Dipartimento di Economia e Management
Corso di Laurea triennale in Amministrazione aziendale e Diritto
Tesi di laurea
Luogo di direzione effettiva e accertamento della residenza fiscale delle società
Relatore:
Prof. Michele Fiorese
Laureando:
Umberto Caruso
Anno Accademico 2013/2014
3
INTRODUZIONE ................................................................................................................... 5
1. LA RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE GIURIDICHE NEL DIRITTO NAZIONALE E
CONVENZIONALE ...................................................................................................................... 7
1.1. La definizione di residenza fiscale nella normativa nazionale ...................................... 7
1.1.1. La sede legale .............................................................................................................. 8
1.1.2. La sede dell’amministrazione ........................................................................................ 9
1.1.3. L’oggetto principale ................................................................................................... 12
1.1.4. L’elemento temporale: “per la maggior parte del periodo d’imposta” .............................. 15
1.2 La definizione di residenza fiscale secondo il diritto convenzionale e comparato ....... 16
1.2.1. Il Modello OCSE ....................................................................................................... 16
1.2.2. La residenza fiscale nel diritto di alcuni Paesi UE ed extra-UE ....................................... 19
2. PRESUNZIONE DI RESIDENZA TRA ESTEROVESTIZIONE E LIBERTÀ DI STABILIMENTO ......... 25
2.1 Esterovestizione societaria: art. 73, comma 5-bis e 5-ter, Tuir .................................... 25
2.1.1. L’inversione dell’onere della prova .............................................................................. 28
2.1.2. Definizione preventiva della fattispecie ........................................................................ 31
2.1.3. Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero ..................................................... 32
2.2 Compatibilità della presunzione di residenza con il diritto comunitario ...................... 36
2.2.1. La libertà di stabilimento ............................................................................................ 36
2.2.2. La sentenza Cadbury Schweppes .................................................................................. 38
2.2.3. Compatibilità dell’inversione dell’onere della prova con il principio della libertà di
stabilimento ........................................................................................................................ 39
3. LA PROVA DELL’ESTEROVESTIZIONE .................................................................................. 45
3.1. La presunzione legale dell’art. 73, comma 5-bis, Tuir e la prova contraria ................ 45
3.2. Le presunzioni semplici ............................................................................................. 49
3.2.1. La gravità .................................................................................................................. 49
3.1.2. La precisione ............................................................................................................. 57
3.2.3. La concordanza .......................................................................................................... 60
4. LIMITI DI UTILIZZO DEL CRITERIO DEL PLACE OF EFFECTIVE MANAGEMENT ...................... 61
4.1. Rapporti tra diritto interno e disposizioni pattizie ...................................................... 66
CONCLUSIONI .................................................................................................................... 69
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................... 71
5
INTRODUZIONE
Il presente lavoro è frutto di un’affascinante ricerca sulla residenza fiscale delle persone
giuridiche, forse uno degli argomenti più controversi nel panorama del diritto tributario
nazionale ed internazionale.
Tale problema si inserisce all’interno di un contesto economico sempre più
internazionale che, combinato al processo di globalizzazione, ha generato una maggiore
mobilità delle attività economiche non solamente nell’ambiente comunitario, ma anche
mondiale.
Se questo fenomeno nel passato era rimasto circoscritto soltanto ad imprese di grandi
dimensioni, recentemente si sta assistendo ad un’espansione del fenomeno verso la
piccola e media impresa, rappresentazione della struttura portante del nostro Paese, la
quale percepisce l’internazionalizzazione come passo obbligato al fine di ottenere nuove
possibilità di investimento e sopravvivere alla pressione dei grandi gruppi multinazionali.
Inoltre, su tale scelta non influiscono solamente valutazioni di tipo economico, come ad
esempio la vicinanza ai mercati di sbocco o il minor costo della manodopera, ma anche
fattori ambientali, come il rispetto delle regole, i tempi di pagamento, l'efficienza della
Pubblica Amministrazione ed il rapporto con il sistema bancario.
Tale interdipendenza economica internazionale se, da una parte, ha contribuito
significativamente a migliorare gli standard di vita di alcuni Paesi, dall’altra, ha
amplificato la sensibilità delle economie nazionali alle manovre di politica fiscale degli
Stati esteri, generando nei Paesi industrializzati un clima di sommaria ed affrettata lotta
all’elusione ed all’evasione fiscale, al fine di scongiurare l’impossibilità di tassare il
reddito mondiale prodotto in capo a tali contribuenti, con una conseguente massiccia
perdita di gettito tributario.
Esistono due opposti modelli di giustificazione della pretesa tributaria statale. Mentre il
principio della fonte consente al soggetto impositore di esercitare la potestà impositiva
sui redditi prodotti od esistenti nel territorio dello Stato, il principio della residenza
permette di assoggettare a tassazione i redditi ovunque prodotti nel mondo, dal soggetto
residente fiscalmente nel territorio dello Stato1.
1 La predilezione per l'uno o l'altro metodo dipende da un insieme di fattori che nella realtà si esplicano
nella tendenza all'applicazione del criterio della fonte per i Paesi importatori di capitali, in modo tale da
incentivare gli investimenti nel territorio. Al contrario, i Paesi esportatori di capitali saranno propensi ad
applicare il principio della residenza, in modo da ancorare la ricchezza del soggetto residente al territorio
dello Stato a prescindere dal luogo in questa viene prodotta.
6
Presupposto impositivo in Italia è la sussistenza di un collegamento con il nostro
ordinamento, sia esso soggettivo od oggettivo. In particolare, secondo il worldwide
principle, il concetto di residenza nello Stato determina per i residenti la soggezione
illimitata per tutti i redditi ovunque prodotti alla potestà impositiva dello Stato stesso. Per
converso, la “non residenza” determina la soggezione sui redditi strutturalmente connessi
al territorio dello Stato. Pertanto, la definizione di residenza fiscale, conducendo
all’imposizione piena, assurge a presupposto fondamentale per l'individuazione del
regime impositivo del contribuente2.
Tale concetto, pur universalmente riconosciuto nella legislazione e consolidato nella
prassi amministrativa degli Stati, nonché oggetto di occasionali e frammentarie pronunce
giurisprudenziali in ambito nazionale ed internazionale, assume particolare criticità nella
concreta applicazione.
Il primo capitolo è frutto dell’impegno volto a ripercorrere le previsioni normative
relative alla residenza fiscale delle persone giuridiche, sia in ambito nazionale che
convenzionale. Si è proceduto nel secondo capitolo con la trattazione delle problematiche
connesse all’introduzione nel nostro sistema della presunzione legale di cui al comma 5-
bis dell’art. 73 Tuir, con particolare riferimento alla compatibilità in ambito comunitario.
Nel terzo capitolo, attraverso l’analisi della prassi e della giurisprudenza, si è cercato di
esplorare quali sono gli elementi indiziari che possono attrarre la residenza fiscale in
Italia. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, si sono puntualizzati quali sono i limiti
dell’applicazione del place of effective management e le soluzioni prospettate per un
adattamento di tale principio.
2 G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova, 2012, p. 126 e P.
VALENTE, Residenza ed esterovestizione. Profili strutturali e (dis)allineamenti tra forma e sostanza, in
Fisco, 2008, n. 20, fasc. I, p. 3640
7
1. LA RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE GIURIDICHE NEL
DIRITTO NAZIONALE E CONVENZIONALE
1.1. La definizione di residenza fiscale nella normativa nazionale
Ai fini della determinazione della residenza in materia fiscale dei soggetti diversi delle
persone fisiche, gli artt. 5 e 73 Tuir individuano i criteri di collegamento fra tali enti e il
territorio italiano. In particolare, mentre l’art. 5 disciplina la residenza delle società di
persone, l’art. 73 precisa la nozione per le società di capitali e gli altri enti. Pertanto, in
riferimento ai soggetti Ires, l’art. 73, comma 3, primo periodo, dispone che:
«Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per
la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato»3.
Dalla lettura testuale della norma, si può evincere che il legislatore ha previsto tre criteri,
uno di natura formale e due di tipo sostanziale, alternativi ed equivalenti fra loro. Per tale
motivo, è sufficiente che uno solo di essi sia verificato affinché le società o gli enti
possano essere considerati fiscalmente residenti in Italia e, conseguentemente, soggetti a
imposizione diretta per i redditi ovunque prodotti nel mondo4. Tale scelta, se da un lato,
consente di individuare in sede ispettiva il criterio più idoneo sulla base
dell’osservazione concreta della realtà economica presa in esame, dall’altra, può essere
fonte, in alcuni casi, di conclusioni fuorvianti.
Prima di proseguire con l’analisi dei tre parametri - sede legale, sede
dell’amministrazione e oggetto principale - bisogna evidenziare che, come puntualizzato
dalla stessa dottrina, la residenza, di per sé, non può essere manifestazione di capacità
economica, ma rileva come “condizione obiettiva di imponibilità” di un soggetto
passivo, la cui sussistenza è data dalla norma tributaria, già ritenuta presupposto5.
3 Analogamente per le società di persone e le associazioni, l’art. 5, comma 3, lettera d) Tuir afferma che:
“si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo d’imposta
hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
L’oggetto principale è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di
scrittura privata autenticata, e in mancanza, in base all’att ività effettivamente esercitata”. 4 In tal senso la pronuncia della Comm. Trib. Centr., sez. VII, n. 4992 del 10 Ottobre 1996. Dello stesso
parere G. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Cedam, Padova, 1999, p. 94 e G. ZIZZO, Reddito
delle persone giuridiche (imposte sul), in Riv. Dir. Trib., 1994, I, p. 650. Da questa posizione si
discostano M. LEO, F. MONACCHI, M. SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, II, Giuffrè,
Milano, 1990, p. 1344, i quali sembrano prefigurare una gerarchia nell’applicazione dei suddetti principi. 5 F. NANETTI, Riflessioni in tema di “oggetto principale”, ai fini dell’art. 73, comma 3, del Tuir, in
Fisco, 2007, n. 26, fasc. I, p. 3817.
8
1.1.1. La sede legale
Il primo dei criteri adottati dall’art. 73, comma 3, Tuir è quello della sede legale. Il
riferimento alla sede legale delle società è fondato su elementi sia economici sia di fatto:
lo Stato della sede, infatti, ha un interesse primario e prevalente a tassare su base
mondiale la società che agisce entro il proprio sistema economico e, a tal fine, il criterio
formale della sede consente una più agevole individuazione. Essendo assente nel Tuir
una definizione di sede legale, la dottrina è pacificamente concorde nel rinviare
implicitamente al concetto di sede proprio del diritto internazionale privato e del diritto
civile. Pertanto, per sede legale della società o dell’ente si deve intendere, sic et
simpliciter, la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto, nel testo
concordato o fissato dalla legge al momento della costituzione dell’organizzazione , ai
sensi dell’art. 16 c.c., e in seguito annotata nel registro delle imprese, secondo quanto
dispone l’art. 33 c.c., o in quello risultante da successive modifiche6.
Tuttavia, è stato da sempre messo in risalto come la sede sociale possa non coincidere
con la sede effettiva, cioè con il luogo in cui si svolgono concretamente le attività
amministrative e di direzione dell’ente ed in cui si convocano le assemblee. Nel codice
civile, tale problema viene affrontato dal secondo comma dell’art. 46, in cui viene
specificato che nei casi in cui la sede legale sia differente da quella effettiva, i terzi
possono considerare come sede della persona giuridica quest’ultima7. Muovendo dalla
considerazione che la nozione civilistica di sede effettiva coincida sostanzialmente con
quella di sede dell’amministrazione, si ritiene che ai fini dell’art. 73, la sede legale sia
riferita esclusivamente al luogo indicato nell’atto costitutivo.
Tale disposizione presenta delle affinità, in diritto internazionale privato, con i c riteri
previsti per le società non residenti dalla L. n. 218 del 31 Maggio 1995, diretta
6
Nello specifico l’art. 16 c.c. afferma che “l' atto costitutivo e lo statuto devono contenere la
denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme
sull'ordinamento e sull'amministrazione”. L’art. 33 c.c. chiarisce che “nel registro devono indicarsi la
data dell'atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il
patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il
nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza”. In merito,
l’art. 2328 c.c. prevede che l’atto costitutivo della società deve indicare la sede della società e le eventuali
sedi secondarie. Inoltre, anche nelle comunicazioni effettuate presso gli Uffici finanziari e nel Registro
delle imprese deve essere necessariamente indicata la sede legale della società. 7 L’art. 46 c.c. sancisce che “la sede effettiva è il luogo dove l'ente svolge le attività amministrative e di
direzione, se diverso da quello della sede legale, e rileva sempre nell'ottica di tutela dei terzi, cosicché
risulterà (secondo un esempio frequente nella pratica) validamente notificato un atto presso la sede
effettiva pur diversa da quella indicata nell'atto costitutivo”. In tale direzione Cassazione, sezione penale,
n. 1156 del 19 Aprile 2000.
9
applicazione del criterio dell’incorporazione (law of incorporation), di stampo
anglosassone8. In merito, infatti, l’art. 25 della legge in questione, la cui disciplina ha
sostituito quella precedentemente contenuta nell’art. 2505 c .c., dispone al primo comma:
«le società, le associazioni, le fondazioni e ogni altro ente, pubblico o privato,
anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui
territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la
legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se si trova
l’oggetto principale di tali enti».
Secondo le disposizioni di diritto privato internazionale, dunque, laddove una società
non abbia la sede legale in Italia, potrebbe comunque essere soggetta anche alle norme
italiane se la propria sede dell’amministrazione o il proprio oggetto principale siano
comunque rinvenibili in Italia9.
1.1.2. La sede dell’amministrazione
Per sede dell’amministrazione si intende il luogo in cui viene effettivamente esercitata
la gestione amministrativa, nel senso di alta direzione dell’impresa relativa
all’assunzione delle decisioni chiave e alla determinazione delle strategie aziendali,
prescindendo sia dalla formale, ed eventualmente fittizia, attribuzione del potere di
amministrare a determinati soggetti, sia dal luogo in cui si svolgono le riunioni del
consiglio d’amministrazione10
.
In tale direzione anche la Corte di Cassazione, la quale ha ribadito la necessità di
individuare la sede amministrativa attraverso un'indagine circa la sussistenza di un
complesso di fattori che sembrano ricondurre alla nozione di sede effettiva, intesa
come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione
dell'ente e si convocano le assemblee, cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato,
per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici
8 J.M. RIVIER, General report, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 47 ss. 9
In tal senso B. ACCILI, La responsabilità penale degli amministratori di società esterovestite , in Dir.
Prat. Trib. Int., 2012, II, p. 1669 e S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, Egea, Milano, 2007, p. 43 ss..
10 In questo senso A. M. GAFFURI, Sede di direzione e sede dell'amministrazione: i presupposti della
stabile organizzazione e della residenza, in G. GAFFURI, M. SCUFFI (a cura di), Lezioni di diritto
tributario sostanziale e processuale, Edizioni del Bollettino tributario, Milano, 2009, pag. 169, per cui il
legislatore italiano ha voluto scindere l'attività direttiva da quella amministrativa per l'identificazione
della sede dell'amministrazione. La sede amministrativa è il luogo dove sono compiuti quotidianamente
gli atti gestionali e non quello da cui provengono le indicazioni di massima sugli obiettivi imprenditoriali
da raggiungere. In tale senso, anche C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, II edizione,
Ipsoa, Milano, 2008, p. 282 e la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVI,
n. 108 del 18 Aprile 2007.
10
societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività del l'ente11
. In
altri termini, riproponendo una delle espressioni utilizzate in giurisprudenza, “la sede
dell’amministrazione è il luogo dal quale provengono gli impulsi volitivi inerenti
all’attività amministrativa delle società ed enti”12
.
Di conseguenza, si giunge alla conclusione che la sede dell’amministrazione è unica e,
pertanto, non possono esistere più sedi. Ciò significa che se la sede
dell’amministrazione viene spostata, ossia se gli impulsi volitivi in cui si concretizza
l’attività amministrativa provengono in un secondo momento da una sede ubicata
all’estero, il requisito indicato non sussiste più e quindi viene a mancare, se esso era
l’unico criterio di collegamento al territorio italiano, la sottoposizione della società alla
legge stessa.
La determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica la
presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la
sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti
societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale
società13
. A tali elementi possono essere aggiunti la residenza degli amministratori, la
figura professionale di chi, come nel caso di trust company, riveste la carica
dirigenziale, e il potere di movimentare i conti correnti intestati alla società14
. Tale
11
Cass., sez. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013 e B. SANTACROCE, D. AVOLIO, Esterovestizione e abuso
del diritto: la Corte di cassazione si pronuncia sulla “sede effettiva”, in Corr. Trib., 2013, n. 15, p. 1173
ss.. Inoltre, così come sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, n. 3910 del 9 Giugno 1988,
la sede effettiva di una società non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della medesima,
oppure una persona fisica che generalmente ne cura gli interessi o è preposta ad uffici di rappresentanza,
ma si identifica con il luogo ove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell’impresa . 12
La definizione riportata è estrapolata dalla pronuncia del Tribunale di Genova del 31 Marzo 1967. Della
stessa opinione, C. GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Cedam, Padova, 1990, p. 184
e V. PIACENTINI, Principi generali di tassazione: la residenza. I redditi esteri dei soggetti residenti ed i
redditi italiani dei soggetti non residenti, in Manuale di fiscalità internazionale, A. DRAGONETTI (a
cura di), Ipsoa, Milano, 2012, p. 324. 13
Così come sostenuto da M. PARPIGLIA, M. SERINO, La “sede dell’amministrazione” nell’attribuzione di
residenza fiscale delle persone giuridiche. Criticità operative, in Fisco, 2008, n. 24, fasc. I, p. 4301, per
l’individuazione della sede dell’amministrazione bisogna prendere in considerazione il ruolo degli
amministratori che operano in concreto e non soltanto a quelli preposti all’amministrazione in via meramente
formale. In tal senso anche le sentenze della Corte di Cassazione, sez. III, n. 4172 del 10 Dicembre 1974 e della
Cassazione, sez. penale, n. 16001 del 8 Aprile 2013 e M. CERRATO, Sui confini tra esterovestizione societaria
e stabile organizzazione, in Riv. Dir. Trib., 2013, n. 6, p. 55 ss.. Nonostante l’ampia letteratura a supporto di tale
tesi, si rileva la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di di Verona, sez. IV, n. 64 del 28 Febbraio
1996, la quale non ha riconosciuto la residenza fiscale in Italia ad una società costituita all’estero in cui
l’amministratore di fatto era residente in Italia e da tale sede diffondeva i suoi impulsi volitivi. 14
Di tale opinione, G. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Cedam, Padova, 1999, p. 119 e V.
PIACENTINI, Principi generali di tassazione, cit., p. 325. Inoltre, così come descritto da C.
GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, cit., p. 283, un ulteriore problema affrontato è stato
quello inerente l’individuazione della sede dell’amministrazione nel caso in cui sia presente all’interno
della società un top management che ha il compito di attuare gli impulsi volitivi degli amministratori. In
11
impostazione, di tipo sostanziale, è stata confermata anche dall’Agenzia dell’Entrate la
quale, con la Circolare n. 28/E del 4 Agosto 2006, ha affermato che l’esistenza della
sede dell’amministrazione deve essere determinata in base ad elementi di effettività
sostanziale e richiede complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o
dell’ente con un determinato territorio, che può non corrispondere con quanto
presentato nell’atto costitutivo o nello statuto15
. Con specifico riferimento all’attività
svolta dai rappresentanti della società estera, la Commissione Tributaria Centrale ha
avuto l’opportunità di ribadire la prevalenza del requisito della sede amministrativa e
quello del centro dell’attività sociale rispetto a quello della sede legale, qualora una
società risulti con sede legale all’estero, ma abbia in Italia una sede amministrativa con
poteri di gestione indipendenti e con a capo una persona che rivesta formalmente la
qualifica di institore16
. In tal modo, è stata rilevata l'equivalenza delle discipline interna
e convenzionale in tema di elezione di residenza ai fini fiscali, individuando quale tie-
breaker rule operante anche sul piano nazionale, la localizzazione della sede effettiva.
Constatato che la sede amministrativa non deve essere confusa con il luogo formale in
cui è convocato il C.d.A., è stato comunque messo in risalto che la facilità negli
spostamenti e il progresso della tecnologia consentono di collocare l’attività di
amministrazione nel luogo più conveniente sotto il profilo fiscale, e persino di rendere
del tutto evanescente il luogo dove la stessa viene esercitata, come ad esempio nei casi
di Consigli di Amministrazione itineranti, o tenuti per videoconferenza17
.
detta ipotesi, la ricerca della sede dell’amministrazione si dovrà indirizzare al luogo in cui la società
svolge, tramite i propri top manager, la prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio
dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli
affari e i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il
raggiungimento dei fini sociali. Detto criterio, però, è ritenuto sussidiario rispetto a quello primario che si
riferisce, invece, all’attività degli amministratori, ritenendosi del tutto irrilevante il luogo della semplice
esecuzione delle delibere assembleari. In tal senso anche la sentenza della Commissione Tributaria
Provinciale di di Savona, sez. VII, n. 46 del 10 Marzo 2011 e A. ROMA, La prova dell’esterovestizione in
assenza di presunzioni legali, in Fisco, 2011, n. 20, fasc. II, p. 3223. 15
Come mostrato dalla Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007, per quanto riguarda i criteri di
individuazione della sede dell’amministrazione delle società, è stato evidenziato come il riferimento agli
uffici amministrativi deve essere effettuato in senso sostanziale, così da escludere studi professionali o
società di servizi sia quando vengono utilizzati per la mera domiciliazione della sede, ma anche quando
sono designati quali amministratori del soggetto estero. È stato messo in evidenza, infatti, che molti studi
professionali e società di servizi agiscono per diversi clienti e generalmente si limitano a svolgere
un’attività di esecuzione di decisioni assunte altrove. 16
Commissione Tributaria Centrale, sez. VII, n. 4992 del 10 ottobre 1996. 17
Così come descritto da G. MARINO, La residenza, cit., p. 109, essendo implicita dalla stessa
espressione di sede la continuità dell’attività volitiva, non è sufficiente la localizzazione spaziale di un
solo atto occasionalmente ivi riferibile, anche se proveniente dalle persone che concretamente
amministrano.
12
Nel caso di società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento, la riforma del
2003 ha introdotto la possibilità per la società madre di poter intervenire sulle altre
società del gruppo, emanando direttive vincolanti per queste ultime. In dottrina, tale
potere gestorio è stato frequentemente ricondotto, non essendo sottoposto ad ulteriore
sindacato da parte di organi esecutivi, al potere degli amministratori, soprattutto in
termini qualitativi. Dato il consenso nella migliore dottrina, si può affermare che, nei
casi in cui l’attività di direzione e coordinamento si traduca in una cessione delle
prerogative amministrative a favore della società capogruppo, la sede
dell’amministrazione della società sottoposta coincida con la sede della controllante o
con il luogo nel quale l’organo decisionale di quest’ultima esercita stabilmente le sue
funzioni. Tale impostazione può assumere varie gradazioni, a seconda dell’influenza
esercitata dalla capogruppo. Infatti, fintantoché la maggior parte delle competenze è in
capo agli amministratori della società sottoposta, è difficile trovarsi nel caso in cui vi
sia traslazione della sede dell’amministrazione nello Stato della controllante, pur in
presenza di direttive che, tuttavia, non eccedano la normale pianificazione strategica
del gruppo18
. Tale problematica potrebbe essere risolta in due maniere, in relazione al
fatto che possa essere considerato:
a) il livello superiore, ossia quello del controllo, e quindi dei soci, con il rischio di una
sovrapposizione di piani soggettivi distinti;
b) il livello inferiore, ossia quello della gestione operativa, con il rischio di un
appiattimento del criterio dell’oggetto principale19
.
In conclusione, ritenendo che la sede dell’amministrazione è il luogo in cui è fissata la
sede centrale di direzione, controllo ed impulso della complessa e variegata attività
economica sociale, indipendentemente dai risvolti meramente gestionali ed attuativi ,
seppur di vertice, risulta complessa la sua individuazione, allorché la fattispecie
concreta è composta da un insieme di elementi spesso non tutti convergenti.
1.1.3. L’oggetto principale
Per quanto concerne il criterio dell’oggetto principale, che dovrebbe trovare
applicazione soltanto nel caso in cui la sede legale o amministrativa non siano in Italia
per la maggior parte del periodo d’imposta, l’art. 73, co. 4, Tuir lo definisce quale
18
In tale direzione la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di di Firenze, sez. XXV, n. 61
del 18 Gennaio 2008. 19
G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Cedam, Padova, 2010, p. 268.
13
“l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge,
dall’atto costitutivo o dallo statuto”20
. Se gli atti indicati prevedono lo svolgimento di
più attività, di cui alcune non commerciali, si deve fare riferimento all’attività che
risulta essere essenziale, vale a dire quella che consente il raggiungimento degli scopi
primari e che tipicizza l’ente medesimo21
. Inoltre, in mancanza dell’atto costitutivo o
dello statuto nelle forme di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata,
l’oggetto principale della società o dell’ente residente è determinato in base all’effettiva
attività svolta nel territorio22
.
La dottrina prevalente, esprimendosi sulla portata di tale disposizione, riconosce che, ai
fini della localizzazione dell’oggetto principale, deve essere presa in considerazione non
solo l’attività prevista a livello statutario, ma, come per la sede dell’amministrazione, si
deve fare riferimento al carattere sostanziale dell’attività stessa, avendo riguardo, quindi,
all’attività effettivamente esercitata23
. Ciò comporta necessariamente un accertamento di
fatto circa gli aspetti quantitativi e, soprattutto, qualitativi, afferenti lo svolgimento
dell'attività tipica, il che non potrà ricondursi alla semplice localizzazione dei beni
attraverso cui l'attività viene esercitata24
. Dunque, risulterebbe erroneo identificare il
luogo di svolgimento dell’oggetto sociale o principale nel luogo in cui si esplica
materialmente l’attività caratteristica della società, dovendosi esso identificare, invece,
nel luogo in cui si concretizza l’attività posta in essere dagli amministratori per realizzare
gli scopi indicati nell’atto costitutivo25
. Di conseguenza, ai fini dell’individuazione
20 Tale obbligo è contenuto per le S.p.A. nell’art. 2328, co. 3, n. 3) c.c., e per le S.r.l. nell’art. 2463 c.c.. 21
Circolare Ministeriale n. 124/E del 12 Maggio 1998. In giurisprudenza, Tribunale di Roma del 2 Maggio
1963, e Cass., sez. un., n. 1857 del 26 Maggio 1969.
22 Con l’oggetto principale dell’impresa, di cui all’art . 2505 c.c., si era voluto sottolineare l’importanza
della connessione con il territorio dello Stato, oltre che dell’attività amministrativa, come attività di
propulsione della società, anche dell’attività concreta che la socie tà svolge nel mondo economico.
Tuttavia, con l’abrogazione di tale articolo, ad opera dell’art. 25 L. n. 218/1995 il quadro sembra essere
rimasto quasi inalterato. In tale direzione anche C. SACCHETTO, Imposta sulle persone giuridiche, in A.
AMATUCCI, Trattato di diritto tributario, Volume IV, Cedam, Padova, 1994, p. 88. 23
In tal senso la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la sentenza della Corte
di Cassazione, sez. I, n. 10409 del 4 Ottobre 1991. 24
Sulla prevalenza del dato formale sul sostanziale ai fini della individuazione dell'oggetto sociale merita
menzione l'interpretazione data da F. NANETTI, Riflessioni in tema di oggetto principale, cit., p. 3810 e
ss., secondo cui deve essere dato rilievo al radicamento economico prevalente del soggetto nel territorio
dello Stato, indipendentemente sia dalla sede legale, sia dall'assunzione di decisioni di alta
amministrazione. In tal senso, il radicamento economico deve consistere nello svolgimento di un'attività e
non può limitarsi al possesso di beni.
25 In tale direzione, anche la Circolare della Guardia di Finanza, n. 1 del 22 Dicembre 2008, la quale
precisa che trattandosi di una definizione estremamente ampia, è necessario prendere in considerazione lo
svolgimento dell’attività per il cui esercizio la società è stata co stituita, nonché gli atti produttivi e
negoziali ed i rapporti economici che la stessa pone in essere con terzi, distinguendo così tali atti di
gestione da quelli concernenti l’attività amministrativa della società.
14
dell’oggetto principale dell’attività dovrà farsi riferimento a dati concreti, materialmente
riscontrabili, quali, ad esempio: la localizzazione degli investimenti, la sede degli
impianti produttivi e/o di stoccaggio, la sede degli uffici ove si svolgono le funzioni
amministrativo-contabili26
.
La dottrina civilistica ha da tempo stigmatizzato l’uso infelice di questa espressione,
mettendo in evidenza che l’oggetto indica propriamente “lo scopo della società, che non
può essere localizzato nello spazio”27
. Sempre in dottrina, è stato affermato che qualora
una parte dell’oggetto sia perseguita all’estero e una parte in Italia, si tratta di giudicare
la prevalenza quantitativa dell’esplicazione dell’attività sociale , fermo restando che non
è possibile indicare a priori quale elemento sia da ritenere come prevalente, se la
quantità di affari o di produzione degli stabilimenti sociali, oppure l’importanza in
termini di valore dei medesimi28
. Se la parte dell’oggetto perseguita nel territorio
italiano è prevalente rispetto a ciascuna attività estera, ma non prevalente rispetto
all’insieme delle attività svolte negli altri Paesi sommata insieme, la dottrina ritiene che
la prevalenza relativa sia sufficiente a ritenere esistente l’oggetto principale in Italia .
Alla luce di quanto esposto, i requisiti che potrebbero consentire di considerare
residente una società priva di sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato,
possono essere i seguenti:
a) con riferimento all’atto costitutivo: principalità delle attività svolte in Italia rispetto
alle attività svolte al di fuori del territorio italiano;
b) in assenza di indicazioni nell’atto costitutivo: principalità in base ad un’analisi
sostanziale delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte al di fuori del
territorio italiano;
c) mantenimento di tale principalità per la maggior parte del periodo di imposta.
26
Di tale opinione la sentenza Corte di Cassazione, sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012 e P.
VALENTE, Il criterio dell’oggetto principale ai fini dell’identificazione della residenza fiscale delle
società, in Fisco, 2010, n. 28, fasc. n. 1, p. 4468 ss.. Inoltre, così come esposto da G. MELIS, Il
trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi , Giuffrè, Milano, 2009, p. 241, i
parametri quantitativi potrebbero essere, ad esempio, il fatturato lordo, il valore delle attività localizzate e
il numero di dipendenti in ciascuno Stato. 27
R. BAGGIO, Il principio di territorialità e limiti alla potestà tributaria, Giuffrè, Milano, 2009, p. 315. 28
In tal senso A. M. GAFFURI, La tassazione dei redditi prodotti all’estero, Giuffrè, Milano, 2008, p.
162 ss., secondo cui la scelta di ricondurre l’oggetto principale al fatturato non è ammissibile anche
perché, valorizzando unicamente le operazioni di vendita, si finisce per trascurare che tali operazioni
rappresentano, invece, soltanto la fase conclusiva di un processo ben p iù articolato (cd. catena del valore),
costituito da una serie di funzioni tutte ugualmente indispensabili per il conseguimento dell’oggetto
sociale. Come per altro riconosciuto da tempo in giurisprudenza, l’attività di impresa non può essere
identificata con i singoli affari essendo, al contrario “un complesso di atti diretti ad un fine” che richiede
un quid pluris rispetto allo svolgimento di una serie di operazioni commerciali (Cass. , sez. I, n. 1439 del
26 Febbraio).
15
1.1.4. L’elemento temporale: “per la maggior parte del periodo d’imposta”
Analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, per verificare il momento di
acquisizione della residenza fiscale di una società, al fine di contrastare eventuali
manovre elusive derivanti da cambi fittizi di sede, è opportuno definire il concetto di
periodo d’imposta, tenendo presente che vanno considerate residenti le società e gli enti
che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato29
.
Generalmente, salve specifiche previsioni legislative, la durata degli esercizi sociali
prevista negli atti costitutivi di società redatti in Italia è fissata in dodici mesi, che
possono coincidere o meno con l’anno solare; ne consegue che il periodo d’imposta si
estende a una fase temporale di dodici mesi30
. Poiché non sono indicati sub-criteri in base
ai quali identificare il significato dell’espressione della “maggior parte del periodo
d’imposta”, ne consegue, in analogia a quanto avviene per le persone fisiche, l’acquisto
della residenza in Italia può dirsi pienamente compiuto da parte delle società quando la
sede legale o amministrativa permanga nel territorio dello Stato per la maggior parte del
periodo d’imposta e, quindi, per un termine minimo di 183 giorni l'anno31
. Ciò vale anche
nelle ipotesi di trasferimento di sede in Italia, nel presupposto che il periodo d’imposta
della società, che opera la variazione della sede, abbia durata di dodici mesi. Pertanto, nel
caso in cui la società abbia trasferito la sede successivamente al 183° giorno dell’anno,
non potrà considerarsi residente in Italia, in quanto per la maggior parte del periodo
d’imposta non ha avuto nel territorio dello Stato italiano la sede legale ovvero
amministrativa, nonché l’oggetto principale32
.
29
Come mostra la Relazione Governativa all’art. 87, DPR 917/1986 “l’introduzione di tale previsione
normativa, che ha subito notevoli critiche, è finalizzata a colmare una lacuna della normativa a causa
della mancanza di un criterio temporale per accertare la sussistenza della condizione di residenza”. 30
Al riguardo si ricorda che l’art. 76, comma 2, Tuir sancisce che “ il periodo di imposta è costituito
dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto
costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinato dalla legge o dall’atto
costitutivo o è determinata in due o più anni il periodo di imposta è costituito dall’anno solare ”. 31
Relativamente all’elemento temporale, così come affermato da S. CAPOLUPO, D.L. n. 223/2006. La
presunzione di residenza in Italia, in Fisco, 2006, n. 33, fasc. I, p. 5070, ai fini del calcolo della
sussistenza dei requisiti sembrerebbe possibile sommare anche più frazioni di anno ancorché tra di loro
discontinue. Di tale opinione anche F. CARRICOLO, Il trasferimento all’estero della sede di società e in
Italia della sede di società estera, in Fisco, 2009, n. 48, fasc. I, p. 7912 ss.. Inoltre, nel caso si tratti di
anno bisestile, il termine minimo è fissato in 184 giorni. 32 Così come illustrato da P. VALENTE, Delocalizzazione migrazione societaria e trasferimento sede ,
Ipsoa, 2014, p. 4, nell’ipotesi di trasferimento, nel corso del periodo d’imposta, della sed e legale in Italia
dall’estero, o viceversa, al fine di determinare il Paese di residenza della società o dell’ente occorre
assumere, così come mostrato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 9 del 17 Gennaio 2006,
16
1.2 La definizione di residenza fiscale secondo il diritto convenzionale e comparato
In ambito internazionale può accadere che, adattando quasi tutti i Paesi ad economia
avanzata il criterio della tassazione dei redditi su base mondiale per i soggetti residenti
(cd. worldwide taxation principle), e quello della territorialità per i non residenti, più
Stati affermino contestualmente la residenza fiscale di una società nel proprio territorio,
facendo emergere fenomeni di doppia tassazione internazionale33
. Pertanto, i trattati
stipulati tra gli Stati stessi, servono a prevenire il verificarsi di casi di doppia
imposizione, dovuti all’utilizzo di diversi criteri da parte di due Paesi interessati,
mediante l’adozione di speciali principi per la determinazione della residenza34
.
1.2.1. Il Modello OCSE
Gran parte delle limitazioni all’esercizio della potestà tributaria dei singoli Stati deriva
dai trattati contro le doppie imposizioni, tendenzialmente stipulati in osservanza delle
indicazioni contenute nel Modello OCSE35
. Tale Modello fornisce all'art. 4 alcuni criteri
utili per la determinazione della residenza. Il primo paragrafo afferma che:
«si considera residente di uno Stato contraente ogni persona o società che
in virtù delle norme di tale Stato è assoggettato a imposta nello stesso Stato
in ragione del suo domicilio, residenza, sede effettiva o altro criterio
similare»36
.
L'art. 4, paragrafo 3, regola il problema della doppia residenza di una società,
stabilendo che:
«Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an
individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be
a resident only of the State in which its place of effective management is
situated».
quale data di trasferimento, quella giudicata rilevante ai fini fiscali dall’ordinamento tributario di
provenienza. 33
S. ZANONI, P. BERTOLASO, Regime presuntivo di localizzazione per le società “esterovestite”.
Considerazioni in ordine all’applicabilità della stretta antielusiva alle società di persone residenti,
controllate da soggetti esteri, in Fisco, 2006, n. 48, fasc. I, p. 7366 ss..
34 L. TOSI, R.BAGGIO, Lineamenti di diritto tributario internazionale, Cedam, Padova, 2007, p. 38.
35 L’obiettivo delle convenzioni stipulate dagli Stati è la rimozione o la limitazione dell’onere della doppia
imposizione (generalmente di tipo giuridico), ma anche l’eliminazione della tassazione discriminatoria e
la collaborazione tra amministrazioni finanziarie per contrastare l’evasione internazionale e interna,
ovvero frodi e comportamenti elusivi a livello internazionale. 36
Così come mostrato da G. COPPOLA, A. POMPILI, La residenza fiscale nella normativa
convenzionale, in Fisco, 2006, n. 33, fasc. I, p. 5110, l’unico limite posto dalla Convenzione pare essere
che i criteri di definizione della residenza stabiliti dalle norme nazionali debbano comunque essere idonei
ad esprimere un effettivo collegamento con lo Stato.
17
Diversamente dalle tie-breaker rules applicabili per le persone fisiche, se una società è
residente in entrambi gli Stati contraenti, si ha a disposizione un solo test che si riferisce
alla sede di direzione effettiva. In tal modo, in luogo del criterio formale della
costituzione (law of incorporation), si è preferito privilegiare il criterio sostanziale del
place of effective management. Tuttavia, quest’ultimo criterio non è stato definito in
maniera autonoma dalla Convenzione, ma mantiene il significato ad esso attribuito dalla
legislazione interna degli Stati contraenti, con la conseguenza che una norma di
risoluzione dei conflitti può risolversi in un conflitto di interpretazione unilateralmente
attribuite ad essa dagli Stati interessati. Pertanto, pare vi sia coincidenza tra la nozione di
sede di direzione effettiva e quella di sede dell’amministrazione, propria del diritto
interno italiano37
. In merito alla portata della locuzione utilizzata dal Modello OCSE, il
paragrafo 23 dell’art. 4 attribuisce prevalenza al luogo dove si concentra l’effettiva
direzione strategica dell’impresa, cioè il vero e proprio centro decisionale , in cui vengono
adottate le più importanti scelte relative alla gestione della società e allo svolgimento
dell’attività d’impresa. Prima della modifica occorsa nel Luglio 2008, tale concetto
veniva illustrato nel punto 24 del Commentario all’art. 4, in cui si chiariva che la sede di
direzione effettiva rappresenta il luogo dove le persone che svolgono le funzioni di rango
più elevato prendono le loro decisioni. Lo stesso Commentario rilevava come non fosse
possibile stabilire una regola precisa per determinare la sede di direzione effettiva, per
cui riteneva necessario analizzare tutti i fatti e le circostanze rilevanti.
Con la modifica del Commentario avvenuta nel 2008, il nuovo paragrafo 24.1 precisa
che, vista la scarsa frequenza di casi di doppia residenza delle persone giuridiche, gli
Stati dovrebbero procedere singolarmente all’esame e alla relativa risoluzione case-by-
case38
. In altre parole, le modifiche al Commentario OCSE introdotte nel 2008 hanno
37
Coerentemente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la risalente sentenza , sez. II, n. 136
del 22 Gennaio 1958, la sede effettiva della società deve considerarsi come “ il luogo in cui la società
svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio d’impresa, cioè il centro
effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori
dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali ”. In
tal senso anche S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, cit., 2007, p. 61 e P. VALENTE, S. MATTIA,
Esterovestizione e residenza: i gruppi italiani operanti nel settore dell’autotrasporto, in Fisco, 2012, n. 8,
fasc. I, p. 1155 ss.. 38
Tali Stati hanno, altresì, la facoltà di attribuire alle autorità competenti il compito di risolvere la
questione della residenza delle persone giuridiche, mediante una previsione alternativa del seguente
tenore: “Laddove, ai sensi del paragrafo 1, una persona giuridica risieda in entrambi gli Stati contraenti,
le autorità competenti di tali Stati potranno determinare di comune accordo in quale dei due Stati la
persona giuridica dovrà ritenersi residente, ponendo attenzione alla sede della direzione effettiva, al
luogo di costituzione ovvero ad ogni altro fattore rilevante. In assenza di accordo, la persona giuridica
18
eliminato il riferimento al place of effective management come al luogo in cui i vertici
della società assumono le loro decisioni, pur mantenendo un riferimento generico al
luogo in cui sono assunte le decisioni fondamentali per l’attività dell’impresa, lasciando,
pertanto, alle Amministrazioni Finanziarie degli Stati contraenti la più ampia
discrezionalità sul tema39
. Di conseguenza, il place of effective management coincide con
il luogo ove il top management di fatto esercita i poteri mediante i quali influenza il
corso normale dell’attività di business, e non nel luogo in cui le decisioni relative al day-
to-day management sono adottate. Ne deriva che una società può avere più centri di
impulso direzionale ma un’unica sede di direzione effettiva40
. Inoltre, non può
qualificarsi come place of effective management il luogo nel quale si svolge
semplicemente una mera attività di supervisione del business, come ad esempio nel caso
in cui vi sia ingerenza da parte dell’azionista di maggioranza, il quale interviene in modo
regolare nella normale attività dell’impresa. A tal fine, non è decisivo il luogo ove
vengono messe in pratica tali decisioni, ma piuttosto il luogo in cui esse vengono
assunte41
.
L’Italia, in linea con il criterio dell’oggetto principale, ex art. 73 comma 3 Tuir, ha
formulato una riserva formale al paragrafo 24, sostenendo che, non essendo il criterio
proposto l’unico ammissibile, nel determinare la sede di direzione effettiva debba essere
preso in considerazione anche il luogo in cui viene esercitata l’attività principale e
sostanziale42
.
non ha diritto ad alcuna esenzione fiscale, se non nei limiti concordati tra le autorità competenti degli
Stati contraenti”. 39
A seguito delle modifiche del 2008, per determinare la residenza, le autorità competenti dovranno tener
conto, a titolo esemplificativo e non esaustivo, dei seguenti fattori:
a) il luogo ove si svolgono le riunioni del consiglio di amministrazione;
b) il luogo in cui il CEO e gli altri senior executives usualmente svolgono le loro funzioni;
c) il luogo del day-to-day management;
d) il luogo in cui si trova l’headquarter;
e) la legislazione applicabile;
f) il luogo in cui è tenuta la contabilità. 40
Di tale opinione G. NOVARA, Residenza di enti e società nell’imposizione personale sui redditi, in
Boll. Trib., 1990, p. 14 ss., il quale afferma che le sedi di direzioni, riguardando singoli settori d’attività
d’impresa possono essere localizzate in luoghi diversi, mentre la sede di direzione effettiva è quella nella
quale si svolge la direzione globale e unitaria dell’impresa. 41
In tale direzione P. VALENTE, Delocalizzazione, cit., p. 8, e W.G. KUIPER, I trattati fiscali contro le
doppie imposizioni, in Manuale di fiscalità internazionale, A. DRAGONETTI (a cura di), Ipsoa, Milano,
2012, p. 72. 42
E. VIAL, I vantaggi della doppia residenza delle società in caso di flussi transnazionali di reddito, in
Fisco, 2005, n. 33, fasc. I, p. 5178 ss.. In tal senso anche la Circolare dell’Agenzia dell’Entrate, n. 28/E
del 4 Agosto 2006.
19
L’art. 4, a causa dell’utilizzo del metodo del rinvio come criterio base e di una tie-
breaker rule come metodo della risoluzione dei conflitti, implica che una società possa
essere considerata residente ai fini fiscali dalle legislazioni interne di entrambi gli Stati
contraenti nel caso che esse adottino criteri di collegamento diversi. Si tratta, in questo
caso, di una società con doppia residenza fiscale (cd. dual resident company)43
.
L’attribuzione della residenza esclusiva vale, quindi, solo nell’ambito della Convenzione,
che, essendo bilaterale, regola solo i rapporti tra gli Stati contraenti . Alla luce di tali
considerazioni, ci si potrebbe chiedere se non sia più corretto utilizzare il place of
effective management come criterio residuale anziché primario, nell’ipotesi in cui vi sia
conflitto di attribuzione della residenza tra più Stati, in cui l’impresa svolge la propria
attività principale44
.
1.2.2. La residenza fiscale nel diritto di alcuni Paesi UE ed extra-UE
In ambito internazionale, le problematiche di maggior rilievo sorgono a causa di possibili
difformità nei criteri di collegamento adottati dagli Stati, per individuare la legge che
regola il funzionamento di una società, tra cui il luogo dell’incorporazione o della sede
reale.
La teoria dell’incorporazione, di origine anglosassone, consiste nella determinaz ione
dello statuto personale della società in base alla legge dello Stato in cui la società è stata
originariamente costituita, a prescindere dalla sede effettiva. Anche se protendere per il
criterio dell’incorporazione è, in realtà, una scelta politica legislativa ispirata dal
desiderio di attrarre gli investimenti stranieri, in astratto, tale scelta comporta il rischio di
diminuire la tutela di coloro che nel Paese di destinazione entrano in contatto con una
società straniera, in quanto quest’ultima non è obbligata a rispettare tutte le disposizioni
nazionali a garanzia di terzi. Dall’altra parte, tale teoria può facilitare la creazione di
mere letter box companies aventi carattere elusivo, cioè società formalmente costituite in
un Paese con il quale non hanno alcun legame e operanti esclusivamente in un altro Stato
43
Tale fattispecie, inoltre, può essere determinata dalla mancanza di un’univoca interpretazione, anche in
sede OCSE, del concetto di place of effective management. 44
Di tale opinione G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires: giurisprudenza e normativa
convenzionale, in Corr. Trib., 2008, n. 45, p. 3648 ss., P. VALENTE, Esterovestizione e residenza, Ipsoa,
Milano, 2013, p. 3 ss., e G. MOSCHETTI, Origine storica, significato e limiti di utilizzo del place of
effective management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia residenza delle persone giuridiche, in
Dir. Prat. Trib., 2010, n. 2, p. 224 ss..
20
tramite una succursale45
. Tale criterio è seguito prevalentemente dagli Stati di
derivazione anglosassone - Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda - ai quali si
aggiungono Paesi extra-Ue, come Brasile, Corea, India e Hong Kong, e la maggior parte
degli Stati nordeuropei, tra cui Irlanda, Svezia e Finlandia.
Secondo la legge britannica, la società si considera residente nel Regno Unito se è stata
costituita nel territorio dello Stato ovvero se ivi presente la sua sede centrale di controllo
e gestione, cd. central management and control, che viene ricondotta alla collocazione
operativa degli amministratori piuttosto che alla residenza dei soci46
.
Gli Stati Uniti, alla stregua dell’espressione contenuta nell’Internal Revenue Code “any
corporation created or organized in the United States or under the law of the United
States or of any State”, adottano tale criterio in modo molto più stringente47
.
Una società è considerata residente in Canada, o se ivi costituita, o se in tale Paese è
collocato il suo central management and control, non rilevando, alla stregua di ciò che
avviene in Inghilterra, il luogo di residenza degli azionisti. Inoltre, il Canada e gli Stati
Uniti hanno formulato un’osservazione all’art. 4 del Modello OCSE, ritenendo che il
place of incorporation sia il criterio da utilizzare per determinare la residenza fiscale di
una società48
. La legge della Nuova Zelanda prevede che una società è fiscalmente
residente nel Paese se ivi presente la sede principale, inteso come il centre of
administrative management.
Di convesso, alcuni Stati, come ad esempio l’Australia e la Svezia considerano come
elementi determinanti ai fini fiscali la nazionalità della maggior parte degli azionisti o il
loro luogo di residenza. La legislazione fiscale svedese non definisce specificatamente il
concetto di residenza delle società, ma opera una presunzione per la quale se una società
è annotata presso il registro del commercio svedese, essa si considera residente in Svezia.
In modo speculare, l’Amministrazione finanziaria australiana ha chiarito che
l’identificazione del central management and control richiede una preventiva indagine
sui soggetti, la tempistica e la collocazione geografica proprio delle procedure decisionali
di tipo strategico della società.
45
P. TROIANELLO, Lo stabilimento delle società nell’Unione Europea, Ed. Scientifica, Napoli, 2009, p.
85. 46
B.M. JEFFCOTE, United Kingdom, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles,
1987, Vol. 72a, p. 503 e C. PANAYI, United Kingdom, in G. MAISTO, Residence of Companies under
Tax Treaties and EC Law, IBFD, Amsterdam, 2009, p. 315. 47
C. D’AVINO, United States, in Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987,
Vol. 72a, p. 299. 48
K. BROOKS, Canada, in G. MAISTO, Residence of Companies under Tax Treaties and EC Law , IBFD,
Amsterdam, 2009, p. 187.
21
La teoria della sede effettiva, sorta in Francia verso la metà del XIX secolo, presuppone
che il luogo di ubicazione della sede effettiva determini la legge applicabile alla società,
in quanto lo Stato ove essa opera sembra essere il principale interessato alla vita
economica dell’ente stesso. L’applicazione di tale criterio, tuttavia, può comportare non
pochi problemi di compatibilità con il diritto comunitario, in quanto causa notevole
incertezza giuridica nonché possibile disparità di trattamento. Molti Paesi industrializzati
adottano tale criterio tra cui in Europa Belgio, Svizzera, Germania, Austria, Francia,
Grecia e Lussemburgo, e al di fuori del Vecchio Continente Sud Africa, Cina, Giappone
ed Israele49
.
La legge belga definisce la sede della società come “il luogo dal quale sono emanati gli
impulsi volitivi, e dove sono collocate l’amministrazione centrale e la direzione effettiva
della società”. In tale ottica, la sede reale prevale sulla sede statutaria, nel caso in cui
queste due non corrispondano50
.
Per la legislazione svizzera, una persona giuridica è considerata residente in Svizzera ai
fini fiscali se ivi trova il suo registred office o il suo luogo di direzione effettiva.
Secondo il Federal Direct Tax Harmonization, il luogo della direzione effettiva si trova
dove l’attività della società viene svolta e “where important company decisions are
taken”. Secondo l’interpretazione della Corte federale, esso coincide in generale con il
luogo in cui “the centre of gravity of the business direction is located”51
.
Nell’Europa continentale, la legge più spesso fa riferimento al concetto di place of
management, poi interpretato dalle rispettive Amministrazioni quale sede decisionale
vicina al luogo di esercizio dell’attività d’impresa, piuttosto che quale luogo di esercizio
delle scelte strategiche a medio-lungo termine, con un abbassamento, dunque, della
collocazione gerarchica rilevante per l’individuazione della residenza fiscale. È il caso
delle leggi austriache e tedesche, secondo cui la sede amministrativa è il luogo dove
vengono compiute, a scadenza regolare le scelte cruciali da parte del Geschäftsleitung per
la conduzione continuativa dell’impresa52
.
49
J.M. RIVIER, General report, op. cit., p. 51. 50
H. LEVY MORELLE, Belgium, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 231. 51
S. ZIMMERMAN, Switzerland, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 543. 52
W. GASSNER, Austria, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 217 e B. RUNGE, Germany, in The fiscal residence of
companies, Cahier dell’International Fiscal Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 161.
22
L’amministrazione finanziaria francese distingue tra società con sede in Francia o al di
fuori del territorio francese ed a tal proposito, solo la sede effettiva, che non può essere
una siège fictif, deve essere presa in considerazione53
.
In Sud Africa, il South Africa Revenue Service, ritenendo che la direzione effettiva si
esprima nella gestione quotidiana e regolare di un’impresa piuttosto che nel compimento
di scelte strategiche, che richiedono l’integrazione ovvero l’esecuzione da parte di altri
organi, rileva che per effective management bisogna intendere il day-to-day management
della società da parte del senior management. La giurisprudenza sudafricana ha
evidenziato come una società non possa essere considerata residente in Sud Africa per il
semplice fatto di essere ivi costituita54
.
Ai fini della determinazione del place of actual management, l’Amministrazione
finanziaria cinese, in applicazione del principio del substance over form, precisa che una
società estera è considerata residente in Cina se le più importanti decisioni relative alla
gestione della società da parte del senior management, responsabile dell’attività day-to-
day della società, sono adottati da soggetti situati in Cina, ed almeno metà degli
amministratori, aventi diritto di voto, sono ivi residenti55
.
In Giappone, una società registrata in un altro Stato può essere soggetto a imposizione
fiscale nel momento in cui il suo head office è registrato in tale Stato. Viceversa, in
Israele, così come avviene in Italia con l’oggetto principale, una società che è registrata e
ha la sua attività principale nel Paese è considerata residente ai fini fiscali.
Inoltre, un numero ristretto di nazioni, specialmente nel Sud America, associano la
residenza della società al domicilio delle persone fisiche. Per esempio in Argentina, le
società sono residenti nel luogo in cui sono eseguite le principali funzioni di
amministrazione e management. Inoltre, la legge argentina presume che la società è
domiciliata nel luogo in cui è registrata la propria sede.
La Norvegia è uno dei pochi Paesi in cui il criterio dell’incorporazione e quello del
central management esistono simultaneamente, in quanto una società è soggetta ad
imposizione in tale Stato solo se è registrata sotto la legge norvegese, ma può soddisfare
tale criterio soltanto se il place of effective management è in tale Paese.
53
J.F. BLOUET, France, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 321. 54
P. VALENTE, La sede di direzione effettiva nel diritto comparato, in Fisco, 2009, n. 28, fasc. I, p.
4601. 55
P. VALENTE, La residenza fiscale delle persone giuridiche nella prassi di alcuni Paesi UE ed extra-
UE, in Fisco, 2013, n. 15, fasc. I, p. 2259.
23
La normativa fiscale olandese, determinando la residenza fiscale in base alle circostanze,
sembra essere particolarmente sviluppata e in vari casi anticipa i cambiamenti che la
comunità fiscale internazionale si attende emergano a fronte delle spinte ad una più
estesa ed effettiva trasparenza fiscale internazionale. In tal senso, le Autorità fiscali
olandesi hanno predisposto una utile check list, contenente alcune condizioni sostanziali
per il controllo della residenza fiscale effettiva nel Paese. Tale check list, pur essendo più
restrittiva delle linee guida OCSE, ha il merito di aver individuato parametri oggettivi e
agevolmente riscontrabili, quali:
a) la residenza nel Paese di almeno il 50% degli amministratori con poteri gestionali;
b) gli amministratori residenti devono possedere adeguata professionalità ed
esperienze per gestire l’attività aziendale. Inoltre, devono valutare, decidere ed
agire in modo indipendente e gestire la corretta esecuzione delle operazioni
realizzate dalla società56
;
c) la società deve disporre di personale con adeguata esperienza e professionalità per
gestire la corretta esecuzione delle operazioni;
d) in relazione alle attività esercitate la società affronta un adeguato livello di rischio
d’impresa, disponendo di un capitale adeguato al rischio dell’attività esercitata;
e) la società non è stata accertata residente fiscale dalle Autorità fiscali di un altro
Paese;
f) le condizioni di residenza fiscale devono essere presenti durante l’anno fiscale.
Inoltre, devono essere presi in considerazione i luoghi in cui:
1) vengono prese le decisioni del Consiglio d’Amministrazione57
;
2) sono tenuti i principali conti correnti della società;
3) è gestita la contabilità;
4) è registrata la sede operativa58
.
56
È comunque accettabile che le strategie aziendali possano soggiacere alle più generali linee strategiche
del gruppo societario di riferimento. 57
A tale riguardo, è importante documentare il processo decisionale dalla sua fase iniziale, alla
valutazione e alla definizione delle decisioni, anche, ma non necessariamente, solo attraverso i verbali
delle riunioni consiliari. 58
K. NAUTA, Netherlands, in The fiscal residence of companies, Cahier dell’International Fiscal
Association (I.F.A.), Bruxelles, 1987, Vol. 72a, p. 439.
25
2. PRESUNZIONE DI RESIDENZA TRA ESTEROVESTIZIONE E
LIBERTÀ DI STABILIMENTO
2.1 Esterovestizione societaria: art. 73, comma 5-bis e 5-ter, Tuir
Con l’introduzione nell’art. 73 Tuir dei commi 5-bis e 5-ter, avvenuta ad opera dell’art.
35, comma 13, del D.L. n. 223 del 4 Luglio 2006, convertito nella L. n. 248 del 4 Agosto
2006, si è stabilito che, salvo prova contraria, una società localizzata all’estero si
considera residente in Italia, in quanto vi sarebbe la sede dell’amministrazione, qualora
detenga una partecipazione di controllo in una società o ente commerciale residente in
Italia e se, contemporaneamente, soddisfi una delle seguenti condizioni:
1) sia controllata, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma,
del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato59
;
2) sia amministrata da un consiglio di amministrazione, o altro organo di gestione
equivalente, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello
Stato60
.
La disposizione contenuta nel comma 5-bis dell’art. 73 Tuir si applica al solo controllo
attivo diretto operato dalla legal entity estera nei confronti di un soggetto residente in
Italia. In tale ottica, il meccanismo presuntivo può scattare esclusivamente nei confronti
delle società estere:
a) che controllano direttamente soggetti residenti in Italia (controllo attivo diretto);
b) che sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia ovvero,
in subordine, sono amministrate prevalentemente da soggetti residenti in Italia
(controllo passivo, anche indiretto)61
.
59
Così come mostrato da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione
societaria nel testo unico delle imposte sui redditi, in Fisco, 2013, n. 42, fasc. I, p. 6528, per ciò che
riguarda il controllo di tipo contrattuale, la presunzione dovrebbe essere operativa soltanto nei casi in cui
si detenga una partecipazione, anche di minoranza, della società controllata contrattualmente. In tal caso,
però, secondo quanto espresso da M. ANTONINI, Note critiche sulla presunzione in tema di residenza
fiscale di società ed enti introdotta dal DL 4 Luglio 2006, n. 223, in Riv. Dir. Trib., 2006, IV, p. 187, non
si realizzerebbe il presupposto fissato dal legislatore, che richiede la presenza di partecipazioni di
controllo. Di parer contrario, G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo congiunto, in
Fisco, 2007, n. 19, fasc. I, p. 2766 ss.. 60
Essendo gli amministratori, nella maggior parte dei casi, persone fisiche, si dovrà fare riferimento per
tali soggetti alla disposizione contenuta nell’art. 2 Tuir, in base alla quale si considerano residenti le
persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nell’anagrafe della popolazione
residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
26
L’intento principale di tale norma in oggetto è quello di contenere il fenomeno
dell’esterovestizione societaria, intesa come dissociazione tra residenza formale e
residenza sostanziale attraverso la fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi
diversi dall’Italia, al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dell’ordinamento
di reale appartenenza e beneficiare, eventualmente, di un regime tributario più
favorevole62
. La disposizione, consentendo all’Amministrazione finanziaria di desumere
un fatto ignoto da uno noto, sembra introdurre una presunzione legale relativa di
residenza in Italia, e non una norma sostanziale, riconoscendo, però, il diritto in capo al
contribuente di fornire prova contraria.
In riferimento alla ratio della presunzione, va puntualizzato che l’intento del legislatore
non è precludere la localizzazione di strutture vere e proprie all’estero , né individuare
tutte le forme di società esterovestite, bensì solamente le holding esterovestite. Il
comportamento che tale disposizione mira a contrastare, dunque, è la costituzione di
società estere che svolgano l’attività di holding, pura o mista, con sede fittiziamente
fissata all’estero finalizzata alla riduzione del carico fiscale, con particolare riferimento
alla tassazione delle plusvalenze eventualmente ritratte63
.
Il soggetto che detiene le partecipazioni dev’essere una società o un ente che si dichiara
residente in uno Stato estero, non acquisendo importanza, contrariamente a ciò che
avviene per le persone fisiche, se lo Stato estero sia o meno uno Stato a fiscalità
privilegiata. Tale impostazione è avvalorata dal fatto che non è prevista una presunzione
61
In riferimento al controllo di tipo indiretto, così come mostrato da M. THIONE, M. BARGAGLI,
Presunzione di esterovestizione e “reiterabilità” del meccanismo presuntivo lungo la catena
partecipativa, in Fisco, 2011, n. 18, fasc. I, p. 2844, la Circolare dell’Agenzia dell’Entrate, n. 28/E del 4
Agosto 2006, al paragrafo 8.1 ha evidenziato che la presunzione può essere applicata anche per la società
estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria, in quanto quest’ultima si
trova a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata dall’Amministrazione finanziaria
residente in Italia. In merito anche l’Assonime, con la Circolare, n. 67 del 31 Ottobre 2007 afferma, in
sintesi, che il meccanismo presuntivo sarebbe reiterabile verso l’alto, risalendo, quindi, la sequenza dei
rapporti di controllo tra le holding estere. Di tale opinione anche E. BAGAROTTO (a cura di), La
presunzione di residenza fiscale delle società “esterovestite”, Cedam, Padova, 2008, p. 24. In
controtendenza, P. VALENTE, Residenza e società cosiddette “esterovestite”, in Fisco, 2008, n. 18, fasc.
I, p. 3225. 62
Corte di Cassazione, sez. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione.
Profili strutturali e (dis)allineamenti, cit., p. 3640 ed E. ACETO, L’abuso del diritto: tra “diritto” ed
“abuso”, in Innovazione e Diritto, 2012, V, p. 55. 63
Ad una prima analisi, potrebbe sembrare strano che una disposizione finalizzata a scongiurare
l’esterovestizione delle holding sia stata emanata proprio all’indomani dell’introduzione nel nostro
ordinamento degli istituti della participation exemption e l’esclusione dei dividendi, che tradizionalmente
dovrebbero favorire ed attrarre le holding. Tale scelta può essere giustificata alla luce del fatto che,
nonostante il legislatore della riforma abbia espressamente perseguito la finalità di rendere maggiormente
competitivo il nostro sistema fiscale, gli ordinamenti di altri Paesi garantiscono ancora margini di
convenienza in termini di carico fiscale.
27
di residenza che operi nei confronti dei soggetti esteri che abbiano in Italia il loro centro
decisionale, ma esclusivamente verso quei soggetti che detengano partecipazioni di
controllo in Italia, lasciando escluso il caso di holding estere, con centro decisionale in
Italia, che detengano partecipazioni di controllo in società estere.
Le ragioni che hanno spinto il legislatore a seguire la strada consistente nel presumere la
presenza della sede dell’amministrazione, vanno ricercate nella volontà di adottare una
linea che non contrasti con le convenzioni bilaterali che adottano come tie breaker rule
proprio l’individuazione di tale sede. Pertanto, qualora scatti la presunzione, e questa non
venga superata con prova contraria o a seguito della procedura amichevole, la società
viene considerata residente sia nel Paese estero in cui ha la sede legale, sia in Italia, con
rilevanti e complessi effetti sul versante della posizione della società nei confronti
dell’Erario, poiché l’Amministrazione finanziaria dovrà rideterminare il trattamento
fiscale dei componenti reddituali conseguiti dalla società, irrogando le relative sanzioni.
Si deve evidenziare, però, che tale disposizione solleva non pochi dubbi, sia in merito
all’idoneità ad incidere su situazioni in cui il rischio di esterovestizione non sia
verosimile, in quanto trova applicazione anche nel caso in cui la società estera detenga
partecipazioni di controllo in una società residente soltanto per gestirle e non per
alienarle, sia perché si manifesta scarsamente selettiva, poiché non considera i l caso in
cui la società estera è localizzata in Paesi che hanno per le holding regimi di tassazione
meno favorevoli rispetto al sistema italiano64
.
Ai sensi del comma 5-ter dell’art. 73 Tuir è poi statuito che, ai fini della verifica della
sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rilevi la situazione esistente alla data di
chiusura dell’esercizio o del periodo di gestione della società o dell’ente estero
residente65
. Inoltre, non è ancora stato ben chiarito dal legislatore se l’esterovestizione
64
E. BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 22 ss. 65
Così come descritto da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p.
6530, ad un’interpretazione letterale della norma, non è possibile stabilire con chiarezza se essa alluda al
controllo della società estera sulla società italiana, o viceversa. Più ragionevole appare nel complesso la
posizione di quanti ritengono che tale disposizione riguardi esclusivamente il controllo esercitato dai
soggetti italiani nei confronti della società estera, in quanto, nel caso opposto, la società estera cesserebbe
di essere residente nell’esercizio di realizzo della plusvalenza a seguito dell’intervenuta cessione totale o
parziale della partecipazione detenuta nella italiana. Ciò andrebbe a contrastare con la ratio della norma,
che tende a contrastare la fittizia migrazione di partecipazioni societarie verso le giurisdizioni
caratterizzate da un più favorevole regime fiscale. In senso conforme alla prospettata soluzione pare
doversi leggere il dettato del secondo periodo del comma 5-ter in argomento, ove è statuito che “ai
medesimi fini, per le persone fisiche, si debba anche tener conto dei voti spettanti ai familiari di cui
all’art. 5 comma 5”. È infatti pacifico che detti voti possano esclusivamente rilevare con riferimento alla
fattispecie di controllo, richiamata alla lettera a) del comma 5-bis, ovvero con riguardo a quello esercitato
da soggetti residenti nei confronti della società estera.
28
deve essere considerata un fenomeno di tipo evasivo o elusivo. Alla luce delle
elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, appare ragionevole poter affermare che
l’esterovestizione costituisce un fenomeno in senso stretto evasivo e, soltanto in senso
lato elusivo. In altre parole, l’esterovestizione, mentre dal punto di vista tecnico-
giuridico rappresenta un comportamento evasivo, in quanto riconducibile alla categoria
della simulazione-falsificazione, dal punto di vista fenomenologico riproduce una
condotta di tipo elusivo, laddove si voglia indicare l’effetto complessivo di dislocare base
imponibili oltre il confine, aggirando in tal modo sia le norme nazionali che
convenzionali66
.
2.1.1. L’inversione dell’onere della prova
L’analisi appena svolta ha messo in evidenza, tra l’altro, la vaghezza normativa e le
difficoltà interpretative che contraddistinguono gli elementi costitutivi della nozione di
residenza fiscale delle persone giuridiche, che, di conseguenza, vanno ad incidere sulla
complessità che ne caratterizza l’accertamento e, in ultima analisi, la prova. Tanto
precisato, occorre soffermarsi sul meccanismo utilizzato dal legislatore per contrastare
la fittizia residenza all’estero che, come visto, consiste nel ricorso ad una presunzione
legale relativa. In tal modo, il legislatore non solo raggiunge il risultato di fornire una
particolare ripartizione dell’onere della prova e di prevedere una regola di giudizio,
stabilendo come il giudice debba risolvere la controversia nel caso in cui la parte
onerata non abbia raggiunto la prova, ma ricollega anche ad essa precise conseguenze
giuridiche. Per tali ragioni, la norma dovrà ritenersi in primis operante sul piano
66
M. THIONE, M. BARGAGLI, Esterovestizione: elusione o evasione?, in Fisco, 2013, n. 41, fasc. I, p.
6390. Nella stessa direzione la sentenza della Cassazione, n. 2689 del 7 Febbraio 2013. A favore della tesi
per cui l’esterovestizione rientrerebbe nella categoria dei fenomeni di tipo elusivo, possiamo annoverare la
sentenza della Cassazione, sez. penale, n. 7739 del 28 Febbraio 2012 (caso Dolce e Gabbana), la
Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 Agosto 2006, e la successiva Risoluzione n. 312/E del 5
Novembre 2007, le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-212/97 del 9 Marzo 1999 (caso Centros)
e causa C-196/04 del 12 Settembre 2006 (caso Cadbury Schweppes). In dottrina, F. CARRICOLO,
Presunzione di esterovestizione per spa italiana controllata da società olandese, in Azienda & Fisco,
2008, n. 18, p. 46 e A. VIOTTO, Considerazioni di ordine sistematico sulla presunzione di residenza in
Italia delle società holding estere, in Riv. Dir. Trib., 2007, I, p. 269. La teoria circa la natura evasiva
dell’esterovestizione trova, invece, il suo campo più fertile in dottr ina. In tale direzione, infatti, E.
DELLA VALLE, Brevi note in tema di rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva/abusiva, in
Rassegna tributaria, 2012, n. 5, p. 1118, M. THIONE, M. BARGAGLI, Esterovestizione e stabile
organizzazione occulta: due facce (diverse) di una stessa medaglia, in Fisco, 2012, n. 4, fasc. I, p. 516.,
A. DE NISI, D. FRUSTAGLIA, L’esterovestizione societaria quale pratica elusiva: profili penali e
sanzionatori, in Rivista della Guardia di Finanza, 2013, n. 3, p. 775, M. DI SIENA, Il fenomeno della
fittizia residenza estera nella prospettiva criminale tributaria, in Fisco, 2003, n. 6, fasc. I, p. 853, e G.
MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires e l’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 73,
commi 5-bis e 5-ter Tuir, in Dir. Prat. Trib. Int., 2007, n. 3, p. 876.
29
sostanziale della fattispecie, sia pure con rilevanti effetti sul piano processuale67
. In
particolare, per ciò che riguarda l’art. 73, comma 5-bis Tuir, al fatto indiziante della
presenza in Italia del soggetto che amministra o che controlla un soggetto estero,
viene ricollegata in via inferenziale, secondo il concetto id quod plerumque accidit, la
localizzazione in Italia della sede dell’amministrazione del soggetto controllato.
Dal momento che le sentenze emesse in tema di residenza fiscale prima
dell’introduzione dell’inversione dell’onere della prova risultavano essere in gran parte
favorevoli all’Amministrazione finanziaria, vi era necessità di offrire al contribuente
una vera e propria controprova, dimostrando con elementi di prova, e non già in
negativis, la non idoneità della prova addotta dall’Ufficio circa la localizzazione in
Italia della residenza fiscale68
. Essendo questo il quadro normativo, il mainstream della
dottrina afferma che l’introduzione di presunzioni legali relative in tema di residenza
fiscale, muti le cose più nella forma che nella sostanza69
.
Inoltre, per quanto concerne gli effetti nel tempo della prova offerta dal contribuente,
deve ritenersi che, in virtù del principio dell’autonomia di ogni periodo di imposta, si
limitino al solo periodo di imposta nel quale essa è stata resa.
Passando all’analisi dell’oggetto della prova, si può notare che l’introduzione del comma
5-bis, nel ricollegare al controllo di fonte italiana di una holding estera la presunzione
della sede dell’amministrazione, sembri innanzitutto escludere, a priori, l’argomento circa la
possibile localizzazione in Italia dell’oggetto principale70
.
67
G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Cedam, Padova, 2007, p. 511. 68
Al riguardo, anteriormente all’introduzione dell’inversione dell’onere probatorio, l’Amministrazione
finanziaria doveva provare la residenza del contribuente in Italia, attraverso elementi probatori riferiti
al territorio italiano. Il contribuente, dal canto suo, poteva limitarsi a dedurre l’irrilevanza degli
elementi addotti dall’Ufficio ai fini dell’integrazione della nozione di residenza, negando, quindi che la
controparte avesse assolto l’onere della prova, oppure fornire la prova positiva della residenza in
altro Stato estero, la quale doveva necessariamente consistere, a quel punto, nella dimostrazione che
agli elementi rinvenuti dal Fisco in Italia potevano opporsi elementi di maggiore consistenza situati
nello Stato nel quale il soggetto affermava sussistere la propria residenza fiscale. Esempi rari di
sentenze favorevoli ai contribuenti sono Comm. Trib. Reg. Toscana, sez. XXXVI, n. 96 del 9 Gennaio
2003, Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. XL, n. 231 del 5 Novembre 2001 e Comm.
Trib. Prov. Verona, sez. IX, n. 24 del 28 Aprile 2005. In esse, tuttavia, alla debolezza delle
argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria si era accompagnata anche una significativa attività
probativa da parte del contribuente. 69
Così come evidenziato da G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires, cit., p. 865, dal lato degli
Uffici nulla cambia, poiché essa continuano a raccogliere tutti gli elementi come in precedenza
relativamente alla residenza fiscale in Italia, pena il rischio di una facile prova da parte del
contribuente dell’inesistenza del fatto presunto. Dal lato del contribuente, non può più limitarsi ad
affermare l’irrilevanza degli elementi addotti dall’Ufficio, anche se questa strategia si rivelava comunque
perdente nel previgente regime probatorio. 70
G. SOZZA, Spunti critici sull’esterovestizione delle società, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I, p. 6343 ss..
30
Poiché la sede legale del soggetto estero non è ubicata nel territorio dello Stato, ne risulta
che l’oggetto della prova sarà adesso esclusivamente costituito dalla presenza all’estero della
sede dell’amministrazione71
. Con riferimento all’idoneità della prova contraria che il
contribuente deve fornire ai sensi dell’art. 73, comma 5-bis, la citata Circolare
dell’Agenzia delle Entrate, n. 28/E/2006 precisa che:
«Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti
adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in
Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che,
nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi
di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della
direzione effettiva nello Stato estero».
Tuttavia, come visto, ai sensi della normativa nazionale e anche del modello OCSE, vi è
distinzione tra il luogo in cui vengono effettivamente assunte le decisioni fondamentali, e
quello, non sempre identico, nel quale esse vengono formalmente deliberate. Tali luoghi,
se normalmente coincidono nel caso di società residenti, tipicamente divergono nel caso
di società esterovestite. Si dovrebbe, allora, dimostrare che la volontà si è effettivamente
formata all’estero, che se è ampiamente condivisibile nell’ipotesi della controllante
residente, appare controverso nell’ipotesi di amministratori residenti in Italia.
È opinione condivisa, che l’esistenza del controllo, sia di diritto che di fatto, rappresenti
una mera presunzione relativa, che potrebbe essere superata, nel momento stesso in cui
risulta facile dimostrare l’impossibilità del presunto soggetto controllante di eserci tare in
maniera stabile, duratura e autonoma una posizione dominante all’interno dell’assemblea
ordinaria della presunta società controllata72
. Di conseguenza, il contribuente non potrà
fondare l’onere probatorio sulla mera documentazione formale dell’effettivo svolgimento
delle adunanze dell’organo amministrativo nel territorio dello Stato estero, bensì sulla
dimostrazione del collegamento della società con il territorio dello Stato di residenza73
.
71
Ciò deriva dal fatto che i criteri previsti dall’art. 73, comma 3, Tuir sono alternativi tra loro ed è di fatto
lasciata all’Amministrazione finanziaria, in caso di accertamento, la scelta del requisito su cui
confrontarsi nel contenzioso eventuale. Pertanto, il soggetto estero dovrà dimostrare che nonostante la
presenza in Italia della controllante e/o della maggior parte degli amministratori, l’assunzione delle
decisioni fondamentali per la vita della società è avvenuta al di fuori del territorio dello Stato. In tal senso
P. VALENTE, La residenza fiscale nel diritto tributario internazionale e comunitario, in NEΩTEPA,
2009, II, p. 14. 72
G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo, cit., p. 2770. 73
Così come indicato da T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p.
6532, il regime della prova contraria in esame non prospetta, pertanto, particolari difficoltà per il caso in
cui la società estera si caratterizzi quale holding mista, ovvero quale holding estera di gestione. In tali
evenienze si tratterà, rispettivamente, di dimostrare nel primo caso, che la società svolge con propri
insediamenti produttivi in loco un’attività industriale e/o commerciale, nell’altro, che la holding di
gestione presta effettivamente servizi ausiliari di finanziamento e amministrazione a favore delle
31
2.1.2. Definizione preventiva della fattispecie
In assenza di espressa previsione normativa, si suppone che la prova concernente
l’esistenza della sede dell’amministrazione all’estero può essere fornita soltanto in sede
di accertamento. La norma in questione, infatti, non prevede la possibilità di dimostrare
in via preventiva, così come avviene in ambito CFC, l’inapplicabilità della norma al caso
concreto, né consente di anticipare il momento del contraddittorio entro termini utili per
l’adempimento spontaneo. In tale ottica, non sembra neanche possibile formulare istanza
di interpello preventivo, posto che il superamento della presunzione di residenza si
riferisce esclusivamente a questioni di fatto, mentre la procedura di interpello ordinario
prevista dall’art. 11 della L. 27 luglio 2000, n. 212 riguarda “obiettive condizioni di
incertezza sulla corretta interpretazione” di una norma. Inoltre, non sembrano applicabili
alla fattispecie in oggetto, le ipotesi di interpello antielusivo di cui all’art. 21 della L. 30
dicembre 1991, n. 413, né di interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis, comma 8, del
DPR 600/1973, né in quello relativo alle società controllate estere di cui all’art. 167 Tuir,
né di ruling internazionale (art. 8 del DL 269/2003)74
.
Tale impossibilità, la quale aumenta la complessità della tematica, è conseguenza sia del
fatto che la dimostrazione della residenza fiscale si basa principalmente su elementi
concreti non facilmente deducibili dalla documentazione su cui è incentrata l’analisi in
sede di interpello, sia dal fatto che non può essere presentata istanza per richiedere la non
applicazione solamente di quelle norme che incidono sul debito tributario e non di quelle
che, invece, disciplinano la soggettività passiva, e quindi anche la residenza fiscale75
.
Sotto il profilo dell’efficacia e della opportunità di addivenire alla procedura di interpello
ordinario ex L. 212/2000 è, comunque, lecito affermare che le questioni che potrebbero
essere prospettate in tema di individuazione della sede dell’amministrazione, in presenza
di una norma avente contenuto non equivoco, non sarebbero di carattere interpretativo,
ma fattuale, ovvero di valutazione della efficacia di riscontri materiali e probatori. È
possibile ritenere che l’Ufficio si sottragga a dare una pertinente risposta sulle singole
partecipate, avvalendosi di propri presidi e strutture e in regime di piena autonomia . In senso conforme la
Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007. 74
Così come illustrato da I. CARACCIOLI, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione. Profili penal-
tributari della riqualificazione, in Fisco, 2008, n. 25, fasc. I, p. 4490, resta fermo, in ogni caso, il fatto
che ove la questione della residenza fiscale della società estera rientri in un più ampio progetto di
riorganizzazione dell’impresa, il percorso privilegiato dovrebbe essere l’interpello antielusivo di cui
all’art. 21 della L. 413/1991. Di tale opinione anche G. CORASANITI, P. DE’ CAPITANI, La nuova
presunzione di residenza fiscale dei soggetti Ires, in Dir. Prat. Trib., 2007, I, p. 121. 75
Di tale opinione M. THIONE, L’esterovestizione societaria. Disciplina sostanziale e profili operativi, in
Fisco, 2010, n. 4, fasc. I, p. 551 e la Risoluzione Agenzia dell’Entrate , n. 312/E del 5 Novembre 2007.
32
fattispecie, proprio in quanto l’interpello fornisce riscontro in merito a dubbi
interpretativi e non a valutazioni fattuali. Al contrario, in questo caso, sarebbe chiamata a
pronunciarsi sulla credibilità, efficacia e ragionevolezza delle prove contrarie che il
contribuente potrebbe opporre di fronte ad un’eventuale azione accertativa76
.
Quindi, l’interpello non dovrebbe essere basato sull’efficacia della prova contraria idonea
per contrastare la presunzione, ma sulla fattispecie sostanziale e cioè sull’insussistenza di
presupposti per la radicazione fiscale del soggetto estero sul territorio nazionale.
2.1.3. Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero
La società residente esterovestita è considerata a tutti gli effetti soggetto passivo di
imposta e, come tale, obbligata a rispettare tutti gli adempimenti strumentali e sostanziali
che l’ordinamento ha previsto per le società e gli enti residenti. Pertanto, i redditi
conseguiti dal soggetto esterovestito, la cui residenza fiscale viene riqualificata nel
territorio dello Stato italiano, sono assoggettati a tassazione in Italia77
. Ne deriva che,
qualora, l’Amministrazione finanziaria, in applicazione dell’art. 73, commi 5 -bis e 5-ter,
accerti lo status di residente di una società formalmente residente all’estero, risulterà che
questa avrà inevitabilmente violato una serie di obblighi formali e sostanziali78
. Così
come unanimemente ammesso in dottrina, l’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 afferma il reato
di “omessa dichiarazione”, per cui:
«E' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato,
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta
evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 30.000
annui»79
.
76
P. VALENTE, La residenza fiscale nel diritto tributario, cit., p. 14. 77
In tal senso M. GRAZIOLI, M. THIONE, L’esterovestizione societaria. Caratteristiche distintive del
fenomeno e riflessi penali-tributari, in Fisco, 2010, n. 31, fasc. I, p. 4998, e Cass., sez. III, n. 36180 del
22 Settembre 2003. 78
Così come espresso da D. MARSICO, L. ZOANI, La presunzione di residenza fiscale delle persone
giuridiche, Spunti interpretativi, in Fisco, 2009, n. 7, fasc. I, p. 1002, in ambito di obblighi strumentali
all’assoggettamento a tassazione, l’effetto di più immediato impatto per i soggetti considerati residenti in
Italia è rappresentato dalla tenuta delle scritture contabili ai sensi degli articoli 13 ss. DPR n. 600/1973,
ossia alla tenuta del libro giornale e del libro degli inventari. Per ciò che riguarda la redazione del
bilancio, invece, sembrerebbe sufficiente procedere alla semplice predisposizione di uno stato
patrimoniale e di un conto economico che riflettano i contenuti delle scritture obbligatorie per procedere
al calcolo del carico impositivo. 79
Così come mostrato da A. IORIO, S. MECCA, Conseguenze penali della fittizia residenza all’estero, in
Fisco, 2014, n. 11, p. 1057, la precedente soglia, cosi come modificata dalla L. n. 148/2011, pari a 150
milioni delle vecchie lire (euro 77.469,53), è valida per le violazioni commesse fino al 17 Settembre
2011.
33
Va sottolineato che, affinché il reato in esame sia posto in essere, occorre il
raggiungimento della relativa soglia quantitativa di punibilità di imposta evasa, altrimenti
l’Amministrazione potrà applicare soltanto sanzioni amministrative80
. La determinazione
della soglia quantitativa in esame, secondo quanto risulta dagli artt. 1, lettera f), e 20, del
D.Lgs. n. 74/2000, in forza del principio di separazione tra i profili penali e quelli
tributari, compete esclusivamente al giudice penale, e quindi, se anche è stata presentata
la denuncia dall’Ufficio, in quanto convinto del superamento della soglia, il P.M.
potrebbe arrivare a diverse conclusioni81
.
Per quanto riguarda l’individuazione delle persone fisiche a cui sarebbe potenzialmente
riconducibile la responsabilità penale, il legislatore, al fine di evitare equivoci, ha
specificato, alla lettera c) dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 74/2000, che deve essere
considerato come soggetto attivo anche colui che presenta la dichiarazione, ovvero non la
presenta in caso di omessa dichiarazione, in qualità di amministratore, liquidatore, o
rappresentante di società, enti o persone fisiche82
. Tale responsabilità penale è da
ricondurre ai soggetti che, di fatto, hanno assunto le decisioni relative alla gestione
societaria, esprimendo idonei impulsi volitivi83
. Tuttavia, a differenza di quanto disposto
dall’antecedente disposizione legislativa, che puniva espressamente l’omessa
dichiarazione anche a titolo colposo, l’attuale articolo 5 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede
quale necessario elemento soggettivo esclusivamente il dolo specifico, cioè è richiesto
che il contribuente abbia tenuto un comportamento irregolare dal punto di vista tributario
80
In tale ottica si pongono pertanto due sequenziali problemi che, rimessi alla valutazione da parte del
P.M. e del giudice, rendono notevolmente incerta la verifica del superamento della soglia di punibilità e
del dolo. Trattasi della ricostruzione dell’imposta evasa e della dimostrazione della consapevolezza ed
accettazione del superamento della soglia di punibilità da parte del soggetto agente. 81
Cosi come evidenziato da E. MASTROGIACOMO, Profili penali del trasferimento fittizio della
residenza all’estero, in Fisco, 2001, n. 41, p. 13328, è stata altresì ipotizzata la potenziale configurabilità
del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, nel
caso di compimento, a seguito della riqualificata residenza fiscale, di atti simulati o fraudolenti su propri
od altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. 82
M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 554, e A. DEL SOLE, Sotto il vestito niente, ovvero
esterovestizione ed elusione penalmente rilevante, in Riv. Giur. Trib., 2014, n. 3, p. 245 ss.. 83
In tal senso S. LOCONTE, Onere probatorio e profili sanzionatori dell’esterovestizione , in Riv. Giur.
Trib., 2013, n. 11, p. 913 e la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 23425 del 10 Giugno 2011.
Inoltre, così come descritto da M. THIONE, M. BARGAGLI, Individuazione di un soggetto esterovestito
e verifica fiscale. Problematiche procedurali, in Fisco, 2011, n. 45, fasc. I, p. 7318, in particolare, per
quanto riguarda il reato di omessa dichiarazione, la Cassazione ritiene che il rappresentante legale della
società, che sottoscrive la dichiarazione, si considera assente non solo quando manchi la nomina, ma
anche in presenza di un prestanome che non abbia alcun potere o ingerenza nella gestione della società.
In controtendenza, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. penale, n. 7739 del 28 Febbraio 2012, la
quale non facendo alcun riferimento ai soggetti che effettivamente esercitano i poteri di scelta delle
decisioni societarie, sembra ricollegare l’autore del delitto tributario al carattere formale della struttura
societaria.
34
allo specifico fine di evadere le imposte sui redditi84
. La ricorrenza di tale finalità può
essere esclusa in tutti i casi in cui, ipotizzando che la società esterovestita fosse
fiscalmente residente in Italia, questa non avrebbe dovuto liquidare alcunché a titolo di
imposta, ovvero non poteva comportare il conseguimento di alcun risparmio di imposta,
cioè in quei casi in cui sarebbe stata indifferente la localizzazione della società in Italia
piuttosto che all’estero85
.
Prescindendo da questi casi limite, l’unica strada per poter sostenere la buona fede, e,
quindi, valutare in negativo l’effettiva offensività della condotta posta in essere, con la
conseguente inesistenza del reato per mancanza di dolo, è quella di richiedere
l’applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 74/2000, per cui:
«Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, terzo
comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del
presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive
condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione»86
.
Pur riconoscendo l’incertezza provocata dal legislatore, la parte maggioritaria della
dottrina ha da sempre affermato che la presenza della finalità evasiva richieda, invece,
proprio in relazione alla natura di pura omissione di questo reato, che il soggetto sia a
conoscenza del proprio obbligo di pagare l’imposta e delle scadenze temporali per questi
adempimenti87
.
In conclusione, la responsabilità penale per il reato di omessa dichiarazione non deriva
automaticamente dal fallimento della prova contraria da parte del contribuente, quale
richiesta dal comma 5-bis citato, ma è pronunciabile solo allorché il giudice penale, pur
legittimamente investito dalla questione, ha potuto ricostruire l’esistenza di tutti gli
elementi del reato medesimo. Infatti, in attuazione dei principi di libero convincimento
del giudice e di autonomia, che caratterizzano i rapporti tra procedimento penale e
84
Secondo una parte della dottrina la formula utilizzata dal legislatore, non è indicativa di dolo specifico, ma va
intesa come relativa al dolo generico consistente nella consapevolezza dell’evasione. A tal proposito, si è
sostenuto che per la sussistenza del reato in esame, è sufficiente che il contribuente abbia agito al fine di evadere,
senza che sia necessario accertare che egli abbia effettivamente voluto un’evasione dell’entità richiesta dalle
norme incriminatrici per la concreta punibilità del fatto. In tal senso L. PISTORELLI, Quattro figure contro il
contribuente infedele, in Guida al diritto, 2000, 60 ss., P. VENEZIANI, Elusione fiscale, esterovestizione e
dichiarazione infedele, in Diritto Penale e Processo, 2012, p. 858 ss. e M. PISANI, Le implicazioni penali
dell’esterovestizione, in Corr. Trib., 2008, n. 31, p. 2495 ss.. 85
L. TOSI, I profili penali della norma sull’esterovestizione, in E. BAGAROTTO (a cura di), La
presunzione di residenza fiscale, cit., p. 113 ss. 86
L’art. 47, comma 3, del codice penale, chiarisce che “L'errore su una legge diversa dalla legge penale
esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”. Di tale opinione I.
CARACCIOLI, P. VALENTE, Residenza ed esterovestizione, cit., p. 4495 e S. MANCINELLI,
Esterovestizione societaria e reati connessi, in Rivista della Guardia di Finanza, 2010, n. 4, p. 501 ss.. 87
In tale direzione le sentenze Cass., sez. III, n. 12585 del 4 Dicembre 2000, Cass., sez. un., n. 35 del 15
Gennaio 2001, Cass., sez. V, n. 31911 del 15 Marzo 2001 e Cass., sez. V, n. 34295 del 14 Ottobre 2002.
35
processo tributario, opera l’esclusione dell’automatica trasferibilità in sede penale delle
presunzioni tributarie, con ciò introducendo elementi di incertezza sulla effettiva
configurabilità della fattispecie di reato di omessa dichiarazione in ipotesi di
esterovestizione societaria88
. Inoltre, le riscontrate difficoltà giuridico-interpretative,
nonché tecnico-operative, derivano dall’assenza di una norma penale ad hoc per
contrastare il fenomeno delle residenze fittizie delle persone giuridiche e, in tal senso, il
sistema penale tributario del 2000 appare inadeguato ad essere applicato ai fenomeni di
evasione fiscale internazionale, non garantendo né piena armonia sistematica né adeguata
tassatività, generando incertezze applicative in capo ai funzionari dell’Amministrazione e
dubbi sanzionatori per i contribuenti89
.
88
Inoltre, il contribuente che sia indagato in sede penale ha a propria disposizione una serie di mezzi
probatori più ampia rispetto a quella utilizzabile davanti al giudice tributario, come ad esempio l’uso della
prova testimoniale, per effetto del divieto in sede tributaria di cui all’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/92. 89
M. GRAZIOLI, M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 5001.
36
2.2 Compatibilita della presunzione di residenza con il diritto comunitario
Giunti a questo punto, al fine di dare un più ampio respiro alle teorie fin qui esaminate, si
ritiene opportuno approfondire come si pongano le disposizioni esaminate rispetto al
diritto comunitario ed, in particolare, rispetto alla libertà di stabilimento sancita negli
artt. 43 ss. del Trattato di Roma. Nonostante l'Amministrazione finanziaria, sin dalla
comparsa di tali disposizioni nell'ordinamento nazionale, abbia difeso la compatibilità
delle stesse rispetto alle prescrizioni comunitarie, parte della dottrina e della
giurisprudenza ha espresso un'opinione diametralmente opposta, facendo perno in
particolare sulla sentenza Cadbury Schweppes della Corte di Giustizia Europea, causa C-
196/04 del 12 Settembre 200690
.
In tal senso, è doveroso analizzare in che modo le libertà fondamentali sancite dal
Trattato di Roma, collegate fra loro dal principio di non discriminazione, si inseriscono
nel palcoscenico della fiscalità internazionale come vincolo per le legislazioni nazionali
nella disciplina delle materie oggetto di ravvicinamento91
.
2.2.1. La libertà di stabilimento
All'interno del quadro delle libertà così delineato, si inserisce la libertà di stabilimento,
sancita dall'art. 49 TFUE, la quale prevede il divieto espresso per gli Stati di ostacolare
l'esercizio di attività imprenditoriali che un cittadino o una società di uno Stato membro,
costituita conformemente alla legislazione di uno dei suddetti Stati e avente la sede
90
Ad infierire sulla limitata autonomia pattizia discendente dalle convenzioni bilaterali sull'ordinamento
italiano, in quanto membri dell'Unione Europea, gravano specifici vincoli, vista la prevalenza sancita
dall'art. 117 Cost., del diritto comunitario su quello nazionale. In aggiunta a ciò, particolari ripercussioni
sugli ordinamenti interni derivano dalle pronunce interpretative della Corte di Giustizia Europea, le quali,
non solo vincolano il giudice nazionale a conformarsi alle soluzioni in esse contenute, ma hanno efficacia
erga omnes, pertanto alla delibera dovrà necessariamente seguire l'adeguamento degli ordinamenti
nazionali da essa divergenti. 91
Così come espresso da S. GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione Europea. Una prospettiva
costituzional-comparatistica, Giuffrè Editore, Milano, 2009, p. 7 ss., sono quattro le libertà fondamentali,
simbolo dell’integrazione comunitaria, previste dal Trattato di Roma per la completa realizzazione del
mercato interno:
a) la libera circolazione delle merci, la quale prevede la soppressione delle barriere doganali e il
conseguente libero trasporto delle merci tra gli Stati membri;
b) la libera circolazione delle persone, in virtù della quale sono state abolite tutte le formalità doganali tra
gli Stati membri a carico dei cittadini comunitari in transito e si è data la possibilità ai lavoratori, sia
subordinati che autonomi, di svolgere un’attività lavorativa sul territorio di qualunque Stato membro;
c) la libera prestazione dei servizi, la quale si riferisce alla possibilità di fornire prestazioni retribuite in
uno Stato membro diverso da quello di stabilimento;
d) la libera circolazione dei capitali, in virtù della quale si è avuta la completa liberalizzazione valutaria e
l’integrazione nel settore dei servizi finanziari.
37
sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno
dell’Unione, voglia esercitare in altro Stato membro92
. La finalità della norma è duplice
in quanto, se da una parte intende innanzitutto garantire che le persone fisiche o
giuridiche residenti in uno Stato membro non subiscano nessuna disparità di trattamento
nel Paese di stabilimento, dall’altra persegue la finalità di vietare allo Stato membro di
origine di ostacolare le persone fisiche o giuridiche nell’esercizio dei diritti garantiti
dalla libertà di stabilimento93
.
La Corte di Giustizia Europea, attraverso una serie di importanti decisioni, ha precisato e
definito in termini sempre più ampi la libertà di stabilimento delle società riconosciute
dagli Stati membri94
. Dall’iniziale principio del mero “trattamento nazionale”, inteso
come il semplice divieto di discriminazione, in base al quale uno Stato membro non può
trattare le società di altri Stati membri in maniera diversa dalle proprie società, con le
sentenze Segers (1986), Daily Mail (1988), Centros (1999), Überseering (2002), Inspire
Art (2003) alle quali sono da aggiungere le sentenze Sevic (2005), Marks&Spencer
(2005) e Cadbury Schweppes (2006), la Corte di Giustizia ha progressivamente affermato
il principio di una profonda mobilità transfrontaliera delle società degli Stati membri
all’interno dei confini dell’Unione Europea, propedeutico al fenomeno della
92
L’art. 49 TFUE afferma che “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte
dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro”. Inoltre, così come
mostrato da E. BRUNO, A. VALENTE, CGE e ostacoli fiscali, in Manuale di fiscalità internazionale, A.
DRAGONETTI (a cura di), Ipsoa, Milano, 2012, p. 192, la sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-
55/94 del 30 Novembre 1995 (caso Gebhard) chiarisce come la nozione di libertà di stabilimento abbia
un'accezione molto ampia, essendo definita come “la possibilità, per un cittadino comunitario, di
partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal
proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, integrandosi nell'economia nazionale, con l'esercizio di
un'attività economica effettiva”. 93
Così come illustrato da P. TROIANELLO, Lo stabilimento, cit., p. 49, il diritto di stabilimento può
esercitarsi in via principale o secondaria: per stabilimento a titolo principale, si intende l o stabilimento
realizzato attraverso la creazione o il trasferimento in uno Stato membro diverso da quello di origine, di
un centro di attività economica o professionale, o anche con la costituzione di una società. Invece, lo
stabilimento a titolo secondario consiste nell’apertura di una sede secondaria, attraverso l’apertura di
succursali, filiali o sedi secondarie in uno Stato membro da parte di un esercente un’attività economica in
un Paese membro diverso. 94
Agli Stati membri è riconosciuta la possibilità di limitare il diritto di stabilimento solo in presenza di
motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e sanità pubblica (art. 52 TFUE, già art. 46 TCE). Tali
eventuali limitazioni al diritto di stabilimento vengono ritenute giustificate solo se sup erano il c.d. Test
Gebhard, ossia devono essere:
a) non discriminatorie, ossia applicabili allo stesso modo ai cittadini e agli stranieri cittadini di altri Stati
membri;
b) giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, ricorrenti qualora sussista una minaccia grave ed
effettiva a un interesse fondamentale della collettività, di natura non meramente fiscale o economica;
c) idonee a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito;
d) non sproporzionate rispetto a quanto necessario per l’ottenimento dello scopo cui sono preordinate.
38
competizione fra i vari ordinamenti giuridici nazionali sotto il profilo della disciplina
societaria95
.
2.2.2. La sentenza Cadbury Schweppes
Con la sentenza Cadbury Schweppes, in merito alla questione della compatibilità con la
libertà di stabilimento della legislazione antiabuso britannica, la Corte comunitaria ha
precisato che:
«il concetto di stabilimento nell’ambito del significato delle disposizioni del
Trattato sulla libertà di stabilimento implica l’effettivo svolgimento di
un’attività economica. (…) Affinché la restrizione alla libertà di stabilimento
possa ritenersi giustificata dall’esigenza di contrastare pratiche abusive, tale
restrizione deve avere come obiettivo la prevenzione di quelle pratiche che
implicano la creazione di strutture fittizie le quali non riflettono la realtà
economica della società»96
.
In tal senso, la lotta all’evasione fiscale può considerarsi ragione di interesse generale
tale da giustificare un ostacolo alla libertà di stabilimento, in quanto persegua la finalità
di escludere da un vantaggio fiscale “le costruzioni artificiose intese ad eludere la
normativa nazionale”97
. Ne consegue che la localizzazione di una società in un
determinato Paese membro, motivata dalla volontà di usufruire di un regime tributario
più favorevole, non dà luogo ad un'ipotesi di abuso del principio di stabilimento98
.
Inoltre, il semplice stabilimento di una consociata in un altro Stato membro non
comporta, di per sé, elusione fiscale, in quanto la circostanza per cui le attività svolte da
una sede secondaria in un altro Stato membro avrebbero potute essere esercitate dal
contribuente anche sul proprio territorio di residenza non può permettere di concludere
95
R. TORINO, Diritto di stabilimento delle società e trasferimento transnazionale della sede. Profili di
diritto europeo e italiano, in Atti del seminario “Aspetti di interesse notarile nel diritto dell’Unione
europea”, Viterbo, 2011. 96
Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12 Settembre 2006. A parere della Corte le società irlandesi
controllate da Cadbury Schweppes, possono avvalersi della tutela a loro riconosciuta dagli art. 43 e 48 del
Trattato UE, in quanto esercitano effettivamente un’attività economica in Irlanda, non individuandosi un
abuso del principio di libertà di stabilimento 97
In tale direzione anche le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-105/07 del 17 Gennaio 2008
(caso Lammers & Van Cleeff), della Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 173 e n. 174
del 3 Dicembre 2007, della Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio
2013 e sez. II, n. 84 del 27 Febbraio 2013 e P. VALENTE, L’esterovestizione nella recente giurisprudenza
italiana, in NEΩTEPA, 2011, II, p. 67. 98
F. NIEDDU, La recente politica fiscale in tema di estero-vestizione. Un reasonable and genuine link
“al limite”, anche comunitario, ed un possibile corto circuito antielusivo in Innovazione e Diritto, 2008,
I, p. 95, e P. VALENTE, Sede di direzione effettiva: profili comunitari negli interventi della Corte di Giustizia,
in Fisco, 2008, n. 28, fasc. I, p. 5038. In tal senso anche le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-212/97
del 9 Marzo 1999 (caso Centros), e causa C-208/00 del 5 Novembre 2002 (caso Überseering).
39
che esista una costruzione di puro artificio, finalizzata esclusivamente ad ottenere un
beneficio d’imposta99
.
La valutazione circa la sussistenza di una costruzione fittizia deve effettuarsi, prosegue la
Corte comunitaria, in concreto e caso per caso, tenendo conto di elementi oggettivi e
verificabili da parte di terzi tali da comprovare l’effettività dello stabilimento nello Stato
ospite, nonché della concreta sostanza delle attività ivi svolte in termini di locali,
personale ed attrezzature100
. Inoltre, dalla recente giurisprudenza sembrerebbe che debba
essere il contribuente a dimostrare che la fattispecie, oggetto d’esame, non sia
puramente artificiosa101
.
2.2.3. Compatibilità dell’inversione dell’onere della prova con il principio della libertà di stabilimento
Riscontrando sin da subito dei dubbi interpretativi circa l’ammissibilità della presunzione
di residenza dal punto di vista comunitario, la stessa Amministrazione finanziaria, in sede
di primo commento all’intervento legislativo con la Circolare n. 28/E del 4 Agosto 2006,
ha sostenuto che non sussistono problemi di compatibilità comunitaria, poiché
l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia riconosce la libertà per gli Stati
membri di “determinare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello
Stato”102
. Inoltre, prosegue la citata circolare, la possibilità riconosciuta al contribuente
di fornire la prova contraria alla presunzione di residenza in parola, dovrebbe garantire la
valutazione case-by-case e dunque la proporzionalità della norma rispetto al fine
perseguito, necessaria a mitigare la portata generale delle disposizioni antielusive.
In senso sostanzialmente analogo si è pronunciata la migliore dottrina, che ha rilevato
come l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali non
siano preclusi dalla presunzione in esame, che ammette prova contraria e che, nel caso di
sua applicazione, non comporta un maggior carico fiscale rispetto a quello sopportato dai
99
In tale direzione la sentenza della Corte di Giustizia UE, causa C-264/96 del 16 Luglio 1998 (caso ICI)
e P. VALENTE, Fiscalità sovranazionale, Il Sole-24 Ore, Milano, 2008, p. 377. 100
Precisa la Corte di Cassazione, con la sentenza sez.. V, n. 2869 del 7 Febbraio 2013, che ai fini della
configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, è necessario accertare non tanto la sussistenza o
meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, bensì se l'operazione posta
in essere è meramente artificiosa, in quanto fa riferimento ad una “forma giuridica che non riproduce una
corrispondente e genuina realtà economica" . In tale direzione anche F. DEZZANI, L. DEZZANI,
Esterovestizione e abuso del diritto nella casistica giurisprudenziale, in Fisco, 2014, n. 8, p. 710. 101
In tal senso la sentenza Cadbury Schweppes illustra che “La società residente, che è quella che vanta
a tal fine la miglior posizione, dev’essere messa in condizione di produrre elementi relativi all’effettività
dell’insediamento della società estera controllata e delle sue attività”. 102
Corte di Giustizia UE, causa C-81/87 del 27 Settembre 1988 (caso Daily mail).
40
soggetti residenti103
. In tale ottica, la presunzione introdotta dal D.L. n. 223/2006, non
sembrerebbe incidere sulla libertà di stabilimento e, quindi, sulla individuazione dello
Stato estero in cui, eventualmente, localizzare la propria attività imprenditoriale e ciò non
tanto per l’evidente natura relativa della presunzione, quanto in funzione del carattere
della norma giuridica104
. Inoltre, secondo l’Amministrazione non sarebbero ravvisabili
profili di contrasto con le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate
dall’Italia105
. Di conseguenza, si potrebbe affermare che la previsione normativa,
ammettendo prova contraria e limitandosi a localizzare in Italia, in forza della
presunzione, la sede amministrativa e quindi la residenza della società esterovestita , non
comporta maggiori imposte, oneri o impedimenti rispetto al regime previsto per i
residenti106
.
Giunti a questo punto potrebbe risultare che la normativa interna, intendendo colpire
fattispecie fondamentalmente fittizie consistenti in società schermo amministrate
dall’Italia e offrendo al contribuente la possibilità di fornire prova contraria, parrebbe
in grado di resistere al sindacato comunitario, purché essa non si risolva in oneri
probatori eccessivi per il contribuente medesimo107
. Tuttavia, se si ritenesse che anche
le misure anti-evasive costituiscano un motivo imperativo di interesse pubblico, si
potrebbe in prima battuta sostenere che la presunzione si risolva in una misura non
proporzionale, traducendosi l’inversione dell’onere probatorio in una sostanziale
103
In tal senso E. BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 28 e A. DI PIETRO, A.
CARINCI, Un intervento in linea con l’Europa, in Il sole 24 ore, 19 Agosto 2006, p. 20. 104
S. CAPOLUPO, D.L. n. 223/2006, cit., p. 5074. 105
In tal senso G. SOZZA, Spunti critici sull’esterovestizione, cit., ed E. VIAL, Prime riflessioni sulla
nuova presunzione di residenza delle società “esterovestite” e rapporto con le Convenzioni
internazionali, in Fisco, 2006, n. 35, fasc. I, p. 5484. A questo proposito, il documento di prassi precisa
che le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni “non interferiscono con i differenti criteri
di collegamento soggettivo che ciascuno Stato seleziona per stabilire la residenza di un soggetto sul
proprio territorio, limitandosi ad indicare quali elementi e circostanze devono essere, prioritariamente,
valutati in ipotesi di doppia residenza”. 106
D. LEONE, Il nuovo regime presuntivo di localizzazione per le società esterovestite , in Fisco, 2006, n.
38, fasc. I, p. 5979. 107
In tale direzione le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-524/04 del 13 Marzo 2007 (caso Test
Claimants in the Thin Cap Group Litigation), e causa C-201/05 del 23 Aprile 2008 (caso Test
Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation), le osservazioni dell’Assonime contenute nella
Circolare n. 67 del 31 Ottobre 2007 e P. VALENTE, Esterovestizione e eterodirezione: equilibri(smi) tra
sede di direzione e coordinamento, direzione unitaria e sede di direzione effettiva , in Riv. Dir. Trib.,
2010. n. 20, p. 246. Di un certo interesse sono, inoltre, le osservazioni contenute nella Comunicazione
della Commissione europea n. 785 del 12 Ottobre 2007 relativa all'applicazione delle norme anti-abuso
nel settore dell'imposizione diretta, ed in particolare quella secondo cui è essenziale che, ove si presuma
l'esistenza di una costruzione di puro artificio, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri
amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali la transazione
è stata conclusa. In tal senso, così come mostrato da G. CORASANITI, P. DE’ CAPITANI, La nuova
presunzione, cit., p. 114, l’applicazione ragionevole della presunzione non potrebbe di certo risolversi in
una probatio diabolica.
41
presunzione di evasione, la cui ammissibilità è già stata esclusa dalla Corte di
Giustizia per le norme in senso lato antielusive108
.
In tale prospettiva, la norma di cui al comma 5-bis dell’art. 73 Tuir contrasta apertamente
con la libertà di stabilimento, in quanto istituisce un regime impositivo, nel caso di
controllo di una società residente in uno Stato membro, che non garantisce più il
principio in forza del quale i cittadini di ciascuno Stato membro hanno la libertà di
avviare attività economiche autonome in uno Stato membro diverso da quello di origine,
nonché di creare e gestire imprese. Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE , il
Trattato di Roma vieta qualunque disciplina nazionale che, non solo ostacoli la libertà di
stabilimento, ma semplicemente abbia un effetto dissuasivo109
. In tal senso, la
presunzione contenuta nel comma 5-bis si pone in contrasto con il principio della libertà
di stabilimento, in quanto non stabilisce dei limiti precisi alla sua attuazione,
applicandosi indistintamente a tutti gli Stati membri, indipendentemente dal regime di
tassazione adottato110
. Alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia, non sembrerebbe
giustificabile una norma antielusiva portatrice di una presunzione generale il cui ambito
di applicazione sia tanto ampio da colpire anche situazioni dall’intento non elusivo, ossia
eccedente rispetto al principio di proporzionalità111
.
108
In tal senso G. MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires, cit., p. 880, A. TOMASSINI, C. BENIGNI,
Compatibilità con il diritto comunitario delle norme sull’esterovestizione, in Corr. Trib., 2009, n. 45, p. 3704 ss.
e le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-28/95 del 17 Luglio 1997 (caso Leur Bloem), causa C-436/00
del 21 Novembre 2002 (caso X e Y), e causa C-324/00 del 12 Dicembre 2002 (caso Lankhorst Hohorst). 109
Corte di Giustizia UE, causa C-9/02 del 11 Marzo 2004 (caso Hughes de Lasteyriedu Saillant), e causa
C-470/04 del 7 Settembre 2006 (caso N). In dottrina G. COPPOLA, A. POMPILI, Discriminazione fiscale
di soggetti non residenti nella normativa comunitaria, in Fisco, 2006, n. 46, fasc. I, p. 7146, E. DELLA
VALLE, Tassazione degli utili della società estera controllata e rispetto del diritto comun itario, in Corr.
Trib., 2006, n. 42, p. 3347, e G. IZZO, Limiti alla libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi
nell’Unione europea, in Impresa c.i., 2003, n. 12, p. 1888. 110
In tale direzione P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione di
residenza: alcune considerazioni con particolare riguardo alle holding statiche, in Fisco, 2006, n. 36,
fasc. I, p. 5617 e L. DEL FEDERICO, Società estere e presunzione di residenza ai sensi del D.L. n.
223/2006: artt. 43 e 48 del Trattato CE, convenzioni contro le doppie imposizioni e disapplicazione della
norma interna di cui al comma 5-bis dell'art. 73 del Tuir, in Fisco, 2006, n. 41, fasc. I, p. 6374. In tale
prospettiva, così come espresso da A. VIOTTO, Considerazioni di ordine sistematico, cit., p. 274, ed E.
BAGAROTTO (a cura di), La presunzione di residenza, cit., p. 28 potrebbe sembrare ragionevole il
pensiero di parte della dottrina, secondo cui la presunzione di esterovestizione non possono trovare
applicazione in quei casi in cui i presupposti stabiliti dai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 Tuir scaturiscano
da un’operazione che ha beneficiato delle regole di neutralità introdotte in attuazione della Direttiva n.
434/90. 111
Di tale avviso F. SPINOSO, La cd. “esterovestizione societaria”: profili di incompatibilità con le
Convenzioni e con i principi di diritto comunitario , in Fiscalità internazionale, 2007, p. 116 ss., F.
CARRICOLO, Il trasferimento all’estero, cit., p. 7915, G. MELIS, Libertà di circolazione dei lavoratori,
libertà di stabilimento e principio di non discriminazione nell’imposizione diretta: note sistematiche sulla
giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Rass. Trib., 2000, IV, p. 1151 e P.
TURIS, Incompatibili con il Trattato CE le norme fiscali discriminatorie in base al domicilio, in Fisco,
2008, n. 7, fasc. I, p. 1222.
42
In tale quadro, risulta lecito domandarsi in che misura risulti ammissibile, alla luce dei
principi espressi a livello comunitario, l’inversione dell’onere della prova imposto dalla
norma italiana con la libertà di stabilimento. Alla luce di quanto espresso dalla Corte di
Giustizia Europea, è stato ampiamente riconosciuto che un ostacolo alla libertà di
stabilimento è tale anche se di debole portata, sicché anche la semplice inversione
dell'onere della prova potrebbe ritenersi un ostacolo da censurare. Inoltre, così come
mostrato in precedenza, la tutela dell'interesse fiscale può giustificare una restrizione a
tale libertà solo in presenza di pratiche o strutture artificiose. In tal senso, la norma
italiana, così come le altre normative nazionali portate al vaglio comunitario, sembra
sproporzionata rispetto agli obiettivi dichiarati, in quanto coinvolge non solo soggetti di
pura apparenza estera, ma anche soggetti svolgenti vere e proprie imprese commerciali
od industriali fuori dal territorio dello Stato se detentori di partecipazioni in società
italiane. Ciò non significa, tuttavia, che la Corte di Giustizia, qualora fosse chiamata a
pronunciarsi sulla compatibilità dei commi 5-bis e 5-ter con la libertà di stabilimento,
concluderebbe certamente nel senso che tale compatibilità non sussiste, in quanto ad ogni
modo tali considerazioni devono essere valutate nella fattispecie concreta portata in
giudizio ed in tale sede potrebbero colludere con la valorizzazione di altri aspetti, quali,
ad esempio, la relatività della presunzione ed il collegamento ad un criterio sostanziale
come quello della sede dell'amministrazione112
.
In quest'ottica, non essendo il caso Cadbury Schweppes assolutamente decisivo, si
auspica un intervento, in un contesto complesso e disorganico a causa di interventi attuati
a diversi livelli normativi, mirato a creare certezza del diritto, soprattutto in situazioni
nelle quali è abbastanza manifesto che non siano presenti rischi erariali, ovvero si è in
presenza di strutture societarie frutto di operazioni agevolate in campo comunitario o non
siano comunque ipotizzabili comportamenti elusivi da parte del contribuente. In tal
senso, potrebbero essere indicative le raccomandazioni della Commissione europea, le
quali prevedono che le norme sulla residenza non solo dovrebbero far sì che l’onere della
prova non gravi soltanto sul contribuente e i risultati della valutazione dell’autorità
fiscale dovrebbero essere sottoposti a controllo giurisdizionale indipendente, ma tengano
conto anche della capacità generale del contribuente di conformarsi alle norme e del tipo
di operazione considerata113
.
112
R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 337 ss. 113
Così come mostrato da P. VALENTE, Sede di direzione effettiva. La posizione dell’Unione europea, in
Fisco, 2008, n. 30, fasc. I, p. 5411, 2007 la Commissione europea, con la Comunicazione n. 785 del 12
43
Di conseguenza, l’indagine in ordine all’applicazione delle disposizioni antielusive, quali
quella sulla residenza fiscale delle società, non può prescindere dall’analisi delle
motivazioni economiche sottostanti alla localizzazione dell’attività d’impresa all’estero,
dovendosi, pertanto escludere ipotesi di esterovestizione in presenza di valide ragioni
economiche e di insediamenti produttivi o commerciali all’estero.
Ottobre 2007 è intervenuta raccomandando agli Stati membri di condividere le migliori pratiche
compatibili con il diritto comunitario, allo scopo di garantire la proporzionalità delle misure antiabuso.
45
3. LA PROVA DELL’ESTEROVESTIZIONE
Il tema dell’esterovestizione delle persone giuridiche è connotato da indubbi profili di
complessità, che derivano non solo da problematiche applicative della normativa
nazionale e convenzionale di riferimento, ma anche dall’emergere di importanti
tematiche procedurali di non agevole soluzione. Inoltre, nell’ambito delle verifiche fiscali
aventi ad oggetto società estere controllate da soggetti italiani, si pone la necessità , in
primo luogo, di individuare la titolarità dell’onere probatorio e, in secondo luogo,
definire con esattezza il contenuto della prova posta a carico dell’Amministrazione
finanziaria o del contribuente.
In tal senso, non sembrano sorgere particolari complicazioni nel caso in cui vi siano
prove dirette a dimostrare l’esistenza degli elementi fondanti la residenza fiscale nel
territorio dello Stato. Viceversa, nel caso in cui l’esistenza della sede di direzione
effettiva o dell’oggetto principale nello Stato sia desunta da indizi, e quindi presunta, è
necessario valutare la gravità, precisione e concordanza degli stessi.
In tale quadro, al fine di fondare la residenza effettiva di un soggetto estero in Italia, i
relativi riscontri degli organi verificatori devono basarsi su un’analisi complessiva della
situazione di fatto dell’impresa, non limitata ad una valutazione acritica e parziale della
realtà, ma compiuta in un’ottica di substance over form114
. L’onere della prova, in
un’asserita ipotesi di esterovestizione, è naturalmente a carico della Amministrazione
Finanziaria, che dovrà provare la dissociazione fra residenza formale e residenza
sostanziale.
3.1. La presunzione legale dell’art. 73, comma 5-bis, Tuir e la prova contraria
Per ciò che riguarda la modalità di valutazione da parte dell’Amministrazione dei
requisiti della residenza della maggioranza dei soci o degli amministratori ai fini
dell’applicazione della presunzione di residenza della società, occorre rilevare che la
previsione contenuta nell’art. 73, comma 5-bis, seppur da una parte facilita il compito del
verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della
114
Di tale avviso anche il Commentario OCSE, il quale afferma che “la determinazione del luogo della
direzione effettiva è una questione di fatto, nella quale occorre far prevalere la sostanza sulla for ma”, M.
THIONE, M. BARGAGLI, Individuazione di un soggetto esterovestito, cit., p. 7307 e P. VALENTE,
Residenza ed esterovestizione. Profili probatori e schema multi-test, in Fisco, 2008, n. 22, fasc. I, p. 3975
46
residenza effettiva della società, dall’altra non lo esonera dal provare in concreto
l’effettiva esterovestizione dell’ente considerato115
. È opinione condivisa, che l’esistenza
del controllo, sia di diritto che di fatto, rappresenti una mera presunzione relativa, che
potrebbe essere superata, nel momento stesso in cui risulta facile dimostrare
l’impossibilità del presunto soggetto controllante di esercitare in maniera stabile,
duratura e autonoma una posizione dominante all’interno dell’assemblea ordinaria della
presunta società controllata116
. Di conseguenza, il contribuente non potrà fondare l’onere
probatorio sulla mera documentazione formale dell’effettivo svolgimento delle adunanze
dell’organo amministrativo nel territorio dello Stato estero, bensì sulla dimostrazione del
collegamento della società con il territorio dello Stato di residenza117
.
Tale prassi dovrebbe essere rafforzata nei casi in cui vi sia una Convenzione stipulata tra
l’Italia e il Paese estero in cui è ubicata la sede legale della società, in quanto , potendo
essere operativa la tie-breaker rule relativa alla sede di direzione effettiva, dovrebbero
essere prese in considerazione tutte le circostanze ritenute rilevanti118
.
In tale quadro, risulta centrale il ruolo giocato dalle holding cosiddette statiche ovvero
società di mera detenzione di partecipazioni, la cui esistenza ha indotto il legislatore ad
introdurre la previsione normativa di cui al comma 5-bis dell’art. 73, Tuir. In particolare,
non necessitando di una struttura organizzativa visibile, tali holding possono facilmente
domiciliarsi presso studi professionali, in genere localizzati in Paesi in cui domina il
segreto bancario e la stabilità politica ed economico-finanziaria. Di qui l’impossibilità di
stabilire con esattezza il Paese in cui si concretizza l’oggetto principale di tali società119
.
La presunzione contenuta nel comma 5-bis dell’art. 73, diversamente da quanto previsto per
le persone fisiche dall’art. 2, comma 2, essendo connessa al sussistere di una situazione
di per sé statica, cioè la localizzazione della holding, non appone alcuna modifica ai
criteri di collegamento domestici adottati dagli Stati, né tende ad innovarli, ma piuttosto è
115
Protocollo dell’Agenzia delle Entrate, n. 39678 del 19 Marzo 2010, p. 6. 116
G. BERNONI, A. DRAGONETTI, Esterovestizione e controllo, cit., p. 2770 ed E. IASCONE, La
presunzione di residenza di cui all`art. 73, comma 5-bis del Tuir: l`inversione dell`onere della prova, i
"presunti" effetti sostanziali della norma e la sua compatibilità con il diritto comunitario, in Riv. Dir.
Trib., 2010, n. 9, p. 97. 117
In tale direzione T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p. 6532,
P. VALENTE, Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva in ipotesi di esterovestizione, in Fisco, 2010,
n. 27, fasc. I, p. 4308, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 312/E del 5 Novembre 2007 e la
Circolare Assonime, n. 67 del 31 Ottobre 2007. 118
Di tale parere il paragrafo 24 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE e M. THIONE,
L’esterovestizione societaria, cit., p. 550. 119
P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p. 5617 e D.
STEVANATO, Holding statiche e accertamento della residenza fiscale italiana dell`ente estero , in Corr.
Trib., 2008, n. 12, p. 966.
47
volta ad individuare degli elementi sintomatici della direzione effettiva dell’ente che
alleggeriscano l’onere gravante sull’Amministrazione finanziaria. Tale previsione
conduce ad un’inversione dell’onere della prova, la quale passa a carico del contribuente,
che dovrà dimostrare l’effettività della sede della società all’estero e che, pertanto, non
siano integrati i criteri di soggetto residente.
In tale quadro, la norma, ricalcando il criterio indicato in sede OCSE del place of
effective management, risulta alquanto anacronistica, soprattutto in relazione alla
possibilità di derogare al metodo della collegialità, prevedendo assunzioni di decisioni
mediante consultazione scritta o videoconferenze.
Inoltre, secondo parte della dottrina, la formula meccanica contenuta nella normativa
nazionale potrebbe appiattire la società, con un profilo eccessivamente sostanzialistico,
sulla persona del socio, ritenendo più coerente la condizione alternativa per cui l’organo
amministrativo sia composto in prevalenza da soggetti residenti120
.
La stessa identificazione dei soggetti che amministrano l’ente può comportare accertamenti di
fatto volti a verificare se l’attività di amministrazione sia effettivamente svolta dai soggetti
formalmente investiti del ruolo di amministratori, o se, invece, il potere gestorio dell’ente
debba essere ricondotto a soggetti diversi121
. Ciò può riscontrarsi, sia prendendo in
considerazione il socio di riferimento, il quale spesso risulta essere l’effettivo amministratore
dell’ente partecipato, sia altre figure, che non rivestono nessun ruolo interno alla società, ma
l’amministrano per mezzo di rapporti contrattuali di vario genere122
.
Inoltre, tale presunzione, non individuando specifiche circostanze esimenti, non limita in
alcun modo il contenuto della prova contraria a carico del contribuente, né ne rende
l’esercizio particolarmente difficoltoso, lasciando la possibilità di provare liberamente
120
Di tale avviso P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p.
5619. A conferma di ciò, nei casi in cui operi una Convenzione contro la doppia imposizione,
valorizzandosi il place of effective management, l’Amministrazione finanziaria può far valere la
presunzione di residenza della società estera in Italia, solo nel caso in cui il CdA sia formato in prevalenza
da soggetti residenti in Italia. Qualora l’organo gestorio fosse costituito prevalentemente dai medesimi soggetti
che costituiscono il board della capogruppo, è palese che la presunzione che vi sia commistione tra socio di
riferimento ed ente partecipato sarà particolarmente forte, e quindi, l’asserzione che il place of effective
management debba essere individuato nei luoghi di comando della stessa capogruppo sarà più difficile da
superare, anche al di là del fatto che il Consiglio di Amministrazione si fosse effettivamente riunito presso la
sede legale della partecipata. 121
P. BORRELLI, Architetture societarie complesse ed esterovestizione, in Fisco, 2014, n. 30, p. 2984. 122
Esempio cardine è il caso di cui alla Commissione Tributaria Centrale Sez. VII, 10 ottobre 1996, n. 4992.
In tale direzione anche la anche Cass., sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012, la quale precisa che
“qualora gli amministratori risiedano all'estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori
operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti
procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria”.
48
l’effettività dell’insediamento all’estero123
. Ciò avviene anche in riferimento al luogo di
direzione effettiva di matrice OCSE, in quanto lo stesso Commentario, non individuando
in maniera puntale gli elementi fondanti la prova, si riferisce al luogo in cui sono assunte
di fatto le principali decisioni di tipo gestionale e commerciale, necessarie per la
conduzione dell’insieme delle attività dell’impresa, desumibile anche dal luogo in cui si
tengono i CdA, in cui è svolta la gestione direttiva quotidiana dell’impresa e in cui sono
tenuti i libri contabili124
.
Dato che l’Amministrazione finanziaria non ha utilizzato sistematicamente le presunzioni
de quibus al fine di fondare la residenza effettiva di un soggetto estero in Italia, è
difficile riuscire a delineare un quadro ben delimitato degli elementi ritenuti sufficienti ai
fini della dimostrazione dell’effettiva residenza fiscale. Ai fini della prova contraria in
esame, in definitiva, la documentazione da presentare sarà quella ordinariamente detenuta
dall’impresa per fini diversi da quelli esclusivamente tributari e conforme a quella
richiesta dall’OCSE ai fini convenzionali, conferendo così al contribuente la possibilità
di dotarsi caso per caso degli elementi idonei a vincere tale presunzione.
Inoltre, in esito a una ricognizione operata a livello nazionale dalla Direzione Centrale
Accertamento relativa a verbali e atti di accertamento motivati ai sensi del citato comma
5-bis dell’art. 73 Tuir, non sono stati riscontrati verbali basati esclusivamente su tale
presunzione, ma, nella quasi totalità dei casi, fondati sui presupposti previsti dal comma
3 e, comunque, sul riscontro di prove analitiche. Inoltre, dall’esame condotto, si è
appurata la presenza di una serie di processi verbali fondati su tale presunzione, cui non
hanno fatto seguito i relativi atti di accertamento, in virtù della circostanza che la prova
contraria fornita dal contribuente è stata positivamente valutata dall’Amministrazione
finanziaria125
.
123
In tal modo la presunzione di residenza si differenzia dalle norme CFC che, invece, subordinano la
disapplicazione del regime previsto alla dimostrazione da parte del contribuente di circostanze esimenti
espressamente individuate dalla normativa. In tal senso, la stessa Amministrazione finanziaria, con la
Circolare, n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la Risoluzione, n. 312/E del 5 Novembre 2007, al fine di non
limitare la libertà riconosciuta al contribuente, ha evitato l’individuazione puntuale degli elementi di
prova che possono essere addotti per contrastare tale presunzione. Nei medesimi documenti, si sono
comunque date indicazioni ai contribuenti, ammettendo che la dimostrazione della prova contraria possa
essere fornita “sulla base non solo del dato documentale, ma anche sulla base di tutti gli elementi
concreti da cui risulti, in particolare, il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipulazione dei contratti e
le operazioni finanziarie e bancarie siano effettivamente realizzate” . In tal senso B. SANTACROCE, D.
AVOLIO, Le linee guida dell’Agenzia delle entrate sull’esterovestizione, in Corr.Trib., 2012, n. 9, p. 613. 124
Le difficoltà di individuare in maniera univoca e aprioristica l’effective place of management è
testimoniata anche dalla previsione, sempre nell’ambito del Commentario OCSE, di una formulazione
alternativa volta a consentire agli Stati un accertamento esclusivamente casistico di tale requisito. 125
Protocollo dell’Agenzia delle Entrate, n. 39678 del 19 Marzo 2010, p. 13.
49
3.2. Le presunzioni semplici
In assenza delle condizioni fondanti la presunzione legale di cui al comma 5-bis, la prova
circa l’effettiva residenza della società secondo i criteri di cui al comma 3 incombe
sull’Amministrazione, che potrà fornirla anche per presunzioni, purché gravi, precise e
concordanti. In questo caso, anche la controprova del contribuente dovrà avere gli stessi
requisiti126
. Secondo la giurisprudenza, il requisito della gravità è individuabile nella
probabilità che il fatto presunto sia vero, quello della precisione nella certezza del fatto
noto e quello della concordanza nella coerenza tra gli elementi posti alla base della
rettifica127
.
Così come espresso nel capitolo 1, per l’art. 73, comma 3, Tuir, nel caso in cui la sede
legale della società oggetto di verifica si trovi in uno Stato estero, l’elemento di
collegamento tra soggetto e territorio italiano, da cui dipende la determinazione della
soggettività passiva globale della società, è costituito, alternativamente, dalla sede
dell’amministrazione o dall’oggetto principale. Tali requisiti, secondo l’Amministrazione
finanziaria, non operando isolatamente, costituiscono il punto di partenza per una verifica
più ampia, da effettuarsi in contraddittorio, sull’intensità del legame tra la società e lo
Stato estero e tra la medesima e l’Italia.
Dall’analisi della prassi utilizzata dall’Ufficio e dalla conseguente giurisprudenza,
valorizzandosi nella maggior parte dei casi la sede di direzione effettiva, ossia la sede
dell’amministrazione, piuttosto che l’oggetto principale, si è cercato di valutare gli indizi
fondanti la presunzione, nella loro gravità, precisione e concordanza, ricordando che gli
stessi devono verificarsi per la maggior parte del periodo d’imposta.
3.2.1. La gravità
Relativamente alla probabilità di veridicità del fatto presunto, la Corte di Cassazione ha
ritenuto che l’esistenza del fatto ignoto non debba necessariamente rappresentare l’unica
126
In tal senso, pare doveroso ricordare un principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, per cui: “in una
controversia avente ad oggetto l'impugnazione di atti impositivi ammissibilmente fondati su presunzioni,
il giudice tributario di merito ha il compito di verificare che gli indizi utilizzati dall'Ufficio, considerati
singolarmente e nel loro complesso, possiedano i prescritti caratteri di gravità, precisione e
concordanza; nell'ipotesi affermativa, spostandosi a carico del contribuente l'onere di provare la fedeltà
della dichiarazione, la sua domanda di annullamento dell’atto impositivo dovrà essere rigettata, se egli
non fornisce valida prova delle sue affermazioni contrastanti con la pretesa erariale”. Di tale avviso le
sentenze Cassazione, sez. I, n. 4306 del 23 Febbraio 2010, e Commissione Tributaria Provinciale di
Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013. 127
Commissione Tributaria Centrale, sez. X, n. 2419 del 5 Luglio 1994.
50
conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di correlazione assoluta ed
esclusiva, ma è sufficiente una connessione secondo un giudizio di probabilità, alla luce
di regole di esperienza che convincano il giudice circa la verosimiglianza dell'uno quale
effetto dell'altro128
. In tal senso, è utile sottolineare il parere espresso dalla
giurisprudenza in materia, per cui:
«gli elementi posti a sostegno dell'accertamento costituiscono, al più, semplici
indizi e come tali inidonei a provare l'esistenza dell'amministrazione della
società in Italia, presupposto per sostenere presuntivamente la residenza in
Italia. Se così non fosse, infatti, si dovrebbe legittimare una presunzione
(residenza in Italia) attraverso un fatto (sede dell'amministrazione) fondato su
presunzioni semplici, su circostanze di significato non univoco, non certo»129
.
Nell’indicare gli elementi indiziari che, in concreto, possono avere maggiore influenza sulle
dinamiche decisionali, si indicheranno, quindi, indifferentemente, elementi che potranno
essere valorizzati dall’Amministrazione finanziaria per provare l’esterovestizione, ovvero dal
contribuente per provare la coincidenza tra sede effettiva e sede legale.
In tale quadro, l’Ufficio dovrebbe condurre un’adeguata e completa indagine su:
1) l’esistenza effettiva di un’attività imprenditoriale svolta dalla società estera
partecipata dal soggetto italiano nel luogo in cui questa è incorporata (c.d.
business activity test);
2) l’esistenza effettiva di un’organizzazione di uomini e mezzi idonea allo
svolgimento della predetta attività d’impresa (c.d. organization test);
3) valutazioni delle ragioni economiche che hanno indotto il soggetto controllante
italiano a svolgere attività d’impresa all’estero costruendo specifiche legal entities
(c.d. motive test)130
.
Per ciò che riguarda alcuni degli indizi che possono formare la prova, la giurisprudenza
si è così espressa:
«Alla luce dei richiamati principi, nel caso di costituzione di società
commerciale all'estero, al fine di verificare l'effettiva sede della società,
occorrerà far riferimento alla consistenza della struttura organizzativa propria
di cui si serve la società estera per lo svolgimento della sua attività
commerciale; al grado di autonomia decisionale di cui gode detta società nella
scelta delle proprie strategie; alla natura ed alla rilevanza del contributo
fornito dalla controllante italiana; all'adempimento degli obblighi contabili e
fiscali propri della società estera e connessi alla sua attività»131
.
128
Di tale parere le sentenze Cassazione, sez. I, n. 2700 del 26 Marzo 1997, Cassazione, sez. III, n. 5082
del 6 Giugno 1997, Cassazione, sez. II, n. 9782 del 14 Settembre 1999 e Cassazione, sez. II, n. 9884 del
08 Luglio 2002. 129
Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013. 130
C. MARINELLI, G. GIUA, Esterovestizioni delle società di capitale italiane, Euroconference, Verona,
2007, p. 131, e P. VALENTE, Delocalizzazione, cit., p. 36 131
Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 14 Gennaio 2008.
51
In tal senso, non risulta che la giurisprudenza comunitaria, in materia di effettività
d’insediamento economico ed esercizio abusivo delle libertà comunitarie, si sia mai
occupata degli elementi costitutivi la nozione di residenza fiscale e, in particolare, di
sede dell’amministrazione. Al riguardo, si evidenzia che la soluzione italiana, lungi dal
costituire una novità nel panorama legislativo comunitario, recepisce soluzioni già
avanzate nel dibattito internazionale con riferimento alla nozione di derivazione OCSE
del place of effective management, nonché consolidate nell’esperienza applicativa di altri
ordinamenti, come ad esempio Olanda e Germania.
In sede processuale, l’accertamento della localizzazione della sede di gestione effettiva
avviene inevitabilmente sulla base di elementi indiziari, proprio per effetto della “alta
volatilità territoriale” dell’attività di amministrazione e dell’interpretazione aperta del
criterio in esame. Nell’influenzare il libero convincimento del giudice, è allora fondamentale
apportare presunzioni, ancorché semplici, che risultino ragionevoli ed in linea con
comportamenti comuni e tendenzialmente non anti-economici.
In tale quadro, gli elementi di prova devono dimostrare l’effettivo luogo di svolgimento
della gestione operativa della società estera, assumendo rilevanza il grado di autonomia
funzionale dal punto di vista organizzativo, amministrativo, finanziario e contabile.
Dall’esame della giurisprudenza relativa a casi di esterovestizione di società diverse dalle
holding, sono ricavabili alcuni elementi indiziari tipicamente utilizzati a fondamento
dell’attribuzione della residenza fiscale, principalmente sul criterio della sede
dell’amministrazione, tra cui:
1) luogo di provenienza degli atti volitivi;
2) autonomia finanziaria e ubicazione dei conti correnti;
3) luogo di tenuta della contabilità;
4) regolare svolgimento delle riunioni del Cda e residenza degli amministratori;
5) presenza di dipendenti e relative mansioni;
6) esistenza di strutture, uffici e attrezzature;
7) attività di consulenza e negoziale;
8) contenuto delle caselle di posta elettronica.
52
1) Luogo di provenienza degli atti volitivi
In primo luogo, si può considerare l’effettività della gestione sociale da parte dei membri
del CdA, attraverso l’adozione di atti volitivi da parte dei medesimi, risultando
determinanti ai fini dell’analisi: progetti, direttive, autorizzazioni, istruzioni, procure,
deleghe e interventi diretti a migliorare le performance della società stessa132
. Da ciò ne
deriva che, il mero svolgimento dell’assemblea nello Stato estero, con il solo fine di
ratificare delle decisione preventivamente assunte in Italia, si configura come un
elemento grave di esistenza di una “costruzione artificiosa”, tesa ad ottenere un
vantaggio fiscale, altrimenti indebito133
.
Invero, le fattispecie più significative di esterovestizione riguardano società aventi
ufficialmente amministratori locali ovvero domiciliati in loco presso studi legali o società
di servizi, nelle quali i verbali dei CdA vengono predisposti in Italia, anteriormente alla
data della riunione consiliare, e successivamente trasmessi ai referenti locali per la
formale acquisizione documentale134
.
2) Autonomia finanziaria e ubicazione dei conti correnti
Ai fini dell’analisi dell’effettiva autonomia concessa alla società formalmente residente
all’estero, è prassi comune rivolgersi all’esame dell’autonomia finanziaria riconosciuta in
capo alla società estera. In particolar modo, si possono prendere in considerazione la
provenienza delle risorse finanziarie, degli ordini di bonifico o dell'autorizzazione per
l'acquisto di beni e servizi ed il relativo pagamento135
. L’assenza dello svolgimento di tali
attività di matrice finanziaria, in capo alla società estera, può configurarsi come un elemento
grave, nella maniera in cui esprime l’impossibilità della società stessa di assumere decisioni
132
Commissione Tributaria Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, Commissione
Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012,
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVIII, n. 93 del 25 Novembre 2006 e Commissione
Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013. 133
In tal senso, pare esaustiva una citazione estratta dalla sentenza Commissione Tributaria Provinciale di
Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, la quale afferma che “non può trarsi argomento a sostegno
di tale tesi (assenza di esterovestizione) dalla mera circostanza che le assemblee sociali si sono svolte
all’estero, dal momento che le decisioni relative venivano di fatto preventivamente assunte in Italia e
conferite negli atti della società mediante la nomina di mandatari e procuratori nominati e comunque
legati alla società madre”. 134
Esempio lampante è il caso di cui alla sentenza Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. III,
n. 151 del 09 Aprile 2013. 135
Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, Commissione
Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V, n. 528 del 22 Settembre 2011 e Commissione Tributaria
Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012.
53
proprie, che risultano amplificate nel caso in cui impattino l’aspetto finanziario-patrimoniale
dell’impresa.
Per effettuare tale valutazione il giudice dovrebbe tener conto anche del tipo di attività svolta
dalla società oggetto di verifica, in quanto, ad esempio, l’attività prettamente finanziaria di
una società di leasing è preponderante rispetto a quella svolta da un’impresa meramente
manifatturiera.
Tale argomentazione risulta ancora più prorompente nel caso in cui sia correlata
all’ubicazione delle attività bancarie, sia attive che passive, nel territorio dello Stato, con
particolar riferimento all’ubicazione dei conti correnti e al potere in capo ai soggetti italiani di
movimentarli136
.
3) Luogo di tenuta della contabilità
Un altro settore che può essere analizzato agli scopi probatori è il luogo di gestione e tenuta
della contabilità. A tal fine, al momento d’avvio della verifica fiscale, è richiesta alla parte
l’esibizione della documentazione amministrativo-contabile riconducibile al soggetto
verificato. In tal senso, potranno essere presi in considerazione, non soltanto il bilancio e il
libro giornale, ma anche le fatture attive e passive137
.
L’analisi interpretativa del giudice deve, pertanto, disporre degli elementi necessari a valicare
il labile confine che divide lo svolgimento dell’attività gestoria ed il controllo sulla stessa, in
capo alla compagine italiana.
In linea di principio, così come si evince dalla giurisprudenza, il mero ritrovamento di
documentazione di tipo contabile presso la sede italiana risulta, però, spesso irrilevante ai fini
della prova, assumendo, invece, rilevanza l’eventualità in cui tali documenti e informazioni,
necessarie alla redazione del bilancio, siano acquisite in Italia e gli atti rilevanti della società
siano posti in essere da soggetti italiani138
.
136
Commissione Tributaria Centrale, sez. VII, n. 4992 del 10 Ottobre 1996, Commissione Tributaria
Regionale Toscana, sez. I, n. 1 del 12 Gennaio 2012, Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez.
III, n. 151 del 09 Aprile 2013, Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12
Febbraio 2013 e sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013 e Commissione Tributaria Regionale Umbria, sez. III, n.
152 del 01 Ottobre 2013. 137
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. XLI, n. 1694 del 03 Febbraio 2014, Commissione
Tributaria Provinciale di Milano, sez. III, n. 151 del 09 Settembre 2013, Commissione Tributaria
Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, Commissione Tributaria Provinciale di
Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007, Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V,
n. 528 del 22 Settembre 2011 e Tribunale di Milano del 17 Settembre 2013. 138
In tal senso la Commissione Tributaria Provinciale di Varese, sez. III, n. 125 del 03 Ottobre 2013, la
quale afferma che “circa le fatture emesse dalla società (…) non produce sospetto trovarle nella sua
scrivania (dei soggetti italiani) e quindi la documentazione è irrilevante ai fini della prova”.
54
Tale ultima condizione, può essere, inoltre, avvalorata, soltanto in casi sporadici, dal “luogo
presso cui la società incaricata della revisione contabile della società acquisisce tutte le
informazioni ed i documenti necessari”139
.
In tale ottica, può risultare determinante, in alcuni casi, l’evenienza in cui le dichiarazioni
fiscali siano presentate ai competenti uffici esteri, in quanto ciò può attestare che le attività
siano effettivamente svolte al di fuori del territorio italiano140
.
4) Regolare svolgimento delle riunioni del CdA e residenza degli amministratori
Un ulteriore elemento su cui può basarsi la prova può essere anche il regolare
svolgimento delle riunioni del CdA, di cui può essere agevolmente fornita
documentazione unitamente all’evidenza che le riunioni siano tenute presso la sede
sociale con la partecipazione dei diversi consiglieri.
In tale contesto, ci si può avvalere, come elementi di prova, dei biglietti aerei dei viaggi
degli amministratori e con quale periodicità tali spostamenti siano compiuti141
.
In questo caso, tuttavia, la dimostrazione che le riunioni degli amministratori siano state
effettivamente svolte presso la sede legale della società, per adottare le decisioni relative
all’amministrazione dell’ente, potrebbe essere vinta dalla considerazione che tale spostamento
non era necessario, posto che il board, essendo prevalentemente lo stesso di quello della
capogruppo, avrebbe potuto deliberare nei luoghi utilizzati per la controllante e, quindi, lo
spostamento sarebbe stato solamente preordinato ad evitare la riqualificazione della residenza
nello Stato della capogruppo. Tale contestazione, avanzata dall’Amministrazione finanziaria,
prenderebbe forza dalle evidenze empiriche che il costo di una siffatta costruzione probatoria
sarebbe contenuto, dati i veloci mezzi di trasporto e degli altri strumenti di trasferimento di
dati ed immagini, messi a disposizione dalla moderna tecnologia.
Altrettanto forte risulterebbe la presunzione che l’attività di amministrazione sia
effettivamente svolta nel Paese di residenza degli amministratori, quando la maggior parte di
essi sia residente in uno Stato diverso da quello in cui ha sede l’ente amministrato.
Secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, in una siffatta situazione,
risulterebbe poco credibile, perché particolarmente anti-economico, poter pensare che gli
amministratori svolgano effettivamente la propria attività decisionale nel Paese in cui ha sede
139
Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007. 140
Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013. 141
Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013, Commissione
Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVIII, n. 93 del 25 Novembre 2006 e Commissione Tributaria
Provinciale di Belluno, sez. I, n. 174 del 03 Dicembre 2007.
55
la società, ivi trasferendosi quotidianamente o, quantomeno, con quella continuità prevista
dalla norma. Sembrerebbe più logico, invece, pensare che i processi decisionali si siano
effettivamente formati nel Paese di residenza della maggior parte degli amministratori142
.
5) Presenza di dipendenti e relative mansioni
È ormai prassi rivolgersi all’esame delle mansioni e del grado di autonomia concesso in capo
ai dipendenti della società estera. Il caso estremo di mancanza di dipendenti, o l’accertata
subordinazione degli stessi al preventivo assenso da parte di soggetti italiani, si configura
come un elemento di non dubbia interpretazione sull’in-operatività e assenza di autonomia
della società estera, avvalorando così la presunzione dell’Ufficio143
.
Secondo l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria si dovrebbe sganciare il luogo dal
quale derivano gli impulsi volitivi, da quello, non sempre coincidente, in cui si sostanziano le
mansioni giornaliere dei dipendenti. In tal senso, è auspicabile che il giudice prenda in
considerazione il sistema di gestione del personale, inteso come attività di ricerca e selezione,
nonché di accoglimento e inserimento, addestramento e formazione, valutazione delle
prestazioni e conseguente retribuzione. Se tali elementi convergono in capo alla società estera,
difficilmente essa si configura come una costruzione artificiosa, non meritevole di tutela a
livello comunitario.
6) Esistenza di strutture, uffici ed attrezzature
Oltre alla presenza e al ruolo svolto dalla forza lavoro, è interessante analizzare anche un altro
fattore della produzione, rappresentato dalle strutture, dagli uffici e dall’attrezzature
necessarie per lo svolgimento dell’oggetto sociale144
. In presenza di tali elementi e di
un’accertata autonomia da parte del country management, si accerterebbe l’effettività
dell’insediamento all’estero, generato dallo svolgimento di un’attività economica in tale
Paese.
142
P. VALENTE, I controlli dell’Amministrazione finanziaria in materia di residenza fiscale ed
esterovestizione, in Fisco, 2010, n. 26, fasc. I, p. 4126. 143
Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10 Aprile 2013, Commissione
Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008, Commissione Tributaria Provinciale
di Pordenone, sez. V, n. 528 del 22 Settembre 2011 e Tribunale di Milano del 17 Settembre 2013. 144
Commissione Tributaria Provinciale di Como, sez. I, n. 91 del 03 Luglio 2013, Commissione Tributaria
Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013, Commissione Tributaria Regionale Toscana,
sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008 e Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone, sez. V, n. 528
del 22 Settembre 2011.
56
7) Attività di consulenza e negoziale
In tale quadro, emergono anche degli elementi controversi, per i quali la giurisprudenza
italiana non ha saputo trovare una visione univoca e precisa. In tal senso, può essere preso in
esame il luogo di ubicazione dell’attività di consulenza, che, se da una parte, può essere
giustificato dalla “mancanza di una struttura organizzativa tale da poter svolgere tale
funzione”, dall’ altra, non sembra giustificare il “surplus di efficienza e prospettive di
sviluppo” rappresentate dalla delocalizzazione della società145
.
Discorso speculare va effettuato per l’attività negoziale, intesa come i contratti di natura
commerciale o finanziaria, stipulati dall’impresa, ovvero corrispondenza e documenti che
precedono o integrano le trattative commerciali cui è orientata la strategia aziendale.
Nonostante in alcuni casi sia stato messo in evidenza come la sottoscrizione dei contratti in
Italia possa risultare un’operazione anomala e non sempre giustificabile, in altri, prevale la
tesi per cui la “valutazione di convenienza nella stipula di un contratto è lasciata alla libera
valutazione delle parti”146
.
8) Contenuto delle caselle di posta elettronica
Al fine di determinare l’effettività della sede, negli ultimi anni la prassi accertativa
dell’Ufficio si è concentrata sull’analisi del contenuto delle caselle di posta elettronica
dei soggetti sia italiani che esteri, portando, in diversi casi, una valutazione parziale ed
acritica della realtà. Ciò è dovuto al fatto che, in considerazione della prevedibile
innumerevole quantità di dati informatici contenuti nella casella di posta, gli operatori del
Fisco, solitamente, adottano modalità di ricerca “a scandaglio”, mediante opportune
tecniche consolidate, aventi il fine principale di snellire i tempi dediti a tale delicata
operazione, nell’ottica di non arrecare sostanziale pregiudizio agli esiti che ne possono
scaturire147
. Tale pratica, tuttavia, se da una parte consente di velocizzare i tempi di
verifica, dall’altra dovrebbe essere seguita da un’analisi dell’incidenza dei riscontri sul
totale delle operazioni poste in essere e oggetto di esame da parte dei verificatori.
145
Nelle due direzioni rispettivamente la Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84
del 10 Aprile 2013 e Tribunale Milano del 17 Settembre 2013. 146
La citazione è estrapolata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. II, n. 84 del 10
Aprile 2013. In senso opposto, Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. I, n. 1 del 12 Gennaio
2012 e, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008. 147
Così come descritto da P. VALENTE, Modalità di esecuzione dell’attività ispettiva, cit., p. 4304, è il
caso, ad esempio, dell’impiego di opportune “parole-chiave” da immettere nei sistemi informatici
dell’Amministrazione finanziaria per la lettura dei supporti contenenti il back up dei dati dell’azienda
ispezionata, di modo che vengano estratti tutti i documenti contenenti la parola -chiave medesima, con
evidente risparmio in termini di tempo impiegato.
57
3.1.2. La precisione
Per ciò che riguarda il requisito della precisione, esso si concretizza nella necessità che
sia individuato il reale contenuto degli indizi148
. Sotto quest’ultimo profilo,
l’interpretazione del criterio della sede dell’amministrazione pone alcuni rilevanti
problematiche, in particolare con riguardo alle società appartenenti a gruppi societari.
All’interno dei gruppi il potere gestorio di ciascuna società è sempre condizionato,
secondo gradi di intensità diversi, dall’attività di direzione e coordinamento svolta dalla
società capogruppo, che stabilisce le linee strategiche, definisce l’assetto organizzativo e
decide sulle operazioni di maggior rilevanza per l’intero gruppo, anche qualora esse
vengano poste in essere in capo ad una società partecipata.
In tale contesto, la sede di direzione effettiva non può essere intesa come il luogo in cui
vengono prese le decisioni strategiche, in quanto assunte a livello della capogruppo, ma
dovrebbe essere ricondotta al luogo da cui provengono le decisioni relative
all’amministrazione propria dell’ente, che in una società appartenente ad un gruppo
societario, si limitano tendenzialmente alla gestione e direzione quotidiana.
Diversamente, si assisterebbe all’inaccettabile conclusione che il place of effective
management di tutte, o quantomeno gran parte, delle società appartenenti ad un gruppo
debba essere ricondotto presso le strutture di comando della capogruppo, con la
conseguenza che, qualora non sia evidente il radicamento delle società nel territorio degli
Stati esteri, in cui sono situate le loro sedi legali, esse potrebbero essere considerate
fiscalmente residenti nello Stato della controllante, con buona pace della libertà di
stabilimento garantita in sede comunitaria149
.
Per stabilire, perciò, quando l’ingerenza del socio rientri nell’attività di direzione e
coordinamento e quando invece ne ecceda, sostituendosi alla stessa attività di
amministrazione dell’ente controllato, si dovrebbe aver riguardo all’attività che si è
definita di gestione e direzione quotidiana dell’ente, la quale si concretizza, in sostanza,
in tutte le attività ordinarie e caratterizzate da una certa continuità, come, ad esempio,
l’attività di organizzazione e di controllo dei processi e dei fattori produttivi, la gestione
148
In tal senso, la sentenza Cass., sez. I, n. 9265 del 02 Settembre 1995: “gli elementi attraverso i quali è
concesso risalire dal fatto noto a quello da provare debbono avere i caratteri della certezza e della
concretezza”. 149
A.M. GAFFURI, S. COVINO, Ancora su residenza fiscale, sede amministrativa e società holding , in
Dialoghi di Diritto Tributario, 2006, n. 1, pag. 77 e P. VALENTE, Esterovestizione e eterodirezione, cit.,
p. 231.
58
del personale, le attività di relazione con i terzi, la stipula di contratti inerenti alla
gestione ordinaria, gli incassi e i pagamenti, gli adempimenti fiscali150
.
La localizzazione della sede di direzione effettiva per le società appartenenti a gruppi
societari, tuttavia, dovrebbe avvenire avendo presente la tendenza a concentrare, in capo
alla capogruppo, le decisioni strategiche per tutte le società controllate. Per le società
appartenenti a gruppi societari, perciò, l’individuazione della sede di direzione presso i
locali di comando della controllante, può essere legittimamente sostenuta solo se lo
svuotamento decisionale della controllata risulti tale da eccedere il tradizionale
accentramento delle funzioni decisorie in seno alla capogruppo151
.
Tale confronto, tuttavia, non deve essere compiuto solamente in relazione ad un
fantomatico “grado di accentramento medio”, riscontrabile negli altri gruppi societari,
ma deve soprattutto essere svolto in relazione a quanto succede nei confronti delle altre
società del medesimo gruppo.
Così, se per tutte le società consociate si riscontra l’accentramento delle funzioni di
pianificazione strategica, finanziaria e coordinamento amministrativo e contabile in capo
alla controllante, queste attività non possono essere valorizzate per determinare il luogo
in cui deve essere localizzato il place of effective management della singola controllata.
Su tale argomentazione, si è espressa la giurisprudenza, sancendo che:
«l'esistenza di un penetrante controllo di una società nei confronti di altra e perciò
l'assoggettamento della società controllata costituisce fenomeno ben diverso dallo
svolgimento delle attività di gestione amministrativa della società controllata. Le
due fattispecie non possono essere né sommate né confuse, perché, altrimenti,
situazioni giuridicamente rilevanti, fra loro nettamente differenziate, verrebbero
rese coincidenti con effetti aberranti sul piano giuridico»152
.
Sempre all’interno dei gruppi societari, restano da chiarire gli effetti sulla presunzione
derivanti dall’esistenza di un patto parasociale, quali ad esempio i sindacati di voto o di
blocco, il quale impedisca, pur disponendo di una maggioranza assoluta dei diritti di
150
Si deve, però, avere attenzione a non confondere questa tipologia di attività con una mera attività di
back office, in quanto la gestione e direzione ordinaria deve comunque esprimere un’attività di direzione,
in cui la componente decisionale e di responsabilità deve essere preminente. 151
Così come espresso da G. MARINO, M. MARZANO, R. LUPI, La residenza della società e controllo
tra schemi OCSE ed episodi giurisprudenziali esterni, in Dialoghi Tributari, 2008, n. 3, p. 91 se, perciò,
tutte, o quantomeno la maggior parte, di queste attività di ordinaria amministrazione possono essere
ricondotte direttamente al socio, si potrebbe sostenere che l’ente viene di fatto direttamente amministrato
dal socio di riferimento e, quindi, la sede dell’amministrazione potrà essere ragionevolmente individuata
nella sede stessa della capogruppo. Contrariamente, se nella società partecipata si riscontra l’autonomo
svolgimento delle attività di gestione quotidiana, ancorché ridotte ai minimi termini per effetto della
penetrante ingerenza della capogruppo, non potrà essere legittimamente af fermato che la sede
dell’amministrazione dell’ente debba essere individuata presso la sede della controllante, ma andrà
individuata nel luogo in cui concretamente le attività di gestione ordinaria vengono svolte. 152
Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. XXV, n. 61 del 18 Gennaio 2008.
59
voto, l’esercizio di un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di un’altra società.
L’esistenza di un tale patto, secondo alcuni, non dovrebbe far ritenere operante la
presunzione di esterovestizione, in quanto negli accertamenti compiuti in tema di
esterovestizione societaria i verificatori tendono sempre più a valorizzare gli aspetti certi,
concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità del
principio della substance over form. Invece, secondo l’impostazione più rigida, contenuta
nella Risoluzione, n. 245/E del 1 Settembre 2009, il controllo di diritto di cui al n. 1),
comma 1, dell’art. 2359 c.c. deve essere verificato a prescindere dalla reale influenza
decisionale all’interno del gruppo da parte di una società e senza tener conto di quanto
disposto da determinate clausole statuarie che, nello specifico, potrebbero assegnare il
controllo di fatto ad un socio di minoranza.
Alla luce di quanto sin qui esposto, va ribadito che nel configurare l’esterovestizione non
rilevano elementi strutturali quali l’attività di direzione e coordinamento strategico, o
l’attività accentrata di gestione di taluni servizi finalizzata al risparmio di costi, elementi
questi che sono del tutto connaturali ed ordinari in presenza di imprese controllate, e che
nulla c’entrano, a ben vedere, con la residenza fiscale della singola società partecipata.
In tale quadro, bisogna sottolineare che l’attività di amministrazione, sia se intesa come
attività di determinazione delle scelte strategiche, sia nel caso dei gruppi societari come
gestione ordinaria dell’ente, risulta essere un’attività tendenzialmente priva di un chiaro
collegamento territoriale, essendo essenzialmente basata su processi cognitivi e relazionali,
che, grazie anche alle moderne tecnologie, possono essere comunicati e resi esecutivi in tempi
brevissimi anche in luoghi molto distanti l’uno dall’altro. Se si vuole garantire la sostanzialità
del criterio della sede di direzione effettiva, non si può ritenere sufficiente, al fine della
verifica dello stesso, l’individuazione del luogo in cui si sono svolte le riunioni dei soggetti
che amministrano l’ente, in quanto la sola valorizzazione di questi elementi comporterebbe,
data la facilità di trasferimento dei soggetti e la possibilità di utilizzare forme di riunione a
distanza, l’opportunità per il contribuente di localizzare il place of effective management a
proprio piacimento, sganciandolo perciò dallo Stato di effettiva residenza153
.
In effetti, la presunzione non può essere precisa, in quanto la precisione è propria delle
scienze matematiche, ma se non si vuole cadere in puro determinismo filosofico, non può
153
Inoltre, la valorizzazione del solo luogo in cui gli amministratori si riuniscono per deliberare, non garantisce
che l’attività di amministrazione si sia ivi effettivamente svolta con la continuità temporale prevista dalle norme
sulla residenza, in quanto le riunioni dell’organo gestorio sono solamente momenti istantanei, la cui frequenza
nell’anno è solitamente limitata.
60
caratterizzare una presunzione, la quale, semmai, deve tendere a un elevato grado di
probabilità del fatto presunto.
3.2.3. La concordanza
Quanto al requisito della concordanza, esso presuppone che gli elementi presuntivi siano
molteplici e, quindi, convergenti tra loro.
Va tuttavia rilevato che non devono necessariamente sussistere una pluralità di elementi
presuntivi, in quanto anche un solo fatto, di particolare gravità, può legittimare la pretesa
dell’Ufficio. Qualora, tuttavia, sussistano più presunzioni, deve necessariamente essere valido
il requisito della concordanza, nel senso che le diverse presunzioni devono essere dirette alla
medesima dimostrazione154
.
In tale quadro, risulta chiaramente che gli elementi di supporto citati hanno valenza
puramente esemplificativa, con la precisione che non sussiste tra essi alcun rapporto di
prevalenza, né si presume che essi debbano essere esibiti congiuntamente155
.
154
Così come espresso da P. COLLINI (a cura di), Lezioni di economia e misurazione aziendale,
Università degli Studi di Trento, Trento, 2010, p. 47, ciò è dovuto anche dal fatto che, dal punto di vista
aziendale, tutte le scelte relative alla definizione dell’assetto dell’impresa sia per quanto riguarda le condizioni di
produzione e consumo, che quelle tecniche e quelle relative all’organismo personale, sono interconnesse tra di
loro. Allo stesso modo l’assetto aziendale, non può essere considerato disgiuntamente dall’assetto istituzionale,
inteso come agli organi e alle logiche che presiedono alle decisioni strategiche che attengono alla funzione di
governo economico dell’impresa. 155
In tale contesto, si deve valorizzare la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria italiana relativa
all’impossibilità per il contribuente di interrogare preventivamente l’Amministrazione stessa, tramite la
proposizione di istanza di interpello.
61
4. LIMITI DI UTILIZZO DEL CRITERIO DEL PLACE OF
EFFECTIVE MANAGEMENT
Il concetto di residenza fiscale delle persone giuridiche propone alcuni aspetti di particolare
rilievo, in quanto non si configura soltanto come un problema di mero diritto, ma sembra
altresì collegato a fattori di forza politica, i quali influenzano la scelta dei criteri da utilizzare
per ricollegare la residenza al territorio, secondo le logiche più coerenti con il principio di
giustizia che vige nei vari Paesi.
In Italia, la tensione tra opposte esigenze, appare dal confronto tra uno dei tre criteri di cui
all’art. 73 Tuir, ossia l’oggetto principale, e le indicazioni contenute nell’art. 4 del Modello
OCSE, in quanto, nelle due norme, il requisito di effettività, che impone una ricerca del luogo
di residenza concreto, sembra riferirsi a due aspetti diversi, non sempre sovrapponibili e
potenzialmente determinanti sotto il profilo dell’esercizio dei poteri impositivi156
.
Mentre nell’art. 73, l’effettività si riferisce all’oggetto principale, inteso come attività
esercitata, prendendo, quindi, in considerazione anche il luogo in cui l’impresa svolge
effettivamente la propria attività, l’art. 4 del Modello OCSE privilegia il place of effective
management, interpretato come luogo in cui si trova la mente dell’impresa che adotta le
decisioni societarie più importanti, prescindendo dal luogo di svolgimento delle attività157
.
Alla luce di quanto fin qui esposto, è lecito domandarsi, in astratto, se sia corretto collegare la
residenza delle persone giuridiche al luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche
dell’impresa, ovvero al luogo dal quale proviene il maggior apporto causale alla produzione
del reddito della società.
Dovendosi valorizzare, secondo il Commentario anche il luogo in cui è svolta la gestione
direttiva quotidiana dell’impresa, risulta lecito domandarsi se i due termini possano in
qualche modo coincidere, riducendo di fatto il dualismo che vige nella prassi di
valorizzazione della sede dell’amministrazione ovvero dell’oggetto principale158
.
156
Di tale avviso le sentenze Cassazione, sez. II, n. 7739 del 22 Novembre 2011 e Cassazione, sez. penale,
n. 1811 del 17 Gennaio 2014. 157
A supporto di tale tesi, il comma 5 dell’art. 73, Tuir afferma che: “in mancanza dell’atto costitutivo o dello
statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività
effettivamente esercitata nel territorio dello Stato”. Viceversa, così come indicato al par. 24 del Commentario
OCSE: “il luogo di gestione effettiva è il luogo in cui sono prese in sostanza le decisioni importanti di gestione
(key management) e quelle commerciali, necessarie per l’andamento dell’ente commerciale nel suo complesso”. 158
Sull’identificazione della sede amministrativa nel luogo in cui sono compiuti quotidianamente gli atti
gestionali, si veda anche C. GARBARINO, Manuale di tassazione internazionale, cit., p. 282 e la
sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. XVI, n. 108 del 18 Aprile 2007.
62
In tal senso, occorre ricordare che, in virtù del principio di prevalenza, a livello costituzionale,
degli accordi di tipo internazionale sulla disciplina interna, in presenza di una Convenzione
contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato in cui è presente la sede legale
della società, l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica, dovrà attenersi a quanto
stabilito in tale Convenzione e, in particolare, al criterio risolutivo della sede di direzione
effettiva159
.
In tale contesto, un breve excursus storico può delineare quali siano stati i fattori che hanno
permesso al place of effective management di imporsi come criterio risolutivo delle
controversie relative alla residenza fiscale.
L’orientamento dell’OCSE deriva da una tradizione iniziata nel mondo anglosassone, in
mancanza di previsioni internazionali, con alcuni casi di fine ‘800, primi del ‘900, relativi alla
tassazione di società inglesi, gestite nel Regno Unito, ma il cui oggetto principale era
collocato al di fuori del territorio dello Stato. Tale concetto risulta coerente con la mentalità
dell’epoca, dominata da un crescente colonialismo, che permetteva alle società multinazionali
registrate in Inghilterra, di utilizzare le proprie risorse finanziarie per svolgere effettivamente
la propria attività all’estero. In tale contesto, la presenza nel Regno Unito degli
amministratori, i quali impartivano le linee strategiche della società, rappresentava, oltre al
luogo di registrazione, l’unico collegamento in grado di attrarre la residenza di tali società nel
territorio dello Stato160
.
In tal modo, risulta giustificata la scelta del giudice anglosassone, il quale, valorizzando dati
immateriali di tipo volitivo-intellettualistico, ha collegato la residenza all’organo che controlla
l’attività, piuttosto che all’attività stessa, prescindendo da criteri di prevalente connessione
economica con il territorio. In tal senso, il concetto di place of effective management nasce da
un’impostazione discutibile, derivante dalla smania tipica dell’era colonialista di depredare le
risorse dei Paesi arretrati, attraendo la residenza e di conseguenza i redditi, presso il Paese
colonizzatore, con la finalità sia di continuare a sfruttare le risorse di tali Paesi, impedendone
l’effettiva crescita economica, sia di non perdere gettito, altrimenti attratto dal Paese
colonizzato.
A livello internazionale, dunque, il criterio del place of effective management, figlio di
un’ottica imperialista, ha colonizzato anche le Convenzioni contro le doppie imposizioni
159
M. PENNESI, C. BENIGNI, Esterovestizione: la sede dell’amministrazione determina la residenza fiscale, in
Corr. Trib., 2012, n. 24, p. 1879 e R. BAGGIO, Sede dell`amministrazione, sede di direzione effettiva e gruppi
di società, in Riv. Dir. Trib., 2010, n. 11, p. 707. 160
G. MOSCHETTI, Origine storica, significato, cit., p. 253 e P. TARIGO, Il concorso di fatti imponibili
nei trattati contro le doppie imposizioni, Giappichelli Editore, Torino, 2008, p. 183.
63
adottate da gran parte dei Paesi, imponendosi nel tempo per consuetudine, fortemente
influenzato dalla forza commerciale e politica dei singoli Stati.
Il primato del luogo ove vengono assunte le decisioni potrebbe essere meglio utilizzato nelle
limitate ipotesi in cui fosse in discussione la residenza di società holding, in cui l’aspetto
principale della gestione sembra assorbire ogni altro aspetto dell’attività economica
dell’impresa161
. Viceversa, nel caso in cui, accanto all’attività intellettuale di gestione,
sussista una rilevante attività materiale di produzione di beni o servizi, che presupponga
rapporti e contatti quotidiani con clienti, fornitori, pubbliche amministrazioni locali, è
indubbio che la residenza fiscale della società dovrebbe essere nel Paese in cui viene svolta
l’attività, ancorché il socio e l’amministratore risiedano e prendano le decisioni in Italia162
.
Si potrebbe concordare sulla residenza di una società siffatta dal punto di vista civilistico, ma
non certo dal punto di vista del diritto tributario, ove rileva, piuttosto, il luogo di prevalente
apporto alla produzione del reddito ed alle spese pubbliche, spesso trascurato dalle sentenze
inglesi relative al place of effective management e giustificato dallo stretto collegamento
economico-produttivo o dai doveri conseguenti all’appartenenza di una comunità.
In linea generale, se si determinasse la causa dell’imposta nei vantaggi e nei benefici che il
contribuente si procura partecipando alla vita economica collettiva, il principio
dell’appartenenza economica dovrebbe avere maggior peso nell’attribuire a uno o più Stati il
diritto all’imposizione, in quanto soltanto l’appartenenza stabile al ciclo vitale di una
comunità nazionale dovrebbe essere considerata un indice affidabile del grado di connessione
etica, politica, economica e sociale rispetto alla comunità medesima163
.
Questo tipo di collegamento richiedendo non soltanto un elemento materiale, ossia l’attività
svolta, ma anche un elemento temporale, ossia il legame durevole, ravvisabile nella
previsione che i criteri si debbano verificare per maggior parte del periodo d’imposta,
giustifica il concorso alle spese pubbliche e l’attribuzione dello ius impositionis sul reddito
161
R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 321, P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le
esterovestizioni alla prova della presunzione, cit., p. 5622 e D. STEVANATO, Oggetto principale della
holding e territorialità dell’imposta sulle successioni e donazioni, in Corr. Trib., 2007, n. 29, p. 2353. 162
Così come espresso da G. COPPOLA, A. POMPILI, La residenza fiscale, cit., p. 5115, C.
GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, cit. , p. 190 e V. PIACENTINI, Principi generali
di tassazione, cit., p. 328, l’utilizzo del criterio di direzione effettiva anche in ipotesi di attività imprenditoriale,
potrebbe raffigurarsi come un’interpretazione forzata che contrasta, altresì, con il primo comma dell’art. 4 del
Modello OCSE, il quale afferma che per essere considerato residente di uno Stato contraente è necessario essere
liable to tax per tutti i redditi; non si è, invece, considerati residenti se si è liable to tax solo con riguardo al
reddito derivante da quel territorio o al capitale ivi situato. 163
E. LONGOBARDI, Economia tributaria, McGraw-Hill, Milano, 2009, p. 7, P. BOSI, M.C. GUERRA,
I tributi nell’economia italiana, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 12 e P. BOSI (a cura di), Corso di scienza
delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 15.
64
mondiale allo Stato ove sono più pregnanti i legami economico-sociali. Pertanto, sotto
un’ottica del principio del beneficio, essendo da prediligere il territorio in cui maggiormente
l’attività economica ha creato spese pubbliche e, per converso, il soggetto ha beneficiato di
tali spese, si dovrebbe privilegiare l’utilizzo del criterio dell’oggetto principale, in quanto si
sostanzia in un collegamento con il luogo in cui emerge la ricchezza, ossia ove si esercita
l’attività economica, piuttosto che al luogo in cui avviene la mera gestione organizzativa o il
mero controllo dell’attività164
.
In tal senso, l’Italia ha svolto Osservazioni all’art. 4, terzo comma, del Modello OCSE,
contenute nel par. 25 del Commentario, secondo cui, al fine di stabilire il place of effective
management, l’Italia ritiene non accettabile la determinazione della sede di direzione effettiva
fondata sull’unico criterio del luogo in cui gli organi di rango più elevato prendano
ufficialmente le loro decisioni, dovendosi considerare anche il luogo ove viene esercitata
l’attività principale della società165
. Si tratta di un’impostazione pienamente in linea con il
dato normativo interno che, come abbiamo già avuto modo di rilevare, lega la residenza della
società non solo alla sede legale o alla sede dell’amministrazione, ma, alternativamente, anche
all’oggetto principale della propria attività166
.
Inoltre, in ambito internazionale il criterio del place of effective management non ha riscosso
il consenso da parte di tutti gli Stati. In tal senso, basti ricordare, così come espresso nel
capitolo 1, la preferenza per il place of incorporation espressa dal Canada e dagli Stati
Uniti, la prassi israeliana di valorizzare l’oggetto principale e la condivisione da parte
dell’India dell’osservazione espressa dall’Italia in sede OCSE167
.
Tale impostazione ha trovato anche dei consensi in dottrina, soprattutto nella specificazione
del contenuto dell’oggetto principale, di cui all’art. 73 Tuir. In tal senso, è utile ricordare, così
come espresso al capitolo 1, che, ai fini dell’individuazione dell’oggetto principale
dell’attività, non si dovrà prendere in considerazione soltanto il mercato di riferimento
164
Così come espresso da P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le esterovestizioni alla prova della
presunzione, cit., p. 5620, individuando la residenza fiscale nel luogo in cui sono prese le decisioni, si rischia
di cadere nel formalismo, perdendo di vista la realtà dei fatti. Inoltre, così come mostrato da A. FANTOZZI, Il
diritto tributario, Utet, Torino, 2003, p. 886 e G. MOSCHETTI, Origine storica, significato, cit., p. 254, il
place of effective management mostra tratti di anacronismo, considerando che le decisioni sullo svolgimento
delle attività rimesse ad organi collegiali non sono riconducibili spesso ad un luogo fisico determinato, bensì ad
un incontro telematico di persone collocate in posti diversi. 165
T. FUMAGALLI, Note a margine della disciplina dell’esterovestizione, cit., p. 6531 e M. GRAZIOLI,
M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p. 5003. 166
E. VIAL, Prime riflessioni sulla nuova presunzione, cit., p. 5488. e G. COPPOLA, A. POMPILI, La
residenza fiscale, cit., p. 5115. 167
In tal senso, C. D’AVINO, United States, cit., p. 299, K. BROOKS, Canada, cit., p. 187, e P.
VALENTE, La residenza fiscale delle persone giuridiche nella prassi di alcuni Paesi UE ed extra-UE,
cit., p. 2259.
65
del fatturato aziendale, ma soprattutto dati concreti, materialmente riscontrabili, quali, ad
esempio la localizzazione degli investimenti, la sede degli impianti produttivi e/o di
stoccaggio, la sede degli uffici ove si svolgono le funzioni amministrativo-contabili168
.
Un altro elemento da prendere in considerazione riguarda la compatibilità del place of
effective management con la libertà di stabilimento, sancita a livello comunitario. Così come
espresso nel capitolo 2, il concetto di stabilimento implica l’effettivo svolgimento di
un’attività economica, rendendo operative le restrizioni a tale libertà soltanto in presenza di
strutture artificiose, le quali non riflettono la realtà economica della società. La valutazione
circa la sussistenza di una costruzione fittizia deve effettuarsi, secondo la Corte
comunitaria, in concreto e caso per caso, tenendo conto di elementi oggettivi e
verificabili da parte di terzi, tali da comprovare l’effettività dello stabilimento nello Stato
ospite, nonché della concreta sostanza delle attività ivi svolte in termini di locali,
personale ed attrezzature.
Di conseguenza, l’indagine in ordine all’applicazione delle disposizioni antielusive, quali
quella sulla residenza fiscale delle società, non può prescindere dall’analisi delle
motivazioni economiche sottostanti alla localizzazione dell’attività d’impresa all’estero,
dovendosi, pertanto, escludere l’esistenza di costruzioni artificiose in presenza di valide
ragioni economiche e di insediamenti produttivi o commerciali all’estero. In tal senso, la
valorizzazione dell’oggetto principale sembra sposarsi meglio con l’indirizzo promosso
dalla Corte di Giustizia Europea, in quanto considera l’attività effettivamente svolta,
ossia la strategia realizzata e dispiegata in concreto, in luogo della strategia pensata,
riscontrabile nella sede di direzione effettiva, andando a valorizzare, in tal modo, le
valide ragioni economiche sottese al business della società.
168
Di tale opinione, la sentenza della Cassazione, sez. penale, n. 7080 del 23 Febbraio 2012 e n. 1811 del
17 Gennaio 2014. e G. MELIS, Il trasferimento della residenza, cit., p. 241 e D. STEVANATO, R. LUPI,
Oggetto principale ed interposizione ai fini della residenza fiscale delle società esterovestite, in Dial. Dir.
Trib., 2007, n. 12, p. 1551. Inoltre, così come espresso da P. VALENTE, Il criterio dell’oggetto
principale, cit., p. 4468, una valutazione dell’oggetto principale avulsa da tali componenti, potrebbe
portare a distorsioni per cui una società che cura soltanto alcune fasi della lavorazione di un bene prodotto
e venduto in Italia, sia attratta nel territorio dello Stato italiano, in ragione del fatto che questi rappresenti
il principale mercato di riferimento in cui è realizzata la maggior parte del fatturato. Così come espresso
da F. NANETTI, Riflessioni in tema di oggetto principale, cit., p. 3810, una parte minoritaria della
dottrina, ha auspicato che il criterio dell’oggetto principale subisca delle modificazioni, configurandosi
quale attività posta in essere dagli amministratori per realizzare gli scopi indicati nell’atto costitutivo, così
da ritenere che la sede effettiva sia quella in cui si persegue l’oggetto principale nella sua nuova
accezione. Tale impostazione, però, appare molto diversa da quella seguita sia in dottrina che
dall’Amministrazione finanziaria, ma, secondo i sostenitori, una sua diffusione potrebbe permettere di
avere una ricostruzione più precisa e maggiormente in linea con il sistema normativo di riferimento.
66
4.1. Rapporti tra diritto interno e disposizioni pattizie
Nel corso di una verifica finalizzata all’individuazione della residenza fiscale di una
società, i verificatori possono trovarsi di fronte a valutazioni diverse, a seconda
dell’eventuale presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e lo
Stato in cui tale società ha la propria sede legale. Mentre nel caso in cui non operi la
Convenzione, i verificatori avrebbero la possibilità di scegliere, sulla base degli elementi
in loro possesso, se applicare il criterio della sede dell’amministrazione ovvero quello
dell’oggetto principale dell’attività, previsti dall’art. 73, comma 3, Tuir, nel caso di
presenza della stessa, essi dovrebbero attenersi alla tie-breaker rule, prevista dall’art. 4,
par. 3, del Modello OCSE, la quale afferma che quando un soggetto diverso da una
persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, esso è considerato residente
dello Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva169
.
La presenza di diverse disposizioni normative e la prospettazione di differenti soluzioni
volte ad attenuare il pregiudizio arrecato dalla doppia imposizione impongono,
conseguentemente, un’attenta analisi dei rapporti tra la normativa nazionale e quella
contenuta nelle convenzioni bilaterali. A tal proposito, la dottrina ha evidenziato che le
convenzioni internazionali costituiscono veri e propri trattati internazionali , assumendo
rilevanza anche nel nostro ordinamento, a seguito della ratifica per il tramite di una legge
ordinaria votata ed approvata dal Parlamento nazionale.
Riguardo ai rapporti tra la normativa interna e quella pattizia, pertanto, deve riconoscersi
natura sovraordinata a quest’ultima, ricoprendo nella gerarchia delle fonti una posizione
gerarchicamente preordinata170
.
Il principio dell’applicazione della normativa pattizia in luogo di quella nazionale,
tuttavia, è stato solo parzialmente recepito nel nostro ordinamento, ove si assiste ad uno
scarso coordinamento tra i vari livelli normativi. Ciò si evince anche, indirettamente, dal
disposto dell’articolo 169 Tuir, il quale afferma che “le disposizioni del presente Testo
169
S. COVINO, Sede dell'amministrazione, oggetto principale e residenza fiscale delle società, in Dial.
Dir. Trib., 2005, n. 6, p. 929 e P. VALENTE, Il criterio dell’oggetto principale, cit., p. 4474. 170
Del resto, lo stesso testo costituzionale prevede, all’art. 10, che “l'ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, mentre l’art. 117 stabilisce
che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” Parte della dottrina,
invece, pur condividendo la tesi della prevalenza della normativa pattizia su quella interna, ritiene che tale
assunto debba essere giustificato sulla base dell’antica massima giuridica “ lex specialis derogat lex
generalis”, ossia posta su un piano paritetico rispetto a quella nazionale, prevalendo su quest’ultima in
quanto norma speciale. In tale direzione G.M. CROXATTO, Manuale di diritto internazionale privato,
Cedam, Padova, 1999, pag. 646.
67
Unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga degli accordi
internazionali contro la doppia imposizione”171
.
Sulla base, pertanto, del rinvio contenuto nell’art. 169 Tuir, è data facoltà all’operatore
economico di invocare l’applicazione della normativa italiana tutte quelle volte in cui le
convenzioni bilaterali forniscano soluzioni meno favorevoli. In tal modo, il legislatore
nazionale sembrerebbe aver attribuito efficacia superiore alla normativa nazionale
rispetto a quella convenzionale e, dunque, l’applicazione della fonte interna, non soltanto
qualora si riscontri una lacuna nelle disposizioni pattizie, ma anche nell’ipotesi in cui sia
prevista una disciplina più favorevole, la quale deve essere accertata tenuto conto non
della singola disposizione, ma del quadro normativo completo, con conseguente
applicazione del regime fiscale più conveniente172
.
Ciò è avvalorato dal fatto che l’art. 24, paragrafo 55, del Commentario OCSE rileva che
alcune convenzioni stipulate dall’Italia contengono una clausola di deroga che, fermo
restando il divieto di discriminazione, fanno salva la possibilità di applicare disposizioni
antievasive o antielusive interne173
.
Il giudice, qualora si trovi di fronte a un’antinomia tra norma interna ed internazionale,
dovrebbe procedere alla disapplicazione della norma interna. Tuttavia, l’art. 169 Tuir,
consentendo il rispetto delle norme di tipo internazionale, in quanto può comportare una
diminuzione del gettito in capo allo Stato italiano e mai in capo all’altro Stato contraente,
non ribadisce un generico principio di specialità, ma ne tempera gli effetti, consentendo
al contribuente di effettuare una scelta in merito alla norma applicabile.
Date tali premesse, nel caso della residenza fiscale delle società, dovrebbe essere
applicato il criterio più favorevole per il contribuente e, quindi, in presenza dell’oggetto
principale in uno Stato estero, non si dovrebbe attrarre la residenza in Italia in
171
G. MELIS, Lezioni di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2013, p. 194. 172
In tal senso, si può prendere in considerazione il ruolo attribuito alle società di persone nelle
Convenzioni internazionali e dalla prassi ministeriale interna. Cosi come mostrato da S. ZANONI, e P.
BERTOLASO, Regime presuntivo di localizzazione, cit., p. 7370, secondo la versione del Commentario le
società di persone rientrano nella definizione di “persona” con riferimento all’art. 3 e, in particolare,
possono essere ricomprese nei termini “società o altra associazione di persone”. In base all’orientamento
espresso dall’Amministrazione finanziaria, con la Circolare, n. 306/E del 23 Dicembre 1996, “qualora le
società di persone, in conformità delle legislazioni interne degli Stati contraenti, siano a ssimilate alle
persone giuridiche si deve ritenere che anche ai fini della Convenzione esse si configurino come società,
e, di conseguenza, sono considerate ai fini della Convenzione, come persone giuridiche rientranti nella
definizione di ‘persone’. In caso contrario, ossia qualora le società di persone non siano assimilate alle
società secondo la normativa tributaria interna degli Stati contraenti, ai fini della Convenzione saranno
considerati residenti i singoli soci”. 173
È il caso della Convenzione tra l’Italia e l’Oman che, all’art. 24, paragrafo 6, dispone che: “Tuttavia, le
disposizioni dei paragrafi precedenti del presente Accordo non pregiudicano l’applicazione delle
disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale”.
68
applicazione del principio del place of effective management, il quale, non tenendo in
adeguata considerazione le peculiarità del caso specifico, non sarebbe “sempre e comunque”
utilizzabile come criterio risolutivo delle ipotesi di doppia imposizione.
Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se non sarebbe più coerente utilizzare il criterio della sede di
direzione effettiva quale criterio non più primario, ma solo secondario, nell’ipotesi in cui vi
sia conflitto nell’attribuzione della residenza tra più Stati, in cui l’impresa svolge la propria
attività principale174
.
In definitiva, alla luce dei principi di razionalità e proporzionalità, il place of effective
management sarebbe ragionevolmente utilizzabile, per esempio, nei seguenti casi:
1) vi sia controversia tra più Stati sul luogo di gestione di una holding statica175
;
2) vi siano più Stati in cui è esercitata in termini uguali l’attività principale;
3) non sia possibile stabilire il luogo in cui si svolge l’attività principale176
.
Quando, invece, l’oggetto principale dell’attività sia chiaramente ubicato in un unico Paese,
non dovrebbe essere applicabile il criterio del place of effective management.
174
G. MELIS, La residenza fiscale delle società Ires, cit., p. 3497 e G. MOSCHETTI, Origine storica,
significato, cit., p. 273. 175
R. BAGGIO, Il principio di territorialità, cit., p. 321 e P. BERTOLASO, E. BRESSAN, Le
esterovestizioni alla prova della presunzione, cit. ,p. 5622. 176
Ciò può trovare conferma anche nel Commentario OCSE, il quale, al par. 23, afferma che “la formulazione
del criterio di preferenza nel caso di persone giuridiche fu considerata in particolare in relazione alla
tassazione del reddito derivante da attività di navigazione, trasporti navali interni e trasporti aerei”, le quali
avvengono in plurimi Paesi e con plurimi luoghi in cui emerge il reddito derivante dall’oggetto principale
dell’attività.
69
CONCLUSIONI
Il quadro esposto consente, seppur senza pretesa di completezza, di evidenziare i tentativi
prodigati dal legislatore comunitario e nazionale, di delineare un ambiente regolamentare
uniforme al fine di minimizzare l’aleatorietà della disciplina, anche se, nonostante gli
sforzi profusi, il tema della residenza fiscale non appare completamente risolto.
In modo sempre più frequente, le imprese italiane scelgono di costruire o controllare
società con sedi in altri Stati, al fine di ivi svolgere attiv ità, sia con l’intento di abbattere
i costi, ricercando un minor costo della manodopera e delle migliori condizioni di
operatività, sia per vicinanza ai mercati cui si rivolgono.
In tale contesto, assume una rilevanza sempre più pregnante il concetto di residenza
fiscale, espressa nell’art. 73 Tuir, attraverso il quale è possibile attrarre in Italia, anche
società formalmente residenti all’estero ma la cui sede dell’amministrazione od oggetto
principale si trovino in Italia. Non esprimendo la previsione normativa una gerarchia tra
questi due principi, la prassi accertativa degli Uffici si indirizza sempre più spesso
nell’applicazione della sede di direzione effettiva, coincidente nella novella legislativa
nazionale con la sede dell’amministrazione.
In tal quadro, si inserisce anche la previsione a livello comunitario della difesa della
libertà di stabilimento, che ha indotto la Corte di Giustizia Europea a riconoscere la piena
estensione del diritto di stabilimento, ritenendo del tutto legittimo la costituzione di una
società in uno Stato membro al fine di beneficiare dei vantaggi riconosciuti da tale
Paese177
. Si è, dunque, affermato il principio secondo cui, anche in assenza di un diritto
societario armonizzato, ci si può avvalere della libertà di stabilimento in tutte le sue
articolazioni, escludendo da tale tutela, tuttavia, i casi di costruzioni artificiose intese ad
eludere la normativa nazionale178
.
La stessa Amministrazione finanziaria italiana, in diversi documenti e nelle osservazioni
contenute nel Commentario OCSE, ha dato preminenza al luogo in cui viene effettivamente
svolta l’attività, risultando difficile stabilire il labile confine tra l’attività di direzione e lo
177
P. TROIANELLO, Lo stabilimento delle società, cit., p. 147. 178
In tale direzione le sentenze della Corte di Giustizia UE, causa C-196/04 del 12 Settembre 2006 (caso
Cadbury Schweppes), causa C-105/07 del 17 Gennaio 2008 (caso Lammers & Van Cleeff), della
Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, sez. I, n. 173 e n. 174 del 3 Dicembre 2007, della
Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. I, n. 47 del 12 Febbraio 2013 e sez. II, n. 84 del 27
Febbraio 2013.
70
svolgimento della stessa179
.
In tal senso, è necessario verificare caso per caso se sussistono elementi di collegamento
sufficienti a far attribuire alla società estera la residenza fiscale in Italia, sia sotto il
profilo della sede dell’amministrazione o dell’effettiva attività svolta e che gli stessi si
verifichino per la maggior parte del periodo d’imposta.
Ne deriva la necessità dell’Ufficio, in sede di accertamento, di considerare diverse
variabili, valutando non solo l’aspetto qualitativo degli elementi di fatto riscontrati, ma
anche la loro prevalenza quantitativa e la combinazione degli stessi, alla luce delle
disposizioni non solo nazionali ma, in presenza di convenzioni, anche pattizie.
In ogni caso, l’inevitabile mancanza di un’elencazione di elementi tali da comprovare la
fittizia residenza della società, dovuta alla diverse modalità con cui il fenomeno può
presentarsi, si riflette anche sulla certezza del rapporto giuridico d’imposta, nonché sulla
natura e sull’entità dei rilievi operati180
.
In tale quadro, risulta particolarmente difficoltoso individuare, sul piano normativo,
criteri sostanziali di collegamento di una persona giuridica al territorio di un singolo
Paese e da ciò ne discendono delle criticità in capo al contribuente nel fornire prova
contraria idonea a disinnescare le presunzioni dell’Ufficio.
I dubbi operativi sono rafforzati qualora si prendesse in considerazione come elemento
determinante, il luogo in cui l’attività viene effettivamente svolta e dal quale, di
conseguenza, deriva il concorso alle spese pubbliche, che porterebbe a una preferenza
dell’oggetto principale, in luogo del place of effective management.
Per le molteplici ragioni sopra esposte, dunque, le attuali norme giuridiche di riferimento
non garantiscono efficacemente piena armonia da un punto di vista sistematico, con la
conseguenza che il concetto di residenza fiscale ed in conseguente fenomeno
dell’esterovestizione societaria costituiscono un argomento di rilevante criticità
nell’ambito del diritto tributario nazionale ed internazionale.
179
In tal senso la Circolare, n. 28/E del 4 Agosto 2006 e la Risoluzione, n. 312/E del 5 Novembre 2007. 180
S. CAPOLUPO, Reddito d’impresa, cit., p. 73 e M. THIONE, L’esterovestizione societaria, cit., p.
559.
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