L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere». August Ludwig von...

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L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere» August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo Società editrice il Mulino Bologna di Federico Trocini

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L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere»

August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo

Società editrice il Mulino Bologna

di

Federico Trocini

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Fondazione Bruno Kessler

Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento

Monografi e, 53

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della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet:

www.mulino.it

L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere»

August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo

di

Federico Trocini

Società editrice il Mulino Bologna

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ISBN 978-88-15-13178-2

Copyright © 2009 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografi co, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie

TROCINI, Federico L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere» : August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo / di Federico Tro-cini - Bologna : Il mulino, 2009. - 262 p. ; 22 cm. - (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Monografi e ; 53) Nell’occh.: Fondazione Bruno Kessler. - Bibliogr.: p. 235-258ISBN 978-88-15-13178-2 1. Rochau, August Ludwig von

320.092 (DDC 21.ed)

Composizione e impaginazione a cura di FBK - Editoria

FBK - Studi storici italo-germanici

DirettoreGian Enrico Rusconi

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Sommario

p. Introduzione

CAPITOLO PRIMO: August Ludwig von Rochau e la «Realpo-litik»: un pubblicista dimenticato e un concetto controverso

1. L’itinerario biografico di A.L. von Rochau tra «Vormärz» e «Nachmärz»

2. La discussione sul concetto di «Realpolitik» tra Otto- e Novecento

CAPITOLO SECONDO: Gli anni del radicalismo e del fourie-rismo (1830-1840)

1. La scoperta della società e la politica come «scienza positiva»

CAPITOLO TERZO: Gli anni della crisi tra Francia e Germania (1840-1852)

1. L’esperienza rivoluzionaria in Germania (1848-1850)2. Il bonapartismo alla luce della «Realpolitik» (1850-1852)

CAPITOLO QUARTO: Gli anni della svolta: la scoperta della «legge del potere» (1852-1859)

1. Caratteri generali e signifi cato della «Realpolitik»2. Il «Nationalverein» e la rivoluzione dall’alto (1859-1869)

CAPITOLO QUINTO: La «Realpolitik» liberale: un progetto fallito?

Fonti e bibliografi a

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Introduzione

La versione defi nitiva di questo studio costituisce una riela-borazione della tesi di dottorato in «Studi politici Europei ed Euro-americani», a cui ho lavorato, nel corso del triennio 2002-2005, presso il Dipartimento di Studi Politici dell’Uni-versità di Torino.

In quell’occasione, sotto la guida dei proff. Francesco Tuccari e Massimo L. Salvadori, misi a confronto gli itinerari intellet-tuali e biografi ci di August Ludwig von Rochau e di Heinrich von Treitschke, cercando di fare luce sulle ragioni politiche e culturali che avevano fatto da sfondo, intorno agli anni Cin-quanta e Sessanta del XIX secolo, alla riformulazione in chiave realpolitisch e machtpolitisch della dottrina liberale tedesca. In particolare, sulla base di alcune osservazioni avanzate a suo tempo da Innocenzo Cervelli, ebbi modo di riscontrare che, pur partendo da un insieme condiviso di problematiche teo-riche e pratiche, Rochau e Treitschke svilupparono la propria rifl essione politica secondo logiche complementari. Di fronte alle questioni poste dal processo di costruzione dello Stato nazionale, dal rapporto tra politica e dimensione di massa, tra potere, libertà e unità, Rochau e Treitschke intrapresero infatti la riformulazione della dottrina liberale a partire da premesse sensibilmente diverse: in linea con la tradizione del liberalismo progressista, il primo trasse perlopiù ispirazione dai modelli positivistici e naturalistici; in linea con la tradizione del liberalismo moderato, il secondo soprattutto dai modelli dell’aristotelismo politico.

Sulla base di tali elementi potei perciò rilevare che tra la Realpolitik del primo e la Machtpolitik del secondo esistevano, al di là delle generiche affi nità convenzionalmente riscontrate,

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notevoli differenze concettuali, che sarebbero state destinate a sfumare, almeno in parte, solo dopo il 18661.

In questa nuova versione ho preferito lasciare in disparte il confronto con Treitschke a favore di un più approfondito esame del pensiero di Rochau, il quale, sebbene abbia introdotto nel lessico politico tedesco le nozioni di Socialismus (1840) e di Realpolitik (1853), risulta tuttora, rispetto al più noto storico liberal-nazionale, un autore scarsamente studiato sia in Italia sia in Germania2.

Attraverso l’analisi del profi lo intellettuale e politico di August Ludwig von Rochau, mi sono quindi proposto di indagare un segmento decisivo e tuttavia perlopiù inesplorato della storia del liberalismo e del nazionalismo tedesco nel XIX secolo. Più precisamente, ricostruendo una porzione rilevante dei dibattiti che accompagnarono il processo di formazione dello Stato nazionale in Germania, ho ripercorso le linee essenziali entro cui prese avvio, all’indomani del 1848, la formulazione del paradigma realpolitisch. In tale contesto tematico l’analisi delle opere di Rochau ha naturalmente costituito un riferimento indispensabile per fi ssare alcuni passaggi cruciali della storia tedesca, per fare luce sulle problematiche con cui dovette fare i conti la cultura liberale nella seconda metà del XIX secolo, per ridiscutere le interpretazioni correnti e restituire infi ne la nozione stessa di Realpolitik alla propria complessità.

Desidero esprimere la mia gratitudine innanzitutto al prof. Francesco Tuccari, che sin dall’inizio ha seguito con grande disponibilità e pazienza le differenti fasi di elaborazione del mio lavoro e che continua tuttora a offrirmi suggerimenti decisivi; in secondo luogo, ai professori Massimo L. Salva-dori, Pier Paolo Portinaro, Bruno Bongiovanni, Gian Enrico

1 I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo in Prussia 1850-1858, in par-ticolare pp. 388-389, e, dello stesso autore, Realismo politico e liberalismo moderato in Prussia negli anni del decollo, in particolare pp. 166-167.2 C. JANSEN, August Ludwig v. Rochau; N. DOLL, Recht, Politik und «Real-politik», p. 11 e A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 39.

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Rusconi e Brunello Mantelli che, in momenti diversi, hanno letto e commentato la versione defi nitiva del presente lavoro.

Un ringraziamento speciale spetta infi ne a mia madre e a mio padre.

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Capitolo primo

August Ludwig von Rochaue la «Realpolitik»:un pubblicista dimenticatoe un concetto controverso

Nei primi decenni dell’Ottocento, l’Europa centrale attraversò un’intensa fase di trasformazione, che coinvolse un vasto insieme di fenomeni: dall’espansione della partecipazione politica all’incremento della mobilità sociale, dallo sviluppo economico al progresso tecnologico e scientifi co. Nelle regioni di lingua tedesca, tuttavia, questo vigoroso processo di modernizza-zione dovette fare i conti con la tenace resistenza di modelli istituzionali arcaici e con la sorprendente vitalità dei gruppi sociali tradizionali1. Nonostante l’andamento inevitabilmente alterno, fortemente condizionato da tali gravami, l’insieme di questi fenomeni di rinnovamento sociale ed economico favorì la formazione e il consolidamento del movimento liberale, contribuendo altresì a scandirne le trasformazioni e le evolu-zioni interne2. A riprova di tale intreccio, se già le giornate del luglio 1830 avevano contribuito a rinnovare la rifl essione sui fondamenti della sovranità e sui meccanismi di formazione e di rappresentazione della volontà politica, quelle del giugno 1848

1 Faccio qui esplicito riferimento alla nozione di «spazio germanofono», usata di recente da Brunello Mantelli, per evitare l’anacronismo implicito nel termine generico Germania, che, proiettando ai tempi di Tacito un concetto di natura statuale molto più recente, rischia di creare gravi effetti distorsivi; cfr. B. MANTELLI, Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel, in particolare pp. 3-6. 2 J. BREUILLY, La formazione dello Stato nazionale tedesco 1800-1871, pp. 21-77; J.J. SHEEHAN, German Liberalism in the Nineteenth Century, pp. 10 ss.

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indussero il movimento liberale a confrontarsi con gli effetti di una trasformazione generale, nel contesto della quale, alla questione politico-istituzionale si erano abbinate la questione sociale e quella nazionale.

A tale proposito, alle parole con cui, alla vigilia del 1848, Tocqueville aveva preannunciato il profi larsi di una nuova tempesta rivoluzionaria, che sarebbe stata «interamente al di fuori della borghesia e contro di essa», fecero eco le parole con cui, nel 1854, Droysen registrò l’ormai defi nitivo tramonto del buon mondo antico:

«Così è il presente; tutto vacilla … Il vecchio si è logorato, si è alterato, si è consumato, è andato perso. E il nuovo è ancora privo di forma, senza scopo, caotico, soltanto distruttivo … Siamo di fronte a una di quelle grandi crisi, che portano da un’epoca del mondo a una nuova, simile a quella delle crociate»3.

La consapevolezza di questa delicata situazione costituì il tratto principale dello schieramento liberale tedesco, il quale, negli anni Cinquanta, fu impegnato a formulare una strategia che facesse tesoro dell’esperienza rivoluzionaria appena conclusa e, al contempo, bilanciasse gli effetti sociali del processo di modernizzazione4.

Sulla scia di tale intenso e talora lacerante processo di aggior-namento teorico e pratico, il termine Realismus, transitando con disinvoltura dalla sfera della fi losofi a a quella della letteratura, fu accolto con successo anche nel vocabolario politico5. Oltre

3 J.G. DROYSEN, Zur Charakteristik der europäischen Krisis, in particolare p. 328. 4 S. BLÄTTLER, Der Pöbel, die Frauen etc., pp. 132 ss.; M. FIORAVANTI, Giu-risti e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, pp. 131 ss. Questo intenso processo di modernizzazione della struttura sociale fu contraddistinto da un trentennio di sviluppo industriale accelerato (1846-1873), che pose le basi per la futura potenza economica tedesca e, al contempo, anticipò alcuni sintomi del «declino liberale»; cfr. H.-U. WEHLER, L’Impero guglielmino 1871-1918 (1973), pp. 51-58, e H. ROSENBERG, Ascesa e prima crisi mondiale del capitalismo 1848-1857 (1934), p. 60.5 H. HOLBORN, Bismarck’s Realpolitik, soprattutto p. 85 e, dello stesso autore, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II: Reform und Restauration,

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a Ludwig Feuerbach, che già nel 1842 aveva profetizzato l’av-vento di un’era segnata dallo «spirito del realismo»6, di tali fermenti fu autorevole testimone anche Theodor Fontane, che sintetizzò così il senso della svolta culturale in atto:

«Ciò che, sotto ogni aspetto, caratterizza la nostra epoca è il suo realismo … Non resta alcun dubbio: il mondo è stanco di speculazioni»7.

Allo stesso modo, a giudizio di Karl Rosenkranz, l’incipiente massifi cazione dei rapporti politici, segnando il tramonto della fi ducia nella ragione come mezzo privilegiato per la ricompo-sizione delle lacerazioni politico-sociali8, aveva scagliato

«sulla fi losofi a la sensazione della propria completa impotenza … La massa le voltò le spalle, accusandola di vuoto idealismo, incapace di valutare gli interessi concreti del presente e tale da rendere infelici gli uomini mediante false pretese nei confronti della realtà»9.

Secondo le testimonianze dei contemporanei, la piena tradu-zione in campo politico di tali inquietudini spetterebbe tuttavia ad August Ludwig von Rochau, il quale, nel 1853, coniò la fortunata espressione Realpolitik10, con cui intese denunciare come astratti dogmatismi l’infatuazione per le idee del 1789, il dottrinarismo liberale del biennio 1848-1849 e le «illusioni del socialismo» (Träumereien des Socialismus).

Liberalismus und Nationalismus: 1790 bis 1871, pp. 202-223; W. KLEIN - P. BODEN, Realismus, IV, in particolare pp. 49-51.6 L. FEUERBACH, Grundsätze der Philosophie der Zukunft, p. 221.7 T. FONTANE, Unsere lyrische und epische Poesie seit 1848, p. 7.8 Si pensi alla concezione marxiana del proletariato come negazione della razionalità della società moderna: la totale negatività implicita nell’esistenza del proletariato aveva, a parere di Marx, completamente rovesciato la realtà della ragione, del diritto e della libertà nella realtà della falsità, dell’ingiustizia e della schiavitù. 9 K. ROSENKRANZ, Epilegomena zu meiner Wissenschaft der logischen Idee, p. 2; D. LOSURDO, La catastrofe della Germania e l’immagine di Hegel, pp. 35-38.10 In realtà, a causa dell’anonimato con cui Rochau desiderò tutelarsi dalle insidie della censura, la paternità dei Grundsätze der Realpolitik e della nozione stessa di Realpolitik fu inizialmente attribuita ad Arnold Ruge; C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 261.

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Anticipando le linee essenziali di una nuova epoca, destinata a sancire l’egemonia prussiana, il termine coniato da Rochau, divulgato da Heinrich von Treitschke e infi ne reso celebre da Otto von Bismarck, acquisì presto un posto di primo piano nella letteratura politica, al punto da assumere il signifi cato di vero e proprio spartiacque tra le diverse fasi della vicenda storico-politica tedesca11. Sia in relazione all’impatto dei moti rivoluzionari del 1848, sia in relazione all’imporsi del con-cetto di Realpolitik, la storiografi a ha tradizionalmente fatto riferimento alle espressioni di Vormärz e di Nachmärz per indicare due distinte stagioni, ciascuna con caratteristiche e problematiche proprie.

Il concetto di cesura implicito in questa distinzione non deve tuttavia essere interpretato in senso assoluto, perché quella consumatasi tra Vormärz e Nachmärz non fu una rottura netta, riconducibile all’infl uenza di qualche autore o scritto parti-colarmente signifi cativo. Resta in ogni caso indubbio che, costituendo una sintesi indicativa del travaglio della cultura liberale tedesca tra gli anni Quaranta e Sessanta, le opere di Rochau contribuiscono a illustrare alcuni importanti aspetti del processo di trasformazione economica, sociale e politica avvenuta nei decenni centrali del XIX secolo12.

L’approfondimento del contraddittorio itinerario biografi co di Rochau, nonché dell’articolata traiettoria intellettuale che lo condusse, a ridosso del biennio rivoluzionario, a riformulare la strategia del movimento liberale tedesco, risulta, dunque, tanto più opportuno se si considera che, a dispetto della stra-ordinaria fortuna della nozione di Realpolitik, sia i Grundsätze der Realpolitik, sia il loro autore hanno sinora suscitato poco più che una distratta attenzione.

Le ragioni di tale paradosso sono verosimilmente due. In primo luogo, dando eccessivo credito alla leggenda del cosiddetto

11 I. CERVELLI, Realismo politico, p. 218; E.R. HUBER, Deutsche Verfas-sungsgeschichte seit 1789, II: Der Kampf um Einheit und Freiheit 1830 bis 1850, 1968, pp. 386-388, e M. STOLLEIS, Die Allgemeine Staatslehre im 19. Jahrhundert, pp. 12-16. 12 G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 230.

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«colpo di fulmine» (Blitzstrahl) di Treitschke13, la storiografi a specialistica, salvo rare eccezioni, ha assimilato il concetto di Realpolitik alla rifl essione svolta dai principali esponenti del nazional-liberalismo14. In secondo luogo, riconducendo a un medesimo fi lone la rifl essione di Rochau e quella di un autore discusso come Treitschke, sulla mancata fortuna del primo ha poi pesato il discredito nutrito verso tutti coloro che, dopo il 1945, furono ritenuti intransigenti apostoli di uno spregiudicato opportunismo politico e presunti teorici dello Stato di potenza15.

Il risultato è che, sebbene possa essere considerato uno dei più interessanti pubblicisti politici tedeschi della seconda metà del XIX secolo, Rochau è rimasto a lungo un autore scarsamente noto non solo in Italia, ma anche nella stessa Germania: e proprio a tale proposito, sia Sigfried August Kaehler nel 1952, sia Karl Georg Faber già nel 1966 denuciarono la sorpren-dente scarsità di studi dedicati ai Grundsätze der Realpolitik di Rochau, che pure avevano introdotto «novità di ampia portata nel campo delle scienze dello Stato»16.

Da allora, sebbene l’opera maggiore di Rochau sia stata ripub-blicata nel 1972 a cura di Hans-Ulrich Wehler e la storiografi a anglo-americana abbia offerto contributi notevoli allo studio della storia del liberalismo tedesco, la situazione generale non è cambiata molto. Infatti, a eccezione del recente lavoro di Natascha Doll, manca tuttora un’analisi complessiva della vita e delle opere di Rochau: basti pensare che perfi no nel suo celebre lavoro del 1979, nel quale aveva affrontato il tema del cosiddetto ‘dilemma liberale’ tra Einheit e Freiheit, Heinrich A. Winkler non dedicò neppure un breve accenno a Rochau17.

13 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 1-10.14 H. HOLBORN, Bismarck’s Realpolitik, pp. 94-95; K. LICHTBAU, Macht, soprattutto p. 607.15 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 1, e W. GOLDSCHMIDT, Politik, in particolare p. 768.16 S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, e K.G. FABER, Real-politik als Ideologie.17 H.A. WINKLER, Liberalismus und Antiliberalismus, pp. 20-23.

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Lo stesso può essere detto anche a proposito della nozione di Realpolitik, la quale, a dispetto della sua grande fortuna e dei più diversi ambiti in cui è comunemente richiamata, spesso è stata fatta rientrare – abbastanza frettolosamente – nella tradizione secolare del ‘realismo politico’, oppure, in forza di quella singolare coincidenza di pregiudizi cui si è poc’anzi accennato, è stata derubricata come mero sinonimo di cinismo amorale e di esaltazione della forza18.

Partendo quindi dalla constatazione che Rochau è sinora fatal-mente rimasto uno «sconosciuto»19, il presente lavoro nasce da un duplice ordine di convinzioni: anzitutto che l’insieme di contraddizioni di cui egli si fece carico, prima come interprete delle esigenze del Vormärz, poi delle esigenze del Nachmärz, lo rendono una fi gura emblematica nella storia del liberalismo tedesco; in secondo luogo che l’analisi della sua produzione intellettuale – sollecitata dall’impatto prodotto dagli eventi successivi al 1848, dal colpo di Stato bonapartista in Francia, e infi ne dall’avvio del processo di unifi cazione in Germania – permette di far luce sulle origini, sulle peculiarità e sul destino controverso della nozione di Realpolitik.

A tali convinzioni si accompagnano altrettante considerazioni preliminari: innanzitutto che anche gli elementi più contraddit-tori presenti nella sua rifl essione rinviano allo specifi co universo concettuale della cultura politica – in particolare liberale – tedesca; in secondo luogo che il suo complesso itinerario intel-lettuale costituisce un caso paradigmatico dell’estrema varietà delle anime presenti all’interno del movimento liberale tedesco e delle diverse modalità con cui esso, di fronte al profi larsi di sfi de sempre più complesse, fu costretto a operare una netta revisione delle proprie strategie e dei propri principi.

18 W. KRAUSHAAR, Realpolitik als Ideologie, pp. 132-137, e soprattutto N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 2, 7 e 11. Per il concetto di realismo politico, cfr. P.P. PORTINARO, Il realismo politico, e F. MEINECKE, L’idea della Ragion di Stato, pp. 405-406, e M. STOLLEIS, Geschichte des öffentlichen Rechts, pp. 276 e 423-425. 19 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 3.

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Cospiratore democratico, pubblicista politico di successo, militante del Nationalverein prima, e della National-liberale Partei poi, membro del Vorparlament di Francoforte nel 1848 e del Deutscher Reichstag nel 1871; e ancora «studente rivo-luzionario», «politico liberale», «propagandista della forza»20, Rochau fu una fi gura estremamente controversa, il cui itinerario si svolse sullo sfondo di una trama di eventi decisivi per la storia tedesca: dalla conclusione dell’avventura napoleonica alla Restaurazione, dal diffondersi delle aspirazioni nazionali al divampare dei moti del 1848, dall’esperienza della stretta repressiva degli anni Cinquanta all’avvio della rivoluzione industriale, dallo scoppio del confl itto costituzionale prussiano alla conclusione del processo di unifi cazione nazionale sotto le insegne degli Hohenzollern.

Nonostante la complessità degli eventi qui brevemente richia-mati, il suo itinerario biografi co e intellettuale può essere schematicamente suddiviso in tre fasi principali.

La prima, che ricade a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, coincise con il periodo della militanza nelle Burschenschaften e con quello dell’esilio parigino, trascorso a stretto contatto con i circoli dell’emigrazione tedesca di orientamento demo-cratico e repubblicano. Questo intervallo di tempo può essere a sua volta suddiviso in due momenti: il primo, compreso tra il 1828 e il 1833, segnato da uno spiccato velleitarismo rivoluzionario e da un’altrettanto radicale concezione della tematica nazionale; il secondo, compreso tra il 1836 e il 1846, segnato dall’adesione, più o meno strumentale, agli ideali del socialismo libertario francese e del riformismo repubblicano. Tra questi due momenti si colloca poi il triennio 1833-1836, trascorso in carcere, durante il quale Rochau avviò un primo parziale superamento del proprio radicalismo giovanile.

La seconda fase, che ricade tra il 1846 e il 1859, fu perlopiù segnata dal fallimento del biennio rivoluzionario in Germania. Sul piano politico esso fu contraddistinto dall’avvicinamento

20 T. HENNE, Rochau August Ludwig von; F. WILD, Ludwig August von Rochau, in particolare pp. 109-120.

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alle posizioni del Linksliberalismus, dal superamento della pregiudiziale anti-monarchica e infi ne da un’accentuata ostilità verso il radicalismo democratico e il conservatorismo cetuale. Un momento decisivo fu poi rappresentato dall’osservazione e dall’analisi della presa del potere da parte di Bonaparte in Francia: un evento questo che, secondo alcune delle interpreta-zioni più attente21, costituì la premessa decisiva per la stesura, nel 1853, dei Grundsätze der Realpolitik22.

La terza fase, che ricade tra 1859 e 1873, coincise infi ne con gli anni della militanza nel Nationalverein, del lacerante confronto con la Cäsarengestalt bismarckiana, dell’ingresso nelle fi la del partito nazional-liberale e infi ne con la pubblicazione, nel 1869, della seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik. Come si avrà modo di osservare più avanti, quest’ultima fase, che vide il compimento dell’unifi cazione nazionale e che fu segnata dalla progressiva, per quanto problematica, adesione di Rochau al nazional-liberalismo, comporta alcune notevoli diffi coltà sotto il profi lo interpretativo complessivo, anche perché, a causa della sua morte improvvisa (1873), resta per così dire incompiuto.

La periodizzazione cui si è appena fatto riferimento non deve tuttavia suggerire l’immagine di una netta distinzione tra il periodo giovanile e quello della maturità, perché l’itinerario complessivo di Rochau, nonostante i repentini cambi di rotta, fu caratterizzato dalla persistenza di un canone unitario, sia sotto il profi lo dottrinale sia sotto quello stilistico, teso a con-cepire lo Stato nazionale come ideale assoluto. La distinzione tra le tre fasi della sua biografi a deve perciò essere letta solo in termini di chiarezza espositiva.

A prescindere dal primo capitolo dedicato alla ricostruzione del suo percorso biografi co e alle diverse interpretazioni del concetto di Realpolitik, nei tre capitoli centrali di questo lavoro mi sono proposto di ripercorrere e di organizzare altrettanti quadri coerenti le svolte che segnarono la vicenda personale di Rochau.

21 Si veda per esempio G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 144.22 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil] (1853).

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Nel secondo capitolo prenderò soprattutto in esame il testo del 1840, dedicato all’esposizione e all’analisi della ‘teoria sociale’ di Charles Fourier23. Rispetto alla complessità della sua rifl essione più matura, in questo capitolo emergeranno in particolare due dati essenziali: in primo luogo, lo stretto rapporto tra il vocabolario politico del giovane Rochau e la cultura democratico-radicale; in secondo luogo, la presenza, già in questa fase iniziale della sua biografi a, di alcune signifi -cative anticipazioni della stagione teorica che sarà inaugurata dopo il 1848.

Nel terzo capitolo affronterò l’intensa opera di concettua-lizzazione a cavallo tra la fi ne degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, nel corso della quale Rochau contribuì a riformulare le prospettive del movimento liberale tedesco alla luce del binomio tra Einheit e Macht. Oltre all’analisi della produzione pubblicistica e saggistica, dedicata all’inter-pretazione dello scenario politico tedesco tra 1848 e 1852, in questa sezione sarà anticipato l’esame del XX capitolo dei Grundsätze der Realpolitik, nel quale, affrontando il tema del bonapartismo, Rochau denunciò la necessità di una strategia che, costituendo una signifi cativa anticipazione della via poi effettivamente seguita da Bismarck, fosse in grado di escludere ogni trauma rivoluzionario, di permettere signifi cativi passi avanti sul piano nazionale e infi ne di contenere la dinamica di massa della politica24.

Nel quarto capitolo, con l’analisi dei Grundsätze der Realpolitik e di alcuni dei più signifi cativi articoli pubblicati sull’organo di stampa del Nationalverein, prenderò in esame la fase con-clusiva della parabola intellettuale di Rochau, nel corso della quale, pur oscillando tra gli estremi della cooperazione tattica e dell’intransigente opposizione nei confronti di Bismarck, egli

23 A.L. CHUROA [A.L. VON ROCHAU], Kritische Darstellung der Socialtheorie Fourier’s.24 Per quanto rappresenti un classico della rifl essione sulle forme di potere, la discussione sul bonapartismo/cesarismo non si è esaurita e anzi, ancora di recente, è stata oggetto di importanti studi: cfr. per esempio, M. CERETTA (ed), Bonapartismo, cesarismo e crisi della società.

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intraprese un sensibile allontanamento dal panorama ideale del liberalismo classico, giungendo perfi no a porre la questione di un eventuale approdo antiliberale25. Al termine di questa fase, egli poté infatti tracciare le linee guida della strategia nazional-liberale degli anni a venire, la quale, per quanto concepita in funzione dell’egemonia politica del Mittelstand, fi nì, suo malgrado, con il determinare, se non la mortifi cazione degli ideali del 1848, quanto meno la resa del movimento liberale alla politica del Blut und Eisen26.

Nel quinto capitolo, infi ne, tenterò di proporre un bilancio complessivo sul significato del paradigma realpolitisch di Rochau nella storia del movimento liberale tedesco, mettendo a confronto gli obiettivi iniziali – il ricompattamento delle forze nazionali, il rilancio politico del Mittelstand e il raggiun-gimento dell’unifi cazione nazionale – con i suoi esiti nel corso dei decenni successivi. In altri termini, con riferimento alla sterminata letteratura sul signifi cato degli eventi del 1866, che, segnando un decisivo passo avanti nel processo di allon-tanamento dalla tradizione liberale europea, determinarono, secondo la celebre defi nizione di Friedrich Sell, la «tragedia del liberalismo tedesco»27, cercherò di comprendere se, in quell’oc-casione, l’abbandono da parte dei liberali tedeschi del ruolo di opposizione coincise con un tradimento, con una capitolazione, oppure con il frutto di una scelta politica e di una specifi ca concezione della libertà, tesa a considerare lo Stato e le sue istituzioni non già in termini antitetici, bensì come elementi indispensabili nel contesto dei quali realizzarsi appieno28.

25 Si veda C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 310, che non ha esi-tato a defi nire Rochau, accanto a Ruge e a Bamberger, un «rivoluzionario autoritario».26 M. FIORAVANTI, Giuristi e costituzione politica, pp. 138-139 e 143. 27 F.C. SELL, Die Tragödie des deutschen Liberalismus, p. 3.28 Per una sintetica, ma interessante rassegna delle principali interpretazioni cfr. K. JARAUSCH - L.E. JONES, In Search of a Liberal Germany, pp. 3-23. Per le diverse posizioni, cfr. tra gli altri O. WESTPHAL, Welt- und Staatsauf-fassung des deutschen Liberalismus; D. LANGEWIESCHE (ed), Liberalismus im 19. Jahrhundert; H.A. WINKLER, 1866 und 1878, pp. 37-60; W. BUSSMANN, Zur Geschichte des deutschen Liberalismus im 19. Jahrhundert, pp. 527-557;

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1. L’itinerario biografi co di A.L. von Rochau tra «Vormärz» e «Nachmärz»

August Ludwig von Rochau svolse un ruolo di primo piano nella storia del liberalismo e del nazionalismo tedesco del XIX secolo. Mediante un’intensa attività di promozione del principio unitario e un’altrettanto attiva, anche se non sempre lineare, partecipazione alla vita politica – dalle Burschenschaften sino ai seggi del Reichstag – egli offrì un notevole contributo al traghettamento del liberalismo dall’idealismo del Vormärz al realismo del Nachmärz.

Nato il 20 agosto del 1810 nel villaggio prussiano di Harbke, nei pressi di Helmstedt29, in Bassa Sassonia, egli conobbe sin dall’infanzia gli effetti sconvolgenti prodotti dai grandi muta-menti politici del XIX secolo e, tra questi, in primo luogo, quelli causati dalle guerre napoleoniche, che furono, tra l’altro, la principale ragione dell’incontro dei suoi genitori – Louise Ernestine Rudloff e August von Rochau – avvenuto verosi-milmente tra la fi ne di luglio e l’inizio di agosto del 1809, in occasione del passaggio presso Wolfenbüttel degli ussari di Friedrich Wilhelm von Braunschweig-Öls. La spessa coltre d’incertezza, che avvolge ampie porzioni della biografi a di Rochau e che nessuno dei suoi maggiori biografi ha fi nora del tutto lacerato, non risparmia neppure questa fase.

Indicazioni importanti sulle sue origini e sulla sua prima formazione sono fornite dai documenti conservati presso gli archivi di Wolfenbüttel e di Francoforte e dalle carte in possesso degli eredi. Numerosi continuano tuttavia a essere le ambiguità sia circa le circostanze esatte dell’incontro tra

M.H. FASSBENDER-ILGE, Liberalismus, Wissenschaft, Realpolitik, soprattutto pp. 305-325; T. NIPPERDEY, Deutsche Geschichte 1800-1866; D. BLACKBOURN - G. ELEY, The Peculiarities of German History; J.J. SHEEHAN, German Liberalism, pp. 108 ss.; G.G. IGGERS, The German Conception of History e L. KRIEGER, The German Idea of Freedom. 29 La letteratura meno recente indica Wolfenbüttel come città natale di Rochau; in realtà questa era la città originaria della madre: cfr. F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 189, e H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 635.

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i suoi genitori, sia circa il presunto viaggio a Londra che essi intrapresero intorno alla fi ne del 1809 e durante il quale avrebbero contratto regolare matrimonio30.

Ancora maggiori sono i dubbi circa i motivi che, nel set-tembre 1810, spinsero il Rittmeister von Rochau a dileguarsi nel nulla31. Confrontando le notizie contenute nella memoria biografi ca, che August Grumbrecht dedicò, a breve distanza dalla scomparsa dell’amico, alla vedova e ai compagni di par-tito, con quelle riportate nel Nachruf (1873) di Treitschke e con le ricerche svolte all’inizio del secolo da Hans Lülmann e più recentemente da Gustav Füllner, è possibile ricavare un quadro generale abbastanza completo.

Tuttavia sembra che il padre, originario di Muskau in Sasso-nia, fosse imparentato con l’antico casato prussiano dei von Rochow32. Una lettera del 12 febbraio 1834 proveniente da Parigi rivela poi che questi, dopo aver offerto eccellenti prove

30 A proposito del loro incontro, Dieter Lent ha fatto riferimento a una breve relazione di tipo extraconiugale (Liebesromanze); D. LENT, Rochau August Ludwig von, p. 493. La gran parte delle notizie circa i genitori di Rochau è basata sulle deposizioni rilasciate il 15 aprile 1836 dal fratello di Louise E. Rudloff, il mastro orologiaio Carl F. Wilhelm, di fronte al tribunale di Wolfenbüttel: Acta Criminalia des peinlichen Verhöramts von 1833.31 In seguito alle battaglie di Auerstedt e Jena (1806) e alla pace di Tilsit, il principato di Braunschweig era stato integrato nel regno di Westfalia. Dopo la morte del padre, Karl Wilhelm Ferdinand, Friedrich Wilhelm von Braunschweig-Öls si propose di liberare le proprie terre dall’occupazione francese. Nell’estate del 1809, dopo la sconfi tta di Essling/Wagram subita dalle truppe austriache e il successivo armistizio con la Francia, questi decise di proseguire la campagna anti-napoleonica e, facendo affi damento su alcune notizie relative alla presenza di truppe inglesi in prossimità delle coste del Mare del Nord, di dirigersi verso settentrione, giungendo a Wolfenbüttel il 30 luglio dello stesso anno. Il secondo misterioso viaggio intrapreso da August Rochau nel settembre del 1810, circa a un anno di distanza dal primo arrivo a Wolfenbüttel, potrebbe aver avuto come destinazione la peni-sola iberica, dove, in effetti, tra 1812 e 1813, le truppe del «barone nero» furono impegnate a fi anco di quelle inglesi; cfr. G. VON KORTZFLEISCH, Des Herzogs Friedrich Wilhelm, p. 63; H. VON SCHLIEFFEN, Von der Errichtung der Schwarzen Schar 1809 bis zum Früjahr 1871, e K. BINDER VON KRIEGLSTEIN, Ferdinand von Schill, pp. 241 e 317. 32 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 4, nota 8.

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di eroismo nel corso della campagna del 1809 e aver preso congedo dai propri commilitoni, fu trattenuto, con l’accusa di alto tradimento, dalle autorità fi lo-francesi della Vestfalia, imprigionato a Magonza per un periodo imprecisato e infi ne rilasciato per insuffi cienza di prove33.

Da una lettera indirizzata all’uffi cio parrocchiale di Harbke, risulta inoltre che egli riconobbe il giovane August Ludwig come fi glio legittimo e Louise E. Rudloff come moglie. In conformità a questo documento, il 22 luglio 1824, lo stesso uffi cio emise un regolare certifi cato di nascita34.

Con relativa certezza pare infi ne che, dopo le guerre di libe-razione, August von Rochau abbia trovato rifugio a Parigi e che qui abbia lavorato come corrispondente per alcuni giornali tedeschi fi no alla propria morte, avvenuta il 10 marzo 1843. Durante gli anni trascorsi in Francia, egli sarebbe rimasto in rapporto epistolare con la moglie e con il fi glio: in una lettera del 2 dicembre 1827, ad esempio, confi dava di essere rammaricato di non poter provvedere al loro sostentamento, e in un’altra, non datata ma probabilmente risalente all’estate del 1828, raccomandava al fi glio di imparare a dominare le passioni e di tenersi lontano dalle associazioni studentesche, perché «esse non comportano altro che seccature»35.

Per quanto riguarda la madre, a prescindere dalle scarne noti-zie contenute nei registri parrocchiali, sembra verosimile che, in seguito alla misteriosa scomparsa del compagno, sia stata costretta a far ritorno a Wolfenbüttel, dove si incaricò della gestione domestica della casa paterna e dell’educazione del fi glio. L’infanzia e l’adolescenza del giovane Rochau, trascorsa a Wolfenbüttel fi no alla conclusione del ginnasio, furono così segnate da una lacerante consapevolezza della propria condi-zione di orfano e infi ne da un intenso rapporto con la madre,

33 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 1 e p. 2 nota 5; G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 231, e D. LENT, Rochau August Ludwig von, p. 494. 34 Acta inquisitionis des Herzogl Kreisgerichts Braunschweig. 35 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 4.

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come risulta evidente dall’amaro commento espresso in seguito alla morte di quest’ultima, avvenuta il 26 novembre 1828:

«Con la scomparsa di mia madre ho perso tutto. Certamente ho ancora un padre! Ma cos’è un padre che non posso amare, che è la fonte di ogni mio tormento e al quale posso pensare in eterno solo come a colui che ha coperto di vergogna la mia adorata madre?»36.

Il 18 giugno dello stesso anno, in occasione del tredicesimo anniversario della battaglia di Waterloo, il giovane Rochau fondò con alcuni compagni di ginnasio, un’associazione ginnica di orientamento nazionalista, la Wolfenbüttler Turngemeinde, sul cui tricolore nero-rosso-oro era incisa la sigla GEFV (Gott, Ehre, Freiheit, Vaterland)37.

Da questo momento ebbe inizio il suo intenso rapporto con l’universo delle associazioni studentesche, che, nonostante le severe restrizioni38, rappresentavano – insieme ai sodalizi di Friedrich Ludwig Jahn, di Karl Friesen, Karl Follen e di Ernst

36 Ibidem, pp. 5-8; F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 189; O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, p. 150. Sia il forte attaccamento alla madre, sia il carattere melanconico del giovane Rochau sarebbero spiegabili, secondo Lent e Füllner, a partire dal trauma indotto dalla separazione dei genitori; D. LENT, Rochau August Ludwig von, p. 494, e G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, pp. 232-233, il quale, sulla base delle testimonianze di Carl F.W. Rudloff e del compagno di ginnasio Albert Schmid – rilasciate dinnanzi al tribunale di Wolfenbüttel rispettivamente il 14 gennaio e il 26 marzo 1834 – ha confermato il sospetto che i genitori di Rochau, in realtà, non si fossero mai sposati. 37 P. ZIMMERMANN, Die Anfänge der Turngemeinde der Staatlichen Großen Schule zu Wolfenbüttel, pp. 2-3; U. WAHNSCHAFFE, 75 Jahre Turnen am Gymnasium zu Wolfenbüttel 1828-1903.38 Il Wartburgfest (1817) e l’assassinio di August von Kotzebue per mano dello studente Karl Sand avevano spinto Metternich a convocare nel 1819 la conferenza di Karlsbad e a prendere severi provvedimenti, tra cui lo scioglimento delle Burschenschaften, la censura della stampa e il divieto di insegnamento per i docenti di orientamento liberale; E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, I: Reform und Restauration 1789 bis 1830, pp. 705-752; H. ASMUS (ed), Studentische Burschenschaften; H. HAUPT, Die Jenaische Bur-schenschaft von der Zeit ihrer Gründung bis zum Wartburgfeste; H. BÜNSOW, Die alte Göttinger Burschenschaft 1815-34; G. HEER, Die allgemeine deutsche Burschenschaft, IV, pp. 246-353, e H. FENSKE, Preußentum und Liberalismus, pp. 353-358.

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Moritz Arndt – le sole forme di organizzazione pre-partitica, contraddistinte, sulla base di un’eterogenea trama di suggestioni romantiche, libertarie e religiose, da una forte connotazione patriottico-repubblicana.

Concluso il ginnasio, alla vigilia del semestre estivo del 1829, Rochau si iscrisse studiosus utriusque iuris all’università di Gottinga, frequentando con profi tto i corsi di diritto, storia e scienza politica. Secondo la testimonianza di un giovane amico del tempo, Albert Schmid, tuttavia,

«il suo sforzo, teso, attraverso lo studio assiduo, a dominare i suoi sentimenti più profondi, era inutile. Spesso si chiudeva per giornate intere nella sua camera … Lo assaliva frequentemente una terribile rigidità spirituale a causa della quale si lambiccava il cervello per ore».

Secondo un altro amico, Maximilian Rüder, Rochau

«rimaneva sempre chiuso nella sua stanza e, oltre a me, non apriva ad altri se il suo umore gli rendeva non gradito l’incontro con conoscenti. Anche nella scelta di questi ultimi era molto esclusivo, al punto che spesso io stesso fui rimproverato se di tanto in tanto … frequentavo alcune cosiddette brave creature»39.

Nonostante la spiccata introversione, egli entrò presto a far parte della Burschenschaft «Teutonia» di Gottinga, che, a differenza delle altre, intendeva tenersi lontana dalla «politica pratica» e sviluppare presso i propri aderenti soprattutto lo spirito collegiale e una condotta di vita sana, ispirata ai principi tradizionali della vita tedesca.

Sebbene per il periodo compreso tra 1828 e 1830 non sia possibile accertare con chiarezza la sua posizione politica, dal punto di vista puramente formativo sembra che, tra i docenti attivi presso l’università di Gottinga, siano stati soprattutto lo storico Friedrich Christoph Dahlmann, il fi losofo Karl

39 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 636; H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 9. A proposito, anche Her-mann von der Hude non mancò di riscontrare in Rochau «una profonda malinconia e un quasi inconsolabile dolore», in G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 234.

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Friedrich Krause e il suo allievo Heinrich Ahrens ad attirare le attenzioni di Rochau.

Se la passione per gli studi non aveva ancora avuto modo di entrare in contrasto con la militanza tra le fi la del movimento studentesco, il 4 maggio 1830, con lo scoppio della crisi che di lì a poco avrebbe condotto alla destituzione del duca Karl von Braunschweig, Rochau fu costretto, dopo due semestri trascorsi a Gottinga, a trasferirsi a Jena. Anche qui egli con-tinuò a mantenersi neutrale rispetto alle crescenti tensioni tra Germanen e Arminen:

«Grazie al suo contegno franco, libero da sentimenti faziosi, si conquistò il rispetto di tutti i Burschenschafter e i Germanen, in particolare, apprez-zarono la sua straordinaria energia morale, che reputavano lontana da ogni forma di ipocrisia»40.

Solo dopo il luglio del 1830, in seguito all’evolversi degli eventi politici in Francia, al giovane introverso e solitario subentrò progressivamente il rivoluzionario intransigente, ispirato da una fede politica di matrice radicale e fautore di una solu-zione repubblicana della questione nazionale. Secondo quanto riportato da Treitschke nel necrologio del 1873:

«quanto più l’orizzonte della libertà si oscurava, tanto più cresceva la sua passione per la patria e le sue idee politiche divenivano drastiche e radicali»41.

Nel novembre dello stesso anno, irritato dai continui attriti in seno alle principali anime del movimento studentesco, Rochau decise di far ritorno a Gottinga, dove, tuttavia, in seguito ai disordini del gennaio 1831, nel corso dei quali furono coinvolti numerosi suoi compagni e docenti, tra cui lo stesso Ahrens, la sua permanenza era divenuta poco sicura42. Costretto a tornare a Jena, vi rimase per circa altri due semestri, fi no alla Pasqua del 1832. Qui, sollecitato dall’amico Rüder e infl uenzato da

40 G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 234.41 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 636. 42 H. VON TREITSCHKE, Deutsche Geschichte im neunzehnten Jahrhundert, IV: Bis zum Tode König Friedrich Wilhelms III., p. 155.

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Heinrich Luden, Rochau sviluppò una sensibilità politica connotata in senso apertamente rivoluzionario, che si tradusse nel passaggio allo schieramento dei Germanen, quello, cioè, politicamente più attivo43.

A breve distanza dalla grande protesta democratica organizzata in occasione dello Hambacher Fest del 27 maggio 1832, aller-tate dalla radicalizzazione delle Burschenschaften, che era stata sancita nel gennaio dello stesso anno dalla riconciliazione tra Arminen e Germanen, gli Stati del Bund disposero una serie di severe limitazioni alla libertà di stampa e associazione44. Sulla scia di tali provvedimenti, le autorità accademiche di Jena tentarono di mettere un freno alle agitazioni studentesche, sicché, attribuendo a Rochau la responsabilità dei più recenti «disordini politici» (politische Treibereien), non esitarono a decretarne l’espulsione45.

Denunciando con sdegno la «mancanza d’energia» della gio-ventù universitaria, per la quale «qualunque notizia» era «suf-fi ciente a soffocare ogni scintilla di coraggio», il ventitreenne Rochau maturò la certezza che fosse giunto il momento di agire, tanto più che, nel corso del Burschentag di Stoccarda (dicembre 1832), avevano cominciato a circolare voci relative a una possibile insurrezione nella primavera dell’anno succes-sivo46. Quale fosse lo spirito che agitava Rochau in quei mesi è rivelato da Gustav Körner:

43 H. EHRENTREICH, Heinrich Luden und sein Einfl uß auf die Burschenschaft, IV, pp. 61 ss.; e infi ne G. HEER, Die allgemeine deutsche Burschenschaft, pp. 285-289.44 Lettera di August Ludwig von Rochau a Maximilian Rüder, 7 agosto 1832, in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 84, e E.R. HUBER, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I: Deutsche Verfassungsdokumente 1803-1850, 1961, pp. 119-123. 45 Bericht des Universitätsamts, in Frankfurter Akten, Anl. A, Nr. 42, in G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, pp. 234-235.46 Lettera di August Ludwig von Rochau a Maximilian Rüder, 8 marzo 1833, in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 30-31 e 86-87; G. HEER, Die allgemeine deutsche Burschenschaft, pp. 341-343, e R. SCHWEMER, Geschichte der freien Stadt Frankfurt am Main; II: 1814-1866, pp. 564 ss.

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«Eravamo tutti fermamente convinti che, anche qualora il nostro passo fosse stato un insuccesso e noi tutti fossimo andati incontro al fallimento, nondimeno sarebbe dovuto succedere qualcosa. Eravamo dell’idea che ogni goccia di sangue versato avrebbe in ogni caso riscosso profi tti mille volte maggiori … Noi credevamo così a fondo nella verità della nostra idea e del nostro comportamento da dare per certa la vittoria, anche se magari non immediata, della nostra causa»47.

E in effetti, trascorsa l’estate a Wolfenbüttel, egli tornò per un breve periodo a Gottinga e, da qui, raggiunse Francoforte, dove si unì a un gruppo di circa sessanta cospiratori che, guidato da Gustav Körner, Johann Ernst Bunsen e Theodor Engelmann, il 3 aprile 1833 diede vita a un cruento, ma velleitario tentativo di putsch, il Frankfurter Wachensturm48.

Dopo l’intervento dell’esercito, gli insorti furono dispersi e Rochau tentò il suicidio. Gravemente ferito, fu arrestato a Darmstadt il 6 aprile e, dopo circa sei settimane, fu ricondotto a Francoforte, in attesa di regolare processo. Informato dell’ac-caduto, il padre mobilitò prima la stampa francese, poi, il 13 febbraio 1834, scrisse al Senato di Francoforte, supplicando clemenza e riconoscendo:

«è triste osservare che la gioventù di oggi, anziché dedicarsi all’apprendi-mento, desidera svolgere un ruolo politico e compiere rivoluzioni, senza avere la minima cognizione politica»49.

In attesa del processo, Rochau reagì con indignazione ai rim-proveri del padre, affermando di non doversi affatto giustifi -care per quelle convinzioni verso le quali proprio gli studi lo avevano condotto e ribadendo di non aver avuto altro scopo che quello «di protestare contro i decreti del giugno 1832, contro la letargia delle masse popolari» e di dimostrare al partito conservatore «di cosa è capace la fede e il coraggio dei

47 E. DIETZ, Das Frankfurter Attentat vom 3. April 1833 und die Heidelberger Studentenschaft, p. 21.48 F. LEININGER - H. HAUPT, Zur Geschichte des Frankfurter Attentats e H. GERBER, Der Frankfurter Wachensturm vom 3. April 1833, XIV, pp. 171-212; infi ne H. VON TREITSCHKE, Deutsche Geschichte, IV, pp. 291 ss.49 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 33.

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liberali»50. Dopo circa tre anni e mezzo, trascorsi perlopiù a studiare51, il 20 ottobre 1836, il tribunale di Francoforte lo condannò per alto tradimento alla detenzione vitalizia52. Sorpreso dall’estrema severità della condanna, Rochau decise di sottrarsi alla messa in atto della sentenza: corrompendo le guardie incaricate della sua sorveglianza grazie a un’ingente somma di denaro raccolta dal padre, si diede alla fuga, oltre-passando, appena quattordici giorni dopo, il confi ne renano sotto mentite spoglie53.

Al sicuro nella capitale francese, ove sarebbe rimasto sino al 1847, Rochau, ancora una volta grazie all’aiuto del padre54,

50 Lettera di August Ludwig von Rochau al padre, 21 maggio 1833, ibidem, pp. 87-88; si veda poi anche K. GUTZKOW, Briefe aus Paris, II, p. 142. Nonostante l’ostinazione con la quale in un primo tempo difese il proprio operato, è tuttavia possibile che già durante questa fase egli abbia intrapreso una prima revisione delle sue posizioni più radicali. A distanza di molti anni, riprendendo il senso delle parole paterne, egli avrebbe infatti espresso ram-marico per l’«inavvedutezza politica» che gli era costata un «lungo periodo di detenzione»; A.L. VON ROCHAU, Geschichte des deutschen Landes und Volkes, II, p. 615; H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 636, e soprattutto G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 236, secondo cui il periodo della carcerazione segnò la «grande svolta nella vita di Rochau».51 A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 11; F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 190, in particolare dove si riporta la notizia secondo cui egli dedicò regolarmente dalle dieci alle quattordici ore al giorno agli studi e alle letture. Secondo Treitschke, già nel corso del suo soggiorno parigino, Rochau era in grado di parlare correntemente «sette lingue» (p. 636). 52 F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 189 e, dello stesso autore, Rochau: August Ludwig v. R., p. 725; inoltre, E.R. HUBER, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I, pp. 137-138. Per un breve riferimento polemico, cfr. anche A.L. VON ROCHAU, Die Schule und das Leben, p. 602.53 H. VON TREITSCHKE, Deutsche Geschichte, IV, p. 302; Friedrich von Weech riporta la notizia secondo cui Rochau decise di fuggire solo dopo la conferma della condanna in seconda istanza; in F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 190. Parzialmente diversa la ricostruzione di Gustav Füllner, secondo cui al primo verdetto non seguì affatto quello confermativo di seconda istanza; in G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, pp. 240 e 241, dove vengono ricostruite le circostanze esatte della sua rocambolesca fuga verso il confi ne.54 Nella capitale francese avvenne una parziale riconciliazione tra padre e fi glio, quantomeno dal punto di vista legale: da questo momento in

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cominciò a lavorare come traduttore e corrispondente estero per alcune riviste tedesche di orientamento liberale, tra cui la «Augsburger Allgemeine Zeitung», la «Leipziger Allgemeine Zeitung» e la «Kölnische Zeitung».

Se già durante i tre anni precedenti Rochau aveva cominciato ad avviare un percorso di maturazione, il periodo parigino coincise con una nuova e più intensa fase di rifl essione, durante la quale strinse contatti con alcuni importanti esponenti dell’emigrazione tedesca, tra cui gli editori Eduard Vieweg ed Eduard Avenarius55.

Infl uenzato dai dibattiti in corso nella Parigi della fi ne degli anni Trenta, Rochau maturò un certo interesse verso il sociali-smo di Charles Fourier, che, per quanto non fosse destinato a sfociare in una piena adesione alle teorie del pensatore francese, lo spinse tuttavia a indicare nel principio dell’«associazione generale» la condizione primaria per il miglioramento delle condizioni umane di vita. La sensibilità verso le tematiche del socialismo utopistico e la conoscenza diretta dei fermenti culturali francesi furono in ogni caso decisivi per la stesura nel 1840, con lo pseudonimo A.L. Churoa, della Kritische Dar-stellung e, qualche anno dopo, della Geschichte Frankreichs56.

Nel 1845, dopo un soggiorno a St. Cloud in compagnia di Jakob Venedey e di Moritz Hartmann, Rochau intraprese un viaggio di circa otto mesi in Spagna, il cui risultato fu un vasto numero di corrispondenze, che furono raccolte in Reiseleben in

poi August Ludwig cominciò infatti ad anteporre al proprio cognome il predicato nobiliare; G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 242, e A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 12, che sottolinea tuttavia la perdurante «inconciliabilità delle rispettive prospettive esistenziali». 55 Risale proprio a questi anni l’interessante testimonianza dello scrittore e giornalista Karl Gutzkow, secondo il quale nel giovane Rochau si fonde-vano l’intransigenza del repubblicano con la grazia dell’aristocratico; in K. GUTZKOW, Briefe aus Paris, II, p. 143, e C.F. GLASTENAPP (ed), Familienbriefe von Richard Wagner 1823-1874, pp. 44 e 99. 56 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs vom Sturze Napoleons. Si vedano in particolare le pagine dedicate alla letteratura della Restaurazione (I, pp. 261-276) così come quelle dedicate al socialismo utopistico (I, pp. 344-354).

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Südfrankreich und Spanien (1847)57. Sebbene gli anni dell’esilio lo avessero messo in stretto rapporto con la vita politica, sociale e culturale francese, Rochau non perdette mai la speranza di poter prima o poi fare ritorno in Germania:

«Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello il desiderio o anche solo il pensiero di stabilirmi defi nitivamente in un paese non di lingua tedesca»58.

Il 18 gennaio del 1846, decise infatti di avanzare domanda di grazia presso il Senato di Francoforte, dichiarando che:

«Un esilio decennale, mentre ha maturato le mie idee, ha incessantemente rafforzato il desiderio del ritorno e mi ha portato alla convinzione che è un errore prendere le distanze dai destini del popolo a cui si appartiene»59.

Quella prima domanda, seguita da altre quattro, risalenti rispettivamente al 31 marzo, al 20 maggio, al 10 agosto 1846 e al 5 gennaio 1847, fu respinta, ma, grazie all’intercessione del poeta Franz Dingelstedt presso il governo del Württemberg, gli fu rilasciato un lasciapassare con il quale, col pretesto di un soggiorno di cure, nell’estate del 1846, attraversò il confi ne e raggiunse la località termale di Bad Mergentheim.

Dopo un periodo imprecisato di latitanza, si trasferì a Hei-delberg e qui, grazie alle amicizie strette oltre confi ne, che lo avevano messo in contatto con Ludwig Häusser, riprese la propria attività giornalistica come redattore presso la «Deutsche Zeitung».

Il 31 marzo 1848, in seguito all’amnistia del 5 marzo, in virtù della quale aveva riacquistato piena libertà di movimento, Rochau prese parte al Vorparlament di Francoforte, dove, pur assumendo posizioni polemiche verso il radicalismo di Friedrich Hecker e di Gustav Struve, condivise pienamente le aspettative del movimento liberale tedesco. Come ebbe a ricordare oltre una ventina di anni dopo:

57 A.L. VON ROCHAU, Reiseleben. Cfr. pure «Die Grenzboten», IV, 1847, 42, p. 117. 58 A.L. VON ROCHAU, Reiseleben, I, p. 99; II, p. 261.59 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 55-56.

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«Il popolo tedesco ha fatto per la prima volta il proprio ingresso sulla scena della storia mondiale come corpo statale, come nazione nel senso pieno del termine … Ora il grande compito della giovane nazione raccolta nella Paulskirche di Francoforte consisteva nell’affermare coi fatti la sua esistenza fi nalmente conquistata, nel completarla e nel difenderla dal rischio di ricadere nel nulla»60.

Nella primavera del 1848, dopo aver respinto l’invito a diri-gere la «Deutsche Reichszeitung» di Braunschweig, si stabilì a Francoforte e, in vista delle successive elezioni per l’Assemblea nazionale, si presentò, su suggerimento dell’amico Grumbrecht, come candidato presso una circoscrizione elettorale (Lüne-burger Heide) della bassa Sassonia, dove tuttavia non riuscì a conquistare la fi ducia dei contadini della zona. Costretto a seguire le discussioni parlamentari come corrispondente della «Augsburger Allgemeine Zeitung» e di altri fogli liberali, Rochau – nel frattanto, il 21 dicembre 1848 si era sposato con Ernestine Sophie Schmidt – auspicò una soluzione moderata della questione tedesca, come testimoniano sia le sue dichia-razioni a proposito del principio nazionale – «inteso nella sua assoluta purezza, esso non è attuabile»61 – sia la sua vicinanza ai sostenitori della monarchia ereditaria, i cosiddetti Erbkai-serlichen, tra i quali, peraltro, militava anche l’amico Rüder62.

Se già nell’estate del 1848, denunciò l’impotenza politica della Paulskirche – «per fare una rivoluzione, si ha soprattutto biso-gno della forza, di quella morale e di quella materiale»63 – nel maggio 1849, non appena la Nationalversammlung fu sciolta, Rochau attaccò sia «le stravaganze della sinistra estrema», sia «l’arroganza dei conservatori»64. Nell’ottobre del 1849, tornò quindi a Braunschweig, dove, deluso dagli eventi politici e colpito dall’improvvisa scomparsa della moglie – avvenuta il

60 A.L. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, p. 633.61 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 31 marzo 1848.62 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 638.63 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 192.64 F. VON WEECH, Rochau: August Ludwig v. R., p. 725; O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, p. 153.

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12 marzo 1850, appena nove giorni dopo la nascita di una bambina – attraversò una fase di profondo smarrimento poli-tico e personale. In una lettera del marzo 1850, rivelò infatti a Franz Dingelstedt:

«Credevo fi nalmente di essere approdato in un porto sicuro e, invece, mi ritrovo nuovamente in alto mare. Questa volta, però, senza vele e senza timone»65.

Nei mesi successivi, una volta lasciata Braunschweig, riprese la propria attività, seguendo le sedute del Parlamento di Erfurt e quelle del Congresso di Berlino. In occasione di quest’ultimo, Rochau ebbe un duro scontro con Otto von Bismarck, che gli costò il ritiro della licenza giornalistica. Le ripercussioni sul piano personale furono destinate ad avere un peso notevole nei loro rapporti futuri.

Nuovamente costretto a lasciare la Germania, egli riparò in Sviz-zera e qui, in collaborazione con Gustav Oelsner-Monmerqué, completò la stesura di Das Erfurter Parlament und der Berliner Fürsten-Congreß (1850), tra le pagine del quale denunciò il letargo politico in cui era sprofondato il movimento nazionale66.

Nonostante l’asprezza dei suoi attacchi contro il governo prussiano, nel 1851 rifi utò la proposta del ministro austriaco Karl Ludwig von Bruck di porsi al servizio della corona d’Asburgo e tornò a Berlino per assumere la direzione della «Constitutionelle Zeitung». Qui si attirò ben presto le atten-zioni del sistema poliziesco di Otto von Manteuffel67: invitato a lasciare la capitale prussiana, fu nuovamente costretto a riparare in Svizzera, e, da qui, a proseguire per l’Italia. Le esperienze di questo viaggio furono di lì a poco raccolte in Italienisches Wanderbuch 1850-1851 (1852), un volume che al

65 Lettera di August Ludwig von Rochau a Franz Dingelstedt (21 marzo 1850), in C. JANSEN, Nach der Revolution 1848/49, p. 96.66 A.L. VON ROCHAU - G. OELSNER-MONMERQUÉ, Das Erfurter Parlament. A proposito dello scontro con Bismarck in merito alla libertà di stampa e alla censura, cfr. ibidem, pp. 339 ss.67 A proposito cfr. D. BARCLAY, The Court Camarilla and the Politics of Monarchical Restoration in Prussia, 1848-58, pp. 123-156.

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tempo riscosse un notevole successo di pubblico, al punto tale da essere tradotto perfi no in inglese68.

Di ritorno dall’Italia, nel 1852 Rochau si ristabilì a Heidelberg, dove, risposatosi nel 1855 con la vedova Clara Pickford, fi glia del pittore romantico Georg Wilhelm Issel, tornò a dedicarsi alla sua attività di scrittore politico. Alla breve ma signifi cativa collaborazione con i «Deutsche Annalen» di Karl Biedermann69 seguirono Vier Wochen französischer Geschichte (1852), in cui giudicò severamente il colpo di Stato bonapartista, Die Moriscos in Spanien (1853), in cui la descrizione delle ingiustizie subite dagli Arabi e dagli Ebrei di Spagna sotto l’Inquisizione divenne occasione per una polemica contro ogni forma di persecuzione razziale, religiosa e politica, e la prima parte dei Grundsätze der Reapolitik, che, tuttavia, pubblicata anonimamente per evitare eventuali azioni repressive, suscitò, almeno inizialmente, scarso richiamo70. Alla stessa stagione di grande creatività appartiene anche la già ricordata Geschichte Frankreichs71, pubblicata nel 1858, ossia nell’anno in cui, l’assunzione della reggenza da parte del principe Wilhelm Friedrich (1797-1888) segnò l’avvio della neue Ära, nonché il ritorno di Rochau alla militanza attiva tra le fi la del movimento nazionale.

68 A.L. VON ROCHAU, Italienisches Wanderbuch 1850-1851, e, dello stesso autore, Wanderings through the Cities of Italy in 1850 and 1851, in partico-lare p. IV (Preface). Si veda infi ne H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 638, secondo cui Rochau «fu il primo tedesco, che, dal Belpaese riportò non già impressioni artistiche o notizie storiche, bensì il quadro di un misero presente».69 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 263. I «Deutsche Annalen» rappresentarono una tappa importante nel cammino che condusse alla Realpolitik: con questa rivista, infatti, Karl Biedermann si era proposto di reagire all’apatia della maggioranza dei liberali moderati, sottolineando gli effetti positivi del 1848-49, tra cui, la progressiva affermazione del senti-mento nazionale e la politicizzazione della borghesia liberale; cfr. ibidem, pp. 122-123, e R. BAZILLION, Modernizing Germany. 70 A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen französischer Geschichte, e, dello stesso autore, Die Moriscos in Spanien.71 A proposito cfr. la recensione di M. DUNCKER, Die neuere Geschichte Frankreichs, pp. 288-299.

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Membro della segreteria direttiva del neocostituito Nationalve-rein, egli prese nuovamente parte alle vicende politiche e, grazie all’intensa attività pubblicistica svolta in qualità di direttore prima della «Wochenschrift des Nationalvereins» (1860-1865), poi del «Wochenblatt des Nationalvereins» (1865-1867), fu in grado di svolgere una considerevole infl uenza sull’opinione pubblica di orientamento liberale e nazionale72.

I suoi appelli settimanali, volti a incoraggiare la convocazione di un parlamento nazionale, assunsero presto la fi sionomia di violenti attacchi sia contro il particolarismo dinastico, sia contro il governo berlinese, al punto che, per alcuni anni, i fogli del Nationalverein furono vietati in tutta la Prussia73: in questo particolare clima politico cadde la pubblicazione di Briefe eines Deutschen über die deutsche Bundesreform (1859) e soprattutto la pubblicazione della seconda edizione della prima parte dei Grundsätze der Realpolitik (1859)74, la quale, scagliandosi «come un fulmine» sulla generazione più giovane di liberali tedeschi, svolse un ruolo di primo piano nel rilancio delle aspirazioni nazionali75.

Il confl itto costituzionale che da lì a poco scoppiò in Prussia segnò un momento decisivo. Alla notizia della nomina di Otto von Bismarck a capo del governo prussiano, il movimento liberale reagì con estrema durezza: Maximilian von Forcken-beck preannunciò il «dominio della spada»; la «Augsburger Allgemeine Zeitung» parlò di un uomo che «nasconde l’uni-forme sotto il frack»; Treitschke affermò che, di fronte alle «millanterie» con cui «questo così insipido Junker» intendeva

72 S. NA’AMAN, Der Deutsche Nationalverein, pp. 41-54, e F. WILD, Ludwig August von Rochau, p. 121, laddove, in riferimento all’attività svolta da Rochau, si parla espressamente di «enorme katalysatorische Wirkung».73 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, 17, 1860, p. 129. 74 A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, e, dello stesso autore Grund-sätze der Reapolitik, angewendet auf die staatlichen Zustände Deutschlands [Erster Teil], (18592).75 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 638.

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«soggiogare la Germania», la «volgarità» gli pareva superata solo «dal ridicolo»76; dal canto suo, Rochau commentò:

«Con l’impiego di quest’uomo è stata scagliata la più acuminata, ma anche l’ultima freccia della reazione. È possibile che il signor Bismarck, da quando ha lasciato la carriera diplomatica per quella politica, abbia imparato alcune cose e disimparato talune altre; dallo Junker spavaldo che era, tuttavia, non è di certo diventato uno statista nel senso pieno della parola»77.

Fino al 1866 Bismarck continuò a rappresentare per Rochau il «messia dell’aristocrazia feudale» e soprattutto un mediocre statista, la cui azione di governo era sino ad allora incappata unicamente «in una serie ininterrotta di previsioni disattese e di errori grossolani»:

«Fino a quando continuerà a sopravvivere il grande ostacolo del progresso nazionale a Berlino, diffi cilmente l’opinione pubblica potrà nuovamente e con decisione orientarsi verso il principio unitario»78.

Ciò nonostante, in seguito alla proposta da parte prussiana di un progetto di riforma federale da attuare mediante la convocazione di un parlamento nazionale (9 aprile 1866) e al profi larsi dello scontro con l’Austria, Rochau esortò uno degli esponenti di punta del Nationalverein e del movimento liberale tedesco, Rudolf von Bennigsen, a non indugiare ulteriormente e a prendere immediati contatti con Bismarck:

«Le cose a Berlino vanno come peggio non potrebbero. La guerra è certa. Le condizioni politiche del successo, secondo Bismarck, sono incerte … Recatevi a Berlino senza ulteriore indugio e incontratelo. Il passo da com-

76 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, II: Beginn der aka-demischen Lehrtätigkeit. Historische und Politische Aufsätze. Erste Sammlung 1859-1866, pp. 238-239 (lettera a Wilhelm Nokk, 29 settembre 1862).77 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, 127, 1862, p. 1065; 129, 1862, p. 1081. Si faccia poi anche riferimento a M. PHILIPPSON, Max von Forckenbeck, p. 101 a O. NIRRNHEIM, Das erste Jahr des Ministeriums Bismarck, p. 65 e infi ne a H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, I, p. 631 (lettera a Johannes von Miquel, 1° dicembre 1863).78 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, 133, 1862, p. 1115; 140, 1863, p. 1175; 175, 1863, p. 1473; 232, 1864, p. 1963. Si veda infi ne, dello stesso autore, Anmerkungen zu einem Artikel der Preußischen Jahrbücher, p. 314.

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piere è straordinario e vi costerà parecchio, almeno quanto è costato a me darvi tale consiglio. Ma la situazione giustifi ca qualsiasi cosa e ci costringe a tentare ogni via»79.

Da allora gli eventi si susseguirono con rapidità sconvolgente e, dopo la vittoria di Königgrätz (3 luglio 1866) e la costituzione del Norddeutscher Bund tra l’autunno e l’inverno 1866-67, si compì nello schieramento liberale quel drastico «cambiamento di opinioni», che, a distanza di anni, l’amico di gioventù August Grumbrecht, non avrebbe esitato ad attribuire in buona parte all’infl usso dei Grundsätze der Realpolitik. Il 4 ottobre 1866, tra le pagine di Recht und Macht, lo stesso Rochau prese atto della forza sanzionante della «politica di successo» (Erfolgspolitik):

«Con il successo, la Prussia si è guadagnata un inestimabile merito nella questione nazionale e fornito un nuovo, stabile fondamento al diritto pubblico dell’Europa … Il successo è la sentenza della storia, del ‘tribunale universale’; è la massima istanza, dinnanzi alla quale, per le questioni terrene, non vi è altra possibilità di appello»80.

Nel 1867 Rochau aderì al neo-costituito partito nazional-liberale e, se fi no all’anno prima era stato un fi ero oppositore della politica di Bismarck, divenne suo sostenitore, senza tuttavia abbandonare una certa dose di riserve81. Nel successivo triennio si impegnò a sostenere, mediante una martellante campagna di agitazione propagandistica, la causa dell’ampliamento del Norddeutscher Bund, il quale, sebbene non rappresentasse l’in-veramento completo delle aspirazioni del movimento nazionale, costituiva nondimeno un notevole passo avanti:

«con il Norddeutscher Bund è stata data ai Tedeschi quella patria cui hanno invano a lungo aspirato, una patria, che deve essere ancora integrata, la cui

79 Lettera di August Ludwig von Rochau a Rudolf von Bennigsen, 8 maggio 1866, H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, I, p. 706, e K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 19.80 A.L. VON ROCHAU, Recht und Macht, p. 565.81 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung [1868], p. 16. Si tenga presente che il testo fu pubblicato in due parti nel settembre 1866 sulle pagine del «Wochenblatt des Nationalvereins». Salvo precisazioni, d’ora in poi, si farà sempre riferimento all’edizione completa del 1868, pubblicata a Heidelberg per i tipi di Mohr.

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costituzione è ancora molto difettosa, la cui recente storia presenta punti oscuri, ma pur sempre una patria in carne e ossa, ben diversa dal fantasma che è stata sinora».

In seguito agli eventi del 1866, secondo Rochau, la Germania aveva infatti solo due possibilità: «rinunciare a se stessa» o aderire con decisione a quel processo «che conduce allo Stato unitario»82.

Nel frattempo, sotto l’effetto della delusione suscitata dal risultato delle elezioni per lo Zollparlament (aprile 1868), nell’ottobre del 1868 egli portò a termine la seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik83.

In questa occasione, Rochau rinunciò all’anonimato e, ripren-dendo parte delle argomentazioni svolte nel 1853, da un lato, celebrò il successo della politica nazionale di Bismarck come trionfo della realtà, dall’altro, attaccò il particolarismo e l’egoi-smo dinastico degli Stati tedeschi medi.

Il 25 febbraio 1870, in occasione di una votazione suppletiva, Rochau entrò – anche grazie all’appoggio personale di Rudolf von Bennigsen e di Johannes von Miquel – nel Norddeutscher Reichstag e, ad appena un anno di distanza, dopo la vittoria di Sedan (2 settembre 1870), la proclamazione dell’Impero (18 gennaio 1871) e la schiacciante vittoria elettorale dei nazional-liberali (3 marzo 1871), conquistò un seggio presso il Deutscher Reichstag, in qualità di deputato della circoscrizione di Helmstedt-Wolfenbüttel. Nel 1872, portò infi ne a termine la Geschichte des Deutschen Landes und Volkes84, ma né la sua attività parlamentare, né i suoi interventi pubblici – a parte quelli in occasione delle discussioni circa l’inserimento della

82 Ibidem, pp. 49 e 52.83 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Zweiter Teil]. 84 A.L. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, p. II. Si vedano poi A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 33, e F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 192, secondo cui, sebbene non abbia riscosso grande successo, essa risulterebbe un’opera meticolosa, degna di essere enumerata tra i suoi lavori storico-letterari di maggior pregio.

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pena capitale nel nuovo codice penale del Reich85 – furono in grado di lasciare un segno permanente.

D’altro canto, sebbene, secondo le testimonianze di Grum-brecht, Bismarck avesse espresso in più occasioni giudizi lusinghieri sull’attività di Rochau, il completo superamento dei contrasti tra l’ex-Burschenschafter e lo Junker non avvenne neppure dopo il 187186. In vista del conseguimento dell’in-teresse nazionale, Rochau aveva infatti appoggiato le misure straordinarie della politica bismarckiana, ma non per questo aveva corretto il proprio personale giudizio sull’uomo87. Al pari di alcuni altri autorevoli intellettuali liberali, tra cui lo stesso Heinrich von Treitschke, anch’egli continuò a guardare con relativo scetticismo all’evoluzione della politica tedesca88. A suo parere, infatti, anche dopo il 1871 la costruzione dello Stato nazionale non poteva dirsi compiuta, in quanto era ancora necessario, salvo il rischio di un progressivo indebolimento dello Stato, provvedere a una semplifi cazione costituzionale che ponesse fi ne al dualismo esistente tra il Reichstag nazionale e i Landtage regionali.

85 Al momento della fondazione del Reich, la pena capitale non era prevista in tutti gli Stati tedeschi. Solo in seguito al 1871, essa fu estesa in tutto il territorio del Reich come massima sanzione per il reato di regicidio. Benché i biografi riportino notizie contrastanti, sembrerebbe che il contributo di Rochau in quanto Rechtspolitiker sia stato piuttosto signifi cativo; cfr. in particolare T. HENNE, Rochau, August Ludwig von, p. 405; F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 192 e, dello stesso autore, Rochau: August Ludwig v. R., p. 726; G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 247, e K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, pp. 21-22. 86 A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 11.87 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, pp. 24 e 30-31. Che la svolta del 1866 non abbia comportato né un’incondizionata adesione al bismarckismo, né la rottura dei legami personali con i vecchi compagni di militanza è dimostrato anche dagli intensi rapporti che Rochau continuò a mantenere con le associazioni di sostegno economico per le famiglie degli ex-membri del Nationalverein; cfr. K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 21, soprattutto n. 120.88 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe; III, pp. 328-329 (lettera alla moglie, 25 maggio 1871).

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L’insorgere di un disturbo cardiaco gli impedì di continuare a prender parte ai lavori parlamentari e, fi no al giorno della sua morte, avvenuta il 15 ottobre 1873 ad Heidelberg in seguito a un infarto, lavorò a un articolo – rimasto incompiuto – su Carl von Rotteck89 e a un saggio – pubblicato postumo – in cui la strategia politica di Cavour, basata su un’attenta analisi delle realtà di fatto, fu celebrata come esempio paradigmatico di Realpolitik 90.

In conclusione, se nel corso del passaggio dal nazionalismo democratico degli anni Quaranta al nazionalismo liberale degli anni Cinquanta e poi al nazional-liberalismo degli anni Sessanta sembra complesso separare gli elementi squisitamente tattici dal tessuto delle sue convinzioni più radicate, ancora più incerto risulta verifi care se la rinuncia agli ideali costituzionali della tradizione liberale abbia davvero condotto Rochau a un’ade-sione incondizionata al bismarckismo.

Non è neppure possibile stabilire con certezza se egli, qualora fosse vissuto fi no al 1880, avrebbe scelto la linea della Sezession, quella di coloro che, come Bamberger, diedero vita al progetto della Liberale Vereinigung, oppure quella di coloro che, come Bennigsen, continuarono a sperare in una graduale evoluzione del sistema politico, convinti che fosse ancora possibile eserci-tare una qualche infl uenza su Bismarck. Aldilà delle più incerte speculazioni, resta però certo che, coprendo sessantatré anni cruciali di storia tedesca, l’itinerario complessivo di Rochau permette, anche in virtù delle sue ambiguità, di svolgere un’in-teressante rifl essione sui successi e sui fallimenti del movimento liberale tedesco. Come osservò Treitschke nel 1873:

«solo pochi di quella generazione furono così profondamente coinvolti, per volontà propria e per destino, nelle lotte dello Stato, al punto tale che la politica divenne per loro l’unico mestiere e l’amor patrio l’unica passione della vita»91.

89 A.L. VON ROCHAU, Karl Wenzeslaus von Rotteck, pp. 211-214. 90 A.L. VON ROCHAU, Camillo Cavour, pp. 132 e 178.91 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 635, e anche A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 39.

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2. La discussione sul concetto di «Realpolitik» tra Otto- e Novecento

Alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, in un lungo saggio intitolato Realpolitik als Ideologie. Von Ludwig August von Rochau zu Joschka Fischer, Wolfgang Kraushaar ricostruì in parallelo la vicenda biografi ca di August Ludwig von Rochau e di Joschka Fischer, cioè di colui che, nel 1853, coniò il ter-mine Realpolitik e di colui che, nel corso degli anni Novanta del XX secolo, divenne una delle personalità politiche più in vista della cosiddetta Berliner Republik.

Interpretando il loro itinerario biografi co alla luce di quel paradigma in forza del quale al radicalismo giovanile suben-trerebbe, in seguito a un’esperienza politica fallimentare – il Frankfurter Wachensturm del 1833 per l’uno, la Ulrike-Meinhof-Demonstration del 1976 per l’altro – il realismo della maturità, Kraushaar individuò un solido nesso tra la Realpolitik liberale di Rochau e la Realpolitik ‘verde’ di Fischer.

Tale nesso si fondava, a giudizio di Kraushaar, sulla presenza di una semantica concettuale comune, caratterizzata non solo da sfumature anti-idealistiche, anti-utopistiche, anti-democratiche e anti-socialiste, ma anche dal netto prevalere di una conce-zione della politica intesa essenzialmente come Machtspolitik, Staatspolitik, Erfolgspolitik, Nationalpolitik e Mittelstandspolitik.

Riprendendo la defi nizione di Rochau, secondo cui il compito primario della politica consisterebbe non già «nella realiz-zazione degli ideali, bensì nel raggiungimento di obiettivi concreti»92, il politologo tedesco concludeva la propria analisi con due osservazioni signifi cative. Con la prima, denunciava che la Realpolitik, in quanto «politica dei fatti» (Politik der Tatsachen), tendeva perlopiù ad assumere una funzione legit-timante dell’esistente: in tal senso essa era sempre il risultato di una «capitolazione morale e intellettuale». Con la seconda, metteva in luce che la Realpolitik, presentandosi come espres-sione di un pragmatismo neutrale, funzionale sia agli obiettivi

92 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 208.

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della rivoluzione sia a quelli della reazione, era divenuta col tempo un vero e proprio «camaleonte semantico» (semantisches Chamäleon)93.

A tale proposito, già una trentina di anni prima, il celebre storico tedesco emigrato negli Stati Uniti, Hajo Holborn, aveva rilevato l’estrema ambiguità della nozione di Realpolitik, che, a seconda dei contesti in cui era evocata, tendeva ad assumere signifi cati anche molto diversi tra loro. Suggerendo pertanto di fare ricorso a tale nozione solo con riferimento alla specifi ca situazione politica e culturale della Germania post-quarantottesca, egli aveva tentato di ripercorrerne la genesi a partire dalla pubblicazione dei Grundsätze der Realpolitik di Rochau ovvero di quell’opera grazie alla quale essa era dive-nuta un’espressione estremamente ‘fortunata’ (fashionable)94.

Sebbene avesse intuito, con notevole anticipo rispetto a molti altri studiosi, il peso esercitato dalla «nuova sociologia fran-cese» sulle premesse teoriche dei Grundsätze der Realpolitik e al tempo stesso ne avesse indicato l’obiettivo principale nel rilancio politico del Mittelstand liberale, Holborn non esitò a far coincidere tout court la Realpolitik di Rochau con l’«arte del possibile» (Kunst des Möglichen) di Bismarck e a indivi-duare in essa il tramite teorico della svolta ‘nazional-liberale’ del 1866. Consideratone lo straordinario successo, anche Holborn rilevò che la nozione di Realpolitik era ormai entrata nell’uso corrente, per indicare, con connotazione negativa, ogni prassi politica spregiudicata e indifferente verso gli ideali e i principi morali.

Andando a ritroso nel tempo, un altro importante contributo fu offerto nel 1915 da Henry C. Emery, il quale, a dispetto delle esasperazioni ideologiche indotte dalla guerra, si propose di ripercorrere la storia del concetto di Realpolitik, contestando l’idea che tale nozione fosse semplicemente il frutto velenoso

93 W. KRAUSHAAR, Realpolitik als Ideologie, pp. 137 e 115.94 H. HOLBORN, Bismarck’s Realpolitik, pp. 94-95, nota 18.

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dello specifi co itinerario politico e culturale percorso dalla Germania moderna95.

Con il denunciare la genericità delle più frequenti defi nizioni, lo studioso statunitense si propose anzitutto di distinguere «il nome della cosa dalla cosa in sé»: a suo modo di vedere, infatti, se era vero che il termine Realpolitik era stato coniato in Germania, la cosa in sé, ossia il concetto, non poteva essere associato a una particolare espressione della cultura politica tedesca96. Ai Tedeschi spettava senz’altro il merito di aver introdotto nel linguaggio corrente l’espressione Realpolitik, ma certo non quello di aver scoperto l’insieme delle questioni cui rimandava il concetto di political realism, che, aveva trovato autorevoli interpreti sia in Germania, con Ferdinand Lassalle e Bismarck, sia negli Stati Uniti, con William Graham Sumner e Abraham Lincoln.

Sintetizzando alcune delle principali argomentazioni svolte da Rochau nel 1853, Emery aveva poi messo in luce altri due elementi: anzitutto che la discussione sul termine Real-politik era stata avviata nei primi anni Cinquanta, in seguito alla diffusione di un sentimento nazionalistico che si era al contempo qualifi cato come reazione al particolarismo dina-stico, alla frammentazione statale e alla cultura dell’idealismo politico; in secondo luogo che l’enfatizzazione del concetto di Macht non escludeva dall’orizzonte della politica l’esistenza di problematiche di tipo morale.

In conclusione, respingendo le più ricorrenti e semplicistiche interpretazioni, Emery precisò che l’espressione Realpolitik prefi gurava non già una sordida concezione della politica, ma presupponeva piuttosto la consapevolezza che, nel mondo della

95 H.C. EMERY, What is Realpolitik?, pp. 448-468, in particolare pp. 449-452 e 459.96 Sebbene segnalasse la presenza di pareri discordanti – per esempio quello dello Historisches Schlagwörterbuch (1906) di Otto Ladendorf, secondo cui il conio del termine Realpolitik spettava a Gustav Diezel – Emery era dell’idea che il primo scrittore politico tedesco ad aver intro-dotto quell’espressione fosse stato Rochau nel 1853; H.C. EMERY, What is Realpolitik?, p. 451, nota 1.

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politica pratica, era compito dello statista «fare ciò che può e non ciò che vorrebbe» in quanto l’inevitabile confl itto tra doveri non era «in alcun modo» risolubile facendo esclusivo affi damento a «relativi valori spirituali»97.

Per quanto non esauriscano il panorama delle letture via via elaborate dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, le interpre-tazioni fi nora richiamate hanno il merito di introdurre alcuni dei più controversi nodi interpretativi, che possono essere sintetizzati nelle seguenti domande:

– quali furono le premesse culturali della nozione di Realpo-litik?

– Quali furono le circostanze biografi che e politiche che indussero Rochau a scrivere i Grundsätze der Realpolitik?

– Quanto fu in grado di incidere sull’opinione pubblica libe-rale degli anni Cinquanta e Sessanta?

– In che misura la riformulazione della dottrina liberale rimanda a semplici ragioni di opportunismo oppure a una precisa concezione del rapporto tra politica e potere?

– Quale nesso sussiste tra la Realpolitik di Rochau, la «politica in quanto arte del possibile» (Politik als Kunst des Möglichen) di Bismarck98 e la «politica di potenza» (Machtpolitik) di Treitschke?

– E, infi ne, quale fu la traiettoria seguita dal concetto di Realpolitik dopo il 1871?

Prima di rispondere a tali questioni è bene rilevare sin dall’ini-zio che Rochau non fu uno scrittore politico completamente originale: sotto questo profi lo, James J. Sheehan ha infatti osservato che

«L’autore della Realpolitik è rappresentativo del suo tempo non tanto perché il suo pensiero costituisce una rottura radicale con il passato, ma perché esso

97 Ibidem, p. 468.98 La formulazione originaria, Die Politik ist die Lehre vom Möglichen, sarebbe stata pronunciata dallo stesso Bismarck l’11 agosto 1867, citato in K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 24.

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combina in modo inedito elementi preesistenti e soprattutto perché rivela il tentativo di comprendere l’azione di nuove forze sociali»99.

Analogamente, anche secondo il suo principale biografo, Hans Lülmann, nell’attività intellettuale di Rochau mancò ogni traccia di obiettività e di autentica predisposizione scientifi ca. Anche per questa ragione, i suoi scritti, perlopiù legati alle esigenze politiche del momento, furono destinati a essere presto dimenticati100. E, in effetti, che la sua attività di scrittore sia stata segnata soprattutto da uno sforzo di sintesi di frammenti teorici diversi alla luce dei suoi obiettivi politici è confermato da quanto Rochau stesso ammise nel 1872:

«Il tentativo di esaminare la storia tedesca secondo tale prospettiva non coincide con il lavoro tipico di uno storico specialista, bensì con quello di un politico. Io ho attinto con fedeltà e coscienza al materiale disponibile sul mercato pubblico della scienza e da esso ho cercato di trarre i più importanti contenuti politici»101.

Allo stesso modo, nonostante la centralità del suo interesse per la politica, Rochau non fu neppure un pensatore politico nell’accezione stretta del termine. Infatti, anziché concepire opere sistematiche, egli fece perlopiù ricorso al pamphlet: da questo punto di vista, né la prima, né la seconda parte della sua opera principale possono essere accostate al genere del trattato politico di tipo tradizionale. Ciò non signifi ca tuttavia che nella sua produzione sia del tutto assente l’elaborazione teorica. Al contrario, sebbene non sia sempre facile venire a capo dell’articolata dialettica tra momenti analitici e momenti polemici, e tanto meno isolare la prospettiva dello spettatore da quella del protagonista, è possibile rintracciare alcuni segmenti teorici, facendo riferimento a tre principali livelli discorsivi.

99 J.J. SHEEHAN, German Liberalism, p. 104. Lo stesso giudizio è condiviso anche da Kaehler, il quale ha affermato che il testo di Rochau, pur non conducendo i propri lettori alle sommità teoriche di Hegel o di Ranke, non fu affatto di secondaria importanza nel panorama pubblicistico degli anni Cinquanta; S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 419.100 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 44. 101 A.L. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, I, p. II.

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Il primo livello è quello storiografi co ed è riscontrabile in testi come la Geschichte Frankreichs (1858) e la Geschichte des Deutschen Landes und Volkes (1870-72). Il secondo livello è quello prevalentemente polemico ed è riscontrabile non solo nei numerosi articoli pubblicati sull’organo di stampa del Natio-nalverein, ma anche in testi come Das Erfurter Parlament und der Berliner Fürsten-Congreß (1850) e Vier Wochen französischer Geschichte (1852). Il terzo livello, quello concernente un più stabile nucleo teorico, coincide quasi esclusivamente con i Grundsätze der Realpolitik, che si presentano come una ‘scienza di realtà’, fondata sull’accertamento di fatti inequivocabili e sull’individuazione di alcune leggi politiche fondamentali.

Per quanto riguarda la ricostruzione della vicenda intellettuale di Rochau, è possibile riscontrare sia negli studi più datati, sia in quelli più recenti, la ricorrenza di tre principali paradigmi interpretativi: il primo colloca l’opera di Rochau nel contesto della storia del processo di costruzione dello Stato nazionale; il secondo riconduce le svolte che segnarono la sua biografi a, cioè il passaggio attraverso diverse fasi intellettuali («revoltierender Student, liberaler Realpolitiker»), a una duplice esperienza falli-mentare, quella del 1833 e quella del 1848-1849; il terzo, infi ne, spiega la genesi dell’argomentazione realpolitisch nei termini di uno scontro generazionale tra giovani e vecchi liberali102.

Anche per quanto concerne l’opera maggiore di Rochau, che Thomas Henne non ha esitato a defi nire un «classico» della letteratura liberale tedesca («klassische Streitschrift des deutschen Liberalismus»)103, le opinioni degli studiosi sono, salvo lievi sfumature, sostanzialmente concordi: se già negli anni Trenta Hans Rosenberg affermò che al testo del 1853 spettava, in virtù dei suoi contenuti e delle sue modalità espres-sive, «un posto di primo piano nella storia della pubblicistica politica tedesca», più recentemente Werner Goldschmidt gli ha riconosciuto il merito non solo di aver introdotto nel lessico politico una «parola chiave di importanza epocale», ma anche

102 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Ralpolitik, pp. 72-77. 103 T. HENNE, Rochau, August Ludwig von, p. 405.

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di aver segnato l’inizio di una «svolta ideale e morale nella concezione politica della borghesia tedesca»104.

Anche secondo Friedrich von Weech, i Grundsätze der Real-politik hanno assicurato a Rochau un posto di primo piano nella memoria delle successive generazioni, soprattutto perché rappresentarono una vera e propria «dichiarazione di guerra» da parte del movimento nazionale alla vecchia Germania particolaristica: «essenziale, concreta e nondimeno animata dall’idealismo del patriota appassionato», l’opera di Rochau avrebbe esercitato «un profondo infl usso sulle concezioni del partito liberale» e, soprattutto, «sulla generazione più giovane», che, non avendo vissuto in prima persona il fallimento del 1848-1849, non condivideva con quella precedente il senso di rassegnazione tipico dei primi anni Cinquanta105.

Secondo Weech, l’anno di pubblicazione della prima parte dei Grundsätze der Realpolitik coincise con l’inizio di una nuova fase nella storia del movimento nazionale, ossia quella segnata dalla costituzione nel 1859 del Nationalverein e destinata, di lì a un decennio, a concludersi con la Reichsgründung bismarckiana.

Sebbene faccia riferimento soprattutto alla seconda parte, cioè quella pubblicata nel 1869, anche Dieter Lent ha attribuito all’opera più matura di Rochau, grazie alla quale egli divenne uno dei più «importanti precursori» sul piano pubblicistico della politica di Bismarck, «effetti politici epocali»106.

Sul fi lo della linea interpretativa tesa a instaurare un nesso tra Realpolitik, bismarckismo e tradizione borussa, Dieter Lent, Klaus Asche, Andrew Lees, Regina Ogorek e Oliver Hein hanno a loro volta sottolineato che l’opera di Rochau contri-buì in maniera decisiva al rafforzamento della fi ducia verso gli strumenti machtpolitisch della Prussia, alla valorizzazione della dimensione del potere all’interno della dottrina giuridica

104 H. ROSENBERG, Die nationalpolitische Publizistik Deutschlands, I, p. 33, e W. GOLDSCHMIDT, Politik, III, p. 768.105 F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 191.106 D. LENT, Rochau August Ludwig von, p. 494.

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tedesca («Aufwertung des Machtaspekts in der Rechtlehre») e, quindi, nel segno di un marcato impoverimento ideale del liberalismo, all’alleanza tra Mittelstand e Junkertum, in vista «dell’unità nazionale nel quadro dello Stato di potenza»107.

Analogamente, se Oppermann ha intravisto nei Grundsätze der Realpolitik la sostanza teorica che guidò l’azione del movimento liberale nei suoi anni più gloriosi, Füllner non ha esitato a considerare Rochau uno dei più «prominenti scrittori politici del XIX secolo», nonché uno degli araldi del Reich108.

Sebbene non si discostino troppo dal fi lone interpretativo più tradizionale, i contributi di Gustav Füllner e di Otto Opper-mann offrono tuttavia un quadro lievemente più articolato, soprattutto in relazione alla genesi della Realpolitik. A proposito delle premesse alla base del testo del 1853, essi sono stati i primi studiosi a segnalare l’importanza cruciale del colpo di Stato bonapartista: per entrambi infatti, gli eventi del dicembre 1851 ebbero un peso determinante sulle rifl essioni di Rochau intorno al rapporto tra potere e diritto109.

Oltre ad aver colto la rilevanza del 2 dicembre 1851 per la formulazione del paradigma realpolitisch, Oppermann ha messo in luce la costante preoccupazione di organizzare le forze sociali in vista di un obiettivo politico comune, che Rochau tematizzò in chiave radicale negli anni Trenta; in chiave social-riformista, negli anni Quaranta; in chiave realpolitisch, negli anni Cinquanta e Sessanta.

In tale prospettiva, malgrado le contraddizioni esistenti tra le varie stagioni della sua biografi a, il Frankfurter Wachensturm, l’esilio parigino, l’avvicinamento al fourierismo, la parteci-pazione al 1848-1849, l’adesione al Nationalverein e poi alla

107 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig Rochaus, pp. 77-79; A. LEES, Revolution and Refl ection, pp. 107-108 e 185; R. OGOREK, Richterkönig oder Subsumtionsautomat?, p. 247, e O. HEIN, Vom Rohen zum Hohen, p. 247. 108 G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, pp. 244 e 246.109 O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, pp. 154 e 156, e Der Rechts-staat als Zeitideal, p. 292.

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National-liberale Partei rappresenterebbero pertanto le diverse fasi di uno sviluppo sostanzialmente coerente, dominato dal principio «solo nell’unità vi è la forza» («nur in Einheit ist Kraft»)110.

Più recentemente, è stato soprattutto Hans-Ulrich Wehler ad aver offerto l’interpretazione ‘canonica’ dell’opera di Rochau.

Riprendendo in parte l’idea di Holborn, secondo cui la Real-politik altro non fu che una «singolare fusione» di frammenti concettuali eterogenei, disordinatamente desunti dalla «sociolo-gia francese» e dalla «fi losofi a hegeliana»111, lo storico tedesco ha concluso che, nella rifl essione post-rivoluzionaria di Rochau, la concettualizzazione in chiave socialdarwinistica di una «legge naturale del potere» era abbinata alla celebrazione di un «volgarizzato idealismo statale di matrice hegeliana» («eines vulgarisierten hegelianischen Staatsidealismus»)112.

Oltre a ciò, Wehler ha tuttavia messo in luce anche un altro punto cruciale, quello inerente al carattere ambiguo della «dottrina neo-machiavellica»113 di Rochau, che, da un lato, sembra implicare un «adeguamento alle forze conservatrici dello Stato» («Anpassung an die konservative Mächte des Staates»), dall’altro, sembra profi lare una «partecipazione alla gestione del potere dello Stato» («Mitbeteiligung an der Staatsmacht»)114.

A differenza dei lavori di Klaus Asche, Frank Wild e di Myounghang Chang, scarsamente innovativi sotto il profi lo

110 O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, pp. 153, 157 e 161.111 H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, p. 349.112 H.-U. WEHLER, Einleitung, soprattutto pp. 7 e 11.113 A proposito del rapporto tra il realismo politico di Rochau a quello di Machiavelli, mi permetto di rimandare a un mio intervento, Machiavel-lismus, Realpolitik und Machtpolitik. Der Streit um das Erbe Machiavellis in der deutschen politischen Kultur der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, che sarà pubblicato a breve nei «Sonderhefte» della «Historische Zeitschrift».114 H.-U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte; III: Von der «Deutschen Doppelrevolution» bis zum Beginn des Ersten Weltkrieges: 1849-1914, pp. 215 e 243.

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interpretativo115, le recenti analisi di Natascha Doll, nel tentativo di accertare l’effettiva infl uenza sul piano politico e giuridico dell’opera di Rochau, hanno contribuito a rivedere a fondo il canone wehleriano116.

A parere della giovane studiosa, rispetto alla prima metà del XIX secolo, durante la quale giuristi di orientamento liberale come Rotteck, Welcker, Pfi zer e Mohl avevano cercato di imporre il primato del diritto sul primato tradizionale della politica e di pervenire a una «delimitazione giuridica del potere politico» («juristische Fesselung der politischen Gewalt»)117, dopo il fallimento del 1848-1849, i termini della questione furono ribaltati, perché la costruzione dello Stato nazionale, respingendo sullo sfondo gli ideali costituzionali del Vormärz, aveva reso necessaria una nuova riqualifi cazione del concetto di Macht: nel contesto di questo processo di riformulazione del rapporto tra potere e diritto, secondo Natascha Doll, si inserì il paradigma realpolitisch118.

115 Con il proposito di comprendere fi no a che punto la concezione dello Stato di Rochau possa essere intesa come premessa delle teorie che si sarebbero poi affermate nello Zeitalter des totalitären Staates, Klaus Asche e Frank Wild sono stati tra i primi ad aver direttamente affrontato i con-tenuti dei Grundsätze der Realpolitik; K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig Rochaus, pp. 2 e 68-78; F. WILD, Ludwig August von Rochau, p. 2. Diversamente, Myounghang Chang ha proposto un’analisi in parallelo del pensiero politico di Hegel, Droysen e Rochau alla luce del concetto di Macht. Pur non introducendo alcuna novità sul piano interpretativo – a suo parere, la celebrazione dello Stato nazionale come massimo valore politico e la centralità esclusiva del concetto di Macht avevano determinato un sostanziale allontanamento di Rochau dalla tradizione del liberalismo classico – la tesi fondamentale dello studioso coreano coincide con l’idea secondo cui Rochau aveva formulato un «concetto transitivo del potere», in virtù del quale «il potere più forte riduce i margini di azione del potere più debole» (die stärkere Macht die Handlungsoptionen der schwächeren Macht beschränkt); C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, pp. 9-10. 116 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», p. 5.117 R. OGOREK, Die Zähmung des Leviathans, pp. 409-417, p. 412; N. LUH-MANN, Das Recht der Gesellschaft, p. 422.118 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», p. 10.

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Confrontando il pensiero politico di Rochau con quello di Comte, di Hegel, di Lassalle e con tutte le diverse varianti del paradigma realistico elaborato intorno alla metà del XIX secolo, la studiosa tedesca si è proposta di verifi care fi no a che punto l’opera di Rochau sia realmente espressiva delle tendenze generali dell’epoca o non sia piuttosto da ritenere il frutto delle rifl essioni di un «illustre outsider».

Se con tali osservazioni preliminari è possibile cominciare a mettere a fuoco i principali paradigmi interpretativi che hanno segnato la ricezione novecentesca dell’opera di Rochau, per comprendere le circostanze esatte che fecero da sfondo alla genesi della nozione di Realpolitik e al suo successivo inseri-mento nei binari dell’ideologia nazional-liberale, è di fonda-mentale importanza richiamare alcune testimonianze coeve.

Per esempio, già nel 1853, la rivista Die Grenzboten accolse positivamente il testo di Rochau: secondo l’autore della breve recensione, sebbene non contenesse «in ogni sua pagina un nuovo concetto, che non fosse stato mai formulato prima di allora», esso era il frutto di una disincantata rifl essione, la cui conclusione principale coincideva con la constatazione che il diritto costituzionale altro non era «che il riconoscimento dei rapporti di fatto»119. Appena un anno dopo, nel contesto di una rassegna letteraria dedicata alle nuove tendenze in campo giuridico, anche la «Deutsche Vierteljahrs-Schrift» giudicò il testo di Rochau un «meraviglioso nuovo libro», nel quale la politica era concepita essenzialmente in termini di Macht120. Al di là di tali primi riscontri, non vi è dubbio che, a breve distanza dalla loro pubblicazione, i Grundsätze der Realpolitik riscossero un certo consenso. Una lettera di Treitschke risalente al 1856 lo conferma in maniera inequivocabile:

«Ti consiglio la lettura di un libro anonimo intitolato Grundsätze der Realpo-litik. L’autore si chiama Rochau. Sebbene sembri apparentemente un comune

119 Demokratische Bewegungen, soprattutto p. 352.120 Neuere deutsche Leistungen auf dem Gebiete der Staatswissenschaften, p. 70.

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saggio, esso è più indispensabile per la scienza che non un voluminoso libro di dottrina politica … E infatti non conosco altre opere che distruggano con logica così tagliente le illusioni preconcette»121.

Sebbene Treitschke non fornisca ulteriori chiarimenti, le ragioni di tale entusiastica accoglienza affi orano in un’altra lettera, nella quale lo storico nazional-liberale, sia pure senza fare accenno diretto al testo del 1853, ne riprese espressamente alcuni principi fondamentali e, in particolare, il cosiddetto dynamischer Grundgesetz des Staatswesens:

«La politica è sempre solo stata una questione di forza e non di diritto. Ciò che si chiama diritto costituzionale è solo un eufemismo. Esso corrisponde solo al calcolo e al raggruppamento dei rapporti politici di potere esistenti in uno Stato. Ciò può sembrare il diritto del più forte, ma, in realtà, quello che io intendo per potere non è la mera forza bruta, ma ogni capacità politica. Un diritto costituzionale positivo è buono, se rende dominanti per legge quelle forze sociali che detengono maggiore capacità politica»122.

Se per Treitschke la lettura dei Grundsätze der Realpolitik costituì una «fondamentale esperienza intellettuale»123, a distanza di non molti anni, anche Maximilian Rüder e August

121 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 364 (lettera a Rudolf Martin, 8 giugno 1856) e n. 2, dove è citata la testimonianza di Ferdinand Frensdorff, secondo cui, «tra i libri più studiati da Treitschke» a Gottinga vi era quello di Rochau. Si noti, tra l’altro, un particolare non trascurabile: Treitschke afferma prima che il testo cui fa riferimento è «anonimo», poi rivela senza indugi il nome dell’autore. Questo dettaglio suggerisce l’ipotesi che, in realtà, il nome di Rochau era allora già ben noto alla gioventù universitaria; S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 419. 122 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I: Die Jahre der Vorbereitung 1834-1858, p. 295 (lettera a Heinrich Bachmann, 25 marzo 1855), e H. VON TREITSCHKE, La Politica, I: L’essenza dello Stato, pp. 55-56, e infi ne A.L. VON ROCHAU, Die Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 27. Per alcune coeve valutazioni positive sul paradigma realpolitisch di Rochau, cfr. J. VENEDEY, Das Grundübel im Nationalverein, pp. 35 ss.; J. FRÖBEL, Theorie der Politik, I: Die Forderungen der Gerechtigkeit und Freiheit im State, p. 17 e II: Die Thatsachen der Natur, der Geschichte und der gegenwärtigen Weltlage, als Bedingungen der Politik, p. 383; H. WUTTKE, Pro Patria, p. 25, e C. MAYER, Bericht der Redaction, p. 1046.123 H. -U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, III, p. 243.

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Grumbrecht non esitarono a defi nire quell’opera «epocale». Essa, infatti, aveva

«contribuito in maniera così rilevante al cambiamento di opinioni nel partito liberale …, al punto che la stessa Società Nazionale potrebbe dirsi, più o meno, un prodotto delle idee espresse da Rochau in modo così chiaro e brillante»124.

Ulteriori indicazioni sull’opera di Rochau sono poi fornite da altre due lettere di Treitschke, risalenti rispettivamente al 1861 e al 1867. Nella prima, dichiarando di voler scrivere una storia «meticolosa e soprattutto completamente priva di scrupoli» della Confederazione tedesca, lo storico nazional-liberale rivelò l’intenzione di voler ispirarsi a quella «scritta da Rochau sulla Francia»125. Nella seconda, invece, fornendo all’editore Salomon Hirzel notizie circa il proprio studio sul bonapartismo, espresse un giudizio nel quale riaffi orava il dubbio sull’effettiva originalità dei Grundsätze der Realpolitik:

«Ora comprendo bene che il libro di Rochau, dal quale tanto fui impres-sionato quando ero ancora un giovane immaturo, non offre altro che un buon quadro d’insieme. Ma non va in profondità»126.

L’apparente contraddittorietà dei commenti fi n qui esposti – tesi a rilevare la «spregiudicatezza» (Rücksichtslosigkeit) stili-stica di Rochau, la scarsa originalità dei Grundsätze der Real-politik e, ciononostante, la loro infl uenza decisiva – può essere compresa solo alla luce del giudizio articolato che Treitschke espresse nel necrologio del 1873. In esso, infatti, al di là delle circostanze legate a questo o a quel contesto partico-

124 È probabile che l’infl uenza di Rochau sul Nationalverein rimandi non solo ai Grundsätze, ma anche agli interventi sulla Wochenschrift des Natio-nalvereins; A. GRUMBRECHT, August Ludwig von Rochau, p. 26 e M. H. RÜDER, Erinnerungen an seine Studienjahre in Jena 1827-31, II, p. 124; H. ROSENBERG, Die nationalpolitische Publizistik Deutschlands, I, pp. 37-38 e K.G. FABER, Die nationalpolitische Publizistik Deutschlands von 1866 bis 1871, I, pp. 170-171, pp. 215-216; II, p. 537.125 M. COENICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, II, p. 140 (lettera a Ludwig Aegidi, 21 aprile 1861). 126 Ibidem, III, p. 170 (lettera a Salomon Hirzel, 12 settembre 1867).

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lare, quest’ultimo svolse una rifl essione che, assumendo il signifi cato di una testimonianza generazionale, ebbe il merito di mettere in luce i pregi e i difetti dell’attività di Rochau nel corso degli anni Cinquanta.

A suo giudizio, l’autore dei Grundsätze der Realpolitik non fu «mai un democratico nel senso moderno del termine», neppure al tempo della sua «follia politica», ossia della sua militanza giovanile tra le fi la delle associazioni radicali. Al contrario fu soprattutto un «valente patriota», che «non volle essere niente di più di un pubblicista» e, forse, perfi no «uno dei migliori»127. Infatti, sebbene la sua militanza politica lo avesse spesso indotto a comporre articoli destinati a essere presto dimenticati:

«dopo il suo rientro in patria, … Rochau si dedicò a quella di gran lunga più signifi cativa tra le sue opere, che tuttora rappresenta un gioiello della letteratura politica tedesca e che ha introdotto il termine di Realpolitik nella nostra lingua. Non so se questo breve scritto pieno di sostanza sia stato molto letto. Tuttavia, che esso abbia inciso in profondità e che sia caduto, come un fulmine sulle menti migliori della gioventù, posso testimoniarlo per esperienza personale. Ero allora un giovane studente e ricordo con tri-stezza come la vita ci era resa amara dalla vergogna del nostro paese … E quando chiedevamo agli stupidi giovani senza patria se tale vergogna dovesse durare, solo la parola magica rivoluzione sembrava in grado di sciogliere l’enigma. Vennero allora le argomentazioni taglienti, essenziali, chiare, di questo libro che ci insegnarono con irresistibile eloquenza che lo Stato è potenza»128.

127 H. VON TREITSCHKE, Deutsche Geschichte, IV, p. 295. Anche secondo Oppermann, il ruolo svolto da Rochau nella storia del liberalismo tedesco dovrebbe essere letto perlopiù alla luce della sua attività di pubblicista; O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, p. 161. Le collaborazioni giornalistiche di Rochau accertate nel corso degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta sono quelle con la «Leipziger Allgemeine Zeitung» (1841), la «Kölnische Zeitung», la «Deutsche Zeitung» di Heidelberg (1848), la «Constitutionelle Zeitung» (1851) di Berlino, con il «Frankfurter Volksbote» (1849), con la «Augsburger Allgemeine Zeitung» (1842-50) e con i «Deutsche Annalen» (1853). Durante gli anni Sessanta la sua attività di pubblicista si espresse esclusivamente sulla «Wochenschrift des Nationalvereins» e sul «Wochenblatt des Nationalvereins». 128 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, pp. 635-636, 638-639.

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Le ultime affermazioni, nelle quali sono espresse sia la funzione antirivoluzionaria della Realpolitik, sia l’equazione tra Stato e potenza, rivelano che la lettura treitschkiana dei Grundsätze, privilegiando il primato assoluto del concetto di Macht, ha di fatto dato avvio alla tradizione di false interpretazioni del testo di Rochau. Poco più avanti, infatti, suggerendo implicitamente il nesso tra la Realpolitik di Rochau e quella di Bismarck, Treitschke concludeva:

«Quando, dopo la guerra del 1866, l’autore fece uscire una seconda parte della Realpolitik, egli godette del meraviglioso compiacimento di vedere come quella continuazione non suscitasse affatto scalpore. Ciò che nel 1853 era parso del tutto nuovo ed estraneo divenne, dopo la vittoria di Königgrätz, opinione condivisa da tutti e tutta la Germania credette di pensare o di agire in maniera realpolitica»129.

In tal modo, liquidando la sua decennale militanza tra le fi la del Nationalverein come una parentesi segnata dalla «retorica liberale» e assimilando la lezione della Realpolitik alla strategia bismarckiana, Treitschke favorì non solo una lettura limitativa dei Grundsätze, tesa a privilegiare nel concetto di Realpolitik il momento della «potenza» (Machtpolitik), ma anche il pieno inserimento dell’impostazione di Rochau nei binari dell’ideo-logia moderata.

Tale operazione giunse a compimento in seguito al 1866 e in particolare nel 1869, quando Treitschke, una volta associato a Wilhelm Wehrenpfennig alla direzione dei «Preußische Jahrbücher», diede spazio a una recensione nella quale l’opera di Rochau non fu celebrata come uno dei primi tentativi di rilancio dell’ideologia liberale, né come una delle più inte-ressanti manifestazioni dell’emergere della nuova sensibilità positivistica, ma soprattutto come sanzione a posteriori della strategia machtpolitisch di Bismarck:

«L’autore dei Grundsätze der Realpolitik ha dato un seguito al famoso scritto comparso quindici anni fa. È la stessa concezione dell’agire politico, la stessa drastica descrizione delle debolezze del carattere nazionale tedesco, la stessa impietosa riformulazione dei concetti di libertà, di autodeterminazione

129 Ibidem, p. 639.

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ecc., che avevano garantito alla prima parte dell’opera una così meritata attenzione … La politica in quanto dottrina dello Stato, ha poco o niente a che fare con l’insieme delle cognizioni della fi losofi a, ma è più che altro una scienza empirica come quelle naturali, sicché la stessa politica pratica non ha come obiettivo la realizzazione di un qualche sistema speculativo; l’arte dello Stato è soprattutto, come suggerisce il nome stesso, l’arte del successo applicata a determinati obiettivi statali»130.

A differenza di Faber, di Stolleis e di Wehler, che hanno letto l’opera di Rochau nei termini di un’adesione alla conce-zione borussa e di una «volgarizzazione dell’idealismo statale hegeliano»131, o di Mommsen, di Portner, di Kaehler e di Krieger, che in essa hanno intravisto «il credo del liberalismo moderato»132, un’analisi più attenta conferma perciò l’ipotesi a suo tempo avanzata da Innocenzo Cervelli, secondo cui la Realpolitik di Rochau, pur rispondendo a gran parte delle inclinazioni della cultura tedesca post-rivoluzionaria, percorse un itinerario coincidente non già con quello del liberalismo moderato, ma con quello del Linksliberalismus133. Questa ipotesi è peraltro rafforzata nel momento in cui si confronta la positiva accoglienza giornalistica riservata ai Grundsätze der Realpolitik con la freddezza e l’ostilità mostrata dagli esponenti del liberalismo moderato.

A tale proposito non può infatti non destare meraviglia il fatto che, a dispetto dell’attenzione rivolta a Rochau da un giornale come la «Kölnische Zeitung» e da pubblicisti di spicco come

130 Notizen – A.L. von Rochau, II, p. 380.131 M. STOLLEIS, Geschichte des öffentlichen Rechts, II, p. 276; H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 11; K.G. FABER, Realpolitik als Ideologie, pp. 21-22, e infi ne H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, p. 349.132 W.J. MOMMSEN, Das Ringen um den nationalen Staat, p. 89; S.A. KAEH-LER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 422; E. PORTNER, Die Einigung Italiens im Urteil liberaler deutscher Zeigenossen, pp. 141-142; L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 354.133 I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, p. 389; dello stesso autore, si vedano inoltre Realismo politico, pp. 166-167, e La Germania dell’Otto-cento, p. 172, dove Cervelli contrappone il realismo di Rochau sensibile verso l’esperienza quarantottesca e quello conservatore di Bismarck, Sybel e Treitschke.

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Gustav Diezel, nei testi più noti di Duncker, di Droysen e di Haym non solo mancano richiami precisi, ma affi orano per-fi no alcune note polemiche134: basti pensare alle accuse mosse già nel 1853 da Frantz alla Realpolitik intesa come ‘dottrina materialistica della politica’ o a quanto osservato nel 1865 sulla «Deutsche Vierteljahrs-Schrift», dove, mettendo in relazione «politica positiva» («positive Politik»), «politica cesaristica» («cäsaristische Politik») e Realpoltik, quest’ultima fu giudicata una pericolosa sopravvalutazione degli interessi materiali:

«Lo Stato è divenuto indifferente al suo contenuto reale; e tale contenuto ci si è via via abituati a identifi carlo con il benessere economico e materiale. Quanto più questo è promosso, tanto più l’astratta libertà dell’individuo risulta sottostimata»135.

A prima vista, un simile genere di critiche nei confronti della Realpolitik pare incomprensibile, soprattutto se si tiene conto che, all’incirca negli stessi anni, sui «Preußische Jahrbücher», Eduard Zeller affermò che lo Stato non doveva arretrare di fronte all’eventualità di violare il diritto, se ciò era reso neces-sario dall’interesse nazionale136.

In realtà, la diffi denza degli esponenti del liberalismo mode-rato rimanda innanzitutto a una diversa sensibilità stilistica e linguistica: pare certo, infatti, che quell’esuberanza polemica, che aveva spinto Rochau a parlare dei liberali di Gotha come della «dichiarazione postuma di bancarotta della maggioranza di Francoforte»137, per quanto in grado di colpire «come un

134 La mancanza di precisi richiami nelle lettere private degli Altliberalen dell’epoca è tanto più sospetta se si ricorda che egli, essendo stato redat-tore della «Konstitutionelle Zeitung», doveva essere ben noto ai liberali di Francoforte e di Gotha; cfr. K. BUCHHEIM, Der Aufstieg zur Weltpresse im Preussen der Reaktion 1850-1858, pp. 324-325, e D. LANGEWIESCHE, Liberalis-mus und Demokratie, p. 260. Per la critica del «materialismo naturalistico», cfr. soprattutto J.G. DROYSEN, Zur Charakteristik der europäischen Krisis, pp. 324-325.135 Der Rechtsstaat als Zeitideal, p. 292.136 E. ZELLER, Die Politik in ihrem Verhältnis zum Recht, in particolare p. 648.137 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 134.

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fulmine», fosse poco congeniale alla maggioranza dei vecchi liberali. Accanto alle differenze di carattere formale, tuttavia, ben più importanti sono quelle di carattere culturale, le quali, probabilmente, dovevano essere così ben presenti allo stesso Rochau, da spingerlo a coniare un neologismo che sottolineasse, anche dal punto di vista terminologico, la distanza concettuale rispetto alle altre formule – Pragmatismus, Realismus, prakti-sche Politik o Zweckmäßigkeit – più comunemente adottate dal liberalismo moderato. Infatti, rispetto all’orientamento prevalentemente storicistico del liberalismo moderato, Rochau presentò la Realpolitik sotto le vesti di una teoria scientifi ca, segnata da motivi implicitamente antistoricistici ed esplicita-mente anti-fi losofi ci138. A tale riguardo, gli stessi richiami al modello organicistico, che sembrerebbero costituire uno dei punti di maggiore contatto tra Rochau e il liberalismo mode-rato, maturarono a partire da presupposti diversi: in un caso, la metafora dell’organismo trasse origine dal paragone con il mondo della natura, nell’altro, dalla tradizione aristotelica.

Più recentemente le intuizioni di Cervelli hanno trovato conferma negli studi compiuti da Christian Jansen, il quale, contribuendo a correggere il canone interpretativo tradizio-nale – basato, come si è visto, sulla ricezione treitschkiana dei Grundsätze der Realpolitik e sulla proiezione moderata e nazional-liberale dell’ideologia di Rochau – ha suggerito una distinzione estremamente signifi cativa.

Da un lato, egli ha messo in luce che la nozione di Realpolitik richiama, in senso generale, un «concetto pregnante», utile per descrivere il «riorientamento strategico» compiuto tra le fi la del movimento nazionale a partire dai primi anni Sessanta139: secondo questa accezione più ampia, le rifl essioni di Rochau, di Droysen e di Baumgarten esprimerebbero in termini com-

138 I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, pp. 385-389 e, dello stesso autore, Realismo politico, pp. 165-172. A proposito della ricorrenza, soprat-tutto a partire dal 1866, dei richiami naturalistici, cfr. K.G. FABER, Realpolitik als Ideologie, pp. 17, 20 ss. 139 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 260.

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plementari l’orizzonte ideale del liberalismo tedesco post-quarantottesco.

Dall’altro lato, Jansen ha messo in rilievo che la specifi ca nozione di Realpolitik formulata da Rochau nel 1853, anziché espressione emblematica dell’accomodamento liberale nei con-fronti dello Stato prussiano e anticipazione della ‘capitolazione’ del 1866, fu essenzialmente il frutto di «una genuina rifl essione da parte della sinistra liberale» sugli eventi del 1848-1849140. In tal senso, rielaborando alcuni modelli teorici pre-esistenti e favorendo il superamento del piano puramente speculativo a favore di una più attenta analisi delle condizioni materiali, l’opera del 1853 fu decisiva nel processo di ‘repoliticizza-zione’, e non di depoliticizzazione, del movimento nazionale tedesco141: in altre parole, se contribuì a portare a termine lo sganciamento della sinistra liberale dal modello della rivolu-zione dal basso, essa non comportò l’abbandono dei principi liberali e nazionali del 1848 e tanto meno una apologia della forza fi ne a se stessa.

140 Ibidem, p. 262, e ancora C. JANSEN, August Ludwig v. Rochau, p. 685.141 Si tenga presente l’ipotesi di Jansen, secondo cui il paradigma realpoli-tico affonderebbe le proprie origini in quell’eterogeneo insieme di progetti politici che, soprattutto in Francia e grazie ai due Bonaparte, aveva trovato una precisa connotazione, tesa a fondere insieme rivoluzione, democrazia autoritaria e nazionalismo; C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 262, n. 12. Sull’infl usso dei modelli culturali stranieri e soprattutto francesi sulla Realpolitik, cfr. N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 6 e 96 ss. Circa la latente opzione cesaristica di Rochau, cfr. poi O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, pp. 155-156.

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Capitolo secondo

Gli anni del radicalismoe del fourierismo (1830-1840)

La storia politica tedesca della prima metà del XIX secolo è stata segnata a fondo dalla nascita della Burschenschaftsbewegung e dall’azione di quanti militarono attivamente tra le sue fi la1. Tra coloro che furono più direttamente coinvolti nella complessa vicenda del primo movimento politico giovanile in Germania e che per mezzo di tale esperienza poterono avviare un intenso, anche se spesso contraddittorio, processo di maturazione poli-tica, Rochau occupa – come si è già osservato – una posizione di indubbio rilievo.

L’analisi del suo itinerario intellettuale non può perciò pre-scindere dall’approfondimento di questa fase giovanile della sua vita – compresa all’incirca tra la fi ne degli anni Venti e l’inizio degli anni Quaranta – nel corso della quale, a partire dal radicalismo democratico delle associazioni studentesche, egli giunse a condividere almeno in parte gli orizzonti problematici del socialismo utopistico francese. Nell’arco complessivo di questo periodo, è possibile distinguere tre fasi:

– il quinquennio 1828-1833, che coincise con l’adesione di Rochau alla Burschenschaftsbewegung e con la maturazione di una posizione intransigente dal punto di vista democratico;

– il triennio 1833-1836, che coincise con il periodo della detenzione e con un parziale superamento del radicalismo;

1 W. HARDTWIG, Sozialverhalten- und Wertewandel, pp. 305-335 e, dello stesso autore, Studentische Mentalität, pp. 581-628.

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– il decennio 1836-1846, che coincise con il periodo dell’esilio parigino e con la tematizzazione della questione sociale nei termini del socialismo fourierista.

Per quanto non sia possibile tracciare con estrema precisione il profi lo intellettuale e politico del «Rochau militante», risulta tuttavia possibile, grazie ad alcune testimonianze particolar-mente signifi cative, ricostruire un quadro d’insieme suffi cien-temente esauriente.

Facendo riferimento al suo «eclettismo culturale» («vielseitige allgemeine Ausbildung») e alla sua coscienza pervasa di «senti-mento aristocratico» («von ritterlicher Gesinnung»), Friedrich von Weech ha spiegato l’adesione di Rochau alle Burschenschaf-ten sulla base non già di radicate convinzioni democratiche, bensì di un generico spirito cameratesco2. Che sia stato indotto dai meccanismi di socializzazione tipici della gioventù del tempo o, più semplicemente, dal desiderio di trovare una forma di consolazione alla scomparsa della madre3, è indubbio che l’in-contro con l’universo delle Burschenschaften rappresentò un momento decisivo per Rochau. A riprova di ciò e, più in generale, del ruolo da esse svolto nella formazione di un’intera generazione di giovani tedeschi, è suffi ciente ricordare quanto egli stesso ammise a distanza di anni:

«Le Burschenschaften furono una sorta di rappresentanza politica dello spirito nazionale, cui era stata negata ogni altra forma di espressione. Che abbiano distolto la gioventù tedesca dai propri doveri universitari, che le abbiano affi dato un compito che non le spettava, ebbene tali responsabilità sono fondate, ma è anche vero che riuscirono a colmare, almeno in parte, il vuoto della vita pubblica tedesca»4.

Quello che qui importa stabilire non sono i motivi della sua adesione alla Burschenschaftsbewegung, ma le ragioni che, dopo

2 F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 189.3 G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 233, e H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 11 e 26-27.4 A.L. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, pp. 615-616, e anche A. SCHULZ, Generationserfahrungen bürgerlicher Eliten in Vormärz, pp. 409-424.

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un’iniziale indifferenza nei confronti delle questioni politiche, lo spinsero a maturare posizioni sempre più orientate in senso radicale.

Partendo dall’ipotesi avanzata da Treitschke, secondo cui l’ade-sione del giovane Rochau alla cultura democratica fu dovuta perlopiù al suo «fervore patriottico» e alla sua ostilità verso l’erudizione fi ne a se stessa (Zunftgelehrsamkeit)5, il momento in cui prese avvio tale processo di maturazione può essere fatto ricadere nella seconda metà del 1830, quando, in concomitanza con la ‘rivoluzione di Luglio’, egli giunse a Jena e, poco dopo, decise di unirsi allo schieramento intransigente dei Germanen6.

Stando alle testimonianze di Albert Schmid, di Hermann von der Hude e di Gustav Körner, durante il soggiorno a Jena, Rochau «era diventato uno degli utopisti più radicali, se non addirittura il più radicale». Da questo momento in poi, non solo cominciò a essere ossessionato dal pensiero della «patria infelice» e della «libertà calpestata», ma, in linea con l’orien-tamento di Heinrich Ahrens, di Jakob Friedrich Fries e di Karl Follen, condivise anche tutte le istanze sociali e politiche avanzate dal movimento nazionale, declinandole in senso tanto più radicale quanto più ostinata gli pareva essere la posizione assunta dai diversi governi del Deutscher Bund:

«… allora si levò innanzi a lui il luminoso sole di luglio come un nuovo astro della speranza. In migliaia furono conquistati dalle idee di libertà, che la rivoluzione francese diffuse in maniera irresistibile. Rispetto alla maggio-ranza, tuttavia, in Rochau non maturò un generico interesse verso gli eventi politici; si trattò piuttosto di una vera e propria epifania che … offrì un adeguato contenuto alla sua emotività e cioè il sino ad allora sconosciuto

5 Della sua ostilità verso la Büchergelehrtheit, in effetti, recano segni evi-denti anche gli scritti della maturità; cfr., ad esempio, A.L. VON ROCHAU, Die Schule und das Leben, pp. 601-603. 6 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 636, soprattutto laddove afferma che «solo l’aspirazione verso la forza e la grandezza della Germania … lo condusse temporaneamente da abbracciare le idee repub-blicane»; si veda pure M.H. RÜDER, Erinnerungen an seine Studienjahre in Jena 1827-31, p. 124. Sui Germanen e, in generale, sull’orientamento radicale delle Burschenschaften a partire dal 1827, cfr. L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, pp. 264-272.

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sentimento d’amore per la patria. E quest’ultimo lo pervase totalmente, come avvenne forse solo in pochi altri tedeschi di quel tempo. La patria divenne sua madre, il suo amico e i suoi più cari affetti»7.

In tale contesto, segnato dalla crescente vivacità delle asso-ciazioni clandestine e dalla fi ducia nel lento ma inesorabile operare dello «spirito del tempo» (Zeitgeist), il quale presto o tardi avrebbe posto termine a quell’«indegna condizione cui era ridotto un grande, nobile e potente popolo», Rochau fece propria una concezione eroica del martirio politico, giungendo perfi no a giustifi care la violenza come mezzo per la realizzazione di quei supremi fi ni dettatigli dalla Überzeugung8:

«Pensa all’effetto morale che sei o sette deposizioni, compiute senza grande pena e pericolo, potrebbero avere. E se tre o quattro lame fossero simul-taneamente messe in movimento? Comincio a nutrire una certa fi ducia in questi mezzi pratici e conosco un paio di persone che non si farebbero scrupolo di ricorrervi»9.

Più precisamente, l’inizio della dimensione pubblica della sua carriera di militante, così come la piena maturazione di

7 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 14, 26-27 e 30; E. DIETZ, Das Frankfurter Attentat, p. 30, e K. JARAUSCH, Deutsche Studenten 1800-1970, pp. 42 ss. In relazione ai fermenti rivoluzionari emersi sulla scia degli eventi parigini e della costituzione nel 1830 dell’associazione Junges Deutschland – tra i componenti più illustri si ricordino Ludwig Börne, Heinrich Heine, Karl Gutzkow, Heinrich Laube, Ludolf Wienbarg e Theo-dor Mundt – che propugnava l’abolizione della monarchia, l’abbattimento dell’ordine sociale borghese del juste milieu e il superamento del sistema confederale tedesco a favore di una repubblica unitaria e democratica, cfr. E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 126-131. 8 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 30-31, e E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, I, pp. 711-717 sull’evoluzione del concetto di «Überzeugung» a partire dalla sfera religiosa a quella fi losofi co-morale (Kant) sino a quella politica (Fries, Follen e Sand). Per la determinazione kantiana in quanto moralische Gewißheit contrapposta ai concetti di «Glauben», «Wissen» e «Meinung», cfr. I. KANT, Critik der reinen Vernunft, r. 1781; II: Transzendentale Methodenlehre; Zweites Hauptstück; Dritter Abschnitt). Cfr. pure J.F. FRIES, Wissen, Glaube und Ahndung, e, dello stesso autore, Von Deutschem Bund und deutscher Staatsverfassung. 9 Lettera di August Ludwig von Rochau a Maximilian Rüder, 6 febbraio 1832, citato in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 79 e 23-27.

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posizioni segnate da un tanto esasperato quanto velleitario fanatismo rivoluzionario avvenne in occasione di tre momenti fondamentali.

Il primo è rappresentato dalla sua partecipazione, in qualità di delegato dei Germanen di Jena, al Burschentag di Fran-coforte del 26 settembre 1831. In questa occasione, dopo essersi messo a capo dei cosiddetti Unbedingte Germanen10, Rochau si distinse per la ferma volontà sia di lottare «contro ogni principio illiberale», sia di riformulare lo statuto generale delle Burschenschaften, in modo da imprimere al movimento studentesco un corso nuovo, orientato verso la politica pratica e la costruzione di uno Stato tedesco libero11.

Il secondo momento cade nei mesi del semestre invernale 1831-32, quando, in concomitanza con lo scoppio di numerosi disordini a Dresda, a Gottinga e nello Rheinpfalz, egli caldeggiò l’estensione su scala europea della rivolta e la formazione di una legione di volontari, che si facessero carico, «in quanto rappresentanti dell’opinione pubblica e del sentimento patriot-tico tedesco», del compito di imporre il «riconoscimento del principio nazionale»12.

Il terzo momento coincide infi ne con il periodo compreso tra la primavera e l’estate del 1832, quando, a ridosso delle grandi manifestazioni di protesta in occasione dello Hambacker Fest e della fondazione del Vaterlands- und Pressverein da parte di Johann Georg Wirth, Rochau dichiarò:

«Quell’associazione patriottica ha tra i propri principali obiettivi quello di unifi care spiritualmente tutti i liberali della Germania … e creare un punto

10 G. HEER, Die allgemeine deutsche Burschenschaft, p. 291, e E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, I, in particolare pp. 723-724.11 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 19; G. HEER, Die allgemeine deutsche Burschenschaft, pp. 248, 311-334.12 Lettera di August Ludwig von Rochau a Maximilian Rüder, 26 febbraio 1832, in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 22-24 e 80. Cfr. poi W.L. LANGER, Political and Social Upheaval 1832-1852, pp. 109-112; W. SIEMANN, Heere, Freischaren, Barrikaden, 1989, pp. 87-102, in particolare pp. 96-102.

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di raccolta verso cui far convergere le loro iniziative. L’idea è buona e del successo non si può dubitare … Sappiamo per certo che essa si propone la republicanizzazione della Germania per vie rivoluzionarie. Che l’obiettivo sia realizzabile? Non pormi domande così dirette. Tutto per l’unità e la grandezza della Germania»13.

All’indomani della partecipazione al Frankfurter Wachensturm L’esito fallimentare dei suoi progetti di rinnovamento nazionale «per vie rivoluzionarie» e l’avvio, nel corso della sua successiva detenzione, di un ripensamento critico sull’«inavvedutezza» dei metodi sin lì adottati non comportarono tuttavia una riformulazione degli obiettivi fi nali. Come lo stesso Rochau ebbe modo di affermare:

«La vita coincide con il suo stesso fi ne. Vivere signifi ca essere felici. Esiste un solo modo per realizzare questo obiettivo, un solo principio fondamentale: seguire sempre la propria convinzione. La coerenza nei confronti delle pro-prie convinzioni è ciò che davvero forma il valore spirituale di un uomo»14.

In questo senso, il periodo giovanile della militanza radicale di Rochau non rappresenta affatto una parentesi di carattere episodico. Al contrario, vale la pena osservare sin da ora che le rifl essioni degli anni della maturità non possono essere intese come il prodotto di una svolta repentina, ma piuttosto come il risultato di una parabola intellettuale estremamente complessa. Ciò non signifi ca ovviamente che tra il periodo giovanile e quello della maturità non vi siano segni di frat-tura. È chiaro però che tra queste due fasi esiste un comune nucleo problematico, senza l’approfondimento del quale non è possibile cogliere appieno il signifi cato della sua opera matura.

Come è stato osservato da Otto Oppermann e da Hans Lül-mann, oltre alla marcata sensibilità anti-dogmatica e alla ricor-renza di concetti fondamentali come quelli di Überzeugung e di

13 Lettera di August Ludwig von Rochau a Maximilian Rüder, 26 febbraio 1832, in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 80-81; C. FOERSTER, Der Preß- und Vaterlandsverein von 1832-33, e S. KOPF, Stu-denten im deutschen Press- und Vaterlandsverein, pp. 185-196.14 La testimonianza risale verosimilmente al periodo compreso tra la fi ne del 1832 e l’inizio del 1833; cfr. G. FÜLLNER, August Ludwig von Rochau, p. 236, e H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 31-32.

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Bürgertugend, uno dei nodi cruciali della rifl essione complessiva di Rochau coincide con quello relativo al problema dell’«orga-nizzazione delle forze sociali»15. E in effetti, così come tra la primavera e l’estate del 1831 egli aveva denunciato – in virtù del principio secondo il quale «nur in Einheit ist Kraft» – l’esigenza di una riunifi cazione delle forze nazionali tedesche in vista di una riforma strutturale del Deutscher Bund, allo stesso modo, a oltre vent’anni di distanza, nei Grundsätze der Realpolitik, affermò:

«… con la riunifi cazione delle proprie forze, la Germania può respingere con successo qualsiasi minaccia rivoluzionaria o attacco proveniente dall’esterno. Lo scopo fondamentale della politica tedesca è dunque questo: unità … Ma certamente né un principio, né un’idea e tanto meno un trattato uniranno le disperse forze nazionali della Germania, bensì solo una forza superiore [‘nur eine überlegene Kraft’] in grado di divorare le altre»16.

Prima di allora, tuttavia, la stessa problematica fu ridecli-nata intorno alla vigilia degli anni Quaranta, quando, dopo essere entrato in contatto con la «nuova sociologia» francese, Rochau inaugurò la propria carriera di scrittore politico. Sin dal primo momento del suo arrivo a Parigi, egli aveva preso atto dell’asprezza della cosiddetta questione sociale, il lento profi larsi della quale – preannunciato dalla violenta insurrezione dei lavoratori lionesi (1831) e dalla pubblicazione di De l’indi-vidualisme et du socialisme (1834) di Pierre Leroux – era stato accompagnato dagli sviluppi del pensiero socialista e soprat-tutto dalla scoperta di una società lacerata, all’interno della quale il proletariato tendeva a presentarsi come soggetto auto-nomo17. Fu in particolare l’inasprimento dell’opposizione verso

15 O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, pp. 151 e 153; H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 43-44, e H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 636. Si veda pure S. ROESELING, Burschenehre und Bürgerrecht.16 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 191. 17 Per le dottrine socialiste la questione sociale richiedeva risposte netta-mente diverse rispetto a quelle tradizionalmente adottate dalla classe dirigente orleanista. Pur nella loro eterogeneità, esse condivisero non solo la denuncia del nesso tra sfruttamento ed emarginazione, ma anche la necessità di una ridefi nizione dell’ordine complessivo, che, a partire dalla riorganizzazione

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il regime orleanista, che nel 1839 giunse a tradursi in un tenta-tivo di colpo di Stato, ad offrirgli l’occasione di intraprendere una rifl essione che, a distanza di qualche anno, sarebbe appro-data alla «scoperta» della società e delle «forze» in essa agenti.

1. La scoperta della società e la politica come «scienza positiva»

Nonostante le notizie sulla sua genesi siano piuttosto scarse, è certo che lo spunto decisivo alla base della Kritische Dar-stellung der Socialtheorie Fourier’s del 1840 sia maturato nel contesto dei rapporti che Rochau intrattenne con gli esponenti dell’emigrazione tedesca, con i circoli socialisti attivi nella Parigi degli anni Trenta e, in particolare, con quelli raccolti intorno a George Sand e a Léroux18.

È tuttavia necessario non sopravvalutare l’importanza di queste infl uenze e di queste relazioni. Le numerose suggestioni cul-turali con cui egli entrò in contatto durante l’esilio parigino non lo condussero mai a vere e proprie prese di posizione teoriche e tanto meno ad aderire in maniera aperta a questo o a quello schieramento: lo stesso socialismo che egli abbracciò nei primi anni Quaranta fu soprattutto un socialismo libertario, svincolato da ogni forma di ortodossia teorica, che, abbinando Fourier a Saint-Simon, così come Frédéric Bastiat e Charles Dunoyer19 a Pierre-Joseph Proudhon, poneva al centro delle proprie attenzioni non la classe, l’uguaglianza e l’annullamento

razionale dei meccanismi economici, consentisse lo sviluppo armonioso dell’intero corpo sociale; F. ENGELS, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, pp. 82-83, e P. ROSANVALLON, La rivoluzione dell’uguaglianza, pp. 259-263.18 Lülmann ha escluso la possibilità che l’incontro con il socialismo sia potuto avvenire attraverso la mediazione del padre di Rochau. Stando alle testimonianze di Grumbrecht, infatti, poco tempo dopo il suo arrivo a Parigi, egli si sarebbe allontanato da questi per via dell’«inconciliabilità delle rispettive opinioni»; cfr. H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 45-46. 19 A proposito di Dunoyer, Bastiat e della Scuola classica francese, cfr. J. GRIZIOTTI-KRETSCHMANN, Storia delle dottrine economiche, pp. 159-166.

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defi nitivo delle ingiustizie, ma soprattutto l’individuo, la libertà e la conciliazione degli interessi confl iggenti20.

A tale proposito, rispetto a Friedrich von Weeck e a Heinrich von Treitschke, che, tracciando l’immagine di un giovane esi-liato perlopiù indifferente alle lusinghe della cultura francese21, hanno ridimensionato il rapporto tra Rochau e il socialismo nei termini di un incontro puramente occasionale, destinato a lasciare scarsa traccia di sé nell’opera matura, Hans Lülmann ha collegato l’interesse di Rochau per il pensiero di Fourier al percorso autocritico avviato in seguito al 1833 e al rifi uto della violenza rivoluzionaria22. A prescindere dai suoi rapporti con «La Phalange» – ritenuto «un foglio libero da pregiudizi e straordinariamente chiaroveggente»23– è indubitabile che, nel corso degli anni Trenta, Rochau abbia nutrito un forte interesse verso la teoria di Fourier, in virtù degli strumenti critici che essa offriva per un’analisi della realtà sociale tedesca24. Tale opinione spiega il senso del testo del 1840, il cui titolo rivela già il principale obiettivo dell’autore: proporre al pubblico di lingua tedesca un’esposizione critica delle idee fourieriste25.

20 Si tenga presente anche un altro elemento: durante l’esilio parigino, Rochau non fece parte di nessuna società segreta di matrice democratico-rivoluzionaria, benché lo scenario sociale di quegli anni e la sua stessa con-dizione di clandestinità rendessero tale ipotesi estremamente plausibile. Ciò rafforzerebbe l’ipotesi secondo cui, già durante questa fase, Rochau avesse cominciato a maturare una sensibilità politica diversa rispetto a quella degli anni Trenta; cfr. H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 45 e 53. 21 F. VON WEECH, August Ludwig von Rochau, p. 190, e analogamente H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, pp. 636 e 638.22 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 45-46.23 «Leipziger Allgemeine Zeitung», 26 febbraio 1841.24 K. GUTZKOW, Briefe aus Paris, II, pp. 233-234, 243, e K. GLOSSY, Literarische Geheimberichte aus dem Vormärz, pp. 195-196 e 64, dove gli sono attribuiti alcuni articoli apparsi su «La Phalange». A proposito di tale ipotesi, a eccezione di una lettera aperta del 27 novembre 1840 a Edgar Quinet, non vi sono tuttavia prove certe circa una collaborazione duratura con l’organo fourierista.25 A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. III-IV (Vorwort des Heraus-gebers).

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Nel contesto di questa trama non chiaramente delineata di rapporti personali e teorici, sebbene non possa essere ritenuta il frutto di una rifl essione originale e tanto meno possa essere indicata come un primo, solido approdo teorico, la Kritische Darstellung risulta tuttavia un testo signifi cativo, soprattutto perché, ponendosi al culmine di quella stagione politica iniziata all’incirca un decennio prima e trascorsa a stretto contatto con il radicalismo delle Burschenschaften, ne presuppone in qualche modo il superamento defi nitivo26.

In questo senso, per quanto fosse anch’essa connotata in senso radicale, la teoria sociale di Fourier fornì a Rochau uno schema polemico di riferimento che avrebbe poi costituito il sistema di coordinate alla base dei Grundsätze der Realpolitik e della successiva polemica nei confronti delle stesse «fantasie del socialismo». Nonostante le differenze rispetto ad alcune conclusioni della «teoria sociale», ritenute «scoraggianti» o addirittura «pericolose», l’asse concettuale del testo di Rochau coincise infatti con l’idea secondo cui solo mediante l’«asso-ciazione industriale generale» e la «garanzia degli interessi» sarebbe stato possibile porre fi ne al «regime anarchico», che affl iggeva il sistema produttivo moderno, e realizzare un auten-tico miglioramento delle condizioni di vita umane27.

Nelle sue opere – la Théorie des quatre Mouvements (1808), il Traité de l’Association domestique et agricole (1822) e il Nou-veau Monde industriel (1829) – unendo minute analisi della

26 Sebbene non abbia suscitato un grande interesse da parte della critica successiva, il testo di Rochau fu accolto con favore da Lorenz von Stein; cfr. L. VON STEIN, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs, II: Der französische Socialismus und Communismus, p. 586. Forse condizio-nato dall’autorevolezza del giudizio di Lorenz von Stein, l’Archiv für die Geschichte des Sozialismus, pubblicato nella prima metà del Novecento, ha indicato in Rochau colui che per primo introdusse in Germania il termine «socialismo», in C. GRÜNBERG (ed), Archiv für die Geschichte des Sozialismus, II, p. 379.27 Nella premessa, riconoscendo la presenza di alcune vistose divergenze teoriche rispetto al pensatore francese, Gustav Bacherer, ammise infatti che Rochau non poteva essere fatto rientrare tra i più «appassionati seguaci di Fourier»; A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. IV-V (Vorwort des Herausgebers).

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realtà sociale a improbabili speculazioni sul suo assetto futuro, Fourier aveva fornito, secondo Rochau, una lucida denuncia delle contraddizioni che affl iggevano la società e, affi dando alla «Falange» il compito di effettuare una strutturale ma graduale riforma dei rapporti interpersonali, un contributo concreto alla loro soluzione28.

In tal senso, rispetto a quanti teorizzavano la «necessità natu-rale della miseria pubblica», la scienza sociale di Fourier si era proposta di:

«… trovare una forma sociale, nella quale il più adeguato impiego possibile di tutte le risorse esistenti al servizio dell’uomo garantisca la produzione di benessere e assicuri a ogni singolo individuo una quota della ricchezza prodotta dalla società corrispondente alle proprie prestazioni»29.

Nella Kritische Darstellung, Rochau riprese e sviluppò quindi le principali argomentazioni della «dottrina sociale» di Fourier in tre capitoli: a) nel primo, «Il compito della teoria sociale» (Die Aufgabe der Sozialtheorie), illustrandone il signifi cato e gli obiettivi; b) nel secondo, «Parte critica della teoria sociale» (Kritischer Teil der Sozialtheorie), formulando alcune osserva-zioni critiche relative alla sua praticabilità; c) nel terzo, «Parte organica della teoria sociale» (Organischer Teil der Sozialtheo-rie) descrivendone il progetto complessivo di riorganizzazione sociale.

Introdotta da una dura requisitoria verso le contraddizioni della società del tempo, accusata di contrapporre «alla vibrante tensione dell’uomo verso il benessere una legge generale della sofferenza e della privazione»30, la rifl essione di Rochau era direttamente ispirata al nucleo polemico della dottrina di Fourier, secondo cui la civiltà europea degli anni Quaranta era rimasta vittima di una grande trasformazione, che, incidendo a fondo sulla struttura sociale, aveva determinato quel continuo incremento del «privilegio del denaro», in forza del quale, alla

28 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, I, pp. 351-352.29 A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. 8-9.30 Ibidem, pp. 1-2, 12 e 58.

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«concentrazione di proprietà, potere e cultura» nelle mani di pochi era corrisposta la condanna dei molti a un’esistenza di «povertà, dipendenza e ignoranza». In sintonia con Fourier, Rochau attribuiva questi «effetti catastrofi ci» non tanto ai guasti comportati dall’avvio del processo di industrializzazione, rite-nuto «un grande successo per la società», conseguito tuttavia «a un prezzo troppo alto», quanto alla «tendenza anarchica del sistema economico»:

«Queste osservazioni, lo ripeto, non dovrebbero testimoniare a sfavore del principio della grande industria, bensì solo dimostrare che l’ordinamento complessivo dell’attuale società vanifi ca la miglior parte dei suoi beni»31.

A suo parere, la «tendenza anarchica» del sistema economico agiva contro il benessere generale perché, scatenando una lotta infi nita del debole contro il forte e del forte contro il più forte, contribuiva alla formazione di monopoli che impedivano la libertà economica e rendevano la ricchezza nazionale inaccessi-bile alla stragrande maggioranza della popolazione32. Gli effetti disastrosi di questa «nuova forma di feudalesimo mercantile, industriale e fi nanziario»33 erano riscontrabili tanto in città quanto in campagna, dove la piccola proprietà autonoma ten-deva sempre più a scomparire, in virtù dell’inesorabile trasfor-mazione dell’artigiano in manovale e del contadino autonomo in bracciante salariato. In tal senso, la rovina della piccola manifattura favoriva non solo l’usurpazione della ricchezza nazionale, ma vanifi cava anche i benefi ci indotti dall’industria, sicché, a dispetto del tramonto della «schiavitù personale e diretta», era emersa la «schiavitù collettiva e indiretta»:

«la povertà attuale delle masse non è più solo l’effetto di un eccessivo vantaggio a favore dei privilegiati, ma tende sempre più a divenire assoluta e indipendente dal tipo di distribuzione della ricchezza esistente»34.

31 Ibidem, pp. 52-53.32 Ibidem, pp. 16-17.33 Ibidem, p. 51.34 Ibidem, pp. 33-34 e 51-53.

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Anticipando in parte uno dei temi che in seguito sarebbero stati al centro delle rifl essioni svolte da Droysen in Zur Cha-rakteristik der europäischen Krisis (1854), secondo Rochau, lo stritolamento del singolo individuo era perciò portato a com-pimento dall’incessante rafforzamento di una struttura sociale che tendeva a incidere a fondo sulla stessa natura antropologica del soggetto. All’innaturalità economica dell’ordine vigente corrispondeva infatti un’innaturalità di tipo psicologico, che rendeva l’essere umano uniforme e unidimensionale, capace non di seguire le proprie inclinazioni, ma solo di scegliere tra un numero più o meno elevato di privazioni35.

Alla denuncia della complessiva «innaturalità» dell’allora vigente sistema economico, l’ex-Burschenschafter riallacciò una concezione evolutiva, secondo cui ogni forma di esistenza era sottoposta a una «legge generale della vita e della morte», che, regolando il progresso mediante due fasi di crescita e due fasi di decrescita, contraddiceva in pieno quella «vana chimera prodotta dalla superbia dei fi losofi », che stabiliva l’infi nita possibilità di sviluppo del genere umano36.

Secondo tale logica, nel corso di un’«epoca d’oro» collocata ai primordi della storia, il genere umano aveva potuto seguire «quasi ciecamente» i propri istinti e realizzare le proprie aspi-razioni, evitando lo scontro tra interessi egoistici. Allontanando-sene progressivamente, era poi caduto in una «fase selvaggia», segnata dal contrasto permanente. La condizione di bisogno e la lotta quotidiana per assicurarsi le risorse necessarie alla

35 In tal senso, la condizione della stragrande maggioranza era segnata non solo dalla mancanza di giustizia, bensì dalla mancanza di libertà, intesa come capacità di promozione delle proprie condizioni materiali e spirituali; ibidem, pp. 57 e 77.36 Ibidem, pp. 21-24. Per Fourier la società del suo tempo era ancora nella prima fase di crescita, corrispondente all’incirca al periodo dell’infanzia. In essa, ogni forma di organizzazione umana sarebbe passata attraverso altre otto fasi di sviluppo, ognuna delle quali caratterizzata da un diverso rapporto tra la sommatoria delle privazioni e dei benefi ci: «i primordi paradisiaci o fase dell’edonismo», «la fase selvaggia», «il patriarcato», «la barbarie», «la civilizzazione», «il garantismo», «l’associazione semplice» e infi ne l’«asso-ciazione generale».

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sopravvivenza avevano infi ne spinto il singolo a unirsi con i propri simili e a dare vita alla famiglia, alla comunità locale e allo Stato.

Nel corso della storia, queste tre forme di organizzazione si erano tuttavia rivelate inadeguate per la soddisfazione delle esigenze umane: la famiglia si limitava a tutelare il diritto di successione, la comunità locale non era altro che un «ingra-naggio amministrativo» e lo Stato operava unicamente per la difesa da attacchi esterni nei confronti della vita, della libertà e della proprietà dei suoi membri37.

A causa di tali inadempienze, la moderna civiltà non rappre-sentava perciò il culmine della perfezione, ma solo una fase intermedia di un processo destinato a far sì che il genere umano riprendesse il proprio cammino verso un ideale ritorno alla condizione iniziale di armonia38. In tal senso, se il corso della natura non avesse incontrato impedimenti, sarebbe stato possibile pervenire a una realtà diversa da quella attuale, fi nal-mente armonica e «unitaria»39. In vista di tale obiettivo, alla ragione spettava decifrare il «codice sociale naturale»:

«L’uomo porta in se stesso la norma che regola il suo destino. Egli sente un’inesauribile attrazione verso la felicità. Di conseguenza, è chiamato a essere felice e la sua attuale condizione di miseria è solo il prodotto di una valutazione errata degli strumenti offerti dalla natura»40.

Il ristabilimento dell’armonia tra sfera privata e sfera pubblica, tra progresso – da risolvere in organizzazione sociale – e

37 Ibidem, pp. 6-7.38 Precisando altresì che la società era continuamente esposta al rischio di regressione e di estinzione – soprattutto laddove, come nel caso del proletariato, le condizioni minime della sopravvivenza erano quanto mai incerte – Rochau ritenne che la salvezza dell’umanità non poteva risiedere in un ipotetico ritorno allo stato di natura, come aveva ritenuto Rousseau, ma nell’avvio di un progresso verso uno stato superiore, caratterizzato tuttavia dalla «naturalità di quello iniziale»; ibidem, pp. 25-26 e 27-28.39 Ibidem, p. 83.40 Ibidem, pp. 5-6.

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natura – da non reprimere bensì da assecondare – non poteva quindi essere raggiunto, né facendo riferimento a un insieme di «formule incomprensibili», né a una generica dottrina della virtù (Tugendlehre):

«Non ci si aspetti un tale risultato da una dottrina della virtù, che impone solo doveri e pretende che ciascuno viva unicamente per il tutto … Una tale morale, che contraddice la più profonda natura umana, può ben innalzare singole anomale individualità all’eroico sacrifi cio di sé, ma per le masse è sempre lettera morta»41.

Le «dottrine ideologiche», responsabili della diffusione del fanatismo, dovevano essere abbandonate a favore delle «dot-trine positive», in grado di incidere sulle strutture economico-sociali. Analogamente, anche la politica doveva trasformarsi in «scienza positiva» e quindi, estendendo la legge newtoniana dell’«attrazione universale» all’insieme dei rapporti sociali, offrire la chiave per la risoluzione del problema della libertà42.

La condanna della contraddizione tra la molteplicità dei bisogni umani e la scarsità dei mezzi per soddisfarli e il rifi uto della violenza rivoluzionaria, costituivano i due presupposti fonda-mentali per il passaggio a una nuova forma di organizzazione sociale, concepita in termini di mutamento sostanziale dei rapporti di produzione:

«La prospettiva di una nuova organizzazione della società, nella quale si determini l’armonia di tutti gli interessi o almeno di tutti gli interessi legit-timi, nella quale la felicità individuale sia inseparabile da quella di tutti, nella quale il benessere generale sia condizione e al tempo stesso garanzia di quello individuale, deve diventare l’obiettivo principale della nostra generazione»43.

Le premesse per operare tale svolta risiedevano anzitutto nell’aumento generalizzato del benessere materiale – «senza ricchezza sociale, non è possibile né la formazione morale, né quella intellettuale e tanto meno la libertà politica» – nell’in-

41 Ibidem, p. 4.42 Ibidem, pp. 7 e 60.43 Ibidem, p. 4.

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cremento della produzione e infi ne nella distribuzione più equa dei beni44:

«Tale risultato non è raggiungibile sino a quando ogni singolo proprietario gestirà i propri interessi economici a seconda di quanto dettatogli dal proprio capriccio e dai propri vantaggi immediati, fi no a quando una complessiva organizzazione del lavoro e una generale garanzia degli interessi non suben-trerà all’attuale anarchia della produzione. La mancanza di organizzazione del lavoro è la prima responsabile della molteplice contrapposizione degli interessi, che produce una disastrosa guerra, che, sotto il nome della libera concorrenza, è tanto decantata da quegli economisti che non sanno guardare aldilà del proprio naso»45.

Rochau dedicò dunque l’intero capitolo VII della seconda parte della Kritische Darstellung alla denuncia della «mancanza di una generale organizzazione razionale del lavoro» e di una «gestione unitaria dall’alto»46, in grado di porre fi ne a quello spreco delle energie produttive, che si traduceva nel continuo rafforzamento degli apparati militari, nel mantenimento dei grandi sistemi burocratici, nell’oziosità dei grandi proprietari, nell’esistenza dei ceti improduttivi e infi ne nella natura paras-sitaria della classe mercantile, che condizionava in maniera dispotica i rapporti di produzione e consumo.

Lo strumento per arrestare lo sviluppo sia delle disuguaglianze sia dello «spirito bottegaio» risiedeva, a suo parere, in una riforma che rendesse il lavoro «attrattivo»: solo così sarebbe stato possibile

«… restituire al singolo la possibilità di scegliere liberamente tra diverse occupazioni, abolire l’uniformità, sostituire all’isolamento dei lavoratori una stimolante combinazione di forze in competizione tra loro»47.

Tale riforma imponeva una ristrutturazione dei rapporti interni alla famiglia, prima offi cina della produzione nazionale e, in secondo luogo, una riorganizzazione globale della società, a

44 Ibidem, pp. 7-9 e 33.45 Ibidem, p. 50.46 Ibidem, pp. 17 e 44-45.47 Ibidem, pp. 73-75.

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partire dall’«associazione generale degli interessi e delle forze produttive»48. A differenza di Saint-Simon, il quale, guardando al modello gerarchico della Chiesa cattolica, aveva sottoposto la riorganizzazione della società alla direzione dall’alto, Fourier aveva posto al centro di tale progetto la «libera autodetermina-zione» del singolo: le unità di base, dalle quali doveva prendere spontaneamente avvio la ristrutturazione della società, erano infatti comunità autonome, caratterizzate da uno «spirito asso-lutamente democratico», formate da circa 1.500-2.000 individui, che, pur costituendo veri e propri mondi a sé, restavano in reciproco rapporto grazie allo scambio dei prodotti49.

La nuova «costituzione sociale» vigente presso tali comunità, al cui interno non vi era più spazio per la costrizione imposta né dalle istituzioni civili ed economiche, né da quelle religiose, prevedeva, in virtù dei principi fondamentali dell’armonia (Einklang), della concorrenza (Gegensatz) e della variazione (Abwechselung), sia l’assoluta libertà di scelta per quanto riguardava le diverse occupazioni, sia la redistribuzione dei profi tti a seconda del merito.

Il segreto del nuovo «ordine societario» risiedeva perciò nel drastico mutamento di atteggiamento verso la produzione. Mediante la «partecipazione», la «riforma del lavoro» e lo «stato societario», gli individui avrebbero potuto collaborare tra loro: solo in questo modo, interesse individuale e interesse collettivo avrebbero cessato di porsi come termini di un’opposi-zione insuperabile. In tale ottica, anche l’elemento ‘insocievole’ connesso con l’iniziativa privata e la competizione sarebbe divenuto un fattore di sviluppo, a condizione che l’accordo tra proprietà, libera concorrenza e principio associativo fosse sorretto dalla fi nalità del progresso generale50:

48 Ibidem, pp. 15-17 e 57.49 La terza parte della Kritische Darstellung è sostanzialmente dedicata alla descrizione della struttura e del funzionamento delle «Falangi»; ibidem, pp. 76-123. Si veda poi anche A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, I, pp. 351-353.50 Raggiunto in seguito all’«associazione generale degli interessi», lo «stato societario» avrebbe infatti risolto il problema esposto da Malthus in rela-

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«L’uomo è fatto dunque così: che agisce con ostinazione solo quando il suo amor proprio è in gioco e pertanto, se si vogliono mettere stabilmente le sue forze al servizio del bene comune, allora è necessario prima identifi care l’interesse privato con quello generale»51.

Intuendo la debolezza sul piano politico delle proposte avan-zate da Fourier, Rochau rivelò tuttavia una maggiore sensibilità rispetto alla questione della ridefi nizione dei rapporti tra Stato e società52. Dopo aver esteso la propria polemica nei confronti della rivoluzione del 1789 a ogni forma di avanzamento sociale ottenuto mediante trasformazioni di tipo politico, Fourier aveva sviluppato un marcato scetticismo verso l’azione politica tout court, ritenuta incapace di provvedere all’emancipazione umana se non attraverso soluzioni temporanee di tipo puramente istituzionale, cui seguiva sempre la riproposizione di nuove forme di schiavitù: da tale presupposto erano derivate sia la sua polemica indiscriminata verso ogni orientamento politico, sia la sua completa indifferenza verso la domanda classica circa la miglior forma di governo. Diversamente, per Rochau si trattava di sviluppare fi no in fondo le potenzialità della rivoluzione, passando dalla fase puramente critica a quella positiva:

«Con tali considerazioni, non è certo mia intenzione fare un’apologia della Rivoluzione francese, ma non di meno posso dimenticare che, senza la violenta conquista dei più importanti diritti umani da parte dei padri dell’attuale generazione di Francesi, sarebbe alquanto arduo discutere di un sistema associativo generale»53.

Dal suo punto di vista, infatti, non solo le condizioni mate-riali della società europea del tempo non permettevano che la trasformazione strutturale auspicata da Fourier avvenisse in

zione alla sproporzione tra la crescita della popolazione e la scarsità delle risorse disponibili, eliminato le cause delle rivoluzioni e infi ne promosso il senso dell’ordine. Grazie al nuovo sistema si sarebbe quindi potuto favorire l’emancipazione materiale e spirituale dell’uomo, senza tuttavia introdurre l’eguaglianza, prima responsabile dell’uniformità; A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. 19, 46-47, 50 e 76-77. 51 Ibidem, pp. 5 e 18.52 Ibidem, p. 70.53 Ibidem, p. 62.

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maniera spontanea, ma soprattutto il principio che affi dava la limitazione del potere in maniera esclusiva al singolo era del tutto insuffi ciente per tutelare la società dalle nuove forme di oppressione. Inoltre, rispetto alla sostanziale indifferenza di Fourier verso ogni istituzione politica, Rochau riteneva che la riorganizzazione sociale basata sull’autonomia delle comunità e sull’indipendenza del singolo era del tutto inconciliabile con il dispotismo: per quanto «le buone costituzioni» non fossero «suffi cienti per promuovere il benessere pubblico», la premessa decisiva per la realizzazione dell’associazione generale risiedeva nella costruzione di una federazione di repubbliche libere e democratiche, eretta sulla base dell’eredità spirituale del 1789:

«Ogni costituzione statale libera presuppone come condizione indispen-sabile un autentico e complessivo piano di riforma sociale …, perchè non vi è nulla di più inconciliabile con l’arbitrio di un’organizzazione sociale che riposa sull’indipendenza dell’individuo e sull’autonomia della comunità»54.

In tal senso, condividendo con Stein l’idea che fossero possibili solo due forme di trasformazione sociale, la riforma e la rivo-luzione, e condividendo con List la necessità di un’«economia nazionale» (Nationalwirtschaft), fondata sullo «sfruttamento sistematico di grandi manifatture e di grandi appezzamenti di terra»55, Rochau cominciò a riporre le proprie speranze in un’istanza politica superiore, che presupponesse e insieme determinasse «una strutturale riforma sociale». In particolare, rispetto all’idea di Fourier circa la necessità di limitarne al massimo le funzioni, egli affi dò allo Stato due compiti cruciali: il primo «di porre fi ne alla contrapposizione degli interessi», a causa della quale «quasi tutti i ceti sociali» si trovavano in

54 Ibidem, pp. 64-67.55 Per la coincidenza delle analisi di Rochau con quelle di List, cfr. H.-U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, II: Von der Reformära bis zur industriellen und politischen «Deutschen Doppelrevolution»: 1815-1845/49, pp. 281-296, soprattutto p. 289. Sulle possibili infl uenze subite da Rochau, cfr. poi A. CARCAGNI, I diritti della «società», pp. 92-98 e 181-249; E. VON PHILIPPOVICH, Das Eindringen der wirtschaftlichen Ideen in die Literatur, e E. GRÜNFELD, Lorenz von Stein und die Gesellschaftslehre.

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uno «stato di guerra permanente»56; il secondo di farsi pro-motore, mediante lo sviluppo dello «spirito di corpo», del «senso civico», dell’«amor di patria» e dell’«unitarismo», del progresso materiale e morale della comunità57:

«Se lo Stato si incarica della formazione spirituale e morale di tutti i suoi cittadini sin dalla loro primissima infanzia … allora scompariranno da sole tutte quelle esistenze parassitarie che oggi sono, con diffi coltà, tenute alla briglia solamente grazie ai gendarmi, ai carcerieri e ai boia»58.

Secondo tale prospettiva, risulta evidente che, sebbene non gli abbia fornito una chiara Weltanschauung politica – si pensi, ad esempio, alla latente contraddizione tra la condanna della «concorrenza selvaggia» quale fattore di impoverimento e la celebrazione della «concorrenza regolata» quale fattore di pro-mozione dello sviluppo oppure a quella, piuttosto vistosa, tra l’idea dello Stato che non interviene negli affari della società se non per regolarli e quella dello Stato educatore – la Kri-tische Darstellung permise a Rochau di denunciare, sia pure indirettamente, la crisi della Germania di allora, segnata dal caos sociale, dalla frammentazione statale e dalla mancanza di un sentimento collettivo capace di rendersi interprete dell’in-teresse generale.

In conclusione, all’interno dell’apparato concettuale esposto nella Kritische Darstellung, Rochau cominciò, sotto il profi lo formale, ad affrontare le questioni del suo tempo con intento esplicitamente «scientifi co»; sotto il profi lo politico, a porre le basi per la polemica anti-dogmatica e anti-idealistica, che, di lì a poco, avrebbe investito l’intera tradizione liberale e democratica del Vormärz. In altre parole, dopo il 1840, pur continuando a ritenersi un erede della tradizione democratica, egli poté intraprendere il processo di superamento dell’oriz-zonte politico che aveva governato la sua prima formazione e cominciare a sviluppare la rifl essione su alcuni temi cruciali, che

56 A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. 56-57.57 Ibidem, pp. 86, 100 e 109.58 Ibidem, p. 39.

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sarebbero poi riemersi, anche se in veste aggiornata, nei primi anni Cinquanta e cioè nel contesto di un panorama politico e teorico che, nel frattempo, era stato arricchito dall’esperienza del 1848-1849.

In vista degli ulteriori sviluppi della sua rifl essione politica, è possibile tracciare sin da ora le linee essenziali di un percorso intellettuale che fu effettivamente molto articolato: dall’iniziale adesione alle Burschenschaften, nella seconda metà degli anni Quaranta, Rochau giunse alla convinzione che le prospettive del radicalismo democratico si erano ormai del tutto esaurite. Nel momento in cui venne a cadere questo primo piano di riferimento, egli non perse comunque di vista l’obiettivo ini-ziale – l’unifi cazione nazionale – in direzione del quale aveva orientato la propria attività, prima di militante, poi di scrittore politico:

«I prodigi del martirio, di quello religioso così come di quello politico, non sarebbero possibili senza la fede in uno scopo, il quale pervade l’individuo singolo e al tempo stesso lo oltrepassa»59.

59 Ibidem, p. 3.

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Capitolo terzo

Gli anni della crisi tra Francia e Germania (1840-1852)

Nel corso dei primi anni Quaranta, Rochau continuò a svolgere con regolarità la propria attività di corrispondente estero per la «Leipziger Allgemeine Zeitung» e la «Augsburger Allgemeine Zeitung»1.

Dal punto di vista teorico, gli articoli pubblicati durante questo periodo non presentano novità particolari: lungo il 1841, infatti, egli riprese le argomentazioni che erano state al centro della Kritische Darstellung, ribadendo in particolare la necessità di porre un freno «alla legge del più forte, celata al di sotto della libera concorrenza», mediante l’introduzione «su vasta scala del principio dell’associazione generale degli interessi»2.

Nonostante la sua aspra polemica verso le contraddizioni sociali del suo tempo, Rochau rimase tuttavia ostile ad ogni ipotesi di collettivizzazione dei beni, perché riteneva, in linea con Stein, che una così radicale trasformazione della struttura sociale fosse impraticabile e, alla lunga, perfi no contropro-ducente, in quanto destinata a ricreare nuove e più temibili

1 L’identifi cazione degli articoli di Rochau non è sempre possibile, perché spesso non sono riportate neppure le sue iniziali. Solo alcuni di essi, grazie alla presenza di precisi segni di riconoscimento, permettono l’identifi cazione: è il caso, ad esempio, degli articoli della «Leipziger Allgemeine Zeitung» e della «Augsburger Allgemeine Zeitung»; cfr. H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 45 e 52. Per una panoramica dei principali fogli liberali del tempo, cfr. H.-U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, II, pp. 526-540.2 «Leipziger Allgemeine Zeitung», 16 luglio 1841; 13 aprile 1841; 8 dicem-bre 1841 e infi ne 20 dicembre 1841.

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forme di oppressione3. A suo parere, anziché l’abolizione della proprietà privata e la rivoluzione sociale, l’unica via concreta-mente percorribile risiedeva nell’avvio di una Reformpolitik, che, ponendo «la promozione del benessere materiale» come premessa indispensabile per il «progresso morale», regolasse il libero scambio e intraprendesse un progressivo abbattimento delle barriere doganali4.

Sempre nel corso del 1841, Rochau passò attraverso esperienze di importanza cruciale, che, allontanandolo sensibilmente dalle preoccupazioni della tradizione democratica francese, lasciarono un segno profondo nel suo pensiero.

Sulla scia della svolta intrapresa da Adolphe Thiers in poli-tica estera, egli prese parte infatti alla campagna di denuncia pubblica contro la schiavitù, in occasione della quale, oltre agli strali verso un «così disonorevole commercio» e una così «brutale forma di egoismo», sviluppò un motivo polemico inedito, rivolto contro lo «spirito nazionale francese», accu-sato di sacrifi care ogni principio ideale non appena questo si rivelasse contrario ai suoi interessi. Riprendendo parte della polemica di Fourier nei confronti della società francese del suo tempo e condannando con veemenza la campagna di conquista dell’Algeria, Rochau osservò che «le rivendicazioni dell’egoismo nazionale» erano perlopiù «in contrasto con il

3 L. VON STEIN, Geschichte der socialen Bewegung in Frankreich. 4 «Leipziger Allgemeine Zeitung», 5 maggio 1841 e 1° settembre 1841. Anche nella Geschichte Frankreichs Rochau avrebbe riproposto la distinzione polemica tra comunismo e socialismo nei seguenti termini: se il primo era stato segnato dalla volontà fanatica di instaurare la comunione dei beni, il secondo era stato caratterizzato dalla volontà di riforma sociale. Tanto Robespierre e Saint-Just, quanto i carbonari di Buonarroti erano stati i maggiori esponenti del radicalismo «fanatico» e «sanguinario». Saint-Simon e Fourier avevano invece condiviso la necessità di pervenire a una nuova forma di organizzazione della produzione e della distribuzione dei beni, tesa a razionalizzare le esistenze individuali in vista del bene comune; A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, I, pp. 344-354 e II, pp. 136-148, nel quale, accanto a una breve esposizione delle opere di Etienne Cabet, Louis Blanc, Pierre Joseph Proudhon e di Leroux trovano spazio anche alcune interessanti osservazioni sulla Philosophie positive di Comte e sulla Democratie en Amérique di Tocqueville.

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terreno dei diritti umani» e soprattutto che «tutte quelle idee di cui i Francesi amano vantare la scoperta», dalla sovranità all’autodeterminazione nazionale, fi nivano sempre per essere accantonate, «non appena si tratta di dare loro validità al costo di reali o presunti benefi ci»5.

Se già nel novembre del 1840, agli inviti rivolti da Edgar Quinet alle popolazioni di lingua tedesca della riva sinistra del Reno, aveva risposto citando il «timeo Danaos et dona ferentes» virgiliano, dalla primavera del 1841, egli cominciò a rivolgere sempre più la propria attenzione ai rapporti interna-zionali tra Francia e Germania6. Questa nuova fase fu segnata da una crescente diffi denza verso la retorica universalistica e da un’altrettanto marcata tendenza a porre in risalto il dato dell’«egoismo nazionale». Infatti, per quanto auspicasse un consolidamento dei rapporti tra Francia e Germania in vista dell’armonia nell’intera Europa, Rochau fu nondimeno conscio che l’idea di una pace duratura restasse una speranza, «la cui realizzazione era pregiudicata da alcuni gravi ostacoli», tra i quali, per esempio, la tendenza costante da parte della Fran-cia ad assumere atteggiamenti bellicosi7. Alla luce della realtà concreta, Rochau invitò quindi la Germania, «anche a costo del congelamento del progresso interno», a respingere ogni tentativo di ingerenza francese. A suo parere, infatti, «per ogni uomo di buon senso, la scelta tra perdite esterne e svantaggi interni, tra l’indipendenza nazionale e la libertà politica non può suscitare alcun dubbio»8.

Nel confronto con le dinamiche della politica internazionale emerse già allora un dato decisivo, che condizionò a fondo

5 «Leipziger Allgemeine Zeitung», 9 gennaio 1841; 25 febbraio 1841; 6 ottobre 1841; 20 agosto 1841 e in particolare «Augsburger Allgemeine Zeitung», 6 marzo 1844.6 «La Phalange», III serie, I, n. 38, 27 novembre 1840. Cfr. poi H. LÜL-MANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 48-49, e H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, pp. 267 s. 7 «Leipziger Allgemeine Zeitung», 21 aprile 1841; 22 aprile 1841; 6 luglio 1841 e infi ne 2 settembre 1841.8 Ibidem, 8 marzo 1841 e 12 marzo 1841.

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la sensibilità politica di Rochau: l’insoddisfazione per il modo dogmatico con cui la cultura democratica aveva posto la que-stione dello Stato nazionale. In tale prospettiva può essere letta una sua dichiarazione risalente al marzo del 1841, nella quale invitò i tedeschi a sviluppare una sana tendenza all’egoismo nazionale, soprattutto

«per evitare di restare vittime inconsolabili delle proprie simpatie. Queste diverranno sicuramente, presto o tardi, la norma fondamentale mediante cui rifondare i rapporti tra tutti gli Stati europei. Sarebbe nondimeno estremamente azzardato precorrere i tempi»9.

A partire dal 1842, frequentando con assiduità il salotto dell’edi-tore Eduard Avenarius10, Rochau strinse intensi rapporti con Hoffman von Fallersleben, con Jakob Venedey, che nel 1834 aveva fondato il Bund der Geächteten11, con Heinrich Laube, Karl Gutzkow, Constantin Tischendorf, Victor Hugo, Richard Wagner e con numerose associazioni di ispirazione patriottica, tra cui quella per il fi nanziamento dei lavori di restauro del duomo di Colonia12.

Sdegnato dai toni sprezzanti con cui, sui «Deutsch-Französische Jahrbücher», Bruno Bauer, Ludwig Feuerbach e Arnold Ruge avevano ripetutamente criticato la Germania – «… perfi no all’ultimo dei proletari francesi, se si trovasse sul suolo tedesco, salirebbe il sangue alla testa se sentisse parlare della propria

9 Ibidem, 2 marzo 1841.10 In stretto rapporto con i fratelli Brockhaus, Eduard Avenarius soggiornò a Parigi dal 1837 al 1844. Con Rochau mantenne un intenso legame, anche dopo il ritorno in patria; L. AVENARIUS, Avenarianische Chronik, pp. 99 e 103. 11 Organizzato sul modello della carboneria e infl uenzato dal socialismo di Fourier, il Bund der Geächteten si proponeva di instaurare la «repubblica sociale». A breve distanza dalla sua fondazione, il Bund si divise in due cor-renti contrapposte: una aspirante alla creazione di uno «Stato libero», in cui il rispetto della proprietà privata doveva essere conciliato con l’eguaglianza sociale, e l’altra – destinata nel 1836 a dar vita al Bund der Gerechten – aspirante all’edifi cazione di una società senza classi, fondata sull’abolizione della proprietà privata.12 M. KRAMP, Heinrich Heines Kölner Dom, p. 48.

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patria con questo linguaggio da ragazzo di strada»13 – e con-trariato dal modo in cui, grazie «alla protezione di un deputato o alla benevolenza di un alto funzionario», alcuni emigrati tedeschi erano riusciti a ottenere una pensione da parte dallo Stato francese, Rochau fu tra coloro che progettarono la creazione di un’organizzazione, di ispirazione moderatamente repubblicana, tesa al rafforzamento del sentimento nazionale tra i fuoriusciti tedeschi14.

Il restante periodo trascorso a Parigi fu nondimeno caratte-rizzato da un crescente disagio verso la propria condizione di espatriato. Alla pressoché totale scomparsa di riferimenti alla teoria sociale fece infatti riscontro un sempre più marcato ardore nazionale, che trovò espressione nelle dolenti meditazioni svolte nel 1845, in occasione di un lungo soggiorno in Spagna:

«Colui che rimane, anche a fronte dei torti subiti da parte dello Stato, fedele con il cuore e con l’anima al proprio popolo e alla propria patria è sicuramente un oppositore della violenza arbitraria dieci volte più vigoroso di coloro che, alla prima diffi coltà, voltano con indifferenza le spalle alla patria e si liberano di ogni dovere nei suoi confronti, come della polvere dalle loro scarpe»15.

Nell’estate del 1846, una volta rientrato in patria, Rochau si stabilì ad Heidelberg, dove – grazie alle pressioni di Ludwig Häusser16 – il primo luglio del 1847 iniziò a collaborare, come redattore della sezione esteri, con la «Deutsche Zeitung» di Georg Gervinus, di Karl Mathy, di Karl Mittermaier e di Fried-rich Bassermann17. In forza della relativa notorietà che era

13 «Ausburger Allgemeine Zeitung», 10 marzo 1844; 24 marzo 1844 e 5 aprile 1844. 14 Ibidem, 22 giugno 1843 e H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 638.15 A.L. VON ROCHAU, Reiseleben, I, p. 99.16 Lettera di August Ludwig von Rochau a Ludwig Häusser, 26 marzo 1847, conservata presso lo Universitätsarchiv Heidelberg (Heid. ms 3741).17 Cfr. il giudizio espresso da Johann Höfken, redattore-capo della «Deutsche Zeitung», in una lettera indirizzata a Georg Gottfried Gervinus del 24 marzo 1847: «Rochau – mi sembra – essere fatto apposta per gli articoli francesi. Egli manterrà il punto di vista nazionale tedesco, sapendo

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riuscito ad acquisire grazie alla sua attività di pubblicista e, in particolare, alla Kritische Darstellung, Rochau fu sin da subito accolto con entusiasmo negli ambienti liberali della cittadina sulle rive del Neckar. Tra i conoscenti del periodo – Adolf Stahr, Julian Klaczko, Alfred Meissner, Berthold Auerbach, Gottfried Keller, Karl Hagen – furono soprattutto lo storico della letteratura Hermann Hettner e Jakob Moleschott, un naturalista vicino a Feuerbach e alle posizioni del materiali-smo meccanicistico, a stringere un intenso rapporto con l’ex-Burschenschafter: «in quanto a esperienza politica lui ci supera tutti e, grazie al suo orientamento liberale, coerente e alla sua avvedutezza, esercita su di noi il più grande infl usso»18.

Nel corso di questa fase, in occasione della quale ebbe modo di polemizzare in merito al «tono prudente e docile» della «Deutsche Zeitung», che, limitandosi a farsi portavoce di «un intransigente dottrinarismo», si era rivelata insensibile alle istanze di rinnovamento politico avanzate dagli ambienti più attivi della gioventù universitaria19, fu soprattutto l’incontro con la lettura di Machiavelli e con il Linksliberalismus di Gervinus a rappresentare un’occasione decisiva per la sua ulteriore maturazione20.

Rielaborando le interpretazioni di Hegel, di Fichte e di Ranke, Gervinus aveva sviluppato la convinzione che Machiavelli fosse rimasto un autentico repubblicano, pur avendo accettato con coscienza la soluzione del principato come unica via effetti-

tuttavia riconoscere gli aspetti nobili dello Stato di diritto francese. Ritengo pure che egli possa collaborare alla redazione degli articoli spagnoli, perché, al contempo, conosce bene anche la Spagna»; citato in H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, p. 57.18 A. MEISSNER, Geschichte meines Lebens, I, p. 286; J. MOLESCHOTT, Für meine Freunde, p. 170 e in particolare, dello stesso autore, Hermann Hettners Morgenrot, pp. 28-31. A proposito di Moleschott, cfr. A. NEGRI, Trittico materialistico. 19 A. STERN, Hermann Hettner. Ein Lebensbild, p. 99, e H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 57-58.20 A proposito del Linksliberalismus di Gervinus, cfr. G.G. GERVINUS, Einleitung in die Geschichte des 19. Jahrhunderts, pp. 13 e 173.

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vamente percorribile per risollevare l’Italia dalla decadenza21. Secondo lo storico liberale, in particolare, il «principe nuovo» di Machiavelli non era stato solo un condottiero, ma anche un riformatore capace di farsi carico di istanze di rinnovamento politico e sociale. In questo senso, il pensiero di Machiavelli si rivelava estremamente attuale, perché ricadeva nel punto di incrocio tra la fede nella rigenerazione della patria, l’intuizione della necessità dello Stato nazionale e l’idea di progresso, ossia laddove «la lotta per l’emancipazione, la libertà e i diritti umani, il riscatto dalla costrizione religiosa, dalla servitù e dal dispotismo assume forma dirompente»22.

La rilettura di Machiavelli, che coincide nella sostanza con quella di altri liberali tedeschi dell’epoca, fra cui Treitschke23, era peraltro funzionale alla polemica anti-speculativa e anti-idealistica, che Gervinus svolse, durante il semestre invernale 1846-1847, in occasione di un seminario universitario intitolato «Politik auf geschichtlicher Grundlage»: sul fi lo di quanto già formulato da Dahlmann e poi ripreso da Droysen, egli delineò il progetto di una scienza politica intesa come «dottrina del potere» (Machtlehre), cioè come analisi «dei rapporti interni ed esterni di potere». In altre parole, prefi ggendosi di pervenire a una «fi losofi a dell’azione» (Philosophie der Tat), che indicasse come passare «dalle parole ai fatti», l’obiettivo preciso di Ger-vinus fu di svolgere un’analisi «del presente, con tutte le sue mancanze e i suoi difetti», in grado di liberare la Germania dalla «sensazione generale di confusione».

Se il tema della rigenerazione nazionale, la fi ducia nel progresso e la concezione della politica come Machtlehre sono tutti ele-

21 A. ELKAN, Die Entdeckung Machiavellis in Deutschland zu Beginn des 19. Jahrhunderts, pp. 427-458, e G. PROCACCI, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, pp. 390-393.22 G.G. GERVINUS, Grundzüge der Historik, pp. 386-387.23 «Questo il pensiero fondamentale del libro: l’ardente patriottismo e la convinzione secondo cui anche il più opprimente dispotismo deve essere benvenuto, se concorre all’unità e alla forza della patria. Queste idee sono quelle che mi hanno riconciliato con le molte opinioni tremende e spregiu-dicate del grande Fiorentino»; M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 352 (lettera al padre, 4 marzo 1856).

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menti che diverranno centrali nella Realpolitik, vi sono almeno altri due nodi sui quali è bene soffermarsi per comprendere il rapporto tra Rochau e Gervinus. Il primo riguarda la netta separazione tra Staatsmoral e Privatmoral, che Gervinus svi-luppò nei seguenti termini:

«Colui che intende prendere parte con successo al mondo della politica deve abituarsi per tempo a non confondere il mondo della politica con quello della morale … Vi è senza dubbio una morale politica – un limite, che la ragion di Stato si deve ben guardare dall’oltrepassare se non vuole divenire vizio – ma è altrettanto certo che nelle congiunture straordinarie devono essere concessi alla morale dello Stato altri limiti rispetto a quelli concessi alla morale privata».

Affermando che il dovere supremo dello Stato alla propria auto-conservazione «respinge sullo sfondo le norme della morale», a distanza di qualche anno, Rochau riformulò il medesimo concetto in termini ancora più spregiudicati:

«Anche la menzogna o qualsiasi altro atto immorale, perfi no il delitto, può diventare una forza, che, malgrado la sua natura sovversiva nei riguardi della società e dello Stato, non solo pretende, ma impone un certo riconoscimento da parte della politica. Con ciò non si intende certo affermare che la politica è separata dal dovere morale, ma solo che vi è un limite, dove il rispetto di fatto di tale morale cessa»24.

Il secondo nodo ha a che fare con la concettualizzazione ine-rente alle nozioni di Zeitgeist e di Volksgeist. In linea con l’in-terpretazione tradizionale diffusa durante il Vormärz, secondo Gervinus, il progresso umano soggiaceva a un insieme di leggi immutabili, che condizionavano la libertà del singolo, così come quella delle collettività: per tale ragione, la Volkspolitik, per non degenerare in «politica innaturale», doveva tenere conto di quel doppio piano evolutivo che plasmava l’ordine sia temporale sia spaziale del divenire storico25. Non diversamente, anche Rochau assegnò allo Zeitgeist il valore di legge universale, alla quale ogni azione politica era tenuta ad attenersi, rischiando, in caso contrario, di essere inattuabile. Rispetto a Gervinus,

24 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 31 e [Zweiter Teil], p. 214.25 G.G. GERVINUS, Einleitung in die Geschichte, p. 164.

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egli tuttavia sviluppò in maniera sensibilmente autonoma la rifl essione inerente ai concetti di Staatspolitik e Volkspolitik:

«Una Staatspolitik, che si contrappone al Nationalgeist, suscita l’opposizione di una Volkspolitik nazionale. E lo scontro tra le forze nazionali e quelle statali della società è un male enorme»26.

Nonostante le affi nità culturali e politiche, all’indomani del 1848, Gervinus e Rochau percorsero tuttavia itinerari netta-mente diversi tra loro.

Se per Gervinus la delusione nei confronti della «grande occasione mancata» del 1848-1849 fu determinante per la maturazione di quel senso di «stritolamento» (Zerquetschung) che, negli anni successivi, lo avrebbe indotto a guardare con pessimismo agli eventi politici, per Rochau quell’insuccesso non aveva affatto decretato la sconfi tta defi nitiva del movimento liberale27; al contrario, attribuendo all’incapacità delle forze politiche e all’immaturità dei tempi la responsabilità degli insuccessi sofferti, egli avrebbe affermato: «Il passato è morto e, nello Stato, solo ciò che è vivo ha un diritto»28.

Fu con tale formula che, esattamente nel momento in cui, con il governo prussiano nelle mani di Otto von Manteuffel, la reazione era saldamente al potere in Prussia e nel resto della Germania, Rochau diede voce a un’ideologia liberale che intendeva riproporsi in maniera aggressiva nei confronti dello status quo fuoriuscito dal 1848-184929.

Ciò che sullo sfondo del confronto con Gervinus e della breve collaborazione con la «Deutsche Zeitung» sembra dunque emergere è che, alla vigilia del 1848, Rochau si trovò a svol-gere il ruolo di mediatore tra gli orientamenti politici di due diverse generazioni di liberali tedeschi.

26 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 33-34 e 36.27 G.G. GERVINUS, Denkschrift zum Frieden, p. 20.28 A.L. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, p. 266. 29 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 65, 67-70, 92, 132 e 136.

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Tale sensazione è peraltro confermata dall’ipotesi recentemente formulata da Frank Möller, il quale, svolgendo un’analisi delle trasformazioni in atto nei primi anni Cinquanta nella cultura politica tedesca, ha posto la questione se l’introduzione del paradigma realpolitico possa essere interpretata soprattutto come risultato di un ricambio generazionale30. Suddividendo i principali protagonisti del 1848-1849 in cinque fasce d’età – quella dei nati prima del 1780, quella dei nati prima del 1800, quella dei nati prima del 1810, quella dei nati prima del 1820, infi ne quella dei nati prima del 1830 – è in effetti possibile constatare con lievi margini di approssimazione che, mentre i componenti della prima fascia esercitarono un peso del tutto marginale nel corso delle discussioni parlamentari e quelli dell’ultima furono attivi soprattutto sulle barricate, fu essenzial-mente la generazione dei nati a ridosso del 1800 a costituire, nel 1848-1849, il gruppo maggiormente coeso, dominante sotto il profi lo politico e responsabile della defi nizione dei politische Diskurssysteme propri del centro costituzionale31.

La generazione di Dahlmann e Gervinus, per la quale le guerre di liberazione nazionale, la costituzione delle prime Burschenschaften e la Wartburgfest del 18 ottobre 1817 avevano rappresentato esperienze formative decisive32, era cresciuta all’interno dei confi ni ristretti di un milieu sociale di tipo bildungsbürgerlich, concependosi come imagined community, fondata sulla condivisione di quella specifi ca grammatica concettuale, che avrebbe fi nito per plasmare l’intera stagione costituzionale degli anni Trenta33.

Per quanto i loro schemi concettuali restassero saldamente legati all’idealismo liberale del Vormärz erano stati proprio gli

30 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Realpolitik, p. 72.31 H. BEST, Die Männer von Bildung und Besitz, pp. 212-234; J. ECHTERN-KAMP, Der Aufstieg des deutschen Nationalismus (1770-1840), pp. 366-377.32 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Realpolitik, pp. 84-89, e C. HORST, Der Mythos des Befreiungskriege, pp. 63-82. 33 H. BOLDT, Deutsche Staatslehre im Vormärz; H. FENSKE, Preußentum und Liberalismus, pp. 247-270; E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, I, pp. 314-386; II, pp. 30-124.

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esponenti di questa generazione a introdurre nel lessico poli-tico tedesco espressioni quali «auf dem Boden der Tatsachen» o «geschichtliche Notwendigkeit» e a impostare il «discorso realistico» in funzione polemica verso radicali e conservatori, ritenuti fautori di soluzioni inattuali e dogmatiche.

Dal canto suo, affondando le proprie radici nella speculazione teorica del Vormärz, il paradigma realistico dei primi anni Cinquanta introdusse signifi cative novità non tanto sul piano degli obiettivi quanto su quello del linguaggio, della valutazione degli eventi politici e dei modelli concettuali di riferimento34. E infatti, rispetto alla generazione degli Altliberalen, rimasta perlopiù legata a una sensibilità politica di tipo pre-industriale, la generazione di coloro che erano nati tra il 1810 e il 1820 – quella di Rochau e di quanti avrebbero ricoperto ruoli decisivi nella Fortschrittspartei e nel Nationalverein – fu segnata a fondo dalla grande trasformazione economica e sociale degli anni Quaranta35.

In Germania, il biennio 1848-1849 era peraltro coinciso con il momento culminante di un processo storico complesso, durante il quale, sotto i prepotenti effetti indotti dalla progressiva tra-sformazione della antica e generica «plebe» nella «massa» di tipo moderno, il reticolo sociale era stato segnato dal delinearsi della frattura tra società civile e sfera pubblica, l’una intesa come sistema privato dei bisogni, l’altra come luogo della partecipazione politica. Come al concetto tradizionale di ceto, riferito al godimento di privilegi particolari o alla posizione sociale occupata per diritto di nascita, si era sostituito quello di classe, defi nito in base al ruolo svolto nel processo produttivo, così, in antitesi alla fi gura del cittadino, era emersa quella del proletario: è dunque alla luce del passaggio dalla klassenlose Bürgergesellschaft alla bürgerliche Klassengesellschaft, che deve essere interpretata la differenza tra il vecchio paradigma rea-

34 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Realpolitik, pp. 72-73; T. ZUNHAMMER, Zwischen Adel und Pöbel, e U. BACKES, Liberalismus und Demokratie, pp. 290-309, 334-358, 414-423.35 H. ROSENBERG, Politische Denkströmungen im deutschen Vormärz, p. 29.

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listico e quello nuovo, tenuto a battesimo con l’introduzione della nozione di Realpolitik36.

Secondo tale prospettiva è possibile delineare il senso dell’itine-rario sin qui percorso da Rochau. Come si è visto nei capitoli precedenti, l’inizio della dimensione pubblica della sua biografi a era coinciso con l’adesione, nei primi anni Trenta, al radica-lismo delle Burschenschaften. Tuttavia fu solo nel decennio successivo che il suo orizzonte teorico iniziò ad assumere un profi lo più articolato.

Durante questo processo di maturazione, la Kritische Darstel-lung aveva rappresentato un luogo di intensa incubazione, nel quale furono poste le basi per un primo signifi cativo aggiorna-mento delle sue categorie politiche. Grazie alla confi denza con la «nuova sociologia francese», alla vigilia del 1848, Rochau poté cominciare ad avvertire non solo il disorientamento della vecchia cultura liberale e democratica, ma anche quello slitta-mento tra «passioni politiche e passioni sociali» che tendeva sempre più a mettere in discussione la società37.

In altri termini, prendendo atto sia del carattere dirompente del nesso instauratosi tra proprietà, cittadinanza politica e uguaglianza, sia della duplice minaccia che stava profi landosi all’orizzonte – quella della rivoluzione sociale e quella della reazione – Rochau e la generazione liberale più giovane avvia-rono un aggiornamento degli strumenti di comprensione della realtà politica e sociale del tempo a partire da tre presupposti fondamentali.

Di fronte all’incessante azzeramento delle articolazioni cetuali, al venir meno di ogni principio di naturale armonizzazione delle forze sociali e al tramonto di quella libera socialità vagheggiata durante il Vormärz, il primo presupposto coincise

36 L. GALL, Liberalismus und bürgerliche Gesellschaft, pp. 324-356, soprat-tutto p. 349. Si vedano poi U. HALTERN, Bürgerliche Gesellschaft, pp. 1-16; R. KOSELLECK - U. SPREE - W. STEINMETZ, Drei bürgerliche Welten?. 37 A. DE TOCQUEVILLE, Discorso sulla rivoluzione sociale (27 gennaio 1848) e Discorso sul diritto al lavoro (12 settembre 1848), in A. DE TOCQUEVILLE, Scritti politici, I: La rivoluzione democratica in Francia, pp. 269-280 e 281-294.

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con il riconoscimento della società come spazio all’interno del quale erano in atto confl itti bisognosi di un’istanza superiore capace di ricomporli.

Il secondo coincise con la scoperta del proletariato come soggetto sociale antagonistico rispetto alla borghesia, di fronte al quale diveniva necessario escludere qualsiasi ipotesi di rivoluzione sociale.

Il terzo coincise infi ne con la constatazione che le trasforma-zioni socio-economiche avvenute negli anni Quaranta avevano introdotto sostanziali novità anche nella composizione e nella mentalità del Mittelstand, il quale era sempre meno assimilabile tout court al tradizionale Bildungsbürgertum38.

1. L’esperienza rivoluzionaria in Germania (1848-1850)

Se nella Francia degli anni Quaranta era emerso il quadro di una società attraversata da una crisi profonda, che sembrava perfi no rievocare lo scenario delle invasioni barbariche del III secolo, anche in Germania, in seguito al cosiddetto «Schlesi-scher Weberauftstand» del giugno 1844 e alle sommosse del 1846-1847, aveva iniziato a serpeggiare una crescente appren-sione, come testimonia il commento – risalente al 20 gennaio 1847 – del ministro prussiano Ferdinand von Galen39:

«L’anno vecchio si è concluso nella carestia e il nuovo si apre con la fame. La miseria spirituale e fi sica attraversa l’Europa in forme terrifi canti: l’una senza Dio, l’altra senza il pane. Guai se si daranno la mano».

E, in effetti, sin dal primo momento del suo rientro in patria, Rochau era stato accolto non solo da un vistoso fermento

38 Si vedano L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, pp. 341 ss., e J.J. SHEEHAN, German Liberalism, pp. 88 ss. 39 «Journal des débats», 8 dicembre 1831, citato in P. ROSANVALLON, La rivoluzione dell’uguaglianza, p. 261, e H. FENSKE, Preußentum und Libera-lismus, p. 292. La frase di von Galen è citata in V. VALENTIN, Geschichte der deutschen Revolution 1848-1849, I, p. 192. Sull’argomento cfr. pure L.B. NAMIER, La rivoluzione degli intellettuali, pp. 17-19, e H.-U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, II, pp. 282-288.

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sociale, ma anche dalla moltiplicazione di signifi cative iniziative politiche. Già all’inizio del settembre 1847 aveva avuto luogo a Offenburg, nel granducato del Baden, un raduno di oltre ottocento democratici, nel corso del quale erano state richie-ste riforme economiche e sociali, la revoca dei provvedimenti di Karlsbad, la convocazione di un’assemblea nazionale e la formazione di una milizia popolare40. A meno di un mese di distanza era stata poi la volta dei liberali, i quali, riunitisi a Heppenheim su iniziativa di Karl Mathy e di Friedrich Bas-sermann, avevano sollevato il tema dell’unifi cazione nazionale, nel quadro di una moderata estensione delle libertà politiche41.

Grazie alla diretta conoscenza delle dinamiche sociali e politi-che francesi e agli intensi rapporti con gli ambienti liberali di Heidelberg, Rochau non fu colto di sorpresa né dagli eventi parigini del febbraio 1848, né dall’irrefrenabile ondata di proteste che, partendo da Mannheim – con la proclamazione delle cosiddette «rivendicazioni di Marzo» (Märzforderungen) – investì nel giro di pochi giorni anche Karlsruhe, Monaco, Berlino e Vienna.

Sebbene non fosse ancora chiaro se il moto rivoluzionario avrebbe assunto un carattere sociale o si sarebbe limitato a scorrere entro un alveo politico, egli condivise le prospettive di quella borghesia liberale più sensibile alle esigenze di cam-biamento, che, il 5 marzo 1848, su iniziativa della «Deutsche Zeitung» e in risposta alla pressione del movimento popolare, si raccolse ad Heidelberg, approvando, nonostante le divisioni politiche tra i fautori della monarchia costituzionale e quelli della repubblica, la costituzione di un comitato qualifi cato, il «Comitato dei Sette» (Siebenerausschuß), cui fu affi dato il duplice compito di redigere un programma politico di massima e di convocare i membri del Vorparlament 42.

40 E.R. HUBER, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I, pp. 261-262.41 Ibidem, I, pp. 262-264, e K. MATHY, Versammlung von Kammermitgliedern aus verschiedenen deutschen Staaten. 42 E.R. HUBER, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I, pp. 264-266, e, dello stesso autore, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 587-603.

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Quest’ultimo, riunitosi a Francoforte dal 31 marzo al 4 aprile, pur essendo frutto di un atto oggettivamente rivoluzionario, non manifestò alcuna tendenza radicale, ma, al contrario, dichiarando di voler salvaguardare la continuità giuridica, si limitò a stabilire i criteri per l’elezione di una Nationalversamm-lung, cui sarebbe spettato il compito di provvedere a una riforma strutturale del Bund e alla formazione di un organo di rappresentanza temporanea, il «Comitato dei Cinquanta» (Fünfzigerausschuss)43, presso la Dieta federale44.

Dopo aver lasciato la redazione della «Deutsche Zeitung»45, Rochau si trasferì a Francoforte per prendere parte, tra le fi le dei liberali, alle discussioni in corso nel Vorparlament; ma non appena Friedrich Hecker e Gustav Struve diedero vita a una sollevazione popolare, egli reagì con estrema durezza. Assumendo infatti un punto di vista che sarebbe rimasto tenacemente radicato nei mesi successivi, l’ex-Burschenschafter mise in guardia i vecchi compagni democratici dal perseguire obiettivi radicali: «… solo in questa Assemblea, sulle cui basi è possibile costruire stabilmente, risiede la salvezza»46.

Pur auspicando «una nuova costituzione su basi ampie e democratiche» e condividendo appieno il triplice obiettivo con il quale il movimento nazionale aveva intrapreso la propria campagna – la trasformazione dell’Austria e della Prussia in Stati costituzionali, la liberalizzazione delle costituzioni esistenti e la costruzione di un comune vincolo statale della nazione tedesca –, Rochau ribadì che l’obiettivo dell’unificazione

43 Accanto a quest’organo di rappresentanza vi è poi da ricordare il cosiddetto Siebzehnerausschuß, composto da diciassette Vertrauensmänner e costituito il 10 marzo su iniziativa della stessa Dieta federale con il compito di elaborare un progetto di riforma costituzionale: a proposito si vedano W.J. MOMMSEN, 1848. Die ungewollte Revolution, p. 139, e H. FENSKE, Preußentum und Liberalismus, pp. 304-306. 44 W. SIEMANN, Die deutsche Revolution von 1848-1849, p. 81, e E.R. HUBER, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I, pp. 269-275. 45 Lettera di August Ludwig von Rochau a Georg Gottfried Gervinus, 24 marzo 1848, conservata presso lo Universitätsarchiv Heidelberg (Heid. ms 2539). 46 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 11 aprile 1848.

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poteva essere perseguito, solo a condizione che fosse posto senza ricorrere né al linguaggio, né ai metodi della rivoluzione. Alla preoccupazione di governare il movimento della società, salvaguardando la distanza tra libertà politica e diritti sociali, abbinò perciò anche la convinzione secondo cui, in vista dell’unifi cazione, la pregiudiziale anti-monarchica doveva essere sacrifi cata, perché, a suo parere, un sistema costituzionale e nazionale, in grado di soddisfare la rivendicazione individuale e generale di libertà, costituiva già di per sé stesso il compi-mento degli ideali repubblicani47.

Nelle prime settimane di maggio, colui che nel 1832 si era espresso a favore della deposizione di «sei o sette» teste coronate, abbracciò quindi l’orientamento costituzionale della maggioranza moderata dell’Assemblea, affermando di desiderare che il popolo tedesco restasse «fedele alla monarchia, se non sulla base della vecchia abitudine all’ubbidienza incondizionata, almeno su quella di un interesse comune e preciso»48.

Anziché un’incondizionata adesione al principio monarchico, la «svolta» di Rochau in favore della monarchia ereditaria (auf Seite der Erbkaiserlichen) denota soprattutto un signifi cativo cambiamento di prospettive rispetto alle strategie da adottare in vista dell’unifi cazione nazionale. In altre parole, pur condivi-dendo con la maggioranza liberale la necessità di contrapporre al «potere centrale» (Zentralgewalt) dell’Assemblea il «potere salvifi co» (rettende Gewalt) del monarca, ciò che cambiò in Rochau nella primavera 1848 non furono tanto le prospettive teoriche, quanto quelle prettamente politiche. A suo parere, infatti, l’ipotesi repubblicana non solo restava remota, ma rischiava di compromettere il processo di unifi cazione timi-damente avviatosi: la sua disponibilità a mettere da parte la pregiudiziale anti-monarchica era infatti controbilanciata dalla prospettiva di un accordo con le classi dirigenti sul piano di un «interesse condiviso e ben preciso». D’altro canto, come

47 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 156 e «Augsburger Allgemeine Zeitung», 4 aprile 1848.48 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 18 maggio 1848 e H. VON TREITSCHKE, August Ludwig Rochau, p. 638.

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avrebbe riaffermato a distanza di tempo, alla luce della tra-vagliata vicenda della repubblica francese:

«un popolo monarchico per convinzione e abitudini non si lascia trasformare in repubblicano attraverso un colpo di Stato»49.

I numerosi articoli pubblicati sulla «Augsburger Allgemeine Zeitung» e il testo del 1849, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, permettono di ricostruire quell’itinerario politico che, nel corso della primavera 1848, condusse Rochau a maturare una sensibilità «progressista di centro», assimilabile a quella della formazione denominata Württemberger Hof, poi Augsburger Hof 50.

In concomitanza con la progressiva marginalizzazione dell’ala radicale, incapace di spezzare il vincolo di fedeltà intorno alla monarchia, le attenzioni di Rochau tesero a concentrarsi sulla questione della sovranità dell’Assemblea, che era stata posta dal deputato democratico Franz Raveaux, membro sia dell’As-semblea nazionale prussiana sia di quella nazionale tedesca51.

Sullo sfondo della contrapposizione tra principio dinastico e sovranità nazionale, diversamente da quanti si erano dichiarati favorevoli all’ipotesi di una soluzione di compromesso (Verein-barung) tra vecchie e nuove istituzioni, Rochau ritenne neces-sario affi dare alla Nationalversammlung l’esclusiva competenza «per tutte le questioni di cui si era dichiarata responsabile». A suo parere, i compiti fondamentali di quest’ultima consistevano nel defi nire quanto prima quali poteri mantenere a livello cen-trale e quali delegare a livello locale, infi ne nel dotarsi di un esercito, tramite cui dare vigore alle proprie decisioni: conscio delle diffi coltà cui essa sarebbe andata incontro per via delle resistenze opposte dai governi locali e dai portavoce «della bor-ghesia particolarista» (des partikularistischen Spießbürgertums»),

49 A.L. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, p. 639.50 Sul Württemberger Hof: H. FENSKE, Il liberalismo nella Assemblea Nazio-nale di Francoforte 1848-49, soprattutto pp. 32-33.51 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 134; H. FENSKE, Preußentum und Liberalismus, pp. 277-280 e 307-310.

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egli era insomma convinto che solo un’Assemblea pienamente sovrana avrebbe potuto costituire la premessa indispensabile per la salvezza politica della Germania52.

L’estrema problematicità delle questioni inerenti la sovra-nità della Nationalversammlung si manifestò ancora prima dell’apertura uffi ciale delle sessioni parlamentari, quando il 21 aprile il governo austriaco dichiarò di non essere disposto a riconoscere alcun provvedimento che entrasse in contrasto con i propri interessi. Nel corso di questa fase iniziale, nella quale l’opzione «kleindeutsch» restava ancora remota, Rochau non ritenne possibile l’ipotesi di un’esclusione, anche solo temporanea, dell’Austria dal processo di unifi cazione: a suo parere, infatti, la Germania aveva bisogno dell’Austria «per essere più forte» e l’Austria aveva bisogno della Germania «per continuare a sopravvivere»53.

Alla fi ne di maggio, l’intensità dello scontro in atto tra i sostenitori della sovranità nazionale dell’Assemblea di Fran-coforte e i sostenitori dell’autonomia dei singoli Stati crebbe ulteriormente in occasione dell’approvazione della mozione del deputato Maximilian Werner, secondo cui tutte le disposizioni delle costituzioni particolari sarebbero state valide solo entro l’ambito della costituzione generale di Francoforte54. Valu-tando positivamente la proposta avanzata da Werner, Rochau dichiarò espressamente quali dovessero essere gli obiettivi primari dell’Assemblea di Francoforte: scrivere una costituzione fondante l’«unità statale» della Germania, «assicurare l’unità in tutte le sue premesse e in tutte le sue conseguenze», infi ne garantire la formazione di un’autorità centrale alle cui delibe-razioni erano tenute a conformarsi tutte le diverse realtà statali tedesche55. In altre parole, per Rochau era necessario stabilire

52 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 30 aprile, 23 maggio e 29 maggio 1848. 53 Ibidem, 5 maggio 1848.54 Ibidem, 31 maggio 1848.55 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 135-136.

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se, alla pienezza della propria autorità, la Nationalversammlung doveva accompagnare anche la concretezza del proprio potere e trasformarsi quindi in un organo assembleare con effettivi poteri di governo:

«L’Assemblea nazionale non può e non deve tollerare alcuna resistenza alla propria potestà legislativa, ma, in uno spazio di competenze defi nito con chiarezza e intransigenza, deve agire come se disponesse di un’irresistibile forza esecutiva»56.

Solo a questo punto, secondo Rochau, poteva essere compiuto un ulteriore passo avanti con la creazione di un forte esecutivo che, sostenuto dalla volontà della nazione, avrebbe dovuto agire con decisione all’interno di uno spazio legalmente defi nito, nel quale rientravano:

«… la tutela del diritto di cittadinanza, la difesa delle costituzioni locali, la gestione della politica estera, il comando dell’esercito, la conduzione degli affari commerciali e la realizzazione delle infrastrutture necessarie per la libera circolazione»57.

Nel corso delle discussioni sui compiti del «potere centrale provvisorio» dell’Assemblea, egli cominciò tuttavia a svilup-pare alcuni dei motivi che sarebbero divenuti centrali nella successiva critica all’esperienza costituzionale del 1848-1849. In particolare tra le pagine di Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, richiamando le polemiche contrapposte che si erano scatenate nella seduta del 17 giugno 1848, allorché Dahlmann aveva suggerito la formazione di un «direttorio» con poteri di governo, Rochau denunciò le continue «perdite di tempo» e le «chiacchiere inutili», che allontanavano sempre più la soluzione dei problemi, la macchinosità delle procedure parlamentari e l’incapacità di giungere a decisioni defi nitive58.

56 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 27 maggio 1848.57 Ibidem, 2 giugno 1848. A tale riguardo, lo storico Jacques Droz ha indi-cato una delle maggiori cause del fallimento del 1848 proprio nella mancata costituzione di una Zentralgewalt effi cace; J. DROZ, Die deutschen Revolution von 1848, pp. 91-114 e soprattutto pp. 102 ss.58 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 150 ss.

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In tal senso, alla constatazione dell’inadeguatezza dei protagoni-sti di quel momento cruciale, Rochau accompagnò, anticipando in qualche modo i termini della polemica antiparlamentare degli anni successivi, la critica allo «spirito di partito»59: se il modesto spettacolo di un’assemblea formata da deputati desiderosi di imporsi all’attenzione pubblica poteva essere spiegato sulla base del «silenzio politico» cui la Germania era stata abituata da decenni, la polarizzazione delle forze politiche era da attribuire invece ai democratici, che, ispirandosi al formulario astratto della cultura radicale, agitavano minacciosamente lo spettro della rivoluzione60. In tale panorama, già segnato da forti con-trasti, si collocò il delicatissimo tema della difesa «dell’onore e degli interessi tedeschi contro l’esterno»61. Soprattutto in seguito allo scoppio della crisi danese, le posizioni di Rochau, abbinando la condanna dell’impotenza politica a quella della frammentazione statale, registrarono una signifi cativa accen-tuazione in senso nazionalistico62.

A meno di tre mesi dalle proclamazioni iniziali in favore della «primavera dei popoli», mettendo in discussione il principio dell’autodeterminazione, egli giunse infatti a prendere posi-zione sia contro le rivendicazioni autonomistiche dei Cechi, sia contro la partecipazione dei deputati polacchi ai lavori della Nationalversammlung63 e ad affermare con chiarezza

59 Ibidem, pp. 135-139. 60 Ibidem, pp. 149 e 175-177.61 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 2 giugno 1848. In effetti, la dichiara-zione del 19 giugno 1848, relativa all’attribuzione del diritto di cittadinanza a «ogni tedesco», fu all’origine di un intenso dibattito: di fronte alla necessità di conformare le frontiere della Confederazione tedesca secondo i postulati del risveglio nazionale, la Paulskirche aveva dato una risposta duplicemente contraddittoria: «Wer deutsch spricht, soll deutsch sein» e «Was deutsch ist, soll deutsch bleiben», in virtù della quale i diritti linguistici erano associati a quelli fondati sulla storia e sullo status possidenti.62 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 140-148 e 170-172.63 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 31 marzo, 6 maggio e 14 maggio 1848. Sulla questione polacca e quella danese, cfr. W.L. LANGER, Political and Social Upheaval, pp. 400-407 e i contributi di A.J.P. TAYLOR, Deutschland und die

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che, se le circostanze avessero imposto «la scelta tra martello o incudine», «noi dovremmo essere il martello»64.

Quando poi, in seguito allo scoppio della crisi dello Schleswig e dello Holstein e alle ostilità tra Danimarca e Prussia, l’As-semblea dichiarò che i confi ni del Bund tedesco costituivano una questione nazionale tedesca, sottoposta quindi alla propria «provisorische Zentralgewalt» (9 giugno), a Rochau sembrò che Francoforte e Berlino agissero fi nalmente in vista del comune interesse nazionale.

In realtà, non appena si profi lò il rischio di un intervento russo, quel precario equilibrio fu infranto e il trattato di Malmoe del 26 agosto 1848, fi rmato unilateralmente tra Prussia e Danimarca, segnò un brusco strappo nei confronti della Paulskirche65.

Di fronte alla contrapposizione tra «il sistema delle grandi parole» e quello «dei piccoli fatti», Rochau constatò che lo Stato che i deputati di Francoforte si erano illusi di creare per mezzo di dichiarazioni di principio era di fatto ignorato dalle potenze europee e che il «potere centrale» dell’Assemblea non aveva neppure la forza suffi ciente a far rispettare le proprie deliberazioni66.

Nel corso dei giorni che seguirono al fallito tentativo di revisione del trattato di Malmoe (5-16 settembre) e ai gravi disordini che ebbero luogo a Francoforte, egli cominciò quindi a percepire in maniera netta non solo la gravità delle ipoteche poste sul successo del lavoro costituzionale fi no ad allora intrapreso, ma anche il rischio che la crisi aprisse la strada alla lenta,

europäischen Mächte e H. ROTHFELS, Das erste Scheitern des Nationalstaat in Ost-Mittel-Europa. In particolare, sulla Polendebatte, L.B. NAMIER, La rivoluzione degli intellettuali, pp. 73-128 e in particolare pp. 126-128.64 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 2 maggio 1848, e A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 167.65 A. DOERING-MANTEUFFEL, Die deutsche Frage und das europäische Staats-system 1815-1871, p. 25; H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, pp. 293-296, e infi ne E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 633-647, e soprattutto pp. 660-681.66 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 13 settembre 1848.

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ma inesorabile reazione monarchica e alla defi nitiva deriva di ogni concreto progetto di riforma del Bund. Attaccando la sinistra radicale per via dei continui tentativi volti a sovvertire lo svolgimento delle discussioni, egli giunse a temere che, «a forza di concessioni e compromessi», la Nationalversammlung si fosse ormai posta «in una situazione di tale debolezza da compromettere la sua autorità agli occhi dell’intera Germa-nia»67. Tale situazione di crisi era a suo parere ulteriormente aggravata dall’irrigidimento delle divisioni politiche esistenti tra l’Assemblea di Francoforte e quella di Berlino, giacché

«rientrava nella natura delle cose, che due grandi assemblee parlamentari, l’una rivendicante la potestà costituente su tutta la Germania e l’altra rivendicante quella sullo Stato tedesco più potente … si guardassero reci-procamente con gelosia e diffi denza»68.

Negli ultimi mesi del 1848, alla constatazione del fatto che

«ancora oggi, purtroppo, l’idea dell’unità politica della Germania non è una forza pubblica (öffentliche Macht), con la quale poter sconfi ggere gli eserciti europei e rovesciare gli Stati che affondano le proprie radici in una storia plurisecolare»69,

Rochau abbinò dunque la denuncia nei confronti dell’ormai evidente impotenza politica della Nationalversammlung, la quale, se

«avesse avuto fi ducia nella propria forza, diffi cilmente si sarebbe smarrita in lunghe discussioni e posta così grandi scrupoli nel rivendicare la pie-nezza della propria autorità sull’intera Germania. Ma nella Paulskirche era evidente che il potere non procedeva con lo stesso passo del volere, sicché il riconoscimento stesso di tale realtà fu alla base di quella incertezza che si fece legge»70.

67 Ibidem, 14 settembre 1848, e A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 149; E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsge-schichte, II, pp. 682-709.68 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 218 s.69 Ibidem, p. 192.70 Ibidem, p. 213.

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Nel frattempo, mentre le truppe del principe Alfred von Windischgrätz erano intente a riportare l’ordine nella capitale austriaca, il 27 ottobre 1848, l’Assemblea nazionale procedeva nel tentativo di ridefi nire gli assetti territoriali della nuova realtà statale, lasciando al di fuori delle proprie competenze tutte le regioni non tedesche. Esprimendosi inizialmente a favore della soluzione «grossdeutsch», anche Rochau fu favo-revole all’approvazione dei paragrafi della costituzione relativi all’inserimento dei territori tedeschi dell’Impero asburgico e al mantenimento di un rapporto con i restanti mediante un vincolo dinastico (la cosiddetta Personalunion):

«Che il dovere dell’Austria sia quello di piegarsi al potere sovrano dell’As-semblea può essere messo in dubbio solo da colui al quale il diritto dei popoli affermatosi con la rivoluzione di Marzo è restato un segreto o da colui il quale non ha la benché minima cognizione dei profondi legami e degli obiettivi storici del movimento nazionale. L’Austria tedesca è una parte inseparabile del corpo statale tedesco già in virtù dei vecchi atti federali e, in quanto tale, deve attenersi alle decisioni della Paulskirche»71.

Quando, alla promulgazione unilaterale della costituzione prus-siana del 5 dicembre 1848, che approfondiva inevitabilmente la rottura con Francoforte, seguì di lì a poco anche il fallimento del cosiddetto Plan des engeren und weiteren Bundes che, su proposta di Gagern, prevedeva la creazione di uno Stato federale centrato sulla Prussia, Rochau reagì con asprezza, affermando che, alla conclusione dei lavori costituzionali, il movimento nazionale avrebbe avuto tra le mani niente più che un semplice «pezzo di carta», incapace di garantire la libertà e l’indipendenza della Germania72. Giudicando la condotta di Vienna come un esplicito attacco a tutto ciò che sino ad allora era stato compiuto a Francoforte, egli non solo perse gran parte delle proprie iniziali simpatie verso l’Austria, ma constatò anche che il processo di unifi cazione poteva ritenersi defi nitivamente concluso:

71 Ibidem, pp. 220-228; inoltre «Augsburger Allgemeine Zeitung», 30 ottobre 1848.72 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 10 gennaio 1849.

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«La completa unità della Germania a cui noi aspiriamo e che noi ci augu-riamo non è, per ora, attuabile e tutto ciò che resta da fare è preoccuparci di mantenere aperto lo spazio per quella parte attualmente mancante»73.

Le tensioni crescenti tra Berlino, Francoforte e Vienna e la promulgazione della costituzione austriaca (4 marzo), nella quale fu ribadito il principio dell’unità dei territori soggetti alla corona asburgica, lo indussero tuttavia ad approvare il tenta-tivo tardivamente messo in atto da Gagern74 per raggiungere, in vista dell’approvazione defi nitiva della nuova costituzione (28 marzo), un accordo con lo schieramento democratico in merito alla questione della monarchia ereditaria:

«L’unica proposta che ha probabilità di convincere la maggioranza dell’As-semblea nazionale è quella relativa alla monarchia ereditaria e io spero che tutti quei partiti, che con onestà credono nella costituzione tedesca, convergano su questo punto»75.

Ad appena una settimana di distanza, tuttavia, lo sprezzante rifi uto opposto da Federico Guglielmo IV alla corona imperiale sancì la defi nitiva crisi dell’Assemblea nazionale e, di fatto, l’epilogo del ciclo iniziato nel marzo dell’anno precedente76.

La stagione costituzionale inaugurata nel marzo 1848 non si concluse però con lo scioglimento della Nationalversammlung, ma si prolungò fi no al maggio del 1851 con la chiusura delle conferenze di Dresda. Nel corso di questo biennio, il braccio

73 Ibidem, 9 ottobre, 6 dicembre 1848, 27 gennaio e 13 febbraio 1849.74 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 209 e 237-238. Si noti, tra l’altro, che la crescente amarezza di Rochau non risparmiò neppure Heinrich von Gagern, il quale, inizialmente ritenuto una «personalità imponente» (p. 133), fi nì per essere accusato di un atteg-giamento incomprensibilmente rinunciatario (p. 230). 75 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 10 marzo 1849. 76 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, pp. 284 ss. In concomitanza con lo scoppio di nuovi disordini (maggio-giugno 1849), l’atto fi nale della rivoluzione si consumò con la frattura del fronte nazionale tra lo schieramento liberale moderato, che, con il proposito di sostenere la Unionspolitik prussiana, si raccolse nella cittadina di Gotha, e quello democratico, che, nel tentativo estremo di proclamare la repubblica, si riunì nel Rumpfparlament di Stoccarda.

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di ferro tra Berlino e Vienna proseguì attraverso fasi alterne: al fallimento del progetto di Joseph von Radowitz, che prevedeva la formazione di un’unione composta da Baviera, Württemberg, Hannover, Sassonia e Prussia, seguì il cosiddetto Dreiköni-gbündnis del maggio 1849 stipulato tra Hannover, Sassonia e Prussia e, infi ne, il conclusivo accordo stipulato a Olmütz (novembre 1850), che sanciva la defi nitiva rinuncia da parte della Prussia alla propria politica tedesca77.

Scettico verso questi tardivi tentativi congressuali, che non godevano della fi ducia dell’opinione pubblica e che rappresen-tavano interessi di specifi che forze sociali e politiche, Rochau ritenne che «l’idea di una riforma strutturale della Germania come Stato federale» era ormai tramontata78. Trattandosi, da questo momento in poi, di immaginare «qualcosa di più grande e di completamente diverso», egli dichiarò la propria «apartiticità» (Unparteilichkeit): con signifi cativa analogia con quanto avrebbe affermato anche Treitschke, dichiarò cioè di non essere più disposto a legarsi a questo o a quel partito, ma di prepararsi ad appoggiare quello che, con maggior forza, sarebbe stato in grado di propugnare la libertà e «soprattutto la necessaria unità politica della nostra Patria»79.

77 R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 885-925 e, dello stesso autore, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, I, pp. 421-450.78 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 25 giugno 1849, e A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 199.79 A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 130. Si noti la coincidenza con le posizioni di Treitschke: «In verità non è la venerazione per la bandiera bianco-nera che mi spinge verso la Prussia, bensì questa semplice convinzione: noi Tedeschi non raggiungeremo mai la posizione che ci compete tra le altre nazioni fi no a quando non saremo uno Stato … Non trascurare neppure che la Prussia, sebbene sia ancora molto lontana dalla vera libertà politica, offre garanzie maggiori che qualsiasi altra parte della Germania». Polemico verso lo schieramento democratico, in virtù della sua incapacità a elaborare un «programma concreto», diffi -dente verso il partito di Gotha, giudicato niente più che un «ammasso di noiosi professori», ostile verso il «pigro particolarismo» dei piccoli Stati «ermafroditi» e verso l’«inutile» nobiltà feudale, alla vigilia del 1855, anche Treitschke dichiarò di voler stare «dalla parte di quel partito nel quale mi è dato vedere il maggior fervore nazionale»; citato in M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 228 (lettera a Wilhelm Nokk, 25 maggio

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Tra le pagine del «Frankfurter Volksbote», della «Weser Zei-tung» di Brema, della «Reichszeitung» di Braunschweig e della «Kölnische Zeitung», attaccando il diffuso senso di impotenza e il continuo rafforzamento dei particolarismi partitici, Rochau spese parole di dura condanna sia verso i liberali di Gotha, accusati di eccessiva accondiscendenza, sia verso i conservatori raccolti intorno al principe Bismarck, accusati di rappresentare gli interessi del «moderno feudalesimo»80. Scagliandosi sia contro la «politica della gelosia» e «dell’idiozia romantica», sia contro l’«innaturalità» degli Stati medi, egli entrò in polemica anche con coloro che si ostinavano a sperare in un’eventuale «riconciliazione» tra Austria e Prussia:

«Credo che l’antagonismo tra questi due grandi Stati sia una necessità, che resterà tale fi no a quando vi sarà una terza Germania in grado di occupare lo spazio di mezzo … Fosse per me [gli Stati medi] li getterei tutti in un sacco»81.

Nonostante la crescente delusione, confermata dall’esito delle discussioni tenute in occasione dell’Unionsparlament di Erfurt (20 marzo - 29 aprile 1850) e della Conferenza di Berlino (maggio 1850), in seguito alla quale fu ristabilito lo ius publi-cum Europaeum del 1815, nessuno degli eventi di quegli anni restò assente dalle sue analisi, sempre più protese ad adeguare la prospettiva nazionale a una percezione della realtà politica profondamente mutata.

A suo parere, infatti, gli ultimi avvenimenti avevano offerto una lezione dalla quale la Prussia avrebbe dovuto trarre le linee guida della sua futura condotta: «anziché singole scaramucce

1854); pp. 261 e 407-409 (lettere a Heinrich Bachmann, 19 novembre 1854 e 1° marzo 1857); pp. 477-478 (lettera a Hugo Meyer, 7 ottobre 1858) e II, pp. 38-39 (lettera a Wilhelm Nokk, 9 luglio 1859); pp. 40-41 (lettera a Ludwig Aegidi, 13 luglio 1859).80 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 4 novembre 1849; 13 gennaio, 23 gennaio, 1° febbraio, 7 febbraio 1850; A.L. VON ROCHAU, Das Erfurter Par-lament, pp. 79-83, e H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, p. 638. 81 Lettera di August Ludwig von Rochau a Franz Dingelstedt, 31 ottobre 1850, in C. JANSEN, Nach der Revolution 1848/49, p. 156, e A. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, pp. 334-335.

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di poco conto, è sempre preferibile portare attacchi frontali e defi nitivi»82.

Il crescente timore di un’imminente rivoluzione sociale, che lo spinse perfi no ad affermare che la Germania, se nel marzo del 1848 aveva conosciuto «il proprio 1789», ora correva il rischio di conoscere «il proprio 1794»83, costituì un ulteriore potente stimolo per il ripensamento complessivo sulla stagione politica appena conclusa. Tale revisione fu impostata a ridosso del marzo 1849, quando in Die Verfassunggebende Reichsversammlung e in Das Erfurter Parlament und der Berliner Fürsten-Congreß, Rochau attribuì la responsabilità dell’insuccesso della «politica nazionale» al particolarismo statale, alla faziosità dei partiti, al radicalismo democratico e alla mancanza di fi ducia in sé dei liberali.

La maturazione di questo complesso insieme di motivi critici fu naturalmente accompagnata da una serie di acquisizioni teoriche, la prima delle quali coincise con la denuncia del fatto che il movimento nazionale, – non essendo stato capace di attuare una politica fondata sulla valutazione dei reali rapporti di forza e soprattutto sull’analisi di quelle «forze sociali, sulle quali si regge l’ordine statale» –, non era stato in grado di mobilitare gli interessi necessari al proprio successo.

Come avrebbe riconosciuto anche nella Geschichte des Deutschen Landes und Volkes, la Nationalversammlung non era stata capace né di imporsi sulle diverse realtà statali, né di fare fronte comune con lo Stato tedesco più potente84. A palese danno della propria causa, il movimento nazionale aveva perciò condotto una mera Idealpolitik, incapace di trasformare l’«idea nazionale» in una concreta «forza pubblica» (öffentliche Macht):

«Per fare una rivoluzione, è anzitutto necessaria la forza, quella morale e quella materiale. L’idea dell’unifi cazione politica della Germania non è ancora

82 A. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, p. 332.83 Ibidem, pp. 1-6.84 A. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, p. 634.

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diventata ai giorni nostri una forza pubblica con la quale poter vincere gli eserciti europei e abbattere gli Stati che affondano le proprie radici in una storia secolare»85.

Alla polemica verso la Idealpolitik fu naturalmente abbinata quella verso lo Scheinkostitutionalismus, ossia quella formula costituzionale ibrida, che aveva ritenuto invano di poter limi-tare l’arbitrio del potere grazie alla sua presunta conformità alla Gesamtvernunft della nazione:

«Il diritto inerme, il cui riconoscimento teorico ha prodotto castelli in aria, è giunto al massimo a un esercizio apparente ed è stato tollerato dal potere solo fi nché a esso è piaciuto»86.

Interpretando il senso complessivo del biennio 1848-1849 alla luce dell’impossibilità da parte del «diritto inerme» di imporsi sulla «forza politica», la seconda acquisizione coincise con la constatazione che, in futuro, la soluzione della questione nazionale sarebbe dipesa esclusivamente da quella «legge di natura», in base alla quale solo una «forza può vincere un’altra forza»87.

In questo senso, la formulazione dell’equazione tra Recht e Macht non signifi cò solo la denuncia della «ineffi cacia» (Resultatlosigkeit) delle mediazioni fi nora messe in atto e la sfi ducia nei confronti di ogni azione politica «dal basso», ma soprattutto la maturazione di un atteggiamento fi lo-prussiano88:

«In realtà il compito affi dato alla Nationalversammlung era divenuto in quelle circostanze inattuabile e che la soluzione della questione nazionale nel quadro delle esistenti condizioni statuali della Germania imponga un accordo tra la nazione tedesca e lo Stato prussiano è un fatto che ora è stato dimostrato dall’esperienza»89.

85 A. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 192.86 A. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Erster Teil], p. 27.87 Ibidem, p. 52. A proposito cfr. anche L. BAMBERGER, Erlebnisse aus der Pfälzer Erhebung, in particolare p. 86.88 «Augsburger Allgemeine Zeitung», 1° maggio 1849.89 A. VON ROCHAU, Geschichte des Deutschen Landes, II, p. 639.

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In straordinaria analogia con le parole pronunciate nel maggio del 1849 da Federico Guglielmo – «Chi deve governare la Germania, deve conquistarsela» – Rochau giunse alla conclu-sione che né un parlamento, né la fi ducia in astratte tavole etico-giuridiche offrivano garanzie suffi cienti per il superamento della divisione della Germania; qualora si fosse ancora par-lato di un’unione federale, solo alla Prussia sarebbe spettato il compito di porsi alla testa della nazione90. Nonostante i «molti aspetti deplorevoli della sua condotta politica» e il suo «assolutismo mascherato» (verkappter Absolutismus), lo Stato prussiano restava, in forza della sua potenza militare e della sua ferma ostinazione nel perseguire i propri interessi, «il solo punto di cristallizzazione al quale il processo di costruzione statale della Germania» doveva guardare:

«La Prussia è quella forza che può salvare o portare alla rovina e questo onesto riconoscimento è forse l’unico modo per trasformare la rovina in salvezza»91.

In contrapposizione al dogmatismo che aveva guidato la prassi politica della Nationalversammlung e decretato la sua resa di fronte alle forze della tradizione, Rochau avviò la riformulazione realpolitisch delle categorie politiche della cultura liberale a partire dallo stesso concetto di Volk, il quale, essendo «dive-nuto in certa misura svalutato e di diffi cile uso», fu conce-pito, non più come l’indifferenziata totalità dei membri del lo Stato, bensì come «il grande gruppo dei governati in antitesi ai governanti»92. In virtù di tale «naturale ripartizione», lo stesso obiettivo dell’autogoverno doveva essere rideclinato a

90 La frase di Federico Guglielmo è riportata in B. CROCE, Storia d’Europa nel secolo decimonono, p. 185. Cfr. poi «Augsburger Allgemeine Zeitung», 11 aprile 1849, e A.L. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, p. 6. 91 A.L. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, pp. 267-269 e le lettere di August Ludwig von Rochau a Franz Dingelstedt, 22 maggio 1850 e 15 dicembre 1850, in C. JANSEN, Nach der Revolution 1848/49, pp. 118-119 e 164.92 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Erster Teil], pp. 57 e 55. A proposito cfr. M. RICCIARDI, Linee storiche sul concetto di popolo, pp. 313-316.

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seconda della differenza di «capaci tà politica»: nell’ottica di Rochau, ciò signifi cava che, mentre l’aristocrazia tradizionale era avviata al proprio tramonto politico, il Mittelstand bor-ghese era destinato in prospettiva a rappresentare «il pilastro portante per la creazione dello Stato tedesco»93.

Affermando che «nessun pensiero politico, cui manchi il consenso del Mittelstand, è maturo per l’azione», così come «nessuna innovazione politica, che sia compiuta senza il suo sostegno, ha possibilità di durare nel tempo», Rochau non solo aggiungeva un ulteriore elemento di critica verso il radicalismo democratico, incapace di comprendere che la conquista del consenso del Mittelstand rappresentava «il compito più impor-tante per ogni partito politico», ma soprattutto contribuiva a rinnovare dall’interno l’ideologia liberale. Infatti, se quest’ultima era rimasta sino ad allora dogmaticamente legata alla fi ducia nelle virtù astratte della borghesia – si pensi alla celebrazione del Mittelstand da parte di Dahlmann in quanto depositario dell’«opinione pubblica» – per Rochau la borghesia era ormai divenuta una «forza sociale» cui ora spettava il compito di farsi anche forza politica94.

In conclusione, facendo riferimento alla spirito ‘aggressivo’ che guidò le rifl essioni di Rochau nei primissimi anni Cin-quanta, è possibile constatare che lo schieramento liberale post-quarantottesco, per quanto disomogeneo dal punto di vista geografi co, fortemente condizionato da una visione locale della politica, disorientato dalla crisi delle proprie prospettive, ma confortato dal successo economico, era entrato in una fase estremamente contraddittoria – di stallo apparente da un lato, di intensa incubazione dall’altro – nel corso della quale, ten-tando di aggirare le contraddizioni e le problematiche che fi no

93 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Erster Teil], pp. 140-146. Per quanto riguarda la decadenza dello Junkertum, cfr. anche pp. 61-65. Si tenga tuttavia presente che Rochau, a proposito dell’aristocrazia, non for-mulò una tassativa dichiarazione di morte, perché, in quanto fondamentale articolazione intermedia, essa aveva storicamente svolto un ruolo decisivo a livello politico; cfr. pp. 59-60. 94 Ibidem [Erster Teil], p. 143.

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ad allora avevano travagliato il suo cammino, riuscì a porre le premesse della stagione politica del decennio successivo.

In questo senso, la nozione di «fallimento», che può essere legittimamente applicata al biennio rivoluzionario, in relazione al mancato raggiungimento dell’unifi cazione nazionale, alla permanente arretratezza del sistema istituzionale e alla man-cata integrazione degli interessi sociali nella politica nazionale, non risulta del tutto adeguata per comprendere il relativo dinamismo dimostrato dalla borghesia liberale tedesca negli anni successivi95.

Da un lato, è indubbio che il disorientamento liberale suc-cessivo al 1848 abbia agevolato, specialmente in Prussia, la ricostruzione di un blocco sociale dominante composto di nobiltà, burocrazia ed esercito, che, attuando una strategia di modernizzazione conservatrice, permise la transizione dalla società cetuale a quella industriale senza demolire gli apparati dello Stato burocratico96. Dall’altro lato, la consapevolezza della sconfi tta subita a Francoforte coincise anche con un chiaro rilancio, da parte della borghesia liberale o, quanto meno, da parte dei suoi segmenti più dinamici. Questo secondo aspetto, tradizionalmente sottovalutato dalla storiografi a, risulta evi-dente se si prende in considerazione la vicenda biografi ca e intellettuale di Rochau, il quale, anziché farsi portavoce «di un liberalismo disilluso»97, si assunse il compito di rinnovare la prassi del movimento liberale e nazionale in conformità con una maggiore aderenza al primato dei «fatti» (Tatsachen)98.

Secondo tale prospettiva risulta possibile comprendere anche le ragioni di fondo del «contrasto generazionale» con gli esponenti dello Altliberalismus, a differenza dei quali Rochau non concepì

95 M. STÜRMER, Stato nazionale e democrazia di massa nel sistema delle potenze, soprattutto pp. 129-130.96 K.G. FABER, Strukturprobleme des deutschen Liberalismus im 19. Jahrhun-dert, in particolare p. 227; I. CERVELLI, La Germania dell’Ottocento, pp. 242-252. 97 F. WILD, Ludwig August von Rochau, p. 21.98 H. LÜLMANN, Die Anfänge August Ludwig von Rochaus, pp. 73-77.

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affatto il 1848 come un fallimento politico. Consapevole del fatto che a un liberalismo economico che si poneva sempre più sulla via della modernizzazione faceva riscontro un liberalismo politico uscito sconfi tto dalla prova di forza con l’assolutismo, ma fermamente deciso a svincolarsi dai condizionamenti del vecchio ordine feudale, Rochau era infatti convinto che il 1848 non fosse coinciso con l’anno zero del movimento nazionale: l’idea stessa di uno Stato federale secondo il modello della costituzione approvata a Francoforte rappresentava infatti il punto di passaggio obbligato dal quale riprendere il cammino verso lo Stato unitario99. Un cammino, quest’ultimo, che, soprattutto dopo il colpo di Stato bonapartista del 2 dicembre 1851, sarebbe stato segnato dalla maturazione di una nuova consapevolezza politica:

«Quanto poco la Realpolitik si lascia incantare dalla nobile origine di una fuggevole manifestazione dell’attimo, altrettanto poco ignora, sdegnandosi virtuosamente, un dato di portata enorme, solo perché quest’ultimo è di origine immorale o delittuosa. Sulla bilancia della Realpolitik l’evento del 2 dicembre 1851 pesa dieci volte più dell’evento del 24 febbraio 1848»100.

2. Il bonapartismo alla luce della «Realpolitik» (1850-1852)

Se già l’irrompere della «questione sociale» aveva contribuito a infrangere l’automatismo del nesso tra emancipazione e sviluppo materiale, gli eventi che si verifi carono in Francia tra il febbraio 1848 e il dicembre 1851 segnarono l’esaurimento di quella tradizione liberale che, durante la prima metà del secolo, era stata contraddistinta dall’immagine di una società sostanzialmente omogenea e, come tale, ritenuta in grado di avviare un graduale processo emancipativo destinato a riper-cuotersi positivamente sulla forma dello Stato.

99 A.L. VON ROCHAU, Das Erfurter Parlament, p. 175.100 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Zweiter Teil], p. 207 e, per un giudizio analogo, J.G. DROYSEN, Briefwechsel, II: 1851-1884, p. 35 (lettera a Theodor von Schön, 29 dicembre 1851).

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Il primo paradosso fu posto allorché, in seguito al decreto del 5 marzo 1848, l’introduzione del suffragio universale materializzò improvvisamente agli occhi dell’intera Europa due inquietanti spettri: quello della rivoluzione sociale e quello del predominio della società sull’individuo. L’inattesa elezione presidenziale di Luigi Bonaparte101 del 10 dicembre 1848 e il progressivo delinearsi di una realtà politico-istituzionale segnata dallo scontro tra un’Assemblea eletta a suffragio universale e un Presidente legittimato dalla volontà popolare, indussero numerosi osservatori dell’epoca, tra cui Tocqueville, a temere la formazione di un potere unico e irrefrenabile, prodotto velenoso della democrazia dei grandi numeri.

Tale timore trovò di lì a poco conferma nella lenta ma ine-sorabile ascesa politica di Bonaparte, il quale, a partire dai disordini del giugno 1849, riuscì a legittimarsi come autorevole interprete della volontà nazionale e a proporsi come unica alternativa rispetto alla duplice minaccia del «comunismo» da un lato e della reazione dall’altro102. All’indomani del colpo di Stato del 2 dicembre 1851, messo in atto non prima di aver ottenuto il controllo sulla macchina dello Stato, il bonapartismo non indicò solo più quella forza politica che si richiamava alle glorie napoleoniche, bensì un modello politico nuovo, altamente legittimato, antitetico rispetto a quello liberale e a quello monarchico, caratterizzato dalla concentrazione auto-ritaria del potere e dall’addomesticamento plebiscitario del consenso popolare103.

101 Figlio di Luigi Bonaparte, re d’Olanda, e di Hortense de Beauharnais, Luigi Napoleone aveva fatto parlare di sé già negli anni Quaranta per i fatti di Strasburgo (1836), di Boulogne (1840) e anche per due opuscoli – Des idées napoléoniennes (1839) e L’extinction du paupérisme (1844) – che gli avevano assicurato un certo credito presso gli ambienti democratici e socialisti; M. WÜSTEMEYER, Demokratische Diktatur, pp. 41-96; K. TACKE, Sozialpolitischen Vorstellungen Napoleons III.102 Cfr. M. AGULHON, The Republican Experiment 1848-1852; J.M. MERRIMAN, The Agony of the Republic.103 C. CASSINA, Il bonapartismo o la falsa eccezione, pp. 22-40, e D. LOSURDO, Democrazia o bonapartismo, pp. 86-101.

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Nel contesto della rinnovata discussione su dittatura e rivolu-zione, il trionfo politico di Luigi Bonaparte, segnando, a seconda delle interpretazioni, l’emergere di nuove forme autoritarie di potere o il consolidarsi defi nitivo delle conquiste del 1789, divenne oggetto di intense discussioni in tutta Europa104.

Gli eventi del dicembre 1851 ebbero in tal senso una decisiva ricaduta anche al di là del Reno, dove, mettendo a confronto personalità del mondo accademico e politico, diedero l’avvio a un acceso dibattito destinato a proseguire almeno sino alla sconfi tta di Sedan del 1870105. In questo arco di tempo, un’in-tera generazione di studiosi, richiamandosi perlopiù alle rifl essioni tocquevilliane sul dispotismo democratico, cercò di comprendere se la nozione di bonapartismo, e quella affi ne di cesarismo106, indicassero un fenomeno temporaneo o strutturale; destinato a restare confi nato in ambito francese o meno; inedito o assimilabile alle tradizionali classifi cazioni di Aristotele, di

104 M. STÜRMER, Krise, Konfl ikt, Entscheidung, pp. 102-118, e M. KIRSCH, Monarch und Parlament im 19. Jahrhundert, pp. 204-21.105 Se già l’avvio del 1848 aveva indotto liberali come Droysen a chiedersi con preoccupazione se potesse mai spezzarsi il ciclo perverso instauratosi tra rivoluzione e reazione, il 2 dicembre 1851 sembrò signifi care l’inevitabilità della dittatura; J.G. DROYSEN, Rückschau I (2 giugno 1848), in particolare p. 143. In tale contesto, la nozione di dittatura, che, fi no alla prima metà dell’Ottocento, aveva mantenuto una connotazione positiva, iniziò ad assumere un signifi cato derogatorio da un lato, a riscuotere crescenti attenzioni in quanto tecnica per la conquista del potere dall’altro; S. MASTELLONE, Dittatura giacobina, dittatura bonapartista e dittatura del proletariato, pp. 143-150. 106 Anche in Germania, le nozioni di bonapartismo e di cesarismo furono spesso confuse: K. MARX, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, p. 5 (Prefazione del 1869). Solo dopo il 1870, esse furono distinte con precisione. La prima fornì una nuova categoria, fi nalizzata a descrivere un modello politico astratto: B. BAUER, Disraelis romantischer und Bismarcks sozialistischer Imperialismus (1882), e W. ROSCHER, Umrisse zur Naturlehre des Cäsarismus (1888). La seconda fu associata a un preciso progetto politico francese, che, grazie ai due Bonaparte, aveva trovato una precisa fi sionomia istituzionale; cfr. A. MOMIGLIANO, Per un riesame della storia dell’idea di cesarismo, pp. 220-229; D. GROH, Cäsarismus, Napoleonismus, Bonapartismus, Führer, Chef, Imperia-lismus, I, pp. 726-771; F. DE GIORGI, Scienze umane e concetto storico: il cesarismo, pp. 323-354, e I. CERVELLI, Cesarismo: alcuni usi e signifi cati della parola, pp. 61-197.

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Polibio e di Montesquieu; prodotto dalla rivoluzione o dalla reazione; di accelerazione o di rallentamento dei processi di modernizzazione107.

In Prussia, per esempio, abbinato alla questione della revisione costituzionale, esso divenne, a partire dall’estate del 1851, uno dei temi salienti del dibattito in corso tra fautori della monar-chia cetuale, costituzionale e burocratica. Tra i primi vi furono gli esponenti dello Altkonservatismus prussiano, che, oltre ai fratelli von Gerlach, poteva contare su infl uenti personaggi del calibro di Heinrich Leo, Hermann Wagener e Friedrich Julius Stahl, i quali, facendosi portavoce di una monarchia cetuale, concordavano nel ritenere il bonapartismo un fenomeno tipico della modernità, frutto della rovina delle istituzioni sanzionate storicamente e capace, in quanto tale, di eternare gli effetti stravolgenti della rivoluzione del 1789108.

Alle posizioni del partito di corte erano contrapposte quelle dello schieramento cripto-bonapartista dei Beamtenkonserva-tiven guidati dal barone Manteuffel, che, sulla scia delle idee di Wilhelm Riehl109, agitò lo spettro del bonapartismo in fun-

107 A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, cap. VI, IV parte, pp. 731-735; A. DE TOCQUEVILLE, Il dispotismo democratico, Libro IV, II parte de La rivoluzione (1856), in A. DE TOCQUEVILLE, Scritti politici, I, pp. 1017-1042; inoltre, A. DE TOCQUEVILLE, Ricordi (1850-1851), pp. 287-288 (Note per i «Ricordi» dal mese di giugno 1848 al mese di giugno 1949. Aprile 1851). Cfr. poi M. RICHTER, Tocqueville, Napoleon and Bonapartism, pp. 110-145, e M. RICHTER, Tocqueville and France Nineteenth-Century Conceptualizations of the Two Bonapartes and their Empires, pp. 83-102; M. BATTINI, L’ordine della gerarchia, pp. 120-132.108 D. BARCLAY, Prussian Conservatives and the Problem of Bonapartism, p. 67. 109 Secondo Riehl, la società prussiana era articolata in due gruppi: da un lato, le «forze della conservazione», formate dall’aristocrazia e dalla popolazione contadina; dall’altro, le «forze del movimento», composte dalla borghesia cittadina e dal proletariato. La premessa fondamentale affi nché la monarchia potesse continuare a svolgere la propria azione di mediazione risiedeva nel fatto che i difensori della tradizione prendessero atto dell’esistenza di forze sociali contrapposte: anziché illudersi di poter sopravvivere sull’appoggio di una e sulla repressione dell’altra, il governo, per evitare le minacce della rivoluzione e del bonapartismo, doveva puntare sulla cooperazione tra ari-stocrazia, classe contadina e classe borghese; in W.H. RIEHL, Die bürgerliche

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zione anti-feudale, avviando quel processo di evoluzione del panorama conservatore classico che sarebbe poi stato portato a termine con successo da Bismarck110.

Se la questione di un’eventuale traduzione in Prussia del modello politico bonapartista fu per la prima volta avanzata nel 1851 da Ryno Quehl111, appena un anno dopo, un altro uomo di fi ducia del governo, Konstantin Frantz, attribuì al nipote di Napoleone il merito di aver «chiuso il cratere della rivoluzione con il trono dei Cesari», giungendo perfi no a giustifi care il colpo di Stato sulla base dell’eccezionalità della situazione politica francese:

«Questo uomo governa non in forza della legittimità o di un principio morale, ma in nome di una necessità fi sica, perché egli poggia il proprio potere sulla maggioranza alla quale la minoranza deve necessariamente sottomettersi. Il meccanismo della nuova costituzione è teso al perseguimento di obiettivi concretamente realizzabili e non già a quello di un diritto pubblico che neppure esiste»112.

Gesellschaft. Della stessa opinione fu anche Karl Rosenkranz, che, già nel maggio del 1848, temendo sia lo spettro della rivoluzione sia quello della reazione, sollecitò il governo prussiano a progredire verso una forma di monarchia democratica; I. CERVELLI, Cesarismo e Cavourismo, pp. 337-338.110 G. GRÜNTHAL, Im Schatten Bismarcks, in particolare pp. 127-128, e E. FEHRENBACH, Politischer Umbruch und gesellschaftliche Bewegung, pp. 367-380. Pur avendo espresso in una lettera a Leopold von Gerlach del 28 dicembre 1851 il proprio scetticismo rispetto alla spregiudicatezza di Frantz e Quehl, Bismarck ritenne che il bonapartismo non era affatto la premessa della rivoluzione, bensì l’«unico metodo» per ristabilire l’ordine in Francia. A proposito si faccia riferimento anche la lettera risalente al novembre del 1851, in cui, rivolgendosi a Manteuffel, egli affermò che fosse ormai necessario «fare i conti con i dati di fatto e non con gli ideali» («nach Tatsachen, aber nicht nach Idealen rechnen»); in O. VON BISMARCK, Gesammelte Werke, I, p. 104. Si veda infi ne I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, pp. 353 e 367-368.111 R. QUEHL, Die Revision der Verfassung.112 K. FRANTZ, Louis Napoleon, pp. 7-8. In un primo tempo, lo stesso Rochau criticò le opinioni di un «sofi sta dello Stato» berlinese, che, tentando di delineare una «teoria organica del napoleonismo», aveva suggerito che per la Francia non vi fosse altra alternativa; in A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, p. 135.

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Con riferimento a quel «nesso morale» in forza del quale i Francesi avevano scelto Bonaparte come proprio capo, non già per essere rappresentati, ma per essere guidati, Frantz osservò quindi che il potere statale doveva assicurarsi il favore della maggioranza del popolo, «perché solo così la volontà collettiva, che si raccoglie nel capo unitariamente, acquista la forza di una necessità fi sica»113.

In maniera analoga a quanto era avvenuto all’interno dello schieramento conservatore, anche lo schieramento liberale si divise al suo interno tra coloro che, come Gustav Droysen, riscontrarono nel bonapartismo il prodotto nefasto della mas-sifi cazione della politica e coloro che, come Treitschke, pur esprimendo parole di condanna per l’atto di sopraffazione compiuto con il colpo di Stato, nutrirono un notevole interesse verso le novità introdotte da Luigi Bonaparte.

Per comprendere le ragioni di questo ambiguo rapporto di rifi uto e nel contempo di fascinazione, oltre alla posizione emblematica assunta, per esempio, da Theodor Mommsen, è necessario tenere conto anche delle osservazioni di libe-rali come Max Duncker ed Hermann Baumgarten, i quali, intuendo le opportunità di innovazione politica introdotte dal bonapartismo, giunsero a invocare «una personalità grande e risoluta», che, sull’esempio offerto da Bonaparte in Francia e soprattutto da Cavour in Italia, fosse in grado di compiere rilevanti progressi nella direzione dell’unifi cazione114. Dal loro punto di vista, infatti, la ragione dell’auspicabilità di una traduzione tedesca del modello bonapartistico risiedeva nel fatto che, in un contesto sociale e politico sano come quello

113 K. FRANTZ, Louis Napoleon, pp. 58-59, 68-69 e 73-75. In generale cfr. pure U. SAUTTER, Constantin Frantz und die Zweite Republik. 114 Lettera di Hermann Baumgarten a Ludwig Häusser, 22 maggio 1859, in J. HEYDERHOFF - P. WENTZCKE, Deutscher Liberalismus im Zeitalter Bismarcks. Eine politische Briefsammlung, I: Die Sturmjahre der preußisch-deutschen Einigung 1859-1870, p. 39. Cfr. S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, pp. 446-460 e 470-478; J. PETERSEN, Risorgimento und italienischer Einheitsstaat, p. 87, e E. PORTNER, Die Einigung Italiens, pp. 45 ss. Per il giudizio di Treitschke su Cavour, «geniale Realpolitiker», cfr. H. VON TREITSCHKE, Cavour.

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tedesco, l’autore del 2 dicembre avrebbe potuto, senza fare ricorso alla violenza, porre fi ne alla frammentazione nazionale e al timore della rivoluzione115.

A riprova della diffusione presso gli ambienti liberali di tali ipotesi possono essere richiamate anche le rifl essioni svolte da Heinrich von Treitschke, il quale pur interpretando il bonapartismo come conseguenza della «rivoluzione senza meta determinata», così come frutto della passione tipicamente fran-cese per l’omologazione, non mancò di coltivare un interesse costante nei suoi confronti116.

Se a ridosso del 2 dicembre aveva polemizzato con coloro che, indignandosi per la brutalità di quell’atto, non erano riusciti a cogliere il contributo da esso offerto alla «rottura della passività tedesca»117, a distanza di un decennio, dopo aver accolto l’invito di Mommsen a recensire la Histoire de Jules Cesar (1865) di Napoleone III, affermò di voler dimostrare «che noi unitaristi non abbiamo nulla a che fare con il bonapartismo»118. Accusato, a causa della sua irriducibile fede borussa, di nutrire sentimenti

115 H. GOLLWITZER, Der Cäsarismus Napoleons III. im Widerhall der öffent-lichen Meinung Deutschlands, pp. 44-67. Lo stesso Rochau denunciò il favore con il quale il colpo di Stato era stato accolto non solo presso fogli conservatori come la «Preußische Zeitung», la «Wiener Zeitung», la «Oestrei-chische Correspondenz» e la «Neue Münchener Zeitung», ma anche presso quelli «sinora considerati liberali», come la «Weser Zeitung» e la «Kölnische Zeitung»; in A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 151, 154-157.116 H. VON TREITSCHKE, La Francia dal Primo Impero al 1871 (1865-1868), I, p. 269. A proposito della relazione tra le tesi di Treitschke e quelle di Tocqueville circa la possibilità di leggere l’intero corso della storia francese moderna, dall’epoca dell’assolutismo monarchico sino al secondo bona-partismo, alla luce di un canone unitario (centralizzazione e livellamento ugualitario), cfr. E. SCHOLTZ, Untersuchungen über Heinrich von Treitschkes Essay Frankreichs Staatsleben und der Bonapartismus, p. 93.117 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 106 (lettera al padre, 19 dicembre 1851).118 Ibidem, II, p. 387 (lettera a Friedrich Zarncke, 20 marzo 1865). Cfr. Poi anche L.N. BONAPARTE (Napoleone III), Geschichte Julius Cäsar, I, pp. II e VI-VII: autorevole interprete di quella concezione secondo cui la «grande personalità» era strumento della storia, in questo testo, Bonaparte aveva tentato di dimostrare il valore universale dell’«idea napoleonica».

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fi lo-bonapartisti, nella primavera del 1865, egli aveva infatti cercato di dimostrare che il cosiddetto «partito unitarista» era lungi dal volersi ispirare al dispotismo bonapartistico:

«Unitaristi e difensori della politica annessionistica risultano fi nanco per la gente dabbene sostenitori delle idee bonapartistiche. È perciò opportuno discutere del cosiddetto cesarismo moderno e dimostrare che noi, nonostante tutto, siamo e restiamo autentici liberali»119.

In tal senso la posizione di Treitschke era del tutto assimilabile a quella della storiografi a liberale e di Mommsen120, soprattutto nella misura in cui il bonapartismo era interpretato, sul piano politico, come un regime defi citario per molti aspetti, cui tuttavia era opportuno riconoscere, sul piano storico generale, una funzione positiva:

«sotto il primo e il terzo Napoleone questo paese produce la più armonica impressione di svolgimento politico relativamente sano. Le grosse parole moralistiche contro il bonapartismo non stringono nulla»121.

119 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, II, p. 392 (lettera a Theodor Mommsen, 16 aprile 1865) e p. 421 (lettera a Louise Brockhaus, 1° ottobre 1865). Si tenga infi ne presente L. BAMBERGER, Alte Parteien und neue Zustände, in particolare p. 335 e, dello stesso autore, Über Rom und Paris, in cui le idee di Treitschke furono indicate come la «quintessenza» della nuova dottrina liberale; cfr. poi U. LANGER, Heinrich von Treitschke, pp. 209-246.120 «L’opera di Cesare era necessaria e salutare, … perché l’assoluta monar-chia militare era logicamente la necessaria conclusione e il male minore»; cfr. T. MOMMSEN, Storia di Roma antica, II: La fondazione della monarchia militare, p. 1114. Il grande impatto dell’opera di Mommsen non fu tuttavia destinata a esaurirsi in breve tempo, se si tiene conto che, a oltre una ventina di anni di distanza dalla prima pubblicazione della Römische Geschichte, numerosi furono ancora coloro che, schierandosi contro le «deformazioni» della storiografi a liberale, osservarono che la caratteristica principale dei cesarismi «di ieri e di oggi» consisteva nel segnare il passaggio da una fase di lotta politico-sociale per gli «ideali» a una fi nalizzata al perseguimento degli interessi di pochi; cfr. J. MOST, Die socialen Bewegungen im alten Rom und der Cäsarismus, pp. 79 e 109-112; W. RÜSTOW, Der Cäsarismus, pp. 18 e 114-139. Più in generale, per ricostruire la fortuna di Cesare nel corso dei secoli, cfr. F. GUNDOLF, Caesar. Geschichte seines Ruhms, e anche, dello stesso autore, Caesar im neunzehnten Jahrhundert; infi ne P. BAEHR, Caesar and the Fading of the Roman World. 121 H. VON TREITSCHKE, La Politica, III: La costituzione dello Stato, pp. 191-192.

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All’interno del quadro appena delineato, anche le analisi di Rochau si prestano a illustrare con effi cacia la prospettiva libe-rale non solo verso il regime sorto all’indomani del 1851 e più in generale, verso il complesso rapporto tra Macht e Recht. In questo senso, esse rappresentano testimonianze emblematiche per tre ragioni fondamentali. Anzitutto, perché costituiscono un interessante tentativo di ridefi nizione, nell’epoca dell’incipiente massifi cazione dei rapporti politici, del nesso tra governati e governanti:

«L’opposizione fra governanti e governati è del più alto signifi cato a causa della lotta per il conseguimento del potere pubblico, che attraversa tutta la storia europea e anima il secolo presente più di qualsiasi altro secolo passato»122.

In secondo luogo, perché rivelano che l’assimilazione del concetto di bonapartismo a quello di Realpolitik fece sì che la denuncia iniziale si trasformasse in un’ambigua giustifi cazione del coup d’état in quanto provvedimento straordinario per la difesa dell’ordine borghese. Infi ne, perché preannunciano le incertezze che il liberalismo tedesco avrebbe di lì a poco nutrito di fronte alla Cäsarengestalt bismarckiana.

Forse anche grazie alla sensibilità nei confronti della vita politica francese maturata nei lunghi anni dell’esilio parigino, Rochau fu tra i primi pubblicisti tedeschi a tentare un’analisi delle vicende che avevano segnato il tramonto della Seconda Repubblica. Nella convinzione che il 2 dicembre avesse impresso una svolta nella storia delle relazioni tra governati e governanti in virtù dell’inedito abbinamento tra repressione poliziesca e consenso popolare, egli tentò di coniugare la rifl essione sulle ragioni che avevano determinato l’insuccesso del biennio rivoluzionario con la rifl essione sulle ragioni che avevano reso possibile l’affermazione di Bonaparte. A partire da tali iniziali presupposti analitici le sue considerazioni sul regime francese furono destinate a divenire un segmento deci-sivo della polemica contro la tradizione dottrinaria del Vormärz.

122 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 55.

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Nel corso degli anni Cinquanta, Rochau ebbe modo di occu-parsi della Francia bonapartista in diverse occasioni: in Vier Wochen französicher Geschichte (1852), dando voce, nello stile tipico dei Berichte giornalistici dell’epoca, a una dura denuncia nei confronti della violenza del coup d’état; nei Grundsätze der Realpolitik (1853), tentando di trarre da quell’esperienza alcuni criteri fondamentali alla luce dei quali riformulare la strategia del movimento nazionale tedesco123; nella Geschichte Frankreichs (1858), svolgendo un’analisi politica di più ampio respiro, nel corso della quale la storia della borghesia francese fu presentata come modello simultaneamente positivo – in virtù della «forza politica» che essa era stata in grado di esprimere – e negativo – in virtù del radicalismo rivoluzionario di cui nel 1789 e nel 1848 si era fatta portavoce124.

Sebbene perlopiù trascurato dagli studiosi, il testo del 1852, pubblicato anonimo e costato oltre due mesi di galera al fi lo-sofo Karl Biedermann, accusato di esserne l’autore125, riveste un’importanza signifi cativa, perché coincide con il punto di avvio di un processo di maturazione degli orizzonti politici di Rochau, destinato a protrarsi per almeno un decennio. Nello specifi co, basandosi su fonti francesi, tedesche, inglesi e ripercorrendo giorno per giorno gli eventi successivi al 2 dicembre sino alle modifi che costituzionali del gennaio 1852, tra le pagine di questo testo, l’ex-Burschenschafter si propose di capire come fosse stato possibile ridurre in schiavitù la nazione protagonista della grande esperienza rivoluzionaria del 1789. Condividendo con Marx lo spunto inerente alla «forza del potere esecutivo resosi indipendente» e con Romieu lo spunto relativo al primato politico del fattore Macht126,

123 Ibidem [Erster Teil], cap. XX («Der Pariser Staatsreich vom 2. Dezember 1851 und seine Rückwirkung auf Deutschland»), pp. 179-187. 124 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, cap. V, pp. 265-313; cap. VI, pp. 314-330. Implicito in tale lettura era l’appello rivolto al Mittelstand tedesco affi nché, ispirandosi alla vivacità politica della borghesia francese, esso non ripetesse gli errori compiuti nel 1833 e nel biennio 1848-1849. 125 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 122.126 Se è improbabile che Rochau conoscesse il saggio di Marx, maggiori sono le possibilità che avesse letto quello di Romieu. A proposito dell’infl uenza

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Rochau non esitò a evidenziare la singolarità del 2 dicembre, che non fu affatto «una farsa», ma un capolavoro, realizzato con meticolosità e totale assenza di scrupoli127.

Anziché frutto dell’improvvisazione, il coup bonapartistico era stato l’esito inevitabile di un percorso intrapreso tre anni prima, quando le elezioni presidenziali del 10 dicembre 1848 avevano fornito una chiara indicazione dei desideri del popolo francese128. Sin dai primi mesi del 1850, Bonaparte aveva infatti cominciato, grazie all’agitazione propagandistica messa in atto dalla «Società del 10 dicembre», a occupare i luoghi strategici dello Stato, in modo tale da riuscire a disporre, alla vigilia del coup, di una macchina effi ciente in grado di eliminare le maggiori forze antagonistiche in campo e di imporre il proprio potere sulla società francese129.

Quando infi ne scattò l’ora dell’«operazione Rubicone», nel giorno dell’anniversario della vittoria di Austerlitz (1805), l’azione fu così tempestiva che sia la popolazione, sia l’As-semblea nazionale rimasero inermi: rispetto al numero esiguo di coloro che tentarono di resistere, la «grande massa» restò «muta e inebetita». Connessa con la tempestività dell’azione e con lo spregiudicato ricorso alla più «brutale violenza», la capillare occupazione dei punti nevralgici della capitale per-mise, «nel giro di poche ore», di trasformare la costituzione repubblicana nel puro «dominio della spada»: fu così che, oltre ai caduti nei boulevards di Parigi e nelle province, in seguito

del testo di Romieu, una nota a margine dell’opera Die Zeit Constantins des Grossen (1853) per mano di Jacob Burckhardt suggerisce l’eventualità dell’esistenza in Germania, nei primi anni Cinquanta, di una discussione tra specialisti; A. MOMIGLIANO, Contributi ad un dizionario storico. Si tenga presente che il testo di Romieu entrò a far parte della biblioteca di Burckhardt già nell’aprile 1851; W. KAEGI, Jacob Burckhardt e gli inizi del cesarismo moderno, pp. 160-161 e M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 103 (lettera a Julius Klee, 15 dicembre 1851).127 A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 7 e 68. 128 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, p. 313. 129 Ibidem, p. 221 e pp. 314-315, dove, a proposito della «Società del 10 dicembre», affermò che i suoi aderenti erano stati reclutati, a fronte di ingenti somme di denaro, tra le classi infi me del popolo.

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alle misure terroristiche adottate per mettere a tacere ogni forma di opposizione, migliaia furono gli arrestati, i deportati e i condannati a morte130.

Per ultimare la propria «aggressione» nei confronti della Francia, Bonaparte tentò, in occasione prima del decreto di scioglimento dell’Assemblea, poi di due successivi appelli rivolti al popolo e all’esercito, di legittimare il proprio potere, dichiarando di voler garantire la sicurezza, promuovere il benessere e governare il paese al di sopra degli interessi di parte. Secondo Rochau, invocando la totalità della popolazione a giudice supremo della contesa con l’Assemblea, egli riuscì a raggiungere due diversi obiettivi: cancellare, almeno in parte, l’onta del colpo di mano e farsi affi dare il compito di delineare il nuovo profi lo costituzionale del paese131. In linea con quanto affermato sin dal 1839, Bonaparte propose quindi una forma di Stato, in cui i principi del 1789 convivevano con quelli del 1804. Anche in questo caso, la sua azione fu rapida e decisa: la nuova costituzione, che, sull’esempio di quella dell’anno VIII della Rivoluzione, prevedeva l’unione del potere esecutivo e militare nelle mani del Capo dello Stato, fu varata meno di tre settimane dopo132.

Il 25 febbraio 1852, in occasione delle elezioni del Corpo legislativo, fu inaugurato, grazie alla forza sanzionante del plebiscito, un tipo nuovo di potere autoritario, che derivava la

130 G. GEYWITZ, Das Plebiszit von 1851 in Frankreich, pp. 10-58, e A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 11-21, pp. 65-67 e 75-88. 131 Per il signifi cato del plebiscito del 21 dicembre 1851, cfr. G. GEYWITZ, Das Plebiszit von 1851, pp. 248-269. Per Rochau, il plebiscito fu una «vana mascherata», perché era contro la stessa «natura delle cose» che colui, che aveva raggiunto il proprio scopo mediante la forza, ritornasse sui propri passi sulla base di un voto elettorale: «Colui, che con la forza delle armi si rende unico detentore del potere e poi, a cose fatte, chiede il consenso del popolo, aggiunge al danno anche la beffa»; in A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 29 e 136-146 e, dello stesso autore, Geschichte Frankreichs, II, p. 325.132 La defi nitiva conquista dello Stato fu tuttavia compiuta solo verso la seconda metà di febbraio, quando fu estesa la centralizzazione e limitata la libertà di espressione; ibidem, p. 328.

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propria legittimità da una duplice base militare e popolare, che univa gli strumenti di repressione a quelli della manipolazione e che, infi ne, mentre concedeva un attivo sostegno alla grande impresa e alle manovre di speculazione fi nanziaria, tentava di ingraziarsi le masse con limitate concessioni. Anche sotto quest’ultimo aspetto, avendo compreso che per spezzare il ciclo di rivoluzione e reazione era necessario soddisfare le esigenze minime della massa senza toccare tuttavia le basi materiali su cui poggiava l’ordine, Bonaparte si era rivelato un autocrate diverso dai sovrani assoluti del XVIII secolo, che avevano preteso l’obbedienza solo sulla base della fedeltà assoluta133.

Il giudizio conclusivo espresso da Rochau nel 1852 fu dunque inequivocabile: in seguito a un «atto vergognoso», Bonaparte aveva instaurato un «assolutismo» vestito a nuovo, che aveva riportato il «buio della notte» sulla Francia. Rendendosi responsabile dell’arresto di persone nei riguardi delle quali non pesava alcuna denuncia, Bonaparte aveva infatti violato il diritto pubblico e privato sanzionato dalla legge fondamentale dello Stato e quindi riassunto in sé la «totale pienezza di un potere arbitrario» non solo sulle istituzioni, ma anche «sulla vita, sulla libertà e sulla proprietà» dei Francesi134. In tal senso, la novità principale del nuovo regime risiedeva nell’aver superato in efferatezza ogni esempio del passato e nell’aver prodotto una situazione nella quale perfi no le ricorrenti violazioni delle più elementari norme del diritto perpetrate nella Roma dei Papi parevano misfatti di secondaria rilevanza.

A distanza di un anno Rochau assunse tuttavia una posizione sensibilmente diversa. Sebbene anche nel XX capitolo dei Grundsätze der Realpolitik restasse immutato il giudizio sul carattere illegittimo del 2 dicembre, la valutazione degli eventi

133 Le analisi di Rochau e di Marx sui primi provvedimenti economici del governo sono convergenti: «Questo suo compito pieno di contraddizioni spiega le contraddizioni del suo governo, il suo confuso andare avanti a tastoni … Bonaparte vorrebbe apparire come il patriarcale benefattore di tutte le classi. Ma non può dare nulla all’una di esse senza prenderlo all’altra»; K. MARX, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, pp. 153-155. Più in generale, cfr. pure D. KULSTEIN, Napoleon III and the Working Class.134 A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 60-64.

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si fece più cauta, fi no a condensarsi in un misto di ammira-zione e di biasimo. In particolare fu la questione morale a perdere centralità. Le attenzioni di Rochau si spostarono su altre problematiche, sicché la natura stessa delle sue analisi cambiò prospettiva: come al posto della denuncia morale seguì l’assunzione di un punto di vista neutro, così alla ricostruzione giornalistica subentrò l’analisi di natura strettamente politica.

Rielaborando verosimilmente la rifl essione di Auguste Romieu sulla nuova «età dei Cesari»135, così come quella comtiana su «dittatura rivoluzionaria», tesa a modifi care le istituzioni esistenti, e «dittatura militare», mirante a riportare l’ordine, Rochau divise la stagione rivoluzionaria in due fasi distinte: quella dei tentativi falliti e quella dei piani realizzati. In tal modo, avendo posto termine a una prolungata situazione di incertezza, Bonaparte fu presentato non più come eroe nega-tivo, sul modello del celebre pamphlet polemico di Hugo, ma come l’uomo che, aldilà del bene e del male, conosceva la tecnica per riuscire.

Ogni speculazione etica perse di senso e il giudizio politico fu sganciato dalla denuncia morale nei confronti della violenza con

135 Inaugurando la pluridecennale rifl essione sulla cosiddetta «età dei Cesari», tra le pagine di L’ère des Césars (1850) e di Le spectre rouge (1851), Romieu aveva formulato un’analisi disincantata sul rapporto tra potere e diritto. Sensibile alla pregiudiziale antimoderna di Donoso Cortés e Joseph de Maistre e ossessionato dalla prospettiva catastrofi ca di una condizione permanente di guerra civile, egli aveva attribuito al 1848 una duplice responsabilità: quella di aver determinato il defi nitivo tramonto del principio di legittimità; quella di aver decretato la fi ne delle illusioni della borghesia di potersi opporre alla massa dall’altro. In tale prospettiva, egli aveva pertanto profetizzato che tra quella segnata dal collasso della monarchia legittima e quella caratterizzata dall’instaurazione di un nuovo ordine, vi sarebbe stata una fase di disordine, destinata a imporre una forma di dominio politico fondato sulla forza: «La società può scegliere solo tra due forze opposte, tra quella di coloro che vogliono portarla alla rovina e quella di coloro che possono salvarla … Ora che lo spirito umano è alla disperata ricerca della propria salvezza, non resta che il principio della forza … La spada si è cimentata contro l’idea e si è rivelata vincente, come è naturale che si verifi chi quando le lotte diventano aspre. Ma questo risultato non è affatto barbaro, perché la forza è anch’essa un’idea, per non dire, la più nobile»; A. ROMIEU, Der Cäsarismus, pp. 2-4, 14, 78 e 82.

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cui era stato compiuto il colpo di mano: se nel 1852 l’azione che aveva permesso a Bonaparte di proclamarsi «signore della Francia» era stata giudicata un atto di brutale «terrorismo», un vero «misfatto politico», nel 1853, essa divenne l’occasione per una duplice rifl essione sulla centralità assunta dalla massa nella politica moderna da un lato, sul rapporto tra potere e diritto dall’altro136. Secondo tale prospettiva, anziché prodotto di un tracollo morale, il bonapartismo fu letto alla luce del tramonto delle tradizionali giustifi cazioni del potere e della progressiva affermazione delle retoriche della sovranità popolare e, in tal senso, esso divenne il prodotto autentico, per quanto ambiguo, dell’avvento di una società di individui formalmente sovrani e politicamente uguali137.

Rispetto a quanto era emerso nel testo del 1852, dove, tra i fattori che avevano giocato a vantaggio di Bonaparte, erano stati segnalati il mancato «carattere di massa» della resistenza repubblicana e il favore del clero, dell’esercito e della grande fi nanza, nei Grundsätze der Realpolitik, Rochau sottolineò invece l’importanza rivestita dal sostegno attivo del Mittelstand e da quello passivo della massa138. In questo nuovo contesto analitico, la stessa raffi gurazione di Bonaparte mutò in maniera sensibile: colui, che, nel settembre 1848, aveva deluso per il suo «aspetto insignifi cante, che non recava alcuna traccia né dell’avventuriero, né del pretendente», era riuscito, grazie alla propria «personalità politicamente neutrale», a riunifi care la volontà politica dei Francesi e a conquistarne il consenso:

136 A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 68-73.137 Si noti la coincidenza con le analisi di Treitschke, secondo il quale «Il nuovo sistema bonapartistico non era né un dispotismo illuminato sullo stile del secolo XVIII, né un semplice ripristinamento dell’impero militare napoleonico, ma una forma statale per sé stante, affatto moderna: una tiran-nide personale, eletta dalle moltitudini e governante a pro di cotesto quarto stato pervenuto alla coscienza di sé»; in H. VON TREITSCHKE, La Francia dal Primo Impero al 1871, II, p. 91.138 A.L. VON ROCHAU, Vier Wochen, pp. 107-108 e, dello stesso autore, Geschichte Frankreichs, II, p. 323.

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«non una volta sola, bensì in tre diverse occasioni, per mezzo del plebiscito del 20 dicembre, per mezzo delle votazioni per i cosiddetti corpi legislativi e, infi ne, per mezzo di quella per conseguire la dignità imperiale»139.

Dalla congiunzione tra la propria straordinaria capacità di manipolazione delle paure della massa e la forza che gli pro-veniva dall’ambizione, dalla «fi ducia fatalistica in se stesso» e dall’«idea fi ssa» di essere predestinato a governare la Francia, Bonaparte aveva tratto il più potente strumento del proprio successo politico:

«Un uomo con doti spirituali estremamente modeste, ma con un nome alti-sonante e completamente libero da pregiudizi sulle questioni dell’onore, della moralità e del diritto poté innalzarsi da un’infelice condizione tipicamente borghese sino al vertice del potere; mediante la fi ducia cieca in se stesso e il disprezzo verso gli altri egli poté domare la storia»140.

Rispetto a quello caustico di Marx, secondo cui la fede nutrita da Bonaparte nella propria stella suppliva alla sua mancanza di genio141, il giudizio di Rochau non fu totalmente negativo: Bonaparte aveva infatti mostrato di essere un uomo risoluto, capace di portare a termine le azioni intraprese, calcolandone adeguatamente i rischi. Analogamente, anche il suo programma politico era stato, non già il frutto dell’improvvisazione di un dilettante, ma il risultato di un’attenta meditazione sulle reali esigenze nutrite dalla popolazione francese142. Suggerendo un

139 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 180.140 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, p. 313, e Vier Wochen, pp. 72-73, inoltre L. BONAPARTE, Delle idee napoleoniche, p. V. 141 K. MARX, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, p. 11.142 Anche per Treitschke, Bonaparte, al di sotto di un «riserbo tranquillo», nascondeva «una perseveranza ferrea», «una credenza fatalistica nella pro-pria stella» e un’«opinione cinica» dei suoi simili: «Fin dal principio egli è stato un uomo unilateralmente moderno». Pensando in modo «cinicamente basso», egli era stato capace di scorgere i lati più oscuri della mentalità francese: «Le più stupide insensatezze della leggenda napoleonica furono fedelmente rimesse in voga, perché questo cinico sapeva che qualunque bugia ostinatamente ripetuta fi nisce con l’essere creduta dalle moltitudini irrifl essive»; H. VON TREITSCHKE, La Francia dal Primo Impero al 1871, I, pp. 233 e 242-243.

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nuovo modo di concepire la politica, basato essenzialmente sul rapporto privilegiato con le masse, Bonaparte aveva rivelato di possedere alcune doti fondamentali, tra cui una spiccata capacità di «analisi chiara» dei «fatti concreti» e una marcata propensione all’azione decisa, ma anche una notevole predi-sposizione a entrare in sintonia con le aspettative delle masse popolari, a comprendere il carattere pre-razionale della loro mentalità e quindi a presentare le proprie convinzioni in veste di opinioni generali.

Per quanto poi riguarda il rapporto tra potere e diritto, l’ope-razione compiuta da Bonaparte fu giudicata come «uno dei più grandi insegnamenti offerti dalla storia», perché mai era stata dimostrata in maniera così lampante la fallacia di ogni progetto politico mirante a imporre il «diritto pubblico» sulla «forza pubblica», il «diritto disarmato» sul «potere armato». In altre parole, come per Marx il coup d’état aveva sanzionato la vittoria «del potere esecutivo su quello legislativo, della forza senza frase sulla forza della frase», così per Rochau, «la politica dei fatti» (Politik der Tatsachen) aveva rivelato di essere la sola in grado di distruggere le vecchie istituzioni e di crearne di nuove. Di contro a tale verità, alla «politica costituzionale» (konstituierende Verfassungspolitik) non restava altro che «riconoscere le nuove istituzioni» e provvedere alla loro legittimazione formale tramite il «diritto costituzionale»143.

A partire da queste prime acquisizioni teoriche – la constata-zione dell’incipiente massifi cazione della politica e la necessità di una riformulazione del rapporto tra potere e diritto – la nuova lettura degli eventi del 1851 proposta da Rochau, ponendosi esplicitamente nel segno della polemica verso il dogmatismo democratico, tese implicitamente a giustifi care il colpo di Stato in virtù della situazione di emergenza in cui si trovava la Francia di allora.

Analogamente a quanto aveva sostenuto Walter Bagehot, secondo cui, le ragioni che avevano consentito il successo del colpo di Stato dovevano essere ricercate nella mentalità

143 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 180.

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pubblica precedente al coup d’état144, Rochau osservò che i repubblicani francesi, oltre ad aver creato le premesse per lo scontro tra le istituzioni dello Stato, avevano commesso altri due gravi errori: pensando di poter fare a meno della «pro-prietà» e dell’«intelligenza», avevano espressamente agito contro gli interessi della borghesia; mancando di senso reale, si erano rivelati quanto mai distanti dalla volontà del popolo francese.

La gran parte di quest’ultimo, infatti, aveva visto con crescente preoccupazione l’avvicinarsi del maggio 1852, cioè di quel momento in cui, una volta decaduti i poteri del Presidente e quelli dell’Assemblea, i nemici della quiete sociale avrebbero scatenato una nuova rivoluzione. In tale contesto, quanto più l’Assemblea si era ostinatamente opposta all’ipotesi di revisione della norma che vietava la rielezione del Presidente in carica, tanto più quest’ultimo, grazie al controllo sull’esercito e al proprio consenso popolare, era stato spinto verso la violazione della legalità costituzionale. D’altro canto, in considerazione dell’eredità centralista della Francia moderna – sottolineava Rochau in analogia con le tesi di Tocqueville – qualsiasi assetto costituzionale che negasse l’ereditarietà del potere esecutivo era destinato a essere violato, perché ciò equivaleva a vietare di «raccogliere un frutto maturo», che, se non da un Cavai-gnac, sarebbe stato, prima o poi, colto «da almeno altri due Bonaparte»145.

Assimilando tanto il 2 dicembre 1851 quanto il bonapartismo alla nozione di Realpolitik, Rochau ritenne che l’azione di

144 W. BAGEHOT, Napoleone III. Lettere sul colpo di Stato del due dicembre, e M. VALENTI, Walter Bagehot e il governo delle passioni, in particolare pp. 27-46.145 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 181-182, e H. VON TREITSCHKE, La Francia dal Primo Impero al 1871, II, pp. 30-31: «Da una parte si attribuiva al Presidente un’incalcolabile potenza morale, dall’altra il suo potere era sospettosamente circondato da limiti legali, che per un uomo onesto erano superfl ui, per un uomo senza coscienza erano vani … Sicché la maggioranza viveva sotto una tale ossessione di idee monar-chiche, da pretendere anche dalla repubblica lo stesso regime parlamentare concepibile solo con la monarchia!».

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forza adottata da Bonaparte aveva rappresentato l’unica strada percorribile per la soluzione della crisi e, come tale, un atto esemplare non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista politico.

Il 2 dicembre era stato infatti l’esito inevitabile di un prolungato braccio di ferro tra due forze politico-istituzionali contrap-poste146. Ma, se il sopravvento di quello che era in realtà un «potere monarchico» sul «diritto democratico» rientrava nella logica delle cose, l’elemento inedito risiedeva nel fatto che la vittoria del potere esecutivo era stata trionfalmente sanzionata dal voto popolare: tra il Presidente, che concentrava in sé la pienezza del potere statale, e le aspettative della popolazione, che aveva vissuto la precarietà istituzionale come un pesante vincolo, si era insomma stabilita una connessione in grado di fare a meno della mediazione dei partiti147.

A parere di Rochau, dunque, «il secondo grande insegnamento che dobbiamo alla Francia» risiedeva nell’accertamento della potenziale contraddizione tra espressione del consenso e demo-crazia, tra opinione pubblica e politica. In questo senso, «sulla bilancia della Realpolitik, l’evento del 2 dicembre 1851 pesava dieci volte di più dell’evento del 24 febbraio 1848»148, perché aveva dimostrato che la «politica della grande moltitudine», essendo di per se stessa di «natura vulcanica», era in grado

146 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, pp. 265 ss.; H. VON TREITSCHKE, La Francia dal Primo Impero al 1871, II, p. 66 dove egli af-fermò: «la lotta tra il potere esecutivo e quello legislativo deve infallibilmente portare alla vittoria dell’esecutivo, soprattutto quando il capo dell’esecu-tivo può contare sulla validità del proprio volere e sull’indifferenza delle popolazioni». 147 Nel 1858, sottolineando l’atteggiamento di Schadenfreude che accompagnò gli eventi successivi al colpo di mano, Rochau affermò che la borghesia fran-cese era sempre stata a favore della revisione costituzionale, perché riteneva che la difesa dell’ordine poteva essere assicurata solo dal Presidente: «la massa della popolazione parigina e l’intera nazione francese erano stanche delle lotte politiche e non desideravano altro che tranquillità, sicchè nessun prezzo parve loro troppo alto»; A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, pp. 308-309 e 321.148 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 207.

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di rovesciare il più terribile dispotismo, ma non di fondare su basi solide la libertà politica149.

A differenza di Dahlmann, il quale, postulando la perfetta coincidenza tra öffentliche Meinung e spirito della nazione, aveva ritenuto che la degenerazione del ceto medio in «plebe» (Pöbel) potesse avvenire solo in forza di una deviazione rispetto alla Bewegung della öffentliche Meinung, Rochau ebbe una percezione maggiore dei problemi concreti che l’opinione pubblica aveva cominciato a porre sul terreno della politica: in particolare, rispetto all’impostazione ideologica di Dahlmann, egli riscontrò che la stessa opinione pubblica poteva trasformarsi da sostegno positivo in strumento perverso di delegittimazione del sistema politico150.

In tal senso, nell’era dell’incipiente democratizzazione dei rapporti politici, il nesso tra istituzioni statali e processi di formazione del consenso non poteva più essere affrontato secondo lo schematismo anti-dialettico del liberalismo pre-quarantottesco, bensì nei termini di una relazione problematica, perché la «massa del popolo», «vittima di un auto-inganno», che ostinatamente continuava a dissimulare, aveva dimostrato di essere fondamentalmente «immatura dal punto di vista poli-tico» (politisch gesinnungslos)151. Ribaltando uno dei punti fermi della tradizione democratica, per Rochau, la massa, immatura politicamente e incapace di articolare in maniera autonoma un discorso coerente, era troppo distante dalle questioni politiche per riuscire a comprenderne i meccanismi. L’«idea dello Stato» poteva esserle rivelata solo nel momento in cui essa si fon-

149 Ibidem [Erster Teil], p. 183 e cfr. anche la descrizione dei tumulti del giugno 1848, che erano stati contraddistinti dalla «forza dirompente e selvaggia che guida e domina le masse», in A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, p. 227. 150 F.C. DAHLMANN, Die Politik, p. 201: «dove lo spirito della nazione prende vigore, solo lì è l’opinione pubblica, e allora questa diviene una forza inces-sante, più incisiva di tutte le istituzioni politiche». In relazione al concetto di öffentliche Meinung in Dahlmann, cfr. I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 180-182.151 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 228.

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deva con le grandi «questioni della nazione», ossia con quelle questioni che ognuno era in grado di afferrare intuitivamente:

«… si dica ai Francesi che mezza Europa ha impugnato le armi per conqui-stare loro un piccolo villaggio di confi ne e allora l’intero popolo si mobiliterà e non vi sarà più pace fi no a quando l’orgoglio nazionale non sarà stato vendicato».

Secondo questa prospettiva, nel XX capitolo dei Grundsätze der Realpolitik Rochau interpretò l’ascesa di Bonaparte a «sal-vatore della civiltà francese» anche come una potente riscoperta dell’identità anche nazionale: quest’ultimo, infatti, sintetizzando il proprio programma in tre obiettivi – riconoscere la sovranità popolare, servire la causa dell’Impero e vendicare Waterloo – era riuscito a entrare in sintonia con lo «spirito della nazione», la quale desiderava unicamente che il Presidente governasse, senza curarsi delle modalità di esercizio del potere: la libertà di stampa, la legalità costituzionale, l’iniziativa legislativa dell’Assemblea e «altre mille questioni decisive» erano «per la massa del tutto insignifi canti».

Riaffermando con forza la centralità del nesso tipicamente liberale tra le doti dell’educazione (Bildung), della proprietà (Besitz) e il godimento dei diritti politici, Rochau era convinto che tutte quelle teorie, che tentavano, in forza di un principio ideale o dell’azione di un partito, di proiettare sulla massa le «qualità spirituali» del ceto medio borghese, erano inesorabil-mente destinate a fallire: solo nel momento in cui fosse stata in grado di congiungersi con la classe dell’«intelligenza» e della «ricchezza», la massa avrebbe potuto dare vita a una realtà sociale in grado di governarsi autonomamente e di difendersi contro la minaccia delle diverse «forme di dispotismo religioso, profano, monarchico o demagogico». Alla massa, protagonista passiva ma non meno temibile della politica moderna, egli contrappose quindi il profi lo del Mittelstand, che costituiva non solo il «nucleo del popolo», ma anche l’unica forza sociale capace di perseguire obiettivi chiari, fondati sull’esperienza:

«Accanto al ceto medio di orientamento costituzionale vi è un socialismo che non sa cosa vuole, un repubblicanesimo che vuole ciò che non può, un

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legittimismo che vuole l’irragionevole e una stragrande maggioranza della popolazione che oggi vuole questo e domani quello o, con altre parole, non vuole nulla».

A suo parere, infatti, la borghesia era una componente «dina-mica», che non poteva essere racchiusa nello spazio ristretto di un «corpo privilegiato»:

«La nobiltà si fonda sulla nascita e sul titolo, il ceto medio sulla conoscenza e sulla proprietà; la nobiltà reclama privilegi in virtù di pregiudizi, il ceto medio non desidera altro che il riconoscimento del suo effettivo signifi cato sociale; la nobiltà è una casta chiusa; il ceto medio è una classe solo nomi-nalmente, non è un partito, bensì un semplice raggruppamento sociale di cui si fa parte senza volerlo, senza assumere specifi ci doveri e senza essere portatori di determinati interessi»152.

Alla luce di tale convinzione, secondo Rochau, non aveva senso discutere dell’eventualità che la massa potesse prima o poi sostituire politicamente il ceto medio come questo aveva fatto con la vecchia nobiltà153. A suo parere, infatti, tra questo «fatto storico» e quella «vaga profezia» non sussisteva alcuna relazione, perché il Mittelstand aveva «sottratto il testimone» dalle mani della nobiltà di antico regime non tanto in virtù della sua forza numerica, quanto in virtù di quella culturale ed economica. In altre parole, secondo Rochau, mentre la connessione tra Bildung e Besitz permetteva al Mittelstand di rivendicare un ruolo politico, il nesso stabile tra «mancanza di educazione», «grossolanità» e miseria non consentiva alla massa di avanzare alcuna pretesa politica.

In tale ottica, pur riaffermando il primato del Mittelstand, Rochau non intese condannare la massa a un inesorabile destino di emarginazione: al contrario, criticando i democratici

152 Ibidem [Erster Teil], pp. 182 e 184.153 Questa osservazione è, con ogni probabilità, rivolta a Tocqueville, che aveva affermato: «Ho mostrato come la democrazia favorisca lo sviluppo dell’industria e moltiplichi smisuratamente il numero di coloro che vi si dedicano; ora vedremo per quale inverso cammino l’industria possa a sua volta condurre gli uomini all’aristocrazia»; A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, cap. XX («Come l’aristocrazia può nascere dall’industria»), II parte, p. 573.

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del 1848 per aver artifi cialmente contrapposto il Mittelstand al proletariato, egli non escluse, in linea di principio, l’ipotesi di una riconciliazione politica e sociale, purché, come condizione indispensabile, le classi popolari intraprendessero, prima, un cammino di progressiva elevazione delle proprie condizioni materiali e culturali e contribuissero, poi, al «completamento» del Mittelstand, iniettandogli quelle qualità di cui era in difetto: lo spirito di sacrifi cio e il coraggio154.

Nell’ottica di quella ideologia post-rivoluzionaria di cui la Realpolitik era emblematica espressione, Rochau giunse a trarre tre conclusioni fondamentali.

La prima coincise con il superamento di quella immagine tradizionale della politica, che concepiva la società come spazio privo di contraddizioni, a favore di un’immagine più articolata, in cui l’ordine politico non era né il prodotto della tradizione, come credevano i conservatori, né il prodotto dei principi e delle norme costituzionali, come credevano i liberali e i democratici.

La seconda coincise con la totale stigmatizzazione del socia-lismo, il quale, oltre a essere un potente «alleato del conser-vatorismo», rappresentava una minaccia contro la proprietà privata e quindi contro l’intero ordine borghese, che doveva essere affrontata senza pietà:

«La politica nazionale tedesca non conosce peggior nemico del socialismo rivoluzionario – un nemico, che non vuole essere placato con le concessioni, ma affrontato in una lotta senza esclusione di colpi»155.

All’antisocialismo, alla difesa intransigente del diritto di pro-prietà e alla promozione di un politica economica liberista, ispirata agli insegnamenti di Bastiat, Rochau abbinò tuttavia

154 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 141-44. Nel timore che una sempre possibile agitazione socialista potesse avere ripercussioni conservatrici, anche nel 1869, Rochau tornò a caldeggiare l’ipotesi di un’alleanza tra liberalismo e classi lavoratrici, alla condizione che la «ferrea legge» dell’economia non fosse mai abbandonata; ibidem [Zweiter Teil], pp. 316 ss., in particolare pp. 320-321.155 Ibidem [Erster Teil], pp. 146 e 148.

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la ricerca di strumenti atti a migliorare le condizioni materiali delle classi popolari. È all’interno di questo contesto che egli si fece portavoce di un programma di «riforma sociale»156 sull’esempio delle proposte formulate da Schulze-Delitzsch, nell’ambito del quale all’azione dello Stato era affi dato il compito non di intervenire sulle dinamiche economiche, ma di eliminare tutti gli impedimenti che ostacolavano il libero dispiegarsi delle forze produttive157, facendo ben attenzione a non oltrepassare il limite invalicabile rappresentato dal diritto di proprietà, «un limite non defi nibile a parole, ma radicato nella realtà, come limite invalicabile per la politica, per la morale e per l’economia stessa»158. In tal senso, in antitesi all’immagine di uno Stato che si faceva ospizio per «deboli e invalidi» (Schwächlinge und Krüppel) o datore di lavoro, Rochau delineò quella di uno Stato che, affi dandosi appieno alle forze auto-regolanti del mercato, alla logica dell’accumula-zione capitalistica e alla sua inarrestabile dinamica di crescita, conteneva al massimo i propri bilanci di spesa e lasciava tutto il resto, secondo un celebre detto – «aiutati che Dio ti aiuta» – all’evoluzione organica, «lenta per natura»:

«‘Aiutati che Dio ti aiuta’, suona così uno dei più saggi proverbi popolari. Al contrario, chi non si aiuta da sé, non potrà essere aiutato né da Dio, né dallo Stato. ‘Aiutatevi da soli’ è il motto dello spirito imprenditoriale nordamericano …, la formula magica, che, aldilà dell’oceano, nel giro di due generazioni, ha prodotto una forza economica di primo rango e un benessere generalizzato come non si era mai visto fi nora in tutta la storia»159.

La terza conclusione coincise infi ne con la denuncia della necessità da parte della Germania di superare quanto prima

156 Ibidem, pp. 151-152. Si tenga presente che, per Rochau, il concetto di «riforma sociale», laddove presupponeva la tangibilità della proprietà pri-vata, era sinonimo di «socialismo». Diversamente, se per «riforma sociale» si intendeva «il compito economico dello Stato, che sta al di qua di quel confi ne, allora non c’è niente da obiettare a una tale denominazione».157 Ibidem, pp. 97-100. 158 Ibidem, pp. 146-147.159 Ibidem, p. 150. Sull’arogmento cfr. pure N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 75-78, e I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 223-224 e 228-230.

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«l’attuale debolezza» del proprio sistema statale. Di fronte alla minaccia di una Francia bonapartista che, per evitare la sovver-sione sociale e la restaurazione della monarchia legittima160, era proiettata verso il militarismo espansionista161, Rochau invocò la formazione di un potere capace sia di respingere lo spettro della rivoluzione, sia di fronteggiare ogni eventuale invasione:

«La causa principale dell’insicurezza delle condizioni tedesche risiede unicamente nella dispersione delle forze statali e nazionali della Germania. Con la riunifi cazione delle proprie forze, la Germania può respingere con successo qualsiasi minaccia rivoluzionaria o attacco proveniente dall’esterno. Lo scopo fondamentale della politica tedesca è dunque questo: unità»162.

Tale «scopo fondamentale» non poteva tuttavia essere rag-giunto con i metodi che erano stati sino ad allora seguiti dal movimento liberale. Sulla base dei «grandi insegnamenti politici» offerti dal 2 dicembre 1851, si trattava di trovare una «forza superiore» (überlegene Kraft) che si imponesse sulle altre con strumenti tipicamente realpolitisch:

«Né un principio, né un’idea o un trattato uniranno le disperse forze nazionali della Germania, ma solo una forza superiore in grado di divorare le altre»163.

160 Secondo Rochau, la pericolosità della situazione francese risiedeva nella sua provvisorietà: di fronte a una nuova rivoluzione, il popolo non avrebbe avuto nulla da perdere e, se ciò si fosse verifi cato, la conclusione sarebbe consistita in una restaurazione della monarchia orleanista. Minore, a suo avviso, erano la probabilità di un rilancio dell’opzione repubblicana, perché sia l’essenza statale, sia il carattere nazionale francese si muovevano nella direzione opposta: solo nel caso in cui il governo avesse concesso ampie autonomie alle comunità locali, il paese avrebbe potuto avviare un graduale processo di «repubblicanizzazione»; a proposito, cfr. anche A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, p. 32. 161 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], pp. 192-194 e 346.162 Ibidem [Erster Teil], p. 187. 163 Ibidem [Erster Teil], p. 191.

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Capitolo quarto

Gli anni della svolta:la scoperta della «legge del potere»(1852-1859)

Gli anni Cinquanta furono inaugurati dall’elaborazione di paradigmi concettuali, che, pur non presentando – come si è già avuto modo di osservare – elementi di novità, furono il prodotto diretto dei contraccolpi del biennio rivoluzionario su un’opinione pubblica che non si riconosceva più negli estremi del conservatorismo tradizionale e della democrazia radicale1.

A breve distanza dalla conclusione della stagione politica iniziata nel marzo del 1848 e dall’affermazione del regime bonaparti-sta, ampi settori della cultura liberale tedesca avevano infatti avviato un processo di aggiornamento delle proprie categorie concettuali, che trovò riscontro, nelle lettere private, negli scritti e nei discorsi di coloro che avevano preso parte ai lavori della Paulskirche, in un incalzante richiamo alla necessità di agire secondo il ‘principio di realtà’, mettendo da parte le «fantasie idealistiche» (idealistische Träumerei) che avevano condizionato a fondo la stagione politica appena conclusa2.

Già nei mesi estivi del 1848, per esempio, Rudolf Haym con-statò che, nel corso della lotta contro il radicalismo democratico e socialista, i liberali della sua generazione avevano imparato a rideclinare i propri ideali in rapporto alle circostanze con-

1 I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, p. 17.2 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Ralpolitik, p. 77, e M. STOLLEIS, Geschichte des öffentlichen Rechts, II, pp. 274-278.

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crete3. Il 22 gennaio del 1849, Friedrich C. Dahlmann aveva espressamente dichiarato che «la via della potenza» era la sola in grado di condurre alla libertà: «… giacché non è soltanto la libertà ciò verso cui il tedesco ambisce; in misura maggiore è la potenza, che sinora gli è mancata, ciò che egli brama»4. In Preußen und das System der Großmächte, dando espressione a un vistoso senso di disorientamento e di rassegnazione, Droysen aveva infi ne sostenuto che, nel corso del 1848-1849, gli interessi reali si erano dimostrati più forti dei principi e degli ideali5. Secondo tale prospettiva, il periodo compreso tra il 24 febbraio 1848 e il 2 dicembre 1851 era coinciso, a suo parere, con il momento culminante di una crisi generale e al contempo con l’inizio di una nuova epoca6.

Per quanto diverse tra loro, le testimonianze appena ricordate evidenziano il profi larsi di tre nodi cruciali – l’ormai defi nitiva scissione tra liberalismo e democrazia7, l’inedita centralità assunta dal binomio Macht e Einheit, la frattura tra prospet-tive ideali e opportunità pratiche –, che rivelano l’emergere di una sensibilità politicamente disincantata, dichiaratamente anti-idealistica, legata anzitutto alla constatazione che l’idea che aveva postulato l’imminente crisi delle forze della reazione era stata contraddetta nei fatti dalla vitalità con cui esse avevano guidato la controffensiva del 18498.

3 H. ROSENBERG (ed), Ausgewählter Briefwechsel Rudolf Hayms, pp. 51-55 (lettera a David Hansemann, 18 luglio 1848), p. 57 (lettera al padre, 28 agosto 1848). 4 F. WIGARD (ed), Stenographischer Bericht, VII, p. 4821.5 J.G. DROYSEN, Preußen und das System der Großmächte (1849), in particolare p. 222.6 J.G. DROYSEN, Istorica, p. 275; dello stesso autore si veda anche Brief-wechsel, II, p. 35 (lettera a Theodor von Schön, 29 dicembre 1851) e Zur Charakteristik der europäischen Krisis, pp. 328.7 U. BACKES, Liberalismus und Demokratie, pp. 55-79.8 U. FREVERT, Nation und militärische Gewalt. Dopo il 1848, pure un democratico come Julius Fröbel, avendo constatato che le forze della rea-zione non sarebbero state travolte dall’ineluttabilità del divenire storico, entrò in polemica con quanti ancora nutrivano la speranza nel successo di

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Nel periodo compreso tra 1849 e 1859, tra le fi la sia dei liberali moderati, sia dei liberali progressisti, tale disincanto si accompagnò inevitabilmente alla maturazione di un atteg-giamento di maggiore disponibilità al compromesso, che si tradusse innanzitutto, nella volontà di riprendere il cammino interrotto su basi rigorosamente legali; in secondo luogo, nell’idea secondo cui il perseguimento dell’unifi cazione nazio-nale poteva implicare «il ridimensionamento, in termini quanto meno pratici se non ideali», dell’obiettivo della liberalizzazione dei rapporti politici9; in terzo luogo, nella convinzione che la strada verso l’unità correva esclusivamente lungo il binario prussiano; infi ne, nel proposito di operare un ricompattamento dei diversi orientamenti liberali.

A tale riguardo, già nel 1849, pur esprimendo in termini ine-quivocabili la propria distanza dallo Altliberalismus, Rudolf von Bennigsen aveva preso atto della necessità di una colla-borazione strategica con gli esponenti più autorevoli della vecchia generazione liberale, basata sulla condivisione di alcuni presupposti minimi, tra cui la priorità assegnata al raggiungi-mento dell’unifi cazione nazionale:

«Io detesto questi uomini e nondimeno riconosco chiaramente che solo con il loro aiuto sarà possibile salvare la Germania. Solo quando la moralità, il talento e la cultura di una così gran parte di questi nomi celebri si unirà con il fervore e il coraggio degli uomini della generazione più giovane, sarà possibile una rapida salvaguardia (eine rasche Entscheidung und Wahrung) della nostra cultura»10.

una nuova rivoluzione; cfr. R. KOCH, Demokratie und Staat bei Julius Fröbel 1805-1893, p. 241.9 P. SCHIERA, Il laboratorio borghese, pp. 77-79, e C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 248.10 La frase di Rudolf von Bennigsen è riportata in F. MÖLLER, Vom revo-lutionären Idealismus zur Ralpolitik, p. 81. A proposito del frazionamento dello schieramento liberale-democratico, è possibile distinguere cinque rag-gruppamenti fondamentali: gli Altliberalen, caratterizzati per l’ostilità verso il parlamentarismo e il suffragio universale; i gemäßigten (Rechts-) Liberalen, sostenitori della monarchia costituzionale e favorevoli alla collaborazione strategica con i democratici; i Linksliberalen, sostenitori del suffragio uni-versale così come della parlamentarizzazione del sistema politico tedesco; i gemäßigten Demokraten, sostenitori dell’ideale repubblicano e fautori del

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L’emergere di questo complesso e talora contraddittorio insieme di motivi politici e culturali presuppose non solo lo sviluppo di tendenze meramente opportunistiche in seno a un liberalismo rassegnato, disilluso e sempre più orientato verso un approdo machtpolitisch11, ma anche il rilancio, in termini aggiornati, della questione nazionale. Quelli compresi tra la ‘beffa di Ölmutz’ e l’avvio della neue Ära in Prussia, furono infatti anni decisivi, durante i quali la rifl essione liberale dovette misurarsi con avvenimenti di notevole rilevanza.

Sul piano pubblicistico, la stagione del rilancio del movimento liberale e nazionale aveva tratto – come si è visto – un primo decisivo impulso a ridosso del dicembre 1851. Sull’onda delle discussioni suscitate da quel primo evento e dalla divulgazione, all’epoca della Guerra di Crimea, della nozione di Realpolitik12, essa ricevette un secondo impulso sul fi nire degli anni Cin-quanta, quando, in Prussia fu avviata la neue Ära e, in Francia e in Piemonte fu simultaneamente impostato il primo concreto progetto di revisione degli equilibri europei13: all’interno di questo panorama, lo stesso fenomeno bellico cominciò a essere interpretato secondo una prospettiva sensibilmente diversa:

«C’è solo un titolo per il potere, la forza, e per questo titolo solo una prova, la guerra. I destini della guerra sono le sentenze che decidono i processi dei popoli, e queste sentenze, quando attraversano tutte le istanze, sono sempre giuste»14.

suffragio universale diretto; i revolutionäre Demokraten, sostenitori della strategia rivoluzionaria dal basso; A. BIEFANG, Politisches Bürgertum, pp. 47-48.11 Si faccia riferimento al concetto di Strömung vom Idealismus zum Rea-lismus, come rifl esso dei processi di Resignation im Politischen e bewusste Hingabe an die materiellen Interessen, in W. BUSSMANN, Zur Geschichte des deutschen Liberalismus im 19. Jahrhundert, in particolare p. 93.12 S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, pp. 420-421; C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 270-282 e pure E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III: Bismarck und das Reich, 1970, pp. 228-233.13 H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, pp. 364-368, ed E. PORTNER, Die Einigung Italiens, pp. 31-45 e 77-90. 14 C. RÖSSLER, System der Staatslehre, p. 547, e ancora C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 288-316.

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Nello stesso arco di tempo, altri due eventi particolarmente signifi cativi testimoniano la priorità del tema dell’unità e la volontà del movimento nazionale di riprendere parte alla modernizzazione politica della Germania, attraverso un deciso aggiornamento delle modalità tradizionali di formazione dell’opinione pubblica e di organizzazione della militanza politica: il primo è rappresentato dalla fondazione, nel 1857, dei «Preußische Jahrbücher», il secondo dalla costituzione, a soli due anni di distanza, del Deutscher Nationalverein.

In particolare nell’appello del 1857 per la fondazione dei «Preu-ßische Jahrbücher», entrando in polemica con il dottrinarismo del Vormärz e formulando in maniera precisa le ragioni e gli obiettivi della nuova alleanza tra scienza e politica, Rudolf Haym aveva offerto una solida base al di sopra della quale l’impegno storiografi co poté trasformarsi in impegno politico a favore della causa kleindeutsch e le diverse sensibilità del liberalismo postquarantottesco, quella storicistica e quella positivistica, poterono riconciliarsi: principale preoccupazione della «scienza tedesca» (deutsche Wissenschaft) era quella di «associare i propri interessi vitali al ritmo dei tempi», di «legarsi alla vita della nazione» e infi ne di «andare incontro alle sue necessità»15.

L’«orientamento prevalentemente storico» e il «senso della realtà» rendevano, secondo Haym, la «scienza tedesca» la «naturale alleata» di coloro che aspiravano a uno «sviluppo razionale e morale delle nostre condizioni reali»: un compito, quest’ultimo, che appariva tanto più praticabile quanto più «i partiti politici» sembravano aver cominciato a ricomporre i loro «contrasti» e a «cooperare insieme al fi ne del progresso e del benessere nazionale»16.

15 Aufruf zur Begründung der Preußischen Jahrbücher e Rundschreiben des Herausgebers and die Mitarbieter der Preußischen Jahrbücher, in O. WEST-PHAL, Welt- und Staatsauffassung des deutschen Liberalismus, pp. 307-312, e I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, pp. 387-419.16 Il riferimento di Haym alla ricomposizione dei contrasti tra i diversi partiti anticipava in qualche modo il contenuto di un rapporto segreto del 5 marzo di due anni dopo, nel quale il Ministro degli Interni prussiano Heinrich E.

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Nel corso degli anni Cinquanta, la maturazione di questa concezione della scienza rappresentò un fattore decisivo per l’attestarsi del liberalismo sul piano del realismo: in altri ter-mini, come ha messo in luce Pierangelo Schiera, l’«epoca del realismo» si confi gurò come trionfo della «scienza tedesca», cui fu affi data, sul piano pratico e teorico, la soluzione della questione nazionale17. E in effetti, basandosi sulla polemica nei confronti del Vormärz e sul richiamo ideologico al pri-mato dei «fatti», il nesso instauratosi tra Realismus e deutsche Wissenschaft fu fatto proprio da tutte quelle forze liberali che desideravano marcare la propria distanza rispetto ai liberali di Gotha, i cosiddetti «Matten Gothaern» del 184918 e, al contempo, tracciare una distinzione netta tra obiettivi precisi (klare Erkenntnisse) e pii desideri (fromme Wünsche): nel caso dei moderati si trattò, in nome della storia19, di negare la funzione normativa della speculazione astratta; nel caso dei progressisti si trattò invece, in nome della natura, di sollecitare, in quanti intendevano occuparsi di politica, la maturazione dell’attitudine tipica dell’entomologo dinnanzi all’oggetto del

von Flottwell avrebbe sommariamente delineato la composizione del bacino di consenso a favore della svolta intrapresa nell’ottobre del 1858. Tra gli estremi del conservatorismo feudale e del radicalismo democratico, il mini-stro collocò infatti un vasto schieramento, genericamente defi nito «liberale», caratterizzato da sentimenti costituzionali, moderati e anti-democratici; in I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, pp. 241-242 e 244. 17 A.L. VON ROCHAU, Die Schule und das Leben, pp. 601-603 e, più in gene-rale, P. SCHIERA, Il laboratorio borghese, pp. 45-76, e I. CERVELLI, Realismo politico, p. 123.18 Gli stessi Altliberalen furono consapevoli del mutamento generazionale in corso nei primi anni Cinquanta. Secondo Philipp Wernher, infatti «Noi … siamo uomini vecchi, che hanno avuto il proprio tempo e ai quali ora questo tempo è alle spalle»; la frase, risalente all’agosto 1859, è citata in F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Ralpolitik, p. 84. Cfr. poi la lettera di Karl Twesten a Gustav Lipke, 24 settembre 1861 e quella di Max Duncker a Heinrich von Sybel, febbraio 1862, citate in J. HEYDERHOFF - P. WENTZCKE, Deutscher Liberalismus, I, pp. 69 e 76. Per la polemica nei confronti del Vormärz, cfr. H. VON TREITSCHKE, Deutsche Geschichte, II: Bis zu den Karlsbader Beschlüssen, pp. 376-436. 19 F.C. DAHLMANN, Die Politik, p. 129, laddove emblematicamente affermò «Fragen wir die Geschichte». Più in generale si veda anche F. WALTER, Die Eigenart der historischen Politik bei Dahlmann und Treitschke.

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proprio studio. In tal senso, il paradigma realistico dei liberali moderati, ponendosi in linea di continuità con la tradizione dello Altliberalismus, si basò perlopiù sulla rivalutazione dell’impostazione storicistica della politica e del diritto, nonché sulla polemica verso l’hegelismo e il giusnaturalismo. Invece il paradigma realistico dei liberali progressisti si fondò su presupposti materialistici e naturalistici, in sintonia con il delinearsi della realtà culturale degli anni Cinquanta, segnata dal pieno manifestarsi della mentalità scientista indotta dallo sviluppo economico e tecnologico20.

A proposito della progressiva acquisizione del concetto di Real-politik da parte del liberalismo tedesco degli anni Cinquanta, nel 1987, Pierangelo Schiera ha svolto alcune rifl essioni di grande valore, che qui meritano di essere riportate quasi per intero:

«A me pare che non si possa evitare di attribuire a questa ‘politica di conciliazione’ che caratterizza l’età precedente la fondazione dell’Impero, rilievo autonomo, cercando di indicarne i tratti specifi ci ed esclusivi, nella speranza di potere in tal modo anche trovare elementi qualifi canti di questa fase del liberalismo tedesco, onde sottrarlo al troppo facile giudizio del suo fallimento o meno, in base alla misura della ‘delusione’ quarantottesca. Mia opinione è che quei tratti possano essere ricercati, anche e soprattutto, nella particolare combinazione di pratica politica e abito mentale che siamo soliti chiamare, senza eccessiva preoccupazione intorno al suo signifi cato, Real-politik. In quest’ultima rientra certo, come componente importante anche l’appena ricordata Enttäuschung, ma non è quella principale. Che invece consiste in un’opzione di fondo, realistica, per la politica, cioè per un’azione collettiva produttiva di effetti calcolati, con maggiore interesse per la qualità di questi ultimi che per il modo o le formule costituzionali con cui essi vengono raggiunti. Se la Realpolitik, intesa in questo modo positivo, può ambire a presentarsi non come atto di rinuncia o, ancor peggio, come atto di subordinazione, ma come strategia basata sul calcolo, diventa interessante cercare di misurarne i fondamenti teorici, ma ancor più gli intrecci inevitabili con quel fenomeno comunque in crescita della Scienza Tedesca»21.

Queste osservazioni offrono, a mio parere, la possibilità di interpretare la Realpolitik di Rochau non già nel segno di quel liberalismo disilluso, disponibile al compromesso con il vecchio

20 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 234-252, 255-259 e 262, e H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, pp. 350-362.21 P. SCHIERA, Il laboratorio borghese, pp. 50-51.

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ordine fondato sulle gerarchie fi sse e immutabili, ma nel segno di quel liberalismo, che tentò la formulazione di una strategia precisa, «basata sul calcolo» – la Realpolitik, secondo Rochau, consisteva nel «misurare, pesare e contare i fatti che intendono essere elaborati politicamente» – e sull’analisi delle leggi generali della vita dello Stato (allgemeine Gesetze des Staatslebens)22.

Ciò vale a dire che, in maniera ben più accentuata rispetto allo Altliberalismus o al liberalismo moderato postquarantot-tesco, alla base della Realpolitik vi era una marcata fi ducia nelle possibilità di rilancio politico del Mittelstand, fondata su due sillogismi: il primo stabiliva un nesso proporzionale tra forza economica e forza politica, in virtù del quale, prima o poi, al Mittelstand sarebbe inevitabilmente spettata la piena responsabilità negli affari di Stato; il secondo stabiliva l’equa-zione tra primato politico del Mittelstand e garanzia della libertà contro le minacce del dispotismo monarchico, clericale e democratico. A partire da tali presupposti fondamentali, che mettevano profondamente in crisi la rivendicazione del monopolio politico da parte della monarchia, dell’esercito e della burocrazia e al contempo assegnavano alla borghesia il compito non già di prendere parte ai processi decisionali, ma, in forza delle condizioni imposte dalle circostanze (gegebene Zustände), di farsi essa stessa detentrice del potere politico, Rochau intraprese un drastico riaggiornamento dei paradigmi liberali, che coinvolse non soltanto concetti quali quello di opinione pubblica e di rappresentanza, ma, più in generale, anche il nesso tra potere e libertà, tra potere e diritto, tra potere e autorità, tra idee e realtà23.

Sebbene non intendesse escludere tout court il momento ideale della politica, Rochau osservò anzitutto che, in un’epoca in

22 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik, p. 207 (Vorwort zum zweiten Teil, 1869) e si ricordi anche quanto avrebbe affermato nel 1859 Karl Twesten in Woran uns gelegen ist: «Siamo stanchi delle parole. Per ogni questione politica noi abbiamo davanti ai nostri occhi un preciso e concreto obiettivo e deduciamo le nostre ragioni dai rapporti e dalle aspirazioni reali presenti nella società».23 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, p. 387.

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cui la politica cominciava a essere «determinata da forze che agiscono in una dimensione di massa», il potere delle idee non poteva più essere misurato in termini di corrispondenza a un preciso modello legale: per tale ragione, anche il movi-mento liberale, per portare a termine una politica di successo (Erfolgspolitik), doveva cominciare a disinteressarsi della «verità delle idee» e preoccuparsi invece di quanto gli uomini fossero «disposti a portarle in sé e a servirle»24. Secondo tale ottica, perdendo gran parte del fascino che aveva sino ad allora eser-citato, lo stesso concetto di öffentliche Meinung fu trasformato da generico luogo ideale, nel quale si era creduto di dare voce alla «volontà generale» (Gesamtvernunft) della nazione, in luogo concreto, nel quale trovavano piena formulazione le rivendicazioni della classe sociale dominante25.

In senso più generale, la «politica del potere» (Machtlehre) alla base della Realpolitik di Rochau si connotò perciò come attacco «contro l’assurdità politica dell’idea» (gegen das politi-sche Unding der Idee), cioè come sfi da esplicita, in nome della contrapposizione tra realtà-ideologia (Wirklichkeit-Ideologie) e potere-autorità (Macht-Autorität), nei confronti delle formule astratte sia del radicalismo, sia soprattutto – come rivela la polemica contro Stahl e il principio «Autorität nicht Majori-tät» – del conservatorismo legittimista:

«L’apologia dell’autorità è una delle aberrazioni più infruttuose dell’ideo-logia … Il principio d’autorità è una pura idea: mai e in nessun luogo è

24 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 45-46. A conferma della dimensione europea della problematica tra ‘potere delle idee’ e ‘dimensione di massa’, cfr. le osservazioni svolte da Mazzini sul rapporto tra masse e politica, quando, circa un ventennio prima della pubblicazione dei Grundsätze, aveva invitato le forze democratiche a un rinnovamento delle proprie strategie: «Noi abbiamo bisogno delle masse: abbiamo bisogno di trovare una parola che abbia potenza di creare eserciti di uomini decisi a combattere lungamente, disperatamente; d’uomini che trovino un utile morale a sotterrarsi sotto le rovine delle loro città; d’uomini che si slancino dietro i nostri passi, convinti che dove noi li guidiamo, è meglio per essi», in G. MAZZINI, Scritti politici editi e inediti, V, lettera a Ippolito Benelli (ottobre 1831), p. 55.25 F. MÖLLER, Vom revolutionären Idealismus zur Ralpolitik, p. 79.

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successo che la società si sia organizzata sulla base di una semplice idea. Ciò dipende dai fondamenti reali e i fondamenti reali del principio d’autorità sono ormai scomparsi»26.

Aldilà dei legittimi dubbi suscitati, in primo luogo, dalla dif-fi coltà di verifi care la sua effettiva infl uenza sull’evoluzione del liberalismo tedesco e, in secondo luogo, da quei motivi dogmatici che anch’esso fi nì per riproporre sullo sfondo, resta pur vero che il paradigma realpolitisch di Rochau rappresentò non solo un’opzione politica alternativa a quella del liberali-smo moderato, ma costituì soprattutto la sostanza ideologica attraverso cui il Linksliberalismus si apprestò a superare il proprio isolamento politico, ad abbandonare ogni residua speranza nella praticabilità dei mezzi rivoluzionari e infi ne a elaborare una precisa «dottrina del potere», all’interno della quale la celebrazione della Macht sociale, economica e politica del Mittelstand non era concepita fi ne a se stessa, bensì «al servizio della libertà» (im Dienst der Freiheit)27.

1. Caratteri generali e signifi cato della «Realpolitik»

Composti a ridosso del biennio 1848-1849, i Grundsätze der Realpolitik di Rochau rappresentano, sia sotto il profi lo polemico, sia sotto il profi lo programmatico, una brillante testimonianza della sensibilità politica post-rivoluzionaria28. Assumendo i tratti peculiari di una rifl essione post res perdi-tas, la revisione teorica di Rochau fu basata su tre premesse decisive: la constatazione del fallimento della strategia sino ad

26 Per la polemica di Rochau contro il principio d’autorità e contro Stahl, cfr. A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 120-123, in particolare p. 121. Cfr. poi E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, p. 388; L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 423, e G. PLUMPE - E. MCINNES (edd), Bürgerlicher Realismus und Gründzeit 1848-1890, VI (1996), pp. 84-107, soprattutto pp. 95-97.27 C. JANSEN, Einheit, Macht, Freiheit, pp. 258-265.28 D. LANGEWIESCHE, Liberalismus in Deutschland, pp. 69 s. Circa il carattere ambivalente del testo, cfr. H.-U. WEHLER, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, III, p. 215 e, dello stesso autore, Einleitung, pp. 11-13; inoltre W. KRAUSHAAR, Realpolitik als Ideologie, p. 99.

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allora adottata dal movimento liberale e nazionale tedesco29; l’attribuzione delle maggiori responsabilità di tale insuccesso alla cultura dell’idealismo politico, la quale, anche dopo il 1849, aveva continuato a esercitare un infl usso negativo e a diffondere un marcato senso di rassegnazione30; la necessità di comprendere più a fondo i fattori decisivi per la vita dello Stato, imparando a distinguere tra «fatti» e «pii desideri».

In antitesi rispetto a quell’atteggiamento «sentimentale», che privilegiava il piano delle «idee senza forma» e che tendeva ad agire secondo la logica irrazionale del «tutto o niente»31, il nucleo polemico della Realpolitik si manifestò come violenta reazione contro il radicalismo democratico, il formalismo giuridico, il dottrinarismo liberale e, più in generale, contro il normativismo e l’utopismo, ossia tutte quelle espressioni astratte della «speculazione fi losofi ca», che, in quanto tali, dovevano essere bandite dallo studio della politica:

«La discussione sulla questione: chi deve governare, il diritto, la sapienza o la ragione, l’uno, i pochi o i molti, ebbene questo genere di domande appartiene al campo della speculazione fi losofi ca»32.

A partire dalla priorità assegnata alla cosiddetta «legge della forza» (Gesetz der Stärke), che implicava non già il «diritto del più forte» (das Recht der Stärkeren), bensì il «riconoscimento» del «potere del più forte» (die Macht der Stärkeren)33, il nucleo teorico della Realpolitik coincise con la rideclinazione delle principali categorie politiche del Vormärz alla luce del concetto di potere (Macht)34:

29 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 262.30 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 204 (Vor-wort zum zweiten Teil, 1869). 31 Ibidem [Zweiter Teil], pp. 218 e 259-260. 32 Ibidem [Erster Teil], p. 25.33 Ibidem.34 Il termine Macht rinvia non tanto al concetto di ‘potenza’, bensì a quello di ‘potere’. Risiederebbe proprio nella possibile confusione tra ‘Macht come potenza’ e ‘Macht come potere’ la radice dell’interpretazione treitschkiana,

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«Pretendere che una nazione rinunci al potere, …, equivale pressappoco a pretendere che un uomo pienamente consapevole della propria forza vitale rinunci alla felicità. Il potere è infatti per le nazioni la condizione prima della felicità. L’uomo, che rinuncia alla felicità, e il popolo, che rinuncia al potere di cui è capace per numero, ricchezza, intelligenza e carattere, fanno parte del regno dei morti»35.

In tale prospettiva, come il fi ne del singolo individuo consi-steva nel conseguimento della felicità, quello di ogni impresa economica nella massimizzazione del profi tto36, quello dello Stato nel «trattamento effi cace delle situazioni pubbliche»37, così il fi ne di ogni azione politica risiedeva, secondo Rochau, nella conquista del potere:

«Il potere politico non riconosce come proprio limite che un altro potere, e tra due poteri, che si scontrano l’uno contro l’altro, la lotta d’annientamento diviene una necessità che nessun ragionamento può evitare»38.

Sullo sfondo di tale concezione confl ittualistica39, Rochau interpretò la connessione tra potere (Macht) e dominio (Herr-schaft) come la chiave di volta per comprendere le dinamiche che presiedevano al divenire degli Stati e della vita politica in generale:

tesa a esaurire la nozione di Realpolitik in quella di Machtpolitik; cfr. I. CERVELLI, Realismo politico, p. 173, nota 140; p. 176, nota 145. 35 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 69.36 Lo stesso individuo dello schema realpolitisch sembra assumere la fi sionomia tipica dell’homo oeconomicus della tradizione anglosassone, cioè, quella dell’individuo rivolto a massimizzare il proprio interesse egoistico: «La prima, più importante e irrinunciabile necessità dell’interesse economico è che ogni energia economica sia sfruttata al massimo delle sue potenzialità. L’interesse economico della società non richiede lettere di apprendistato …, ma solo profi tti ed è indifferente a come e da dove tali profi tti siano rica-vati»; ibidem [Erster Teil], p. 98. A proposito dell’individualismo come base ideologica della Realpolitik, cfr. D. LOSURDO, La catastrofe della Germania, pp. 18 s.37 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 255.38 Ibidem [Erster Teil], p. 125; [Zweiter Teil], p. 225.39 A proposito si veda: ibidem [Zweiter Teil], p. 259, laddove Rochau affermò: «lo sviluppo politico si forma soprattutto a partire da un’infi nita serie di lotte e di compromessi».

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«La politica pratica ha anzitutto a che fare con il semplice dato, che solo il potere può dominare. Dominare signifi ca esercitare potere e può esercitare potere solo colui che detiene potere. Questa connessione immediata tra potere e dominio costituisce la verità sostanziale della politica e la chiave di tutta la storia»40.

Da tali presupposti derivò non solo un’aspra polemica nei confronti dei parametri politici e giuridici che erano stati dominanti nel corso del Vormärz, ma anche una notevole tensione al recupero della metafora naturale, con una valenza, tuttavia, ben più forte di quella sino ad allora attribuitale dalla tradizione organicistica41. Mediante il confronto diretto con i paradigmi delle scienze sperimentali, Rochau fondò infatti il nucleo argomentativo della Realpolitik sull’assioma centrale, secondo cui il complesso delle tendenze proprie del mondo fi sico costituiva il campo d’osservazione privilegiato per ana-lizzare e comprendere le logiche della politica:

«Come le scienze naturali si occupano dei fenomeni sensoriali, così la politica pratica ha soprattutto a che fare con la sostanza materiale e con le forze, presenti nella vita pubblica, del moto e dell’inerzia, dello sviluppo e della distruzione»42.

In tal senso, alla tradizionale sensibilità realistica verso le con-dizioni di tempo e luogo, egli abbinò un’inedita attenzione nei confronti dell’ordine oggettivo posto dalla natura:

«La necessità naturale sulla quale riposa l’essenza dello Stato si manifesta negli Stati storicamente esistenti attraverso l’interazione di molteplici forze, la cui qualità, ampiezza ed effi cacia variano costantemente a seconda del tempo e dello spazio».

Il concetto di «legge naturale» assunse perciò un carattere irresistibile, che, in forza della sua atemporalità, forniva un elemento di fi ssità di fronte all’estrema variabilità degli eventi storici:

40 Ibidem [Erster Teil], pp. 25-26.41 H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 7. 42 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 256. Si faccia poi riferimento a S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 421.

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«La legge della forza [das Gesetz der Stärke] esercita sulla vita dello Stato un dominio pari a quello della legge di gravità sul mondo fi sico»43.

Nonostante le concessioni formali alla tradizione dell’aristo-telismo e dell’organicismo politico, la concezione politica di Rochau affondava le proprie origini nel naturalismo di Carl Vogt e di Karl Hagen, i quali, ritenendo opportuno abbando-nare «ogni credenza irrazionale» a favore dell’«osservazione della vita animale», avevano affermato che al «partito del progresso» spettava anzitutto apprendere la «vera arte dello Stato», quella cioè che consisteva nel «lasciare che lo Stato e le sue istituzioni si sviluppino, esattamente come i frutti e i rami di un albero, a partire dalla natura del popolo, controllando tuttavia che crescano solo quelli sani»44.

In questo senso, rendendosi partecipe di quel particolare clima intellettuale permeato da diffuse rappresentazioni dell’ordine naturale inteso come archetipo dell’ordine politico, la Real-politik rivela, rispetto sia all’organicismo storico-giuridico di Dahlmann, sia all’«opportunità» (Zweckmäßigkeit) e alla «politica pratica» (praktische Politik) enfatizzate da Droysen e da Haym, un profi lo nettamente autonomo45, che non rimanda

43 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil] p. 25.44 K. HAGEN, Zur vergleichenden Staatskunde, pp. 1 ss.; C. VOGT, Untersu-chungen über Thierstaaten, e, dello stesso autore, Köhlerglaube und Wissen-schaft. Più in generale cfr. F. GREGORY, Scientifi c Materialism in Nineteenth Century Germany, pp. 51 s.; A. WITTKAU-HORGBY, Materialismus, pp. 89-114 e, a proposito del Materialismusstreit del 1854, che coinvolse Carl Vogt e Rudolph Wagner, esponente del fi lone naturalistico tradizionalista, cfr. C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 256 ss.45 A proposito, Innocenzo Cervelli ha osservato che il ricorrente acco-stamento, da parte di Rochau e degli Altliberalen, di motivi organicistici, storicistici e naturalistici, non testimonia alcuna coincidenza teorica: più precisamente, in considerazione della fi sionomia generale della cultura liberale di quel periodo, lo scientismo naturalistico e lo storicismo, pur rimanendo distinti sul piano culturale, tesero talora, come dimostra la genesi dei «Preu-ßische Jahrbücher», a congiungersi sul piano politico. Ciò non nega tuttavia la possibilità di cogliere tra Zweckmäßigkeit, praktische Politk e Realpolitik un certo nesso: anzi, secondo Cervelli, proprio nel complesso rapporto tra queste espressioni fondamentali del paradigma realistico risiederebbe uno degli aspetti più interessanti della storia del liberalismo tedesco; I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 165-166 e 198.

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semplicemente a generiche differenze d’impostazione, ma, anzitutto, a un diverso modo di concepire la storia – non più piano di riferimento principale della politica, bensì banco di verifi ca sperimentale delle leggi della natura e, in particolare, della «legge del potere» – e, in secondo luogo, a quello, che Hans-Ulrich Wehler e Hajo Holborn hanno defi nito una singolare sintesi tra Sozialdarwinismus avant la lettre e Staats-idealismus hegeliano46.

Lasciando momentaneamente sullo sfondo la discussione relativa all’incidenza del pensiero hegeliano, è opportuno concentrarsi sulla matrice positivistica della Realpolitik, che, in polemica con l’apriorismo metafi sico, si propose di analizzare la realtà sociale sotto il profi lo naturalistico della necessità oggettiva: da questo punto di vista, l’«istintivo positivismo» di Rochau, per quanto non rimandi a un sistema fi losofi co coerente, presenta senza dubbio alcuni signifi cativi punti di contatto con quello di Comte47. Oltre al comune proposito di concepire la politica al pari di una scienza naturale, sia Rochau sia Comte attribuirono infatti grande rilevanza al ruolo svolto dalle forze sociali nel processo di composizione dell’o-dine politico, sicché entrambi, dall’equazione tra costituzione (Verfassung) e «rapporti di forza» (soziale Machtverhältnisse) desunsero la legittimazione politica del primato sociale ed economico della borghesia.

Da questo punto di vista, perciò, nonostante le pur vistose differenze tra i rispettivi orizzonti culturali – quello di Rochau prevalentemente teso a un aggiornamento dei postulati del liberalismo alla luce delle trasformazioni avvenute in seguito al 1848-1849; quello di Comte teso a un complessivo rinno-vamento della società europea alla luce del binomio «ordine e progresso» – è soprattutto nella difesa ideologica della società borghese, nel rifi uto della rivoluzione sociale, nella convinzione che il progresso avrebbe necessariamente sancito la vittoria

46 H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 11, e H. HOLBORN, Deutsche Geschichte in der Neuzeit, II, p. 349.47 I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo, p. 385, e soprattutto N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 81-96.

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dei gruppi sociali espressione della modernità e infi ne nell’in-dividuazione dei fattori decisivi dello sviluppo (wachsender Wohlstand, aufgeklärte Meinung, Verfolgung rational defi nier-ter Interessen) che risiede il nesso tra Realpolitik e politique positive48.

a. Lo Stato e il rapporto tra potere e idee

A partire da tali premesse culturali e ideologiche, sia nella prima, sia nella seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik, Rochau affrontò un insieme piuttosto vasto ed eterogeneo di questioni, che spaziano dal rapporto tra politica e morale al rapporto tra potere e diritto, dall’analisi del concetto di rivo-luzione all’analisi del concetto di costituzione, dai rapporti tra Austria e Prussia ai diversi schieramenti ideologici e partitici sorti in Germania in seguito al 1848. La tripartizione tra ana-lisi di carattere fi losofi co, di carattere politico e di carattere storico, con la quale può essere schematicamente suddiviso l’insieme delle problematiche esposte da Rochau, vale sia per la versione del 1853, sia per quella del 1869: in effetti, per quanto scritte a oltre quindici anni di distanza l’una dall’altra e in contesti storico-politici nettamente diversi tra loro, la prima e la seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik costituiscono un insieme sostanzialmente coerente, che consente, almeno per quanto riguarda la decifrazione dei tratti peculiari della Realpolitik, di essere analizzato unitariamente.

A dispetto della mancanza di una defi nizione precisa, già nel primo capitolo dei Grundsätze der Realpolitik del 1853, dedi-cato all’esposizione del «principio dinamico» della vita statale, Rochau assegnò alla Realpolitik il compito cruciale di studiare e comprendere le forze che «formano, conservano e rovesciano lo Stato», senza ricadere negli «errori grossolani» della Staats-lehre del Vormärz49. La concezione anormativa della politica

48 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 88-89 e 96; H.-U. WEHLER, Einleitung, pp. 11 ss. Più in generale cfr. H. WAENTIG, Auguste Comte, pp. 247-290.49 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 25-26.

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enunciata sin dalla prima pagina dei Grundsätze der Realpolitik attraversa anche la successiva produzione saggistica di Rochau: quanto, per esempio, affermato nel 1861 tra le pagine di un breve articolo dedicato all’idea di Rechtsstaat – «la politica non ha mai a che fare con le astrazioni, bensì sempre solo con i fatti» – fu ribadito nel 1868 in Zur Orientirung im neuen Deutschland, laddove l’autore affermava che la politica pratica, a dispetto di quanti continuavano ad affrontarla secondo i «metodi di una scienza speculativa» e ad affi darle il compito di realizzare principi ideali, aveva soprattutto a che fare con fatti e obiettivi concreti e, solo in secondo grado, con principi normativi50.

Emblematica, a tale proposito, la defi nizione di scienza poli-tica come «scienza empirica sul modello di quelle naturali» (Erfahrungswissenschaft wie die Naturkunde) e quella di poli-tica pratica come «arte del successo» (Kunst des Erfolgs), che Rochau enunciò nel 1869, tra le pagine della seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik:

«La politica in quanto dottrina dello Stato ha poco o niente a che fare con la ricerca fi losofi ca; essa è soprattutto una scienza sperimentale come quelle naturali e pertanto anche la politica pratica non ha come proprio compito la realizzazione di un qualche sistema speculativo; l’arte dello Stato è, come dice già il nome stesso, niente altro che l’arte del successo, applicato a determinati obiettivi statali»51.

Oltre alla defi nizione del carattere anormativo della scienza politica, nei primi capitoli dei Grundsätze der Realpolitik del 1853, furono sviluppate anche alcune osservazioni sull’origine e sulla natura dello Stato. In particolare, abbinando l’organicismo aristotelico-dahlmanniano52 alla concezione dello Stato come

50 A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zum Artikel «Die Idee des Rechtsstaats», p. 454 e anche, dello stesso autore, Zur Orientirung, pp. 4-5.51 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 255.52 F.C. DAHLMANN, Die Politik, p. 11: «lo Stato non è un’invenzione, né della necessità, né dell’arte, non è una società per azioni, né una macchina, né il prodotto di un contratto emerso da una vita naturalmente libera, né un male necessario, né un vizio dell’umanità guaribile col tempo; esso è un ordinamento originario, una condizione necessaria, un bene dell’umanità e una delle istituzioni che conducono il genere umano alla sua pienezza».

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persona giuridica, il cui Dasein era indipendente sia dalle norme del diritto, sia dalla coscienza statale dei cittadini, Rochau pose le basi per una defi nizione dello Stato strettamente funzionale alla polemica nei confronti della concezione giusnaturalistica della politica53: a suo parere, infatti, in quanto «organismo poli-tico della società umana» e al contempo proiezione immanente del divino, lo Stato doveva la propria esistenza a una legge con carattere di necessità naturale, alla quale anche l’uomo, liberamente o meno, era tenuto a conformarsi54.

A dispetto di quelle «fantasiose teorie» sul contratto sociale e sullo stato di natura, a partire dalle quali, prima con Rousseau in Francia, poi con Rotteck e con Welcker in Germania, erano state poste le premesse per la «dissoluzione dello Stato» (Ablösung des Staates)55, lo Stato era «realpolitico per natura» e quindi un «egoista per sua stessa natura» (geborener Egoist), che non ammetteva altri doveri oltre a quello dell’auto-conservazione: in altri termini, a meno di una situazione costituzionale patologica, come nel caso della Prussia di Federico Guglielmo IV, tutte le azioni normalmente compiute dallo Stato erano fi nalizzate alla massima soddisfazione delle condizioni imprescindibili della propria esistenza56.

Tale supremo dovere implicava, secondo Rochau, una rifor-mulazione del rapporto tra politica e morale. A tale propo-sito, se nel 1853 si limitò perlopiù a constatare in maniera abbastanza generica e scarsamente originale che alla politica non era concesso di arretrare di fronte agli atti immorali, compresi quelli delittuosi57, nel 1869, pur ammettendo che la «morale politica» rappresentasse uno dei «punti più oscuri

53 W. KRAUSHAAR, Realpolitik als Ideologie, p. 99; I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 192-193. 54 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 25-26.55 Ibidem [Zweiter Teil], p. 293. A proposito di Rotteck: A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zum Artikel «Die Idee des Rechtsstaats», p. 454 e, dello stesso autore, Karl Wenzeslaus von Rotteck, pp. 211-214.56 A.L. VON ROCHAU, Nieder mit Preußen, p. 444 e, dello stesso autore, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 176; [Zweiter Teil], p. 209.57 Ibidem [Erster Teil], p. 31.

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della dottrina dello Stato», egli postulò l’autonomia della poli-tica, sottolineando altresì la differenza tra la morale privata e morale pubblica. Se al singolo individuo spettava conformarsi alle norme morali imposte dallo «spirito del secolo» (Geist des Jahrhunderts) e dalla civiltà nel suo complesso, allo Stato era richiesto unicamente di adempiere al dovere della «auto-conservazione» (Selbsterhaltung) e, di conseguenza, allo statista era richiesto di sacrifi care i propri principi al benessere e all’interesse delloStato:

«Lo Stato vuole e deve vivere a ogni costo; non può né rifugiarsi in un ospizio, né andare a mendicare e tantomeno impiccarsi; deve prendere tutto ciò che gli è indispensabile per la vita, ovunque lo trovi e a prescindere se sia buono o cattivo»58.

È tuttavia necessario tenere conto del fatto che, nel quadro di questa concezione scarsamente originale, oscillante tra la tesi dell’amoralità della politica e la tesi dell’immoralità della politica59, Rochau non mancò di osservare che, qualora fosse stata in grado di incidere effettivamente sulla vita pubblica, anche la capacità di penetrazione e l’effi cacia (Wirkungskraft) delle norme morali potevano divenire fattori politicamente rilevanti60. A suo parere, infatti, sebbene si muovesse nell’«oriz-zonte del presente» e si proponesse di realizzare «obiettivi concreti», la Realpolitik non poteva escludere dal proprio orizzonte la presenza di un piano di riferimento ideale o morale, capace di svolgere una funzione orientativa nei con-fronti dell’agire politico:

«In ogni circostanza, lo Zeitgeist esercita un infl usso estremamente importante sull’orientamento generale della politica. È impossibile rendere la politica indipendente dallo Zeitgeist e ogni concreto tentativo di emancipare la politica dalle convinzioni più radicate degli uomini ha margini di manovra piuttosto ristretti»61.

58 Ibidem [Zweiter Teil], pp. 215-216.59 P.P. PORTINARO, Il realismo politico, pp. 55-60.60 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 178.61 Ibidem [Erster Teil], pp. 33-34; C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, pp. 171-172.

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In altri termini, pur essendo orientata a «vedere uomini e cose così come sono» e a «volere soltanto ciò che può», la pro-spettiva realpolitisch non poteva trascurare quelle forze dello spirito, che, per quanto né misurabili, né visibili, riuscivano a penetrare, in forza della loro «capacità di persuasione» (Über-zeugungskraft), nella società e ad assumere quindi «sostanza politica»62. In questo senso, a differenza dei semplici miti della «pace perpetua», della «fratellanza universale», dell’«ugua-glianza delle razze e dei sessi», di fronte all’inconsistenza dei quali la Realpolitik poteva reagire con una semplice «alzata di spalle», anche «la più gioconda delle fesserie», come «in passato la stregoneria» e «oggigiorno le fantasie del socialismo», poteva divenire oggetto d’interesse politico, a causa «delle migliaia di deboli teste, di cuori avidi, di braccia vigorose che stanno al servizio dell’irrazionalità»63.

Con ciò, Rochau metteva in luce un dato fondamentale, che contribuiva a stravolgere a fondo uno dei concetti più cari alla tradizione liberale, quello di öffentliche Meinung. In un’epoca in cui la politica era sempre più condizionata dalle dinamiche di massa, le idee potevano infatti diventare autentiche «forze sociali», solo nella misura in cui gli uomini erano pronti a prenderle in sé e a servirle:

«Le idee hanno tanto potere, quanto ne attribuiscono loro gli uomini … Ne consegue perciò che quella idea, indifferentemente se giusta o meno, che permea di sé un intero popolo o un’intera epoca, è la più reale delle forze politiche»64.

Soggiacendo inevitabilmente a un «prezzo di mercato» variabile a seconda delle circostanze, la consistenza politica delle idee e delle norme morali non poteva più dipendere da valutazioni di ordine metafi sico o religioso, ma esclusivamente dalla loro Macht, intesa come capacità di penetrare nella realtà sociale (Durchdringung); come capacità di farsi «convinzione» diffusa

62 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], pp. 208 e 256.63 Ibidem [Zweiter Teil], pp. 208-209.64 Ibidem [Erster Teil], pp. 46-47.

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(Verbreitung); come capacità di organizzare una «massa omoge-nea verso un comune obiettivo» (Versammlung e Organisation)65:

«Un’opinione isolata, un’intelligenza isolata, una ricchezza isolata di fronte allo Stato signifi cano poco o niente; per acquisire valore politico, l’opinione deve diventare pubblica, l’intelligenza deve diventare un bene condiviso e il benessere deve essere condiviso almeno da una classe»66.

b. Le forze sociali e la costituzione dello Stato

In virtù della «legge del potere», Rochau affermò che sia i prodotti «assurdi» della «faciloneria politica» (politische Nai-vität) del secolo precedente, sia l’utopia di Thomas More, sia la Repubblica di Platone erano semplici «castelli in aria»: a suo parere, infatti, la questione cruciale della politica risie-deva non già nella ricerca di un’astratta «buona costituzione» (gute Verfassung), bensì nell’individuazione di quella «giusta costituzione» (richtige Verfassung), grazie alla quale «il vigore e la prosperità» dello Stato, inteso come «organismo vivente» (lebendiges Wesen), diveniva premessa per «lo sviluppo di tutte le sue componenti»67.

Se il rapporto tra Recht e Macht, tra Politik e Macht non poteva essere defi nito a priori68, mediante l’individuazione di norme e principi universalmente validi, ma solo facendo riferimento alla «legge del potere», allora, secondo Rochau, era opportuno che anche l’insieme delle dinamiche che determinavano l’es-senza dello Stato e condizionavano il processo di formazione sociale fosse interpretato in termini di «potere» e «dominio», cioè alla luce di una «questione di potere»:

«La costituzione dello Stato è determinata dai rapporti dinamici tra le forze, in parte attive, in parte passive, presenti al suo interno. Ogni forza sociale

65 C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, pp. 168 e 170.66 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 45 e 256.67 Ibidem [Erster Teil], pp. 27-28; [Zweiter Teil], pp. 226 e 266-267.68 A proposito del concetto di Recht nella tradizione liberale del Vormärz, cfr. C. WELCKER, Recht; Begriff des Rechts, pp. 484-495.

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aspira a una valorizzazione statale corrispondente alla sua entità e la stessa forza dello Stato consiste unicamente nella somma delle forze sociali che esso ha incorporato»69.

In altri termini, secondo Rochau, la modalità attraverso cui la società entrava in rapporto con lo Stato presupponeva una «concezione dinamica della costituzione», in virtù della quale allo Stato era assegnato il compito di concedere ampio spazio allo sviluppo delle forze sociali, per poi integrarne la somma-toria al proprio interno. In questo senso, quanto più lo Stato era in grado di integrare mediante «un rapporto organico» (durch organische Verbindung) le diverse forze sociali e quindi di svolgere al meglio la propria funzione di «unità integrante di potere» (integrierende Machteinheit), tanto più esso incre-mentava la propria Staatskraft70:

«Dal punto di vista puramente politico, lo Stato non ha altra scelta che quella di integrare o di reprimere le forze con le quali ha a che fare. La via di mezzo è impolitica e quello Stato che la intraprende va incontro al confl itto e al pericolo».

Secondo tale logica, Rochau assimilò la vita politica della comu-nità statale a un microcosmo mutevole, destinato a subire alterazioni continue e ad adattarsi di volta in volta alle diffe-renti condizioni prodotte dallo scontro incessante tra le forze statiche della conservazione e le forze dinamiche del progresso: ne derivava naturalmente che non il diritto in quanto tale, bensì la dialettica tra le forze sociali rappresentava l’effettivo fattore di mutamento delle istituzioni e quindi della forma esteriore dello Stato71.

Anticipando la formulazione di Lassalle, secondo cui la costi-tuzione formale doveva rispecchiare la costituzione materiale, cioè rifl ettere i «concreti rapporti di forza presenti all’interno

69 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 27.70 A proposito si veda anche C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, p. 171.71 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 29-31 e 31-32.

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della società»72, Rochau attribuì alla Verfassung un signifi cato puramente descrittivo, in quanto «espressione di quelle con-dizioni implicite o esplicite sulle quali riposa la pace tra le diverse forze politiche all’interno dello Stato». In altri termini, secondo Rochau, la Verfassung doveva agire come «strumento d’ottimizzazione» (Optimierungsintrument), grazie al quale poteva essere assicurato il ‘giusto’ rapporto tra le forze sociali, nonché la loro integrazione (Aneignung) organica all’interno dello Stato73. Ne conseguiva che nessuna Verfassung poteva essere giudicata secondo criteri normativi, ma solo in base alla sua capacità di conferire adeguata valorizzazione alle forze sociali:

«La giusta costituzione è quella che permette a tutte le forze sociali di otte-nere valorizzazione statale a seconda del loro autentico valore. Quanto più il materiale sociale compenetra nella forma statale …, tanto più sano è il corpo politico»74.

Anziché implicare la rinuncia «a soluzioni politiche e istitu-zionali alternative al modello della monarchia autoritaria», tale concezione offrì a Rochau la possibilità di denunciare la condizione patologica in cui versava la realtà statale tedesca75. In virtù del nesso inversamente proporzionale tra la decrescita del ‘peso sociale’ della grande proprietà terriera, della nobiltà feudale e delle «forze spirituali tradizionali» – autorità, legit-timità, fede religiosa – e la crescita del ‘peso sociale’ della «ricchezza dinamica», del Mittelstand e dei tipici valori bor-ghesi – la stampa, il partito politico, il sentimento nazionale,

72 F. LASSALLE, Über Verfassungswesen, pp. 27-28. Per una formulazione parzialmente coincidente, cfr. anche L. VON STEIN, Der Socialismus und Communismus der heutigen Frankreichs, I: Der Begriff der Gesellschaft und die Bewegungen in der Gesellschaft Frankreichs seit der Revolution, p. 63.73 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 226. Si vedano poi N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 43 e 49, e C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, p. 175.74 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 28.75 S. BLÄTTLER, Der Pöbel, die Frauen etc., pp. 133-137; H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 7.

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l’idea di libertà e d’uguaglianza76 – era necessario, secondo Rochau, che al lento ma inesorabile cambiamento degli equilibri tra forze sociali corrispondesse un mutamento degli equilibri politico-istituzionali: in seguito alla vittoria della borghesia sulla nobiltà di sangue doveva seguire insomma la vittoria di tutte quelle istituzioni che erano autentica espressione del nuovo ordine sociale77.

In parziale sintonia con Lassalle, il quale, nel corso del confl itto costituzionale in Prussia, avrebbe affi dato alla rivoluzione il compito di superare la contraddizione tra costituzionale for-male e costituzione materiale, anche l’autore dei Grundsätze der Realpolitik non poté esimersi dal confrontarsi con quelle situazioni estreme – la dittatura e lo stato d’assedio (Belage-rungszustand) da un lato, la rivoluzione dall’altro – altro non erano se non la diversa manifestazione dello stesso problema: il rapporto inadeguato tra Stato e forze della società78. Facendo riferimento alla parabola della Seconda Repubblica in Francia, secondo Rochau, era infatti chiaro che ogni qualvolta fossero state minacciate le basi – in particolare, quelle materiali – sulle quali poggiava la convivenza sociale, lo Stato era tenuto a sospendere temporaneamente le norme del governo civile, a revocare la libertà politica e a ricorrere alla dittatura, la quale, anziché una patologia politica, rappresentava una necessità temporanea alla quale lo Stato era tenuto a ricorrere nel momento in cui la contrapposizione tra le forze della società non era più componibile, anzi tendeva ad assumere potenziale disgregativo79.

76 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 31-32 e 61-62.77 Ibidem [Erster Teil], pp. 72 ss.78 Secondo Rochau, infatti, il successo politico di uno Stato dipendeva in gran parte dalla sua fl essibilità (Elastizität), cioè dalla sua capacità di entrare in rapporto di continuità (Stetigkeit) con le forze sociali, conferendo loro una «direzione costante e unitaria in direzione di un preciso obiettivo statale»; ibidem [Erster Teil], pp. 29-31 e 103-105.79 Ibidem [Erster Teil], pp. 100-102; cfr. poi N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 68-73, e C. MYOUNGHANG, Macht und Politik, p. 172.

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Se l’origine della dittatura risiedeva nella lotta irreconciliabile tra forze sociali, la rivoluzione, dal canto suo, era generata da un prolungato atteggiamento di chiusura da parte dello Stato verso le legittime rivendicazioni di autogoverno della società80. Introducendo signifi cativi elementi di novità rispetto alla posi-zione tradizionale del liberalismo moderato, Rochau defi nì il fenomeno rivoluzionario secondo un’accezione piuttosto ampia, in cui rientravano anche le ribellioni, le congiure e i colpi di Stato: per quanto le sue bandiere, le sue parole d’ordine e le sue armi potessero variare a seconda dei tempi e dei luoghi, la rivoluzione, in quanto conseguenza di un medesimo Geist – quello che, rovesciando gli Stuart e i Borbone, aveva affermato l’autodeterminazione del popolo contro una monar-chia indipendente dalla volontà popolare – e «rovesciamento cruento dell’ordinamento politico-istituzionale»81 rappresentava un fattore imprescindibile del divenire storico, al punto che «nessuno Stato in Europa» poteva dire di non averla avuta come propria «madre o nutrice»82.

E anzi, in coincidenza con quanto aveva affermato nella Kri-tische Darstellung, laddove, in polemica con Fourier, aveva interpretato la Rivoluzione del 1789 alla luce della «conquista violenta dei diritti civili e umani»83, nel 1853, egli giunse a riconoscere che, senza gli impulsi della rivoluzione, anche l’organismo statale tedesco avrebbe corso il rischio di irrigidirsi «a guisa di una cineseria»84. In polemica sia nei confronti della retorica conservatrice, che, richiamandosi alla Scuola storica del

80 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 104.81 Ibidem [Erster Teil], pp. 47 e 49.82 Ibidem [Erster Teil], pp. 54-55.83 A.L. VON ROCHAU, Kritische Darstellung, pp. 62-63. Più in generale sul concetto di rivoluzione, cfr. U. BACKES, Liberalismus und Demokratie, pp. 334-358.84 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 54-55 e anche 104-105. Si tenga presente l’osservazione di Cervelli, secondo cui la prospettiva ‘naturalista’ di Rochau rivelerebbe un orientamento politico non tanto ripiegato e passivo, quanto piuttosto «proiettato verso il futuro»; I. CERVELLI, Realismo politico, p. 169.

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diritto, aveva inteso la rivoluzione come un atto di ribellione nei confronti della legge divina, sia nei confronti della retorica socialista, che, in virtù di una fi ducia superstiziosa e miope, aveva interpretato il rovesciamento violento dell’ordine costi-tuito come il fi ne supremo di ogni attività politica85, Rochau assunse una posizione neutra: a suo parere, infatti, la rivolu-zione era fondamentalmente un «dato di fatto», «né buono, né cattivo», che richiedeva di essere valutato a seconda delle singole circostanze86.

In tal senso, ogni rivoluzione doveva essere giudicata non già secondo criteri di natura ideologica87, bensì secondo una pro-spettiva ex post, in virtù della quale, non essendovi un’«istanza superiore», la legittimazione dell’atto rivoluzionario traeva origine dal successo dell’atto rivoluzionario stesso:

«Il successo è la prova attraverso la quale la forza rivoluzionaria deve testare se stessa e la sua missione. Con il successo, la rivoluzione è la vittoria delle forze più forti sulle più deboli e dunque la realizzazione politica di se stessa; senza il successo, la rivoluzione è la rivolta delle forze più deboli contro le più forti e dunque la condanna politica di se medesima»88.

La mancanza di un atteggiamento di chiusura pregiudiziale non signifi ca tuttavia che Rochau fosse favorevole a ogni rivoluzione.

Col proposito di chiarire ulteriormente la propria idea di rivoluzione, egli distinse nettamente tra quella politica, intesa come trasformazione violenta dell’ordinamento statale, e quella

85 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 51. A proposito della polemica nei confronti del socialismo rivoluzionario e in particolare di Lassalle, cfr., dello stesso autore, Wissenschaft oder Windbeu-telei, pp. 1287-1288. 86 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 48.87 Per Rochau era per esempio del tutto «insensato» legittimare una rivoluzione facendo ricorso al principio della sovranità popolare: nella realtà, infatti, la storia aveva dimostrato che le rivoluzioni fossero perlopiù state realizzate e condotte a buon esito da una «vivace minoranza» (rüstige Minderheit), che aveva agito nella completa indifferenza e inoperosità della «maggioranza dormiente»; ibidem [Erster Teil], p. 51. 88 Ibidem [Erster Teil], p. 52; A.L. VON ROCHAU, Die verfassunggebende deutsche Reichsversammlung, p. 162.

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sociale, intesa come modifi ca strutturale dell’organizzazione economica della comunità: la prima poteva essere necessaria e talora perfi no benefi ca; la seconda, invece, costituendo una minaccia diretta nei confronti delle condizioni materiali dell’ordine borghese, rappresentava un’ipotesi che la Realpolitik non poteva prendere in considerazione89. Più precisamente, secondo Rochau, i criteri decisivi per misurare il successo di una rivoluzione politica erano due: i suoi effetti e la sua durata. In altri termini, il successo di ogni rivoluzione era direttamente proporzionale alla durata dei suoi effetti e alla brevità del suo svolgimento. Qualora il processo rivoluzionario si fosse prolungato oltre il necessario, dando vita, a causa «della mancanza di un potere statuale prevalente» o «di uno spirito nazionale unitario», a un processo permanente di sovversione (Revolutionslabyrint), così come si era verifi cato in Francia dal 1789 in poi, sarebbe venuto a crearsi un pericolo mortale, di fronte alla quale erano percorribili solo due vie: quella della repressione o quella della legalizzazione, attraverso la «dittatura di un uomo o di un partito»90.

Nel quadro complessivo delle argomentazioni di Rochau, il nesso circolare tra rivoluzione e dittatura tese insomma ad assumere una funzione cruciale: abbinando al criterio del successo quello dell’interesse nazionale, egli riconobbe che potevano esserci situazioni particolari, in cui il ricorso a una delle due soluzioni estreme, la dittatura o la rivoluzione, era giustifi cato da un supremo dovere di ordine morale, che coin-cideva con la salvaguardia della nazione91. Dopo aver preso atto della necessità di un ribaltamento strutturale degli equilibri politico-istituzionali in Germania, nel dodicesimo capitolo dei

89 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 147-149.90 Ibidem [Erster Teil], pp. 53-54.91 Ibidem [Erster Teil], p. 52 e anche la nota a pp. 174-175, dove la «necessità della dittatura sarda» è presentata come fattore da cui dipendeva l’esistenza politica nazionale italiana. Si tenga presente che proprio il «principio della rivoluzione nazionale» e, più in generale, dell’interesse nazionale sarà quello a cui ricorrerà Rochau per legittimare la Annexionspolitik prussiana; ibidem [Zweiter Teil], p. 291.

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Grundsätze der Realpolitik, Rochau affrontò il delicato tema del costituzionalismo.

In base al principio secondo cui l’identifi cazione di una gute Verfassung rappresentava un proposito vano, egli respinse, con trasparente riferimento a gran parte della cultura liberale del Vormärz, quell’orientamento rivolto a presentare la Gran Bretagna come Normalstaat e quindi il sistema rappresentativo e il costituzionalismo anglosassoni come modelli di riferi-mento92. Alla base delle riserve di Rochau non vi era solo un generico scetticismo verso l’effettiva possibilità di introdurre il modello anglosassone in Germania, ma anche e soprattutto l’idea che il potere fosse, per la «natura stessa delle cose», sempre dominante rispetto al diritto93. Detto altrimenti, secondo Rochau, il nesso teorico tra diritto e potere – «il diritto sta al potere come l’idea alla realtà» – poteva essere trasformato in un nesso reale solo nel momento in cui il diritto fosse diventato öffentliche Macht e il potere si fosse «trasfi gurato» in diritto. In ogni caso, in virtù di una «necessità di natura» (Naturwendigkeit) eternamente valida, «solo in quanto potere», il diritto poteva aspirare al governo:

«È quindi una pretesa assolutamente inammissibile, si potrebbe dire perfi no irrazionale, che il potere sia assoggettato dal diritto. Il potere obbedisce solo a un potere più forte, così come il forte non si lascia sottomettere dal debole, anche quando lo volesse o potesse effettivamente volerlo»94.

92 Ibidem [Erster Teil], p. 123; F.C. DAHLMANN, Die Politik, pp. 127-134 e anche W. BLEEK, Friedrich Christoph Dahlmann und die «gute» Verfassung, pp. 28-43. In generale sul costituzionalismo liberale e sul concetto di Rechtsstaat, cfr. U. BACKES, Liberalismus und Demokratie, pp. 250-267 e 290-309.93 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 124-126, soprattutto la nota a p. 127, dove richiama una lettera di Dahlmann alla Kon-stitutionelle Zeitung (23 novembre 1850), nella quale questi affermò che «nes-suna costituzione» offriva garanzie suffi cienti contro «l’arbitrio del sovrano». 94 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 26. Su questo punto cfr. M. WEBER, Economia e società, I: Teoria delle categorie sociologiche, p. 31 (§ 6: «Forme di ordinamento legittimo: la convenzione e il diritto»): «Un ordinamento deve essere chiamato diritto, quando la sua validità è garantita dall’esterno, mediante la possibilità di una coercizione da parte dell’agire, diretto a ottenerne l’osservanza o a punire l’infrazione, di un apparato di uomini espressamente disposto a tale scopo».

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A tale proposito, il colpo di Stato bonapartista aveva ampia-mente dimostrato che il diritto in quanto tale non offriva garanzie suffi cienti per risolvere il problema classico della ‘limitazione del potere’: in piena sintonia con la tradizione realistica, secondo Rochau, spettava piuttosto alla politica stessa il compito di autolimitarsi: «L’egoismo statale deve arrestarsi laddove comincia a diventare impolitico»95.

Passando dal piano teorico a quello pratico, un ulteriore problema era rappresentato dal fatto che in Germania, con-trariamente a quanto avvenuto in Inghilterra, l’introduzione del costituzionalismo avrebbe comportato non solo la sostitu-zione dei detentori del potere, ma anche una rivoluzione che sarebbe andata a travolgere le basi stesse del costituzionalismo, cioè l’istituto monarchico: per tale ragione, anche in futuro, il costituzionalismo tedesco sarebbe rimasto «più nome che cosa, più forma che sostanza»96.

Ciò non signifi cava tuttavia escludere che si potessero verifi care circostanze straordinarie, in virtù delle quali la stessa monar-chia poteva farsi interprete del principio costituzionale. E in effetti, così come l’esempio bonapartista aveva dimostrato il primato del potere rispetto al diritto e confermato la sostanziale inconsistenza politica di ogni progetto costituzionale, quello piemontese segnalava la possibilità di una transizione, non

95 A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zum Artikel ‘Die Idee des Rechtsstaats’, p. 454 e, dello stesso autore, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 44, dove Rochau fa per esempio riferimento alla «legge della moderazione» (Gesetz der Mäßigung), che deve ispirare, nel sistema rappresentativo, sia la condotta della maggioranza sia la condotta della minoranza. Più in generale, cfr. anche P.P. PORTINARO, Il realismo politico, pp. 77-84. La stessa proble-matica ricompare anche nei Grundsätze der Realpolitik del 1869, laddove Rochau, richiamandosi esplicitamente a Machiavelli, affermò che «Lo stato è realpolitico per natura, in forza delle condizioni della sua esistenza … Anche gli Stati moderni, per quanto scarse possano essere le somiglianze con Roma, solitamente condividono con questa un certo grado di realismo, che gli offre un’analoga giusta misura del loro volere e del loro potere, dei loro doveri e dei loro interessi»; A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 209 (Vorwort zum zweiten Teil). 96 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 125-126 e soprattutto p. 129.

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necessariamente violenta e rivoluzionaria, dall’assolutismo al sistema rappresentativo97.

Sebbene escludesse la possibilità della riproducibilità in Ger-mania della ‘via piemontese’ al costituzionalismo, è tuttavia estremamente signifi cativo osservare come, già nel 1853 e quindi in netto anticipo rispetto agli eventi del 1859-1861, Rochau guardasse al caso italiano come a un «esempio istruttivo»: da un lato, per aver evidenziato che la guerra, l’espansione e la dittatura potevano rivelarsi strumenti straordinari ma necessari per compiere la rivoluzione nazionale ed evitare al tempo stesso derive sovversive; dall’altro, per aver dimostrato che solo associandosi alla realtà di una forza statale – in questo caso, quella del Regno sabaudo – il diritto aveva possibilità di imporsi con successo98. In altri termini, secondo Rochau, l’idea di diritto poteva trovare concreta applicazione in Ger-mania, solo nel momento in cui essa fosse stata in grado di associarsi a un preciso soggetto sociale o politico, in grado di esprimere un adeguato Machtpotential 99: sullo sfondo di tale ragionamento stavano lo Stato prussiano da una parte, il Mittelstand liberale dall’altra.

c. Il «Machtpotential» prussiano

Nel 1853 Rochau si riteneva certo che, sul piano delle «questioni esistenziali e di potere» (Macht- und Lebensfragen), Prussia e Austria mantenevano ambizioni e prospettive politiche netta-mente contrastanti, anche a dispetto della loro momentanea coincidenza di interessi: a suo parere, infatti, a causa della propria frammentarietà e disomogeneità territoriale, la Prussia

97 Ibidem [Erster Teil], p. 131.98 A tale proposito si tenga presente l’osservazione di Cervelli, secondo cui Rochau, facendo rientrare sia il costituzionalismo sardo-piemontese, sia il bonapartismo francese nella categoria della Realpolitik, offrì all’idelogia liberale un patrimonio alternativo a quello della tradizione moderata di Dahlmann; I. CERVELLI, Realismo politico, p. 179. 99 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 26; N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», p. 34.

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doveva «crescere, per poter continuare a esistere»; per evitare il tramonto, l’Austria doveva invece impedire ogni rafforza-mento della Prussia100.

L’idea dell’inconciliabilità di fondo tra gli interessi delle due maggiori potenze tedesche era basata su un’attenta analisi degli itinerari percorsi negli ultimi decenni da Vienna e da Berlino. Secondo Rochau, era infatti ormai tramontata l’epoca, in cui l’Austria, modello per eccellenza di «Stato patriarcale», aveva potuto fondare il proprio splendore sulla sacralità della corte, sull’arte diplomatica, sulla tassazione misurata e sull’innato senso dell’ordine dei propri sudditi. Se già i disordini del 1846 in Galizia avevano messo in luce la fragilità della sua struttura obsolescente, nel 1848, il risveglio nazionalistico dei Tedeschi, dei Polacchi e degli Italiani aveva creato una frattura diffi cilmente ricomponibile:

«Oggi sembra, ma sembra solamente, che lo Stato imperiale … si sia risol-levato dalla rivoluzione con energie rinnovate e spirito ringiovanito. È vero che l’Austria è riuscita, con stupore generale, a ricostruirsi sulle proprie rovine, ma il terreno, il materiale e il progetto sono rimasti quelli di un tempo e nessuna di quelle cause, che prima del 1848 l’avevano portata alla rovina, è stata risolta».

Nonostante l’apparente normalizzazione seguita al biennio rivo-luzionario, l’intensità dei contrasti era destinata ad aumentare, perché, sulla scia di un incombente dissesto fi nanziario, la vita pubblica austriaca era stritolata dalle tensioni sociali scatenate dall’«odio razziale» da un lato, dalle tensioni politiche scatenate dalle lotte contro l’assolutismo centralistico dall’altro101. La radice fondamentale di tale crisi risiedeva, secondo Rochau, nella lotta accanita che ormai da oltre un quarantennio lo Stato austriaco aveva intrapreso nei confronti del principio nazionale:

«In virtù della lotta … contro il principio nazionale, l’Austria si è posta rispetto al secolo e ai suoi stessi popoli in una posizione di contrasto, la cui soluzione non è concessa a nessuna arte di Stato e a nessuna forza statale»102.

100 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 169.101 Ibidem [Erster Teil], pp. 154-155 e anche 157-158. 102 Ibidem [Erster Teil], p. 159.

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A dispetto dei suoi tanto frequenti quanto strumentali tentativi di riconciliazione con lo spirito nazionale, nel corso degli ultimi anni, l’Austria non aveva dimostrato altra intenzione che quella di scambiare alcune parziali concessioni con la sicurezza della propria futura sopravvivenza. Ciononostante, nel caso specifi co tedesco, l’«interesse statale dell’Austria» e l’«interesse nazionale della Germania» avevano ben poche ragioni di convergenza e molte di divergenza: a parere di Rochau, nulla era più naturale che l’Austria mettesse in campo tutte le proprie forze ogni qualvolta si trattasse di risolvere il «supremo compito della politica nazionale tedesca».

Sostanzialmente diversa appariva ai suoi occhi la situazione della Prussia, la quale, a partire dalla metà del Settecento, grazie alla propria «autostima», al proprio «spirito d’iniziativa» e a una gestione ambiziosa della politica estera, era riuscita a sopperire alla limitatezza dei propri possedimenti e alla scar-sità delle proprie risorse materiali e fi nanziarie103. Solo dopo la morte di Federico II, questo straordinario sviluppo si era arrestato e, fatta eccezione per il breve periodo segnato dalla guida di von Hardenberg e von Stein, sembrava quasi essersi messo in moto un processo di progressivo decadimento: nella consapevolezza della propria debolezza, la politica prussiana aveva via via smarrito la propria forza e perfi no assunto un carattere di estrema «inaffi dabilità».

Ciononostante, secondo Rochau, la Prussia era lo Stato che aveva tratto «il più signifi cativo vantaggio dalla catastrofe del 1813-1815».

Svolgendo un interessante ragionamento di carattere geopoli-tico, egli affermò infatti che, di contro al ridimensionamento dei propri possedimenti polacchi, il rafforzamento della propria posizione sul Reno aveva rappresentato un enorme vantag-gio, che aveva in qualche modo contribuito a rilanciarne la «candidatura» a grande potenza. Rispetto all’ipotesi di una trasformazione della Prussia in potenza baltica, la cui soprav-vivenza sarebbe dipesa dalla benevolenza russa o austriaca, la

103 Ibidem [Erster Teil], p. 164.

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minacciosa vicinanza con la Francia e l’inserimento in un più articolato sistema di scambi internazionali avevano determinato la rinascita di un prepotente egoismo di Stato, basato sul dovere dell’auto-conservazione104. Inoltre, come dimostrava la costituzione nel 1840 dello Zollverein, la consapevolezza della propria disomogeneità territoriale, abbinata a quella di non essere in grado di poter sostenere a lungo un’eventuale guerra contro uno dei suoi principali vicini, aveva spinto il governo di Berlino a intraprendere una politica di rafforzamento interno ed esterno, che, col tempo, sarebbe stata inevitabilmente desti-nata a sfociare in una sfi da aperta nei confronti dell’Austria:

«Da oltre un secolo la storia tedesca offre continuativamente la prova della profonda necessità della contrapposizione tra la politica austriaca e quella prussiana. In seguito al fallimento, dopo la Guerra dei Sette anni, del primo grande tentativo teso a risolvere questo contrasto, a dispetto di ogni cambia-mento della storia, esso si ripresenta oggi in maniera ancora più acuta»105.

Sebbene anche la Prussia, così come l’Austria, avesse perlopiù concepito l’interesse tedesco in termini funzionali al proprio, dal 1815 in poi, l’egoismo statale prussiano aveva cominciato a coincidere naturalmente con l’interesse nazionale tedesco: in altre parole, secondo Rochau, erano state soprattutto la progressiva trasformazione dei rapporti di forza e la profonda coscienza della propria non auto-suffi cienza a spingere la Prussia tra le braccia della Germania.

Alla vigilia della guerra di Crimea, in virtù dell’estrema provvi-sorietà della situazione politica tedesca, nella quale alla minac-cia dell’invasione esterna era abbinata quella di una sempre possibile rivoluzione, Rochau invitò il movimento nazionale a non lasciarsi irretire dalle «esortazioni» e dai «buoni pro-positi» della diplomazia viennese. Dal suo punto di vista, la salvezza e l’unità della Germania, «arretrata di decenni, forse di generazioni nel suo sviluppo», non poteva provenire né dal legittimismo di un’Austria sempre più lacerata dalle proprie divisioni interne, né dal particolarismo degli Stati tedeschi

104 Ibidem [Erster Teil], pp. 165-166.105 Ibidem [Erster Teil], p. 171.

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di piccole e medie dimensioni, i quali, per l’incertezza stessa delle proprie condizioni, erano costretti a oscillare, a seconda delle convenienze, tra l’Austria e la Prussia106. In virtù della reciprocità – basata sulla «spinta degli interessi» (Drang der Interessen) e non sulle «lettere morte di trattati» (Buchstaben der Verträge) – tra interesse prussiano e interesse tedesco, la Nationalpolitik doveva prendere atto che, prima o poi, il dua-lismo tra Austria e Prussia sarebbe stato risolto da una guerra, verosimilmente causata «da una terza e più grande potenza»:

«Questa tensione latente può durare ancora a lungo, ma sfocierà in ogni caso in una rottura aperta. Prima o poi, grazie a questa o a quell’occasione, con o senza alleati, le due potenze affronteranno la questione vitale che è in sospeso tra loro»107.

d. Il «Mittelstand» e gli ordinamenti della società borghese

Come si è visto, nell’ottica della Realpolitik, il rapporto peculiare tra Verfassung e Grundgesetz des Staatswesens non implicava affatto una qualche forma di adeguamento alle forze conservatrici. Al contrario, sullo sfondo della propria inter-pretazione della Verfassung, Rochau intese richiamare quella concreta condizione a venire (Sollzustand)108, che, in linea con la zeitgeistliche Bewegung, avrebbe determinato l’affermazione defi nitiva della modernità borghese.

In questo senso, la ‘realtà’ cui si richiamò Rochau nel 1853 non era quella a lui contemporanea – un «mondo rovesciato», le cui carenze aveva già aspramente denunciato nella Kritische Darstellung – ma quella a venire, che si sarebbe inesorabilmente affermata in sintonia con le leggi naturali del divenire.

È secondo tale prospettiva che deve essere intesa la sua pole-mica nei confronti di tutti gli «anacronistici» topoi – legittimità, autorità e diritto storico –, ai quali la Staatslehre tradizionalista

106 Ibidem [Erster Teil], pp. 176-178.107 Ibidem [Erster Teil], pp. 174-175 e anche 163 e 169.108 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», p. 46.

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aveva fatto ricorso per giustifi care le istituzioni dello Stato alla luce di una norma universale, sancita dalla legge divina109, ma i cui fondamenti reali erano ormai defi nitivamente svaniti:

«L’autorità ha un nemico mortale nel giudizio. Dove inizia il giudizio, là fi nisce l’autorità. Che cosa può allora essere l’autorità in un’epoca, nella quale il giudizio si estende ormai su ogni cosa! Nei fatti, attualmente non esiste più alcuna regione dello spirito che sia inaccessibile al giudizio»110.

Alle «inesattezze concettuali» (Begriffsverwirrungen) del con-servatorismo tradizionalista – duplicemente contraddittorie, perché negavano il senso stesso del divenire storico («Was kein Datum hat, das ist nicht historisch»)111 e perché riman-davano a una presunta superiore autorità ecclesiastica, che, nei fatti, non esisteva112 – erano contrapposti i fattori dina-mici della bürgerliche Gesellschaft, che, in virtù della propria «forza interna» (innewohnende Kraft), aspirava a un’adeguata considerazione statale (staatliche Geltung)113. All’interno di questo panorama polemico, Rochau collocò la celebrazione del ceto medio borghese, ossia di quella «vera aristocrazia» (echte Aristokratie) del denaro e dello spirito, che costituiva una «componente fondamentale dell’organismo pubblico»114:

109 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 331-333.110 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 120-121.111 Ibidem [Erster Teil], pp. 49-50: «Ciò che non ha data, non è storico. Più precisamente si potrebbe dire: il diritto storico ha qualunque data. In ogni grande epoca storica del passato sono valse altre leggi della vita pubblica e perciò a nessun partito può riuscire diffi cile ritrovare il diritto a cui si richiama in qualche secolo passato». 112 Ibidem [Erster Teil], p. 47: «con il richiamo alla legge divina, la scienza dello Stato abdica a favore della teologia … Dunque resta ora ancora da individuare la vera autorità. È forse quella dei teologi della corte imperiale o quella del Collegio cardinalizio, quella di Wittemberg o quella di Ginevra, quella degli Indipendenti o quella degli Episcopali, quella di Bossuet o quella di Mariana?». Più in generale, cfr. anche il capitolo «Von kirchlichen Dingen», nel quale Rochau attaccò violentemente il carattere reazionario dell’allenza tra Stato e Chiesa, ibidem, pp. 106-118, in particolare p. 110. 113 Ibidem [Erster Teil], p. 32.114 Ibidem [Erster Teil], p. 60 e cfr. anche F.C. DAHLMANN, Die Politik, pp. 162-163, laddove afferma «Quasi in ogni parte del mondo un ceto medio,

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«Il benessere materiale e l’educazione unite tra di loro sono sempre più forti del numero e quella costituzione, che contro di sé ha l’intelligenza e il denaro, è di fatto già condannata. Una politica che ignora le forze esistenti, per mettere al loro posto le creazioni dell’idea, ebbene tale politica non è altro che un’assurdità politica»115.

Facendosi portavoce di un liberalismo borghese autosuffi -ciente e consapevole della propria forza116, Rochau giustifi cò le rivendicazioni politiche del Mittelstand alla luce non solo del proprio «potere sociale», ma anche del proprio carattere autenticamente anti-autoritario:

«L’intelligenza e il benessere devono partecipare al trattamento delle fac-cende politiche secondo una misura che corrisponde al loro valore sociale. In questa circostanza, l’intelligenza e il benessere, in forza della propria origine, della propria natura e della propria storia, staranno sempre dalla parte della libertà non appena lo Stato sarà minacciato da una qualsiasi forma di dispotismo, ugualmente che sia di tipo temporale o spirituale, di tipo monarchico o demagogico»117.

Anche in Germania, nonostante fosse meno consistente per numero, ricchezza e infl uenza rispetto alla borghesia francese dei ricchi imprenditori e commercianti (Fabrikanten und Handelsherren), il Mittelstand era stato il principale prota-gonista della lotta secolare contro l’assolutismo. E sebbene fossero storicamente rimaste perlopiù estranee e indifferenti alla «lotta di libertà per la conquista dei diritti civili», anche le masse popolari avevano fi nito per godere dei benefi ci via via conquistati dal Mittelstand:

«Ciò che lo Stato ha compiuto per le classi popolari più povere e oppresse è quasi sempre dipeso dagli sforzi dell’uomo del ceto medio, e dall’infl uenza che ha esercitato in questa o in quella posizione, in qualità di burocrate o di

sempre più esteso e sempre più omogeneo, forma il nucleo della popola-zione; con le sue armi, esso si è impossessato della sapienza dell’antico clero, delle sostanze dell’antica nobiltà. Ogni governo deve tenerlo in massima considerazione, perché in esso risiede attualmente il centro di gravità dello Stato e tutto l’organismo segue il suo movimento».115 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 182.116 L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 355.117 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 183.

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deputato, mediante la stampa o nei ministeri. Nei principali Stati tedeschi, i tre quarti del popolo, che coincidono con il ceto contadino, devono la propria condizione civile e una buona parte del proprio benessere econo-mico al ceto medio»118.

Per quanto fosse consapevole del «lato oscuro» del suo carat-tere, tra cui la predisposizione alla meschinità e una certa «timidezza» di fronte alle grandi decisioni, sia nel 1853, sia nel 1869, anticipando in termini generali una teoria della «classe politica» nonché alcuni segmenti concettuali del paradigma elitistico, Rochau non esitò a mettere in luce quelle «eccellenti qualità» che rendevano il Mittelstand «il pilastro portante per la creazione dello Stato tedesco» e quindi lo candidavano come legittima «herrschende Klasse»119.

«In virtù della sua cultura, del suo patrimonio, del suo spirito imprendito-riale, della sua laboriosità e della sua produttività, il Mittelstand è diventato il vero agente dello sviluppo culturale, della prosperità economica e del progresso politico»120.

Rispetto all’interpretazione formulata da Dahlmann, secondo cui il Mittelstand, in quanto depositario della öffentliche Meinung, tendeva idealmente alla società intera, venendo a identifi carsi completamente con il «vero popolo». Rochau fu ben più cosciente del suo reale signifi cato politico e sociale, al punto che affermò:

«Nessun pensiero politico, cui manchi il consenso del Mittelstand è maturo per l’azione; nessuna innovazione politica attuata senza di esso ha possi-bilità di durata; acquisire il Mittelstand è il compito più importante per ogni partito politico»121.

118 Ibidem [Erster Teil], pp. 140-141; [Zweiter Teil], pp. 228-229.119 Mi permetto di segnalare a tal proposito il mio intervento Il Mittelstand liberale come herrschende Klasse?120 Ibidem [Zweiter Teil], p. 264; I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 182-187.121 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 143. In questo senso, il principale errore commesso dai democratici nel corso del 1848-1849 era aver sottovalutato l’importanza del Mittelstand e aver proiettato «le proprie convinzioni, passioni e fi nalità nella massa del popolo tedesco»; ibidem, p. 137. In generale cfr. T. ZUNHAMMER, Zwischen Adel und Pöbel, pp. 55-87 e soprattutto pp. 82-87.

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Rivelando una percezione delle dinamiche sociali sensibilmente diversa sia rispetto a quella dei democratici, che identifi cavano il popolo nelle sole classi lavoratici sia rispetto a quella dei liberali moderati, che, in linea con l’aristotelismo di Dahlmann e lo storicismo di Savigny, continuavano a concepire la società come societas civilis sive res publica, Rochau rideclinò il concetto indifferenziato di Volk in funzione della complessità sociale e politica della società borghese:

«La questione del vero, reale popolo interessa da molto vicino ogni partito e ogni partito trova il vero, reale popolo laddove ritrova le sue prospettive o quantomeno gli strumenti disponibili per i suoi obiettivi. L’assolutismo militare considera l’esercito l’elite del popolo, il regime patriarcale ha cura di chiamare nucleo del popolo il massiccio ceto contadino delle province tradizionaliste, la burocrazia vede il vero popolo soprattutto nella porzione piccolo-borghese del ceto urbano, il partito costituzionale considera come popolo reale solamente il ceto medio dotato di cultura e di proprietà, la democrazia è fortemente incline a escludere dal popolo tutto ciò che non appartiene al proletariato»122.

In contrapposizione a tali proiezioni ideologiche, Rochau distinse tra il «concetto storico-genealogico» di nazione e quello «puramente politico» di popolo. Rispetto allo Stato, la nazione – intesa come Gesamtpersönlichkeit des Volkes –, lo spirito nazionale e l’amor di patria, costituivano una «pre-ziosa garanzia dell’ordine naturale della società», cui spettava il compito di rafforzare il senso d’appartenenza, mediante i vincoli linguistici, etnici e storici: in tal senso, laddove le «naturali forze organiche» (organische wirkende Naturkräfte) della nazione fossero state sostituite da «espedienti meccanici» (mechanische Notbehelfe), lo Stato sarebbe divenuto un semplice involucro istituzionale, incapace di orientare la comunità verso il conseguimento di obiettivi comuni123. Al contrario, il popolo

122 A. L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 57.123 Ibidem [Erster Teil], pp. 35-36. Nel quadro della visione di Rochau, anche la nazione – che non era il prodotto né di un compromesso, né di un atto di volontà – possedeva una natura compatibile solo con precisi obiettivi: per tale ragione, il compito della politica consisteva nell’interpretare il Nationalgeist, aggiornandone e modellandone la confi gurazione statale a seconda della zeitgeistliche Bewegung; ibidem, pp. 189-190.

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traeva la propria origine «nello Stato e attraverso lo Stato, in quanto globalità degli appartenenti alla comunità statale oppure, in senso politico più stretto, quale grande gruppo sociale dei governati di fronte a quello dei governanti».

Se il rapporto dinamico tra Stato e società rendeva necessa-rio il sistema rappresentativo, ossia quel sistema attraverso cui lo Stato poteva integrare organicamente le forze sociali, incrementando la propria «potenza» (Staatskraft)124, allora, secondo Rochau, la lotta tra governati e governanti per la conquista e per il mantenimento del potere pubblico diveniva un fattore decisivo per comprendere tutte quelle dinamiche, che, animando «il secolo presente più di qualsiasi altro secolo passato», tendevano alla realizzazione non tanto del semplice auto-governo amministrativo (Selbstverwaltung), quanto piutto-sto del vero e proprio auto-governo politico (Selbstregierung), secondo una logica destinata, in prospettiva, a ridurre sempre più la distanza tra gli stessi governati e governanti:

«I governati aspirano alla partecipazione al governo, che gli è negata dai governanti quanto più possibile e la cui soddisfazione fi nale comporta subito nuove rivendicazioni. In una parola, consapevolmente o inconsape-volmente, il tempo gioca a favore di un livellamento della contrapposizione tra governati e governanti – l’autogoverno rappresenta l’obiettivo fi nale più o meno riconosciuto delle rivendicazioni politiche del popolo»125.

Nonostante la coesione indotta dall’aspirazione all’autogo-verno politico, il popolo, cioè la massa dei governati, era tuttavia diviso al proprio interno da «naturali partizioni», legate anzitutto alla diversa distribuzione della ricchezza e della cultura. Per tale ragione, secondo Rochau, lo stesso fi ne dell’autogoverno assumeva angolazioni diverse «a seconda della

124 Ibidem [Erster Teil], p. 38, soprattutto laddove Rochau afferma che qualsiasi forma di governo, anche il più oppressivo dei regimi teocratici, richiede una certa «libera partecipazione» delle forze sociali e quindi il ricorso a una qualche forma di rappresentanza: «Quanto più lo Stato è ricco di forze sociali, tanto più fa affi damento sulla libera collaborazione di quelle e il costante bisogno di una tale collaborazione spinge necessariamente verso il sistema rappresentativo». 125 Ibidem [Erster Teil], pp. 55-56.

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differenza di forze e di capacità insite nelle diverse classi del popolo», cioè a seconda della diversa «capacità politica» di ogni porzione sociale del popolo126. In questo senso, anche il grande «gruppo dei governati» non era formato da una massa omogenea e indifferenziata, bensì da un articolato insieme di formazioni sociali, ognuna delle quali aspirava, a seconda del proprio peso, a partecipare al processo decisionale e quindi a farsi soggetto politico.

Ribadendo che la «partecipazione alle questioni politiche» era prerogativa esclusiva di quelle forze sociali che dimostravano di possedere maggiore «capacità politica», Rochau affermò che, come la «giusta costituzione» (richtige Verfassung) era quella che «constatava i rapporti di forza esistenti» nella società, conferendo loro riconoscimento statale127, così la «giusta rappresentazione» (richtige Repräsentation) era quella che permetteva ai gruppi sociali, che davvero ne avevano diritto, di essere rappresentati politicamente:

«Il giusto sistema rappresentativo è quello che rappresenta ciò che ha diritto a essere rappresentato. Una giusta aspirazione a essere rappresentati politica-mente non deriva né dal diritto, né dall’interesse e tanto meno dal numero, ma sempre solo dalla forza che dimora in quel diritto, in quell’interesse e in quel numero»128.

In particolare, secondo Rochau, la vera «capacità politica» e il legittimo diritto a prendere parte al processo di formazione delle decisioni politiche risiedevano in quella parte della società, in cui i tre fondamentali fattori di potere sociale (soziale Hauptmächte) – «ricchezza» (Reichtum), «opinione» (Meinung) e «intelligenza» (Intelligenz) – erano presenti in proporzioni maggiori. Ne derivava che, rispetto alla consistenza effettiva della rappresentanza dal punto di vista del potere, cioè rispetto alla forza della rappresentanza stessa, la procedura elettorale

126 Ibidem [Erster Teil], p. 58.127 Ibidem [Zweiter Teil], p. 220.128 Ibidem [Erster Teil], pp. 39 s. In relazione al problema della rappresen-tanza nella cultura politica democratica e liberale tedesca, cfr. U. BACKES, Liberalismus und Demokratie, pp. 334-358.

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adottata – secondo ceto, censo o suffragio universale – era sostanzialmente irrilevante, in quanto dipendente dalle singole opportunità e dalle concrete circostanze di fatto.

«Se la rappresentanza politica non è la precisa espressione delle forze sociali, il sistema rappresentativo diviene necessariamente una menzogna, perché la vita reale avrà sempre vittoria su una formula che la contraddice»129.

In altri termini, secondo la prospettiva anormativa di Rochau, il vero signifi cato della rappresentanza consisteva nella capacità di portare al potere quelle forze sociali che esprimevano, indif-ferentemente dal diritto, dagli interessi e dalla loro consistenza numerica, un maggior grado di forza e di consapevolezza politica:

«Non il numero fa la forza, bensì l’organizzazione, sicché laddove un corpo politico fortemente strutturato, come per esempio una vera aristocrazia, si contrappone a una massa disorganizzata, esso riuscirà sempre ad affermare il proprio primato sulla grande maggioranza»130.

In questo senso, neppure il principio di maggioranza costituiva un criterio suffi cientemente valido per determinare la innewo-hnende Kraft presente in quella determinata forza sociale che aspirava a diventare politicamente dominante (herrschende Klasse):

«La maggioranza non è sempre la più forte … Una piccola minoranza, che conosce bene ciò che vuole e ciò che può, che con tenacia e forza di volontà tende ai propri obiettivi, che mantiene l’ordine e agisce secondo un piano preciso, ebbene una tale minoranza avrà nella politica sempre un peso maggiore rispetto a quello di una semplice maggioranza, alla quale, a causa della propria consistenza numerica, manca consapevolezza, unità e disciplina».

Come avrebbe ribadito nel 1868, in Zur Orientirung im neuen Deutschland, il principio di maggioranza, ritenuto a torto un’espressione autentica del diritto, assumeva infatti un «signifi cato giuridico», solo in quanto espressione del mero «diritto del più forte»:

129 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 39-40. 130 Ibidem [Erster Teil], p. 41.

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«La maggioranza dice infatti alla minoranza: se non ubbidisci di buon grado, ricorro alla superiorità che mi è assegnata dal numero. In tal modo la minoranza decide di cedere spontaneamente, come se fosse essa stessa a decidere – questo è il contenuto del principio di maggioranza»131.

Per tale ragione, secondo Rochau, il principio di maggioranza diveniva nullo, non appena il criterio della semplice superiorità numerica non corrispondeva più ai reali rapporti di forza, cioè nel momento in cui la minoranza dimostrava di detenere effettivamente il potere politico (politische Macht)132. Più in generale, l’insistenza sul concetto di «capacità politica» (poli-tische Tüchtigkeit), sulla necessità non solo di «contare», ma anche di «pesare» i voti133, il favore verso il sistema censitario134 e soprattutto le sorprendenti dichiarazioni contro il principio di maggioranza – sino ad allora uno dei principi fondamentali della dottrina liberale dello Stato – sono tutti elementi che rivelano il sostanziale imbarazzo di Rochau di fronte ai feno-meni della massifi cazione politica e dell’inedito protagonismo delle masse extra-borghesi. Mediante la riproposizione del classico binomio Bildung-Besitz, infatti, il Mittelstand liberale e nazionale auspicato da Rochau stentava, in virtù della sua forte venatura elitaria, a porsi su un piano universale, restando, per così dire, intrappolato tra la polemica anti-feudale da un lato, la paura delle masse dall’altro135.

Tale contraddizione risulta evidente soprattutto nell’VIII capi-tolo dei Grundsätze der Realpolitik del 1853, laddove, richia-mandosi all’intenso dibattito che si era scatenato all’indomani del riconoscimento, da parte della Nationalversammlung di Francoforte, del principio della sovranità popolare, Rochau

131 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, p. 6.132 A.L. VON ROCHAU, Recht und Macht, p. 564.133 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 87-88.134 Ibidem [Erster Teil], pp. 88-89, soprattutto dove Rochau afferma che «l’esperienza storica depone a favore del censo e la ragione politica, quanto meno, non depone a suo sfavore».135 A tale proposito, cfr. T. HAMEROW, The Social Foundations of German Unifi cation, pp. 293 ss. e 320-321.

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affrontò la questione delle articolazioni cetuali e quella del suffragio universale.

Nel primo caso, dispiegando una dura polemica contro lo Jun-kertum e contro Stahl, egli giunse, a differenza di Dahlmann, al pieno superamento della tradizionele società per ceti:

«Lo Junkertum nell’intero mondo civile è il solo vero amico della concezione cetuale, che non solo lusinga i suoi pregiudizi, ma gli offre anche pretesto e mezzo per la conservazione o restaurazione del suo prepotere di una volta nell’ambito della pubblica rappresentanza … La concezione cetuale è in verità per lo Junkertum una condizione politicamente vitale e una politica, che è determinata a prolungare l’artifi ciale esistenza politica dello Junkertum di fronte a ogni prezzo e a ogni pericolo, ebbene una siffatta politica trova infatti nel principio cetuale il mezzo più adatto per simile scopo»136.

In particolare, oltre a prendere posizione contro l’aspetto vin-colante del mestiere e il carattere monopolistico implicito nella corporazione artigianale tradizionale, Rochau contrappose la premoderna «articolazione organica della società» (organische Gliederung der Gesellschaft) al moderno «spirito di partito» (Parteigeist). Affermando che «il partito ha oggi più sostanza politica del ceto, l’interesse di partito prevale sull’interesse di ceto», egli riconobbe infatti che gli stessi deputati «eletti secondo il ceto» non portavano più nulla con sé del proprio originario carattere cetuale, ma operavano invece come auten-tici rappresentanti della nazione. Ne conseguiva naturalmente, secondo Rochau, che tale principio era ormai diventato una semplice fi nzione e che il «sistema della rappresentanza per ceti nella sua utilizzazione nello Stato odierno» risultava «intrinsecamente e assolutamente falso»137.

Nel secondo caso, non escludendo pregiudizialmente la plausi-bilità del suffragio universale, il quale, come aveva dimostrato il caso della Francia bonapartista, non era incompatibile né con il sistema monarchico, né con il dispotismo, Rochau affermò:

«I difetti del suffragio universale sono evidenti. Sin da subito sembra che esso dia alle classi popolari più numerose, ma anche più ignoranti e povere,

136 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 96.137 Ibidem [Erster Teil], pp. 94-95.

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un soprappeso tanto pericoloso quanto innaturale, soprattutto in relazione al fatto che l’effettivo peso politico di quelle classi popolari è ben più ristretto del numero e della somma dei loro voti».

La presenza di «centinaia di migliaia» di individui, totalmente privi di qualsiasi «opinione politica» così come di qualsiasi «volontà politica», quindi facilmente manipolabili da «dema-goghi» (Demagogen) e «capi popolo» (Brotherren), comportava inoltre una grave «falsifi cazione della volontà popolare»138. A ciò doveva infi ne essere aggiunto il carattere «demoralizzante», «indolente», «conservatore», disposto a rendere omaggio al «potere del giorno» (Macht des Tages), del suffragio universale, il quale, come aveva dimostrato il plebiscitarismo bonapar-tista, fi niva spesso per svolgere il ruolo di «complice della tirannide»139.

A dispetto degli effetti distorsivi del suffragio universale, Rochau riconobbe tuttavia l’«irresistibile forza», che risiedeva nella «solenne e indubitabile risoluzione della maggioranza del popolo»140.

Dal suo punto di vista, infatti, rispondendo a quella parti-colare tendenza dei tempi moderni, orientata alla maggiore espansione possibile dei diritti civili e politici, il suffragio universale aveva il pregio di accrescere il numero complessivo degli elettori, di introdurre un salutare elemento popolare, di incrementare il senso civico e infi ne di rafforzare in termini politici la rappresentanza:

«Visione politica, maggiore cultura, moderazione, fermezza di giudizio, in breve le qualità proprie dell’uomo di Stato non sono suffi cienti a dare alla rappresentanza il suo pieno signifi cato politico»141.

138 Ibidem [Erster Teil], pp. 87-88.139 Ibidem [Erster Teil], soprattutto p. 88.140 Ibidem [Erster Teil], pp. 89-90.141 Ibidem [Erster Teil], pp. 90-91.

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2. Il «Nationalverein» e la rivoluzione dall’alto (1859-1869)

Nonostante la scarsità di informazioni precise, è probabile che Rochau abbia trascorso gran parte degli anni compresi tra 1852 e 1858 a Heidelberg, dedicandosi con assiduità all’attività di scrittore politico: risalgono infatti a questo periodo la breve ma signifi cativa collaborazione con i «Deutsche Annalen» (1853), la pubblicazione della prima parte dei Grundsätze der Realpolitik (1853) e di alcuni altri scritti minori, tra cui Die Moriscos in Spanien (1853), Geschichte Frankreichs vom Sturze Napoleons bis zur Wiederherstellung des Kaiserthums (1858) e le controverse Briefe eines Deutschen über die deutsche Bundes-reform (1859). Inaugurata nel 1858 dalle celebrazioni per il trecentesimo anniversario della fondazione dell’Università di Jena, la vigilia degli anni Sessanta fu segnata dal suo ritorno alla militanza attiva142. Questa nuova stagione della biografi a politica di Rochau si collocò sullo sfondo di tre eventi di importanza cruciale: l’avvio della neue Ära in Prussia (1858), la costituzione del Nationalverein (1859) e la guerra austro-franco-piemontese (1859).

In seguito alla conclusione del ministero Manteuffel e alla complessa manovra che aveva portato alla formazione di un nuovo esecutivo in Prussia e all’inaugurazione di una nuova stagione politica, la cosiddetta «Neue Ära», la borghesia tedesca aveva cominciato a riacquistare fi ducia e a maturare un certo ottimismo circa la possibilità di conquistare alla propria causa il sostegno di quella forza che, mancata nel 1848, ne aveva pregiudicato il successo143.

142 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, p. 15; N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 17-18.143 Le ambiguità di tale svolta erano in buona parte affi orate già nel discorso pronunciato dal principe Guglielmo nel novembre del 1858, in occasione del quale la genericità del programma politico del nuovo governo fu controbilan-ciata da alcune dichiarazioni, che sembravano lasciar intendere un rinnovato impegno verso un «rafforzamento del dominio della legge» e verso altre non meglio precisate «conquiste morali». In realtà, nell’ambito dello Stato prus-siano, che continuava a reggersi sui vertici del triangolo burocrazia-esercito-aristocrazia, le parole del principe ribadivano indirettamente che il nuovo governo si sarebbe confi gurato non all’insegna di una radicale cesura, ma di

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A partire dai primi mesi del 1859, nonostante l’evidente delicatezza della situazione politica, le iniziative intraprese in questa direzione furono molteplici144: da un lato, un conside-revole fl usso di pubblicazioni esortò il governo di Berlino a intraprendere con fermezza una politica nazionale; dall’altro, nel settembre dello stesso anno, fu costituito, su iniziativa di alcuni esponenti liberali e democratici, il Deutscher Nationalver-ein, il quale, secondo le modalità tipiche del pressure group, si propose sin dall’inizio di favorire la mobilitazione dell’opinione pubblica a sostegno della causa liberale e nazionale145.

Rispetto all’operazione politico-culturale che aveva portato alla fondazione dei Preußische Jahrbücher da parte dei liberali moderati di Rudolf Haym, il Nationalverein rappresentò una vera e propria novità soprattutto sul piano politico-organiz-zativo. Grazie a una ramifi cata rete associativa a carattere transregionale, alla quale nel giro di pochi anni aderirono oltre venticinquemila membri, a un gruppo dirigente semi-professionale riunito in un comitato centrale (Ausschuß) e a un solido apparato burocratico, esso fu al tempo stesso motore ed espressione del processo di nation-building in Germania146.

un aggiustamento, nel senso di una più marcata promozione di quei fattori di unifi cazione, quali, ad esempio, l’unione doganale; E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 272-274 e, dello stesso autore, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, II: Deutsche Verfassungsdokumente 1851-1918, 1964, pp. 31-33. Per un giudizio retrospettivo sul carattere ambiguo del 1858 e sulle responsabilità dei deputati liberali prussiani, ritenuti incapaci di affrontare con decisione le questioni centrali della vita politica, cfr. A.L. VON ROCHAU, Rückschau auf den preußischen Landtag, pp. 44-45.144 Il 1859 fu percepito dagli stessi contemporanei come «un anno epocale della storia europea e tedesca»; cfr. H. VON SRBIK, Deutsche Einheit, II, p. 333. Secondo Wilhelm Wehrenpfennig, esso non comportò vantaggi pratici, ma contribuì a ridestare nei liberali la consapevolezza della necessità di una riforma strutturale del Bund. In tal senso, sia la fondazione dei «Preußische Jahrbücher», sia la costituzione del Nationalverein testimoniano l’attestarsi del movimento liberale sul piano del realismo, ma soprattutto l’intenzione di superare le vecchie divergenze ideologiche in vista dell’unità; E. PORTNER, Die Einigung Italiens, p. 117. 145 L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 413.146 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 387-393; A. BIEFANG, Politisches Bürgertum, pp. 75-79.

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Sotto il profi lo politico, il Nationalverein fu il risultato di una serie di congressi regionali, che, culminati nella dichiarazione congiunta di Eisenach del 14 agosto 1859, resero possibile la collaborazione strategica tra lo schieramento liberale e quello democratico in vista di una riforma in senso federale del Deutscher Bund, secondo il modello della Reichsverfassung del 1849: il prezzo di tale accordo coincise tuttavia con la rinuncia alla stesura di un programma chiaramente defi nito, il quale, a prescindere dal proposito di conseguire, «con ogni mezzo legale», l’unifi cazione nazionale, lasciò appositamente aperta ogni questione relativa alle competenze di un eventuale governo provvisorio e alle concrete modalità di risoluzione del dualismo austro-prussiano147.

Ispirandosi, dal punto di vista politico, al modello della Società Nazionale Italiana148 e riproducendo, dal punto di vista organizzativo, gli esempi offerti, in Germania, dagli Arbeiter-Verbände e, in Gran Bretagna, dalla Anti-Corn Law League di Richard Cobden e John Bright149, il Nationalverein rappre-senta uno dei prodotti più genuini della Umorientierung postquarantottesca e, al contempo, uno dei luoghi privilegiati in cui poter misurare l’effettiva incidenza delle idee di Rochau sulla storia del movimento liberale e nazionale tedesco150. Se

147 A. BIEFANG, Politisches Bürgertum, pp. 248-259 e, dello stesso autore, Der Deutsche Nationalverein, p. XIX. Le premesse per la dichiarazione del 14 agosto furono poste il 17 luglio 1859 ad Eisenach, in occasione di un’assemblea di democratici guidati da Schulze-Delitzsch, e, due giorni dopo, ad Hannover, da un’assemblea di liberali guidati da Rudolf von Bennigsen; E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, 1970, pp. 387-388 e, dello stesso autore, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, II, pp. 90-91. 148 H. VON SRBIK, Deutsche Einheit, III, p. 18.149 A. BIEFANG, Der Deutsche Nationalverein, pp. XIII-XIV. In relazione al rapporto con le masse popolari e con le organizzazioni dei lavoratori, perlopiù segnato in senso strumentale e paternalistico, cfr. T. HAMEROW, The Social Foundations of German Unifi cation, pp. 320-321, e L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 418. 150 Si veda per esempio la lettera di Rudolf von Bennigsen a Ludwig Reyscher (20 marzo 1860), in cui il primo affermò che la scelta di Rochau come caporedattore della «Wochenschrift» risulta una «Garantie fuer eine tüchtige Haltung», I, p. 375.

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la coincidenza delle date – la ristampa della prima parte dei Grundsätze der Realpolitik risale al 1859 – è già di per sé indicativa dell’orizzonte teorico che fece da sfondo alla prassi concreta del Nationalverein, gli incarichi di responsabilità che Rochau assunse sia a livello dirigenziale, con il suo ingresso nel comitato centrale dell’organizzazione, sia a livello pubblicistico, con la direzione della «Wochenschrift des Nationalvereins» e con la stesura, tra 1860 e 1869, di oltre trecento articoli, con-corrono ampiamente a testimoniare la sua rilevanza in qualità di infl uente opinion-maker151.

Lo stretto legame tra l’attività teorica di Rochau e l’attività pratica del Nationalverein trova riscontro anche nella concreta applicazione di molte delle idee formulate nei Grundsätze: si pensi, per esempio, alla composizione sociale dell’orga-nizzazione, prevalentemente orientata verso quel ceto medio liberale al quale Rochau aveva attribuito il primato politico nazionale152; si pensi al rapporto tra «politica dal basso» (Politik von unten) e «politica dall’alto» (Politik von oben) che avrebbe condizionato, soprattutto dopo la guerra contro la Danimarca, la condotta del Nationalverein di fronte al governo prussiano; si pensi infi ne alla volontà di trasformare l’opinione pubblica in «potere pubblico» (öffentliche Macht), facendo costantemente ricorso a forme imponenti di agitazione propagandistica.

a. Il 1859 tra guerra e rivoluzione

Come era già avvenuto nel 1853 in occasione della vigilia della guerra di Crimea, anche nel 1859 l’impegno pratico e teorico di Rochau ricevette un potente stimolo non solo dalle trasformazioni in atto nel panorama politico interno, ma anche,

151 K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig Rochaus, p. 3, e W. KRAUS-HAAR, Realpolitik als Ideologie, p. 104. Gli articoli di Rochau sull’organo di stampa del Nationalverein sono facilmente riconoscibili, grazie alla presenza di una R (Rochau) o della sigla DH (Der Herausgeber). 152 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 141; N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 48-49.

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da quelle in atto sul piano internazionale153. In questo caso fu soprattutto la guerra d’Italia ad assumere importanza cruciale: anzitutto, perché l’inconsueto abbinamento tra rivoluzione e guerra di tipo tradizionale sollecitava inevitabilmente un’appro-fondita rifl essione; in secondo luogo, perché presentava sullo sfondo una situazione per molti aspetti paragonabile a quella tedesca, nella quale, accanto agli interessi contrapposti di uno Stato regionale dominante e di un insieme di Stati dinastici di medie e piccole dimensioni, erano abbinati anche quelli di due grandi potenze, la Francia e l’Austria. Come riconobbe retrospettivamente lo stesso Rochau:

«Molti anni erano trascorsi senza che la questione tedesca fosse nuovamente sollevata … Solo la guerra italiana comportò un cambiamento in meglio. In considerazione dell’imminente pericolo, la coscienza dei propri doveri si risvegliò nuovamente nel popolo tedesco»154.

E in effetti, sulla scia degli eventi bellici, il mondo politico tedesco si divise tra coloro che, per difendere la causa nazio-nale, ritennero necessario un intervento della Prussia a fi anco dell’Austria e coloro che, per la stessa ragione, ritennero opportuno il mantenimento della neutralità in funzione impli-citamente anti-austriaca155.

153 A.L. VON ROCHAU, Ein Zwiegespräch mit dem Dresdener Journal, p. 239.154 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 270 e, dello stesso autore, Briefe eines Deutschen, p. 1. Si vedano poi J. PETERSEN, Risorgimento und italienischer Einheitsstaat, pp. 65-66; T. SCHIEDER, Das Italienbild der deutschen Einheitsbewegung, pp. 141-162; A. WANDRUSZKA, Liberalismus und Nationalismus in der deutschen und italienischen Einigungs-bewegung, p. 58.155 Per la prima posizione, cfr. A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik, pp. 197 ss. (Einleitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils), e M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, II, p. 23 (lettera alla madre, 29 aprile 1859), p. 30 (lettera a Wilhelm Nokk, 15 giugno 1859), p. 35 (lettera a Hein-rich Bachmann, 16 giugno 1859); per la seconda posizione, cfr. F. LASSALLE, La guerra d’Italia e il compito della Prussia (1859), soprattutto pp. 47-52, e infi ne la lettera di Georg Gottfried Gervinus a Hermann Baumgarten, 29 aprile 1859, in J. HEYDERHOFF - P. WENTZCKE, Deutscher Liberalismus, I, pp. 29-31. Per una panoramica generale, T. SCHEFFER, Die preussische Publizistik im Jahre 1859 unter dem Einfl uss des italienischen Krieges; A. MITTELSTAEDT, Der Krieg von 1859. Interessante, infi ne, la tesi di Michels, circa la sostanziale diffi denza tedesca verso il Risorgimento, in R. MICHELS, Italien von heute, p. 15.

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In particolare, l’auspicio di un intervento militare prussiano era giustificato dal timore di un’incontrollata espansione dell’egemonia francese e soprattutto dal timore della guerra civile: mentre la guerra dinastica di Cavour sembrava mirare essenzialmente a un ampliamento dei margini di manovra per una ‘rivoluzione ordinata’, compiuta sotto le insegne dello Stato sabaudo, la guerra nazionale di Garibaldi costituiva una pro-spettiva duplicemente pericolosa, perché, da un lato, rischiava di mettere in moto lo «spirito della sovversione» (Geist des Umsturzes), dall’altro, rischiava di conferire implicita legittima-zione alle aspirazioni autonomistiche delle minoranze polacche e danesi: anche in Germania, perciò, il vero nodo della questione ricadeva sulla possibilità di immunizzare la guerra nazionale, mediante l’alleanza con uno Stato che si facesse garante della continuità degli ordinamenti sociali e istituzionali156.

Un così fi tto intreccio di problematiche non poteva non avere una ricaduta sull’opera di Rochau, la quale, in effetti, rispec-chiò in pieno tutte le contraddizioni presenti nella rifl essione liberale del tempo.

Un primo esempio paradigmatico, che contribuisce a rivelare sia l’estrema fl uidità della situazione politica intorno alla fi ne degli anni Cinquanta, sia la variabilità delle soluzioni via via prese in considerazione, è rappresentato dall’Introduzione alla ristampa della prima parte dei Grundsätze der Realpolitik. In queste pagine, composte nel marzo del 1859, riprendendo il senso delle conclusioni cui era giunto nel 1853, quando aveva denunciato l’estrema precarietà della situazione politica tedesca, Rochau sventolò lo spettro dell’imminente invasione francese:

«Nessuna delle grandi nazioni dell’Europa vuole la guerra, nessuna passione militare o politica spinge verso la guerra, nessun grande interesse statale …cerca giustifi cazione con la guerra e tuttavia, di giorno in giorno, si rafforza la convinzione che la guerra verrà. L’Imperatore Napoleone è il solo che vuole la guerra»157.

156 J. LEONHARD, Nati dalla guerra, I, p. 39.157 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik, p. 192 (Einleitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils).

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Il ricorso alla minaccia dell’invasione francese era naturalmente funzionale all’obiettivo dell’unifi cazione nazionale. A suo parere, infatti, anche solo l’idea di tale guerra non sarebbe stata possibile se l’Europa fosse stata «costituzionalmente sana» e le sue più importanti articolazioni nazionali non fossero state «pericolosamente malate».

Ciò valeva soprattutto per la Germania, la quale, se avesse intrapreso la via che portava alla costruzione di uno «Stato potente», sarebbe stata sicuramente in grado di distogliere Parigi dal tentare «un gioco scellerato con la pace dell’Europa»:

«La debolezza della Germania è la ragione principale sia dello strapotere francese, sia dell’arroganza francese. E fi no a quando le condizioni della Germania resteranno quelle attuali, quelli che saranno di volta in volta i detentori del potere in Francia manterranno … le chiavi della pace e della guerra in Europa»158.

Nel contesto internazionale del 1859, secondo Rochau, non era né l’«invidia verso l’egemonia austriaca in Italia», né il timore di una rivoluzione in Europa e tantomeno la condivisione degli obiettivi nazionali italiani a spingere la Francia verso la guerra, ma un «puro motivo personale» e, cioè, la paura da parte di Bonaparte di essere travolto dagli eventi. In questo senso, come la bellicosità dell’Imperatore francese era spiegabile nei termini di una vera e propria «patologia», così anche la spregiudicatezza politica che lo aveva indotto a trasformarsi, da un giorno all’altro, nel «campione del nazionalismo italiano», era rimandabile, a suo parere, al timore che la passione nazio-nale italiana si trasformasse, come aveva peraltro dimostrato il fallito tentativo di Orsini, in «odio» verso la Francia e in un «pericolo mortale» per il regime bonapartistico159.

Completamente diverse erano invece le prospettive dell’Au-stria, la quale, avendo perso, nel corso della guerra di Crimea, l’occasione di tornare a essere una potenza europea di primo piano, si trovava dinnanzi al rischio del tramonto defi nitivo.

158 Ibidem [Erster Teil], p. 193.159 Ibidem [Erster Teil], p. 194.

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A parere di Rochau, infatti, le gravi diffi coltà economiche, il timore di un sempre possibile scontro con la Russia e la titu-bante condotta verso la Francia sollevavano in termini estre-mamente seri il tema della futura sopravvivenza dell’Austria, alla quale, nei fatti, non restava altra scelta che «cadere con onore o con vergogna». Rispetto alla decadenza cui sembrava essere destinata l’Austria, il Regno sabaudo rivelava invece un forte slancio politico, che era anzitutto determinato dall’«am-bizione», dal «desiderio di conquista» e dalla ferma volontà di liberare l’Italia dal dominio straniero160.

A dispetto del suo vigore, secondo Rochau, lo Stato sabaudo doveva fare i conti con «l’insuffi cienza delle proprie risorse» e soprattutto con «la necessità dell’aiuto straniero». In altri termini, svolgendo la funzione di «ariete della politica francese» (Mauerbrecher der französischen Politik), il governo di Torino rischiava di vanifi care gli sforzi compiuti sino ad allora in direzione dell’unifi cazione italiana, perché, in prospettiva, non faceva che sostituire l’egemonia austriaca con quella francese:

«Lo Stato, che lotta contro un nemico potente con l’aiuto di un alleato ancora più potente, prenderà atto degli inconvenienti della propria condizione di debolezza solo al momento della vittoria; e l’indipendenza, che è raggiunta solo grazie all’ausilio di forze esterne, non può, secondo la natura delle cose, signifi care altro se non lo scambio del precedente padrone con un altro»161.

Nel quadro di questo precario intreccio di relazioni inter-nazionali, la situazione della Prussia non era meno delicata. Sebbene fosse la «naturale e necessaria rivale» dell’Austria, essa doveva infatti evitare a tutti i costi l’«assurdità politica» di mantenersi neutrale, perché, se un’eventuale vittoria francese avrebbe signifi cato per Vienna la perdita di una «provincia», per Berlino avrebbe comportato la perdita dello status di potenza e, più in generale, il ritorno alla situazione che era stata sancita con la Pace di Basilea del 1795.

160 A.L. VON ROCHAU, Camillo Cavour, p. 124 e soprattutto pp. 132-133.161 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 196-197 (Einleitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils).

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Rispetto a quanto sostenuto da liberali come Bamberger, che avevano vigorosamente protestato contro ogni forma di intervento a favore di Vienna162, Rochau affermò che la Prus-sia doveva quanto prima intraprendere i preparativi bellici, non già per ragioni di simpatia verso la casa d’Asburgo o in nome di una «qualche politica dei principi o dei sentimenti» (irgendeine Gefühls- oder Prinzipienpolitik), ma sulla base di un preciso interesse: a fronte dei vantaggi che la Germania poteva trarre da un eventuale indebolimento austriaco, l’ipotesi di un eccessivo rafforzamento francese comportava svantaggi enormi e cioè «l’inizio della fi ne della Prussia»163. Alla guerra conto la Francia, secondo Rochau, spingevano infi ne altre tre considerazioni: in primo luogo, l’orientamento dell’opinione pubblica tedesca, la quale, pur nutrendo forti simpatie verso le legittime rivendicazioni italiane, non poteva in alcun modo tollerare il ripristino dell’egemonia francese164; in secondo luogo, la precarietà degli Stati medi tedeschi, continuamente oscillanti tra l’Austria, la Prussia e la Francia; infi ne la concreta possibilità, nel corso degli eventi bellici, di unifi care la politica estera e militare tedesca165.

Al fondo del ragionamento svolto da Rochau nella primavera del 1859 vi fu insomma, in perfetta sintonia con la strategia perseguita dalla dirigenza del Nationalverein, l’idea che l’assun-zione temporanea da parte di Berlino della massima autorità diplomatica e militare, rappresentando una prima, infor-male «violazione costituzionale» (Verfassungsbruch), avrebbe

162 L. BAMBERGER, Juchhe nach Italia, in particolare p. 175. 163 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 198 (Ein-leitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils).164 Si noti in questo caso la celebrazione dell’opinione pubblica e della libertà di stampa come fattori decisivi della vita politica nazionale in contrapposi-zione alla Meinungs- und Willenlosigkeit dei deputati liberali prussiani; ibidem [Erster Teil], pp. 200-201 (Einleitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils), e A.L. VON ROCHAU, Rückschau auf den preußischen Landtag, in par-ticolare p. 45.165 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 203 (Ein-leitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils), e, dello stesso autore, Kriegs-aussichten und Kriegsrüstungen, pp. 51-52.

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potuto legittimare l’egemonia prussiana all’interno del Bund e quindi, in ultima analisi, costituire una premessa decisiva verso l’unifi cazione.

Lo stesso ragionamento si ritrova, sia pure in termini lievemente diversi, nelle Briefe eines Deutschen über die deutsche Bundes-reform.

Composto tra il giugno e il luglio del 1859 e pubblicato nel-l’agosto dello stesso anno, questo testo, che consiste in una raccolta di undici lettere, ha fi nora comportato alcune diffi coltà sotto il profi lo interpretativo. La totalità degli studiosi non ha infatti esitato a giudicare le idee formulate in esso come il frutto di astruse e irrealistiche rifl essioni che nessuno prese seriamente in considerazione166. Secondo quanto affermato da Wehler, queste lettere, mancando di qualsiasi aggancio con le altre opere di Rochau, lascerebbero perfi no ipotizzare l’even-tualità di un grossolano errore d’attribuzione167. In realtà, in contrapposizione all’immagine stereotipata secondo cui l’autore dei Grundsätze der Realpolitik sarebbe stato un bismarckiano ante litteram, il contenuto delle Briefe rivela la disponibilità tattica da parte di Rochau a prendere in esame, a seconda delle circostanze concrete, soluzioni di tipo diverso e perfi no apparentemente contraddittorie rispetto ai suoi convincimenti.

E in effetti, se si tiene conto sia della precarietà della situazione internazionale, sia del delicato ruolo politico, che, a partire dall’estate del 1859, Rochau svolse tra le fi la del nascente Nationalverein, le Briefe risultano espressione non già di speculazioni «astruse», bensì di una pura esigenza politica:

166 H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 9; N. DOLL, Recht, Politik und «Realpo-litik», p. 18. Altrettanto drastico Portner, secondo cui, nel corso della sua militanza nel Nationalverein, Rochau dimostrò, a differenza di Treitschke, una totale mancanza di realismo, che trovò espressione nella formulazione di ipotesi «visionarie»; E. PORTNER, Die Einigung Italiens, pp. 137-139. 167 Questa ipotesi sembra tuttavia potersi escludere, soprattutto se si tiene conto di quanto affermato nella quinta lettera del testo, risalente al 28 giugno 1859, laddove l’autore fa riferimento a un viaggio attraverso la Fran-cia, compiuto durante l’estate del 1846. Con ogni probabilità si tratta del viaggio che Rochau fece in occasione del suo rientro in Germania, dopo il decennale esilio in Francia; A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, p. 29.

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quella, cioè, di coagulare, all’interno di un vasto movimento d’opinione, le diverse anime dello schieramento nazionale, superando sia le divergenze di natura partitica – tra liberali e democratici – sia quelle di natura ideologica – tra sosteni-tori della soluzione klein-deutsch e sostenitori della soluzione groß-deutsch, tra fautori della soluzione unitaria e fautori della soluzione federale168.

In altri termini, ipotizzando una semplifi cazione del panorama statale tedesco mediante la libera unione degli Stati di medie e piccole dimensioni in un organismo federale (Westreich), che, con la Prussia e l’Austria, avrebbe formato una deutsche Trias, l’intento immediato di Rochau non fu affatto quello di fornire ai liberali di Bennigsen un preciso programma politico169: al contrario, nella convinzione che la realtà politica del 1859 non consentisse più il ripetersi del «fi asco» del 1848, perché l’ultima ora della reazione era fi nalmente arrivata, egli desiderò anzitutto porre all’ordine del giorno il tema della «mancanza di unità», senza tuttavia lasciarsi dominare dalla «faciloneria» (Naivität) che tanto aveva contribuito a discreditare l’azione della Paulskirche170.

Sulla base di tali osservazioni, che evidenziano la sensibilità realistica con cui, di fronte al profi larsi di progetti alterna-tivi di riforma della Bundesverfassung171, cercò di integrare

168 Lettera di Ludwig Reyscher ad August Ludwig von Rochau (25 aprile 1860), nella quale il primo affermò che il «compito principale» della «Wochenschrift» consisteva nel promuovere la compattezza dell’associazione; in K. ASCHE, Das Staatsdenken August Ludwig von Rochaus, pp. 17-18.169 A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, pp. 17-18, 39-40 e 45-46; per la polemica nei confronti del modello centralistico francese, letteralmente ripresa da Tocqueville, cfr. pp. 30-35; si tenga poi presente che, in merito alla Triaslösung, nel biennio 1856-57, si sviluppò un’accanita polemica, che coinvolse personalità come Jakob Venedey, Carl Fetzer ed Hermann Kurz; C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 282-287.170 A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, p. 2 e, dello stesso autore si vedano Ein Rückblick und ein Vorblick e Ein lehrreiches Beispiel, pp. 47 e 85-86, e Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 75, dove aveva affermato che, dopo il 1848, l’idea unitaria si era impiantata a fondo nella coscienza tedesca.171 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 399-420.

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nel movimento nazionale anche quelle porzioni di opinione pubblica meno sensibili, è possibile cogliere appieno il ruolo svolto da Rochau nel dispiegamento della complessa strategia politica del Nationalverein.

Dal 1860 in poi, la sua attività pubblicistica fu in effetti fi nalizzata a fornire una cassa di risonanza per le ambizioni politiche della borghesia nazionale172: in tal senso, la stessa «Wochenschrift» fu concepita per creare «un costante scambio ideale tra il Nationalverein e i suoi membri», diffonderne i principi «presso ambienti sempre più ampi» e realizzarne gli obiettivi politici, tra i quali rientravano «la riunifi cazione degli apparati militari e diplomatici tedeschi», la «convocazione di un parlamento nazionale», la difesa degli interessi tedeschi, lo sviluppo delle forze economiche e il superamento del Polizei-staat a favore «einer vernünftig aufgefaßten Selbstregierung», secondo il modello della Reichsverfassung del 1849173.

Due in particolare sono gli scritti di questo periodo che fanno luce sulle prospettive politiche di cui Rochau si fece autorevole interprete.

Nel primo di essi, Großdeutschland und Kleindeutschland, risa-lente all’autunno del 1860, egli affrontò la questione nazionale nei termini classici dell’antitesi tra groß-deutsch e klein-deutsch. Partendo dalla constatazione della «disperata debolezza sta-tale» della Germania, giudicata alla stregua di un «gigante senz’anima», Rochau riconobbe che l’inevitabile «riforma strut-turale» (Umgestaltung) del Bund poteva avvenire solo attraverso due modalità: quella confederale (Staatenbund), che di fatto non prevedeva mutamenti signifi cativi del sistema fi no ad allora in vigore, e quella federale (Bundestaat), la quale, implicando

172 Lo sforzo teso a estendere l’«effi cacia dell’associazione nella grande massa del popolo» non signifi ca che la «Wochenschrift» aspirasse a divenire un foglio popolare: si trattava piuttosto di dare risposta, su scala nazionale, agli interessi della media borghesia; A.L. VON ROCHAU, Die Preßangelegenheiten des Nationalvereins, n. 44, 1861, p. 365.173 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, n. 1, 1860. pp. 1 s. A proposito della centralità della Reichsverfassung del 1849, cfr. N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 44-45.

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invece la rinuncia a una o a più parti dell’attuale organismo, avrebbe comportato enormi guadagni in termini di coesione interna. Sebbene sia i fautori della soluzione confederale, sia i sostenitori di quella federale, aspirassero alla gloria patria, la vera differenza tra le due posizioni consisteva, a suo parere, nel fatto che i secondi ritenevano che «la grandezza politica della Germania» fosse «più importante della sua attuale grandezza geografi ca»174.

Negando l’ipotesi che la rinuncia all’Austria e ai suoi terri-tori non-tedeschi potesse costituire uno svantaggio, Rochau rideclinò perciò la contrapposizione tra «realtà» (Wahrheit) e «fi nzione» (Dichtung) in quella tra sentimento nazionale di tipo politico e sentimento nazionale di tipo romantico: in altri termini, mentre il progetto federale era ritenuto espressione di un programma politico chiaro, quello confederale era ritenuto niente più che la vaga proiezione di un sentimento legato alla consuetudine e, come tale, manifestazione di un orientamento perlopiù conservatore175.

Nel secondo articolo, Die Schule und das Leben, scaglian-dosi contro quella «superstiziosa venerazione nei confronti dell’erudizione libresca», che era arrivata quasi al punto di trasformarsi in una «malattia» nazionale, Rochau sviluppò un motivo polemico nuovo. In parziale anticipo rispetto alla tesi sostenuta nel 1866 da Hermann Baumgarten, Rochau attribuì al «regime poliziesco» da decenni vigente in Germania la responsabilità di aver trasformato i Tedeschi in un «popolo di letterati», capace di esprimere la propria forza unicamente tra «le quattro mura di una biblioteca»176.

A suo parere, infatti, a dispetto dei progressi compiuti negli ultimi decenni, soprattutto sotto il profi lo teorico, la scienza

174 A.L. VON ROCHAU, Großdeutschland und Kleindeutschland, p. 189 e, dello stesso autore, Die nationalen Parteien Deutschlands, pp. 1484-1485, e Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 162. 175 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 190 e, dello stesso autore, Bekenntniße eines Großdeutschen, p. 1400.176 A.L. VON ROCHAU, Die Schule und das Leben, p. 603.

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politica, così come quella giuridica era ancora troppo lontana da una corretta comprensione dei principi fondamentali della politica pratica: il velleitarismo degli anni Venti e Trenta, la propensione vanamente speculativa, la retorica accademica continuavano a orientare l’agire politico, non ottenendo altro risultato, se non quello di agevolare l’emergere degli opposti radicalismi, quello rivoluzionario da un lato, quello reazionario dall’altro177. A differenza della sfi ducia che nel 1866 Baumgarten avrebbe espresso rispetto al ‘carattere impolitico’ della borghesia tedesca e dell’orientamento culturale del nazional-liberalismo a venire, Rochau affi dò ancora una volta al Mittelstand il compito di superare l’«innaturale antitesi tra scienza e vita», facendo in modo che la prima divenisse uno strumento effi cace per la realizzazione dei compiti nazionali del liberalismo tedesco.

b. La «Kriegsstrategie» del «Nationalverein» fi no al 1864

Se la coincidenza tra le tematiche esposte negli articoli sulla «Wochenschrift des Nationalverein» e quelle che erano state sviluppate nei Grundsätze der Realpolitik testimonia lo stretto legame tra la militanza di Rochau e la parabola politica del Nationalverein178, risulta quanto mai opportuno ricostruire le diverse stagioni che caratterizzarono il suo itinerario politico e intellettuale tra la fi ne degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta. Con relativa approssimazione, è possibile individuare tre fasi principali, ognuna delle quali fu segnata dall’adozione di una precisa strategia, funzionale all’evoluzione della situazione politica in Prussia.

Compresa all’incirca tra il 1859 e il 1862, la prima di queste fasi fu, come si è già messo in luce, segnata a fondo dalla guerra d’Italia e da quella precisa strategia tesa a legittimare, con il pretesto della sicurezza nazionale, l’egemonia militare prussiana in Germania.

177 A tale proposito cfr. anche A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Zweiter Teil], p. 254.178 E. PORTNER, Die Einigung Italiens, p. 137.

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A prescindere dalle ragioni di ordine militare e internazionale, gli eventi in corso nella Penisola suscitarono nel movimento nazionale tedesco un costante interesse politico, che si tradusse, da un lato, nell’ammirazione per la felice combinazione tra ‘sentimento dell’ordine’ e ‘sentimento della libertà’, che in Italia aveva consentito la collaborazione tra Wehrpolitik e Revolution, e, dall’altro, in dure prese di posizione polemiche, rispetto, per esempio, al favore di quelle circostanze esterne – prima fra tutte l’alleanza con la Francia – che avevano fi nito per rendere l’unifi cazione italiana non un «fatto politico», bensì un «evento subìto»179.

A dispetto dei limiti riscontrati nella ‘via piemontese’ all’unifi -cazione, furono soprattutto i principali protagonisti, del Risorgi-mento180, a suscitare l’interesse di Rochau e del Nationalverein. La fi gura politica di Cavour, in particolare, offrì costantemente un termine di paragone polemico nei confronti del ‘Polignac prussiano’, il quale, sulle pagine della «Wochenschrift des Nationalverein», continuò a essere raffi gurato, almeno sino alla primavera del 1866, nei termini squalifi canti di un «giocatore d’azzardo», cui mancavano tutte le qualità fondamentali del grande statista, tra cui, innanzitutto, quella di riuscire ad agire in piena sintonia con le forze morali e politiche della nazione181. Sulla scia dei fermenti che la crisi italiana lasciò dietro di sé, nel corso dei primi anni Sessanta, agli appelli rivolti al supera-mento della «frammentazione delle forze statali», alle critiche nei confronti della «debolezza cronica» della politica estera

179 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Reapolitik [Zweiter Teil], p. 280; cfr. poi Aufgaben und Erfolge des Nationalvereins, e Fremde Sympathien.180 Cfr. soprattutto Die Revolution und der Nationalverein, p. 388. Alla fi gura di Bismarck fu contrapposta anche quella di Garibaldi, la cui impresa fu giudicata nei termini di un «esempio istruttivo»: secondo Rochau, infatti, la fi ne ingloriosa del Regno delle Due Sicilie, fi no ad allora ritenuto uno dei più solidi avamposti della reazione, aveva dimostrato che, di fronte alla potenza del Geist des Jahrhunderts, anche il più brutale dei sistemi polizieschi era destinato a crollare; A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, n. 8, 1860, p. 57 e, dello stesso autore, Ein lehrreiches Beispiel, pp. 85-86.181 Bismarck der Große, pp. 2087 s. Si veda poi A.L. VON ROCHAU, Wochen-bericht, n. 59, 1861, p. 481, e, dello stesso autore, Camillo Cavour, pp. 181-182 e 184 ss., nonché Wochenbericht, n. 133, 1862, p. 1115.

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prussiana e agli attacchi verso il Bundestag, Rochau abbinò una crescente attenzione verso la questione militare, la quale, in effetti, sarebbe stata destinata in breve tempo a divenire l’oggetto centrale dello scontro con Berlino182.

In seguito al fallimento di un progetto di alleanza difensiva con l’Austria, il ministro della Guerra Albrecht Theodor von Roon aveva infatti avanzato una proposta di riforma militare, che prevedeva, oltre a un consistente aumento degli organici, il prolungamento della ferma e il potenziamento dei quadri permanenti, a discapito della milizia territoriale (Landwehr), che, reclutata su base locale, aveva tradizionalmente incarnato l’ideale della nazione armata183. Intuendo, aldilà degli aspetti tecnici, il signifi cato politico di tale manovra, esplicitamente rivolta a consolidare la struttura autoritaria dello Stato prus-siano, Rochau avanzò l’ipotesi di una riforma alternativa, che prevedeva la coscrizione obbligatoria e la formazione militare della gioventù184. In considerazione dell’inadeguatezza del sistema difensivo del Bund, era necessario, in primo luogo, superare il pregiudizio secondo cui la mobilitazione popolare altro non era che l’anticamera della rivoluzione, e, in secondo luogo, mettere da parte l’idea in virtù della quale, di fronte al pericolo esterno, dovevano essere congelate le riforme interne. Al contrario, la «questione vitale della riunifi cazione delle forze militari tedesche» imponeva la riconfi gurazione radicale dei rapporti politici interni, il massimo sviluppo delle potenzialità dello «spirito del popolo» (Volksgeist) e la piena fi ducia nell’idea che il futuro della Germania sarebbe stato «più grande, più nobile e più libero»:

«fi no a quando l’attuale costituzione federale resterà in forza, non è possibile parlare né di un unitario comando militare, né di tali prospettive politiche.

182 A.L. VON ROCHAU, Neue Angriffe an den Nationalverein, e Wochenbe-richt, n. 12, 1860, p. 95; n. 72, 1861, p. 590; infi ne, dello stesso autore, Die Autorität des Bundestages, n. 72, p. 591.183 A.L. VON ROCHAU, Rückschau auf den preußischen Landtag, p. 45, e G. RITTER, I militari e la politica nella Germania moderna, I: La tradizione prus-siana 1740-1890, pp. 156-213.184 A.L. VON ROCHAU, Bericht an die Generalversammlung des Nationalvereins über einen Antrag, pp. 149-150.

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E perciò ripetiamo: o una rapida ed energica riforma, almeno al momento dello scoppio delle ostilità, oppure l’assoluta rinuncia a una conclusione onorevole della guerra»185.

Sulla scia delle polemiche legate alla questione militare, nella seconda metà del 1862, sia la vicenda politica del Nationalver-ein, sia quella personale di Rochau entrarono in una seconda fase (1862-1864), che sarebbe stata segnata dal fallimento del progetto di riforma federale presentato in occasione del Frank-furter Fürstentag del 1863186 e soprattutto dallo scontro con il governo prussiano, a capo del quale, il 22 settembre dello stesso anno, era stato chiamato Otto von Bismarck. Se la reazione dell’opinione pubblica nei confronti di tale nomina era stata sin dall’inizio segnata da un marcato scetticismo, non appena furono emanate le leggi restrittive della libertà di stampa – le famigerate Preßordonnanzen del giugno 1863 – la risposta del Nationalverein assunse toni di estrema condanna e lo stesso Rochau, dopo aver preso atto dell’impossibilità da parte del governo prussiano di mettere in pratica una «vigorosa politica nazionale» (nationale und kraftvolle Politik), giunse a maturare la convinzione che la nazione tedesca dovesse «aiutarsi da sé», ipotizzando perfi no l’eventualità di un’insurrezione popolare di ampie proporzioni187.

In seguito al prolungarsi del braccio di ferro con Berlino, il Nationalverein elaborò quindi una duplice strategia alternativa, che puntò, da un lato, a ricercare nuovi spazi di collaborazione

185 A.L. VON ROCHAU, Kriegsaussichten und Kriegsrüstungen, p. 52. 186 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 421-435.187 Lettera di August Ludwig von Rochau a Johannes von Miquel, 1° dicembre 1863, in H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, I, pp. 631 e 595 ss.; H. HERZFELD, Johannes von Miquel, I, p. 22, e L. DEHIO, Die Taktik der Opposition während des Konfl ikts, pp. 279-347, in particolare pp. 287 ss. Lo stesso Treitschke, accusando il direttore dei «Preußische Jahrbücher», Rudolf Haym, di «parlare del ministero Bismarck in un modo che non si conviene affatto a un foglio liberale», non solo prese congedo dalla rivista liberale, ma, come Rochau, giunse ad affermare che «la Monarchia per grazia divina» avesse bisogno «di una salutare, terribilmente seria punizione»; in M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, II, pp. 267-269, in particolare p. 269 (lettera a Rudolf Haym, 27 giugno 1863).

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tattica con l’Austria e, dall’altro, a favorire le iniziative rifor-mistiche dei governi liberali degli Stati medi, come quello del Baden188. Nel quadro della medesima strategia rientrarono poi, come corollari, sia l’organizzazione di imponenti agitazioni di massa – come quelle in occasione del Frankfurter Schützenfest o degli anniversari della Reichverfassung189 – sia l’elaborazione di una vera e propria «strategia bellica» (Kriegsstrategie), in virtù della quale, la politica estera fu concepita come funzione della politica interna.

Anche durante questa seconda fase, sia Rochau, sia la dirigenza del Nationalverein, tentarono di sfruttare il risentimento nazio-nalistico tedesco, in modo tale da riattivare quel meccanismo che, in occasione della guerra d’Italia, aveva portato a un passo dalla guerra contro la Francia. E in effetti, seguendo una logica chiaramente rivolta a trarre da ogni crisi la possi-bilità di violare la costituzione federale (Bundesverfassung), il Nationalverein riuscì a giocare un ruolo decisivo nel corso sia della questione del ducato dell’Assia (kurhessische Frage)190, sia della questione dei ducati danesi dello Schleswig e dello Holstein (schleswig-holsteinische Frage). Soprattutto l’esito di quest’ultima, segnando un vero e proprio momento di svolta, fi nì per condizionare a fondo la parabola politica di Rochau nella seconda metà degli anni Sessanta, quella, cioè, destinata a concludersi, all’indomani della costituzione del Norddeutscher Bund, con l’adesione al partito nazional-liberale.

In occasione della crisi del 1864, quando, in seguito alla morte di Federico VII di Danimarca, sembrò essere giunto il momento di vendicare l’umiliazione subita durante la cosiddetta ‘prima guerra dello Schleswig’ (1848-1851)191, l’attività di Rochau si evidenziò soprattutto per l’asprezza del risentimento anti-danese

188 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht e, dello stesso autore, Heraus mit der Sprache!, rispettivamente n. 128, 1862, p. 1074 e n. 167, 1863, pp 1411-1412. Cfr. anche A. BIEFANG, Politisches Bürgertum, pp. 191-206 e 272-279. 189 A.L. VON ROCHAU, In Sachen des Frankfurter Schützenfest, pp. 888-889.190 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 440-449.191 Ibidem, II, pp. 660-681; III, pp. 454 ss.

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e anti-francese, sullo sfondo del quale egli poté tracciare le coordinate fondamentali di una vera e propria teoria della poli-tica di potenza192. Stabilendo l’equazione tra «potere» (Macht), «sicurezza» (Sicherheit), «indipendenza» (Unabhängigkeit), «benessere sociale» (öffentliches Wohlsein), «cultura» (Kultur) e affermando la piena reciprocità tra «bisogno di potenza» e «dovere supremo dell’autoconservazione», egli postulò la necessità da parte della Germania di assicurarsi la superiorità militare sui suoi vicini193. A suo parere, non appena fosse stata in grado di «centralizzare» le sue forze statali e militari, la Germania non avrebbe dovuto impiegare la propria potenza militare per conquistare regioni culturalmente affi ni come l’Olanda, il Belgio etc., ma unicamente per difendere i propri confi ni dal nemico d’oltre Reno: solo nel caso in cui una di queste regioni non fosse stata in grado di assicurare la propria indipendenza o si fosse alleata con la Francia o, in seguito al mutare delle circostanze, fosse emersa un’autentica necessità, la riunifi cazione sarebbe divenuta legittima194.

Sensibilmente diversa fu la logica seguita in relazione agli incerti confi ni orientali e settentrionali, lungo i quali gli interessi nazionali tedeschi erano minacciati dall’«ostile inconciliabilità culturale» (kulturfeindliche Bewegung) delle popolazioni slave195. In relazione soprattutto ai territori della Prussia orientale abi-

192 Il sentimento antifrancese di Rochau si tradusse anche in polemiche di basso profi lo, come in A.L. VON ROCHAU, Die diplomatische Sprache, pp. 649-650 e, dello stesso autore, Der Entwurf einer deutschen Maaß- und Gewichts-Ordnung, p. 452, dove condannò l’uso della lingua francese da parte della diplomazia tedesca e l’introduzione in Germania del sistema metrico decimale.193 A.L. VON ROCHAU, Politische Studien, n. 166, 5, 1863; n. 176, 1863. 194 In questo caso, Rochau sembra far propria la norma del rebus sic stantibus, in virtù della quale, al mutare delle circostanze, anche lo Stato è tenuto a modifi care le proprie strategie a seconda del proprio vantaggio. A distanza di pochi anni, egli avrebbe infatti ribadito che i trattati diplomatici non sono «sentenze irrevocabili del destino», in A.L. VON ROCHAU, Zur Krankheitsgeschichte einer Besessenen, p. 629.195 A.L. VON ROCHAU, Politische Studien, n. 176, 1863, p. 1484 e, dello stesso autore, Die Deutschen in Böhmen, p. 1401, dove afferma che la «sottomis-sione dei Cechi alle leggi tedesche» costituisce una «necessità politica» pari a quella che costringe i Gallesi a sottomettersi alle leggi inglesi.

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tati in maggioranza da Polacchi, per giustifi care il predominio prussiano, Rochau ricorse a due diversi argomenti.

Con il primo che consisteva in una rideclinazione in chiave internazionale del nesso tra primato politico e primato sociale, Rochau mise in evidenza che:

«Nelle regioni appena descritte la cultura e il benessere materiale sono perlopiù in mano tedesca; la borghesia, che costituisce il vero asse portante dello Stato moderno, è quasi esclusivamente tedesca; la crescente, rapida germanizzazione fornisce una prova evidente del primato storico della nazionalità dominante»196.

Con il secondo argomento, riprendendo la polemica nei con-fronti del «diritto storico», Rochau affermò che le conquiste prussiane, avvenute alla fi ne del XVIII secolo a spese della Polonia e «a vantaggio della Germania», erano corrisposte a un’esigenza politica, quella dell’autoconservazione197:

«Contro tali necessità politiche ci si può certamente opporre in nome di questa o quella astrazione, ma la storia non presterà mai attenzione a simili proteste».

Giustifi cando il dominio prussiano a partire dai «rapporti di fatto» e dalla superiorità sancita dalla spada, Rochau riteneva perciò che le aspirazioni nazionali polacche fossero assoluta-mente prive di senso:

«Quello che fu risulta del tutto indifferente alla politica pratica. La politica pratica si interessa solo di ciò che è e riconosce il primato di una naziona-lità sull’altra, disinteressandosi di come e quando ciò è avvenuto. Una tale politica non è imposta solo dalla natura delle cose, ma soddisfa l’idea di diritto meglio di quanto non faccia quella teoria che sacrifi ca un presente vitale a un passato ormai morto o a un futuro non ancora nato».

196 A.L. VON ROCHAU, Politische Studien, n. 176, 1863, pp. 1483-1484. Lo stesso argomento è usato nel caso dello Schleswig settentrionale, dove, a fronte della superiorità numerica della popolazione danese, i Tedeschi mantenevano la superiorirà culturale, economica e, soprattutto, «il diritto nei confronti del futuro»: per tale ragione, secondo Rochau, rinunciare ai territori dello Schleswig settentrionale era una «impossibilità morale»; in A.L. VON ROCHAU, Zur Krankheitsgeschichte, pp. 628-629. 197 A.L. VON ROCHAU, Die Bilanz der Annexionspolitik, p. 283.

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In relazione ai confini settentrionali, invece, il problema maggiore era posto dalla Danimarca: anche in questo caso valeva il principio in base al quale, di fronte alla «scelta tra l’essere martello o incudine», la Germania non doveva esitare neppure un attimo, ma assumersi il ruolo a cui la spingeva la sua «naturale superiorità» (natürliche Überlegenheit)198.

Se già nel 1859 aveva fatto riferimento all’«infamia danese» (dänische Niederträchtigkeit)199 e nel 1860 aveva paragonato gli Austriaci delle Venezie ai Danesi dello Schleswig-Holstein, non mancando tuttavia di sottolineare che mentre i primi erano «terribili», i secondi erano soprattutto «spregevoli»200, nel 1869, ripercorrendo le diverse tappe che avevano condotto alla costituzione del Norddeutscher Bund, Rochau non esitò ad affermare che la Danimarca era la naturale alleata di tutti i nemici della Germania e che, in quanto tale, meritava di essere ridotta a una condizione di «piena consapevolezza della propria impotenza»201.

In ogni caso, a dispetto del signifi cativo contributo offerto da Rochau alla escalation militare della crisi, prima soffi ando sul fuoco del fermento nazionalistico, poi sostenendo le rivendi-cazioni dinastiche di Friedrich von Augustenburg, nel 1864 la strategia del Nationalverein andò incontro a un completo fallimento, soprattutto a causa dell’ostinazione con cui Austria e Prussia, in virtù dei rispettivi interessi di potenza, rivendi-carono i propri diritti sui due ducati.

Inaugurando la terza fase della vicenda politica del Nationalver-ein, quella destinata a concludersi nell’ottobre del 1867 con il suo defi nitivo scioglimento, la Generalversammlung dell’ottobre 1864 rivelò che la crisi danese, contrariamente alle aspettative,

198 A.L. VON ROCHAU, Politische Studien, n. 176, 1863, p. 1484 e, dello stesso autore, Zur Krankheitsgeschichte, p. 628.199 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 196 (Ein-leitung zur zweiten Aufl age des ersten Teils).200 A.L. VON ROCHAU, Ein Zwiegespräch, p. 239.201 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 353 e soprattutto p. 380.

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aveva arrecato un grave danno all’intero movimento nazionale tedesco, portando alla luce non solo le latenti contraddizioni di cui esso si era fatto carico sin dall’inizio, in merito – ad esempio – alla questione delle nazionalità202, ma producendo anche un’insanabile divisione tra schieramenti contrapposti: da un lato, quello dei sostenitori della Annexionspolitik prus-siana, sostanzialmente disponibile all’accordo politico con Bismarck; dall’altro, quello dei fautori della soluzione federale, fermamente ostile a ogni forma di compromesso con Berlino203.

c. La svolta del 1866 e il disorientamento liberale

Rispetto a quanto lasciano supporre le interpretazioni tradizio-nali, anche l’atteggiamento di Rochau, rispecchiando le stesse contraddizioni del Nationalverein, oscillò tra l’ostinata pervi-cacia di un Bennigsen, che ribadì più volte la radicale incon-ciliabilità delle proprie prospettive con quelle di Bismarck204, e il rassegnato possibilismo di un Miquel, che giunse invece a riconoscere:

«Noi siamo stati i primi ad agire concretamente per il ripristino della costitu-zione in Assia e chi è stato decisivo? Bismarck. Chi ha ripristinato l’Unione

202 E. PORTNER, Die Einigung Italiens, p. 118 e anche pp. 127-128. Rispetto al tema delle nazionalità, la linea politica del Nationalverein si rivelò perlopiù contraddittoria: accanto alla generica simpatia verso le lotte degli Italiani e dei Polacchi contro l’Austria e la Russia era infatti abbinata una tendenza contraria, che affi orava ogni volta che le aspirazioni autonomistiche delle minoranze entravano in contrasto con gli interessi tedeschi; cfr. per esempio A.L. VON ROCHAU, Briefe eines Deutschen, pp. 7-16. A tale proposito, Andreas Biefang ha perciò sottolineato la necessità di rivedere la distinzione tra un nazionalismo ‘buono’ (fi no al 1871) e un nazionalismo ‘cattivo’ (successivo al 1871); A. BIEFANG, Der Deutsche Nationalverein, p. XXI.203 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, n. 251, 1865, p. 2118 e, dello stesso autore, Die Bilanz der Annexionspolitik, pp. 283-284. Cfr. poi L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, p. 419; C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 478 ss.204 Lettere di Rudolf von Bennigsen alla sorella, 18 maggio 1864 e a Karl Viktor Böhmert, 26 ottobre 1864, in H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, I, pp. 638 e 646.

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doganale? … Bismarck. Chi ha fatto fallire il progetto di riforma presentato nel 1863 dall’Austria? Bismarck. Chi ha liberato lo Schleswig-Holstein? Bismarck»205.

Fino al 1867, seguendo una logica dettata da motivi squisita-mente tattici, l’itinerario politico di Rochau fu perciò segnato da un continuo ondeggiamento tra gli estremi opposti dell’op-posizione intransigente, talora perfi no dogmatica, come hanno sottolineato Hermann Oncken ed Ernst Portner206, e della cooperazione strumentale, basata cioè sulla convinzione che Bismarck potesse rappresentare un’opzione sulla quale era, nonostante tutto, necessario scommettere. Tale ambiguità di fondo emerge con evidenza in un articolo del febbraio 1865, nel quale, rispondendo alle polemiche scatenate dalla «Neue Frankfurter Zeitung» e dalla «Augsburger Allgemeine Zeitung», Rochau respinse l’idea secondo cui il «regime feudale» di Bismarck, per quanto esecrabile, potesse essere inteso come una genuina espressione delle tradizioni autoritarie prussiane:

«Il regime bismarckiano ha trovato, non solo nella Camera bassa, ma in tutto il popolo, una così forte e ostinata opposizione, al punto che lo Stato stesso è minacciato dal rischio di disgregazione»207.

Per rafforzare la netta distinzione tra regime bismarckiano e Stato prussiano, Rochau contrappose la storia politica della Prussia a quella degli altri Stati tedeschi, primo tra tutti quello bavarese, ritenuto, a dispetto del suo costituzionalismo, il «por-tabandiera» della reazione clericale e degli interessi francesi in Germania:

«Perché la Prussia è il solo Stato tedesco, che, secondo i criteri della moder-nità, merita questo nome; la Germania degli Stati medi … è diventata troppo piccola sia per una vera vita statale, sia per un effettivo esercizio della forza politica»208.

205 Ibidem, p. 652. La dichiarazione di Johannes Miquel risale al 30 ottobre 1864.206 Ibidem, I, pp. 455 e 642; E. PORTNER, Die Einigung Italiens, p. 139.207 A.L. VON ROCHAU, Pereat Preußen! Vivat Bayern!, e, dello stesso, Wie man sich aus der Verlegenheit zieht, n. 250, 1865, p. 2109; n. 251, pp. 2118-2119.208 A.L. VON ROCHAU, Pereat Preußen! Vivat Bayern!, p. 2110.

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Lo stesso schema fu ripreso in un altro articolo risalente alla primavera del 1866, nel quale, inserendosi nella polemica tra Julius Ficker e Heinrich von Sybel, Rochau affermò che, a differenza della Francia e dell’Inghilterra, il Reich aveva con-dotto, sin dalla propria origine, un’«esistenza più apparente che reale». Negli ultimi decenni, tuttavia, nel contesto di questo organismo statale malato, rispetto al quale l’Austria si era assunta l’onere del «premuroso tutore», gli equilibri politici avevano subito una drastica trasformazione:

«I rapporti della Prussia e dell’Austria, verso la Germania da un lato, verso la Francia dall’altro, si sono rovesciati. L’Austria non è più quello Stato che può contendere alla Francia la supremazia europea. La Prussia, viceversa, ormai da lungo tempo, guarda alla Francia come al nemico del futuro. In altre parole, il ruolo della potenza egemone è già, di fatto, passato dall’Au-stria alla Prussia»209.

La vera novità, secondo Rochau, consisteva nel fatto che, rispetto all’Austria, che aveva storicamente esercitato la propria egemonia in funzione dei propri calcoli di potenza, subordinando l’interesse generale della Germania al proprio210, la Prussia si era fatta ormai da tempo portavoce di interessi perfettamente coincidenti con quelli dell’intera nazione. In virtù dell’equazione tra interesse prussiano e interesse tedesco non era perciò possibile pensare che il regime poliziesco vigente a Berlino potesse estendersi a tutta la Germania:

«Il regime prussiano degli Junker al vertice di una Germania divenuta potenza mondiale è, nella realtà, niente più che un pensiero assurdo, che può sor-gere solo in una mente malata come espressione di una ridicola paura dei fantasmi»211.

Nonostante le polemiche contro la rassegnazione liberale, l’incrollabile fi ducia nel progresso nazionale212 e nonostante soprattutto la convinzione secondo cui il regime bismarckiano

209 A.L. VON ROCHAU, Nieder mit Preußen, p. 444.210 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung [1868], p. 19 e, dello stesso autore, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 160 e 163-164.211 A.L. VON ROCHAU, Nieder mit Preußen, p. 445.212 A.L. VON ROCHAU, Bekenntniße eines Großdeutschen, p. 1401.

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fosse, in virtù della sua natura antitetica rispetto alla zeitgeist-liche Bewegung, destinato a segnare il passo, nei Wochenbe-richte pubblicati tra 1865 e 1866 affi orano qua e là indizi di un vistoso disorientamento. Incapace di comprendere fi no a fondo quali fossero le reali intenzioni del capo di gabinetto prussiano – «ein zu vielseitiger Kopf»213 – Rochau non nascose infatti i propri dubbi su ciò che la Prussia, fi no a quando la sua costituzione fosse rimasta lettera morta, avrebbe potuto effettivamente compiere a vantaggio della causa nazionale tedesca214. In altri termini, le sue preoccupazioni coincisero con il tentativo di capire, da un lato, fi no a che punto, restando ostaggio del «pessimo governo» (Mißregierung) bismarckiano215, la Prussia potesse effettivamente agire in accordo con la sua missione nazionale, dall’altro, quale fosse la via migliore per liberarla dal giogo della Junker Partei.

A tale proposito risulta estremamente indicativa la posizione che Rochau assunse nell’aprile del 1865, quando, in polemica con l’orientamento radicale espresso dalla rivista «Der Deutsche Eidgenosse» di Karl Blind e di Ferdinand Freiligrath, egli escluse la possibilità di percorrere vie non corrispondenti alla natura concreta dei rapporti politici216. In contrapposizione a ogni ipotesi rivoluzionaria, così come a ogni soluzione repub-blicana-federale della questione tedesca, egli ribadì altresì la stretta correlazione tra Macht, Freiheit e Einheit:

«Secondo noi ogni cosa non solo è condizionata, ma anche garantita dall’unità. Mettere quest’ultima in contrapposizione, in particolare, con la libertà rivela solo completa mancanza di comprensione dell’essenza stessa della questione»217.

213 A.L. VON ROCHAU, Die Lage, p. 458.214 A.L. VON ROCHAU, Niede mit Preußen, p. 445.215 A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zu einem Artikel der Preußischen Jahrbücher, p. 318.216 A.L. VON ROCHAU, Der deutsche Eidgenosse, p. 27.217 A.L. VON ROCHAU, Nieder mit Preußen, p. 445. Si tenga presente a pro-posito che già nel 1863, Rochau aveva posto il tema dell’unità nazionale in termini di identità tra Machtsfrage e Freiheitsfrage: a suo parere infatti, era pura pusillanimità temere che il raggiungimento dell’unità potesse compor-

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Richiamando sullo sfondo la polemica verso il velleitarismo rivoluzionario, Rochau era certo che il superamento della crisi politica sarebbe avvenuto esclusivamente attraverso l’azione della Prussia e, con ogni probabilità, nella forma di un «regime della spada»:

«Anche nel caso della rivoluzione, il ruolo decisivo spetterà necessariamente alla Prussia … Dopotutto è sempre possibile che, prima o poi, noi si sia testimoni di eventi a Berlino, che neppure l’estrema sinistra della Camera bassa prussiana ha fi nora mai immaginato … La conseguenza inesorabile della rivoluzione prussiana così come di quella tedesca, strettamente connessale, sarà la dittatura militare»218.

Sebbene non sia possibile comprendere con esattezza fi no a che punto, con tale riferimento, intendesse evocare quella forma di «dominio politico fondata sulla pura forza», che era stata al centro delle analisi di Romieu, la dittatura nazionale di Garibaldi, che aveva defi nito «un esempio istruttivo» (ein lehrreiches Beispiel) o il cesarismo di Bonaparte, resta tuttavia indubbio che, soprattutto in seguito alla proposta prussiana di riforma federale (9 aprile 1866), Rochau cominciò a prendere piena coscienza dell’assoluta straordinarietà delle opzioni che stavano profi landosi all’orizzonte: da una parte, la rivoluzione; dall’altra parte, il regime degli Junker, ostili all’unifi cazione nazionale, perché convinti che il dissolvimento della Prussia avrebbe inevitabilmente comportato il tramonto del loro primato politico219; infi ne, tra le due, l’enigma politico rap-presentato da Bismarck220.

Solo attraverso tale prospettiva, possono essere comprese le parole con cui, alla vigilia della guerra austro-prussiana, egli tentò di esorcizzare la propria confusione:

tare il ridimensionamento della libertà; dello stesso autore, Die nationalen Parteien Deutschlands, p. 1485. In generale sul dilemma tra Freiheit e Ein-heit, cfr. C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 510-520; a proposito invece del progressivo fallimento tra 1861 e 1863 delle opzioni federali e del federalismo sopranazionale, cfr. ibidem, pp. 431-443.

218 A.L. VON ROCHAU, Der deutsche Eidgenosse, p. 28.219 A.L. VON ROCHAU, Wie man sich aus der Verlegenheit zieht, p. 2119.220 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, pp. 25-26 e anche p. 31.

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«La rivoluzione nazionale sotto le insegne del signor Bismarck! Per quanto di fronte a Dio nulla sia impossibile, ci sono poche cose al mondo meno verosimili di questa. Anche se il signor Bismarck avesse davvero la volontà e l’audacia di stringere un’alleanza con i suoi nemici mortali di ieri, ebbene da quel momento in poi, fi no a quando il re, la corte e i principi dicono la loro sulla politica prussiana, egli non avrà più la mano libera»221.

Il disorientamento politico di Rochau così come di gran parte degli aderenti al Nationalverein trovò una risposta defi nitiva solo allorché gli eventi del 3 luglio 1866 sanzionarono il successo del bellicismo statal-rivoluzionario della Prussia bismarckiana:

«Che dal primo giorno della sua costituzione sino a oggi il Nationalverein abbia operato con tutta la sua forza e a ogni prezzo per la caduta del Ministero Bismarck lo dimostra la sua intera storia … Il Nationalverein vuole che la giustizia della storia cada su questo governo, ma non in nome della casa d’Asburgo»222.

In sintonia con quanto affermato da Treitschke in Die Zukunft der norddeutschen Staaten (1866), anche Rochau, sia pure con una dose maggiore di scetticismo, giunse a riconoscere che i «detentori del potere a Berlino» erano in ultima analisi gli unici responsabili dei «destini della Germania»223. Secondo una logica che si sarebbe rivelata peculiare di ampi settori della borghesia liberale dell’epoca e che avrebbe condizionato, con le Indemnitäts-Gesetze l’esito del confl itto costituzionale224,

221 A.L. VON ROCHAU, Die Lage, p. 459.222 A.L. VON ROCHAU, Der Abgeordnetentag und der Nationalverein, p. 485.223 A.L. VON ROCHAU, Luxemburg. Si veda poi H. VON TREITSCHKE, Die Zukunft der norddeutschen Staaten, in particolare p. 289: «Il Regno d’Italia è stato fondato grazie agli eserciti franco-piemontesi e l’audace spedizione di Garibaldi nel Meridione sarebbe rimasta un presuntuoso progetto se … non vi fosse stata la forza organizzata dello Stato piemontese. Addirittura negli Stati Uniti, dove la libertà del singolo sembra essere tutto e il potere dello Stato nulla, la ricostruzione dell’Unione è stata prodotta da una guerra regolata, dalla forza di un potere statale che si desta energicamente. Anche la rivoluzione tedesca, nel mezzo della quale noi oggi ci troviamo con animo fi ducioso, ha ricevuto l’impulso dall’alto, dalla corona prussiana». Più in generale, cfr. anche K.G. FABER, Realpolitik als Ideologie, pp. 3-6 e 18-19.224 Sulle Indemnitäts-Gesetze e la conclusione del confl itto costituzionale, cfr. E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, pp. 348-369 e, dello stesso autore, Dokumente zur Deutschen Verfassungsgeschichte, II, pp. 88-89.

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l’inaspettata vittoria del 1866 favorì la defi nitiva idealizzazione della Prussia come nucleo del nascente Stato tedesco e insieme quella dell’esercito nato dalle riforme degli anni Sessanta come mezzo privilegiato del progresso nazionale225.

A tale proposito è interessante osservare – anche se ciò costringe a un momentaneo abbandono del fi lo del discorso – che la presunta ‘svolta’ del 1866 coincise in realtà con l’apertura di uno scenario allestito da tempo. Se la fi ducia nell’azione car-sica ma inesorabile dello Zeitgeist e soprattutto l’enunciazione dell’equazione tra Macht, Einheit e Freiheit avevano costituito le premesse fondamentali a partire dalle quali, durante gli anni Cinquanta, Rochau aveva contribuito ad avviare il processo di ripoliticizzazione della borghesia tedesca, nel decennio successivo, quelle stesse premesse, abbinate all’interpretazione teleologica della storia prussiana come progressivo compimento di una «missione nazionale» (nationale Aufgabe), determinarono non solo la nazionalizzazione, ma anche la militarizzazione degli orizzonti politici del Mittelstand liberale226: è dunque sullo sfondo di queste premesse che può essere compresa la ‘resa’ della Realpolitik liberale alla Realpolitik di Bismarck, che non avvenne all’indomani del 1866, nei termini di una svolta puramente opportunistica, ma nel corso del biennio succes-sivo, nei termini di un impercettibile, progressivo slittamento ideologico verso la Machtpolitik bismarckiana.

Se ancora fi no alla prima settimana di luglio il «Wochenblatt des Nationalvereins» aveva continuato a descrivere la guerra in corso nei termini di un «disastro nazionale»227, nell’autunno del 1866, colui, che aveva attribuito a Bismarck una «volontà distruttrice»228, accusandolo di essere il campione dello Junker-

225 Lo stesso ragionamento si ritrova paradigmaticamente esposto da Lasson: «Il nascente Stato nazionale può razionalmente appoggiarsi solo a uno Stato già esistente che, seguendo il suo sano egoismo, realizza nello stesso tempo e proprio per questo la sua vocazione per tutto il resto»; A. LASSON, Das Kulturideal und der Krieg, pp. 66 ss. 226 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 323-357.227 K.G. FABER, Die nationalpolitische Publizistik, I, p. 170.228 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, n. 232, 1864, p. 1963.

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tum, il tutore della monarchia per diritto divino e l’apostolo del bellicismo229, si ritrovò di fronte all’imbarazzo di dover, da un lato, schierarsi tra i suoi sostenitori, e di dover, dall’altro, difendere con orgoglio il contributo sino ad allora offerto dal Nationalverein. In un articolo emblematicamente intitolato Blut und Eisen, per esempio, rifacendo il verso alla celebre formula con la quale nel 1862 Bismarck aveva lasciato intendere quale fosse l’unica via percorribile per realizzare l’unifi cazione tedesca, Rochau rivendicò con forza di non essere mai stato un «avvocato» di Bismarck e di non aver neppure mai esitato di fronte alla responsabilità di giudizi estremamente severi.

Ritrovandosi ora nella «straordinaria posizione» di dover pren-derne le difese contro coloro che continuavano a criticarne l’operato sulla base di principi morali, egli riconobbe che, così come in Italia l’unifi cazione nazionale era stata realizzata solo dopo grandi spargimenti di sangue, anche in Germania, a meno di non voler replicare le esperienze del 1848-1849, si era reso necessario scatenare la «lotta per la vita o la morte»: a Bismarck non poteva perciò essere attribuita alcuna specifi ca responsabilità, se non quella di essersi fatto egli stesso strumento di quella legge inesorabile, in virtù della quale ogni «riforma costituzionale» (Verfassungsveränderung) poteva essere attuata «solo attraverso lo strumento della violenza»230.

Lo stesso argomento era in realtà già stato ampiamente svilup-pato nell’autunno del 1866, tra le pagine di Recht und Macht, in particolare laddove, rimandando l’origine di ogni comunità politica alla «violenza» e al «terrore», Rochau aveva affermato, in linea con i principi esposti nei Grundsätze der Realpolitik, che le costituzioni, «quelle vere e non quelle di carta», altro non erano che la traduzione in termini giuridici dei concreti «rapporti di forza» (Machtverhältnisse)231. Secondo tale pro-spettiva, egli interpretò il concetto di diritto come puro mezzo

229 A.L. VON ROCHAU, Wochenbericht, n. 128, 1862, p. 1073. 230 A.L. VON ROCHAU, Blut und Eisen, n. 85, 1867, p. 668.231 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», p. 48.

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formale (Erkennungszeichen) mediante cui ciò che aspira al riconoscimento ottiene infi ne legittimazione giuridica232.

A suo parere, non diversamente dalle dinamiche che avevano accompagnato e determinato la costruzione dello Stato in Francia, in Svizzera o negli Stati Uniti, anche in Germania, il processo di unifi cazione nazionale si era compiuto fonda-mentalmente all’insegna della conquista e della violenza e della progressiva legittimazione dei nuovi rapporti di forza. Inoltre, il fatto stesso che la Prussia fosse riuscita a ottenere uno straordinario successo militare e politico a partire da circostanze non propriamente favorevoli e, cioè, senza l’ausi-lio del movimento liberale, costituiva la dimostrazione della missione nazionale della Prussia, da un lato; la confutazione dell’idea secondo cui il raggiungimento della libertà era prioritario rispetto a quello dell’unità, dall’altro233. Per tale ragione, secondo Rochau, non erano condivisibili le polemiche scatenate dai democratici, i quali, d’altro canto, non avrebbero certamente esitato a giustifi care le annessioni territoriali se queste fossero state realizzate da un Garibaldi alla guida di un esercito rivoluzionario di volontari.

Sul fi lo di tale osservazione, Rochau constatò perciò che, a dispetto di ogni interpretazione di carattere ideologico, ogni evento politico ricavava la propria legittimazione unicamente dal proprio «successo»:

«Con il successo, la Prussia si è guadagnata un inestimabile merito nella questione nazionale e fornito un nuovo, stabile fondamento al diritto pubblico dell’Europa; senza il successo, la Prussia si sarebbe resa responsabile di una grave colpa agli occhi dei contemporanei e dei posteri … Il successo è la sentenza della storia, del ‘tribunale universale’; è la massima istanza, dinnanzi alla quale, per le questioni terrene, non vi è altra possibilità di appello»234.

Certamente, proseguiva Rochau, Bismarck non poteva essere paragonato a Garibaldi così come le conquiste prussiane non potevano dirsi compiute a vantaggio del liberalismo, ma ciò

232 A.L. VON ROCHAU, Recht und Macht, p. 564.233 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, pp. 7 ss.234 A.L. VON ROCHAU, Recht und Macht, p. 565.

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non cambiava i termini fondamentali della questione e cioè che, a prescindere dalle ragioni di parte, gli eventi del 1866 traevano la loro più autentica giustifi cazione dal fatto di aver comportato un enorme vantaggio per l’interesse nazionale235: in questo senso, perciò, «la guerra dell’anno 1866» doveva essere salutata, in Germania, come l’«evento più felice del secolo».

Nutrendo la ferma convinzione – destinata, come avrebbero dimostrato sia la costituzione del 1867, sia quella imperiale del 1871, a rivelarsi errata – che, una volta raggiunta l’unità nazionale, sarebbe stato possibile incidere a fondo sulla strut-tura autoritaria dello Stato, Rochau ritenne, in sintonia con la maggioranza dello schieramento liberale, che il compito del futuro sarebbe stato di proseguire l’opera iniziata nel 1866, ricorrendo tuttavia ad altre modalità, perché, fi no a quando non avesse riscosso il pieno consenso dell’intera nazione, l’unità tedesca non avrebbe potuto dirsi completa.

In qualche modo consapevole del carattere lacerante degli eventi del 1866, che, oltre alla soluzione del dualismo austro-prussiano, avevano comportato l’esperienza del Brüderkrieg236, richiamando l’esempio offerto da Cavour, che aveva saputo raggiungere i propri obiettivi politici non solo grazie agli stru-menti militari, ma anche grazie all’appoggio delle forze liberali, Rochau profi lò sullo sfondo la possibilità che Bismarck, dopo aver offerto un contributo decisivo alla causa nazionale, si facesse da parte, lasciando ad altri la responsabilità di ricucire gli strappi237. È in tale prospettiva, implicitamente rivolta a superare quanto prima sia la lacerazione del 1862, sia quella del 1866, che possono essere interpretate le repliche di Rochau agli attacchi rivolti dalla stampa liberal-moderata, in particolare dalla «Norddeutsche Allgemeine Zeitung» e dai «Preußische Jahrbücher», contro il Nationalverein238.

235 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, pp. 20-24.236 Ibidem, pp. 18-20 e 24; cfr. poi J. LEONHARD, Nati dalla guerra, p. 41.237 A. L. VON ROCHAU, Blut und Eisen, p. 669 e, dello stesso autore, Zur Orientirung, pp. 25-27.238 A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zu einem Artikel der Preußischen Jahr-bücher, pp. 318-319 e, dello stesso autore, Wie die preußische Regierung von

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In primo luogo, rispetto all’accusa secondo cui il Nationalverein, avendo continuato fi no all’ultimo a criticare Bismarck, aveva fi nito per farsi portavoce di un orientamento anti-nazionale, Rochau ribadì che la polemica nei confronti del governo prus-siano non era stata in contraddizione, ma in piena sintonia con l’obiettivo fondamentale del movimento nazionale, cioè l’«unità politica della Germania attraverso la politica liberale e nazionale della Prussia»239. In secondo luogo, contestò che gli eventi del 1866 avessero sancito il fallimento politico del Nationalverein. In piena coerenza con la «tenace opposizione» e la «strenua resistenza» sino ad allora condotta contro la politica interna ed esterna di Bismarck, la decisione di schierarsi dalla parte della «politica di gabinetto» prussiana in occasione della guerra contro l’Austria, secondo Rochau, non aveva comportato una revisione delle proprie convinzioni, ma solo la constatazione del fatto che Bismarck, pur percorrendo una «via sbagliata e spericolata», aveva consentito alla Germania di compiere decisivi passi avanti verso l’unifi cazione240.

Enumerando tutte le occasioni in cui sin dal momento della propria costituzione il Nationalverein aveva offerto un con-tributo decisivo alla causa nazionale, al punto che senza il suo apporto gli eventi del 1866 non sarebbero stati neppure immaginabili, Rochau affermò che gli obiettivi del movimento nazionale, per quanto perseguiti in maniera autonoma, erano infi ne coincisi «contro ogni aspettativa e in punti precisi» (wider Erwarten und in gewissen Punkten), con quelli di Bismarck241. A suo parere, dunque, la questione cruciale consisteva non già nel giudicare quanto fi no ad allora compiuto, bensì nel com-

ihrer Presse bedient wird, pp. 798-799. Si tenga presente anche la polemica nei confronti di Treitschke, il quale, alle contraddizioni, e alle incertezze del Deutscher Nationalverein aveva contrapposto in termini lodativi l’effi cacia politica della ‘Società nazionale italiana’; A.L. VON ROCHAU, Camillo Cavour, p. 186. In generale sull’effetto del 1866 sul Nationalverein, cfr. A. BIEFANG, Politisches Bürgertum, pp. 408 ss.239 A.L. VON ROCHAU, Anmerkungen zu einem Artikel der Preußischen Jahrbücher, p. 318.240 Cfr. anche H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, I, p. 652.241 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, p. 24.

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prendere quanto, da allora in poi, il Nationalverein avrebbe potuto e dovuto ancora compiere:

«Del proprio passato il Nationalverein non ha nulla di cui pentirsi e di cui giustifi carsi; dopo Sadowa, tuttavia, il suo presente e il suo futuro non potranno più essere impostati secondo quel piano, che, sinora, è stato quello giusto»242.

Anche in questo caso gli eventi sopravanzarono le prospettive di Rochau, il quale, nel marzo del 1867, in sintonia con Rudolf von Bennigsen e Lorenz Nagel, decise di confl uire nel nascente partito nazional-liberale, battendosi affi nché il suo orientamento nazionale fosse quanto meno proporzionale a quello liberale243.

Offrendo un signifi cativo contributo allo sviluppo di quella politica di compromesso che avrebbe condotto all’approva-zione, tra il febbraio e l’aprile del 1867, della costituzione del Norddeutscher Bund, Rochau respinse ancora una volta le «vane polemiche» di coloro che denunciavano l’assenza di ogni rife-rimento ai diritti fondamentali, alla responsabilità del governo e alle competenze legislative del parlamento. Per quanto riconoscesse la necessità di alcune correzioni, egli fu dell’idea che la costituzione del Norddeutscher Bund non dovesse essere misurata in rapporto ai modelli stranieri e tanto meno in rap-porto a presunti principi ideali244. Al contrario, ponendosi sul crinale sdrucciolevole di una concezione del diritto intesa come pura descrizione dell’apparato di potere esistente, egli affermò che solo i fatti politici erano in grado di dare espressione e contenuto all’essenza giuridica dello Stato:

«L’attuale costituzione della Germania è fondata sulla vittoria di Sadowa»245.

242 A.L. VON ROCHAU, Wie die preußische Regierung von ihrer Presse bedient wird, p. 799.243 L. KRIEGER, The German Idea of Freedom, pp. 438-450; C. JANSEN, Ein-heit, Macht und Freiheit, pp. 565 ss.244 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, p. 20.245 A.L. VON ROCHAU, Rechtmäßige und Unrechtmäßige Ansprüche an die Bundesverfassung, pp. 738-739 e, dello stesso autore, Zur Orientirung, pp. 24-25.

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Nel periodo compreso tra la fondazione del partito nazional-liberale (12 giugno 1867) e lo scioglimento defi nitivo del Nationalverein (19 ottobre 1867), Bismarck fi nì per diventare, secondo le parole dello stesso Rochau, «l’uomo del momento», che non fu «più solo tollerato, ma favorito e appoggiato sino agli estremi confi ni del possibile»246.

Risultata vincitrice sul campo di battaglia e ancor più tra i banchi del parlamento prussiano, la strategia nazional-rivoluzionaria di Bismarck sollecitò infatti una vasta opera di concettualizzazione da parte della pubblicistica liberale, che, nel caso di Rochau, si tradusse, da un lato, in un rinnovato impegno in vista del completamento del processo di unifi cazione attraverso l’integrazione degli Stati meridionali247, dall’altro, nella celebrazione della politica di potenza come premessa necessaria per la libertà e l’indipendenza della Germania.

A tale proposito, se già durante la primavera del 1867, in occasione della crisi del Lussemburgo, aveva invitato Berlino a non esitare di fronte alla defi nitiva resa dei conti con la Francia248, appena due anni dopo, tra le pagine della seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik, Rochau non esitò infatti a dichiarare:

«Dal 1866 la coscienza della nazione tedesca è risorta; dal 1866 la Germania è di nuovo temuta»249.

246 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 309 e, dello stesso autore, Zur Orientirung, p. 25.247 Lettera di August Ludwig von Rochau a Lorenz Nagel, 28 maggio 1867, cit. in H. ONCKEN, Rudolf von Bennigsen, II, p. 73.248 A.L. VON ROCHAU, Luxemburg, p. 772. 249 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], p. 247.

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Capitolo quinto

La «Realpolitik» liberale: un progetto fallito?

Come si è visto sinora, nel corso della stagione compresa tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del XIX secolo, la cul-tura politica tedesca fu segnata a fondo dall’emergere e dal progressivo imporsi poi del ‘paradigma realistico’, cioè di quel molteplice insieme di Diskurssysteme che tendeva ad attribuire, con sfumature diverse, forza normativa ai fatti della realtà.

Oltre al già ricordato Ludwig Feuerbach, che già nel 1842 aveva preannunciato l’avvento di un’era segnata dallo «spirito del realismo», negli anni Cinquanta furono numerosi coloro che, mettendo in relazione il trionfo delle scienze naturali con il tramonto dei grandi sistemi speculativi, presero atto di tale Umorientierung culturale1. Se per alcuni la rideclinazione di ogni aspetto della vita associata «sul terreno dei dati di fatto» (auf dem Boden der Tatsachen) segnò un passo avanti nella lotta contro i dogmatismi2, per altri ciò signifi cò un grave impoverimento: per dirla in termini kulturpessimistisch, con l’avvio dei processi di industrializzazione e democratizzazione, la ‘distruzione dell’antico’ fu accompagnata dal sorgere di un mondo barbaro, più volgare, segnato dal venir meno del diritto e popolato da masse miserabili, sottoposte al dominio arbitrario di grandi semplifi catori3.

1 Nach zehn Jahren. I. Auch eine Rundschau, Frankfurt a.M. 1858, citato in H. ROSENBERG, Die nationalpolitische Publizistik Deutschlands, I, p. 4.2 K. TWESTEN, Woran uns gelegen ist.3 J. BURCKHARDT, Sullo studio della storia, pp. 247-248, e la lettera a Friedrich von Preen, 26 aprile 1872, in W. KAEGI, Jacob Burckhardt e gli inizi del cesarismo moderno, p. 152, nota 5.

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Alle divergenti sensibilità che accompagnarono l’avvio dello Zeitalter des Realismus corrisposero altrettanti modi di conce-pire il paradigma realistico. Sin dagli anni Cinquanta, infatti, i sempre più frequenti richiami alla realtà si prestarono ad assu-mere contenuti diversi e a legittimare progetti politici opposti tra loro, sicché la stessa Realpolitik divenne una formula cui simultaneamente poterono richiamarsi pensatori conservatori, liberali e democratici, sostenitori della soluzione großdeutsch e sostenitori di quella kleindeutsch4.

Il merito di aver riformulato il teorema conservatore e groß-deutsch in chiave realistica spettò per esempio ad Albert Schäffl e, il quale, facendosi portavoce di una soluzione della que-stione tedesca alla luce di uno «sviluppo conservatore-progressi-sta della vita politica nazionale»5, invitò il movimento nazionale ad abbandonare gli ideali del Vormärz e, secondo una prospet-tiva di giustifi cazione dell’ordine esistente, ad agire in direzione di una riforma federale in senso realpolitisch e organisch.

Diversamente, nel 1862, subentrando nella polemica in corso tra Heinrich von Sybel e Julius Ficker6, Adolf Helfferich criticò la politica tedesca dell’Austria e, ricorrendo ad argomentazioni fortemente connotate in senso naturalistico, affermò che, come nel mondo animale, anche in quello della politica, il «diritto all’esistenza» era intimamente legato alla propria capacità di auto-affermazione: alla luce dei concreti rapporti di forza esistenti in Germania, a suo parere, risultava quindi «doloro-samente anacronistico» dissotterrare le spoglie dell’Altes Reich, sperando di dar loro nuova vita a Vienna7.

4 Cfr. l’ampia rassegna di teoremi realistici – la Politik des historischen Prinzips di Dahlmann; la Politik des sittlichen Reiches di Stahl; la Politik des Volkes di Riehl; la Politik als Wissenschaft di Mohl; la ideale Realpolitik di Bluntschli; la Politik der naturhistorischen Thatsachen di Fröbel; la Politik des radikalen Materialismus di Knapp – in N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 103-166.5 A. SCHÄFFLE, Realpolitische Gedanken aus der deutschen Gegenwart, p. 271. 6 H. HOSTENKAMP, Die mittelalterliche Kaiserpolitik. 7 A. HELFFERICH, Die Kaiseridee und die Realpolitik deutscher Nation, IV, pp. 10-11 e 26.

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Un’ulteriore variante del paradigma realistico fu infi ne formulata alla vigilia del 1870 da Konstantin Frantz, il quale, equiparando il «governo delle leggi» a niente più che una «frase priva di senso» (sinnlose Phrase), auspicò, alla luce di un universalismo federale, la creazione di un organismo pantedesco inteso come premessa di un nuovo ordine europeo8.

A dispetto delle più ricorrenti interpretazioni, neppure il para-digma elaborato da Hermann Baumgarten nel suo celebre Der deutsche Liberalismus risulta pienamente assimilabile a quello di Rochau. Tra le pagine di questo saggio, unanimemente considerato come la più emblematica testimonianza della svolta fi lo-bismarckiana del movimento liberale, Baumgarten constatò che il diritto in quanto tale, incapace di trionfare appieno nelle vicende umane, era inesorabilmente destinato ad assumere forma di Scheinrecht: in questa prospettiva, lo stesso 1866 aveva dimostrato che l’unifi cazione nazionale della Germania non sarebbe mai potuta avvenire «con mezzi legali» (mit gesetzlichen Mitteln)9.

Di fronte all’opposizione dogmatica e irresponsabile che sin dal 1862 era stata organizzata contro Bismarck, la vittoria di Königgrätz aveva sancito l’atto di morte del liberalismo e dimo-strato che «il partito, sul quale erano state sinora riposte le speranze della nazione, non aveva né la cognizione, né la forza politica per condurre un grande popolo alla propria salvezza»10.Secondo Baumgarten, era perciò necessario riconoscere che:

8 K. FRANTZ, Die Naturlehre des Staates als Grundlage aller Staatswissen-schaft, e poi H. GOLLWITZER, Europabild und Europagedanke, pp. 357-359. Del carattere espressamente anti-liberale e anti-nazionale di tale paradigma fu consapevole lo stesso Rochau, che defi nì la concezione di Frantz nient’altro che una «plumpe Missdeutung» e Frantz stesso uno degli scrittori politici tedeschi meno «fecondi», perché, nonostante il gran numero dei suoi scritti, non aveva formulato un solo «pensiero veramente utile»; A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], pp. 206-207, e N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 173-174.9 H. BAUMGARTEN, Der deutsche Liberalismus, pp. 608 e 623. Si veda pure K.G. FABER, Realpolitik als Ideologie, p. 14.10 H. BAUMGARTEN, Der deutsche Liberalismus, p. 614.

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«Il borghese è fatto per il lavoro, ma non per il comando e il compito prin-cipale dell’uomo di Stato è comandare … Risulta uno degli errori più gros-solani … ritenere che ogni intellettuale, avvocato, commerciante e burocrate di talento, che nutre interesse nelle cose pubbliche e legge fl uentemente il giornale, sia anche adatto per prendere attivamente parte alla vita politica»11.

Riconducendo il carattere impolitico della borghesia tedesca all’infl uenza dell’etica protestante e della cultura idealistica, Baumgarten ritenne che lo spirito eminentemente imprendito-riale e democratico del borghese lo avevano reso inadatto per l’attività politica (in einem gewissen Sinn für die Politik zu gut), ponendolo «in netto contrasto con le esistenze aristocratiche» (in einen gewissen Gegensatz zu den aristokratischen Existenzen), le quali, al contrario, erano in grado di agire tempestivamente, con «l’istinto tipico dell’uomo di Stato» (mit staatsmännischem Blick) e di compiere «al momento decisivo la cosa decisiva» (im entscheidenden Augenblick, die entscheidende Tat)12. In altre parole, quelle stesse eccellenti qualità che avevano reso la borghesia il perno della società, costituivano, sotto il profi lo politico, gravi difetti, che contribuivano a contestare ogni sua rivendicazione di supremazia politica.

Anticipando le tesi che sarebbero state riprese e sviluppate da Max Weber nel corso degli anni Novanta, Baumgarten giunse dunque alla conclusione che l’unica via percorribile per fuoriuscire «dall’impotenza operativa della borghesia» (aus der bürgerlichen Handlungsohnmacht) risiedeva nella «designazione della nobiltà a classe politica» (Ernennung des Adels zur poli-tischen Klasse), nel riconoscimento dell’egemonia prussiana e nella messa in atto di una collaborazione, o, meglio, di una «benefi ca suddivisione di compiti», tra borghesia e nobiltà13:

«Dopo aver appreso che in un monarchia la nobiltà rappresenta una com-ponente indispensabile e dopo aver osservato che questi tanto deprecati

11 Ibidem, pp. 471-472.12 Sul carattere impolitico del borghese tedesco, cfr. anche A. RUGE, Pre-messa. Un’autocritica del liberalismo (1843), in «Annali di Halle» e «Annali tedeschi» (1838-1843), pp. 265-290, e M. WEBER, L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. 13 H. BAUMGARTEN, Der deutsche Liberalismus, pp. 474 e 627-628.

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Junker sanno combattere e morire per la Patria … noi freneremo la nostra arroganza borghese e ci accontenteremo di occupare una posizione onorevole accanto alla nobiltà»14.

Nel 1866 Baumgarten rovesciò quindi l’equazione – relativa al nesso proporzionale tra forza economica e forza politica – formulata da Rochau, il quale, per quanto non avesse esitato a denunciare il «fi listeismo» e il «lato oscuro del carattere borghese»15, ancora nel 1869 aveva ribadito con forza che, grazie alle sue «sublimi qualità», il Mittelstand borghese era predestinato alla leadership politica16. Anche dopo il 1866 egli era infatti rimasto certo del fatto che:

«Sin negli anni più recenti, la lotta per le libertà civili in Germania è stata portata avanti esclusivamente dalle classi medie e solamente a loro può essere attribuito il merito delle maggiori conquiste ottenute a favore del popolo contro il potere monarchico e la burocrazia»17.

Tali riscontri consentono, a mio parere, di confermare appieno l’ipotesi, secondo cui la Realpolitik, pur anticipando di oltre un decennio la sostanza politica del nazional-liberalismo e presupponendo, quantomeno sotto il profi lo metodologico, la Selbstkritik di Baumgarten, fu essenzialmente il frutto di «una genuina rifl essione della sinistra liberale», tesa a favorire, in seguito alla crisi del 1848-1849 e all’esilio interiore dei primi anni Cinquanta, il processo di ripoliticizzazione della borghesia tedesca18. In tal senso, lungi dal comportare la «capitolazione morale» del movimento liberale, «l’adeguamento liberale alle forze conservatrici dello Stato», la rinuncia «a ipotesi istituzio-nali e politiche alternative alla monarchia autoritaria»19 o – come ha sostenuto Maurizio Fioravanti – l’«abbandono dello Stato»

14 Ibidem, pp. 624-625.15 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 141.16 Ibidem [Zweiter Teil], p. 264.17 Ibidem [Zweiter Teil], p. 228.18 I. CERVELLI, Realismo politico, p. 218; C. JANSEN, August Ludwig v. Rochau, p. 685.19 H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 7; S. BLÄTTLER, Der Pöbel, die Frauen etc., pp. 133-137; W. KRAUSHAAR, Realpolitik als Ideologie, p. 137.

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nelle mani delle classi dirigenti tradizionali e la trasformazione del liberalismo da «veicolo di emancipazione» a «fattore di stabilizzazione»20, la Realpolitik non solo risulta sostanzial-mente irriducibile rispetto ai paradigmi realistici elaborati in campo liberal-moderato e conservatore, ma costituisce anche un’importante testimonianza del processo di ri-orientamento dell’opposizione liberale «verso una politica dei fatti fondata sui rapporti di potere» (zu einer Politik der machtgestützten Tatsachen): un processo che, come ha osservato Ernst Rudolf Huber, contestando l’ipotesi della «tragedia del liberalismo tedesco», fu suggerito in qualche modo dalla necessità di giungere quanto prima all’unifi cazione nazionale e dalla fi ducia di poter intraprendere, in un secondo momento, la riforma in senso liberale dello Stato:

«Solo in quanto Stato nazionale la Germania poteva intraprendere il cam-mino verso lo Stato costituzionale. Fino a quando la Germania fosse rimasta una Confederazione di Stati, ogni ipotesi di effettiva democratizzazione e liberalizzazione sarebbe stata esclusa»21.

Se l’analisi sin qui svolta dell’opera e dell’itinerario intellet-tuale di Rochau ha permesso di rivedere gran parte delle interpretazioni formulate nel corso degli ultimi decenni e di ‘scagionarlo’ dall’accusa di essere stato essenzialmente uno spregiudicato «propagandista della forza» e un portavoce di quel liberalismo postquarantottesco disilluso e propenso alla manovra politica di tipo opportunistico, restano da affrontare almeno altre tre questioni tra loro strettamente correlate: la prima riguarda l’individuazione di un esatto fi lone politico e giuridico nel quale contestualizzare il paradigma realpolitisch di Rochau; la seconda concerne l’effettiva infl uenza che la Realpolitik ebbe, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, sull’evoluzione del liberalismo tedesco; la terza infi ne ha a che fare con la parabola percorsa dalla nozione di Realpolitik negli ultimi decenni del XIX secolo.

20 M. FIORAVANTI, Giuristi e costituzione politica, pp. 137-140. 21 E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte, II, pp. 315-317.

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Come si è visto, gran parte dell’itinerario percorso da Rochau rimanda, almeno sino al 1867, alla cultura politica del Linksli-beralismus, che, a partire dagli anni Quaranta, era subentrata a quella del radicalismo democratico delle associazioni stu-dentesche. Già nel corso del 1848-1849, rispetto al moderati-smo degli Altliberalen – con i quali aveva peraltro condiviso la ricerca di una alternativa all’assolutismo monarchico e l’ostilità verso il radicalismo rivoluzionario – Rochau aveva assunto una posizione sostanzialmente autonoma, la quale, sulla scia del confronto con Fourier e Stein, era stata segnata dalla piena percezione dei processi di modernizzazione delle strutture sociali. Anticipando una delle tesi principali della futura storiografi a sul Sonderweg tedesco – quella relativa alla contraddizione tra progresso economico e stasi istituzionale – una buona parte della sua polemica verso l’esperienza del 1848-1849 era perciò coincisa con la denuncia della mancata integrazione tra movimento nazionale e reali interessi sociali. In questo senso, il paradigma realpolitisch non comportò la riformulazione degli obiettivi del movimento liberale, bensì la revisione delle strategie tramite cui realizzarli: ciò vale a dire che la Realpolitik di Rochau si connotò essenzialmente «als Zei-chen des Fundamentalen Umdenkens innerhalb der Linken»22 ossia come tentativo di rideclinazione delle aspirazioni liberali del 1848 alla luce di una nuova esigenza, quella di includere nell’ambito della politica quelle forze che il rinnovamento economico aveva contribuito a portare alla ribalta: da qui la sua «dichiarazione di guerra» contro il «diritto storico», la sua Mittelstandspolitik e la sua posizione non pregiudiziale verso un’ipotetica alleanza tra borghesia e masse popolari.

Sostanzialmente più complicato risulta invece l’inserimento dei Grundsätze der Realpolitik all’interno di un preciso fi lone della letteratura giuridica tedesca23. La rifl essione di Rochau, perlopiù tesa a rivedere alla luce del primato della Macht le principali categorie del pensiero liberale, pare collocarsi all’ini-

22 C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, p. 262.23 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 164-166.

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zio di quel percorso che segnò la progressiva frantumazione della tradizionale unitarietà della decisione politica.

Di fronte al moltiplicarsi dei gruppi sociali, che avevano cominciato a porsi dinnanzi allo Stato non più come mere espressioni dell’autonomia privata, ma come componenti del processo di decisionalità politica, la Realpolitik di Rochau sembra infatti profi lare la crisi sia del modello tradizionale fondato sulla naturale identifi cazione tra Staat e Volk, sia di quello fondato sulla possibilità di risolvere le tensioni sociali all’interno del rapporto giuridico tra Stato e singolo cittadino e quindi, sullo sfondo, anche la scomparsa di tutti i punti di riferimento della teoria giuridica ottocentesca, dall’individuo razionalmente agente allo Stato inteso come comunità sto-ricamente ordinata. Detto in altri termini, i Grundsätze der Realpolitik sembrano porre le basi per il tramonto di ogni possibile lettura in termini esclusivamente giuridici della totalità della vita collettiva e, al contempo, porre le premesse per la riduzione della Rechtswissenschaft a mera tecnica di descrizione dell’apparato di potere esistente24.

Se tale è dunque la prospettiva teorica implicita nel testo di Rochau, risultano poco convincenti sia l’interpretazione di Losurdo, circa il carattere inesorabilmente individualistico e antihegeliano della Realpolitik25, sia quella di Wehler, circa la sua diretta riconducibilità al piano di un «volgarizzato ideali-smo di Stato di matrice hegeliana» (vulgarisierter hegelianischer Staatsidealismus)26.

Per quanto abbia giustamente messo in luce il nesso tra egoismo statale ed egoismo individuale, in virtù del quale alla condanna del socialismo e del centralismo francesi Rochau contrappose la celebrazione dello ‘spirito imprenditoriale’ degli Stati Uniti, ossia di quello Stato che, lungi dal trasformarsi in un «ricovero per gente malaticcia e deforme», aveva riconosciuto come norme

24 In questo senso è paradigmatico A.L. VON ROCHAU, Rechtmäßige und Unrechtmäßige Ansprüche an die Bundesverfassung, pp. 738-739.25 D. LOSURDO, La catastrofe della Germania, pp. 11-38, specie pp. 17-19.26 H.-U. WEHLER, Einleitung, p. 11.

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fondamentali il principio della responsabilità personale sul piano interno e quello dell’auto-affermazione sul piano inter-nazionale27, Domenico Losurdo ha tuttavia troppo strettamente assimilato l’ideologia di Rochau a quella del nazional-liberalismo treitschkiano, fi nendo per sopravvalutarne in maniera eccessiva il carattere anti-hegeliano. In realtà, infatti, seppure mediato attraverso la rifl essione di Stein, un certo rapporto ideale tra Rochau ed Hegel risulta innegabile28.

Ciò non signifi ca, tuttavia, che il legame con l’hegelismo possa essere letto nei termini suggeriti dalle interpretazioni tradi-zionali e un po’ troppo schematiche, rivolte a fare di Rochau un hegeliano tout court, o in quelli suggeriti da Wehler, il quale, con ogni probabilità, fraintese il senso delle parole dell’ex-Burschenschafter, quando, all’indomani della battaglia di Königgrätz, affermò «Il successo è la sentenza della storia, del ‘tribunale universale’; è la massima istanza, dinnanzi alla quale … non vi è altra possibilità di appello»29.

Lungi dal ridursi a una semplice riformulazione del principio hegeliano della ‘razionalità del reale’ o a un’acritica celebra-zione della potenza statale prussiana, la radice del legame tra il paradigma realpolitisch di Rochau e la fi losofi a politica hegeliana deve essere ricercato altrove. Sebbene i riferimenti testuali siano scarsi e non particolarmente signifi cativi30, alcune ricorrenze tematiche possono essere individuate nella polemica antiutopistica di cui Hegel si fece interprete in uno dei suoi

27 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], pp. 148-150 e 186; [Zweiter Teil], p. 212. 28 M. FIORAVANTI, Giuristi e costituzione politica, pp. 13-39 e 65-93, e C. JANSEN, Einheit, Macht und Freiheit, pp. 137 e 249, dove l’autore fa un breve cenno alla matrice hegeliana del pensiero di Rochau. 29 A.L. VON ROCHAU, Recht und Macht, p. 565. In questo caso il ‘tribunale universale’ a cui fa riferimento Rochau ha ben poco a che spartire con ‘il tribunale del mondo’ hegeliano: si tratta piuttosto di formule ricorrenti negli anni Sessanta, non necessariamente rinviabili al concetto hegeliano di «immanente Vernunft». 30 A.L. VON ROCHAU, Geschichte Frankreichs, II, p. 141, dove, per esempio, Rochau richiama la totale «mancanza di risultati dei giganteschi esercizi dialettici» del fi losofo berlinese.

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scritti politici giovanili, Die Verfassung Deutschlands (1802) laddove affermò che il diritto doveva affermarsi «attraverso la forza» (durch seine Macht)31.

In considerazione del fatto che anche siffatte analogie tematiche ed espressive non possono essere più di tanto sopravvalutate, soprattutto perché radicate in contesti storici e politici netta-mente diversi e alimentate da presupposti culturali altrettanto differenti32, il vero e proprio punto di contatto risiede nella comune attenzione nei confronti della società e nel ricono-scimento della sua incipiente emancipazione. Nei primi anni Cinquanta, a differenza di Dahlmann e Treitschke – mag-giormente sensibili all’impostazione di von Savigny33 – anche Rochau aveva infatti preso atto dell’irriducibilità delle tensioni sociali all’interno dello schema consueto di un armonico accomodamento degli interessi privati, sicché la stessa «legge del potere» fu enunciata alla luce non già della dottrina del Machtstaat, ma di una concezione nell’ambito della quale la Verfassung era «condizionata dal rapporto reciproco delle forze all’interno dello Stato».

Nei Grundsätze der Realpolitik del 1853, dichiarando che «la forza dello Stato consiste unicamente nella somma delle forze sociali che esso si è incorporato», Rochau delineò perciò, in aperta polemica rispetto a ogni ipotesi di restaurazione dell’an-tica societas civilis sive politica, una concezione dello Stato, in cui ogni principio di naturale composizione delle forze sociali era venuto meno e in cui il compito principale della politica consisteva nella continua integrazione di una costellazione di forze costantemente mutevole34.

Tale è dunque la concezione del rapporto tra Stato e società, a partire dalla quale egli sviluppò il proprio concetto di Machtsstaat, che, a differenza di quello treitschkiano – teso

31 G.W.F., HEGEL, Die Verfassung Deutschlands (1802), in G.W.F., HEGEL, Werke, in particolare pp. 473, 529 e 543. 32 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 101-102.33 I. CERVELLI, Realismo politico, pp. 190-191.34 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Erster Teil], p. 27.

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all’affermazione esterna della propria potenza – e di quello hegeliano – teso a realizzare il dominio dell’universale sul particolare – assegnava allo Stato il compito prioritario di inglobare in sé le forze attive della società.

Il carattere sostanzialmente anomalo della concezione politica di Rochau – in essa il momento individualistico implicito nell’enfatizzazione elitaria del binomio Bildung e Besitz entrava in contrasto con l’enfasi comunitaria sottesa all’idea di nazione così come l’idea positivistica di un ordine naturale retto da leggi immutabili entrava in contraddizione con il piano dia-lettico di una società intimamente confl ittuale – contribuisce a spiegare la ragione dei sospetti nutriti, almeno inizialmente, da gran parte del liberalismo tedesco nei confronti dei Grund-sätze der Realpolitik, i quali, ammesso che abbiano davvero inciso «in profondità», cadendo «come un fulmine sulle menti migliori della gioventù», riscossero l’attenzione del movimento nazionale non tanto in virtù dell’originalità teorica dei loro contenuti, quanto in virtù della loro prospettiva ideologica, ottimisticamente protesa verso il futuro35.

In effetti, paragonate alle coeve rifl essioni di autorevoli espo-nenti liberali Johann Caspar Bluntschli, che continuavano a concepire la politica in termini di Recht e Sittlichkeit e a interpretare il Mittelstand in termini di Bildung e Gesinnung, le «argomentazioni taglienti» di Rochau, che postulavano invece la priorità del concetto di Macht, l’inevitabile trionfo della società borghese, nonché l’inesorabilità dello scontro tra Prussia e Austria, esercitarono un impatto non trascurabile, soprattutto perché caddero in un momento di stagnazione politica. Come infatti ricordò Treitschke:

«Ero allora un giovane studente e ricordo con tristezza come la vita ci era resa amara dalla vergogna del nostro paese … Vennero allora le argomen-tazioni taglienti, essenziali, chiare, di questo libro che ci insegnarono con irresistibile eloquenza che lo Stato è potenza»36.

35 N. DOLL, Recht, Politik und «Realpolitik», pp. 178-180.36 H. VON TREITSCHKE, August Ludwig von Rochau, pp. 638-639.

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È bene poi tenere conto del fatto che l’infl uenza esercitata dai Grundsätze der Realpolitik durante gli anni Cinquanta e Sessanta variò sensibilmente a seconda dei contesti politici. Negli anni immediatamente successivi al 1853, infatti, il testo di Rochau, inaugurando «una nuova epoca di politica pratica» (eine neue Epoche praktischer Politik) e scagliandosi contro il radicalismo democratico e il moderatismo liberale, suscitò soprattutto le attenzioni di quella sinistra liberale tenacemente impegnata a superare la crisi del 1848-1849.

Nel 1859, con la ristampa della prima parte, il testo raccolse un consenso più ampio e soprattutto in quelle porzioni dell’opi-nione pubblica interessate al rilancio e al ricompattamento del movimento nazionale, mediante l’identifi cazione di un programma politico, orientato, sia sul piano interno, sia sul piano internazionale, in senso esplicitamente anti-legittimista e anti-autoritario37.

A partire dai primi anni Sessanta, in seguito al profi larsi del confl itto costituzionale in Prussia e della questione danese, il testo di Rochau svolse quindi la funzione di manifesto pro-grammatico del Nationalverein, rispondendo, da un lato, alle aspirazioni nazionali della borghesia e suggerendo, dall’altro, i termini della polemica anti-bismarckiana. Nel corso di questa delicata fase, segnata dallo scontro con il governo berlinese da un lato, dal sostegno alla ‘missione nazionale’ dello Stato prussiano dall’altro, facendosi interprete dell’ala moderata pre-sente all’interno del Nationalverein, Rochau anticipò di quasi un decennio la linea del partito nazional-liberale.

Solo dopo il 1869, con la pubblicazione della seconda parte dei Grundsätze der Realpolitik, con la strenua difesa del pro-cesso nazional-costituente iniziato con la fondazione del Nord-deutscher Bund e con l’adesione al partito nazional-liberale, Rochau volse infi ne la propria attività a sostegno della strategia bismarckiana.

37 A.L. VON ROCHAU, Montemolin und die Legitimität, p. 23.

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Al contrario, facendo dei Grundsätze der Realpolitik un’opera senza storia, il cui principale merito era stato semplicemente quello di insegnare al liberalismo uscito sconfi tto dalla prova del 1848-1849 che «lo Stato è potenza», Treitschke suggerì un’interpretazione dell’opera di Rochau strettamente funzionale alla lettura nazional-liberale degli eventi del 1866: solo in quanto anticipazione della strategia che sarebbe poi stata messa in atto da Bismarck e solo dopo essere stata riformulata in modo tale da risultare più congeniale alla sensibilità dei nazional-liberali, la Realpolitik di Rochau poté essere accolta anche da coloro che ne condividevano solo in parte i presupposti ideologici.

Al di là delle letture strumentali dei Grundsätze der Realpolitik, non vi è dubbio che il 1866 rappresentò un passaggio cruciale non solo nella storia politica tedesca, ma anche nella vicenda personale dell’ex-Burschenschafter. Gli straordinari eventi del 3 luglio e del 3 settembre 1866 segnarono una svolta destinata a incidere più a fondo che non la vera e propria fondazione del Reich nel 1871. Sin dai mesi primaverili del 1866, furono infatti numerosi coloro che ebbero l’impressione di trovarsi di fronte a fenomeni assolutamente inediti. Ai timori di Ludwig von Gerlach, secondo cui era necessario evitare di «sprofondare nella rivoluzione», risposero Bluntschli e Ruge: il primo, affermando che quella in atto non era una rivoluzione nell’accezione valsa fi no ad allora, ma qualcosa di diverso, compiuto «in forma bellica» e «conforme alla natura della monarchia»38; il secondo, ammettendo che era troppo tardi per «fare la rivoluzione», perché ormai la guerra stessa era diventata la rivoluzione39.

«Rivoluzione dall’alto» fu la formula usata da Treitschke per esorcizzare la propria confusione e interpretare le novità dei tempi:

38 J.C. BLUNTSCHLI, Denkwürdiges aus meinem Leben, III: Heidelberg 1861-1881, p. 160 (lettera a Jakob Dubs, 23 giugno 1866).39 Lettera di Arnold Ruge a Richard Ruge, 7 giugno 1866, in A. RUGE, Briefwechsel und Tagebuchblätter aus den Jahren 1825-1880, II: 1848-1880, p. 271.

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«La nostra rivoluzione è compiuta dall’alto, così come dall’alto è cominciata. E noi col nostro limitato intelletto di semplici sudditi brancoliamo nel buio»40.

In tale contesto, lo sconcerto dei liberali si accompagnò tuttavia alla certezza che, in futuro, alla Germania sarebbe spettato giocare il ruolo che la Francia aveva svolto dal 1789 in poi:

«Parigi è la Bastiglia che viene assalita; Favre e Gambetta sono la legittimità; Wilhelm e Bismarck la rivoluzione. Ciò suonerà paradossale, eppure è così»41.

Come si è visto, dopo aver congedato l’intero confl itto costitu-zionale come pura questione di carattere legale, anche Rochau tentò di dare risposta al proprio disorientamento: la sua ‘svolta’ avvenne tuttavia non tanto nel senso di una incondizionata conversione alla politica bismarckiana, quanto sotto il profi lo tattico.

Ciononostante, sotto l’impressione della politica di potenza, l’antitesi tra Volkspolitik e Staatspolitik, tra Politik von unten e Politik von oben, tra Wehrpolitik e Revolution, fu ricomposta nel segno dell’equazione tra Erfolgspolitik e Revolution von oben, sicché tutta l’ambivalenza e il carattere latentemente gouvernamental e cesaristico della Realpolitik emersero in superfi cie, prendendo il sopravvento su quello liberale42. In questo senso, di fronte agli effetti catalizzatori del 1866, come il Nationalverein risultò per metà vincente e per metà perdente, in quanto il successo della rivoluzione nazionale era stato ottenuto senza il contributo attivo delle forze liberali43, così anche la Realpolitik di Rochau fi nì per rivelarsi un progetto politico solo parzialmente vincente, perché, se era riuscito a raggiungere il primo dei suoi principali obiettivi, l’unità e la potenza della Germania, aveva però mancato quello della

40 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, III, p. 34 (lettera alla moglie, 28 luglio 1866) e p. 103, nota 1 (lettera a Georg Reimer, 1° dicembre 1866).41 L. BAMBERGER, Zur Naturgeschichte des französischen Krieges, p. 94.42 A.L. VON ROCHAU, Grundsätze der Realpolitik [Zweiter Teil], pp. 209-210 (Vorwort zum zweiten Teil). 43 A.L. VON ROCHAU, Zur Orientirung, p. 12.

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conquista del potere politico, rivelandosi incapace di tradurre l’egemonia sociale ed economica del Mittelstand sul piano della Regierungsfähigkeit 44.

Il carattere parzialmente fallimentare della Realpolitik non fu perciò dovuto a una presunta «capitolazione morale», ma a un calcolo errato sotto il profi lo eminentemente politico, coin-cidente con l’aver fatto esclusivo affi damento sulla soluzione cesaristica, nella speranza di una sempre possibile evoluzione liberale del sistema politico45. In realtà, gli errori compiuti da Rochau e dalla stragrande maggioranza dei liberali dell’epoca furono due: il primo era coinciso con quel presupposto ideologico secondo cui, alla forza espansiva del movimento liberale sarebbe corrisposta una pari capacità d’infl uenza sullo Staatsoberhaupt, cioè sui vertici dello Stato, il secondo era coinciso con l’illusoria speranza che Bismarck, dopo aver realizzato progressi decisivi sul piano nazionale, potesse essere emarginato, sotto il profi lo politico, dal risveglio liberale, che quegli stessi progressi avevano determinato.

Non è dunque un caso che, dopo essersi espressamente dichia-rato a favore della soluzione unitaria, anche a costo del dispo-tismo46, nel 1864, alludendo a Bismarck, lo stesso Treitschke avesse affermato di non temere lo spettro del cesarismo, in quanto, a suo parere, era «impossibile considerare il dominio della sciabola come forma durevole di Stato ideale al carattere

44 Per Regierungsfähigkeit si intende qui quella «capacità di conferire caratteri inconfondibili e duraturi a una determinata fase dello sviluppo sociale e storico di un paese», in I. CERVELLI, La Germania dell’Ottocento, p. 171. Per la crisi politica del liberalismo tedesco rimando alle analisi di M. STÜRMER, Regierung und Reichstag im Bismarckstaat 1871-1880, pp. 155-179.45 Si tenga infatti presente che, sin dal 1853, sulla scia delle analisi svolte in rapporto al colpo di Stato bonapartistico, Rochau aveva espresso, sia pure implicitamente, il proprio favore verso l’ipotesi di un ‘cesarismo prussiano’, purché questo guardasse alle forze del Mittelstand e non, come in Francia, a quelle del socialismo; cfr. O. OPPERMANN, August Ludwig von Rochau, p. 156.46 M. CORNICELIUS (ed), Heinrich von Treitschkes Briefe, I, p. 260 (lettera a Heinrich Bachmann, 19 novembre 1854): «La via che conduce più rapida-mente all’unifi cazione nazionale, qualora fosse anche il dispotismo, è quella che preferisco».

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del nostro popolo; come condizione transitoria è una pena grave, ma sopportabile, se fonda l’unità del nostro Stato»47.

Alla vigilia della Zweite Reichsgründung, di fronte alla mancata liberalizzazione delle istituzioni e della vita politica tedesca, la nozione di Realpolitik fi nì dunque per assumere una con-notazione machtpolitisch, funzionale alla legittimazione degli obiettivi di potenza dello Stato nazionale. In questo senso fu soprattutto la lettura divulgata da Treitschke a determinare la fortuna e, insieme, la sfortuna della Realpolitik di Rochau, la quale, fu, suo malgrado, sempre più identifi cata con la bismarckiana «Kabinettspolitik der rational kalkulierenden Staatsräson» e recepita non già come fi sica, bensì come meta-fi sica della potenza48.

A tale proposito possono essere ricordate le testimonianze di Bluntschli, che dell’equazione tra Realpolitik, Machtpolitik e bismarckismo denunciò la «brutalità» e l’«insensatezza»49, e soprattutto di Max Weber, il quale, prendendo le distanze dagli «ottusi fi listei odierni della Realpolitik», denunciò la nefasta infl uenza di coloro che, come Treitschke, sotto il mantello «del cosiddetto realismo», avevano contribuito a sviluppare nella gioventù tedesca «l’adorazione della violenza militaristica … e il gretto disprezzo verso tutto ciò che spera di raggiungere i suoi obiettivi senza fare appello ai lati peggiori dell’uomo e soprattutto alla brutalità»50.

Nel 1946, infi ne, sia pure in contesto generale ormai radical-mente mutato, anche l’ultimo esponente della Gehlertenpolitik, Friedrich Meinecke, cercando di comprendere le ragioni di quella «sorprendente deviazione» avvenuta intorno alla metà del XIX secolo, non esitò ad attribuire a Treitschke, la grave responsabilità di aver trasformato «con eccessiva facilità cose e

47 H. VON TREITSCHKE, Bundesstaat und Einheitsstaat, p. 12.48 S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 470.49 J.C. BLUNTSCHLI, Lehre vom modernen Staat.50 Lettera di Max Weber a Hermann Baumgarten, 25 aprile 1887, citata in W.J. MOMMSEN, Max Weber e la politica tedesca 1890-1920, pp. 51-52 e p. 100, nota 32.

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processi naturali in etici»51. A questo punto, tuttavia, la nozione di Realpolitik, essendosi di molto allontanata dal contesto in cui era stata originariamente formulata, era ormai divenuta semplice parola d’ordine a uso e consumo della pubblicistica scientifi ca e non (Scheidemünze der Tagespublizistik)52.

51 F. MEINECKE, La catastrofe della Germania. Considerazioni e ricordi, pp. 31-32 e, dello stesso autore, L’idea della Ragion di Stato, pp. 417-418. Meinecke si richiamava a quei passi delle Vorlesungen über die Politik, in cui Treitschke affermò: «la conservazione della potenza è, dunque, senz’al-tro, per lo Stato un obbligo morale, incomparabilmente elevato»; H. VON TREITSCHKE, La Politica, I, p. 99. 52 S.A. KAEHLER, Realpolitik zur Zeit des Krimkrieges, p. 418.

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Indice dei nomi di persona

Aegidi Ludwig, 53n, 108nAhrens Heinrich, 26, 63Arndt Ernst Moritz, 25Asche Klaus, 47, 49, 50nAuerbach Berthold, 88Avenarius Eduard, 30, 86 e n

Bacherer Gustav, 70nBachmann Heinrich, 52n, 108n,

187n, 231nBagehot Walter, 130Bamberger Ludwig, 20n, 40, 191Bassermann Friedrich, 87, 96Bastiat Frédéric, 68 e n, 136Bauer Bruno, 86Baumgarten Hermann, 58, 119 e n,

187n, 195, 196, 219-221, 232nBeauharnais Hortense de, 115nBenelli Ippolito, 147nBennigsen Rudolf von, 36, 37n, 38, 40,

141 e n, 185n, 193, 204 e n, 215Biedermann Karl, 34 e n, 123Biefang Andreas, 204nBismarck Otto von, 14, 19, 33 e n,

35-40, 42, 43, 44 e n, 47, 55, 56n, 108, 118 e n, 197n, 199 e n, 204, 205, 208-214, 216, 219, 229-231

Blanc Louis, 84nBlind Karl, 207Bluntschli Johann Caspar, 218n, 227,

229, 232Böhmert Karl Viktor, 204nBonaparte Luigi Napoleone (Napo-

leone III, imperatore di Francia), 18, 59n, 115 e n, 116 e n, 119, 120 e n, 121, 122, 124, 125, 126 e n, 127, 128, 129 e n, 130-132, 134, 188, 189, 208

Bonaparte Luigi (re d’Olanda), 115nBonaparte Napoleone (Napoleone

I, imperatore di Francia), 59n, 116n, 118, 121

Börne Ludwig, 64nBossuet Jacques Bénigne, 173nBright John, 185Brockhaus Wagner Luise, 121nBruck Karl Ludwig von, 33Bunsen Johann Ernst, 28Buonarroti Filippo, 84nBurckhardt Jacob, 124n

Cabet Étienne, 84nCavaignac Louis Eugène, 131Cavour Benso Camillo conte di, 40,

119 e n, 188, 197, 213Cervelli Innocenzo, 56 e n, 58, 152n,

163n, 168nCesare Giulio Gaio, 121nChuroa August Ludwig (pseud. di

August Ludwig von Rochau), 30Cobden Richard, 185Comte Auguste, 51, 84n, 153

Dahlmann Friedrich Christoph, 25, 89, 92, 101, 112, 133 e n, 140, 152, 166n, 168n, 175, 176, 181, 218n, 226

Diezel Gustav, 43n, 57Dingelstedt Franz, 31, 33 e n, 108n,

111nDoll Natascha, 15, 50 Donoso Cortés Juan, 127nDroysen Johann Gustav, 12, 50n, 57,

58, 73, 89, 116n, 119, 140, 152Droz Jacques, 101nDuncker Max, 57, 119, 144n

260

Dunoyer Charles, 68 e n

Emery Henry Charles, 42, 43 e nEngelmann Theodor, 28

Faber Karl Georg, 15, 56Fallersleben Hoffman von, 86Federico II (re di Prussia), 170Federico VII (re di Danimarca), 200Federico Guglielmo IV (re di Prus-

sia), 106, 111 e n, 156 Fetzer Carl August, 193nFeuerbach Ludwig, 13, 86, 88, 217Fichte Johann Gottlieb, 88Ficker Julius, 206, 218Fioravanti Maurizio, 221Fischer «Joschka» Joseph Martin, 41Flottwell Heinrich Eduard, 144nFollen Karl Theodor, 24, 63, 64nFontane Theodor, 13Forckenbeck Maximilian von, 35Fourier Charles, 19, 30, 68, 69, 70

e n, 71, 72, 73n, 77-79, 84 e n, 86n, 163, 223

Frantz Konstantin, 57, 118 e n, 119, 219 e n

Freiligrath Ferdinand, 207Frensdorff Ferdinand, 52nFriedrich VIII (Herzog von Schles-

wig-Holstein u. Augustenburg), 203

Friedrich Wilhelm von Braunschweig-Öls, 21, 22n

Fries Jakob Friedrich, 63, 64nFriesen Karl Friedrich, 24Fröbel Julius, 140n, 218nFüllner Gustav, 22, 24n, 29n, 48

Gagern Heinrich von, 105, 106 e nGalen Ferdinand von, 95 e nGerlach Ernst Ludwig von, 117, 229Gerlach Ludwig Friedrich Leopold

von, 117, 118nGervinus Georg Gottfried, 87 e n,

88 e n, 89-92, 97n, 187n Goldschmidt Werner, 46

Grumbrecht August, 22, 32, 37, 39, 53, 68n

Gutzkow Karl, 29n, 30n, 64n, 86

Hagen Karl, 88, 152Hansemann David, 140nHardenberg Karl August von, 170 Hartmann Moritz, 30Häusser Ludwig, 31, 87 e n, 119n Haym Rudolf, 57, 139, 143 e n, 152,

184, 199nHecker Friedrich, 31, 97Hegel Georg Wilhelm, 45n, 50n, 51,

88, 225Hein Oliver, 47Heine Heinrich, 64nHelfferich Adolf, 218Henne Thomas, 46Hettner Hermann, 88Hirzel Salomon, 53 e nHöfken Johann, 87n Holborn Hajo, 42, 49, 153Huber Ernst Rudolf, 222Hude Hermann von der, 25n, 63Hugo Victor, 86, 127

Issel Georg Wilhelm, 34

Jahn Friedrich Ludwig, 24Jansen Christian, 58, 59 e n

Kaehler Siegfried August, 15, 45n, 56Kant Immanuel, 64nKarl II (duca di Braunschweig), 26Karl Wilhelm von Braunschweig-

Öls, 22nKeller Gottfried, 88Klaczko Julian, 88Klee Julius, 124nKnapp Ludwig, 218nKörner Gustav, 27, 28, 63Kotzebue August Friedrich, 24nKrause Karl Friedrich, 26Kraushaar Wolfgang, 41Krieger Leonard, 56Kurz Hermann, 193n

261

Ladendorf Otto, 43nLassalle Ferdinand, 43, 51, 160, 162,

164nLasson Adolf, 210nLaube Heinrich, 64n, 86Lees Andrew, 47Lent Dieter, 22n, 24n, 47Leo Heinrich, 117Leroux Pierre, 67, 68, 84nLincoln Abraham, 43Lipke Gustav, 144nList Friedrich, 79 e n Losurdo Domenico, 224, 225Luden Heinrich, 27Lülmann Hans, 22, 45, 66, 68n, 69

Machiavelli Niccolò, 49n, 88, 89, 167n

Maistre Joseph de, 127nMalthus Thomas Robert, 77nMantelli Brunello, 11nManteuffel Otto von, 33, 91, 117,

118n, 183Mariana Juan de, 173nMartin Rudolf, 52nMarx Karl, 13n, 123 e n, 126n, 129,

130Mathy Karl, 87, 96Mazzini Giuseppe, 147nMeinecke Friedrich, 232, 233nMeinhof Ulrike Marie, 41Meissner Alfred, 88Metternich Klemens von, 24nMeyer Hugo, 108nMichels Robert, 187nMiquel Johannes von, 36n, 38, 199n,

204, 205nMittermaier Karl, 87Mohl Robert von, 50, 218nMoleschott Jakob, 88 e nMöller Frank, 92Mommsen Theodor, 119, 120, 121 e nMommsen Wolfgang, 56More Thomas, 159Mundt Theodor, 64nMyounghang Chang, 49, 50n

Nagel Lorenz Theodor, 215, 216nNokk Wilhelm, 36n, 107n, 108n,

187n

Oelsner-Monmerqué Gustav, 33Ogorek Regina, 47Oncken Hermann, 205Oppermann Otto, 48, 54n, 66Orsini Felice, 189

Pfi zer Paul Achatius, 50Pickford Issel Clara, 34Platone, 159Polignac Jules de, 197Portner Ernst, 56, 192n, 205Preen Friedrich von, 217nProudhon Pierre-Joseph, 68, 84n

Quehl Rhyno, 118Quinet Edgar, 69n, 85

Radowitz Joseph von, 107Ranke Leopold von, 45n, 88Raveaux Franz, 99Reyscher August Ludwig, 185n, 193nRiehl Wilhelm Heinrich, 117 e n,

218nRobespierre Maximilian de, 84nRochau August von, 21, 22 e n, 23 Romieu Auguste, 123 e n, 124n, 127

e n, 208Roon Albrecht Theodor von, 198Rosenberg Hans, 46Rosenkranz Karl, 13, 118nRotteck Carl von, 40, 50, 156 e nRousseau Jean-Jacques, 74n, 156Rouvroy Henry de (conte di Saint-

Simon), 68, 77, 84nRudloff Carl Friedrich Wilhelm, 22n,

24nRudloff Louise Ernestine, 21, 22n, 23Rüder Maximilian, 25, 26, 27n, 32,

52, 64n-66nRuge Arnold, 13n, 20n, 86, 229 e nRuge Richard, 229n

Saint-Just Louis Antoine de, 84n

262

Sand George (pseud. di Amantine Aurore Dupin, baronessa Dude-vant), 68

Sand Karl Ludwig, 24n, 64nSavigny Friedrich Carl von, 176, 226Schäffl e Albert, 218Schiera Pierangelo, 144, 145Schmid Albert, 24n, 25Schmidt Ernestine Sophie, 32Schön Theodor von, 114n, 140nSchulze-Delitzsch Hermann (pseud.

di Franz Hermann Schulze), 137, 185n

Sell Friedrich C., 20Sheehan James John, 44Stahl Friedrich Julius, 117, 147, 148n,

181, 218nStahr Adolf, 88Stein Heinrich Friedrich Karl von,

170Stein Lorenz von, 70n, 79, 83, 223,

225Stolleis Michael, 56Struve Gustav, 31, 97Sumner Graham William, 43Sybel Heinrich von, 56n, 144n, 206,

218

Tacito Publio Cornelio, 11nThiers Adolphe, 84Tischendorf Constantin, 86Tocqueville Alexis de, 12, 84n, 115,

120n, 131, 135n, 193n

Treitschke Heinrich von, 14, 15, 22, 26, 29n, 35, 39, 40, 44, 51, 52 e n, 53, 55, 56n, 63, 69, 89, 107 e n, 119 e n, 120 e n, 121 e n, 128n, 129n, 192n, 199n, 209, 214n, 226, 227, 229, 231, 232, 233n

Twesten Karl, 144n, 146n

Venedey Jakob, 30, 86, 193nVieweg Eduard, 30Vogt Carl, 152 e n

Wagener Herrmann Friedrich, 117Wagner Richard, 86Wagner Rudolph, 152nWeber Max, 220, 232 e nWeech Friedrich von, 29n, 47, 62Wehler Hans-Ulrich, 15, 49, 56, 153,

192, 224, 225Wehrenpfennig Wilhelm, 55, 184nWelcker Carl Theodor, 50, 156Werner Maximilian, 100Wernher Philipp Wilhelm, 144nWienbarg Ludolf, 64nWild Frank, 49, 50nWilhelm Friedrich (re di Prussia e

imperatore di Germania), 34Windischgrätz Alfred von, 105Winkler Heinrich August, 15Wirth Johann Georg, 65

Zarncke Friedrich Karl, 120nZeller Eduard, 57