppie imposizioni, tendenzialmente stipulati in osservanza delle

indicazioni contenute nel Modello OCSE35

. Tale Modello fornisce all'art. 4 alcuni criteri

utili per la determinazione della residenza. Il primo paragrafo afferma che:

«si considera residente di uno Stato contraente ogni persona o società che

in virtù delle norme di tale Stato è assoggettato a imposta nello stesso Stato

in ragione del suo domicilio, residenza, sede effettiva o altro criterio

similare»36

.

L'art. 4, paragrafo 3, regola il problema della doppia residenza di una società,

stabilendo che:

«Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an

individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be

a resident only of the State in which its place of effective management is

situated».

quale data di trasferimento, quella giudicata rilevante ai fini fiscali dall’ordinamento tributario di

provenienza. 33

S. ZANONI, P. BERTOLASO, Regime presuntivo di localizzazione per le società “esterovestite”.

Considerazioni in ordine all’applicabilità della stretta antielusiva alle società di persone residenti,

controllate da soggetti esteri, in Fisco, 2006, n. 48, fasc. I, p. 7366 ss..

34 L. TOSI, R.BAGGIO, Lineamenti di diritto tributario internazionale, Cedam, Padova, 2007, p. 38.

35 L’obiettivo delle convenzioni stipulate dagli Stati è la rimozione o la limitazione dell’onere della doppia

imposizione (generalmente di tipo giuridico), ma anche l’eliminazione della tassazione discriminatoria e

la collaborazione tra amministrazioni finanziarie per contrastare l’evasione internazionale e interna,

ovvero frodi e comportamenti elusivi a livello internazionale. 36

Così come mostrato da G. COPPOLA, A. POMPILI, La residenza fiscale nella normativa

convenzionale, in Fisco, 2006, n. 33, fasc. I, p. 5110, l’unico limite posto dalla Convenzione pare essere

che i criteri di definizione della residenza stabiliti dalle norme nazionali debbano comunque essere idonei

ad esprimere un effettivo collegamento con lo Stato.

17

Diversamente dalle tie-breaker rules applicabili per le persone fisiche, se una società è

residente in entrambi gli Stati contraenti, si ha a disposizione un solo test che si riferisce

alla sede di direzione effettiva. In tal modo, in luogo del criterio formale della

costituzione (law of incorporation), si è preferito privilegiare il criterio sostanziale del

place of effective management. Tuttavia, quest’ultimo criterio non è stato definito in

maniera autonoma dalla Convenzione, ma mantiene il significato ad esso attribuito dalla

legislazione interna degli Stati contraenti, con la conseguenza che una norma di

risoluzione dei conflitti può risolversi in un conflitto di interpretazione unilateralmente

attribuite ad essa dagli Stati interessati. Pertanto, pare vi sia coincidenza tra la nozione di

sede di direzione effettiva e quella di sede dell’amministrazione, propria del diritto

interno italiano37

. In merito alla portata della locuzione utilizzata dal Modello OCSE, il

paragrafo 23 dell’art. 4 attribuisce prevalenza al luogo dove si concentra l’effettiva

direzione strategica dell’impresa, cioè il vero e proprio centro decisionale , in cui vengono

adottate le più importanti scelte relative alla gestione della società e allo svolgimento

dell’attività d’impresa. Prima della modifica occorsa nel Luglio 2008, tale concetto

veniva illustrato nel punto 24 del Commentario all’art. 4, in cui si chiariva che la sede di

direzione effettiva rappresenta il luogo dove le persone che svolgono le funzioni di rango

più elevato prendono le loro decisioni. Lo stesso Commentario rilevava come non fosse

possibile stabilire una regola precisa per determinare la sede di direzione effettiva, per

cui riteneva necessario analizzare tutti i fatti e le circostanze rilevanti.

Con la modifica del Commentario avvenuta nel 2008, il nuovo paragrafo 24.1 precisa

che, vista la scarsa frequenza di casi di doppia residenza delle persone giuridiche, gli

Stati dovrebbero procedere singolarmente all’esame e alla relativa risoluzione case-by-

case38

. In altre parole, le modifiche al Commentario OCSE introdotte nel 2008 hanno

37

Coerentemente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la risalente sentenza , sez. II, n. 136

del 22 Gennaio 1958, la sede effettiva della società deve considerarsi come “ il luogo in cui la società

svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio d’impresa, cioè il centro

effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori

dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali ”. In

tal senso anche S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, cit., 2007, p. 61 e P. VALENTE, S. MATTIA,

Esterovestizione e residenza: i gruppi italiani operanti nel settore dell’autotrasporto, in Fisco, 2012, n. 8,

fasc. I, p. 1155 ss.. 38

Tali Stati hanno, altresì, la facoltà di attribuire alle autorità competenti il compito di risolvere la

questione della residenza delle persone giuridiche, mediante una previsione alternativa del seguente

tenore: “Laddove, ai sensi del paragrafo 1, una persona giuridica risieda in entrambi gli Stati contraenti,

le autorità competenti di tali Stati potranno determinare di comune accordo in quale dei due Stati la

persona giuridica dovrà ritenersi residente, ponendo attenzione alla sede della direzione effettiva, al

luogo di costituzione ovvero ad ogni altro fattore rilevante. In assenza di accordo, la persona giuridica

18

eliminato il riferimento al place of effective management come al luogo in cui i vertici

della società assumono le loro decisioni, pur mantenendo un riferimento generico al

luogo in cui sono assunte le decisioni fondamentali per l’attività dell’impresa, lasciando,

pertanto, alle Amministrazioni Finanziarie degli Stati contraenti la più ampia

discrezionalità sul tema39

. Di conseguenza, il place of effective management coincide con

il luogo ove il top management di fatto esercita i poteri mediante i quali influenza il

corso normale dell’attività di business, e non nel luogo in cui le decisioni relative al day-

to-day management sono adottate. Ne deriva che una società può avere più centri di

impulso direzionale ma un’unica sede di direzione effettiva40

. Inoltre, non può

qualificarsi come place of effective management il luogo nel quale si svolge

semplicemente una mera attività di supervisione del business, come ad esempio nel caso

in cui vi sia ingerenza da parte dell’azionista di maggioranza, il quale interviene in modo

regolare nella normale attività dell’impresa. A tal fine, non è decisivo il luogo ove

vengono messe in pratica tali decisioni, ma piuttosto il luogo in cui esse vengono

assunte41

.

L’Italia, in linea con il criterio dell’oggetto principale, ex art. 73 comma 3 Tuir, ha

formulato una riserva formale al paragrafo 24, sostenendo che, non essendo il criterio

proposto l’unico ammissibile, nel determinare la sede di direzione effettiva debba essere

preso in considerazione anche il luogo in cui viene esercitata l’attività principale e

sostanziale42

.

non ha diritto ad alcuna esenzione fiscale, se non nei limiti concordati tra le autorità competenti degli

Stati contraenti”. 39

A seguito delle modifiche del 2008, per determinare la residenza, le autorità competenti dovranno tener

conto, a titolo esemplificativo e non esaustivo, dei seguenti fattori:

a) il luogo ove si svolgono le riunioni del consiglio di amministrazione;

b) il luogo in cui il CEO e gli altri senior executives usualmente svolgono le loro funzioni;

c) il luogo del day-to-day management;

d) il luogo in cui si trova l’headquarter;

e) la legislazione applicabile;

f) il luogo in cui è tenuta la contabilità. 40

Di tale opinione G. NOVARA, Residenza di enti e società nell’imposizione personale sui redditi, in

Boll. Trib., 1990, p. 14 ss., il quale afferma che le sedi di direzioni, riguardando singoli settori d’attività

d’impresa possono essere localizzate in luoghi diversi, mentre la sede di direzione effettiva è quella nella

quale si svolge la direzione globale e unitaria dell’impresa. 41

In tale direzione P. VALENTE, Delocalizzazione, cit., p. 8, e W.G. KUIPER, I trattati fiscali contro le

doppie imposizioni, in Manuale di fiscalità internazionale, A. DRAGONETTI (a cura di), Ipsoa, Milano,

2012, p. 72. 42

E. VIAL, I vantaggi della doppia residenza delle società in caso di flussi transnazionali di reddito, in

Fisco, 2005, n. 33, fasc. I, p. 5178 ss.. In tal senso anche la Circolare dell’Agenzia dell’Entrate, n. 28/E

del 4 Agosto 2006.

19

L’art. 4, a causa dell’utilizzo del metodo del rinvio come criterio base e di una tie-

breaker rule come metodo della risoluzione dei conflitti, implica che una società possa

essere considerata residente ai fini fiscali dalle legislazioni interne di entrambi gli Stati

contraenti nel caso che esse adottino criteri di collegamento diversi. Si tratta, in questo

caso, di una società con doppia residenza fiscale (cd. dual resident company)43

.

L’attribuzione della residenza esclusiva vale, quindi, solo nell’ambito della Convenzione,

che, essendo bilaterale, regola solo i rapporti tra gli Stati contraenti . Alla luce di tali

considerazioni, ci si potrebbe chiedere se non sia più corretto utilizzare il place of

effective management come criterio residuale anziché primario, nell’ipotesi in cui vi sia

conflitto di attribuzione della residenza tra più Stati, in cui l’impresa svolge la propria

attività principale44

.

1.2.2. La residenza fiscale nel diritto di alcuni Paesi UE ed extra-UE

In ambito internazionale, le problematiche di maggior rilievo sorgono a causa di possibili

difformità nei criteri di collegamento adottati dagli Stati, per individuare la legge che

regola il funzionamento di una società, tra cui il luogo dell’incorporazione o della sede

reale.

La teoria dell’incorporazione, di origine anglosassone, consiste nella determinaz ione

dello statuto personale della società in base alla legge dello Stato in cui la società è stata

originariamente costituita, a prescindere dalla sede effettiva. Anche se protendere per il

criterio dell’incorporazione è, in realtà, una scelta politica legislativa ispirata dal

desiderio di attrarre gli investimenti stranieri, in astratto, tale scelta comporta il rischio di

diminuire la tutela di coloro che nel Paese di destinazione entrano in contatto con una

società straniera, in quanto quest’ultima non è obbligata a rispettare tutte le disposizioni

nazionali a garanzia di terzi. Dall’altra parte, tale teoria può facilitare la creazione di

mere letter box companies aventi carattere elusivo, cioè società formalmente costituite in

un Paese con il quale non hanno alcun legame e operanti esclusivamente in un altro Stato

43

Tale fattispecie, inoltre, può essere determinata dalla mancanza di un’univoca interpretazione, anche in

sede OCSE, del concetto di place of effective management. 44

Di tale opinione G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires: giurisprudenza e normativa

convenzionale, in Corr. Trib., 2008, n. 45, p. 3648 ss., P. VALENTE, Esterovestizione e residenza, Ipsoa,

Milano, 2013, p. 3 ss., e G. MOSCHETTI, Origine storica, significato e limiti di utilizzo del place of

effective management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia residenza delle persone giuridiche, in

Dir. Prat. Trib., 2010, n. 2, p. 224 ss..

20

tramite una succursale45

. Tale criterio è seguito prevalentemente dagli Stati di

derivazione anglosassone - Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda - ai quali si

aggiungono Paesi extra-Ue, come Brasile, Corea, India e Hong Kong, e la maggior parte

degli Stati nordeuropei, tra cui Irlanda, Svezia e Finlandia.

Secondo la legge britannica, la società si considera residente nel Regno Unito se è stata

costituita nel territorio dello Stato ovvero se ivi presente la sua sede centrale di controllo

e gestione, cd. central management and control, che viene ricondotta alla collocazione

operativa degli amministratori piuttosto che alla residenza dei soci46

.

Gli Stati Uniti, alla stregua dell’espressione contenuta nell’Internal Revenue Code “any

corporation created or organized in the United States or under the law of the United

States or of any State”, adottano tale criterio in modo molto più stringente47

.

Una società è considerata residente in Canada, o se ivi costituita, o se in tale Paese è

collocato il suo central management and control, non rilevando, alla stregua di ciò che

avviene in Inghilterra, il luogo di residenza degli azionisti. Inoltre, il Canada e gli Stati

Uniti hanno formulato un’osservazione all’art. 4 del Modello OCSE, ritenendo che il

place of incorporation sia il criterio da utilizzare per determinare la residenza fiscale di

una società48

. La legge della Nuova Zelanda prevede che una società è fiscalmente

residente nel Paese se ivi presente la sede principale, inteso come il centre of

administrative management.

Di convesso, alcuni Stati, come ad esempio l’Australia e la Svezia considerano come

elementi determinanti ai fini fiscali la nazionalità della maggior parte degli azionisti o il

loro luogo di residenza. La legislazione fiscale svedese non definisce specificatamente il

concetto di residenza delle società, ma opera una presunzione per la quale se una società

è annotata presso il registro del commercio svedese, essa si considera residente in Svezia.

In modo speculare, l’Amministrazione finanziaria australiana ha chiarito che

l’identificazione del central management and control richiede una preventiva indagine

sui soggetti, la tempistica e la collocazione geografica proprio delle procedure decisionali

di tipo strategico della società.

45

P. TROIANELLO, Lo stabilimento delle società nell’Unione Europea, Ed. Scientifica, Napoli, 2009, p.

85. 46

B.M. JEFFCOTE, United Kingdom, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles,

1987, Vol. 72a, p. 503 e C. PANAYI, United Kingdom, in G. MAISTO, Residence of Companies under

Tax Treaties and EC Law, IBFD, Amsterdam, 2009, p. 315. 47

C. D’AVINO, United States, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987,

Vol. 72a, p. 299. 48

K. BROOKS, Canada, in G. MAISTO, Residence of Companies under Tax Treaties and EC Law , IBFD,

Amsterdam, 2009, p. 187.

21

La teoria della sede effettiva, sorta in Francia verso la metà del XIX secolo, presuppone

che il luogo di ubicazione della sede effettiva determini la legge applicabile alla società,

in quanto lo Stato ove essa opera sembra essere il principale interessato alla vita

economica dell’ente stesso. L’applicazione di tale criterio, tuttavia, può comportare non

pochi problemi di compatibilità con il diritto comunitario, in quanto causa notevole

incertezza giuridica nonché possibile disparità di trattamento. Molti Paesi industrializzati

adottano tale criterio tra cui in Europa Belgio, Svizzera, Germania, Austria, Francia,

Grecia e Lussemburgo, e al di fuori del Vecchio Continente Sud Africa, Cina, Giappone

ed Israele49

.

La legge belga definisce la sede della società come “il luogo dal quale sono emanati gli

impulsi volitivi, e dove sono collocate l’amministrazione centrale e la direzione effettiva

della società”. In tale ottica, la sede reale prevale sulla sede statutaria, nel caso in cui

queste due non corrispondano50

.

Per la legislazione svizzera, una persona giuridica è considerata residente in Svizzera ai

fini fiscali se ivi trova il suo registred office o il suo luogo di direzione effettiva.

Secondo il Federal Direct Tax Harmonization, il luogo della direzione effettiva si trova

dove l’attività della società viene svolta e “where important company decisions are

taken”. Secondo l’interpretazione della Corte federale, esso coincide in generale con il

luogo in cui “the centre of gravity of the business direction is located”51

.

Nell’Europa continentale, la legge più spesso fa riferimento al concetto di place of

management, poi interpretato dalle rispettive Amministrazioni quale sede decisionale

vicina al luogo di esercizio dell’attività d’impresa, piuttosto che quale luogo di esercizio

delle scelte strategiche a medio-lungo termine, con un abbassamento, dunque, della

collocazione gerarchica rilevante per l’individuazione della residenza fiscale. È il caso

delle leggi austriache e tedesche, secondo cui la sede amministrativa è il luogo dove

vengono compiute, a scadenza regolare le scelte cruciali da parte del Geschäftsleitung per

la conduzione continuativa dell’impresa52

.

49

J.M. RIVIER, General report, op. cit., p. 51. 50

H. LEVY MORELLE, Belgium, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 231. 51

S. ZIMMERMAN, Switzerland, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 543. 52

W. GASSNER, Austria, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 217 e B. RUNGE, Germany, in The fiscal residence of

companies, Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 161.

22

L’amministrazione finanziaria francese distingue tra società con sede in Francia o al di

fuori del territorio francese ed a tal proposito, solo la sede effettiva, che non può essere

una siège fictif, deve essere presa in considerazione53

.

In Sud Africa, il South Africa Revenue Service, ritenendo che la direzione effettiva si

esprima nella gestione quotidiana e regolare di un’impresa piuttosto che nel compimento

di scelte strategiche, che richiedono l’integrazione ovvero l’esecuzione da parte di altri

organi, rileva che per effective management bisogna intendere il day-to-day management

della società da parte del senior management. La giurisprudenza sudafricana ha

evidenziato come una società non possa essere considerata residente in Sud Africa per il

semplice fatto di essere ivi costituita54

.

Ai fini della determinazione del place of actual management, l’Amministrazione

finanziaria cinese, in applicazione del principio del substance over form, precisa che una

società estera è considerata residente in Cina se le più importanti decisioni relative alla

gestione della società da parte del senior management, responsabile dell’attività day-to-

day della società, sono adottati da soggetti situati in Cina, ed almeno metà degli

amministratori, aventi diritto di voto, sono ivi residenti55

.

In Giappone, una società registrata in un altro Stato può essere soggetto a imposizione

fiscale nel momento in cui il suo head office è registrato in tale Stato. Viceversa, in

Israele, così come avviene in Italia con l’oggetto principale, una società che è registrata e

ha la sua attività principale nel Paese è considerata residente ai fini fiscali.

Inoltre, un numero ristretto di nazioni, specialmente nel Sud America, associano la

residenza della società al domicilio delle persone fisiche. Per esempio in Argentina, le

società sono residenti nel luogo in cui sono eseguite le principali funzioni di

amministrazione e management. Inoltre, la legge argentina presume che la società è

domiciliata nel luogo in cui è registrata la propria sede.

La Norvegia è uno dei pochi Paesi in cui il criterio dell’incorporazione e quello del

central management esistono simultaneamente, in quanto una società è soggetta ad

imposizione in tale Stato solo se è registrata sotto la legge norvegese, ma può soddisfare

tale criterio soltanto se il place of effective management è in tale Paese.

53

J.F. BLOUET, France, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 321. 54

P. VALENTE, La sede di direzione effettiva nel diritto comparato, in Fisco, 2009, n. 28, fasc. I, p.

4601. 55

P. VALENTE, La residenza fiscale delle persone giuridiche nella prassi di alcuni Paesi UE ed extra-

UE, in Fisco, 2013, n. 15, fasc. I, p. 2259.

23

La normativa fiscale olandese, determinando la residenza fiscale in base alle circostanze,

sembra essere particolarmente sviluppata e in vari casi anticipa i cambiamenti che la

comunità fiscale internazionale si attende emergano a fronte delle spinte ad una più

estesa ed effettiva trasparenza fiscale internazionale. In tal senso, le Autorità fiscali

olandesi hanno predisposto una utile check list, contenente alcune condizioni sostanziali

per il controllo della residenza fiscale effettiva nel Paese. Tale check list, pur essendo più

restrittiva delle linee guida OCSE, ha il merito di aver individuato parametri oggettivi e

agevolmente riscontrabili, quali:

a) la residenza nel Paese di almeno il 50% degli amministratori con poteri gestionali;

b) gli amministratori residenti devono possedere adeguata professionalità ed

esperienze per gestire l’attività aziendale. Inoltre, devono valutare, decidere ed

agire in modo indipendente e gestire la corretta esecuzione delle operazioni

realizzate dalla società56

;

c) la società deve disporre di personale con adeguata esperienza e professionalità per

gestire la corretta esecuzione delle operazioni;

d) in relazione alle attività esercitate la società affronta un adeguato livello di rischio

d’impresa, disponendo di un capitale adeguato al rischio dell’attività esercitata;

e) la società non è stata accertata residente fiscale dalle Autorità fiscali di un altro

Paese;

f) le condizioni di residenza fiscale devono essere presenti durante l’anno fiscale.

Inoltre, devono essere presi in considerazione i luoghi in cui:

1) vengono prese le decisioni del Consiglio d’Amministrazione57

;

2) sono tenuti i principali conti correnti della società;

3) è gestita la contabilità;

4) è registrata la sede operativa58

.

56

È comunque accettabile che le strategie aziendali possano soggiacere alle più generali linee strategiche

del gruppo societario di riferimento. 57

A tale riguardo, è importante documentare il processo decisionale dalla sua fase iniziale, alla

valutazione e alla definizione delle decisioni, anche, ma non necessariamente, solo attraverso i verbali

delle riunioni consiliari. 58

K. NAUTA, Netherlands, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 439.

24

25

2. PRESUNZIONE DI RESIDENZA TRA ESTEROVESTIZIONE E

LIBERTÀ DI STABILIMENTO

2.1 Esterovestizione societaria: art. 73, comma 5-bis e 5-ter, Tuir

Con l’introduzione nell’art. 73 Tuir dei commi 5-bis e 5-ter, avvenuta ad opera dell’art.

35, comma 13, del D.L. n. 223 del 4 Luglio 2006, convertito nella L. n. 248 del 4 Agosto

2006, si è stabilito che, salvo prova contraria, una società localizzata all’estero si

considera residente in Italia, in quanto vi sarebbe la sede dell’amministrazione, qualora

detenga una partecipazione di controllo in una società o ente commerciale residente in

Italia e se, contemporaneamente, soddisfi una delle seguenti condizioni:

1) sia controllata, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma,

del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato59

;

2) sia amministrata da un consiglio di amministrazione, o altro organo di gestione

equivalente, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello

Stato60

.

La disposizione contenuta nel comma 5-bis dell’art. 73 Tuir si applica al solo controllo

attivo diretto operato dalla legal entity estera nei confronti di un soggetto residente in

Italia. In tale ottica, il meccanismo presuntivo può scattare esclusivamente nei confronti

delle società estere:

a) che controllano direttamente soggetti residenti in Italia (controllo attivo diretto);

b) che sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia ovvero,

in subordine, sono amministrate prevalentemente da soggetti residenti in Italia

(controllo passivo, anche indiretto)61

.

59

Così come mostrato da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione

societaria nel testo unico delle imposte sui redditi, in Fisco, 2013, n. 42, fasc. I, p. 6528, per ciò che

riguarda il controllo di tipo contrattuale, la presunzione dovrebbe essere operativa soltanto nei casi in cui

si detenga una partecipazione, anche di minoranza, della società controllata contrattualmente. In tal caso,

però, secondo quanto espresso da M. ANTONINI, Note critiche sulla presunzione in tema di residenza

fiscale di società ed enti introdotta dal DL 4 Luglio 2006, n. 223, in Riv. Dir. Trib., 2006, IV, p. 187, non

si realizzerebbe il presupposto fissato dal legislatore, che richiede la presenza di partecipazioni di

controllo. Di parer contrario, G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo congiunto, in

Fisco, 2007, n. 19, fasc. I, p. 2766 ss.. 60

Essendo gli amministratori, nella maggior parte dei casi, persone fisiche, si dovrà fare riferimento per

tali soggetti alla disposizione contenuta nell’art. 2 Tuir, in base alla quale si considerano residenti le

persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nell’anagrafe della popolazione

residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

26

L’intento principale di tale norma in oggetto è quello di contenere il fenomeno

dell’esterovestizione societaria, intesa come dissociazione tra residenza formale e

residenza sostanziale attraverso la fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi

diversi dall’Italia, al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dell’ordinamento

di reale appartenenza e beneficiare, eventualmente, di un regime tributario più

favorevole62

. La disposizione, consentendo all’Amministrazione finanziaria di desumere

un fatto ignoto da uno noto, sembra introdurre una presunzione legale relativa di

residenza in Italia, e non una norma sostanziale, riconoscendo, però, il diritto in capo al

contribuente di fornire prova contraria.

In riferimento alla ratio della presunzione, va puntualizzato che l’intento del legislatore

non è precludere la localizzazione di strutture vere e proprie all’estero , né individuare

tutte le forme di società esterovestite, bensì solamente le holding esterovestite. Il

comportamento che tale disposizione mira a contrastare, dunque, è la costituzione di

società estere che svolgano l’attività di holding, pura o mista, con sede fittiziamente

fissata all’estero finalizzata alla riduzione del carico fiscale, con particolare riferimento

alla tassazione delle plusvalenze eventualmente ritratte63

.

Il soggetto che detiene le partecipazioni dev’essere una società o un ente che si dichiara

residente in uno Stato estero, non acquisendo importanza, contrariamente a ciò che

avviene per le persone fisiche, se lo Stato estero sia o meno uno Stato a fiscalità

privilegiata. Tale impostazione è avvalorata dal fatto che non è prevista una presunzione

61

In riferimento al controllo di tipo indiretto, così come mostrato da M. THIONE, M. BARGAGLI,

Presunzione di esterovestizione e “reiterabilità” del meccanismo presuntivo lungo la catena

partecipativa, in Fisco, 2011, n. 18, fasc. I, p. 2844, la Circolare dell’Agenzia dell’Entrate, n. 28/E del 4

Agosto 2006, al paragrafo 8.1 ha evidenziato che la presunzione può essere applicata anche per la società

estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria, in quanto quest’ultima si

trova a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata dall’Amministrazione finanziaria

residente in Italia. In merito anche l’Assonime, con la Circolare, n. 67 del 31 Ottobre 2007 afferma, in

sintesi, che il meccanismo presuntivo sarebbe reiterabile verso l’alto, risalendo, quindi, la sequenza dei

rapporti di controllo tra le holding estere. Di tale opinione anche E. BAGAROTTO (a cura di), La

presunzione di residenza fiscale delle società “esterovestite”, Cedam, Padova, 2008, p. 24. In

controtendenza, P. VALENTE, Residenza e società cosiddette “esterovestite”, in Fisco, 2008, n. 18, fasc.

I, p. 3225. 62

Corte di Cassazione, sez. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione.

Profili strutturali e (dis)allineamenti, cit., p. 3640 ed E. ACETO, L’abuso del diritto: tra “diritto” ed

“abuso”, in Innovazione e Diritto, 2012, V, p. 55. 63

Ad una prima analisi, potrebbe sembrare strano che una disposizione finalizzata a scongiurare

l’esterovestizione delle holding sia stata emanata proprio all’indomani dell’introduzione nel nostro

ordinamento degli istituti della participation exemption e l’esclusione dei dividendi, che tradizionalmente

dovrebbero favorire ed attrarre le holding. Tale scelta può essere giustificata alla luce del fatto che,

nonostante il legislatore della riforma abbia espressamente perseguito la finalità di rendere maggiormente

competitivo il nostro sistema fiscale, gli ordinamenti di altri Paesi garantiscono ancora margini di

convenienza in termini di carico fiscale.

27

di residenza che operi nei confronti dei soggetti esteri che abbiano in Italia il loro centro

decisionale, ma esclusivamente verso quei soggetti che detengano partecipazioni di

controllo in Italia, lasciando escluso il caso di holding estere, con centro decisionale in

Italia, che detengano partecipazioni di controllo in società estere.

Le ragioni che hanno spinto il legislatore a seguire la strada consistente nel presumere la

presenza della sede dell’amministrazione, vanno ricercate nella volontà di adottare una

linea che non contrasti con le convenzioni bilaterali che adottano come tie breaker rule

proprio l’individuazione di tale sede. Pertanto, qualora scatti la presunzione, e questa non

venga superata con prova contraria o a seguito della procedura amichevole, la società

viene considerata residente sia nel Paese estero in cui ha la sede legale, sia in Italia, con

rilevanti e complessi effetti sul versante della posizione della società nei confronti

dell’Erario, poiché l’Amministrazione finanziaria dovrà rideterminare il trattamento

fiscale dei componenti reddituali conseguiti dalla società, irrogando le relative sanzioni.

Si deve evidenziare, però, che tale disposizione solleva non pochi dubbi, sia in merito

all’idoneità ad incidere su situazioni in cui il rischio di esterovestizione non sia

verosimile, in quanto trova applicazione anche nel caso in cui la società estera detenga

partecipazioni di controllo in una società residente soltanto per gestirle e non per

alienarle, sia perché si manifesta scarsamente selettiva, poiché non considera i l caso in

cui la società estera è localizzata in Paesi che hanno per le holding regimi di tassazione

meno favorevoli rispetto al sistema italiano64

.

Ai sensi del comma 5-ter dell’art. 73 Tuir è poi statuito che, ai fini della verifica della

sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rilevi la situazione esistente alla data di

chiusura dell’esercizio o del periodo di gestione della società o dell’ente estero

residente65

. Inoltre, non è ancora stato ben chiarito dal legislatore se l’esterovestizione

64

E. BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 22 ss. 65

Così come descritto da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p.

6530, ad un’interpretazione letterale della norma, non è possibile stabilire con chiarezza se essa alluda al

controllo della società estera sulla società italiana, o viceversa. Più ragionevole appare nel complesso la

posizione di quanti ritengono che tale disposizione riguardi esclusivamente il controllo esercitato dai

soggetti italiani nei confronti della società estera, in quanto, nel caso opposto, la società estera cesserebbe

di essere residente nell’esercizio di realizzo della plusvalenza a seguito dell’intervenuta cessione totale o

parziale della partecipazione detenuta nella italiana. Ciò andrebbe a contrastare con la ratio della norma,

che tende a contrastare la fittizia migrazione di partecipazioni societarie verso le giurisdizioni

caratterizzate da un più favorevole regime fiscale. In senso conforme alla prospettata soluzione pare

doversi leggere il dettato del secondo periodo del comma 5-ter in argomento, ove è statuito che “ai

medesimi fini, per le persone fisiche, si debba anche tener conto dei voti spettanti ai familiari di cui

all’art. 5 comma 5”. È infatti pacifico che detti voti possano esclusivamente rilevare con riferimento alla

fattispecie di controllo, richiamata alla lettera a) del comma 5-bis, ovvero con riguardo a quello esercitato

da soggetti residenti nei confronti della società estera.

28

deve essere considerata un fenomeno di tipo evasivo o elusivo. Alla luce delle

elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, appare ragionevole poter affermare che

l’esterovestizione costituisce un fenomeno in senso stretto evasivo e, soltanto in senso

lato elusivo. In altre parole, l’esterovestizione, mentre dal punto di vista tecnico-

giuridico rappresenta un comportamento evasivo, in quanto riconducibile alla categoria

della simulazione-falsificazione, dal punto di vista fenomenologico riproduce una

condotta di tipo elusivo, laddove si voglia indicare l’effetto complessivo di dislocare base

imponibili oltre il confine, aggirando in tal modo sia le norme nazionali che

convenzionali66

.

2.1.1. L’inversione dell’onere della prova

L’analisi appena svolta ha messo in evidenza, tra l’altro, la vaghezza normativa e le

difficoltà interpretative che contraddistinguono gli elementi costitutivi della nozione di

residenza fiscale delle persone giuridiche, che, di conseguenza, vanno ad incidere sulla

complessità che ne caratterizza l’accertamento e, in ultima analisi, la prova. Tanto

precisato, occorre soffermarsi sul meccanismo utilizzato dal legislatore per contrastare

la fittizia residenza all’estero che, come visto, consiste nel ricorso ad una presunzione

legale relativa. In tal modo, il legislatore non solo raggiunge il risultato di fornire una

particolare ripartizione dell’onere della prova e di prevedere una regola di giudizio,

stabilendo come il giudice debba risolvere la controversia nel caso in cui la parte

onerata non abbia raggiunto la prova, ma ricollega anche ad essa precise conseguenze

giuridiche. Per tali ragioni, la norma dovrà ritenersi in primis operante sul piano

66

M. THIONE, M. BARGAGLI, Esterovestizione: elusione o evasione?, in Fisco, 2013, n. 41, fasc. I, p.

6390. Nella stessa direzione la sentenza della Cassazione, n. 2689 del 7 Febbraio 2013. A favore della tesi

per cui l’esterovestizione rientrerebbe nella categoria dei fenomeni di tipo elusivo, possiamo annoverare la

sentenza della Cassazione, sez. penale, n. 7739 del 28 Febbraio 2012 (caso Dolce e Gabbana), la

Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 Agosto 2006, e la successiva Risoluzione n. 312/E del 5

Novembre 2007, le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-212/97 del 9 Marzo 1999 (caso Centros)

e causa C-196/04 del 12 Settembre 2006 (caso Cadbury Schweppes). In dottrina, F. CARRICOLO,

Presunzione di esterovestizione per spa italiana controllata da società olandese, in Azienda & Fisco,

2008, n. 18, p. 46 e A. VIOTTO, Considerazioni di ordine sistematico sulla presunzione di residenza in

Italia delle società holding estere, in Riv. Dir. Trib., 2007, I, p. 269. La teoria circa la natura evasiva

dell’esterovestizione trova, invece, il suo campo più fertile in dottr ina. In tale direzione, infatti, E.

DELLA VALLE, Brevi note in tema di rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva/abusiva, in

Rassegna tributaria, 2012, n. 5, p. 1118, M. THIONE, M. BARGAGLI, Esterovestizione e stabile

organizzazione occulta: due facce (diverse) di una stessa medaglia, in Fisco, 2012, n. 4, fasc. I, p. 516.,

A. DE NISI, D. FRUSTAGLIA, L’esterovestizione societaria quale pratica elusiva: profili penali e

sanzionatori, in Rivista della Guardia di Finanza, 2013, n. 3, p. 775, M. DI SIENA, Il fenomeno della

fittizia residenza estera nella prospettiva criminale tributaria, in Fisco, 2003, n. 6, fasc. I, p. 853, e G.

MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires e l’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 73,

commi 5-bis e 5-ter Tuir, in Dir. Prat. Trib. Int., 2007, n. 3, p. 876.

29

sostanziale della fattispecie, sia pure con rilevanti effetti sul piano processuale67

. In

particolare, per ciò che riguarda l’art. 73, comma 5-bis Tuir, al fatto indiziante della

presenza in Italia del soggetto che amministra o che controlla un soggetto estero,

viene ricollegata in via inferenziale, secondo il concetto id quod plerumque accidit, la

localizzazione in Italia della sede dell’amministrazione del soggetto controllato.

Dal momento che le sentenze emesse in tema di residenza fiscale prima

dell’introduzione dell’inversione dell’onere della prova risultavano essere in gran parte

favorevoli all’Amministrazione finanziaria, vi era necessità di offrire al contribuente

una vera e propria controprova, dimostrando con elementi di prova, e non già in

negativis, la non idoneità della prova addotta dall’Ufficio circa la localizzazione in

Italia della residenza fiscale68

. Essendo questo il quadro normativo, il mainstream della

dottrina afferma che l’introduzione di presunzioni legali relative in tema di residenza

fiscale, muti le cose più nella forma che nella sostanza69

.

Inoltre, per quanto concerne gli effetti nel tempo della prova offerta dal contribuente,

deve ritenersi che, in virtù del principio dell’autonomia di ogni periodo di imposta, si

limitino al solo periodo di imposta nel quale essa è stata resa.

Passando all’analisi dell’oggetto della prova, si può notare che l’introduzione del comma

5-bis, nel ricollegare al controllo di fonte italiana di una holding estera la presunzione

della sede dell’amministrazione, sembri innanzitutto escludere, a priori, l’argomento circa la

possibile localizzazione in Italia dell’oggetto principale70

.

67

G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Cedam, Padova, 2007, p. 511. 68

Al riguardo, anteriormente all’introduzione dell’inversione dell’onere probatorio, l’Amministrazione

finanziaria doveva provare la residenza del contribuente in Italia, attraverso elementi probatori riferiti

al territorio italiano. Il contribuente, dal canto suo, poteva limitarsi a dedurre l’irrilevanza degli

elementi addotti dall’Ufficio ai fini dell’integrazione della nozione di residenza, negando, quindi che la

controparte avesse assolto l’onere della prova, oppure fornire la prova positiva della residenza in

altro Stato estero, la quale doveva necessariamente consistere, a quel punto, nella dimostrazione che

agli elementi rinvenuti dal Fisco in Italia potevano opporsi elementi di maggiore consistenza situati

nello Stato nel quale il soggetto affermava sussistere la propria residenza fiscale. Esempi rari di

sentenze favorevoli ai contribuenti sono Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. XXXVI, n. 96 del 9 Gennaio

2003, Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. XL, n. 231 del 5 Novembre 2001 e Comm.

Trib. Prov. Verona, sez. IX, n. 24 del 28 Aprile 2005. In esse, tuttavia, alla debolezza delle

argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria si era accompagnata anche una significativa attività

probativa da parte del contribuente. 69

Così come evidenziato da G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires, cit., p. 865, dal lato degli

Uffici nulla cambia, poiché essa continuano a raccogliere tutti gli elementi come in precedenza

relativamente alla residenza fiscale in Italia, pena il rischio di una facile prova da parte del

contribuente dell’inesistenza del fatto presunto. Dal lato del contribuente, non può più limitarsi ad

affermare l’irrilevanza degli elementi addotti dall’Ufficio, anche se questa strategia si rivelava comunque

perdente nel previgente regime probatorio. 70

G. SOZZA, Spunti critici sull’esterovestizione delle società, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I, p. 6343 ss..

30

Poiché la sede legale del soggetto estero non è ubicata nel territorio dello Stato, ne risulta

che l’oggetto della prova sarà adesso esclusivamente costituito dalla presenza all’estero della

sede dell’amministrazione71

. Con riferimento all’idoneità della prova contraria che il

contribuente deve fornire ai sensi dell’art. 73, comma 5-bis, la citata Circolare

dell’Agenzia delle Entrate, n. 28/E/2006 precisa che:

«Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti

adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in

Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che,

nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi

di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della

direzione effettiva nello Stato estero».

Tuttavia, come visto, ai sensi della normativa nazionale e anche del modello OCSE, vi è

distinzione tra il luogo in cui vengono effettivamente assunte le decisioni fondamentali, e

quello, non sempre identico, nel quale esse vengono formalmente deliberate. Tali luoghi,

se normalmente coincidono nel caso di società residenti, tipicamente divergono nel caso

di società esterovestite. Si dovrebbe, allora, dimostrare che la volontà si è effettivamente

formata all’estero, che se è ampiamente condivisibile nell’ipotesi della controllante

residente, appare controverso nell’ipotesi di amministratori residenti in Italia.

È opinione condivisa, che l’esistenza del controllo, sia di diritto che di fatto, rappresenti

una mera presunzione relativa, che potrebbe essere superata, nel momento stesso in cui

risulta facile dimostrare l’impossibilità del presunto soggetto controllante di eserci tare in

maniera stabile, duratura e autonoma una posizione dominante all’interno dell’assemblea

ordinaria della presunta società controllata72

. Di conseguenza, il contribuente non potrà

fondare l’onere probatorio sulla mera documentazione formale dell’effettivo svolgimento

delle adunanze dell’organo amministrativo nel territorio dello Stato estero, bensì sulla

dimostrazione del collegamento della società con il territorio dello Stato di residenza73

.

71

Ciò deriva dal fatto che i criteri previsti dall’art. 73, comma 3, Tuir sono alternativi tra loro ed è di fatto

lasciata all’Amministrazione finanziaria, in caso di accertamento, la scelta del requisito su cui

confrontarsi nel contenzioso eventuale. Pertanto, il soggetto estero dovrà dimostrare che nonostante la

presenza in Italia della controllante e/o della maggior parte degli amministratori, l’assunzione delle

decisioni fondamentali per la vita della società è avvenuta al di fuori del territorio dello Stato. In tal senso

P. VALENTE, La residenza fiscale nel diritto tributario internazionale e comunitario, in NEΩTEPA,

2009, II, p. 14. 72

G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo, cit., p. 2770. 73

Così come indicato da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p.

6532, il regime della prova contraria in esame non prospetta, pertanto, particolari difficoltà per il caso in

cui la società estera si caratterizzi quale holding mista, ovvero quale holding estera di gestione. In tali

evenienze si tratterà, rispettivamente, di dimostrare nel primo caso, che la società svolge con propri

insediamenti produttivi in loco un’attività industriale e/o commerciale, nell’altro, che la holding di

gestione presta effettivamente servizi ausiliari di finanziamento e amministrazione a favore delle

31

2.1.2. Definizione preventiva della fattispecie

In assenza di espressa previsione normativa, si suppone che la prova concernente

l’esistenza della sede dell’amministrazione all’estero può essere fornita soltanto in sede

di accertamento. La norma in questione, infatti, non prevede la possibilità di dimostrare

in via preventiva, così come avviene in ambito CFC, l’inapplicabilità della norma al caso

concreto, né consente di anticipare il momento del contraddittorio entro termini utili per

l’adempimento spontaneo. In tale ottica, non sembra neanche possibile formulare istanza

di interpello preventivo, posto che il superamento della presunzione di residenza si

riferisce esclusivamente a questioni di fatto, mentre la procedura di interpello ordinario

prevista dall’art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212 riguarda “obiettive condizioni di

incertezza sulla corretta interpretazione” di una norma. Inoltre, non sembrano applicabili

alla fattispecie in oggetto, le ipotesi di interpello antielusivo di cui all’art. 21 della L. 30

dicembre 1991, n. 413, né di interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis, comma 8, del

DPR 600/1973, né in quello relativo alle società controllate estere di cui all’art. 167 Tuir,

né di ruling internazionale (art. 8 del DL 269/2003)74

.

Tale impossibilità, la quale aumenta la complessità della tematica, è conseguenza sia del

fatto che la dimostrazione della residenza fiscale si basa principalmente su elementi

concreti non facilmente deducibili dalla documentazione su cui è incentrata l’analisi in

sede di interpello, sia dal fatto che non può essere presentata istanza per richiedere la non

applicazione solamente di quelle norme che incidono sul debito tributario e non di quelle

che, invece, disciplinano la soggettività passiva, e quindi anche la residenza fiscale75

.

Sotto il profilo dell’efficacia e della opportunità di addivenire alla procedura di interpello

ordinario ex L. 212/2000 è, comunque, lecito affermare che le questioni che potrebbero

essere prospettate in tema di individuazione della sede dell’amministrazione, in presenza

di una norma avente contenuto non equivoco, non sarebbero di carattere interpretativo,

ma fattuale, ovvero di valutazione della efficacia di riscontri materiali e probatori. È

possibile ritenere che l’Ufficio si sottragga a dare una pertinente risposta sulle singole

partecipate, avvalendosi di propri presidi e strutture e in regime di piena autonomia . In senso conforme la

Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007. 74

Così come illustrato da I. CARACCIOLI, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione. Profili penal-

tributari della riqualificazione, in Fisco, 2008, n. 25, fasc. I, p. 4490, resta fermo, in ogni caso, il fatto

che ove la questione della residenza fiscale della società estera rientri in un più ampio progetto di

riorganizzazione dell’impresa, il percorso privilegiato dovrebbe essere l’interpello antielusivo di cui

all’art. 21 della L. 413/1991. Di tale opinione anche G. CORASANITI, P. DE’ CAPITANI, La nuova

presunzione di residenza fiscale dei soggetti Ires, in Dir. Prat. Trib., 2007, I, p. 121. 75

Di tale opinione M. THIONE, L’esterovestizione societaria. Disciplina sostanziale e profili operativi, in

Fisco, 2010, n. 4, fasc. I, p. 551 e la Risoluzione Agenzia dell’Entrate , n. 312/E del 5 Novembre 2007.

32

fattispecie, proprio in quanto l’interpello fornisce riscontro in merito a dubbi

interpretativi e non a valutazioni fattuali. Al contrario, in questo caso, sarebbe chiamata a

pronunciarsi sulla credibilità, efficacia e ragionevolezza delle prove contrarie che il

contribuente potrebbe opporre di fronte ad un’eventuale azione accertativa76

.

Quindi, l’interpello non dovrebbe essere basato sull’efficacia della prova contraria idonea

per contrastare la presunzione, ma sulla fattispecie sostanziale e cioè sull’insussistenza di

presupposti per la radicazione fiscale del soggetto estero sul territorio nazionale.

2.1.3. Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero

La società residente esterovestita è considerata a tutti gli effetti soggetto passivo di

imposta e, come tale, obbligata a rispettare tutti gli adempimenti strumentali e sostanziali

che l’ordinamento ha previsto per le società e gli enti residenti. Pertanto, i redditi

conseguiti dal soggetto esterovestito, la cui residenza fiscale viene riqualificata nel

territorio dello Stato italiano, sono assoggettati a tassazione in Italia77

. Ne deriva che,

qualora, l’Amministrazione finanziaria, in applicazione dell’art. 73, commi 5 -bis e 5-ter,

accerti lo status di residente di una società formalmente residente all’estero, risulterà che

questa avrà inevitabilmente violato una serie di obblighi formali e sostanziali78

. Così

come unanimemente ammesso in dottrina, l’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 afferma il reato

di “omessa dichiarazione”, per cui:

«E' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le

imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato,

una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta

evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 30.000

annui»79

.

76

P. VALENTE, La residenza fiscale nel diritto tributario, cit., p. 14. 77

In tal senso M. GRAZIOLI, M. THIONE, L’esterovestizione societaria. Caratteristiche distintive del

fenomeno e riflessi penali-tributari, in Fisco, 2010, n. 31, fasc. I, p. 4998, e Cass., sez. III, n. 36180 del

22 Settembre 2003. 78

Così come espresso da D. MARSICO, L. ZOANI, La presunzione di residenza fiscale delle persone

giuridiche, Spunti interpretativi, in Fisco, 2009, n. 7, fasc. I, p. 1002, in ambito di obblighi strumentali

all’assoggettamento a tassazione, l’effetto di più immediato impatto per i soggetti considerati residenti in

Italia è rappresentato dalla tenuta delle scritture contabili ai sensi degli articoli 13 ss. DPR n. 600/1973,

ossia alla tenuta del libro giornale e del libro degli inventari. Per ciò che riguarda la redazione del

bilancio, invece, sembrerebbe sufficiente procedere alla semplice predisposizione di uno stato

patrimoniale e di un conto economico che riflettano i contenuti delle scritture obbligatorie per procedere

al calcolo del carico impositivo. 79

Così come mostrato da A. IORIO, S. MECCA, Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero, in

Fisco, 2014, n. 11, p. 1057, la precedente soglia, cosi come modificata dalla L. n. 148/2011, pari a 150

milioni delle vecchie lire (euro 77.469,53), è valida per le violazioni commesse fino al 17 Settembre

2011.

33

Va sottolineato che, affinché il reato in esame sia posto in essere, occorre il

raggiungimento della relativa soglia quantitativa di punibilità di imposta evasa, altrimenti

l’Amministrazione potrà applicare soltanto sanzioni amministrative80

. La determinazione

della soglia quantitativa in esame, secondo quanto risulta dagli artt. 1, lettera f), e 20, del

D.Lgs. n. 74/2000, in forza del principio di separazione tra i profili penali e quelli

tributari, compete esclusivamente al giudice penale, e quindi, se anche è stata presentata

la denuncia dall’Ufficio, in quanto convinto del superamento della soglia, il P.M.

potrebbe arrivare a diverse conclusioni81

.

Per quanto riguarda l’individuazione delle persone fisiche a cui sarebbe potenzialmente

riconducibile la responsabilità penale, il legislatore, al fine di evitare equivoci, ha

specificato, alla lettera c) dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 74/2000, che deve essere

considerato come soggetto attivo anche colui che presenta la dichiarazione, ovvero non la

presenta in caso di omessa dichiarazione, in qualità di amministratore, liquidatore, o

rappresentante di società, enti o persone fisiche82

. Tale responsabilità penale è da

ricondurre ai soggetti che, di fatto, hanno assunto le decisioni relative alla gestione

societaria, esprimendo idonei impulsi volitivi83

. Tuttavia, a differenza di quanto disposto

dall’antecedente disposizione legislativa, che puniva espressamente l’omessa

dichiarazione anche a titolo colposo, l’attuale articolo 5 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede

quale necessario elemento soggettivo esclusivamente il dolo specifico, cioè è richiesto

che il contribuente abbia tenuto un comportamento irregolare dal punto di vista tributario

80

In tale ottica si pongono pertanto due sequenziali problemi che, rimessi alla valutazione da parte del

P.M. e del giudice, rendono notevolmente incerta la verifica del superamento della soglia di punibilità e

del dolo. Trattasi della ricostruzione dell’imposta evasa e della dimostrazione della consapevolezza ed

accettazione del superamento della soglia di punibilità da parte del soggetto agente. 81

Cosi come evidenziato da E. MASTROGIACOMO, Profili penali del trasferimento fittizio della

residenza all’estero, in Fisco, 2001, n. 41, p. 13328, è stata altresì ipotizzata la potenziale configurabilità

del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, nel

caso di compimento, a seguito della riqualificata residenza fiscale, di atti simulati o fraudolenti su propri

od altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. 82

M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 554, e A. DEL SOLE, Sotto il vestito niente, ovvero

esterovestizione ed elusione penalmente rilevante, in Riv. Giur. Trib., 2014, n. 3, p. 245 ss.. 83

In tal senso S. LOCONTE, Onere probatorio e profili sanzionatori dell’esterovestizione , in Riv. Giur.

Trib., 2013, n. 11, p. 913 e la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 23425 del 10 Giugno 2011.

Inoltre, così come descritto da M. THIONE, M. BARGAGLI, Individuazione di un soggetto esterovestito

e verifica fiscale. Problematiche procedurali, in Fisco, 2011, n. 45, fasc. I, p. 7318, in particolare, per

quanto riguarda il reato di omessa dichiarazione, la Cassazione ritiene che il rappresentante legale della

società, che sottoscrive la dichiarazione, si considera assente non solo quando manchi la nomina, ma

anche in presenza di un prestanome che non abbia alcun potere o ingerenza nella gestione della società.

In controtendenza, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. penale, n. 7739 del 28 Febbraio 2012, la

quale non facendo alcun riferimento ai soggetti che effettivamente esercitano i poteri di scelta delle

decisioni societarie, sembra ricollegare l’autore del delitto tributario al carattere formale della struttura

societaria.

34

allo specifico fine di evadere le imposte sui redditi84

. La ricorrenza di tale finalità può

essere esclusa in tutti i casi in cui, ipotizzando che la società esterovestita fosse

fiscalmente residente in Italia, questa non avrebbe dovuto liquidare alcunché a titolo di

imposta, ovvero non poteva comportare il conseguimento di alcun risparmio di imposta,

cioè in quei casi in cui sarebbe stata indifferente la localizzazione della società in Italia

piuttosto che all’estero85

.

Prescindendo da questi casi limite, l’unica strada per poter sostenere la buona fede, e,

quindi, valutare in negativo l’effettiva offensività della condotta posta in essere, con la

conseguente inesistenza del reato per mancanza di dolo, è quella di richiedere

l’applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 74/2000, per cui:

«Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, terzo

comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del

presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive

condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione»86

.

Pur riconoscendo l’incertezza provocata dal legislatore, la parte maggioritaria della

dottrina ha da sempre affermato che la presenza della finalità evasiva richieda, invece,

proprio in relazione alla natura di pura omissione di questo reato, che il soggetto sia a

conoscenza del proprio obbligo di pagare l’imposta e delle scadenze temporali per questi

adempimenti87

.

In conclusione, la responsabilità penale per il reato di omessa dichiarazione non deriva

automaticamente dal fallimento della prova contraria da parte del contribuente, quale

richiesta dal comma 5-bis citato, ma è pronunciabile solo allorché il giudice penale, pur

legittimamente investito dalla questione, ha potuto ricostruire l’esistenza di tutti gli

elementi del reato medesimo. Infatti, in attuazione dei principi di libero convincimento

del giudice e di autonomia, che caratterizzano i rapporti tra procedimento penale e

84

Secondo una parte della dottrina la formula utilizzata dal legislatore, non è indicativa di dolo specifico, ma va

intesa come relativa al dolo generico consistente nella consapevolezza dell’evasione. A tal proposito, si è

sostenuto che per la sussistenza del reato in esame, è sufficiente che il contribuente abbia agito al fine di evadere,

senza che sia necessario accertare che egli abbia effettivamente voluto un’evasione dell’entità richiesta dalle

norme incriminatrici per la concreta punibilità del fatto. In tal senso L. PISTORELLI, Quattro figure contro il

contribuente infedele, in Guida al diritto, 2000, 60 ss., P. VENEZIANI, Elusione fiscale, esterovestizione e

dichiarazione infedele, in Diritto Penale e Processo, 2012, p. 858 ss. e M. PISANI, Le implicazioni penali

dell’esterovestizione, in Corr. Trib., 2008, n. 31, p. 2495 ss.. 85

L. TOSI, I profili penali della norma sull’esterovestizione, in E. BAGAROTTO (a cura di), La

presunzione di residenza fiscale, cit., p. 113 ss. 86

L’art. 47, comma 3, del codice penale, chiarisce che “L'errore su una legge diversa dalla legge penale

esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”. Di tale opinione I.

CARACCIOLI, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione, cit., p. 4495 e S. MANCINELLI,

Esterovestizione societaria e reati connessi, in Rivista della Guardia di Finanza, 2010, n. 4, p. 501 ss.. 87

In tale direzione le sentenze Cass., sez. III, n. 12585 del 4 Dicembre 2000, Cass., sez. un., n. 35 del 15

Gennaio 2001, Cass., sez. V, n. 31911 del 15 Marzo 2001 e Cass., sez. V, n. 34295 del 14 Ottobre 2002.

35

processo tributario, opera l’esclusione dell’automatica trasferibilità in sede penale delle

presunzioni tributarie, con ciò introducendo elementi di incertezza sulla effettiva

configurabilità della fattispecie di reato di omessa dichiarazione in ipotesi di

esterovestizione societaria88

. Inoltre, le riscontrate difficoltà giuridico-interpretative,

nonché tecnico-operative, derivano dall’assenza di una norma penale ad hoc per

contrastare il fenomeno delle residenze fittizie delle persone giuridiche e, in tal senso, il

sistema penale tributario del 2000 appare inadeguato ad essere applicato ai fenomeni di

evasione fiscale internazionale, non garantendo né piena armonia sistematica né adeguata

tassatività, generando incertezze applicative in capo ai funzionari dell’Amministrazione e

dubbi sanzionatori per i contribuenti89

.

88

Inoltre, il contribuente che sia indagato in sede penale ha a propria disposizione una serie di mezzi

probatori più ampia rispetto a quella utilizzabile davanti al giudice tributario, come ad esempio l’uso della

prova testimoniale, per effetto del divieto in sede tributaria di cui all’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/92. 89

M. GRAZIOLI, M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 5001.

36

2.2 Compatibilita della presunzione di residenza con il diritto comunitario

Giunti a questo punto, al fine di dare un più ampio respiro alle teorie fin qui esaminate, si

ritiene opportuno approfondire come si pongano le disposizioni esaminate rispetto al

diritto comunitario ed, in particolare, rispetto alla libertà di stabilimento sancita negli

artt. 43 ss. del Trattato di Roma. Nonostante l'Amministrazione finanziaria, sin dalla

comparsa di tali disposizioni nell'ordinamento nazionale, abbia difeso la compatibilità

delle stesse rispetto alle prescrizioni comunitarie, parte della dottrina e della

giurisprudenza ha espresso un'opinione diametralmente opposta, facendo perno in

particolare sulla sentenza Cadbury Schweppes della Corte di Giustizia Europea, causa C-

196/04 del 12 Settembre 200690

.

In tal senso, è doveroso analizzare in che modo le libertà fondamentali sancite dal

Trattato di Roma, collegate fra loro dal principio di non discriminazione, si inseriscono

nel palcoscenico della fiscalità internazionale come vincolo per le legislazioni nazionali

nella disciplina delle materie oggetto di ravvicinamento91

.

2.2.1. La libertà di stabilimento

All'interno del quadro delle libertà così delineato, si inserisce la libertà di stabilimento,

sancita dall'art. 49 TFUE, la quale prevede il divieto espresso per gli Stati di ostacolare

l'esercizio di attività imprenditoriali che un cittadino o una società di uno Stato membro,

costituita conformemente alla legislazione di uno dei suddetti Stati e avente la sede

90

Ad infierire sulla limitata autonomia pattizia discendente dalle convenzioni bilaterali sull'ordinamento

italiano, in quanto membri dell'Unione Europea, gravano specifici vincoli, vista la prevalenza sancita

dall'art. 117 Cost., del diritto comunitario su quello nazionale. In aggiunta a ciò, particolari ripercussioni

sugli ordinamenti interni derivano dalle pronunce interpretative della Corte di Giustizia Europea, le quali,

non solo vincolano il giudice nazionale a conformarsi alle soluzioni in esse contenute, ma hanno efficacia

erga omnes, pertanto alla delibera dovrà necessariamente seguire l'adeguamento degli ordinamenti

nazionali da essa divergenti. 91

Così come espresso da S. GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione Europea. Una prospettiva

costituzional-comparatistica, Giuffrè Editore, Milano, 2009, p. 7 ss., sono quattro le libertà fondamentali,

simbolo dell’integrazione comunitaria, previste dal Trattato di Roma per la completa realizzazione del

mercato interno:

a) la libera circolazione delle merci, la quale prevede la soppressione delle barriere doganali e il

conseguente libero trasporto delle merci tra gli Stati membri;

b) la libera circolazione delle persone, in virtù della quale sono state abolite tutte le formalità doganali tra

gli Stati membri a carico dei cittadini comunitari in transito e si è data la possibilità ai lavoratori, sia

subordinati che autonomi, di svolgere un’attività lavorativa sul territorio di qualunque Stato membro;

c) la libera prestazione dei servizi, la quale si riferisce alla possibilità di fornire prestazioni retribuite in

uno Stato membro diverso da quello di stabilimento;

d) la libera circolazione dei capitali, in virtù della quale si è avuta la completa liberalizzazione valutaria e

l’integrazione nel settore dei servizi finanziari.

37

sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno

dell’Unione, voglia esercitare in altro Stato membro92

. La finalità della norma è duplice

in quanto, se da una parte intende innanzitutto garantire che le persone fisiche o

giuridiche residenti in uno Stato membro non subiscano nessuna disparità di trattamento

nel Paese di stabilimento, dall’altra persegue la finalità di vietare allo Stato membro di

origine di ostacolare le persone fisiche o giuridiche nell’esercizio dei diritti garantiti

dalla libertà di stabilimento93

.

La Corte di Giustizia Europea, attraverso una serie di importanti decisioni, ha precisato e

definito in termini sempre più ampi la libertà di stabilimento delle società riconosciute

dagli Stati membri94

. Dall’iniziale principio del mero “trattamento nazionale”, inteso

come il semplice divieto di discriminazione, in base al quale uno Stato membro non può

trattare le società di altri Stati membri in maniera diversa dalle proprie società, con le

sentenze Segers (1986), Daily Mail (1988), Centros (1999), Überseering (2002), Inspire

Art (2003) alle quali sono da aggiungere le sentenze Sevic (2005), Marks&Spencer

(2005) e Cadbury Schweppes (2006), la Corte di Giustizia ha progressivamente affermato

il principio di una profonda mobilità transfrontaliera delle società degli Stati membri

all’interno dei confini dell’Unione Europea, propedeutico al fenomeno della

92

L’art. 49 TFUE afferma che “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di

stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.

Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte

dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro”. Inoltre, così come

mostrato da E. BRUNO, A. VALENTE, CGE e ostacoli fiscali, in Manuale di fiscalità internazionale, A.

DRAGONETTI (a cura di), Ipsoa, Milano, 2012, p. 192, la sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-

55/94 del 30 Novembre 1995 (caso Gebhard) chiarisce come la nozione di libertà di stabilimento abbia

un'accezione molto ampia, essendo definita come “la possibilità, per un cittadino comunitario, di

partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal

proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, integrandosi nell'economia nazionale, con l'esercizio di

un'attività economica effettiva”. 93

Così come illustrato da P. TROIANELLO, Lo stabilimento, cit., p. 49, il diritto di stabilimento può

esercitarsi in via principale o secondaria: per stabilimento a titolo principale, si intende l o stabilimento

realizzato attraverso la creazione o il trasferimento in uno Stato membro diverso da quello di origine, di

un centro di attività economica o professionale, o anche con la costituzione di una società. Invece, lo

stabilimento a titolo secondario consiste nell’apertura di una sede secondaria, attraverso l’apertura di

succursali, filiali o sedi secondarie in uno Stato membro da parte di un esercente un’attività economica in

un Paese membro diverso. 94

Agli Stati membri è riconosciuta la possibilità di limitare il diritto di stabilimento solo in presenza di

motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e sanità pubblica (art. 52 TFUE, già art. 46 TCE). Tali

eventuali limitazioni al diritto di stabilimento vengono ritenute giustificate solo se sup erano il c.d. Test

Gebhard, ossia devono essere:

a) non discriminatorie, ossia applicabili allo stesso modo ai cittadini e agli stranieri cittadini di altri Stati

membri;

b) giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, ricorrenti qualora sussista una minaccia grave ed

effettiva a un interesse fondamentale della collettività, di natura non meramente fiscale o economica;

c) idonee a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito;

d) non sproporzionate rispetto a quanto necessario per l’ottenimento dello scopo cui sono preordinate.

38

competizione fra i vari ordinamenti giuridici nazionali sotto il profilo della disciplina

societaria95

.

2.2.2. La sentenza Cadbury Schweppes

Con la sentenza Cadbury Schweppes, in merito alla questione della compatibilità con la

libertà di stabilimento della legislazione antiabuso britannica, la Corte comunitaria ha

precisato che:

«il concetto di stabilimento nell’ambito del significato delle disposizioni del

Trattato sulla libertà di stabilimento implica l’effettivo svolgimento di

un’attività economica. (…) Affinché la restrizione alla libertà di stabilimento

possa ritenersi giustificata dall’esigenza di contrastare pratiche abusive, tale

restrizione deve avere come obiettivo la prevenzione di quelle pratiche che

implicano la creazione di strutture fittizie le quali non riflettono la realtà

economica della società»96

.

In tal senso, la lotta all’evasione fiscale può considerarsi ragione di interesse generale

tale da giustificare un ostacolo alla libertà di stabilimento, in quanto persegua la finalità

di escludere da un vantaggio fiscale “le costruzioni artificiose intese ad eludere la

normativa nazionale”97

. Ne consegue che la localizzazione di una società in un

determinato Paese membro, motivata dalla volontà di usufruire di un regime tributario

più favorevole, non dà luogo ad un'ipotesi di abuso del principio di stabilimento98

.

Inoltre, il semplice stabilimento di una consociata in un altro Stato membro non

comporta, di per sé, elusione fiscale, in quanto la circostanza per cui le attività svolte da

una sede secondaria in un altro Stato membro avrebbero potute essere esercitate dal

contribuente anche sul proprio territorio di residenza non può permettere di concludere

95

R. TORINO, Diritto di stabilimento delle società e trasferimento transnazionale della sede. Profili di

diritto europeo e italiano, in Atti del seminario “Aspetti di interesse notarile nel diritto dell’Unione

europea”, Viterbo, 2011. 96

Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12 Settembre 2006. A parere della Corte le società irlandesi

controllate da Cadbury Schweppes, possono avvalersi della tutela a loro riconosciuta dagli art. 43 e 48 del

Trattato UE, in quanto esercitano effettivamente un’attività economica in Irlanda, non individuandosi un

abuso del principio di libertà di stabilimento 97

In tale direzione anche le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-105/07 del 17 Gennaio 2008

(caso Lammers & Van Cleeff), della Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 173 e n. 174

del 3 Dicembre 2007, della Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio

2013 e sez. II, n. 84 del 27 Febbraio 2013 e P. VALENTE, L’esterovestizione nella recente giurisprudenza

italiana, in NEΩTEPA, 2011, II, p. 67. 98

F. NIEDDU, La recente politica fiscale in tema di estero-vestizione. Un reasonable and genuine link

“al limite”, anche comunitario, ed un possibile corto circuito antielusivo in Innovazione e Diritto, 2008,

I, p. 95, e P. VALENTE, Sede di direzione effettiva: profili comunitari negli interventi della Corte di Giustizia,

in Fisco, 2008, n. 28, fasc. I, p. 5038. In tal senso anche le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-212/97

del 9 Marzo 1999 (caso Centros), e causa C-208/00 del 5 Novembre 2002 (caso Überseering).

39

che esista una costruzione di puro artificio, finalizzata esclusivamente ad ottenere un

beneficio d’imposta99

.

La valutazione circa la sussistenza di una costruzione fittizia deve effettuarsi, prosegue la

Corte comunitaria, in concreto e caso per caso, tenendo conto di elementi oggettivi e

verificabili da parte di terzi tali da comprovare l’effettività dello stabilimento nello Stato

ospite, nonché della concreta sostanza delle attività ivi svolte in termini di locali,

personale ed attrezzature100

. Inoltre, dalla recente giurisprudenza sembrerebbe che debba

essere il contribuente a dimostrare che la fattispecie, oggetto d’esame, non sia

puramente artificiosa101

.

2.2.3. Compatibilità dell’inversione dell’onere della prova con il principio della libertà di stabilimento

Riscontrando sin da subito dei dubbi interpretativi circa l’ammissibilità della presunzione

di residenza dal punto di vista comunitario, la stessa Amministrazione finanziaria, in sede

di primo commento all’intervento legislativo con la Circolare n. 28/E del 4 Agosto 2006,

ha sostenuto che non sussistono problemi di compatibilità comunitaria, poiché

l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia riconosce la libertà per gli Stati

membri di “determinare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello

Stato”102

. Inoltre, prosegue la citata circolare, la possibilità riconosciuta al contribuente

di fornire la prova contraria alla presunzione di residenza in parola, dovrebbe garantire la

valutazione case-by-case e dunque la proporzionalità della norma rispetto al fine

perseguito, necessaria a mitigare la portata generale delle disposizioni antielusive.

In senso sostanzialmente analogo si è pronunciata la migliore dottrina, che ha rilevato

come l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali non

siano preclusi dalla presunzione in esame, che ammette prova contraria e che, nel caso di

sua applicazione, non comporta un maggior carico fiscale rispetto a quello sopportato dai

99

In tale direzione la sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-264/96 del 16 Luglio 1998 (caso ICI)

e P. VALENTE, Fiscalità sovranazionale, Il Sole-24 Ore, Milano, 2008, p. 377. 100

Precisa la Corte di Cassazione, con la sentenza sez.. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013, che ai fini della

configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, è necessario accertare non tanto la sussistenza o

meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, bensì se l'operazione posta

in essere è meramente artificiosa, in quanto fa riferimento ad una “forma giuridica che non riproduce una

corrispondente e genuina realtà economica" . In tale direzione anche F. DEZZANI, L. DEZZANI,

Esterovestizione e abuso del diritto nella casistica giurisprudenziale, in Fisco, 2014, n. 8, p. 710. 101

In tal senso la sentenza Cadbury Schweppes illustra che “La società residente, che è quella che vanta

a tal fine la miglior posizione, dev’essere messa in condizione di produrre elementi relativi all’effettività

dell’insediamento della società estera controllata e delle sue attività”. 102

Corte di Giustizia UE, causa C-81/87 del 27 Settembre 1988 (caso Daily mail).

40

soggetti residenti103

. In tale ottica, la presunzione introdotta dal D.L. n. 223/2006, non

sembrerebbe incidere sulla libertà di stabilimento e, quindi, sulla individuazione dello

Stato estero in cui, eventualmente, localizzare la propria attività imprenditoriale e ciò non

tanto per l’evidente natura relativa della presunzione, quanto in funzione del carattere

della norma giuridica104

. Inoltre, secondo l’Amministrazione non sarebbero ravvisabili

profili di contrasto con le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate

dall’Italia105

. Di conseguenza, si potrebbe affermare che la previsione normativa,

ammettendo prova contraria e limitandosi a localizzare in Italia, in forza della

presunzione, la sede amministrativa e quindi la residenza della società esterovestita , non

comporta maggiori imposte, oneri o impedimenti rispetto al regime previsto per i

residenti106

.

Giunti a questo punto potrebbe risultare che la normativa interna, intendendo colpire

fattispecie fondamentalmente fittizie consistenti in società schermo amministrate

dall’Italia e offrendo al contribuente la possibilità di fornire prova contraria, parrebbe

in grado di resistere al sindacato comunitario, purché essa non si risolva in oneri

probatori eccessivi per il contribuente medesimo107

. Tuttavia, se si ritenesse che anche

le misure anti-evasive costituiscano un motivo imperativo di interesse pubblico, si

potrebbe in prima battuta sostenere che la presunzione si risolva in una misura non

proporzionale, traducendosi l’inversione dell’onere probatorio in una sostanziale

103

In tal senso E. BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 28 e A. DI PIETRO, A.

CARINCI, Un intervento in linea con l’Europa, in Il sole 24 ore, 19 Agosto 2006, p. 20. 104

S. CAPOLUPO, D.L. n. 223/2006, cit., p. 5074. 105

In tal senso G. SOZZA, Spunti critici sull’esterovestizione, cit., ed E. VIAL, Prime riflessioni sulla

nuova presunzione di residenza delle società “esterovestite” e rapporto con le Convenzioni

internazionali, in Fisco, 2006, n. 35, fasc. I, p. 5484. A questo proposito, il documento di prassi precisa

che le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni “non interferiscono con i differenti criteri

di collegamento soggettivo che ciascuno Stato seleziona per stabilire la residenza di un soggetto sul

proprio territorio, limitandosi ad indicare quali elementi e circostanze devono essere, prioritariamente,

valutati in ipotesi di doppia residenza”. 106

D. LEONE, Il nuovo regime presuntivo di localizzazione per le società esterovestite , in Fisco, 2006, n.

38, fasc. I, p. 5979. 107

In tale direzione le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-524/04 del 13 Marzo 2007 (caso Test

Claimants in the Thin Cap Group Litigation), e causa C-201/05 del 23 Aprile 2008 (caso Test

Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation), le osservazioni dell’Assonime contenute nella

Circolare n. 67 del 31 Ottobre 2007 e P. VALENTE, Esterovestizione e eterodirezione: equilibri(smi) tra

sede di direzione e coordinamento, direzione unitaria e sede di direzione effettiva , in Riv. Dir. Trib.,

2010. n. 20, p. 246. Di un certo interesse sono, inoltre, le osservazioni contenute nella Comunicazione

della Commissione europea n. 785 del 12 Ottobre 2007 relativa all'applicazione delle norme anti-abuso

nel settore dell'imposizione diretta, ed in particolare quella secondo cui è essenziale che, ove si presuma

l'esistenza di una costruzione di puro artificio, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri

amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali la transazione

è stata conclusa. In tal senso, così come mostrato da G. CORASANITI, P. DE’ CAPITANI, La nuova

presunzione, cit., p. 114, l’applicazione ragionevole della presunzione non potrebbe di certo risolversi in

una probatio diabolica.

41

presunzione di evasione, la cui ammissibilità è già stata esclusa dalla Corte di

Giustizia per le norme in senso lato antielusive108

.

In tale prospettiva, la norma di cui al comma 5-bis dell’art. 73 Tuir contrasta apertamente

con la libertà di stabilimento, in quanto istituisce un regime impositivo, nel caso di

controllo di una società residente in uno Stato membro, che non garantisce più il

principio in forza del quale i cittadini di ciascuno Stato membro hanno la libertà di

avviare attività economiche autonome in uno Stato membro diverso da quello di origine,

nonché di creare e gestire imprese. Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE , il

Trattato di Roma vieta qualunque disciplina nazionale che, non solo ostacoli la libertà di

stabilimento, ma semplicemente abbia un effetto dissuasivo109

. In tal senso, la

presunzione contenuta nel comma 5-bis si pone in contrasto con il principio della libertà

di stabilimento, in quanto non stabilisce dei limiti precisi alla sua attuazione,

applicandosi indistintamente a tutti gli Stati membri, indipendentemente dal regime di

tassazione adottato110

. Alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia, non sembrerebbe

giustificabile una norma antielusiva portatrice di una presunzione generale il cui ambito

di applicazione sia tanto ampio da colpire anche situazioni dall’intento non elusivo, ossia

eccedente rispetto al principio di proporzionalità111

.

108

In tal senso G. MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires, cit., p. 880, A. TOMASSINI, C. BENIGNI,

Compatibilità con il diritto comunitario delle norme sull’esterovestizione, in Corr. Trib., 2009, n. 45, p. 3704 ss.

e le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-28/95 del 17 Luglio 1997 (caso Leur Bloem), causa C-436/00

del 21 Novembre 2002 (caso X e Y), e causa C-324/00 del 12 Dicembre 2002 (caso Lankhorst Hohorst). 109

Corte di Giustizia UE, causa C-9/02 del 11 Marzo 2004 (caso Hughes de Lasteyriedu Saillant), e causa

C-470/04 del 7 Settembre 2006 (caso N). In dottrina G. COPPOLA, A. POMPILI, Discriminazione fiscale

di soggetti non residenti nella normativa comunitaria, in Fisco, 2006, n. 46, fasc. I, p. 7146, E. DELLA

VALLE, Tassazione degli utili della società estera controllata e rispetto del diritto comun itario, in Corr.

Trib., 2006, n. 42, p. 3347, e G. IZZO, Limiti alla libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi

nell’Unione europea, in Impresa c.i., 2003, n. 12, p. 1888. 110

In tale direzione P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione di

residenza: alcune considerazioni con particolare riguardo alle holding statiche, in Fisco, 2006, n. 36,

fasc. I, p. 5617 e L. DEL FEDERICO, Società estere e presunzione di residenza ai sensi del D.L. n.

223/2006: artt. 43 e 48 del Trattato CE, convenzioni contro le doppie imposizioni e disapplicazione della

norma interna di cui al comma 5-bis dell'art. 73 del Tuir, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I, p. 6374. In tale

prospettiva, così come espresso da A. VIOTTO, Considerazioni di ordine sistematico, cit., p. 274, ed E.

BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 28 potrebbe sembrare ragionevole il

pensiero di parte della dottrina, secondo cui la presunzione di esterovestizione non possono trovare

applicazione in quei casi in cui i presupposti stabiliti dai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 Tuir scaturiscano

da un’operazione che ha beneficiato delle regole di neutralità introdotte in attuazione della Direttiva n.

434/90. 111

Di tale avviso F. SPINOSO, La cd. “esterovestizione societaria”: profili di incompatibilità con le

Convenzioni e con i principi di diritto comunitario , in Fiscalità internazionale, 2007, p. 116 ss., F.

CARRICOLO, Il trasferimento all’estero, cit., p. 7915, G. MELIS, Libertà di circolazione dei lavoratori,

libertà di stabilimento e principio di non discriminazione nell’imposizione diretta: note sistematiche sulla

giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Rass. Trib., 2000, IV, p. 1151 e P.

TURIS, Incompatibili con il Trattato CE le norme fiscali discriminatorie in base al domicilio, in Fisco,

2008, n. 7, fasc. I, p. 1222.

42

In tale quadro, risulta lecito domandarsi in che misura risulti ammissibile, alla luce dei

principi espressi a livello comunitario, l’inversione dell’onere della prova imposto dalla

norma italiana con la libertà di stabilimento. Alla luce di quanto espresso dalla Corte di

Giustizia Europea, è stato ampiamente riconosciuto che un ostacolo alla libertà di

stabilimento è tale anche se di debole portata, sicché anche la semplice inversione

dell'onere della prova potrebbe ritenersi un ostacolo da censurare. Inoltre, così come

mostrato in precedenza, la tutela dell'interesse fiscale può giustificare una restrizione a

tale libertà solo in presenza di pratiche o strutture artificiose. In tal senso, la norma

italiana, così come le altre normative nazionali portate al vaglio comunitario, sembra

sproporzionata rispetto agli obiettivi dichiarati, in quanto coinvolge non solo soggetti di

pura apparenza estera, ma anche soggetti svolgenti vere e proprie imprese commerciali

od industriali fuori dal territorio dello Stato se detentori di partecipazioni in società

italiane. Ciò non significa, tuttavia, che la Corte di Giustizia, qualora fosse chiamata a

pronunciarsi sulla compatibilità dei commi 5-bis e 5-ter con la libertà di stabilimento,

concluderebbe certamente nel senso che tale compatibilità non sussiste, in quanto ad ogni

modo tali considerazioni devono essere valutate nella fattispecie concreta portata in

giudizio ed in tale sede potrebbero colludere con la valorizzazione di altri aspetti, quali,

ad esempio, la relatività della presunzione ed il collegamento ad un criterio sostanziale

come quello della sede dell'amministrazione112

.

In quest'ottica, non essendo il caso Cadbury Schweppes assolutamente decisivo, si

auspica un intervento, in un contesto complesso e disorganico a causa di interventi attuati

a diversi livelli normativi, mirato a creare certezza del diritto, soprattutto in situazioni

nelle quali è abbastanza manifesto che non siano presenti rischi erariali, ovvero si è in

presenza di strutture societarie frutto di operazioni agevolate in campo comunitario o non

siano comunque ipotizzabili comportamenti elusivi da parte del contribuente. In tal

senso, potrebbero essere indicative le raccomandazioni della Commissione europea, le

quali prevedono che le norme sulla residenza non solo dovrebbero far sì che l’onere della

prova non gravi soltanto sul contribuente e i risultati della valutazione dell’autorità

fiscale dovrebbero essere sottoposti a controllo giurisdizionale indipendente, ma tengano

conto anche della capacità generale del contribuente di conformarsi alle norme e del tipo

di operazione considerata113

.

112

R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 337 ss. 113

Così come mostrato da P. VALENTE, Sede di direzione effettiva. La posizione dell’Unione europea, in

Fisco, 2008, n. 30, fasc. I, p. 5411, 2007 la Commissione europea, con la Comunicazione n. 785 del 12

43

Di conseguenza, l’indagine in ordine all’applicazione delle disposizioni antielusive, quali

quella sulla residenza fiscale delle società, non può prescindere dall’analisi delle

motivazioni economiche sottostanti alla localizzazione dell’attività d’impresa all’estero,

dovendosi, pertanto escludere ipotesi di esterovestizione in presenza di valide ragioni

economiche e di insediamenti produttivi o commerciali all’estero.

Ottobre 2007 è intervenuta raccomandando agli Stati membri di condividere le migliori pratiche

compatibili con il diritto comunitario, allo scopo di garantire la proporzionalità delle misure antiabuso.

44

45

3. LA PROVA DELL’ESTEROVESTIZIONE

Il tema dell’esterovestizione delle persone giuridiche è connotato da indubbi profili di

complessità, che derivano non solo da problematiche applicative della normativa

nazionale e convenzionale di riferimento, ma anche dall’emergere di importanti

tematiche procedurali di non agevole soluzione. Inoltre, nell’ambito delle verifiche fiscali

aventi ad oggetto società estere controllate da soggetti italiani, si pone la necessità , in

primo luogo, di individuare la titolarità dell’onere probatorio e, in secondo luogo,

definire con esattezza il contenuto della prova posta a carico dell’Amministrazione

finanziaria o del contribuente.

In tal senso, non sembrano sorgere particolari complicazioni nel caso in cui vi siano

prove dirette a dimostrare l’esistenza degli elementi fondanti la residenza fiscale nel

territorio dello Stato. Viceversa, nel caso in cui l’esistenza della sede di direzione

effettiva o dell’oggetto principale nello Stato sia desunta da indizi, e quindi presunta, è

necessario valutare la gravità, precisione e concordanza degli stessi.

In tale quadro, al fine di fondare la residenza effettiva di un soggetto estero in Italia, i

relativi riscontri degli organi verificatori devono basarsi su un’analisi complessiva della

situazione di fatto dell’impresa, non limitata ad una valutazione acritica e parziale della

realtà, ma compiuta in un’ottica di substance over form114

. L’onere della prova, in

un’asserita ipotesi di esterovestizione, è naturalmente a carico della Amministrazione

Finanziaria, che dovrà provare la dissociazione fra residenza formale e residenza

sostanziale.

3.1. La presunzione legale dell’art. 73, comma 5-bis, Tuir e la prova contraria

Per ciò che riguarda la modalità di valutazione da parte dell’Amministrazione dei

requisiti della residenza della maggioranza dei soci o degli amministratori ai fini

dell’applicazione della presunzione di residenza della società, occorre rilevare che la

previsione contenuta nell’art. 73, comma 5-bis, seppur da una parte facilita il compito del

verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della

114

Di tale avviso anche il Commentario OCSE, il quale afferma che “la determinazione del luogo della

direzione effettiva è una questione di fatto, nella quale occorre far prevalere la sostanza sulla for ma”, M.

THIONE, M. BARGAGLI, Individuazione di un soggetto esterovestito, cit., p. 7307 e P. VALENTE,

Residenza ed esterovestizione. Profili probatori e schema multi-test, in Fisco, 2008, n. 22, fasc. I, p. 3975

46

residenza effettiva della società, dall’altra non lo esonera dal provare in concreto

l’effettiva esterovestizione dell’ente considerato115

. È opinione condivisa, che l’esistenza

del controllo, sia di diritto che di fatto, rappresenti una mera presunzione relativa, che

potrebbe essere superata, nel momento stesso in cui risulta facile dimostrare

l’impossibilità del presunto soggetto controllante di esercitare in maniera stabile,

duratura e autonoma una posizione dominante all’interno dell’assemblea ordinaria della

presunta società controllata116

. Di conseguenza, il contribuente non potrà fondare l’onere

probatorio sulla mera documentazione formale dell’effettivo svolgimento delle adunanze

dell’organo amministrativo nel territorio dello Stato estero, bensì sulla dimostrazione del

collegamento della società con il territorio dello Stato di residenza117

.

Tale prassi dovrebbe essere rafforzata nei casi in cui vi sia una Convenzione stipulata tra

l’Italia e il Paese estero in cui è ubicata la sede legale della società, in quanto , potendo

essere operativa la tie-breaker rule relativa alla sede di direzione effettiva, dovrebbero

essere prese in considerazione tutte le circostanze ritenute rilevanti118

.

In tale quadro, risulta centrale il ruolo giocato dalle holding cosiddette statiche ovvero

società di mera detenzione di partecipazioni, la cui esistenza ha indotto il legislatore ad

introdurre la previsione normativa di cui al comma 5-bis dell’art. 73, Tuir. In particolare,

non necessitando di una struttura organizzativa visibile, tali holding possono facilmente

domiciliarsi presso studi professionali, in genere localizzati in Paesi in cui domina il

segreto bancario e la stabilità politica ed economico-finanziaria. Di qui l’impossibilità di

stabilire con esattezza il Paese in cui si concretizza l’oggetto principale di tali società119

.

La presunzione contenuta nel comma 5-bis dell’art. 73, diversamente da quanto previsto per

le persone fisiche dall’art. 2, comma 2, essendo connessa al sussistere di una situazione

di per sé statica, cioè la localizzazione della holding, non appone alcuna modifica ai

criteri di collegamento domestici adottati dagli Stati, né tende ad innovarli, ma piuttosto è

115

Protocollo dell’Agenzia delle Entrate, n. 39678 del 19 Marzo 2010, p. 6. 116

G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo, cit., p. 2770 ed E. IASCONE, La

presunzione di residenza di cui all`art. 73, comma 5-bis del Tuir: l`inversione dell`onere della prova, i

"presunti" effetti sostanziali della norma e la sua compatibilità con il diritto comunitario, in Riv. Dir.

Trib., 2010, n. 9, p. 97. 117

In tale direzione T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p. 6532,

P. VALENTE, Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva in ipotesi di esterovestizione, in Fisco, 2010,

n. 27, fasc. I, p. 4308, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 312/E del 5 Novembre 2007 e la

Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007. 118

Di tale parere il paragrafo 24 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE e M. THIONE,

L’esterovestizione societaria, cit., p. 550. 119

P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p. 5617 e D.

STEVANATO, Holding statiche e accertamento della residenza fiscale italiana dell`ente estero , in Corr.

Trib., 2008, n. 12, p. 966.

47

volta ad individuare degli elementi sintomatici della direzione effettiva dell’ente che

alleggeriscano l’onere gravante sull’Amministrazione finanziaria. Tale previsione

conduce ad un’inversione dell’onere della prova, la quale passa a carico del contribuente,

che dovrà dimostrare l’effettività della sede della società all’estero e che, pertanto, non

siano integrati i criteri di soggetto residente.

In tale quadro, la norma, ricalcando il criterio indicato in sede OCSE del place of

effective management, risulta alquanto anacronistica, soprattutto in relazione alla

possibilità di derogare al metodo della collegialità, prevedendo assunzioni di decisioni

mediante consultazione scritta o videoconferenze.

Inoltre, secondo parte della dottrina, la formula meccanica contenuta nella normativa

nazionale potrebbe appiattire la società, con un profilo eccessivamente sostanzialistico,

sulla persona del socio, ritenendo più coerente la condizione alternativa per cui l’organo

amministrativo sia composto in prevalenza da soggetti residenti120

.

La stessa identificazione dei soggetti che amministrano l’ente può comportare accertamenti di

fatto volti a verificare se l’attività di amministrazione sia effettivamente svolta dai soggetti

formalmente investiti del ruolo di amministratori, o se, invece, il potere gestorio dell’ente

debba essere ricondotto a soggetti diversi121

. Ciò può riscontrarsi, sia prendendo in

considerazione il socio di riferimento, il quale spesso risulta essere l’effettivo amministratore

dell’ente partecipato, sia altre figure, che non rivestono nessun ruolo interno alla società, ma

l’amministrano per mezzo di rapporti contrattuali di vario genere122

.

Inoltre, tale presunzione, non individuando specifiche circostanze esimenti, non limita in

alcun modo il contenuto della prova contraria a carico del contribuente, né ne rende

l’esercizio particolarmente difficoltoso, lasciando la possibilità di provare liberamente

120

Di tale avviso P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p.

5619. A conferma di ciò, nei casi in cui operi una Convenzione contro la doppia imposizione,

valorizzandosi il place of effective management, l’Amministrazione finanziaria può far valere la

presunzione di residenza della società estera in Italia, solo nel caso in cui il CdA sia formato in prevalenza

da soggetti residenti in Italia. Qualora l’organo gestorio fosse costituito prevalentemente dai medesimi soggetti

che costituiscono il board della capogruppo, è palese che la presunzione che vi sia commistione tra socio di

riferimento ed ente partecipato sarà particolarmente forte, e quindi, l’asserzione che il place of effective

management debba essere individuato nei luoghi di comando della stessa capogruppo sarà più difficile da

superare, anche al di là del fatto che il Consiglio di Amministrazione si fosse effettivamente riunito presso la

sede legale della partecipata. 121

P. BORRELLI, Architetture societarie complesse ed esterovestizione, in Fisco, 2014, n. 30, p. 2984. 122

Esempio cardine è il caso di cui alla Commissione Tributaria Centrale Sez. VII, 10 ottobre 1996, n. 4992.

In tale direzione anche la anche Cass., sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012, la quale precisa che

“qualora gli amministratori risiedano all'estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori

operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti

procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria”.

48

l’effettività dell’insediamento all’estero123

. Ciò avviene anche in riferimento al luogo di

direzione effettiva di matrice OCSE, in quanto lo stesso Commentario, non individuando

in maniera puntale gli elementi fondanti la prova, si riferisce al luogo in cui sono assunte

di fatto le principali decisioni di tipo gestionale e commerciale, necessarie per la

conduzione dell’insieme delle attività dell’impresa, desumibile anche dal luogo in cui si

tengono i CdA, in cui è svolta la gestione direttiva quotidiana dell’impresa e in cui sono

tenuti i libri contabili124

.

Dato che l’Amministrazione finanziaria non ha utilizzato sistematicamente le presunzioni

de quibus al fine di fondare la residenza effettiva di un soggetto estero in Italia, è

difficile riuscire a delineare un quadro ben delimitato degli elementi ritenuti sufficienti ai

fini della dimostrazione dell’effettiva residenza fiscale. Ai fini della prova contraria in

esame, in definitiva, la documentazione da presentare sarà quella ordinariamente detenuta

dall’impresa per fini diversi da quelli esclusivamente tributari e conforme a quella

richiesta dall’OCSE ai fini convenzionali, conferendo così al contribuente la possibilità

di dotarsi caso per caso degli elementi idonei a vincere tale presunzione.

Inoltre, in esito a una ricognizione operata a livello nazionale dalla Direzione Centrale

Accertamento relativa a verbali e atti di accertamento motivati ai sensi del citato comma

5-bis dell’art. 73 Tuir, non sono stati riscontrati verbali basati esclusivamente su tale

presunzione, ma, nella quasi totalità dei casi, fondati sui presupposti previsti dal comma

3 e, comunque, sul riscontro di prove analitiche. Inoltre, dall’esame condotto, si è

appurata la presenza di una serie di processi verbali fondati su tale presunzione, cui non

hanno fatto seguito i relativi atti di accertamento, in virtù della circostanza che la prova

contraria fornita dal contribuente è stata positivamente valutata dall’Amministrazione

finanziaria125

.

123

In tal modo la presunzione di residenza si differenzia dalle norme CFC che, invece, subordinano la

disapplicazione del regime previsto alla dimostrazione da parte del contribuente di circostanze esimenti

espressamente individuate dalla normativa. In tal senso, la stessa Amministrazione finanziaria, con la

Circolare, n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la Risoluzione, n. 312/E del 5 Novembre 2007, al fine di non

limitare la libertà riconosciuta al contribuente, ha evitato l’individuazione puntuale degli elementi di

prova che possono essere addotti per contrastare tale presunzione. Nei medesimi documenti, si sono

comunque date indicazioni ai contribuenti, ammettendo che la dimostrazione della prova contraria possa

essere fornita “sulla base non solo del dato documentale, ma anche sulla base di tutti gli elementi

concreti da cui risulti, in particolare, il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipulazione dei contratti e

le operazioni finanziarie e bancarie siano effettivamente realizzate” . In tal senso B. SANTACROCE, D.

AVOLIO, Le linee guida dell’Agenzia delle entrate sull’esterovestizione, in Corr.Trib., 2012, n. 9, p. 613. 124

Le difficoltà di individuare in maniera univoca e aprioristica l’effective place of management è

testimoniata anche dalla previsione, sempre nell’ambito del Commentario OCSE, di una formulazione

alternativa volta a consentire agli Stati un accertamento esclusivamente casistico di tale requisito. 125

Protocollo dell’Agenzia delle Entrate, n. 39678 del 19 Marzo 2010, p. 13.

49

3.2. Le presunzioni semplici

In assenza delle condizioni fondanti la presunzione legale di cui al comma 5-bis, la prova

circa l’effettiva residenza della società secondo i criteri di cui al comma 3 incombe

sull’Amministrazione, che potrà fornirla anche per presunzioni, purché gravi, precise e

concordanti. In questo caso, anche la controprova del contribuente dovrà avere gli stessi

requisiti126

. Secondo la giurisprudenza, il requisito della gravità è individuabile nella

probabilità che il fatto presunto sia vero, quello della precisione nella certezza del fatto

noto e quello della concordanza nella coerenza tra gli elementi posti alla base della

rettifica127

.

Così come espresso nel capitolo 1, per l’art. 73, comma 3, Tuir, nel caso in cui la sede

legale della società oggetto di verifica si trovi in uno Stato estero, l’elemento di

collegamento tra soggetto e territorio italiano, da cui dipende la determinazione della

soggettività passiva globale della società, è costituito, alternativamente, dalla sede

dell’amministrazione o dall’oggetto principale. Tali requisiti, secondo l’Amministrazione

finanziaria, non operando isolatamente, costituiscono il punto di partenza per una verifica

più ampia, da effettuarsi in contraddittorio, sull’intensità del legame tra la società e lo

Stato estero e tra la medesima e l’Italia.

Dall’analisi della prassi utilizzata dall’Ufficio e dalla conseguente giurisprudenza,

valorizzandosi nella maggior parte dei casi la sede di direzione effettiva, ossia la sede

dell’amministrazione, piuttosto che l’oggetto principale, si è cercato di valutare gli indizi

fondanti la presunzione, nella loro gravità, precisione e concordanza, ricordando che gli

stessi devono verificarsi per la maggior parte del periodo d’imposta.

3.2.1. La gravità

Relativamente alla probabilità di veridicità del fatto presunto, la Corte di Cassazione ha

ritenuto che l’esistenza del fatto ignoto non debba necessariamente rappresentare l’unica

126

In tal senso, pare doveroso ricordare un principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, per cui: “in una

controversia avente ad oggetto l'impugnazione di atti impositivi ammissibilmente fondati su presunzioni,

il giudice tributario di merito ha il compito di verificare che gli indizi utilizzati dall'Ufficio, considerati

singolarmente e nel loro complesso, possiedano i prescritti caratteri di gravità, precisione e

concordanza; nell'ipotesi affermativa, spostandosi a carico del contribuente l'onere di provare la fedeltà

della dichiarazione, la sua domanda di annullamento dell’atto impositivo dovrà essere rigettata, se egli

non fornisce valida prova delle sue affermazioni contrastanti con la pretesa erariale”. Di tale avviso le

sentenze Cassazione, sez. I, n. 4306 del 23 Febbraio 2010, e Commissione Tributaria Provinciale di

Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013. 127

Commissione Tributaria Centrale, sez. X, n. 2419 del 5 Luglio 1994.

50

conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di correlazione assoluta ed

esclusiva, ma è sufficiente una connessione secondo un giudizio di probabilità, alla luce

di regole di esperienza che convincano il giudice circa la verosimiglianza dell'uno quale

effetto dell'altro128

. In tal senso, è utile sottolineare il parere espresso dalla

giurisprudenza in materia, per cui:

«gli elementi posti a sostegno dell'accertamento costituiscono, al più, semplici

indizi e come tali inidonei a provare l'esistenza dell'amministrazione della

società in Italia, presupposto per sostenere presuntivamente la residenza in

Italia. Se così non fosse, infatti, si dovrebbe legittimare una presunzione

(residenza in Italia) attraverso un fatto (sede dell'amministrazione) fondato su

presunzioni semplici, su circostanze di significato non univoco, non certo»129

.

Nell’indicare gli elementi indiziari che, in concreto, possono avere maggiore influenza sulle

dinamiche decisionali, si indicheranno, quindi, indifferentemente, elementi che potranno

essere valorizzati dall’Amministrazione finanziaria per provare l’esterovestizione, ovvero dal

contribuente per provare la coincidenza tra sede effettiva e sede legale.

In tale quadro, l’Ufficio dovrebbe condurre un’adeguata e completa indagine su:

1) l’esistenza effettiva di un’attività imprenditoriale svolta dalla società estera

partecipata dal soggetto italiano nel luogo in cui questa è incorporata (c.d.

business activity test);

2) l’esistenza effettiva di un’organizzazione di uomini e mezzi idonea allo

svolgimento della predetta attività d’impresa (c.d. organization test);

3) valutazioni delle ragioni economiche che hanno indotto il soggetto controllante

italiano a svolgere attività d’impresa all’estero costruendo specifiche legal entities

(c.d. motive test)130

.

Per ciò che riguarda alcuni degli indizi che possono formare la prova, la giurisprudenza

si è così espressa:

«Alla luce dei richiamati principi, nel caso di costituzione di società

commerciale all'estero, al fine di verificare l'effettiva sede della società,

occorrerà far riferimento alla consistenza della struttura organizzativa propria

di cui si serve la società estera per lo svolgimento della sua attività

commerciale; al grado di autonomia decisionale di cui gode detta società nella

scelta delle proprie strategie; alla natura ed alla rilevanza del contributo

fornito dalla controllante italiana; all'adempimento degli obblighi contabili e

fiscali propri della società estera e connessi alla sua attività»131

.

128

Di tale parere le sentenze Cassazione, sez. I, n. 2700 del 26 Marzo 1997, Cassazione, sez. III, n. 5082

del 6 Giugno 1997, Cassazione, sez. II, n. 9782 del 14 Settembre 1999 e Cassazione, sez. II, n. 9884 del

08 Luglio 2002. 129

Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013. 130

C. MARINELLI, G. GIUA, Esterovestizioni delle società di capitale italiane, Euroconference, Verona,

2007, p. 131, e P. VALENTE, Delocalizzazione, cit., p. 36 131

Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 14 Gennaio 2008.

51

In tal senso, non risulta che la giurisprudenza comunitaria, in materia di effettività

d’insediamento economico ed esercizio abusivo delle libertà comunitarie, si sia mai

occupata degli elementi costitutivi la nozione di residenza fiscale e, in particolare, di

sede dell’amministrazione. Al riguardo, si evidenzia che la soluzione italiana, lungi dal

costituire una novità nel panorama legislativo comunitario, recepisce soluzioni già

avanzate nel dibattito internazionale con riferimento alla nozione di derivazione OCSE

del place of effective management, nonché consolidate nell’esperienza applicativa di altri

ordinamenti, come ad esempio Olanda e Germania.

In sede processuale, l’accertamento della localizzazione della sede di gestione effettiva

avviene inevitabilmente sulla base di elementi indiziari, proprio per effetto della “alta

volatilità territoriale” dell’attività di amministrazione e dell’interpretazione aperta del

criterio in esame. Nell’influenzare il libero convincimento del giudice, è allora fondamentale

apportare presunzioni, ancorché semplici, che risultino ragionevoli ed in linea con

comportamenti comuni e tendenzialmente non anti-economici.

In tale quadro, gli elementi di prova devono dimostrare l’effettivo luogo di svolgimento

della gestione operativa della società estera, assumendo rilevanza il grado di autonomia

funzionale dal punto di vista organizzativo, amministrativo, finanziario e contabile.

Dall’esame della giurisprudenza relativa a casi di esterovestizione di società diverse dalle

holding, sono ricavabili alcuni elementi indiziari tipicamente utilizzati a fondamento

dell’attribuzione della residenza fiscale, principalmente sul criterio della sede

dell’amministrazione, tra cui:

1) luogo di provenienza degli atti volitivi;

2) autonomia finanziaria e ubicazione dei conti correnti;

3) luogo di tenuta della contabilità;

4) regolare svolgimento delle riunioni del Cda e residenza degli amministratori;

5) presenza di dipendenti e relative mansioni;

6) esistenza di strutture, uffici e attrezzature;

7) attività di consulenza e negoziale;

8) contenuto delle caselle di posta elettronica.

52

1) Luogo di provenienza degli atti volitivi

In primo luogo, si può considerare l’effettività della gestione sociale da parte dei membri

del CdA, attraverso l’adozione di atti volitivi da parte dei medesimi, risultando

determinanti ai fini dell’analisi: progetti, direttive, autorizzazioni, istruzioni, procure,

deleghe e interventi diretti a migliorare le performance della società stessa132

. Da ciò ne

deriva che, il mero svolgimento dell’assemblea nello Stato estero, con il solo fine di

ratificare delle decisione preventivamente assunte in Italia, si configura come un

elemento grave di esistenza di una “costruzione artificiosa”, tesa ad ottenere un

vantaggio fiscale, altrimenti indebito133

.

Invero, le fattispecie più significative di esterovestizione riguardano società aventi

ufficialmente amministratori locali ovvero domiciliati in loco presso studi legali o società

di servizi, nelle quali i verbali dei CdA vengono predisposti in Italia, anteriormente alla

data della riunione consiliare, e successivamente trasmessi ai referenti locali per la

formale acquisizione documentale134

.

2) Autonomia finanziaria e ubicazione dei conti correnti

Ai fini dell’analisi dell’effettiva autonomia concessa alla società formalmente residente

all’estero, è prassi comune rivolgersi all’esame dell’autonomia finanziaria riconosciuta in

capo alla società estera. In particolar modo, si possono prendere in considerazione la

provenienza delle risorse finanziarie, degli ordini di bonifico o dell'autorizzazione per

l'acquisto di beni e servizi ed il relativo pagamento135

. L’assenza dello svolgimento di tali

attività di matrice finanziaria, in capo alla società estera, può configurarsi come un elemento

grave, nella maniera in cui esprime l’impossibilità della società stessa di assumere decisioni

132

Commissione Tributaria Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, Commissione

Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012,

Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVIII, n. 93 del 25 Novembre 2006 e Commissione

Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013. 133

In tal senso, pare esaustiva una citazione estratta dalla sentenza Commissione Tributaria Provinciale di

Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, la quale afferma che “non può trarsi argomento a sostegno

di tale tesi (assenza di esterovestizione) dalla mera circostanza che le assemblee sociali si sono svolte

all’estero, dal momento che le decisioni relative venivano di fatto preventivamente assunte in Italia e

conferite negli atti della società mediante la nomina di mandatari e procuratori nominati e comunque

legati alla società madre”. 134

Esempio lampante è il caso di cui alla sentenza Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. III,

n. 151 del 09 Aprile 2013. 135

Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, Commissione

Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V, n. 528 del 22 Settembre 2011 e Commissione Tributaria

Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012.

53

proprie, che risultano amplificate nel caso in cui impattino l’aspetto finanziario-patrimoniale

dell’impresa.

Per effettuare tale valutazione il giudice dovrebbe tener conto anche del tipo di attività svolta

dalla società oggetto di verifica, in quanto, ad esempio, l’attività prettamente finanziaria di

una società di leasing è preponderante rispetto a quella svolta da un’impresa meramente

manifatturiera.

Tale argomentazione risulta ancora più prorompente nel caso in cui sia correlata

all’ubicazione delle attività bancarie, sia attive che passive, nel territorio dello Stato, con

particolar riferimento all’ubicazione dei conti correnti e al potere in capo ai soggetti italiani di

movimentarli136

.

3) Luogo di tenuta della contabilità

Un altro settore che può essere analizzato agli scopi probatori è il luogo di gestione e tenuta

della contabilità. A tal fine, al momento d’avvio della verifica fiscale, è richiesta alla parte

l’esibizione della documentazione amministrativo-contabile riconducibile al soggetto

verificato. In tal senso, potranno essere presi in considerazione, non soltanto il bilancio e il

libro giornale, ma anche le fatture attive e passive137

.

L’analisi interpretativa del giudice deve, pertanto, disporre degli elementi necessari a valicare

il labile confine che divide lo svolgimento dell’attività gestoria ed il controllo sulla stessa, in

capo alla compagine italiana.

In linea di principio, così come si evince dalla giurisprudenza, il mero ritrovamento di

documentazione di tipo contabile presso la sede italiana risulta, però, spesso irrilevante ai fini

della prova, assumendo, invece, rilevanza l’eventualità in cui tali documenti e informazioni,

necessarie alla redazione del bilancio, siano acquisite in Italia e gli atti rilevanti della società

siano posti in essere da soggetti italiani138

.

136

Commissione Tributaria Centrale, sez. VII, n. 4992 del 10 Ottobre 1996, Commissione Tributaria

Regionale Toscana, sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012, Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez.

III, n. 151 del 09 Aprile 2013, Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12

Febbraio 2013 e sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013 e Commissione Tributaria Regionale Umbria, sez. III, n.

152 del 01 Ottobre 2013. 137

Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. XLI, n. 1694 del 03 Febbraio 2014, Commissione

Tributaria Provinciale di Milano, sez. III, n. 151 del 09 Settembre 2013, Commissione Tributaria

Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, Commissione Tributaria Provinciale di

Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V,

n. 528 del 22 Settembre 2011 e Tribunale di Milano del 17 Settembre 2013. 138

In tal senso la Commissione Tributaria Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, la

quale afferma che “circa le fatture emesse dalla società (…) non produce sospetto trovarle nella sua

scrivania (dei soggetti italiani) e quindi la documentazione è irrilevante ai fini della prova”.

54

Tale ultima condizione, può essere, inoltre, avvalorata, soltanto in casi sporadici, dal “luogo

presso cui la società incaricata della revisione contabile della società acquisisce tutte le

informazioni ed i documenti necessari”139

.

In tale ottica, può risultare determinante, in alcuni casi, l’evenienza in cui le dichiarazioni

fiscali siano presentate ai competenti uffici esteri, in quanto ciò può attestare che le attività

siano effettivamente svolte al di fuori del territorio italiano140

.

4) Regolare svolgimento delle riunioni del CdA e residenza degli amministratori

Un ulteriore elemento su cui può basarsi la prova può essere anche il regolare

svolgimento delle riunioni del CdA, di cui può essere agevolmente fornita

documentazione unitamente all’evidenza che le riunioni siano tenute presso la sede

sociale con la partecipazione dei diversi consiglieri.

In tale contesto, ci si può avvalere, come elementi di prova, dei biglietti aerei dei viaggi

degli amministratori e con quale periodicità tali spostamenti siano compiuti141

.

In questo caso, tuttavia, la dimostrazione che le riunioni degli amministratori siano state

effettivamente svolte presso la sede legale della società, per adottare le decisioni relative

all’amministrazione dell’ente, potrebbe essere vinta dalla considerazione che tale spostamento

non era necessario, posto che il board, essendo prevalentemente lo stesso di quello della

capogruppo, avrebbe potuto deliberare nei luoghi utilizzati per la controllante e, quindi, lo

spostamento sarebbe stato solamente preordinato ad evitare la riqualificazione della residenza

nello Stato della capogruppo. Tale contestazione, avanzata dall’Amministrazione finanziaria,

prenderebbe forza dalle evidenze empiriche che il costo di una siffatta costruzione probatoria

sarebbe contenuto, dati i veloci mezzi di trasporto e degli altri strumenti di trasferimento di

dati ed immagini, messi a disposizione dalla moderna tecnologia.

Altrettanto forte risulterebbe la presunzione che l’attività di amministrazione sia

effettivamente svolta nel Paese di residenza degli amministratori, quando la maggior parte di

essi sia residente in uno Stato diverso da quello in cui ha sede l’ente amministrato.

Secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, in una siffatta situazione,

risulterebbe poco credibile, perché particolarmente anti-economico, poter pensare che gli

amministratori svolgano effettivamente la propria attività decisionale nel Paese in cui ha sede

139

Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007. 140

Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013. 141

Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013, Commissione

Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVIII, n. 93 del 25 Novembre 2006 e Commissione Tributaria

Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007.

55

la società, ivi trasferendosi quotidianamente o, quantomeno, con quella continuità prevista

dalla norma. Sembrerebbe più logico, invece, pensare che i processi decisionali si siano

effettivamente formati nel Paese di residenza della maggior parte degli amministratori142

.

5) Presenza di dipendenti e relative mansioni

È ormai prassi rivolgersi all’esame delle mansioni e del grado di autonomia concesso in capo

ai dipendenti della società estera. Il caso estremo di mancanza di dipendenti, o l’accertata

subordinazione degli stessi al preventivo assenso da parte di soggetti italiani, si configura

come un elemento di non dubbia interpretazione sull’in-operatività e assenza di autonomia

della società estera, avvalorando così la presunzione dell’Ufficio143

.

Secondo l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria si dovrebbe sganciare il luogo dal

quale derivano gli impulsi volitivi, da quello, non sempre coincidente, in cui si sostanziano le

mansioni giornaliere dei dipendenti. In tal senso, è auspicabile che il giudice prenda in

considerazione il sistema di gestione del personale, inteso come attività di ricerca e selezione,

nonché di accoglimento e inserimento, addestramento e formazione, valutazione delle

prestazioni e conseguente retribuzione. Se tali elementi convergono in capo alla società estera,

difficilmente essa si configura come una costruzione artificiosa, non meritevole di tutela a

livello comunitario.

6) Esistenza di strutture, uffici ed attrezzature

Oltre alla presenza e al ruolo svolto dalla forza lavoro, è interessante analizzare anche un altro

fattore della produzione, rappresentato dalle strutture, dagli uffici e dall’attrezzature

necessarie per lo svolgimento dell’oggetto sociale144

. In presenza di tali elementi e di

un’accertata autonomia da parte del country management, si accerterebbe l’effettività

dell’insediamento all’estero, generato dallo svolgimento di un’attività economica in tale

Paese.

142

P. VALENTE, I controlli dell’Amministrazione finanziaria in materia di residenza fiscale ed

esterovestizione, in Fisco, 2010, n. 26, fasc. I, p. 4126. 143

Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013, Commissione

Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008, Commissione Tributaria Provinciale

di Pordenone, sez. V, n. 528 del 22 Settembre 2011 e Tribunale di Milano del 17 Settembre 2013. 144

Commissione Tributaria Provinciale di Como, sez. I, n. 91 del 03 Luglio 2013, Commissione Tributaria

Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013, Commissione Tributaria Regionale Toscana,

sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V, n. 528

del 22 Settembre 2011.

56

7) Attività di consulenza e negoziale

In tale quadro, emergono anche degli elementi controversi, per i quali la giurisprudenza

italiana non ha saputo trovare una visione univoca e precisa. In tal senso, può essere preso in

esame il luogo di ubicazione dell’attività di consulenza, che, se da una parte, può essere

giustificato dalla “mancanza di una struttura organizzativa tale da poter svolgere tale

funzione”, dall’ altra, non sembra giustificare il “surplus di efficienza e prospettive di

sviluppo” rappresentate dalla delocalizzazione della società145

.

Discorso speculare va effettuato per l’attività negoziale, intesa come i contratti di natura

commerciale o finanziaria, stipulati dall’impresa, ovvero corrispondenza e documenti che

precedono o integrano le trattative commerciali cui è orientata la strategia aziendale.

Nonostante in alcuni casi sia stato messo in evidenza come la sottoscrizione dei contratti in

Italia possa risultare un’operazione anomala e non sempre giustificabile, in altri, prevale la

tesi per cui la “valutazione di convenienza nella stipula di un contratto è lasciata alla libera

valutazione delle parti”146

.

8) Contenuto delle caselle di posta elettronica

Al fine di determinare l’effettività della sede, negli ultimi anni la prassi accertativa

dell’Ufficio si è concentrata sull’analisi del contenuto delle caselle di posta elettronica

dei soggetti sia italiani che esteri, portando, in diversi casi, una valutazione parziale ed

acritica della realtà. Ciò è dovuto al fatto che, in considerazione della prevedibile

innumerevole quantità di dati informatici contenuti nella casella di posta, gli operatori del

Fisco, solitamente, adottano modalità di ricerca “a scandaglio”, mediante opportune

tecniche consolidate, aventi il fine principale di snellire i tempi dediti a tale delicata

operazione, nell’ottica di non arrecare sostanziale pregiudizio agli esiti che ne possono

scaturire147

. Tale pratica, tuttavia, se da una parte consente di velocizzare i tempi di

verifica, dall’altra dovrebbe essere seguita da un’analisi dell’incidenza dei riscontri sul

totale delle operazioni poste in essere e oggetto di esame da parte dei verificatori.

145

Nelle due direzioni rispettivamente la Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84

del 10 Aprile 2013 e Tribunale Milano del 17 Settembre 2013. 146

La citazione è estrapolata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10

Aprile 2013. In senso opposto, Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. I, n. 1 del 12 Gennaio

2012 e, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008. 147

Così come descritto da P. VALENTE, Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva, cit., p. 4304, è il

caso, ad esempio, dell’impiego di opportune “parole-chiave” da immettere nei sistemi informatici

dell’Amministrazione finanziaria per la lettura dei supporti contenenti il back up dei dati dell’azienda

ispezionata, di modo che vengano estratti tutti i documenti contenenti la parola -chiave medesima, con

evidente risparmio in termini di tempo impiegato.

57

3.1.2. La precisione

Per ciò che riguarda il requisito della precisione, esso si concretizza nella necessità che

sia individuato il reale contenuto degli indizi148

. Sotto quest’ultimo profilo,

l’interpretazione del criterio della sede dell’amministrazione pone alcuni rilevanti

problematiche, in particolare con riguardo alle società appartenenti a gruppi societari.

All’interno dei gruppi il potere gestorio di ciascuna società è sempre condizionato,

secondo gradi di intensità diversi, dall’attività di direzione e coordinamento svolta dalla

società capogruppo, che stabilisce le linee strategiche, definisce l’assetto organizzativo e

decide sulle operazioni di maggior rilevanza per l’intero gruppo, anche qualora esse

vengano poste in essere in capo ad una società partecipata.

In tale contesto, la sede di direzione effettiva non può essere intesa come il luogo in cui

vengono prese le decisioni strategiche, in quanto assunte a livello della capogruppo, ma

dovrebbe essere ricondotta al luogo da cui provengono le decisioni relative

all’amministrazione propria dell’ente, che in una società appartenente ad un gruppo

societario, si limitano tendenzialmente alla gestione e direzione quotidiana.

Diversamente, si assisterebbe all’inaccettabile conclusione che il place of effective

management di tutte, o quantomeno gran parte, delle società appartenenti ad un gruppo

debba essere ricondotto presso le strutture di comando della capogruppo, con la

conseguenza che, qualora non sia evidente il radicamento delle società nel territorio degli

Stati esteri, in cui sono situate le loro sedi legali, esse potrebbero essere considerate

fiscalmente residenti nello Stato della controllante, con buona pace della libertà di

stabilimento garantita in sede comunitaria149

.

Per stabilire, perciò, quando l’ingerenza del socio rientri nell’attività di direzione e

coordinamento e quando invece ne ecceda, sostituendosi alla stessa attività di

amministrazione dell’ente controllato, si dovrebbe aver riguardo all’attività che si è

definita di gestione e direzione quotidiana dell’ente, la quale si concretizza, in sostanza,

in tutte le attività ordinarie e caratterizzate da una certa continuità, come, ad esempio,

l’attività di organizzazione e di controllo dei processi e dei fattori produttivi, la gestione

148

In tal senso, la sentenza Cass., sez. I, n. 9265 del 02 Settembre 1995: “gli elementi attraverso i quali è

concesso risalire dal fatto noto a quello da provare debbono avere i caratteri della certezza e della

concretezza”. 149

A.M. GAFFURI, S. COVINO, Ancora su residenza fiscale, sede amministrativa e società holding , in

Dialoghi di Diritto Tributario, 2006, n. 1, pag. 77 e P. VALENTE, Esterovestizione e eterodirezione, cit.,

p. 231.

58

del personale, le attività di relazione con i terzi, la stipula di contratti inerenti alla

gestione ordinaria, gli incassi e i pagamenti, gli adempimenti fiscali150

.

La localizzazione della sede di direzione effettiva per le società appartenenti a gruppi

societari, tuttavia, dovrebbe avvenire avendo presente la tendenza a concentrare, in capo

alla capogruppo, le decisioni strategiche per tutte le società controllate. Per le società

appartenenti a gruppi societari, perciò, l’individuazione della sede di direzione presso i

locali di comando della controllante, può essere legittimamente sostenuta solo se lo

svuotamento decisionale della controllata risulti tale da eccedere il tradizionale

accentramento delle funzioni decisorie in seno alla capogruppo151

.

Tale confronto, tuttavia, non deve essere compiuto solamente in relazione ad un

fantomatico “grado di accentramento medio”, riscontrabile negli altri gruppi societari,

ma deve soprattutto essere svolto in relazione a quanto succede nei confronti delle altre

società del medesimo gruppo.

Così, se per tutte le società consociate si riscontra l’accentramento delle funzioni di

pianificazione strategica, finanziaria e coordinamento amministrativo e contabile in capo

alla controllante, queste attività non possono essere valorizzate per determinare il luogo

in cui deve essere localizzato il place of effective management della singola controllata.

Su tale argomentazione, si è espressa la giurisprudenza, sancendo che:

«l'esistenza di un penetrante controllo di una società nei confronti di altra e perciò

l'assoggettamento della società controllata costituisce fenomeno ben diverso dallo

svolgimento delle attività di gestione amministrativa della società controllata. Le

due fattispecie non possono essere né sommate né confuse, perché, altrimenti,

situazioni giuridicamente rilevanti, fra loro nettamente differenziate, verrebbero

rese coincidenti con effetti aberranti sul piano giuridico»152

.

Sempre all’interno dei gruppi societari, restano da chiarire gli effetti sulla presunzione

derivanti dall’esistenza di un patto parasociale, quali ad esempio i sindacati di voto o di

blocco, il quale impedisca, pur disponendo di una maggioranza assoluta dei diritti di

150

Si deve, però, avere attenzione a non confondere questa tipologia di attività con una mera attività di

back office, in quanto la gestione e direzione ordinaria deve comunque esprimere un’attività di direzione,

in cui la componente decisionale e di responsabilità deve essere preminente. 151

Così come espresso da G. MARINO, M. MARZANO, R. LUPI, La residenza della società e controllo

tra schemi OCSE ed episodi giurisprudenziali esterni, in Dialoghi Tributari, 2008, n. 3, p. 91 se, perciò,

tutte, o quantomeno la maggior parte, di queste attività di ordinaria amministrazione possono essere

ricondotte direttamente al socio, si potrebbe sostenere che l’ente viene di fatto direttamente amministrato

dal socio di riferimento e, quindi, la sede dell’amministrazione potrà essere ragionevolmente individuata

nella sede stessa della capogruppo. Contrariamente, se nella società partecipata si riscontra l’autonomo

svolgimento delle attività di gestione quotidiana, ancorché ridotte ai minimi termini per effetto della

penetrante ingerenza della capogruppo, non potrà essere legittimamente af fermato che la sede

dell’amministrazione dell’ente debba essere individuata presso la sede della controllante, ma andrà

individuata nel luogo in cui concretamente le attività di gestione ordinaria vengono svolte. 152

Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008.

59

voto, l’esercizio di un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di un’altra società.

L’esistenza di un tale patto, secondo alcuni, non dovrebbe far ritenere operante la

presunzione di esterovestizione, in quanto negli accertamenti compiuti in tema di

esterovestizione societaria i verificatori tendono sempre più a valorizzare gli aspetti certi,

concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità del

principio della substance over form. Invece, secondo l’impostazione più rigida, contenuta

nella Risoluzione, n. 245/E del 1 Settembre 2009, il controllo di diritto di cui al n. 1),

comma 1, dell’art. 2359 c.c. deve essere verificato a prescindere dalla reale influenza

decisionale all’interno del gruppo da parte di una società e senza tener conto di quanto

disposto da determinate clausole statuarie che, nello specifico, potrebbero assegnare il

controllo di fatto ad un socio di minoranza.

Alla luce di quanto sin qui esposto, va ribadito che nel configurare l’esterovestizione non

rilevano elementi strutturali quali l’attività di direzione e coordinamento strategico, o

l’attività accentrata di gestione di taluni servizi finalizzata al risparmio di costi, elementi

questi che sono del tutto connaturali ed ordinari in presenza di imprese controllate, e che

nulla c’entrano, a ben vedere, con la residenza fiscale della singola società partecipata.

In tale quadro, bisogna sottolineare che l’attività di amministrazione, sia se intesa come

attività di determinazione delle scelte strategiche, sia nel caso dei gruppi societari come

gestione ordinaria dell’ente, risulta essere un’attività tendenzialmente priva di un chiaro

collegamento territoriale, essendo essenzialmente basata su processi cognitivi e relazionali,

che, grazie anche alle moderne tecnologie, possono essere comunicati e resi esecutivi in tempi

brevissimi anche in luoghi molto distanti l’uno dall’altro. Se si vuole garantire la sostanzialità

del criterio della sede di direzione effettiva, non si può ritenere sufficiente, al fine della

verifica dello stesso, l’individuazione del luogo in cui si sono svolte le riunioni dei soggetti

che amministrano l’ente, in quanto la sola valorizzazione di questi elementi comporterebbe,

data la facilità di trasferimento dei soggetti e la possibilità di utilizzare forme di riunione a

distanza, l’opportunità per il contribuente di localizzare il place of effective management a

proprio piacimento, sganciandolo perciò dallo Stato di effettiva residenza153

.

In effetti, la presunzione non può essere precisa, in quanto la precisione è propria delle

scienze matematiche, ma se non si vuole cadere in puro determinismo filosofico, non può

153

Inoltre, la valorizzazione del solo luogo in cui gli amministratori si riuniscono per deliberare, non garantisce

che l’attività di amministrazione si sia ivi effettivamente svolta con la continuità temporale prevista dalle norme

sulla residenza, in quanto le riunioni dell’organo gestorio sono solamente momenti istantanei, la cui frequenza

nell’anno è solitamente limitata.

60

caratterizzare una presunzione, la quale, semmai, deve tendere a un elevato grado di

probabilità del fatto presunto.

3.2.3. La concordanza

Quanto al requisito della concordanza, esso presuppone che gli elementi presuntivi siano

molteplici e, quindi, convergenti tra loro.

Va tuttavia rilevato che non devono necessariamente sussistere una pluralità di elementi

presuntivi, in quanto anche un solo fatto, di particolare gravità, può legittimare la pretesa

dell’Ufficio. Qualora, tuttavia, sussistano più presunzioni, deve necessariamente essere valido

il requisito della concordanza, nel senso che le diverse presunzioni devono essere dirette alla

medesima dimostrazione154

.

In tale quadro, risulta chiaramente che gli elementi di supporto citati hanno valenza

puramente esemplificativa, con la precisione che non sussiste tra essi alcun rapporto di

prevalenza, né si presume che essi debbano essere esibiti congiuntamente155

.

154

Così come espresso da P. COLLINI (a cura di), Lezioni di economia e misurazione aziendale,

Università degli Studi di Trento, Trento, 2010, p. 47, ciò è dovuto anche dal fatto che, dal punto di vista

aziendale, tutte le scelte relative alla definizione dell’assetto dell’impresa sia per quanto riguarda le condizioni di

produzione e consumo, che quelle tecniche e quelle relative all’organismo personale, sono interconnesse tra di

loro. Allo stesso modo l’assetto aziendale, non può essere considerato disgiuntamente dall’assetto istituzionale,

inteso come agli organi e alle logiche che presiedono alle decisioni strategiche che attengono alla funzione di

governo economico dell’impresa. 155

In tale contesto, si deve valorizzare la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria italiana relativa

all’impossibilità per il contribuente di interrogare preventivamente l’Amministrazione stessa, tramite la

proposizione di istanza di interpello.

61

4. LIMITI DI UTILIZZO DEL CRITERIO DEL PLACE OF

EFFECTIVE MANAGEMENT

Il concetto di residenza fiscale delle persone giuridiche propone alcuni aspetti di particolare

rilievo, in quanto non si configura soltanto come un problema di mero diritto, ma sembra

altresì collegato a fattori di forza politica, i quali influenzano la scelta dei criteri da utilizzare

per ricollegare la residenza al territorio, secondo le logiche più coerenti con il principio di

giustizia che vige nei vari Paesi.

In Italia, la tensione tra opposte esigenze, appare dal confronto tra uno dei tre criteri di cui

all’art. 73 Tuir, ossia l’oggetto principale, e le indicazioni contenute nell’art. 4 del Modello

OCSE, in quanto, nelle due norme, il requisito di effettività, che impone una ricerca del luogo

di residenza concreto, sembra riferirsi a due aspetti diversi, non sempre sovrapponibili e

potenzialmente determinanti sotto il profilo dell’esercizio dei poteri impositivi156

.

Mentre nell’art. 73, l’effettività si riferisce all’oggetto principale, inteso come attività

esercitata, prendendo, quindi, in considerazione anche il luogo in cui l’impresa svolge

effettivamente la propria attività, l’art. 4 del Modello OCSE privilegia il place of effective

management, interpretato come luogo in cui si trova la mente dell’impresa che adotta le

decisioni societarie più importanti, prescindendo dal luogo di svolgimento delle attività157

.

Alla luce di quanto fin qui esposto, è lecito domandarsi, in astratto, se sia corretto collegare la

residenza delle persone giuridiche al luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche

dell’impresa, ovvero al luogo dal quale proviene il maggior apporto causale alla produzione

del reddito della società.

Dovendosi valorizzare, secondo il Commentario anche il luogo in cui è svolta la gestione

direttiva quotidiana dell’impresa, risulta lecito domandarsi se i due termini possano in

qualche modo coincidere, riducendo di fatto il dualismo che vige nella prassi di

valorizzazione della sede dell’amministrazione ovvero dell’oggetto principale158

.

156

Di tale avviso le sentenze Cassazione, sez. II, n. 7739 del 22 Novembre 2011 e Cassazione, sez. penale,

n. 1811 del 17 Gennaio 2014. 157

A supporto di tale tesi, il comma 5 dell’art. 73, Tuir afferma che: “in mancanza dell’atto costitutivo o dello

statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività

effettivamente esercitata nel territorio dello Stato”. Viceversa, così come indicato al par. 24 del Commentario

OCSE: “il luogo di gestione effettiva è il luogo in cui sono prese in sostanza le decisioni importanti di gestione

(key management) e quelle commerciali, necessarie per l’andamento dell’ente commerciale nel suo complesso”. 158

Sull’identificazione della sede amministrativa nel luogo in cui sono compiuti quotidianamente gli atti

gestionali, si veda anche C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, cit., p. 282 e la

sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVI, n. 108 del 18 Aprile 2007.

62

In tal senso, occorre ricordare che, in virtù del principio di prevalenza, a livello costituzionale,

degli accordi di tipo internazionale sulla disciplina interna, in presenza di una Convenzione

contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato in cui è presente la sede legale

della società, l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica, dovrà attenersi a quanto

stabilito in tale Convenzione e, in particolare, al criterio risolutivo della sede di direzione

effettiva159

.

In tale contesto, un breve excursus storico può delineare quali siano stati i fattori che hanno

permesso al place of effective management di imporsi come criterio risolutivo delle

controversie relative alla residenza fiscale.

L’orientamento dell’OCSE deriva da una tradizione iniziata nel mondo anglosassone, in

mancanza di previsioni internazionali, con alcuni casi di fine ‘800, primi del ‘900, relativi alla

tassazione di società inglesi, gestite nel Regno Unito, ma il cui oggetto principale era

collocato al di fuori del territorio dello Stato. Tale concetto risulta coerente con la mentalità

dell’epoca, dominata da un crescente colonialismo, che permetteva alle società multinazionali

registrate in Inghilterra, di utilizzare le proprie risorse finanziarie per svolgere effettivamente

la propria attività all’estero. In tale contesto, la presenza nel Regno Unito degli

amministratori, i quali impartivano le linee strategiche della società, rappresentava, oltre al

luogo di registrazione, l’unico collegamento in grado di attrarre la residenza di tali società nel

territorio dello Stato160

.

In tal modo, risulta giustificata la scelta del giudice anglosassone, il quale, valorizzando dati

immateriali di tipo volitivo-intellettualistico, ha collegato la residenza all’organo che controlla

l’attività, piuttosto che all’attività stessa, prescindendo da criteri di prevalente connessione

economica con il territorio. In tal senso, il concetto di place of effective management nasce da

un’impostazione discutibile, derivante dalla smania tipica dell’era colonialista di depredare le

risorse dei Paesi arretrati, attraendo la residenza e di conseguenza i redditi, presso il Paese

colonizzatore, con la finalità sia di continuare a sfruttare le risorse di tali Paesi, impedendone

l’effettiva crescita economica, sia di non perdere gettito, altrimenti attratto dal Paese

colonizzato.

A livello internazionale, dunque, il criterio del place of effective management, figlio di

un’ottica imperialista, ha colonizzato anche le Convenzioni contro le doppie imposizioni

159

M. PENNESI, C. BENIGNI, Esterovestizione: la sede dell’amministrazione determina la residenza fiscale, in

Corr. Trib., 2012, n. 24, p. 1879 e R. BAGGIO, Sede dell`amministrazione, sede di direzione effettiva e gruppi

di società, in Riv. Dir. Trib., 2010, n. 11, p. 707. 160

G. MOSCHETTI, Origine storica, significato, cit., p. 253 e P. TARIGO, Il concorso di fatti imponibili

nei trattati contro le doppie imposizioni, Giappichelli Editore, Torino, 2008, p. 183.

63

adottate da gran parte dei Paesi, imponendosi nel tempo per consuetudine, fortemente

influenzato dalla forza commerciale e politica dei singoli Stati.

Il primato del luogo ove vengono assunte le decisioni potrebbe essere meglio utilizzato nelle

limitate ipotesi in cui fosse in discussione la residenza di società holding, in cui l’aspetto

principale della gestione sembra assorbire ogni altro aspetto dell’attività economica

dell’impresa161

. Viceversa, nel caso in cui, accanto all’attività intellettuale di gestione,

sussista una rilevante attività materiale di produzione di beni o servizi, che presupponga

rapporti e contatti quotidiani con clienti, fornitori, pubbliche amministrazioni locali, è

indubbio che la residenza fiscale della società dovrebbe essere nel Paese in cui viene svolta

l’attività, ancorché il socio e l’amministratore risiedano e prendano le decisioni in Italia162

.

Si potrebbe concordare sulla residenza di una società siffatta dal punto di vista civilistico, ma

non certo dal punto di vista del diritto tributario, ove rileva, piuttosto, il luogo di prevalente

apporto alla produzione del reddito ed alle spese pubbliche, spesso trascurato dalle sentenze

inglesi relative al place of effective management e giustificato dallo stretto collegamento

economico-produttivo o dai doveri conseguenti all’appartenenza di una comunità.

In linea generale, se si determinasse la causa dell’imposta nei vantaggi e nei benefici che il

contribuente si procura partecipando alla vita economica collettiva, il principio

dell’appartenenza economica dovrebbe avere maggior peso nell’attribuire a uno o più Stati il

diritto all’imposizione, in quanto soltanto l’appartenenza stabile al ciclo vitale di una

comunità nazionale dovrebbe essere considerata un indice affidabile del grado di connessione

etica, politica, economica e sociale rispetto alla comunità medesima163

.

Questo tipo di collegamento richiedendo non soltanto un elemento materiale, ossia l’attività

svolta, ma anche un elemento temporale, ossia il legame durevole, ravvisabile nella

previsione che i criteri si debbano verificare per maggior parte del periodo d’imposta,

giustifica il concorso alle spese pubbliche e l’attribuzione dello ius impositionis sul reddito

161

R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 321, P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le

esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p. 5622 e D. STEVANATO, Oggetto principale della

holding e territorialità dell’imposta sulle successioni e donazioni, in Corr. Trib., 2007, n. 29, p. 2353. 162

Così come espresso da G. COPPOLA, A. POMPILI, La residenza fiscale, cit., p. 5115, C.

GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, cit. , p. 190 e V. PIACENTINI, Principi generali

di tassazione, cit., p. 328, l’utilizzo del criterio di direzione effettiva anche in ipotesi di attività imprenditoriale,

potrebbe raffigurarsi come un’interpretazione forzata che contrasta, altresì, con il primo comma dell’art. 4 del

Modello OCSE, il quale afferma che per essere considerato residente di uno Stato contraente è necessario essere

liable to tax per tutti i redditi; non si è, invece, considerati residenti se si è liable to tax solo con riguardo al

reddito derivante da quel territorio o al capitale ivi situato. 163

E. LONGOBARDI, Economia tributaria, McGraw-Hill, Milano, 2009, p. 7, P. BOSI, M.C. GUERRA,

I tributi nell’economia italiana, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 12 e P. BOSI (a cura di), Corso di scienza

delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 15.

64

mondiale allo Stato ove sono più pregnanti i legami economico-sociali. Pertanto, sotto

un’ottica del principio del beneficio, essendo da prediligere il territorio in cui maggiormente

l’attività economica ha creato spese pubbliche e, per converso, il soggetto ha beneficiato di

tali spese, si dovrebbe privilegiare l’utilizzo del criterio dell’oggetto principale, in quanto si

sostanzia in un collegamento con il luogo in cui emerge la ricchezza, ossia ove si esercita

l’attività economica, piuttosto che al luogo in cui avviene la mera gestione organizzativa o il

mero controllo dell’attività164

.

In tal senso, l’Italia ha svolto Osservazioni all’art. 4, terzo comma, del Modello OCSE,

contenute nel par. 25 del Commentario, secondo cui, al fine di stabilire il place of effective

management, l’Italia ritiene non accettabile la determinazione della sede di direzione effettiva

fondata sull’unico criterio del luogo in cui gli organi di rango più elevato prendano

ufficialmente le loro decisioni, dovendosi considerare anche il luogo ove viene esercitata

l’attività principale della società165

. Si tratta di un’impostazione pienamente in linea con il

dato normativo interno che, come abbiamo già avuto modo di rilevare, lega la residenza della

società non solo alla sede legale o alla sede dell’amministrazione, ma, alternativamente, anche

all’oggetto principale della propria attività166

.

Inoltre, in ambito internazionale il criterio del place of effective management non ha riscosso

il consenso da parte di tutti gli Stati. In tal senso, basti ricordare, così come espresso nel

capitolo 1, la preferenza per il place of incorporation espressa dal Canada e dagli Stati

Uniti, la prassi israeliana di valorizzare l’oggetto principale e la condivisione da parte

dell’India dell’osservazione espressa dall’Italia in sede OCSE167

.

Tale impostazione ha trovato anche dei consensi in dottrina, soprattutto nella specificazione

del contenuto dell’oggetto principale, di cui all’art. 73 Tuir. In tal senso, è utile ricordare, così

come espresso al capitolo 1, che, ai fini dell’individuazione dell’oggetto principale

dell’attività, non si dovrà prendere in considerazione soltanto il mercato di riferimento

164

Così come espresso da P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della

presunzione, cit., p. 5620, individuando la residenza fiscale nel luogo in cui sono prese le decisioni, si rischia

di cadere nel formalismo, perdendo di vista la realtà dei fatti. Inoltre, così come mostrato da A. FANTOZZI, Il

diritto tributario, Utet, Torino, 2003, p. 886 e G. MOSCHETTI, Origine storica, significato, cit., p. 254, il

place of effective management mostra tratti di anacronismo, considerando che le decisioni sullo svolgimento

delle attività rimesse ad organi collegiali non sono riconducibili spesso ad un luogo fisico determinato, bensì ad

un incontro telematico di persone collocate in posti diversi. 165

T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p. 6531 e M. GRAZIOLI,

M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 5003. 166

E. VIAL, Prime riflessioni sulla nuova presunzione, cit., p. 5488. e G. COPPOLA, A. POMPILI, La

residenza fiscale, cit., p. 5115. 167

In tal senso, C. D’AVINO, United States, cit., p. 299, K. BROOKS, Canada, cit., p. 187, e P.

VALENTE, La residenza fiscale delle persone giuridiche nella prassi di alcuni Paesi UE ed extra-UE,

cit., p. 2259.

65

del fatturato aziendale, ma soprattutto dati concreti, materialmente riscontrabili, quali, ad

esempio la localizzazione degli investimenti, la sede degli impianti produttivi e/o di

stoccaggio, la sede degli uffici ove si svolgono le funzioni amministrativo-contabili168

.

Un altro elemento da prendere in considerazione riguarda la compatibilità del place of

effective management con la libertà di stabilimento, sancita a livello comunitario. Così come

espresso nel capitolo 2, il concetto di stabilimento implica l’effettivo svolgimento di

un’attività economica, rendendo operative le restrizioni a tale libertà soltanto in presenza di

strutture artificiose, le quali non riflettono la realtà economica della società. La valutazione

circa la sussistenza di una costruzione fittizia deve effettuarsi, secondo la Corte

comunitaria, in concreto e caso per caso, tenendo conto di elementi oggettivi e

verificabili da parte di terzi, tali da comprovare l’effettività dello stabilimento nello Stato

ospite, nonché della concreta sostanza delle attività ivi svolte in termini di locali,

personale ed attrezzature.

Di conseguenza, l’indagine in ordine all’applicazione delle disposizioni antielusive, quali

quella sulla residenza fiscale delle società, non può prescindere dall’analisi delle

motivazioni economiche sottostanti alla localizzazione dell’attività d’impresa all’estero,

dovendosi, pertanto, escludere l’esistenza di costruzioni artificiose in presenza di valide

ragioni economiche e di insediamenti produttivi o commerciali all’estero. In tal senso, la

valorizzazione dell’oggetto principale sembra sposarsi meglio con l’indirizzo promosso

dalla Corte di Giustizia Europea, in quanto considera l’attività effettivamente svolta,

ossia la strategia realizzata e dispiegata in concreto, in luogo della strategia pensata,

riscontrabile nella sede di direzione effettiva, andando a valorizzare, in tal modo, le

valide ragioni economiche sottese al business della società.

168

Di tale opinione, la sentenza della Cassazione, sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012 e n. 1811 del

17 Gennaio 2014. e G. MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., p. 241 e D. STEVANATO, R. LUPI,

Oggetto principale ed interposizione ai fini della residenza fiscale delle società esterovestite, in Dial. Dir.

Trib., 2007, n. 12, p. 1551. Inoltre, così come espresso da P. VALENTE, Il criterio dell’oggetto

principale, cit., p. 4468, una valutazione dell’oggetto principale avulsa da tali componenti, potrebbe

portare a distorsioni per cui una società che cura soltanto alcune fasi della lavorazione di un bene prodotto

e venduto in Italia, sia attratta nel territorio dello Stato italiano, in ragione del fatto che questi rappresenti

il principale mercato di riferimento in cui è realizzata la maggior parte del fatturato. Così come espresso

da F. NANETTI, Riflessioni in tema di oggetto principale, cit., p. 3810, una parte minoritaria della

dottrina, ha auspicato che il criterio dell’oggetto principale subisca delle modificazioni, configurandosi

quale attività posta in essere dagli amministratori per realizzare gli scopi indicati nell’atto costitutivo, così

da ritenere che la sede effettiva sia quella in cui si persegue l’oggetto principale nella sua nuova

accezione. Tale impostazione, però, appare molto diversa da quella seguita sia in dottrina che

dall’Amministrazione finanziaria, ma, secondo i sostenitori, una sua diffusione potrebbe permettere di

avere una ricostruzione più precisa e maggiormente in linea con il sistema normativo di riferimento.

66

4.1. Rapporti tra diritto interno e disposizioni pattizie

Nel corso di una verifica finalizzata all’individuazione della residenza fiscale di una

società, i verificatori possono trovarsi di fronte a valutazioni diverse, a seconda

dell’eventuale presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e lo

Stato in cui tale società ha la propria sede legale. Mentre nel caso in cui non operi la

Convenzione, i verificatori avrebbero la possibilità di scegliere, sulla base degli elementi

in loro possesso, se applicare il criterio della sede dell’amministrazione ovvero quello

dell’oggetto principale dell’attività, previsti dall’art. 73, comma 3, Tuir, nel caso di

presenza della stessa, essi dovrebbero attenersi alla tie-breaker rule, prevista dall’art. 4,

par. 3, del Modello OCSE, la quale afferma che quando un soggetto diverso da una

persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, esso è considerato residente

dello Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva169

.

La presenza di diverse disposizioni normative e la prospettazione di differenti soluzioni

volte ad attenuare il pregiudizio arrecato dalla doppia imposizione impongono,

conseguentemente, un’attenta analisi dei rapporti tra la normativa nazionale e quella

contenuta nelle convenzioni bilaterali. A tal proposito, la dottrina ha evidenziato che le

convenzioni internazionali costituiscono veri e propri trattati internazionali , assumendo

rilevanza anche nel nostro ordinamento, a seguito della ratifica per il tramite di una legge

ordinaria votata ed approvata dal Parlamento nazionale.

Riguardo ai rapporti tra la normativa interna e quella pattizia, pertanto, deve riconoscersi

natura sovraordinata a quest’ultima, ricoprendo nella gerarchia delle fonti una posizione

gerarchicamente preordinata170

.

Il principio dell’applicazione della normativa pattizia in luogo di quella nazionale,

tuttavia, è stato solo parzialmente recepito nel nostro ordinamento, ove si assiste ad uno

scarso coordinamento tra i vari livelli normativi. Ciò si evince anche, indirettamente, dal

disposto dell’articolo 169 Tuir, il quale afferma che “le disposizioni del presente Testo

169

S. COVINO, Sede dell'amministrazione, oggetto principale e residenza fiscale delle società, in Dial.

Dir. Trib., 2005, n. 6, p. 929 e P. VALENTE, Il criterio dell’oggetto principale, cit., p. 4474. 170

Del resto, lo stesso testo costituzionale prevede, all’art. 10, che “l'ordinamento giuridico italiano si

conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, mentre l’art. 117 stabilisce

che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché

dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” Parte della dottrina,

invece, pur condividendo la tesi della prevalenza della normativa pattizia su quella interna, ritiene che tale

assunto debba essere giustificato sulla base dell’antica massima giuridica “ lex specialis derogat lex

generalis”, ossia posta su un piano paritetico rispetto a quella nazionale, prevalendo su quest’ultima in

quanto norma speciale. In tale direzione G.M. CROXATTO, Manuale di diritto internazionale privato,

Cedam, Padova, 1999, pag. 646.

67

Unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga degli accordi

internazionali contro la doppia imposizione”171

.

Sulla base, pertanto, del rinvio contenuto nell’art. 169 Tuir, è data facoltà all’operatore

economico di invocare l’applicazione della normativa italiana tutte quelle volte in cui le

convenzioni bilaterali forniscano soluzioni meno favorevoli. In tal modo, il legislatore

nazionale sembrerebbe aver attribuito efficacia superiore alla normativa nazionale

rispetto a quella convenzionale e, dunque, l’applicazione della fonte interna, non soltanto

qualora si riscontri una lacuna nelle disposizioni pattizie, ma anche nell’ipotesi in cui sia

prevista una disciplina più favorevole, la quale deve essere accertata tenuto conto non

della singola disposizione, ma del quadro normativo completo, con conseguente

applicazione del regime fiscale più conveniente172

.

Ciò è avvalorato dal fatto che l’art. 24, paragrafo 55, del Commentario OCSE rileva che

alcune convenzioni stipulate dall’Italia contengono una clausola di deroga che, fermo

restando il divieto di discriminazione, fanno salva la possibilità di applicare disposizioni

antievasive o antielusive interne173

.

Il giudice, qualora si trovi di fronte a un’antinomia tra norma interna ed internazionale,

dovrebbe procedere alla disapplicazione della norma interna. Tuttavia, l’art. 169 Tuir,

consentendo il rispetto delle norme di tipo internazionale, in quanto può comportare una

diminuzione del gettito in capo allo Stato italiano e mai in capo all’altro Stato contraente,

non ribadisce un generico principio di specialità, ma ne tempera gli effetti, consentendo

al contribuente di effettuare una scelta in merito alla norma applicabile.

Date tali premesse, nel caso della residenza fiscale delle società, dovrebbe essere

applicato il criterio più favorevole per il contribuente e, quindi, in presenza dell’oggetto

principale in uno Stato estero, non si dovrebbe attrarre la residenza in Italia in

171

G. MELIS, Lezioni di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2013, p. 194. 172

In tal senso, si può prendere in considerazione il ruolo attribuito alle società di persone nelle

Convenzioni internazionali e dalla prassi ministeriale interna. Cosi come mostrato da S. ZANONI, e P.

BERTOLASO, Regime presuntivo di localizzazione, cit., p. 7370, secondo la versione del Commentario le

società di persone rientrano nella definizione di “persona” con riferimento all’art. 3 e, in particolare,

possono essere ricomprese nei termini “società o altra associazione di persone”. In base all’orientamento

espresso dall’Amministrazione finanziaria, con la Circolare, n. 306/E del 23 Dicembre 1996, “qualora le

società di persone, in conformità delle legislazioni interne degli Stati contraenti, siano a ssimilate alle

persone giuridiche si deve ritenere che anche ai fini della Convenzione esse si configurino come società,

e, di conseguenza, sono considerate ai fini della Convenzione, come persone giuridiche rientranti nella

definizione di ‘persone’. In caso contrario, ossia qualora le società di persone non siano assimilate alle

società secondo la normativa tributaria interna degli Stati contraenti, ai fini della Convenzione saranno

considerati residenti i singoli soci”. 173

È il caso della Convenzione tra l’Italia e l’Oman che, all’art. 24, paragrafo 6, dispone che: “Tuttavia, le

disposizioni dei paragrafi precedenti del presente Accordo non pregiudicano l’applicazione delle

disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale”.

68

applicazione del principio del place of effective management, il quale, non tenendo in

adeguata considerazione le peculiarità del caso specifico, non sarebbe “sempre e comunque”

utilizzabile come criterio risolutivo delle ipotesi di doppia imposizione.

Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se non sarebbe più coerente utilizzare il criterio della sede di

direzione effettiva quale criterio non più primario, ma solo secondario, nell’ipotesi in cui vi

sia conflitto nell’attribuzione della residenza tra più Stati, in cui l’impresa svolge la propria

attività principale174

.

In definitiva, alla luce dei principi di razionalità e proporzionalità, il place of effective

management sarebbe ragionevolmente utilizzabile, per esempio, nei seguenti casi:

1) vi sia controversia tra più Stati sul luogo di gestione di una holding statica175

;

2) vi siano più Stati in cui è esercitata in termini uguali l’attività principale;

3) non sia possibile stabilire il luogo in cui si svolge l’attività principale176

.

Quando, invece, l’oggetto principale dell’attività sia chiaramente ubicato in un unico Paese,

non dovrebbe essere applicabile il criterio del place of effective management.

174

G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires, cit., p. 3497 e G. MOSCHETTI, Origine storica,

significato, cit., p. 273. 175

R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 321 e P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le

esterovestizioni alla prova della presunzione, cit. ,p. 5622. 176

Ciò può trovare conferma anche nel Commentario OCSE, il quale, al par. 23, afferma che “la formulazione

del criterio di preferenza nel caso di persone giuridiche fu considerata in particolare in relazione alla

tassazione del reddito derivante da attività di navigazione, trasporti navali interni e trasporti aerei”, le quali

avvengono in plurimi Paesi e con plurimi luoghi in cui emerge il reddito derivante dall’oggetto principale

dell’attività.

69

CONCLUSIONI

Il quadro esposto consente, seppur senza pretesa di completezza, di evidenziare i tentativi

prodigati dal legislatore comunitario e nazionale, di delineare un ambiente regolamentare

uniforme al fine di minimizzare l’aleatorietà della disciplina, anche se, nonostante gli

sforzi profusi, il tema della residenza fiscale non appare completamente risolto.

In modo sempre più frequente, le imprese italiane scelgono di costruire o controllare

società con sedi in altri Stati, al fine di ivi svolgere attiv ità, sia con l’intento di abbattere

i costi, ricercando un minor costo della manodopera e delle migliori condizioni di

operatività, sia per vicinanza ai mercati cui si rivolgono.

In tale contesto, assume una rilevanza sempre più pregnante il concetto di residenza

fiscale, espressa nell’art. 73 Tuir, attraverso il quale è possibile attrarre in Italia, anche

società formalmente residenti all’estero ma la cui sede dell’amministrazione od oggetto

principale si trovino in Italia. Non esprimendo la previsione normativa una gerarchia tra

questi due principi, la prassi accertativa degli Uffici si indirizza sempre più spesso

nell’applicazione della sede di direzione effettiva, coincidente nella novella legislativa

nazionale con la sede dell’amministrazione.

In tal quadro, si inserisce anche la previsione a livello comunitario della difesa della

libertà di stabilimento, che ha indotto la Corte di Giustizia Europea a riconoscere la piena

estensione del diritto di stabilimento, ritenendo del tutto legittimo la costituzione di una

società in uno Stato membro al fine di beneficiare dei vantaggi riconosciuti da tale

Paese177

. Si è, dunque, affermato il principio secondo cui, anche in assenza di un diritto

societario armonizzato, ci si può avvalere della libertà di stabilimento in tutte le sue

articolazioni, escludendo da tale tutela, tuttavia, i casi di costruzioni artificiose intese ad

eludere la normativa nazionale178

.

La stessa Amministrazione finanziaria italiana, in diversi documenti e nelle osservazioni

contenute nel Commentario OCSE, ha dato preminenza al luogo in cui viene effettivamente

svolta l’attività, risultando difficile stabilire il labile confine tra l’attività di direzione e lo

177

P. TROIANELLO, Lo stabilimento delle società, cit., p. 147. 178

In tale direzione le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12 Settembre 2006 (caso

Cadbury Schweppes), causa C-105/07 del 17 Gennaio 2008 (caso Lammers & Van Cleeff), della

Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 173 e n. 174 del 3 Dicembre 2007, della

Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013 e sez. II, n. 84 del 27

Febbraio 2013.

70

svolgimento della stessa179

.

In tal senso, è necessario verificare caso per caso se sussistono elementi di collegamento

sufficienti a far attribuire alla società estera la residenza fiscale in Italia, sia sotto il

profilo della sede dell’amministrazione o dell’effettiva attività svolta e che gli stessi si

verifichino per la maggior parte del periodo d’imposta.

Ne deriva la necessità dell’Ufficio, in sede di accertamento, di considerare diverse

variabili, valutando non solo l’aspetto qualitativo degli elementi di fatto riscontrati, ma

anche la loro prevalenza quantitativa e la combinazione degli stessi, alla luce delle

disposizioni non solo nazionali ma, in presenza di convenzioni, anche pattizie.

In ogni caso, l’inevitabile mancanza di un’elencazione di elementi tali da comprovare la

fittizia residenza della società, dovuta alla diverse modalità con cui il fenomeno può

presentarsi, si riflette anche sulla certezza del rapporto giuridico d’imposta, nonché sulla

natura e sull’entità dei rilievi operati180

.

In tale quadro, risulta particolarmente difficoltoso individuare, sul piano normativo,

criteri sostanziali di collegamento di una persona giuridica al territorio di un singolo

Paese e da ciò ne discendono delle criticità in capo al contribuente nel fornire prova

contraria idonea a disinnescare le presunzioni dell’Ufficio.

I dubbi operativi sono rafforzati qualora si prendesse in considerazione come elemento

determinante, il luogo in cui l’attività viene effettivamente svolta e dal quale, di

conseguenza, deriva il concorso alle spese pubbliche, che porterebbe a una preferenza

dell’oggetto principale, in luogo del place of effective management.

Per le molteplici ragioni sopra esposte, dunque, le attuali norme giuridiche di riferimento

non garantiscono efficacemente piena armonia da un punto di vista sistematico, con la

conseguenza che il concetto di residenza fiscale ed in conseguente fenomeno

dell’esterovestizione societaria costituiscono un argomento di rilevante criticità

nell’ambito del diritto tributario nazionale ed internazionale.

179

In tal senso la Circolare, n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la Risoluzione, n. 312/E del 5 Novembre 2007. 180

S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, cit., p. 73 e M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p.

559.

71

BIBLIOGRAFIA

ACCILI B., La responsabilità penale degli amministratori di società esterovestite, in Dir. Prat.

Trib. Int., 2012, II

ACETO E., L’abuso del diritto: tra “diritto” ed “abuso”, in Innovazione e Diritto, 2012, V

ANTONINI M., in Note critiche sulla presunzione in tema di residenza fiscale di società ed enti

introdotta dal DL 4 Luglio 2006, n. 223, in Riv. Dir. Trib., 2006, IV

BAGAROTTO E. (a cura di), La presunzione di residenza fiscale delle società “esterovestite”,

Cedam, Padova, 2008

BAGGIO R., Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria , Giuffrè, Milano, 2009

BAGGIO R., Sede dell`amministrazione, sede di direzione effettiva e gruppi di società, in Riv.

Dir. Trib., 2010, n. 11

BERNONI G., DRAGONETTI A., Esterovestizione e controllo congiunto, in Fisco, 2007, n. 19,

fasc. I

BERTOLASO P., BRESSAN E., Le esterovestizioni alla prova della presunzione di residenza:

alcune considerazioni con particolare riguardo alle holding statiche, in Fisco, 2006, n. 36, fasc.

I

BLOUET J.F., France, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

BORRELLI P., Architetture societarie complesse ed esterovestizione, in Fisco, 2014, n. 30

BOSI P. (a cura di), Corso di scienza delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2010

BOSI P., GUERRA M.C., I tributi nell’economia italiana, Il Mulino, Bologna, 2012

BROOKS K., Canada, in MAISTO G., Residence of Companies under Tax Treaties and EC Law,

IBFD, Amsterdam, 2009

BRUNO E., VALENTE A., CGE e ostacoli fiscali, in Manuale di fiscalità internazionale,

DRAGONETTI A. (a cura di), Ipsoa, Milano, 2012

CAPOLUPO S., D.L. n. 223/2006. La presunzione di residenza in Italia, in Fisco, 2006, n. 33,

fasc. I

CAPOLUPO S., Reddito d’impresa, Egea, Milano, 2007

CARACCIOLI I., VALENTE P., Residenza ed esterovestizione. Profili penal-tributari della

riqualificazione, in Fisco, 2008, n. 25, fasc. I

CARRICOLO F., Il trasferimento all’estero della sede di società e in Italia della sede di società

estera, in Fisco, 2009, n. 48, fasc. I

CARRICOLO F., Presunzione di esterovestizione per spa italiana controllata da società

olandese, in Azienda & Fisco, 2008, n. 18

CERRATO M., Sui confini tra esterovestizione societaria e stabile organizzazione, in Riv. Dir.

Trib., 2013, n. 6

72

CIPOLLA G. M., La prova tra procedimento e processo tributario, Cedam, Padova, 2007

COLLINI P. (a cura di), Lezioni di economia e misurazione aziendale, Università degli Studi di

Trento, Trento, 2010

COPPOLA G., POMPILI A., Discriminazione fiscale di soggetti non residenti nella normativa

comunitaria, in Fisco, 2006, n. 46, fasc. I

COPPOLA G., POMPILI A., La residenza fiscale nella normativa convenzionale, in Fisco, 2006,

n. 33, fasc. I

CORASANITI G., DE’ CAPITANI P., La nuova presunzione di residenza fiscale dei soggetti

Ires, in Dir. Prat. Trib., 2007, I

COVINO S., Sede dell'amministrazione, oggetto principale e residenza fiscale delle società, in

Dial. Dir. Trib., 2005, n. 6

CROXATTO G.M., Manuale di diritto internazionale privato, Cedam, Padova, 1999

D’AVINO C., United States, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles,

1987, Vol. 72a

DE NISI A., FRUSTAGLIA D., L’esterovestizione societaria quale pratica elusiva: profili

penali e sanzionatori, in Rivista della Guardia di Finanza, 2013, n. 3

DEL FEDERICO L., Società estere e presunzione di residenza ai sensi del D.L. n. 223/2006:

artt. 43 e 48 del Trattato CE, convenzioni contro le doppie imposizioni e disapplicazione della

norma interna di cui al comma 5-bis dell'art. 73 del Tuir, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I

DEL SOLE A., Sotto il vestito niente, ovvero esterovestizione ed elusione penalmente rilevante,

in Riv. Giur. Trib., 2014, n. 3

DELLA VALLE E., Brevi note in tema di rilevanza sanzionatoria della condotta

elusiva/abusiva, in Rassegna tributaria, 2012, n. 5

DELLA VALLE E., Tassazione degli utili della società estera controllata e rispetto del diritto

comunitario, in Corr. Trib., 2006, n. 42

DEZZANI F., DEZZANI L., Esterovestizione e abuso del diritto nella casistica

giurisprudenziale, in Fisco, 2014, n. 8

DI PIETRO A., CARINCI A., Un intervento in linea con l’Europa, in Il sole 24 ore, 19 Agosto

2006

DI SIENA M., Il fenomeno della fittizia residenza estera nella prospettiva criminale tributaria,

in Fisco, 2003, n. 6, fasc. I

FALSITTA G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova, 2012

FALSITTA G., Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Cedam, Padova, 2010

FANTOZZI A., Il diritto tributario, Utet, Torino, 2003

FUMAGALLI T., Note a margine della disciplina dell’esterovestizione societaria nel testo unico

delle imposte sui redditi, in Fisco, 2013, n. 42, fasc. I

GAFFURI A.M., La tassazione dei redditi prodotti all’estero, Giuffrè, Milano, 2008

73

GAFFURI A.M., Sede di direzione e sede dell'amministrazione: i presupposti della stabile

organizzazione e della residenza, in G. GAFFURI, M. SCUFFI (a cura di), Lezioni di diritto

tributario sostanziale e processuale, Edizioni del Bollettino tributario, Milano, 2009

GAFFURI A.M., COVINO S., Ancora su residenza fiscale, sede amministrativa e società

holding, in Dialoghi di Diritto Tributario, 2006, n. 1

GAMBINO S., Diritti fondamentali e Unione Europea. Una prospettiva costituzional-

comparatistica, Giuffrè Editore, Milano, 2009

GARBARINO C., La tassazione del reddito transnazionale, Cedam, Padova, 1990

GARBARINO C., Manuale di tassazione internazionale, II edizione, Ipsoa, Milano, 2008

GASSNER W., Austria, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

GRAZIOLI M., THIONE M., L’esterovestizione societaria. Caratteristiche distintive del

fenomeno e riflessi penali-tributari, in Fisco, 2010, n. 31, fasc. I

IASCONE E., La presunzione di residenza di cui all`art. 73, comma 5-bis del Tuir: l`inversione

dell`onere della prova, i "presunti" effetti sostanziali della norma e la sua compatibilità con il

diritto comunitario, in Riv. Dir. Trib., 2010, n. 9

IORIO A., MECCA S., Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero, in Fisco, 2014, n.

11

IZZO G., Limiti alla libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi nell’Unione europea, in

Impresa c.i., 2003, n. 12

JEFFCOTE B.M., United Kingdom, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.),

Bruxelles, 1987, Vol. 72a

KUIPER W.G., I trattati fiscali contro le doppie imposizioni, in Manuale di fiscalità

internazionale, DRAGONETTI A. (a cura di), Ipsoa, Milano, 2012

LEO M., MONACCHI F., SCHIAVO M., Le imposte sui redditi nel testo unico, II, Giuffrè,

Milano, 1990

LEONE D., Il nuovo regime presuntivo di localizzazione per le società esterovestite , in Fisco,

2006, n. 38, fasc. I

LEVY MORELLE H., Belgium, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International

Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

LOCONTE S., Onere probatorio e profili sanzionatori dell’esterovestizione , in Riv. Giur. Trib.,

2013, n. 11

LONGOBARDI E., Economia tributaria, McGraw-Hill, Milano, 2009

MANCINELLI S., Esterovestizione societaria e reati connessi, in Rivista della Guardia di

Finanza, 2010, n. 4

MARINELLI C., GIUA G., Esterovestizioni delle società di capitale italiane, Euroconference,

Verona, 2007

74

MARINO G., La residenza nel diritto tributario, Cedam, Padova, 1999

MARINO G., MARZANO M., LUPI R., La residenza della società e controllo tra schemi OCSE

ed episodi giurisprudenziali esterni, in Dialoghi Tributari, 2008, n. 3

MARSICO D., ZOANI L., La presunzione di residenza fiscale delle persone giuridiche, Spunti

interpretativi, in Fisco, 2009, n. 7, fasc. I

MASTROGIACOMO E., in Profili penali del trasferimento fittizio della residenza all’estero, in

Fisco, 2001, n. 41

MELIS G., Il trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi , Giuffrè, Milano,

2009

MELIS G., Libertà di circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e principio di non

discriminazione nell’imposizione diretta: note sistematiche sulla giurisprudenza della Corte di

Giustizia delle Comunità Europee, in Rass. Trib., 2000, IV

MELIS G., La residenza fiscale delle società Ires: giurisprudenza e normativa convenzionale, in

Corr. Trib., 2008, n. 45

MELIS G., La residenza fiscale dei soggetti Ires e l’inversione dell’onere probatorio di cui

all’art. 73, commi 5-bis e 5-ter Tuir, in Dir. Prat. Trib. Int., 2007, n. 3

MELIS G., Lezioni di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2013

MOSCHETTI G., Origine storica, significato e limiti di utilizzo del place of effective

management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia residenza delle persone giuridiche, in

Dir. Prat. Trib., 2010, n. 2

NANETTI F., Riflessioni in tema di oggetto principale, ai fini dell’art. 73, comma 3, del Tuir in

Fisco, 2007, n. 26, fasc. I

NAUTA K., Netherlands, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

NIEDDU F., La recente politica fiscale in tema di estero-vestizione. Un reasonable and genuine

link “al limite”, anche comunitario, ed un possibile corto circuito antielusivo in Innovazione e

Diritto, 2008, I

NOVARA G., in Residenza di enti e società nell’imposizione personale sui redditi, in Boll. Trib.,

1990

PANAYI C., United Kingdom, in G. MAISTO, Residence of Companies under Tax Treaties and

EC Law, IBFD, Amsterdam, 2009

PARPIGLIA M., SERINO M., La “sede dell’amministrazione” nell’attribuzione di residenza

fiscale delle persone giuridiche. Criticità operative , in Fisco, 2008, n. 24, fasc. I

PENNESI M., BENIGNI C., Esterovestizione: la sede dell’amministrazione determina la

residenza fiscale, in Corr. Trib., 2012, n. 24

75

PIACENTINI V., Principi generali di tassazione: la residenza. I redditi esteri dei soggetti

residenti ed i redditi italiani dei soggetti non residenti, in Manuale di fiscalità internazionale,

DRAGONETTI A. (a cura di), Ipsoa, Milano, 2012

PISANI M., Le implicazioni penali dell’esterovestizione, in Corr. Trib., 2008, n. 31

PISTORELLI L., Quattro figure contro il contribuente infedele, in Guida al diritto, 2000

RIVIER J.M., General report, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International

Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

ROMA A., La prova dell’esterovestizione in assenza di presunzioni legali, in Fisco, 2011, n. 20,

fasc. II

RUNGE B., Germany, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal

Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

SACCHETTO C., Imposta sulle persone giuridiche, in A. AMATUCCI, Trattato di diritto

tributario, Volume IV, Cedam, Padova, 1994

SANTACROCE B., AVOLIO D., Esterovestizione e abuso del diritto: la Corte di cassazione si

pronuncia sulla “sede effettiva”, in Corr. Trib., 2013, n. 15

SANTACROCE B., AVOLIO D., Le linee guida dell’Agenzia delle entrate sull’esterovestizione,

in Corr.Trib., 2012, n. 9

SOZZA G., Spunti critici sull’esterovestizione delle società, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I

SPINOSO F., La cd. “esterovestizione societaria”: profili di incompatibilità con le Convenzioni

e con i principi di diritto comunitario, in Fiscalità internazionale, 2007

STEVANATO D., Holding statiche e accertamento della residenza fiscale italiana dell`ente

estero, in Corr. Trib., 2008, n. 12

STEVANATO D., Oggetto principale della holding e territorialità dell’imposta sulle successioni

e donazioni, in Corr. Trib., 2007, n. 29, p. 2353.

STEVANATO D., LUPI R., Oggetto principale ed interposizione ai fini della residenza fiscale

delle società esterovestite, in Dial. Dir. Trib., 2007, n. 12

TARIGO P., Il concorso di fatti imponibili nei trattati contro le doppie imposizioni, Giappichelli

Editore, Torino, 2008

THIONE M., L’esterovestizione societaria. Disciplina sostanziale e profili operativi, in Fisco,

2010, n. 4, fasc. I

THIONE M., BARGAGLI M., Esterovestizione: elusione o evasione?, in Fisco, 2013, n. 41,

fasc. I

THIONE M., BARGAGLI M., Esterovestizione e stabile organizzazione occulta: due facce

(diverse) di una stessa medaglia, in Fisco, 2012, n. 4, fasc. I

THIONE M., BARGAGLI M., Individuazione di un soggetto esterovestito e verifica fiscale.

Problematiche procedurali, in Fisco, 2011, n. 45, fasc. I

76

THIONE M., BARGAGLI M., Presunzione di esterovestizione e “reiterabilità” del meccanismo

presuntivo lungo la catena partecipativa, in Fisco, 2011, n. 18, fasc. I

TOMASSINI A., BENIGNI C., Compatibilità con il diritto comunitario delle norme

sull’esterovestizione, in Corr. Trib., 2009, n. 45

TORINO R., Diritto di stabilimento delle società e trasferimento transnazionale della sede.

Profili di diritto europeo e italiano, in Atti del seminario ‘Aspetti di interesse notarile nel diritto

dell’Unione europea, Viterbo, 2011

TOSI L., I profili penali della norma sull’esterovestizione, in BAGAROTTO E. (a cura di), La

presunzione di residenza fiscale delle società “esterovestite”, Cedam, Padova, 2008

TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, Cedam, Padova, 2007

TROIANELLO P., Lo stabilimento delle società nell’Unione Europea, Editoriale Scientifica,

Napoli, 2009

TURIS P., Incompatibili con il Trattato CE le norme fiscali discriminatorie in base al domicilio,

in Fisco, 2008, n. 7, fasc. I

VALENTE P., Delocalizzazione migrazione societaria e trasferimento sede , Ipsoa, Milano, 2014

VALENTE P., Esterovestizione e eterodirezione: equilibri(smi) tra sede di direzione e

coordinamento, direzione unitaria e sede di direzione effettiva , in Riv. Dir. Trib., 2010. n. 20

VALENTE P., Esterovestizione e residenza, Ipsoa, Milano, 2013

VALENTE P., Fiscalità sovranazionale, Il Sole-24 Ore, Milano, 2008

VALENTE P., I controlli dell’Amministrazione finanziaria in materia di residenza fiscale ed

esterovestizione, in Fisco, 2010, n. 26, fasc. I

VALENTE P., Il criterio dell’oggetto principale ai fini dell’identificazione della residenza

fiscale delle società, in Fisco, 2010, n. 28, fasc. I

VALENTE P., L’esterovestizione nella recente giurisprudenza italiana, in NEΩTEPA, 2011, II

VALENTE P., La residenza fiscale nel diritto tributario internazionale e comunitario, in

NEΩTEPA, 2009, II

VALENTE P., La residenza fiscale delle persone giuridiche nella prassi di alcuni Paesi UE ed

extra-UE, in Fisco, 2013, n. 15, fasc. I

VALENTE P., La sede di direzione effettiva nel diritto comparato, in Fisco, 2009, n. 28, fasc. I

VALENTE P., Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva in ipotesi di esterovestizione, in

Fisco, 2010, n. 27, fasc. I

VALENTE P., Residenza ed esterovestizione. Profili probatori e schema multi-test, in Fisco,

2008, n. 22, fasc. I

VALENTE P., Residenza ed esterovestizione. Profili strutturali e (dis)allineamenti tra forma e

sostanza, in Fisco, 2008, n. 20, fasc. I

VALENTE P., Residenza e società cosiddette “esterovestite”, in Fisco, 2008, n. 18, fasc. I

77

VALENTE P., Sede di direzione effettiva. La posizione dell’Unione europea, in Fisco, 2008, n.

30, fasc. I

VALENTE P., Sede di direzione effettiva: profili comunitari negli interventi della Corte di

Giustizia, in Fisco, 2008, n. 28, fasc. I

VALENTE P., MATTIA S., Esterovestizione e residenza: i gruppi italiani operanti nel settore

dell’autotrasporto, in Fisco, 2012, n. 8, fasc. I

VENEZIANI P., Elusione fiscale, esterovestizione e dichiarazione infedele , in Diritto Penale e

Processo, 2012

VIAL E., I vantaggi della doppia residenza delle società in caso di flussi transnazionali di

reddito, in Fisco, 2005, n. 33, fasc. I

VIAL E., Prime riflessioni sulla nuova presunzione di residenza delle società “esterovestite” e

rapporto con le Convenzioni internazionali, in Fisco, 2006, n. 35, fasc. I

VIOTTO A., Considerazioni di ordine sistematico sulla presunzione di residenza in Italia delle

società holding estere, in Riv. Dir. Trib., 2007, I

ZANONI S., BERTOLASO P., Regime presuntivo di localizzazione per le società

“esterovestite”. Considerazioni in ordine all’applicabilità della stretta antielusiva alle società di

persone residenti, controllate da soggetti esteri, in Fisco, 2006, n. 48, fasc. I

ZIMMERMAN S., Switzerland, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International

Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a

ZIZZO G., Reddito delle persone giuridiche (imposte sul), in Riv. Dir. Trib., 1994, I

Citazioni della Giurisprudenza:

Cass., sez. II, n. 136 del 22 Gennaio 1958

Cass., sez. III, n. 4172 del 10 Dicembre 1974

Cass., sez. I, n. 3910 del 9 Giugno 1988

Cass., sez. I, n. 1439 del 26 Febbraio 1990

Cass., sez. I, n. 10409 del 4 Ottobre 1991

Cass., sez. I, n. 9265 del 02 Settembre 1995

Cass., sez. I, n. 2700 del 26 Marzo 1997

Cass., sez. III, n. 5082 del 6 Giugno 1997

Cass., sez. II, n. 9782 del 14 Settembre 1999

Cass., sez. III, n. 12585 del 4 Dicembre 2000

Cass., sez. V, n. 31911 del 15 Marzo 2001

Cass., sez. II, n. 9884 del 08 Luglio 2002

Cass., sez. V, n. 34295 del 14 Ottobre 2002

Cass., sez. III, n. 36180 del 22 Settembre 2003

78

Cass., sez. I, n. 4306 del 23 Febbraio 2010

Cass., sez. III, n. 23425 del 10 Giugno 2011

Cass., sez. II, n. 7739 del 22 Novembre 2011

Cass., sez. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013

Cass., sez. penale, n. 1156 del 19 Aprile 2000

Cass., sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012

Cass., sez. penale, n. 7739 del 28 Febbraio 2012

Cass., sez. penale, n. 16001 del 8 Aprile 2013

Cass., sez. penale, n. 1811 del 17 Gennaio 2014

Cass., sez. un., n. 1857 del 26 Maggio 1969

Cass., sez. un., n. 35 del 15 Gennaio 2001

Comm. Trib. Centr., sez. X, n. 2419 del 5 Luglio 1994

Comm. Trib. Centr., sez. VII, n. 4992 del 10 Ottobre 1996

Comm. Trib. Prov. di Belluno, sez. I, n. 173 del 3 Dicembre 2007

Comm. Trib. Prov. di Belluno, sez. I, n. 174 del 3 Dicembre 2007

Comm. Trib. Prov. di Como, sez. I, n. 91 del 03 Luglio 2013

Comm. Trib. Prov. di Firenze, sez. XVIII, n. 93 del 25 Novembre 2006

Comm. Trib. Prov. di Firenze, sez. XVI, n. 108 del 18 Aprile 2007

Comm. Trib. Prov. di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013

Comm. Trib. Prov. di Macerata, sez. II, n. 84 del 27 Febbraio 2013

Comm. Trib. Prov. di Milano, sez. XL, n. 231 del 5 Novembre 2001

Comm. Trib. Prov. di Milano, sez. III, n. 151 del 09 Aprile 2013

Comm. Trib. Prov. di Pordenone, sez. V, n. 528 del 22 Settembre 2011

Comm. Trib. Prov. di Roma, sez. XLI, n. 1694 del 03 Febbraio 2014

Comm. Trib. Prov. di Savona, sez. VII, n. 46 del 10 Marzo 2011

Comm. Trib. Prov. di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013

Comm. Trib. Prov. di Verona, sez. IV, n. 64, del 28 Febbraio 1996

Comm. Trib. Prov. di Verona, sez. IX, n. 24 del 28 Aprile 2005

Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. XXVI, n. 96 del 9 Gennaio 2003

Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008

Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012

Comm. Trib. Reg. Umbria, sez. III, n. 152 del 01 Ottobre 2013

Corte di Giustizia UE, causa C-81/87 del 27 Settembre 1988

Corte di Giustizia UE, causa C-55/94 del 30 Novembre 1995

Corte di Giustizia UE, causa C-28/95 del 17 Luglio 1997

Corte di Giustizia UE, causa C-264/96 del 16 Luglio 1998

Corte di Giustizia UE, causa C-212/97 del 9 Marzo 1999

79

Corte di Giustizia UE, causa C-208/00 del 5 Novembre 2002

Corte di Giustizia UE, causa C-436/00 del 21 Novembre 2002

Corte di Giustizia UE, causa C-324/00 del 12 Dicembre 2002

Corte di Giustizia UE, causa C-9/02 del 11 Marzo 2004

Corte di Giustizia UE, causa C-470/04 del 7 Settembre 2006

Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12 Settembre 2006

Corte di Giustizia UE, causa C-524/04 del 13 Marzo 2007

Corte di Giustizia UE, causa C-105/07 del 17 Gennaio 2008

Corte di Giustizia UE, causa C-201/05 del 23 Aprile 2008

Tribunale di Roma del 2 Maggio 1963

Tribunale di Genova del 31 Marzo 1967

Tribunale di Milano del 17 Settembre 2013

Prassi:

Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007

Circolare dell’Agenzia delle Entrate, n. 306/E del 23 Dicembre 1996

Circolare dell’Agenzia delle Entrate, n. 28/E del 4 Agosto 2006

Circolare della Guardia di Finanza, n. 1 del 22 Dicembre 2008

Circolare Ministeriale, n. 124/E del 12 Maggio 1998

Comunicazione della Commissione europea, n. 785 del 12 Ottobre 2007

Protocollo dell’Agenzia delle Entrate, n. 39678 del 19 Marzo 2010

Relazione governativa all’art. 87, DPR 917/1986

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 9 del 17 Gennaio 2006

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 312/E del 5 Novembre 2007

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 245/E del 1 Settembre 2009