L'ingegno proteiforme di Aristofane: verso la costruzione di un comico letterario

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l’inGeGno PRoTeifoRme di aRiSTofane: veRSo la coSTRuzione di un comico leTTeRaRio * P aTRizia muReddu - Gian fRanco nieddu Mimhsav menoı th; n Euj ruklev ouı manteiv an kai; diav noian eij ı aj llotriv aı gastev raı ej ndu; ı kwmw/ dika; polla; cev asqai (ar. Vesp. 1019 s.) 1. PRemeSSa la commedia arcaica, quale ci è nota soprattutto dall’opera di ari- stofane, è il genere poikivloı per eccellenza: poikivloı sotto i più vari aspetti, tematici (vi si affrontano problemi dell’attualità politica, sociale, culturale, risolti spesso in via paradossale, fantastica, utopica), formali (linguistici, stilistici, espressivi, lessicali, metrici e ritmici), strutturali (libertà narrative, incongruenze, repentini capovolgimenti di fronte) che sono stati nel corso degli anni oggetto di un’intensa, se non esaustiva, discussione ed analisi. vecchio e nuovo, conserva- zione ed innovazione, anche nell’uso delle risorse e dei mezzi comici, appaiono in essa chiaramente coesistenti. inevitabile, di fronte a questo ampio spettro di possibili applica- zioni del concetto di poikilia alla poetica aristofanea – ed in considera- zione dello spazio non illimitato a disposizione – l’individuazione di un percorso selettivo, che può, crediamo, prendere utilmente le mosse da un’analisi semantica delle occorrenze del termine in aristofane. l’aggettivo poikivloı vi compare più volte (14), in due casi in composizione. da una anche rapida verifica risulta che le accezioni prevalenti sono due: una prima, concreta, la più ovvia ed attesa, con- cerne la varietà e la mutevolezza di suoni e colori. la ritroviamo in particolare negli Uccelli (vv. 739, 761, 777, 1410 s., 1415), dove a ri- 107 * a P. mureddu si devono le sezioni 1 e 5; a G.f. nieddu le sezioni 2, 3, 4.

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l’inGeGno PRoTeifoRme di aRiSTofane:veRSo la coSTRuzione di un comico leTTeRaRio*

PaTRizia muReddu - Gian fRanco nieddu

Mimhsavmenoı th;n Eujruklevouı manteivan kai; diavnoianeijı ajllotrivaı gastevraı ejndu;ı kwmw/dika; polla; cevasqai

(ar. Vesp. 1019 s.)

1. PRemeSSa

la commedia arcaica, quale ci è nota soprattutto dall’opera di ari-stofane, è il genere poikivloı per eccellenza: poikivloı sotto i piùvari aspetti, tematici (vi si affrontano problemi dell’attualità politica,sociale, culturale, risolti spesso in via paradossale, fantastica, utopica),formali (linguistici, stilistici, espressivi, lessicali, metrici e ritmici),strutturali (libertà narrative, incongruenze, repentini capovolgimentidi fronte) che sono stati nel corso degli anni oggetto di un’intensa,se non esaustiva, discussione ed analisi. vecchio e nuovo, conserva-zione ed innovazione, anche nell’uso delle risorse e dei mezzi comici,appaiono in essa chiaramente coesistenti.

inevitabile, di fronte a questo ampio spettro di possibili applica-zioni del concetto di poikilia alla poetica aristofanea – ed in considera-zione dello spazio non illimitato a disposizione – l’individuazione diun percorso selettivo, che può, crediamo, prendere utilmente le mosseda un’analisi semantica delle occorrenze del termine in aristofane.

l’aggettivo poikivloı vi compare più volte (14), in due casi incomposizione. da una anche rapida verifica risulta che le accezioniprevalenti sono due: una prima, concreta, la più ovvia ed attesa, con-cerne la varietà e la mutevolezza di suoni e colori. la ritroviamo inparticolare negli Uccelli (vv. 739, 761, 777, 1410 s., 1415), dove a ri-

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* a P. mureddu si devono le sezioni 1 e 5; a G.f. nieddu le sezioni 2, 3, 4.

cevere tale determinazione – che riguarderà volta a volta la molte-plicità delle specie, il piumaggio, le modulazioni del canto – sonoprevalentemente i componenti del coro1.

la seconda accezione, traslata, appare a prima vista anch’essa ab-bastanza lontana dal nostro tema: così si trova ad essere qualificatapiù volte nei Cavalieri la capacità, tutta negativa, di portare ad effettoattività delittuose o truffaldine (vv. 196, 459, 684-687, 758)2. l’agget-tivo è infatti usato prevalentemente per denotare la scaltrezza e l’in-gegno sottile e versatile sia del Salsicciaio che del Paflagone, i quali,fra raggiri, inganni, calunnie, lusinghe, adulazioni, esibiscono tutta lasfrontatezza di cui sono capaci. in questi contesti, poikivloı si as-socia talora, o viene a coincidere semanticamente, con termini comepanourgoı (Épanourgiva)3 e kakourgoı (Ékakourgiva, kakourgevw)4.

Si tratta di un lessico nel complesso non estraneo al campo dellacritica poetica e letteraria: questi termini, così come quello, spessocorrelato, di ajlazwvn, sono infatti adoperati da aristofane anche perdescrivere l’attività di autori o filosofi, in passaggi in cui si contestanoscelte retoriche (come quelle della sofistica)5 o poetiche: ne fannole spese, ad esempio, nelle Rane, tanto eschilo6 quanto euripide7.

Se dunque poikiliva, panourgiva, kakourgiva, ajlazoneiva sonoper aristofane concetti in qualche misura omogenei, che possono

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1 in Lys. 1189, Plut. 530 e 1199, fr. 624 K.-a., l’aggettivo riguarda tappeti,stoffe, vesti (‘ricamati’, ‘multicolori’).

2 cfr. anche Thesm. 439, dove viene lodata l’abilità oratoria della donna i,che ha appena concluso il suo intervento.

3 cfr. in particolare Eq. 684-687 (hu|re d∆ oJ panourgoı e{teron polu;panourgivaiı É meivzosi kekasmevnon kai; dovloisi poikivloiı É rJhvmasivnq∆ aiJmuvloiı).

4 È il caso di Nub. 1172-1175 (nun mevn g∆ ijdein ei\ prwton ejxarnhtiko;ıÉ kajntilogikovı, kai; touto toujpicwvrion É ajtecnwı ejpanqei, to; Ætivlevgeiı suv…Æ kai; dokein É ajdikount∆ ajdikeisqai, kai; kakourgount∆, oi\d∆o{ti): una chiara testimonianza dell’uso tecnico-retorico di kakourgein, fre-quente anche in Platone (cfr. mureddu-nieddu 2000, p. 30 n. 69 e p. 58 n. 153).

5 Nub. 102-104, 449, 1492 (ajlazwvn); 1175 (kakourgevw).6 Ran. 908-910 (ajlazw;n kai; fevnax), 919 s. (ajlazoneiva). Sull’uso ed il

valore di ajlazwvn in aristofane e in altri autori del v e del iv secolo “a freshanalysis” offre macdowell 1990, pp. 287-292.

7 Ran. 80, 1015, 1520 (panourgoı).

assumere accezioni critico-letterarie o retoriche, nella prima partedel nostro intervento potremmo tentare di percorrere, nei confrontidel nostro commediografo, una via di analisi che metta in luce i casiin cui sia lui stesso a fare ricorso ad una poikiliva ribalda, esercitatain forme ed in ambiti pericolosamente vicini alla furfanteria, e chegli consente di mettere a segno i propri colpi migliori. Sotto questaluce, la poikiliva É ajlazoneiva di aristofane può essere individuatain tutti quei casi in cui il nostro autore, per fini prettamente comici,si appropria di linguaggi estranei al suo genere – specie se questoprocedimento gli serve per svelare, mettendola a nudo mediante ladeformazione parodica, l’eventuale panourgiva (É kakourgiva) insitanel modello.

affrontando in primo luogo questo peculiare aspetto della suaindubbia versatilità, abbiamo voluto lasciare da parte i casi di vera epropria parodia8 – quelli, cioè, in cui si ‘gioca’ su un passo precisodi un altro autore (epico, tragico, lirico) e l’effetto comico nasce es-senzialmente dal contrasto che viene a crearsi tra il contesto di par-tenza e quello di arrivo – per prendere in esame più propriamentealcuni pastiches, le composizioni ‘alla maniera di’: quelle in cui ari-stofane mostra tutta la sua strafottente bravura, la sua sorprendenteabilità mimetica. ma poiché anche qui il campo in cui si esercita l’in-gegno di aristofane è assai ampio e variegato, abbiamo pensato diselezionare solo alcuni tra gli esempi più significativi.

la seconda parte del nostro intervento riguarderà invece – se-condo una lettura più convenzionale del termine poikiliva – la plu-ralità di forme del suo armamentario comico, che, pur fortementeradicato nella tradizione giambica, ad uno sguardo attento svela lasua forte elaborazione letteraria, messa in gioco nella più grande va-rietà di forme e di campi di applicazione.

2. il linGuaGGio deGli oRacoli:il diSvelamenTo di un’imPoSTuRa

la scena più ampia ed articolata in cui aristofane si cimenta da par

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8 Per i quali rinviamo all’ancora fondamentale Rau 1967.

suo nella riproduzione del ‘genere’ oracolare si trova nei Cavalieri(vv. 1015-1089), nel lungo agone – un ajgw;n ajnaideivaı – che vedeil Paflagone ed il Salsicciaio contendersi a suon di vaticini il dirittoad impadronirsi del governo di atene; ma sezioni più o meno estesecompaiono ancora qua e là nella stessa commedia (Eq. 197-201)9,in Pax 1063-1100 (dove il chresmologos ierocle, esibendo il parere con-trario degli oracoli, dichiara destinata al fallimento l’iniziativa di Tri-geo di liberare eirene), in av. 967-979 (che vede un altro anonimo‘oracolista’ – anche lui alla ricerca di qualche vantaggio personale –accorrere nella nuova città per leggervi le sue favorevoli profezie)10,ed infine in Lys. 770-77611.

nella giocosa riproduzione del linguaggio oracolare, il nostrocommediografo mostra di possedere una sorprendente maestria, de-rivata indubbiamente da un accurato studio del modello. al ricorso(inevitabile) all’esametro dattilico12 si accompagna infatti l’adozionedi formule, di espressioni ed immagini epicizzanti, ma soprattutto lasapiente ripresa dei moduli, degli artifici, della fraseologia, del lessico,delle caratteristiche dialettali ionico-eoliche, dei ridondanti composti,ed infine l’utilizzazione di una terminologia oscura, ambigua o allu-siva. del variegato mondo della parola profetica aristofane mostra

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9 cfr. anche vv. 116-143, 1229 s.: è il cosiddetto “oracolo sacro” che staalla base dell’azione drammatica, probabile trasposizione comica del ‘motivodell’oracolo’, tipico del teatro sofocleo (Rau 1967, pp. 169-173).

10 le due scene, quella della Pace e quella degli Uccelli, sono strutturalmentesimili: in entrambi i casi, il personaggio che allontana il disturbatore di turno gliritorce contro, deformandole parodicamente, le parole del millantato oracolo.

11 Si tratta in generale di responsi del tipo cosiddetto ‘cresmologico’, nonprovenienti da fonti ufficiali come delfi o dodona, ma conservati in raccolte edattribuiti ad antichi ‘profeti’ (cfr. fontenrose 1978, pp. 158 s., dunbar 1995, pp.540 s., Smith 1989, pp. 150 s.). a Bacide sono attribuiti gli oracoli del Paflagone(Eq. 123 s., 1003), quelli di ierocle, che chiama in causa anche la Sibilla (Pax 1070s., 1095), quelli dell’anonimo oracolista degli Uccelli (v. 962). oracoli ‘indiretti’, dicui è riferito solo il contenuto, sono citati in Vesp. 799-804 ed in Pl. 41-43.

12 Sull’uso, in commedia, dell’esametro, quale metro peculiare dei responsioracolari, cfr. Pretagostini 1995, pp. 166-168. delle implicazioni pragmaticheconnesse con il suo uso, dell’articolazione interna, dei ruoli e dei rapportidrammaturgici fra i personaggi, nonché degli aspetti ‘metatematici’ presentinei vari passi, discute più di recente Kloss 2001, pp. 70-86.

di conoscere le molteplici ‘vie’, le diverse tipologie, la varietà di temie contenuti che caratterizzano le modalità della predizione: oracolidi potere, di fondazione di città, oracoli sull’opportunità di fare lapace o continuare la guerra, sui modi di fare offerte e sacrifici aglidèi13; oracoli ora lunghi, articolati e complessi, comprendenti granparte degli elementi-standard, ora brevi, presentati sotto forma di or-dine o ammonimento.

nell’ampia casistica documentata dalle sue commedie possiamoannoverare da una parte quei vaticini (come il già ricordato “oracolosacro” di Eq. 116 e 197-201) caratterizzati da un attacco con ajll∆oJpovtan – una variante del più comune ajll∆ o{tan tipico dei testioracolari, sia delfici che cresmologici –, ripreso dall’avverbio tovte14,che introduce la predizione ‘condizionata’15, dall’altra quelli che siaprono con l’imperativo fravzeo, -eu (e simili) – anch’esso elementoiniziale di numerosi oracoli sia della Pizia che di Bacide – con cui siammonisce il destinatario a tenere nella doverosa considerazione leprescrizioni che gli vengono impartite, ed a stare in guardia o ado-perarsi per evitare qualche minaccioso evento16.

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13 Gli avvicendamenti nel governo della città di atene costituiscono l’ar-gomento del vaticinio gelosamente tenuto segreto dal Paflagone (Eq. 197-201); secondo le modalità espressive di un oracolo di fondazione cominciaquello presente in av. 967 s. ajll∆ o{tan oijkhvswsi luvkoi poliaiv tekorwnai É ejn taujtw/ to; metaxu; korivnqou kai; sikuwnoı É ª...º, pre-scrivendo di seguito prwton Pandwvra/ qusai leukovtrica kriovn (cfr. anchev. 959); di pace e guerra e dei connessi sacrifici propiziatori detta tempi e modiinvece quello di Pax 1063-1086 (cfr. anche v. 1088).

14 cfr. anche Lys. 770-772 (ajll∆ oJpovtan ª...º É paula kakwn e[stai)ed av. 967-971 (ajll∆ o{tan ª...º prwton, al quale nella ‘versione’ di Pisetero,vv. 983-985, corrisponde l’epico aujta;r ejph;n ª...º dh; tovte). Questa strutturatrova, ad esempio, puntuale riscontro in P.-W. 54.1 s. (ajll∆ o{tan ª...º É kai;tovte), P.-W. 65.1 s. (ajll∆ o{tan ª...º É tovte dhv), P.-W. 84.1-6 (ajll∆ o{tanª...º É tovte ª...º É kai; tovte dhv), Hdt. 8.77.1 (ajll∆ o{tan ª...º tovte), P.-W.357 (ajll∆ oJpovte ª...º É tovte).

15 una predizione, nel caso di Eq. 197-201, duplice: distruzione per “lamarinata dei Paflagoni” (Paflagovnwn me;n ajpovllutai hJ skorodavlmh) egrande trionfo e gloria per i venditori di trippe (koiliopwvlh/sin de; qeo;ımevga kudoı ojpavzei).

16 cfr. P.-W. 7.3 (tautav nun eu\ fravzesqe: “considerate”), P.-W. 487.3

a questa seconda forma appartengono i primi vaticini con cui idue contendenti, il Paflagone ed il Salsicciaio, si disputano i favoridi demos:

PA. fravzeu, ∆Erecqei?dh, logivwn oJdovn, h{n soi ∆Apovllwni[acen ejx ajduvtoio dia; tripovdwn ejritivmwn.swv/zesqaiv s∆ ejkevleu∆ iJero;n kuvna karcarovdonta,o}ı pro; sevqen cavskwn kai; uJpe;r sou deina; kekragw;ısoi; misqo;n poriei: ka]n mh; dra/ı taut∆, ajpoleitai:polloi; ga;r mivsei sfe katakrwvzousi koloioiv

recita infatti il Paflagone (Eq. 1015-1020), proponendo il suo abile‘pezzo’. all’attacco in chiave tradizionale e convenzionale segue, comepoi in altri casi, uno sviluppo inedito, formalmente in tono, ma nonalieno da assurdità, esagerazioni ed aspetti caricaturali, anche se in-corpora al suo interno uno o più motivi di repertorio17. l’avvio par-ticolarmente sostenuto sfuma nell’immagine certamente meno aulicadel ‘sacro cane’, che “stando davanti a te con la mascella spalancata eferocemente latrando in tua difesa, ti procurerà… il salario”.

a lui prontamente replica il Salsicciaio con il suo contro-oracolo,che costituisce un palese rovesciamento delle parole pronunciatedall’avversario (vv. 1030-1034):

AL. fravzeu, ∆Erecqei?dh, kuvna kevrberon ajndrapodisthvn,o}ı kevrkw/ saivnwn s∆, oJpovtan deipnh/ı, ejpithrwn ejxevdetaiv sou tou[yon, o{tan suv pou a[llose cavskh/ı:ejsfoitwn t∆ ejı toujptavnion lhvsei se kunhdo;nnuvktwr ta;ı lopavdaı kai; ta;ı nhvsouı dialeivcwn.

nell’apostrofe iniziale, apparentemente identica, la forma verbale

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(fravzesq∆ ejx ejmevqen crhsmo;n qeou ª...º), P.-W. 225 s. (fravzeo: “rifletti”),P.-W. 374 s. (fravzeo dhv moi muqon), Hdt. 8.20.2 (fravzeo ª...º ajpevcein:“bada di”), P.-W. 112 s. (fravzeo dhv, ª...º mh; É ª...º blavsth/: “bada chenon”), P.-W. 46.3 (satuvrion fravzou suv ª...º: “evita”): così ad esempio ar.Pax 1099 s.: fravzeo dhv, mh; ª...º ijktinoı mavryh/: “bada che non”.

17 cfr. anche fontenrose 1978, p. 159, attento, oltre che agli aspetti tematici,a quelli compositivi e stilistici (vd. più in generale pp. 145-174).

fravzeu è ripresa con il senso di “guardati”18. nella chiusa, dove siaccusa senza veli il Paflagone di ‘ripulire’ le isole, si può osservareun esempio particolarmente evidente di “intrusion of literalnessinto a metaphorical context”19. nella ‘parodia di secondo grado’ delSalsicciaio è possibile notare infatti un costante scivolamento versosituazioni di più banale e realistica quotidianità, che non escluderànei versi successivi il ricorso ad espressioni apertamente scurrili20.

ad una tipologia ancora diversa rimandano profezie del genererichiamato in Eq. 1037 e[sti gunhv, tevxei de; levonq∆ iJeraiı ejn∆Aqhvnaiı21, dove al generico modulo iniziale e[sti, proprio di alcunioracoli delfici22, è associato il più caratteristico motivo tevxei de;levonta, attestato per esempio in P.-W. 7.1 (aijeto;ı ejn pevtrh/sikuvei, tevxei de; levonta) e, con una variante, in P.-W. 6.2 (Lavbdakuvei, tevxei d∆ ojlooivtrocon): entrambi di origine pitica.

come può vedersi, viene evocato, con piena consapevolezza, unampio campionario di motivi e forme. ad essere accuratamente ri-prodotti, oltre la struttura generale, sono le tipiche componenti e lemodalità espressive del dispositivo oracolare: dal saluto-apostrofe aldestinatario – ora un semplice nome o appellativo, ora un’allocuzioneche si dilata in un’ampia relativa23 – all’affermazione dell’autorità man-

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18 cfr. anche v. 1067 fravssai kunalwvpeka. al v. 1051, mh; peivqou (cfr.P.-W. 25; 433.1; 488.2), che si pone sulla stessa linea di fravzeu, non è formal-mente parte di un oracolo, ma riprende comunque una struttura del linguaggiooracolare.

19 Sommerstein 1981, p. 199.20 vv. 1056 s.: kaiv ke gunh; fevroi a[cqoı, ejpeiv ken ajnh;r ajnaqeivh:

É ajll∆ oujk a]n macevsaito: cevsaito gavr, eij macevsaito. cfr. anchePax 1077 wJı hJ sfonduvlh feuvgousa ponhrovtaton bdei.

21 cfr. anche v. 1059 e[sti Puvloı pro; Puvloio.22 P.-W. 381, e[sti tiı ejn temevnei a[lkimoı ajnhvr, É o{ı ª...º, P.-W.

33.1 e[sti tiı ∆Arkadivhı Tegevh, P.-W. 218.1 ei[si oJdoi; duvo.23 È da una parte il caso di Eq. 1015, 1030 (∆Erecqei?dh), 1055 (kekropivdh

kakovboule) e 1067 (Aijgei?dh), e dall’altra di Pax 1063-1068 (w\ mevleoi qnhtoi;kai; nhvpioi ª...º oi{tineı ajfradivh/si qewn novon oujk aji?onteı É sunqhvkaıpepovhsq∆ ª...º) che combina due epiteti al vocativo, entrambi di ascendenzaoracolare, ‘delfica’ e ‘cresmologica’ (P.-W. 94.1, FGrHist 90. 68.8, P.-W. 55.1),dai quali si diparte la lunga relativa che dà ragione della topica accusa di insen-

tica24, al messaggio nelle sue diverse formulazioni e varianti (un or-dine, un’ingiunzione, un comando condizionato25, una promessa, unaprofezia, un’istruzione, un divieto, una raccomandazione, un avver-timento, espressi da un indicativo o un imperativo26, da un’infinitiva27,

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satezza (ajfradivh/si: nella stessa posizione in P.-W. 408.2) rivolta ai “mortali”.in un’ampia relativa si sviluppa anche il già citato oracolo (Eq. 1030-1034), at-tribuito dal Salsicciaio a Glanide (cfr. Kloss 2001, p. 78 n. 177). il frequentericorso, nei Cavalieri, a patronimici mitici (∆Erecqei?dh, kekropivdh, Aijgei?dh)si giustifica certamente con il desiderio di entrambi i contendenti di lusingaredemos, ma non è privo di riscontri nella letteratura oracolare tradizionale: cfr.∆Erecqeivdh/sin in P.-W. 282.1, w\ zaqevhı gegawteı ∆Ericqonivoio genevqlhı(P.-W. 470.1), kuvyeloı ∆Hetivdhı (P.-W. 8.2), ∆Aghvnoroı e[kgone kavdme(P.-W. 374.1).

24 Si veda l’avvio particolarmente solenne del già citato Eq. 1015 s. fravzeu,∆Erecqei?dh, logivwn oJdovn, h{n soi ∆Apovllwn É i[acen ejx ajduvtoio dia;tripovdwn ejritivmwn (cfr. P.-W. 581), rappresentato come proveniente dallasuprema fonte dell’autorità divinatoria. ma cfr. anche av. 981 s. (oJ crhsmo;ıª...º, o}n ejgw; para; tajpovllwnoı ejxegrayavmhn) e Pax 1070 s. (eij ga;r mh;nuvmfai ge qeai; Bavkin ejxapavtaskon, É mhde; Bavkiı qnhtouvı, mhd∆au| nuvmfai Bavkin aujtovn), dove la citazione della fonte, nella sua rincorsaverso un’autorità sempre più attendibile, finisce con l’avvitarsi su se stessa, inun comico nonsense (cfr. olson 1998, p. 274).

25 Pax 1075 s. (ouj gavr pw tout∆ ejsti; fivlon makavressi qeoisin, Éfulovpidoı lhxai, privn ken luvkoı oi\n uJmenaioi), av. 967-971 (ajll∆o{tan oijkhvswsi luvkoi poliaiv te korwnai É ejn taujtw/ to; metaxu; ko-rivnqou kai; sikuwnoı ª...º É prwton Pandwvra/ qusai leukovtricakriovn), un modulo poi ripreso da Pisetero nella sua abile contraffazione (vv.983-985 e 987 s.: aujta;r ejph;n a[klhtoı ijw;n a[nqrwpoı ajlazw;n É luph/quvontaı ª...º, É dh; tovte crh; tuvptein aujto;n pleurwn to; metaxuv),epica nel metro e nella prosodia, ma prevalentemente attica nel linguaggio.

26 Eq. 1087 (aijeto;ı wJı givgnei kai; pavshı ghı basileuveiı); Eq.1039 (to;n su; fuvlaxai), 1052 (ajll∆ iJevraka fivlei), av. 971 (qusai leukov-trica kriovn), 973-975 (tw/ dovmen iJmavtion kaqaro;n kai; kaina; pevdilaª...º É kai; fiavlhn dounai ª...º). Qui al v. 972 (o}ı dev k∆... e[lqh/ prwvtista)è riecheggiato un ulteriore elemento tipico dello stile delfico (Hdt. 4.159.3;6.34.2), quello del “first comer”: cfr. anche Pl. 41-43 (dunbar 1995, p. 547,con ulteriori rimandi).

27 Eq. 1017 (swv/zesqaiv s∆ ejkevleu∆ iJero;n kuvna ª...º), Pax 1073 (ou[pwqevsfaton h\n Eijrhvnhı devsm∆ ajnalusai), 1075 s. (ouj gavr pw tout∆ejsti; fivlon makavressi qeoisin, É fulovpidoı lhxai): cfr. P.-W. 43.2;173.1 fulavxesqaiv se keleuvw.

da una condizionale28, sotto forma di proibizione29, e talora reiterati30).come spesso avviene nei testi ‘autentici’ della letteratura oraco-

lare31, le predizioni sono intessute di citazioni, di proverbi e dettisentenziosi, ma soprattutto si fa frequente ricorso ad immagini emetafore del mondo animale: si vedano, ad esempio, il già richiamatopasso di Eq. 1037-1039:

e[sti gunhv, tevxei de; levonq∆ iJeraiı ejn ∆Aqhvnaiı,o}ı peri; tou dhvmou polloiı kwvnoyi maceitaiw{ı te peri; skuvmnoisi bebhkwvı

o anche, nella stessa commedia, i vv. 1086 s.:

ajlla; gavr ejstin ejmoi; crhsmo;ı peri; sou pterugwtovı,aijeto;ı wJı givgnei kai; pavshı ghı basileuveiı32.

Rientrano in questo quadro anche gli adynata, caratteristiche

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28 le conseguenze deleterie che potrebbero nascere dal disattendere il re-sponso sono richiamate in chiusura degli oracoli in Eq. 1019 (ka]n mh; dra/ıtaut∆, ajpoleitai), av. 977-979 (ka]n mevn, qevspie koure, poih/ı tauq∆wJı ejpitevllw, É aijeto;ı ejn nefevlh/si genhvseai: aij dev ke mh; dw/ı, Éoujk e[sei ouj trugwvn ª...º), Lys. 774-776 (h]n de; diastwsin ª...º É oujkevtidovxei É o[rneon oujd∆ oJtioun katapugwnevsteron ei\nai).

29 Eq. 1067 (fravssai ª...º, mhv se dolwvsh/, cfr. anche v. 1081), Pax 1099s. (fravzeo dhv, mh; ª...º É ijktinoı mavryh/).

30 una triplice ripetizione del messaggio in Pax 1073 (ou[pw qevsfatonh\n Eijrhvnhı devsm∆ ajnalusai), 1075 s. (ouj gavr pw tout∆ ejsti; fivlonmakavressi qeoisin, É fulovpidoı lhxai), 1079 (ou[pw crhn th;n eijrhvnhnpepohsqai).

31 cfr. fontenrose 1978, pp. 18 e 26.32 una promessa di dominio su tutta la terra, che il Salsicciaio non avrà re-

more ad estendere per suo conto al mar Rosso ed alla Persia (vv. 1088 s. kai;ghı kai; thı ejruqraı ge qalavsshı). È una profezia particolarmentegradita a demos (cfr. vv. 1011-1013 ajnagnwvsesqev moi, É kai; to;n peri;ejmou ∆keinon w|/per h{domai, É wJı ejn nefevlh/sin aijeto;ı genhvsomai)che riprende un motivo presente, ad esempio, in P.-W. 121.3 (aijeto;ı ejnnefevlh/si genhvseai). cfr. anche av. 978 aijeto;ı ejn nefevlh/si genhvseai.una struttura simile compare anche in Lys. 770-772 (ajll∆ oJpovtan pthvxwsicelidovneı eijı e{na cwron, É ª...º paula kakwn e[stai ª...º).

forme di predizione condizionata, subordinata cioè al verificarsi diun evento o di una situazione incredibile ed apparentemente im-possibile, di cui aristofane non manca di proporre due tipici esempi:il primo nella Pace (vv. 1075 s.) quando ierocle, in forza di un oracolodi Bacide, dichiara non gradita agli dèi la cessazione della guerra: oujgavr pw tout∆ ejsti; fivlon makavressi qeoisin, É fulovpidoılhxai, privn ken luvkoı oi\n uJmenaioi, a cui fa seguito un comicocumulo di avvertimenti: chj ajkalanqi;ı ejpeigomevnh tufla; tivk-tei (v. 1078), ou[pote poihvseiı to;n karkivnon ojrqa; badivzein(v. 1083), oujdevpot∆ a]n qeivhı leion to;n trhcu;n ejcinon (v.1086); il secondo negli Uccelli (vv. 967-971) quando il crhsmolovgoısi presenta recitando un oracolo, ancora di Bacide, relativo allafondazione della nuova città: ajll∆ o{tan oijkhvswsi luvkoi poliaivte korwnai É ejn taujtw/ to; metaxu; korivnqou kai; sikuwnoıª...º É prwton Pandwvra/ qusai leukovtrica kriovn33.

È un artificio condiviso con la favola ed il proverbio34, ma chein mano ad aristofane si trasforma in un’occasione formidabile diparodia letteraria e di satira politica, diretta verso i suoi concittadinismaniosi di dominio, ostili alla pace e pregiudizialmente diffidentiverso gli Spartani, visti volta a volta nella veste di ‘cuccioli di corvi’(korakivnoi: Eq. 1053), ‘scimmie dallo sguardo di fuoco’ (caropoi;piqhvkoi: Pax 1065), ‘volpacchiotti’ (ajlwpekideiı: Pax 1067), da cuigli ateniesi, ‘timide procellarie’ (kevpfoi trhvrwneı: Pax 1067), sidevono ben guardare35. ne fa le spese soprattutto cleone, spregia-tivamente bollato come bursaivetoı ajgkulochvlhı (Eq. 197), kuvna

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33 Proverbiale appare l’espressione to; metaxu; korivnqou kai; sikuwnoı,attestata in P.-W. 46.1. una parodica invenzione aristofanea è invece il motivodella coabitazione di lupi e “canute cornacchie”, espressione di una “doubleimpossibility, since there are no steel-grey crows and crows could never livetogether with wolves” (Sommerstein 1987, p. 262, ma cfr. dunbar 1995, p.545: “poliaiv is not part of the impossibility”).

34 cfr. fontenrose 1978, pp. 83-87.35 l’artificio, di cui le singolari ed enigmatiche metafore sopra richiamate

rappresentano un’indubbia parodia, è utilizzato anche in Lys. 770-776, dove ilcrhsmovı predice il successo alle celidovneı, se esse si terranno lontane daglie[popeı. famosi esempi, tratti da oracoli ‘storici’, sono Hdt. 1.55.2 (ajll∆ o{tanhJmivonoı basileu;ı Mhvdoisi gevnhtai) e 5.92.3.

kevrberon ajndrapodisthvn (Eq. 1030), kunalwvphx (Eq. 1067),ed immaginato in impari lotta con terribili avversari: un dravkwnkoavlemoı36, dei koloioiv, dei kwvnwpeı e delle korwnai.

È un dato acquisito dalla critica che “non sugli oracoli e sullamantica in quanto tali si abbatte il disprezzo dei personaggi aristo-fanei, bensì sull’uso strumentale e profittatorio fattone in particolaredai chresmológoi”, sospettati di selezionare ed interpretare gli oracoliin maniera ingannevole per servire ai loro fini37. ad essere denun-ciato con maggior forza è il loro abuso come strumento di mani-polazione dell’opinione pubblica nella competizione politica, a cuipotevano più agevolmente prestarsi, per la loro più generale appli-cabilità, le raccolte conservate sotto il nome di celebri indovini38.

molti degli elementi utilizzati sono, come si vede, topici, ed alcuniriprendono o riecheggiano oracoli noti39; aristofane però non ha inmente un particolare oracolo o una specifica tipologia oracolare, maassembla materiali di varia origine, di natura e forma epicizzante40,

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36 Sotto questa definizione altisonante si nascondono i volgari prodotti delsuo avversario, le salsicce, appunto (cfr. vv. 207-210).

37 mastromarco 2006, pp. 218-220 n. 203 (con bibliografia).38 Smith 1989, pp. 140 s., 151 s., 155. cfr. anche muecke 1998, pp. 257-274.39 in primo piano, ovviamente, i due vaticini concessi dalla Pizia agli ate-

niesi nella drammatica circostanza dell’invasione persiana e trasmessi da ero-doto in stretta successione (7.140.2 e 7.141.2): da essi aristofane ‘ritaglia’l’allarmato richiamo incipitario w\ mevleoi, che compare in Pax 1063, e l’ancorpiù famoso teicoı ª...º xuvlinon (P.-W. 95.6, nella stessa posizione in Eq.1040), invocato in quest’occasione dal Paflagone, con evidente stravolgimentodel testo originario, a salvaguardia della sua persona. È vero che i vari perso-naggi dichiarano la provenienza degli oracoli in loro possesso da fonti cre-smologiche, in particolare da Bacide, ma le convenzioni di contenuto e diforma riprodotte sono tradizionali, sostanzialmente comuni al tipo ‘delfico’ e‘cresmologico’.

40 dalla ilias parva (fr. 2, 4 s. Bernabé) è tratto Eq. 1056 s. (kaiv ke gunh;fevroi a[cqoı, ejpeiv ken ajnh;r ajnaqeivh, É ajll∆oujk a]n macevsaito), concui il Salsicciaio invita demos a non dar peso alle presunte imprese vantatedal Paflagone. di derivazione epica o epico-oracolare sono nessi formularicome il mevga kudoı ojpavzei di Eq. 200 (una variante in P.-W. 380.8), il dia;tripovdwn ejritivmwn di Eq. 1016 (cfr. Hymn. ap. 443), il qevsfaton h\n diPax 1073 (cfr. od. 4.561), il fivlon makavressi qeoisin di Pax 1075 (cfr. od.

talora fra loro incongruenti41, ingegnosamente adattandoli e com-binandoli, in relazione all’azione scenica, con elementi frutto dellasua inventiva comica e di livello stilistico più basso, popolare42.

i ‘pezzi’ genuini servono a dare una parvenza di autenticità allescombinate profezie che i vari personaggi sfornano nelle diverse cir-costanze, in funzione dei loro personali interessi e privati vantaggi.Quello qui attuato da aristofane è una sorta di centone, ottenutomettendo brillantemente insieme, con chiari intenti dissacratori, ele-menti tradizionali con elementi di più chiara marca comica, acco-stando vocaboli e formazioni di diverso livello o registro (epico edordinario, metaforico e letterale)43, ma conservando sostanzialmentele caratteristiche formali (di dialetto, di dizione, di stile) del genere,e lasciando la deformazione grottesca soprattutto al momento della‘decifrazione’ del vaticinio44. il risultato di questa abile contraffazione

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1.82), l’wJı ejpitevllw di av. 977 (in clausola come in il. 2.10 e 9.369) o epiteticome karcarovdonta (Eq. 1017), caropoisi (Pax 1065), trhvrwneı (Pax1067), qevspie (av. 977) e singoli elementi lessicali: i[acen (Eq. 1016), ajduvtoio(Eq. 1016), ajfradivh/si (Pax 1064), ajivonteı (Pax 1064), fulovpidoı (Pax1076a), etc.

41 È il caso in particolare di Eq. 1040, dove il riferimento al famoso stra-tagemma del teicoı xuvlinon risulta evidentemente non pertinente alla si-tuazione.

42 ad esempio skorodavlmh (Eq. 199), koiliopwvlh/sin (Eq. 200),ajllantaı (Eq. 201), ajndrapodisthvn (Eq. 1030).

43 un esempio di brusco trapasso da un registro all’altro si ha in Eq. 197-201 – in cui all’evocazione dell’immagine omerica della lotta fra l’aquila ed ilserpente (il. 12.200-207) segue la predizione assai più esplicita del tracollo della‘marinata’ dei Paflagoni (Paflagovnwn me;n ajpovllutai hJ skorodavlmh) edel parallelo, esilarante, destino di gloria assicurato ai venditori di trippe(koiliopwvlh/sin de; qeo;ı mevga kudoı ojpavzei) – ed ancora in av. 967-975 con l’emergere, dopo le iniziali enigmatiche metafore, di richieste esplicitee concrete (iJmavtion kaqaro;n kai; kaina; pevdila ª...º É kai; fiavlhn ª...ºkai; splavgcnwn ª...º).

44 la distorsione parodica viene allo scoperto nelle varie interpretazionifornite dai contendenti (demostene, il Paflagone ed il Salsicciaio: Eq. 202-210, 1021-1029, 1041-1049, 1059-1061, 1069-1077, 1082-1085) e nelle inter-ruzioni e nelle riprese burlesche da parte di destinatari diffidenti o decisamenteostili. Trigeo, in particolare, dopo avere risposto a suo modo all’imbroglione

è quello di una comicità di sapore violentemente satirico, ispirata dauna profonda critica per la ‘nuova mania’ dei cittadini di atene.

3. le SPeRimenTazioni liRicHe dei nuovi TRaGedioGRafi

(aGaTone): ‘deificazione’ della muSica

e vanificazione del conTenuTo

c’è, fra gli altri, un caso particolarmente interessante, quasi clamo-roso, in cui aristofane, nel rifare il verso ad un poeta tragico, superaveramente se stesso: il canto di agatone nelle Tesmoforiazuse (vv. 101-129). anche qui, come in altri casi, dobbiamo purtroppo fare i conticon la perdita della musica, che ci impedisce di cogliere in tutta lasua portata la maliziosa esasperazione che il nostro poeta-furfanteintroduce nel brano lirico, concepito come prodotto di alta caraturastilistica e di estrema elaborazione formale, nel segno delle nuovetendenze poetico-musicali. Possiamo solo intuire il tessuto melo-dico-ritmico della composizione, seguendo le tracce che ne perman-gono nella strutturazione metrica, da cui siamo ancora in grado dicogliere alcuni utili indizi: la varietà e la particolarità dei versi utiliz-zati, la libertà con cui essi vengono trattati, la mistione di cola di ethosapparentemente differente (con liberi passaggi dai metri ionici aglieolici), l’uso di fiorettature e gorgheggi.

nel passo delle Tesmoforiazuse – com’è stato opportunamente os-servato – aristofane “rather than repeat exactly what he had donein the acharnians [vv. 395-413], has expanded the beginning of thesequence, introducing what was only hinted at as comic possibilityin the acharnians, the phenomenon of the poet in action”45. Prean-

119

di turno (Pax 1084 ou[pote deipnhvseiı e[ti tou loipou ∆n Prutaneivw/)gli propone il suo contro-oracolo ‘omerico’, traendo liberamente il suo mate-riale dall’iliade e dall’odissea (Pax 1089-1099).

45 muecke 1982, p. 43. le affinità strutturali e tematiche fra le due raffigu-razioni sono state più volte messe in rilievo: mentre però in un caso aristofanesi limita a ritrarre euripide all’interno del suo ‘studio’ in procinto di comporre(in una posizione quanto mai bizzarra), nell’altro raffigura agatone all’opera,impegnato a dare un saggio del proprio talento poetico.

nunciato dal Servo, che descrive con la concretezza di una serie diimmagini artigianali le modalità del suo lavoro di compositore (vv.49-57)46 compare infatti sulla scena agatone47 nell’atto di eseguire– in una sorta di ‘prova generale’ di tipo privato48 – un inno, evi-dentemente parte di una tragedia, forse proprio quel genere di cantoche aristotele definirà ejmbovlimon49. nella sua performance, il canto si

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46 il Servo è uscito appunto per propiziare, con un rito sacro, la buona riu-scita dell’impresa (vv. 36-38): il suo signore, il kallieph;ı ∆Agavqwn, si accingeinfatti a modellare, plasmare, adattare, sostituire, tornire, rifinire, connettere ivari materiali che verranno a formare la sua costruzione poetica. evidente l’in-tento marcatamente critico, insito nell’esasperata sottolineatura dell’aspettotecnico dell’attività compositiva, per così dire identificata o ridotta ad una seriedi operazioni pratiche e manuali: l’effetto complessivo di questo “chaotic jum-ble of images” – chiosano austin-olson 2004, p. 70 – “is to present agathonnot as a divinely inspired poet (cfr. 40-42) but as a mere wordsmith”. Secondoun tipico procedimento, espressioni metaforiche ed usi propri della termino-logia della critica letteraria sono posti l’uno accanto all’altro (ajyidaı ejpwn,torneuvei ª...º, gnwmotupei, ajntonomavzei ª...º).

47 la sua comparsa è giustificata dal Servo col fatto che “è inverno e nongli è facile piegare le strofe standosene in casa, se non vien fuori, al sole”(vv. 67-69).

48 un’esecuzione, come appunto nota lo scolio (v. 101b Regtuit), oujc wJıejpi; skhnhı, ajll∆ wJı poihvmata suntiqeivı: un ‘pezzo’, dunque, in via dielaborazione o appena ultimato. con essa agatone sembrerebbe voler speri-mentare “l’effetto che doveva ottenere l’esecuzione pubblica del suo canto,esercitando una sorta di ‘controllo acustico’ sul testo drammatico” (Torchio2001, p. 131), un aspetto della più generale dottrina della ‘immedesimazione’teorizzata poco più avanti (vv. 148-152) e probabilmente riflessa anche nellaproblematica ‘raccomandazione’ di aristot. Poet. 1455a 29-32 (o{sa de; du-nato;n kai; toiı schvmasin sunapergazovmenon ª...º): cfr. anche lucas1968, p. 175; Janko 1987, p. 117.

49 Poet. 1456a 27 s. dio; ejmbovlima a[/dousin prwvtou a[rxantoı ∆Agavqwnoıtou toiouvtou. che aristofane ci mostri agatone intento a redigere un inter-mezzo corale è, fra gli altri, l’opinione di Pöhlmann 1988, p. 138 (cfr. anche Prato2001, p. 168). meno probabile mi sembra ritenere che esso appartenesse adun’effettiva tragedia agatoniana di argomento troiano: aristofane non forniscealcun elemento in base al quale il pubblico potesse identificarla, né vi è alcunaindicazione in tal senso nella tradizione scoliastica. Se ne parla del resto come diuna ‘prova’, non come di un testo definitivo, pronto per la rappresentazione.

sviluppa nella forma di un duetto lirico (uno pseudoamebeo), in cuiagatone, indossando vesti femminili, interpreta da solo entrambele parti, impersonando alternativamente il ruolo della corifea e quellodel coro (immaginario) di fanciulle50.

impossibile è ormai per noi giudicare se la ‘ricostruzione’ aristo-fanea si fondasse su qualche originale perduto51, ma resta proble-matico anche intendere pienamente il tipo di operazione da luicompiuta, non essendoci pervenuto nessun brano lirico del giovanetragediografo. Sarà forse opportuno richiamarne alcuni dei tratti piùsignificativi.

Già nell’invito (vv. 39-48), in “solenni anapesti recitativi”52, ri-volto dal Servo (che, secondo un cliché collaudato, ne costituisceuna sorta di alter ego)53 ad ogni essere presente, perché – nell’immi-nenza dell’apparizione del poeta54 – osservi un devoto silenzio, sono

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50 ajmfovtera de; aujto;ı uJpokrivnetai (schol. 101a Regtuit). della que-stione, per la quale in passato sono state avanzate varie soluzioni, dà adegua-tamente conto Horn 1970, pp. 100 s. (vd. anche Kugelmeier 1996, pp. 278 s.;Prato 2001, p. 169). Si sarà trattato di un’esecuzione probabilmente in falsetto,realizzata operando delle piccole pause e modulando adeguatamente il tonoed il timbro della voce in modo da agevolare l’individuazione dei due ruoli daparte dell’uditorio (Wilamowitz 1886, p. 156; zimmermann 1985 ii, pp. 23,24 n. 29, 28; Sommerstein 1994, p. 164; vetta 1995, pp. 75 s.; Prauscello 2006,pp. 110 n. 353, 179 s.).

51 Se pochi al giorno d’oggi si sentirebbero di sottoscrivere l’affermazionedi Wilamowitz 1921, p. 341 che “er hatte natürlich lieder agathons vor sich”,si può tuttavia legittimamente supporre che la sua conoscenza della tecnicadel tragediografo non si basasse soltanto su audizioni a teatro.

52 zimmerman 1988, p. 200; cfr. anche 1985, ii p. 22.53 cfr. in particolare ach. 395-402 (e Nub. 133-221). una trovata di grande

effetto che permette al comico di raddoppiare il gioco a carico del personag-gio, accrescendo l’attesa per la sua entrata in scena.

54 aristofane si diverte a presentare nei termini di una teofania l’uscita dicasa di agatone, come ha ben messo in luce Horn 1970, pp. 96 s. attraversoanche un puntuale confronto con l’inno al Sole di mesomede (fr. 2 Heitsch).cfr. già Kleinknecht 1937, p. 151 n. 1, e più di recente zimmermann 1985, iip. 22; 1988, p. 200; Prato 2001, p. 151. l’invito al silenzio è giustificato (vv.40-42) con l’arrivo nella casa di agatone di “un tiaso di muse”, trasparentemetafora del flusso di ispirazione poetica che pervade il poeta in procinto di

anticipati alcuni caratteristici aspetti dell’arte di agatone: la raffinataeleganza della versificazione, richiamata come sua specifica prero-gativa attraverso l’epiteto kalliephvı (v. 49), il tono particolarmentesostenuto, aulico, dell’espressione55, la ricerca accurata di specifichefigure di suono o di parola (omoteleuto prolungato)56, l’aggettiva-zione ridondante e puramente ornamentale57, il fraseggio artificiosoed affettato58, il carattere enfatico, comicamente iperbolico, della di-zione, evidente fin dall’iniziale appello rivolto a “tutta la gente” –una formalità vuota, e per ciò stesso ridicola, dal momento che nellafinzione scenica non sarebbe prevista la presenza di nessuno59 –

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dar luogo alla sua composizione (vv. 49 s. mevllei ga;r oJ kallieph;ı ∆Agavqwn,É provmoı hJmevteroı ª...º).

55 un esempio in melavqrwn É twn desposuvnwn (vv. 41 s.), che riecheggiaforse aesch. Cho. 942 (desposuvnwn dovmwn) e presenta una forma aggettivalecara anche a Timoteo (fr. 791, 125 P.: despovsuna govnata); ma cfr. anchenhvnemoı aijqhvr (v. 43), kuma ª...º mh; keladeivtw É glaukovn (vv. 44 s.), oil neologismo uJlodrovmwn (v. 47).

56 evidente in particolare nella sequenza dei vv. 41 s. ª...º qivasoı Mouswne[ndon melavqrwn É twn desposuvnwn melopoiwn, che sovrappone all’omo-teleuto (rimarcato dalla persistenza del timbro vocalico /o/) il forte enjambement.

57 nhvnemoı aijqhvr (v. 43); kuma ª...º É glaukovn (vv. 44 s.): anch’esso inenjambement.

58 ne è un esempio anche il forbito ma assolutamente incongruo, tivıajgroiwvtaı pelavqei qrigkoiı… (“qual rustico al recinto si appropinqua?”,cantarella) di v. 58, con cui il Servo, dopo aver ignorato le precedenti interru-zioni del Parente (vv. 45 e 48), reagisce ora, sorpreso ed infastidito, alla suapesante provocazione. Sullo stesso piano si pone il tivı oJ fwnhvsaı; di v. 51,una banale domanda, nobilitata però dal poetico fwnein (“chi proferì parola?”)in tono con la dizione comicamente elevata.

59 un segno evidente del disinteresse del Servo per la realtà, del suo di-stacco dalle cose del mondo, che inevitabilmente finisce per ricadere sul suopadrone e la sua maniera di fare poesia (Horn 1970, pp. 96 s.). euripide ed ilParente, della cui presenza il Servo non è in alcun modo a conoscenza, si eranoinfatti appartati al suo apparire (v. 36). l’invito al silenzio è parodicamente en-fatizzato dall’accumulo di elementi tra loro incongruenti: al rituale eu[fhmoıe[stw viene affiancato il più banale, colloquiale stovma sugklhv/saı (una‘chiosa’ fin troppo realistica), estraneo a contesti di preghiera e di livello deci-samente più basso. il bizzarro accostamento eujfhmein crh; kai; stovmakleivein è in effetti presente anche in Eq. 1316 s., in una sequenza – posta in

esteso per giunta senza un reale motivo, per un puro gioco letterario,all’intera natura, i cui vari elementi (etere, mare, alati, quadrupedi)sono via via rispettivamente invitati a trattenere il respiro60, a nonlasciar risuonare l’onda azzurra61, a dormire62, a non ‘sciogliere’ ilpiede nella corsa63, per non recare disturbo al sublime cantore.

non si tratta certo di caratteristiche esclusive di agatone, ma chea lui, rappresentante di spicco di una tendenza alla cui suggestionenon si sottrae lo stesso euripide, aristofane attribuisce come spe-cifica ‘cifra’ poetica64. non sarà certo un caso che, mentre di frontea tanto sfoggio di bravura la reazione del Parente (l’uditorio ‘incom-petente’) sarà di fastidio e di volgare irrisione (vv. 45, 48, 57, 59-62),quella di euripide (l’uditorio ‘competente’), che si affretta a zittirloper poter meglio ascoltare (v. 45: sivga. tiv levgei…), dimostra alcontrario attenzione ed interesse.

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bocca al Salsicciaio – che prosegue con marturiw~n ajpevcesqai kai; ta;dikasthvria sugkleivein. la sua riproposizione qui, come del resto l’adozionedel prosaico ejpidhmei (“si trova in visita”) all’inizio della frase successiva (v.40), produce un’improvvisa caduta di tono.

60 ejcevtw de; pnoa;ı nhvnemoı aijqhvr (v. 43): una frase quasi ‘nonsensica’nella sua formulazione, che all’etere, fornito dell’epiteto tradizionale “senzavento”, rivolge l’invito a “trattenere il respiro o il soffio” (pnoavı, un vocabolomesso in bocca anche al ditirambografo cinesia in av. 1396), e verrà non acaso irrisa dal Parente (v. 51).

61 kuma te povntou mh; keladeivtw É glaukovn (vv. 44 s.): “presumablyintended as another mocking echo of high poetic style” (austin-olson 2004,p. 68).

62 Pthnwn te gevnh katakoimavsqw (v. 46).63 Qhrwn t∆ ajgrivwn povdeı uJlodrovmwn É mh; luevsqwn (vv. 47 s.): “let

not the feet be released [from sleep]” (austin-olson 2004, p. 69). 64 la scelta di agatone per questo ruolo è giustificata dalle caratteristiche,

così allettanti per un poeta comico, di “inspired poet, craftsman poet, effemi-nate poet” (muecke 1982, p. 41), che egli assomma nella sua personalità. Sitratta certamente di una parodia personale, individuale, di agatone uomo epoeta (Rau 1967, p. 114; Horn 1970, pp. 95 n. 170, e 105 n. 194), ma non sipuò negare che in essa siano richiamati elementi, più specificamente attinentialla sfera dell’attività artistica, comuni ad una cerchia più ampia di compositori,fautori o seguaci delle nuove mode. un’operazione del resto in qualche misuracomparabile con quella compiuta dal nostro commediografo nella raffigura-zione di Socrate nelle Nuvole.

nel canto che il commediografo mette direttamente in bocca alsuo agatone – un inno che si apre con un riferimento alle divinitàctonie65, ma è rivolto principalmente alla triade apollo, artemide,leto, la ‘trinità delia’ – il ventaglio delle caratteristiche alle quali eglivolge la sua attenzione si amplia. in primo piano vengono messe lepeculiarità metrico-ritmiche e melodiche: la preferenza per i ritmilanguidi e molli della ionia d’asia, in particolare l’uso del verso ioniconelle sue varie forme anaclastiche (solute e sincopate), liberamenteassociato a ritmi di altra natura66, in concomitanza con la scelta diun’armonia di forte marca orientale67, tradisce il desiderio di aristo-fane di segnalare la contiguità del nostro poeta con la cosiddetta‘nuova musica’, modulata in forme nuove e spesso virtuosistiche (lekampaiv, le muvrmhkoı ajtrapoiv o le ejktravpeloi murmhkiaiv di Ti-moteo68), motivo di vanto professionale per alcuni, di pervertimentoe di dissolutezza per altri.

Testimonia l’efficacia del ‘saggio’ di bravura (e del forte mimetismotecnico messo in atto da aristofane) l’istintiva reazione del Parente(vv. 130-133), le cui esclamazioni di lascivo entusiasmo sembrano peròriguardare esclusivamente gli aspetti ritmico-musicali del canto (wJı

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65 Si ritiene comunemente che esso servirebbe a stabilire una connessionecon le Tesmoforie, la festa nel cui contesto è ambientata la commedia; ma sitratta di un riferimento introdotto senza alcuna apparente relazione con lealtre divinità evocate, e subito abbandonato con un brusco trapasso alla primadelle divinità delie, apollo.

66 Puntuali analisi (non sempre convergenti nell’interpretazione colome-trica) in White 1912, pp. 189 s.; Rau 1967, pp. 106-108; zimmermann 1985,ii pp. 24-28; 1987, iii pp. 69 s.; 1988, pp. 201-203; Parker 1997, pp. 396-405;Prato 2001, pp. 345 s.; furley-Bremer 2001, ii pp. 342 s.; austin-olson 2004,pp. 88 s. Rispetto all’atteggiamento (prevalente in passato) che cercava di ri-condurre le varie sequenze alla misura del metro ionico, pare oggi preferibileintendere la monodia come “un parodico pot-pourri di metri di agatone”: co-riambi, giambo-coriambi, trochei, dattilo-epitriti, dattili, eolo-coriambi (Parker1997, in part. pp. 396 e 402 s.; Gentili-lomiento 2003, p. 175 n. 47).

67 in questa direzione va inteso il riferimento ai “tocchi della cetra asiatica”(krouvmatav t∆ ∆Asiavdoı) del v. 120, ed alle “cariti frigie” (Frugivwn É dia;neuvmata Carivtwn) dei vv. 121 s.

68 Pherecr. fr. 155, 23 K.-a.

hJdu; to; mevloı ª...º, w{st∆ ejmou g∆ ajkrowmevnou ª...º), ma non quellilinguistico-stilistici e contenutistici.

Si è perciò generata la convinzione – una convinzione ancoraoggi assai diffusa e che ha il suo più autorevole rappresentante in P.Rau – che l’inno sia “eine kritische Parodie”, ma che “karikiert wirdeben seine unethische, hedonistische, virtuose musik”69, mentre“sprachlich der lyrische Stil dem Gegenstand des Preises angemessenist” (p. 104)70. a conclusione della sua puntuale ricognizione lingui-stica Rau sottolinea che “für den Sprachgebrauch in agathons Paiangibt es also durchweg Parallelen. die wenigen singulären Wörter,rJuvtwr, ajpeirolechvı, druogovnoı, sind nicht ausgefallener, als wassonst in der chorlyrik begegnet. die Sprache ist also nicht so unge-wöhnlich, daß man allein von daher von einer Karikatur sprechendürfte” (p. 105). e così, sulla base di queste conclusioni anche W.d.furley e J.m. Bremer nel loro recente lavoro sui Greek Hymns si sen-tono autorizzati ad affermare che “the text itself is not evidently pa-rodistic; there is nothing transparently funny in the language”71.

ma è legittimo distinguere così nettamente i piani e separare,

125

69 Rau 1967, p. 108. una conclusione ampiamente argomentata e più volteribadita dallo studioso nel corso della sua analisi: “daß der […] Paian komischwirkt, hat seinen Grund zweifellos in musikalischer Parodie” (p. 105), e pocooltre: “komisch ist bereits die improvisierte vortragsart, wie sich der Poet un-mittelbar im Geschäft des dichtens produziert und wie er dabei selbst abwe-chselnd den Part des vorsängers und des chores singt. vor allem aber wirddie musik selbst durch Karikatur verspottet” (pp. 105 s.).

70 Qui Rau fa suo il punto di vista di Guglielmino 1928, p. 80.71 furley-Bremer 2001, i p. 353. alla valutazione di Rau si rifanno diretta-

mente o indirettamente anche Paduano 1983, pp. 85 s. n. 23; zimmermann1985, ii p. 28 (il quale ribadisce che “komisch muß schon allein die erschei-nung agathons gewesen sein, seine weibliche aufmachung und trotzdem deranspruch, a[rseni boa/ zu singen, gewirkt haben, dann aber auch die vor-tragsart [“fisteltöne”]. vor allem aber dürfte Komik durch die musikalischeParodie entstanden sein”); Kugelmeier 1996, pp. 279 s.; Bierl 2001, pp. 163 s.n. 142; austin-olson 2004, p. 87 ed ultimamente Totaro 2006, pp. 449 s. n.17. ad una generica annotazione che richiama l’assenza di “ogni afflato reli-gioso” in “un componimento destinato a parodiare, oltre che la lingua, la mu-sica molle e corrotta importata dalla ionia”, si limita Prato 2001, pp. 169 s.

nella contraffazione aristofanea, la parola dal ritmo e dalla musica?Questo significherebbe ritenere che il comico – dopo l’aspettativasuscitata nel pubblico dal ‘preludio’ eseguito dal Servo, tutto giocatosul piano linguistico-espressivo – abbia voluto dare un’immaginedel poeta per un verso tradizionalista e per l’altro innovatore: da unaparte rispettoso dello stile della lirica innodica (della tragedia e delcanto corale)72, dall’altra sfrenato, licenzioso, distruttore del suo an-tico ethos ritmico-musicale. e che quasi abbia voluto smentire o con-traddire se stesso, facendone la parodia quando a parlare è il Servo,ed attribuendogli una dizione in linea con la norma del generequando è lui in persona ad agire sulla scena73.

mi sembra che questa posizione possa, anche se con tutti i limitiderivanti dalle nostre insufficienti conoscenze dell’opera di agatone,almeno in parte essere corretta.

innanzitutto, se è vero che le forme di predicazione (attributi,appellativi, gesta) in onore delle tre divinità cui è dedicato il canto siiscrivono fra quelle tradizionali, colpisce subito il fatto che la corifeainviti il coro a celebrare, insieme a leto, la kithara asiatica (Latwvte krouvmatav t∆ ∆Asiavdoı ªajeivsateº: v. 120), invito al quale ilcoro dà subito la propria adesione: sevbomai Latwv t∆ a[nassanÉ kivqarivn te matevr∆ u{mnwn (vv. 123 s.). la menzione dello stru-mento musicale, posto accanto alle divinità e quasi elevato al lorostesso rango, costituisce un’evidente iperbole74 e scopre l’intento pa-

126

72 “der Stil […] geht über das in hymnischer lyrik der Tragödie und Ko-mödie Gewohnte nicht hinaus, und der Poet hält diesen Stil ohne Bruch ein”,scrive ancora Rau 1967, p. 104; cfr. anche zimmermann 1985, ii p. 28 (“dieSprache ist dem character des lieds als u{mnoı klhtikovı angemessen dur-chweg hochlyrisch, ohne Stilbrüche”).

73 a questa duplice lettura della scena, a quel che mi risulta, è ricorso perprimo Guglielmino 1928, p. 80 (richiamato da Rau 1967, p. 104); il suo puntodi vista è ora condiviso anche da furley-Bremer 2001, i p. 353 n. 25 (“thepoet does indeed invite his audience to laugh at agathon, but only in the longcomical preparation [27-100] for the hymn”). Sorprendente l’osservazioneche il pubblico avrebbe trovato motivo di divertimento “not by the tone andtext of this hymn as such, but by the piquant contrast between this song,meant to be performed by a chorus of modest maidens [102-3], and the vanityof the person who actually performs it, agathon himself […]”.

74 un’autocelebrazione, secondo Horn 1970, p. 103, che vede nell’apoteosi

rodico, sottilmente critico, di aristofane, che vuole probabilmentealludere al (deprecabile) primato assunto dalla musica (matevr∆u{mnwn) sulla parola nelle nuove tendenze poetiche. non solo, infatti,la kithara appare a prima vista fuori posto come oggetto di venera-zione e culto, ma la versione che ne viene in questi versi celebrata èquella asiatica75, quella cioè che sa produrre “note in discorde ac-cordo con il ritmo della danza” (krouvmatav t∆ ∆Asiavdoı É podi;paravruqm∆ eu[ruqma)76. il paradosso linguistico (una coppia anto-nimica, del genere caro anche ad euripide)77, evidenziato anche dallavariazione di quantità nella medesima sillaba <rJuqm<78, ha fra le sue

127

della cetra l’oggetto principale ed il momento culminante dell’inno: “das ganzechorikon ist […] nur eine Hinführung zur apotheose der Kithara und damitagathons dichtkunst”. cfr. anche muecke 1982, p. 48. Più sofisticata la letturadi Paduano 1983, p. 87, che attribuisce all’apoteosi dello “strumento poeticofatto esso stesso oggetto di venerazione e coordinato alla figura divina di leto”il valore di un “metadiscorso sulla gioia e la religione del canto”.

75 Probabilmente la grande cetra da concerto di origine lidia o comunqueasiatica (cfr. Terp. Test. 51ab Gostoli). essa sembra essere identificata dal Pa-rente con la bavrbitoı (v. 137), uno strumento poluvcordoı, annoverato daaristotele (Pol. 1341a 40) fra quelli il cui suono era volto a suscitare piacerenegli ascoltatori (cfr. Rau 1967, p. 107).

76 non c’è qui accordo fra gli studiosi sulla divisione colometrica, ma è so-prattutto interessante osservare che l’espressione krouvmata ∆Asiavdoı costi-tuisce l’unica ripresa parodica nota, derivante, secondo la testimonianza dell’Et.M. a 1918 lass.-liv., dall’Eretteo di euripide (fr. 369d Kn.; 24 J.-vl.). una ri-cercata ambiguità è forse ravvisabile in podiv, che può fare riferimento sia aipassi della danza, sia al ‘piede’ metrico (cfr. Prato 2001, p. 174).

77 l’artificio dell’accostamento di termini costituiti da una medesima base,in cui l’alterazione di senso è data dal prefisso di significato negativo, richiamaanaloghi giochi di parole presenti nei frammenti di agatone: cfr. in particolarei frr. 11 (to; me;n pavrergon e[rgon w}ı poiouvmeqa É to; d∆ e[rgon wJıpavrergon ejkponouvmeqa) e 12 Snell. di un espediente simile, tipicamentegorgiano, fa grande uso anche l’agatone di Platone, nel cui discorso (Symp.197d 4-8) ricorrono nessi come filovdwroı eujmeneivaı, a[dwroı dusmeneivaı(197d 4s.); zhlwto;ı ajmoivroiı, kthto;ı eujmoivroiı (197d 6); ejpimelh;ıajgaqwn, ajmelh;ı kakwn (197d 7 s.): cfr. anche lévêque 1955, pp. 129-131;musa 2005, pp. 155 s.

78 Wilamowitz 1886, p. 157; Sommerstein 1994, p. 166; Prato 2001, p. 174;austin-olson 2004, pp. 94 s.

varie funzioni verosimilmente anche quella di sottolineare la strava-ganza della pretesa ‘apoteosi’ dello strumento musicale. in questiversi almeno, dunque, il piano linguistico-espressivo, quello del con-tenuto e quello ritmico-musicale appaiono strettamente congiunti79.

una valenza senza dubbio comica e chiaramente intenzionale –sulla bocca di un coro femminile che risponde ad una corifea, en-trambi evocati nella mimesi dell’effeminato poeta – assume, poi,l’accenno alla ‘virilità’ della cetra (o degli inni) “celebre (-i) per il ma-schio grido” (a[rseni boa// dovkimon ªdokivmwnîº)80: un colpo mali-ziosamente inferto giocando sulla riutilizzazione di motivi e vocabolidi alta tradizione poetica81.

Sul piano più specificamente formale, certamente agatoniana (aquanto possiamo giudicare dai residui frammenti delle sue tragedie)è l’asindetica tautologia (rafforzata dal chiasmo e dall’assonanza delledue forme verbali con identico oggetto) e{pomai klhv/zousa semna;nÉ govnon ojlbivzousa Latouı (vv. 117 s.), che sottolinea il raffinato,ma lezioso, sfoggio linguistico-retorico, uno dei suoi più tipici vezziespressivi82. esso trova una manifestazione altamente significativa

128

79 che la parodia “auch auf inhalt und aufbau ausgedehnt ist” finisce perriconosce anche Horn 1970, p. 105, pur schierato a fianco di Rau nel conte-stare senza esitazioni (p. 101) il punto di vista di i. Bruns e H. Kleinknecht(vd. oltre p. 130, n. 92).

80 v. 125. Gli editori sono divisi fra le due possibili letture. la perfida allu-sione non è naturalmente passata inosservata: cfr. Horn 1970, p. 104; Paduano1983, p. 87 (“della compagine linguistica un solo punto mi sembra aperto allapur pervasiva malignità aristofanesca ed è il ‘grido virile’ di v. 125”); zimmer-mann 1985, ii p. 28; Prato 2001, p. 175; austin-olson 2004, p. 96 (“the moresignificant point is that the instrument – grammatically feminine – is confusedabout its gender, like agathon […]”). “lächerlich ist dabei allerdings”, aggiungeHorn, “daß diese Gesänge als dovkimoi = probati = ‘altbewährt’ apostrophiertwerden, während sie doch gerade der ‘letzte Schrei’ der neuen mode sind”.

81 comparabile, per l’effetto, a quello prodotto dalle parole con cui il Servorivela che il suo padrone ha bisogno di uscire al sole, per piegare la rigiditàdelle strofe e modellarle a suo piacimento (vv. 67-69): vd. sopra n. 47.

82 un’identica nozione (‘onorare un dio con un canto’) si trova ad essereespressa in una notevole varietà di forme: non solo klhv/zein ed ojlbivzein, maanche sebivzein, ajeivdein, ajgavllein (cfr. Willi 2003, 25 s.; schol. 104 RegtuitãsebivsaiÚ ajnti; tou ÆeujloghsaiÆÃ).

anche nelle modalità di evocazione dei titoli d’onore di apollo, chela corifea invita a celebrare come dio dell’arco (crusevwn rJuvtoratovxwn) e costruttore delle mura di Troia (o}ı iJdruvsato cwvraı Éguvala simountivdi ga//)83. agli epiteti tradizionali epico-lirici toxo-fovroı, eJkhbovloı (o anche ajrgurovtoxoı, crusovtoxoı) ‘agatone’sostituisce una preziosa variante, un nesso imperniato su un derivatoverbale in -twr (una ricercata neoformazione)84; ma soprattutto ri-corda l’impresa troiana del dio (la costruzione delle mura insieme aPoseidone) con una lambiccata perifrasi che mette artificiosamentein relazione iJdruvw con guvalon85 e questo a sua volta con cwvra86,identificata infine dalla chiusa antonomastica simountivdi ga//. È,come si vede, un giro di frase involuto e formalmente pretenzioso,ma di contenuto minimale, che nel rapporto fra significante e signi-ficato mette a nudo un atteggiamento parallelo a quello che vienedenunciato nel rapporto fra musica e parola87. Si può concludere checon esso aristofane ha voluto offrire un exemplum dell’esito cui puòapprodare l’intenso lavoro di cura formale, la ricerca di un’espres-sione eccessivamente artificiosa, sottile, ad effetto (il torneuvein, ilkhrocutein, il gogguvllein, il coaneuvein), cui si dedica il giovaneed acclamato tragediografo nell’elaborazione dei suoi canti88.

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83 vv. 109 s., che lo scolio chiosa con o}ı th;n “ilion ejteivcisen.84 da ejruvw, ‘tendere’ (“saettatore”). cfr. Prato 2001, p. 171; furley-Bremer

2001, ii p. 344; austin-olson 2004, pp. 91 s.85 comunemente ‘gola, valle, cavità, grotta’. in euripide (ion 220, 233, 245;

andr. 1093) anche ‘recinto sacro, santuario’, ma non ‘mura di cinta’ di unacittà (cfr. al riguardo Prato 2001, p. 172; austin-olson 2004, p. 92).

86 Qui evidentemente nel senso traslato (piuttosto insolito) di ‘città’ (cfr.lSJ s.v. ii.2b): “who founded the hollow enclosures of the country” (austin-olson 2004, p. 92); “che di questa terra i baluardi pose sul simoentico suolo”(cantarella).

87 ad esso si può accostare anche la strofetta di risposta del coro all’invitodella corifea: caire kallivstaiı ajoidaiı, É Foib∆, ejn eujmouvsoisi timaiıÉ gevraı iJero;n profevrwn (vv. 111-113), versetti formalmente aggraziati,impreziositi dal raro eu[mousoı e dall’omoteleuto in rima, ma di significatovago, povero e poco trasparente.

88 agatone, come aveva anticipato il Servo, non manca di far ricorso anchead antonomasie (ajntonomavzei), in occasione ad esempio della menzione dellacetra asiatica, designata semplicemente come ∆Asiavı (v. 120). non infrequenti

ma l’elemento che maggiormente caratterizza questo inno è lasua articolazione in brevi strofette di pressoché identica estensione,in cui alla voce-guida ‘risponde’ il coro. l’espediente per cui un co-rifeo o un semicoro introduca l’argomento del canto sotto formadi invito a celebrare una particolare divinità non è isolato nella liricacultuale greca89, mai raggiunge però un così marcato effetto di rei-terata, quasi irritante duplicazione90. nel nostro duetto, infatti, il co-rifeo ‘detta’ strofa per strofa l’oggetto ed i temi del canto, ed il coroesegue ripetendo volta per volta pedissequamente (con solo alcunileggeri scostamenti ed abbellimenti) quanto è già stato enunciatonella ‘proposta’. in un luogo che forse si avvicina abbastanza al no-stro ‘peana’, nell’ippolito euripideo (vv. 58-71), l’inno ad artemide èintessuto di elementi di scarso peso concettuale91, ma qui la scelta ela particolare configurazione dell’amebeo moltiplicano per così direper due la sensazione di totale mancanza di contenuto.

Rau può non aver torto nel rilevare, nella sua polemica conKleinknecht, che lo stile attribuito dal comico ad agatone in nessunpunto supera la misura abituale in inni di uguale genere, ma non sipuò negare, credo, che ad una dizione stilisticamente impreziositada continue eleganti variazioni nelle forme di predicazione corri-sponda qui un contenuto quasi evanescente92.

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sono poi i casi di uso di espressioni nominali, astratte (xu;n ejleuqevra/ patrivdi[talora corretta in prapivdi]), di perifrasi retoriche (toujmo;n e[cei sebivsai),di arcaismi (assenza dell’articolo) o varianti ‘recessive’ (xuvn, a[rseni, kourai:ma kovran al v. 115).

89 cfr. ad esempio Soph. Tr. 205-224; eur. Hipp. 58-71; arist. Pax 384-413. Poco indicativo il riferimento (Parker 1997, p. 403) a Sapph. fr. 140 v.

90 Qui sta forse la ragione per cui il canto di agatone appare a muecke1982, p. 48 non “particularly funny”, anzi – in confronto con le parodie dieuripide e di eschilo nelle Rane e con la monodia di andromeda nelle stesseTesmoforiazuse – “very flat […] inept and uninteresting”.

91 accumulazione di epiteti, quasi di routine, relativi alla sua potenza, alla suagenealogia, alla sua sede celeste, aperti e chiusi dall’indirizzo di saluto caire:niente però di paragonabile all’effetto derivante dalla reiterazione dello schema.

92 un aspetto già acutamente ravvisato da Kleinknecht 1937, p. 102,quando in particolare osservava che “in den in immer wieder neuen formendes Hymnenstils wiederkehrenden, ziemlich nichtssagenden einzelnen Prädi-kationen […], liegt sicher etwas Komisches”. ma cfr. già i. Bruns che nel suo

Si tratta, nel complesso, di un’ardita sfida, lanciata ad un pubblicoestremamente competente93. la riproduzione del modello non vienein nessuna occasione incrinata: né mediante l’uso sporadico di unlinguaggio basso, estraneo, anti-lirico (ruolo lasciato interamente aicommenti buffoneschi del Parente), né cercando un effetto di con-traddizione e contrasto tra una forma elevata ed un contenuto di li-vello diverso. Quello che abbiamo di fronte è, più precisamente, unraffinato pastiche, una composizione ‘alla maniera di’, in cui la leggeradeformazione comica si tiene costantemente entro i limiti della plau-sibilità, quasi del sapiente falso.

aristofane, mimando la leggerezza, l’eleganza, e contempora-neamente l’inconsistenza del suo dettato poetico è riuscito però acolpire al cuore lo stile artistico di agatone. Tanto nei modi di ese-cuzione, quanto nel risultato finale, l’immagine del brillante autoreche finisce col trasmetterci converge sostanzialmente con quella diPlatone: per entrambi l’arte del kalliephvı agatone si esplica e siesaurisce tutta nell’eleganza e nella raffinatezza del linguaggio, in unprezioso esercizio formale ed estetico che sostituisce, anzi annulla,la necessità della profondità di pensiero94. e se la parodia ritmico-

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Das Literarische Porträt di quasi cinquant’anni prima aveva evidenziato la stessacaratteristica: “er selbst [agathon], vor unsern augen dichtend, giebt eine fülleder verstiegensten lyrischen Bruchstücke zum besten, ein betäubendes dur-cheinander von halb sinnlosen, musikalisch-rauschenden Phrasen” (Bruns1896, p. 156). in maniera piuttosto contraddittoria Kugelmeier 1996, p. 279da una parte afferma, sull’autorità di Rau, che “liegt die Parodie diesmal nichtin der Sprache […], sonder in der eitlen Selbstdarstellung agathons […]” edall’altra riconosce fra i tratti della caricatura comica “der übertriebene Kon-trast zwischen gehobener Sprachform und nichtssagendem inhalt”. una con-traddizione cui non sfugge, come abbiamo visto (n. 79), anche Horn 1970,pp. 101 e 105 s.

93 il divertimento della componente più popolare del pubblico doveva es-sere assicurato in partenza dalla comparsa di agatone in abbigliamento fem-minile e dal suo esibirsi alternativamente nella parte della corifea e del coro.

94 volendo istituire un confronto inevitabilmente sommario, si potrebbeforse dire che, mentre ad esempio euripide, pur non alieno da questo modo difare poesia, si caratterizza agli occhi dei tradizionalisti soprattutto per un eccessodi sottigliezza argomentativa, agatone è preso a campione di una modalitàespressiva elaborata, artificiosa, che rischia di tradursi in un puro mosaico di

musicale è quella più marcata ed appariscente, ad essere presi dimira, insieme alle innovazioni melodiche e strumentali, sono in con-clusione anche il contenuto, la lingua, lo stile della sua poesia: in-somma tutta intera la sua personalità di artista e di uomo.

4. il linGuaGGio dell’aGone PoliTico-GiudiziaRio

anche il discorso retoricamente strutturato costituisce in qualche oc-casione l’oggetto della mimesi di aristofane. Sono soprattutto i per-sonaggi femminili, nelle Tesmoforiazuse e nelle Ecclesiazuse, a darceneun brillante saggio. nelle prime, dopo le due donne che sostengonol’accusa contro euripide (vv. 383-432; 443-458), sarà la volta del Pa-rente travestito, chiamato ad interpretare il ruolo della difesa (vv. 466-519); nelle seconde (vv. 130-240), vediamo in azione Prassagora e lesue amiche, mentre si preparano al dibattito nell’ejkklhsiva.

comune è l’ambientazione nell’assemblea, di cui vengono ripro-dotte le varie formalità preliminari di rito, comicamente alterate oadattate all’occasione: cerimonia di purificazione del recinto sacro,intorno al quale veniva portata la vittima espiatoria95, invito delladonna-araldo all’eujfhmiva, invocazione della divinità per la buonariuscita della riunione e per “la vittoria di colei che agirà e parleràmeglio per il popolo degli ateniesi e per quello delle donne” (Thesm.295-311)96, solenne comunicazione della decisione presa dal consi-

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parole e frasi: “quella meraviglia di parole e frasi” (to; kavlloı twn ojnomavtwnkai; rJhmavtwn) oggetto dell’ironica ammirazione di Socrate (Symp. 198b 4 s.).

95 normalmente un porcellino, di cui costituisce un ridicolo sostituto inEccl. 128 la faina di casa (che svolgeva allora le funzioni domestiche dell’attualegatto): oJ peristivarcoı, perifevrein crh; th;n galhn. la procedura intro-duttiva dell’assemblea è sinteticamente descritta da aeschin. 1. 23; i commentiche corredano le recenti edizioni delle Tesmoforiazuse e delle Ecclesiazuse di R.G.ussher, a.H. Sommerstein, m. vetta, c. Prato, c. austin-S.d. olson, G. ma-stromarco-P. Totaro sono prodighi di altri rimandi all’oratoria attica ‘seria’.

96 nelle preghiere che seguono, per bocca ancora della donna-araldo (vv.331-351) e poi del coro (vv. 352-371), questioni ed allarmi di interesse politicogenerale si intrecciano con preoccupazioni e motivi di risentimento che, nelcliché della commedia, costantemente agitano il mondo delle donne.

glio (presidente Timoclea, segretaria lisilla, proponente Sostrata) ditenere l’assemblea all’alba, nel giorno di mezzo delle Tesmoforie,per deliberare sull’affaire euripide e stabilire la pena da infliggere altragediografo97, ed infine apertura della discussione con l’invito aprendere la parola nella consueta formula tivı ajgoreuvein bouvletai…(vv. 372-379)98.

anche il linguaggio presenta moduli espressivi comuni, in rela-zione al luogo ed all’occasione dell’agone oratorio99, ed adattatoalla provenienza sociale delle oratrici, due delle quali (la donna iied il Parente-donna delle Tesmoforiazuse) di estrazione evidentementepopolare. doppio perciò il registro stilistico impiegato: uno piùtecnico, aderente al codice formale dell’oratoria assembleare e giu-diziaria, l’altro colloquiale, più vicino al parlato o ad un tipo di ora-toria estemporanea e popolare, con interferenze e scivolamentidall’uno all’altro. com’è ovvio, le sezioni in cui è più trasparente lariproduzione delle modalità espressive del codice oratorio sonoquelle d’esordio e d’epilogo, mentre le parti centrali sono in generecondotte in forme più libere.

133

97 vi è qui la chiara eco di una “standard legal formulation” e di espressioniidiomatiche e tecniche (crhmativzein prwta ª...º, É o{ ti crh; paqeinejkeinon: ajdikein ga;r dokei É hJmin aJpavsaiı): cfr. austin-olson 2004,p. 173; Prato 2001, p. 231. nell’occasione l’assemblea si costituisce in tribunalegiudicante nei confronti del nemico pubblico delle donne, euripide.

98 cfr. Eccl. 130. Ripresa di formule di routine sono anche perivqou nuntovnde (Thesm. 380, cfr. Eccl. 131 perivqou dh; to;n stevfanon), ajnevsthn(Thesm. 384, cfr. d. Prooem. 17 ajnevsthn, or. 5.3; isocr. or. 6.2), parhlqon(Thesm. 443, cfr. d. or. 14.2; Prooem. 13; Th. 3.44), ouj qaumavsiovn ejst∆ (Thesm.468, cfr. d. Prooem. 38.1), pavrit∆ ejı to; provsqen (Eccl. 129), toiı qeoiıme;n eu[comai (Eccl. 171, cfr. d. or. 18.1; Prooem. 31.2). dal passo di eschineprecedentemente citato sappiamo che chiunque poteva parlare: prima coloroche avevano superato i cinquant’anni, poi tutti gli altri, non solo oratori di pro-fessione e capi fazione, ma anche semplici cittadini (cfr. d. Prooem. 13).

99 fra questi, oltre le specifiche formule oratorie, l’alternanza, nell’allocu-zione all’uditorio, fra la seconda e la prima persona plurale (vd. Thesm. 386 vs.Thesm. 389, 396 etc.; Eccl. 181, 182, 199, 205 vs. Eccl. 185, 193, 212). in Eccl.179 s’incontra anche il passaggio all’allocuzione diretta in seconda personasingolare (ejpevtreyaı eJtevrw/: pleivon∆ e[ti dravsei kakav), un atteggiamentocolloquiale non attestato però nelle orazioni conservate.

ognuno dei discorsi, anche il più breve, come quello della ven-ditrice di ghirlande nelle Tesmoforiazuse (vv. 443-458), è comunquestrutturato come un’orazione, e ne ricalca (anche se non sempre in-tegralmente) le partizioni canoniche100: proemio (con la consuetacaptatio benevolentiae); dihvghsiı (esposizione dei fatti); paradeivg-mata o pivsteiı (esemplificazione e prove); proposta; epilogo. cia-scuno di essi è seguito (o intervallato) da brevi interventi corali, chesembrano avere la funzione di supplire con le loro reazioni di entu-siastica ammirazione alle voci di acclamazione (o di dissenso) chedovevano seguire, nell’assemblea reale, la fine di ogni discorso101.una vera e propria mimesi delle grida di approvazione ed incorag-giamento appare in effetti l’interruzione di Eccl. 213: eu\ g∆ eu\ genh; Div∆, eu\ ge. levge, levg∆ w\gaqev.

a prendere per prima la parola, nell’assemblea giudiziaria delleTesmoforiazuse, è l’esponente dell’accusa. il suo ha tutta l’aria di essereun intervento di non poche parole, come, non senza una puntad’ironia, commenta la corifea, che accompagna il rituale invito alsilenzio ed alla doverosa attenzione (sivga, siwvpa, provsece to;nnoun)102 con la colorita battuta crevmptetai ga;r h[dh, É o{perpoous∆ oiJ rJhvtoreı. makra;n e[oike levxein (vv. 381 s.). la coronain testa, come di prammatica103, essa si premura anzitutto, secondouna modalità ricorrente, di giustificare la sua decisione di intervenirenel dibattito (vv. 383-388):

filotimiva/ me;n oujdemia// ma; tw; qew;levxous∆ ajnevsthn, w\ gunaikeı: ajlla; ga;rbarevwı fevrw tavlaina polu;n h[dh crovnon,prophlakizomevnaı oJrws∆ uJmaı uJpo;

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100 Già elencate con precisione da Platone nel Fedro (266b-267b) come tavg∆ ejn toiı biblivoiı toiı peri; lovgwn tevcnhı gegrammevnoiı, ovverota; komya; thı tevcnhı. cfr. in generale anche murphy 1938, pp. 69-113.

101 cfr. zimmermann 1985, ii p. 142. agli applausi ed agli strepiti dell’udi-torio nel corso dell’assemblea fanno in più occasioni cenno demostene e Pla-tone (vd. ad esempio d. or. 5.3; Plat. Resp. 492b-c).

102 v. 381: un’accumulazione dei vari richiami al silenzio ed all’attenzionefatti abitualmente dall’araldo all’inizio di una vera assemblea.

103 cfr. Eccl. 131, 148, 163, 171.

Eujripivdou tou thı lacanopwlhtrivaıkai; polla; kai; pantoi∆ ajkououvsaı kakav104.

fin dalle prime parole, che richiamano analoghe formule di recu-satio105, particolarmente sostenute sotto l’aspetto formale106, ari-stofane si rivela interessato a ricalcare il linguaggio e le strategiedell’oratoria assembleare e forense, elaborata o improvvisata107. nel-l’attribuire all’atto di denuncia pronunciato dal suo personaggio un

135

104 l’allocuzione w\ gunaikeı (volta ad ottenere immediatamente il coin-volgimento emotivo dell’uditorio) è parodia dell’apostrofe w\ a[ndreı, abitual-mente adoperata dagli oratori nell’assemblea e nei tribunali, all’inizio ed allafine delle orazioni, e negli appelli all’azione. essa, insieme all’invocazione ma;tw; qewv “represents a deliberate attempt by the poet to keep the topsy-turvynature of a mock assembly attended by women before the audience’s eyes”(austin-olson 2004, p. 176). una fugace irruzione del vocabolario poetico rap-presenta, invece, tavlaina (v. 385), espressione di un sentimento profondo dipartecipe condivisione, sufficiente secondo alcuni editori a motivare la corre-zione hJmaı (per uJmaı del Ravennate), che è la lezione del successivo v. 389.di opposto parere Sommerstein 1994, p. 182, che conserva il testo tradito poi-ché “at this stage mica is speaking in the manner of professional orators […],whose regular practice was to assume the persona of detached adviser andrefer to the athenian people in the second person”. un’alternanza fra prima eseconda persona plurale s’incontra frequentemente nell’orazione di Prassagora.

105 cfr. lycurg. c. Leocr. 5 ou[te di∆ e[cqran oujdemivan ou[te dia; filo-neikivan ª...º, ajll∆ aijscro;n ei\nai nomivsaı. un’analoga formulazione, confinale comico, si incontra in Eccl. 151-155 (ejboulovmhn me;n e{teron a]n twnhjqavdwn É levgein ta; bevltisq∆, i{n∆ ejkaqhvmhn h{sucoı: É nun d∆ oujkejavsw ktl.), molto simile nella sua simulata modestia a quella che ricorre ind. or. 4.1 (ejpiscw;n a]n e{wı oiJ pleistoi twn eijwqovtwn gnwvmhn ajpe-fhvnanto, eij me;n h[reskev tiv moi twn uJpo; touvtwn rJhqevntwn, hJsucivana]n h\gon) ed isoc. or. 6.2 (ejgw; d∆ eij mevn tiı twn eijqismevnwn ejn uJminajgoreuvein ajxivwı h\n thı povlewı eijrhkwvı, pollh;n a]n hJsucivan h\gon:nun d∆ oJrwn ª...º).

106 all’efficacia dell’espressione contribuisce in maniera specifica la marcatacollocazione delle parole che porta a porre in primo piano il termine chiavefilotimiva – “ambizione” o forse meglio “esibizionismo” (Prato 2001, p.233) – accompagnato e come sottolineato in rima dall’aggettivo oujdemiva, incoppia con il quale viene ad occupare la gran parte del verso.

107 alle due tipologie di discorsi, preordinati o improvvisati (ejk tou pa-racrhma), fa riferimento ad esempio d. or. 1.1. cfr. anche alcid. Soph. 9-11.

movente di inderogabile, oggettiva necessità108, sottolinea con parti-colare enfasi il lungo arco di tempo durante il quale è maturata la suaavversione, provocata dalle intollerabili provocazioni di euripide,quel “figlio di un’erbivendola”: una malignità del tutto gratuita, in séirrilevante ai fini dell’accusa, ma evidentemente funzionale ad unalogica di ridimensionamento e messa in cattiva luce dell’accusato109.

a segnare il passaggio dal proemio all’esposizione dei capi d’accusaè il ricorso al procedimento delle interrogative retoriche, alle quali siaccompagna un sensibile innalzamento del livello di indignazione: laprima (v. 389), introdotta da tiv, richiama le infamie di ogni sorta chel’accusato, designato ostilmente con ou|toı, non ha risparmiato alledonne; la seconda (vv. 390-394), più estesa e forse anche pronunciatacon maggiore enfasi, è avviata da pou e scandita prima in polisindetoe poi in asindeto da una martellante successione di termini ed epitetipreceduti dall’articolo determinativo110 e tutti imperniati sul participiokalwn, dal quale si dipartono i vari capi d’accusa. espressioni effetti-vamente presenti nelle tragedie euripidee (prodovtidaı, oujde;n uJgievı,mevg∆ ajndravsin kakovn) sono liberamente affiancate ad altre mai usateda euripide, su cui poggia gran parte della comicità della situazione.

la comparsa di vocaboli di livello stilistico più basso, se non de-cisamente popolare, preannuncia lo scivolamento verso un dettatomeno formale, che caratterizza la sezione dedicata alla denuncia dellenefaste conseguenze dell’insegnamento del Tragediografo. cambianostile, sintassi, lessico, mentre il discorso acquista una maggiore vivacitàe varietà espressiva. Subentrano, come in una sorta di libera narra-zione, l’utilizzazione di costrutti ipotattici (vv. 400 s., 401 s.) a fiancodi costrutti risolti vivacemente in paratassi111 ed il passaggio al cosid-

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108 espressione corrente del lessico oratorio si deve ritenere barevwı fevrw,che ricorre anche al principio dell’orazione di Prassagora (Eccl. 174 s.): essa ap-pare funzionale alla necessità di assicurarsi subito la benevolenza dell’uditorio.

109 una rarità costituisce l’enjambement uJpo; É Eujripivdou, che richiama l’at-tenzione, con il massimo di enfasi – dopo una breve pausa – sul nome del de-testato poeta (cfr. Prato 2001, p. 234; austin-olson 2004, p. 177).

110 Quasi a costituire altrettanti segnali di citazione (cfr. Prato 2001, p. 235;austin-olson 2004, p. 178).

111 vv. 405 (kavmnei kovrh tiı, eujqu;ı aJdelfo;ı levgei) e 407 s. (gunhv tiıuJpobalevsqai bouvletai É ajporousa paivdwn, oujde; tout∆ e[stin laqein).

detto discorso diretto riferito (vv. 403 s., 406)112; i raccordi sono affi-dati a congiunzioni, avverbi e locuzioni conversazionali, secondo unprocedimento di sapore colloquiale: w{ste (vv. 395, 400, 411), ei\en(v. 407), ei\ta (v. 414), prosevti (v. 416), pro; tou (vv. 398, 418, 424).

Tipicamente legata ad un procedimento argomentativo che sug-gerisce una forte (e artificiosa) climax, l’espressione che segue, kai;tauta me;n xuggnwvsq∆ (v. 418)113, preannuncia la rivelazione dimisfatti ancor più intollerabili. il discorso di colei che si è assuntal’incarico di sostenere l’accusa ‘ufficiale’ si avvia ora alla conclusione,con la richiesta formale di condanna a morte. “Questo” – dichiarala donna – “è ciò che dico pubblicamente: il resto lo metterò a ver-bale insieme alla segretaria”. un ritorno al linguaggio dell’oratoriaassembleare, che contiene anche, a quel che sembra, l’allusione adun’irregolarità procedurale, che doveva essere diventata usuale nellagestione della ejkklhsiva ateniese114.

un attacco retoricamente marcato caratterizza anche l’esordiodel secondo oratore-donna (v. 433 ojlivgwn e{neka kaujth; parhlqonrJhmavtwn), contrassegnato dalla scissione del nesso ojlivgwn rJhmavtwne dalla dislocazione dell’elemento maggiormente significativo (ojlivgwn)all’inizio della proposizione: una preliminare dichiarazione di brevità,tipica dell’oratoria forense, che vuole nello stesso tempo esprimeretutta la sua approvazione per l’intervento principale appena concluso(ta; me;n ga;r a[ll∆ au{th kathgovrhken eu\, v. 444)115, in appoggioal quale si propone solo di aggiungere una testimonianza personale

137

112 in questa parte del discorso trovano posto anche alcune citazioni dirette(vv. 404, 413) da euripide (frr. 664 e 804.3 Kn.).

113 ad essere utilizzata per questo scopo è, beffardamente, un tipo di for-mulazione non estranea ad euripide (austin-olson 2004, p. 185). l’espedientesi ritorce però contro le donne stesse, che, denunciando le malefatte del Tra-gediografo, finiscono con il richiamare l’attenzione del pubblico sulle loro pre-gresse attività truffaldine.

114 cfr. la puntigliosa affermazione di demostene (or. 9.76): ejgw; me;n dh;tauta levgw, tauta gravfw.

115 era naturalmente abbastanza usuale che un oratore che interveniva nelcorso di un’assemblea esordisse con un riferimento alla brevità del propriointervento ed una valutazione delle posizioni fino a quel momento espresse(cfr. ad esempio d. Prooem. 4; 5. 2; 6. 2; 13; or. 4.1; isoc. or. 6.2).

(una pivstiı o un paravdeigma, secondo la terminologia retorica)sulle conseguenze che l’attività del nemico euripide ha avuto sulla suaesistenza (a} d∆ ejgw; pevponqa, tauta levxai bouvlomai)116.

inizia a questo punto il breve ma intenso racconto della vicendapersonale di questa donna – una donna del popolo, una venditricedi corone – in uno stile fatto di frasi semplici, lineari, con elementarisubordinazioni e qualche ripetizione117: la sua difficile esistenza, oltreche dalla prematura perdita del marito in guerra, è stata segnata dal-l’influenza nefasta di euripide, che ha persuaso la gente a non cre-dere agli dèi, cosicché i suoi già magri proventi si sono ulteriormenteassottigliati. a tutte dunque “raccomanda e dice” (nun ou\n aJpav-saisin parainw kai; levgw) – nella sua perorazione finale, ingergo oratorio118 – “che quest’uomo va punito”: a[gria ga;r hJmaı,w\ gunaikeı, dra// kakav, É a{t∆ ejn ajgrivoisi toiı lacavnoiıaujto;ı trafeivı (vv. 453-456)119.

comprensibilmente teso e quasi impacciato è l’esordio del Pa-rente-donna, posto nell’incomoda posizione di dover difendere l’ac-cusato di fronte ad un pubblico totalmente ostile ed unanime nellacondanna (vv. 466-468):

to; mevn, w\ gunaikeı, ojxuqumeisqai sfovdraEujripivdh/, toiaut∆ ajkououvsaı kakav,ouj qaumavsiovn ejst∆, oujd∆ ejpizein th;n colhvn.

la variazione di costrutto che porta all’accostamento di un infi-nito sostantivato (to; ojxuqumeisqai), in prima posizione, ad unonon sostantivato (ejpizein), in posizione finale (entrambi in dipen-denza da un comune ouj qaumavsiovn ejsti) conferisce alla frase unandamento sintatticamente involuto, quasi stentato. la struttura-zione del dettato tradisce la preoccupazione del Parente di rassicu-

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116 anche l’esposizione del tema del suo intervento è, come si vede, carat-terizzata da una disposizione marcata dei termini.

117 cfr. vv. 448-449: e[boskon É ejboskovmhn.118 Termine corrente del lessico assembleare è parainevw (cfr. d. Prooem.

10.2; 12.2; 17).119 un’eco delle teorie sulla mimesi letteraria illustrate in precedenza da

agatone?

rare le donne presenti (chiamate subito in causa, con un vocativoche interrompe la contiguità fra articolo ed infinito) affrettandosi adichiarare piena condivisione del risentimento finora espresso neiconfronti di euripide (kaujth; ga;r e[gwg∆ ª...º É misw to;n a[ndr∆ejkeinon, vv. 469 s.). È però poi costretto ad imporre al suo discorsoun repentina svolta nell’impostazione della sua ardita (quasi folle)perorazione difensiva: o{mwı d∆ ejn ajllhvlaisi crh; dounai lovgon(v. 471). lontano da orecchi indiscreti – dichiara – si può parlarecon estrema franchezza (v. 472): è del tutto irragionevole prenderselatanto con euripide, il quale non ha fatto conoscere che due o tredelle migliaia di malefatte di cui le donne si sono rese colpevoli e dicui era a conoscenza (vv. 473-475).

Rilevante, come ‘marca’ di un’impostazione retorico-enfatica,l’adozione della forma interrogativa, con cui il Parente fa il disperatotentativo di spazzar via tutto il carico di accuse che si sono finoraaccumulate sul capo dell’imputato (tiv taut∆ e[cousai ∆keinon aij-tiwvmeqa ª...º É, eij duv∆ hJmwn h] triva É kaka; xuneidw;ı ei\pedrwvsaı muriva…). vengono da lui poi prodotte due testimonianzea discolpa, una ‘diretta’ (vv. 476-489), l’altra attribuita ad un’amica(vv. 502-516). alla sconcertante crudezza di tali rivelazioni (appenagiustificata dal “siamo fra noi”) si accompagna la aJplovthı dei mezziespressivi con cui aristofane intende segnalare il taglio ‘popolaresco’dell’intervento120. Ritroviamo (come nelle parti più colloquiali deldiscorso della donna i) espressioni e nessi in funzione ‘fatica’ o diriepilogo e di raccordo, ma anche bruschi trapassi dalla narrazioneal discorso diretto riferito: modi espressivi che non doveva essereraro ascoltare in assemblea ed in tribunale, soprattutto in bocca adoratori più o meno improvvisati121.

l’intervento – che prende comicamente la mano all’oratore, finoa mettere allo scoperto il suo atteggiamento mentale sostanzial-mente ‘antifemminista’ – non poteva concludersi diversamente dacome era cominciato, con un’interrogativa che suona come una‘sfida’ ed un’aperta provocazione (vv. 517-519):

139

120 Per una più puntuale analisi, cfr. nieddu 2001, pp. 203 s. Particolar-mente significativi sono anche i numerosi casi di prodelisione.

121 un’adeguata gestualità doveva naturalmente accompagnare e sottoli-neare questa performance del Parente travestito.

taut∆ ouj pooumen ta; kakav… nh; th;n “ArteminhJmeiı ge. ka\/t∆ Eujripivdh/ qumouvmeqa, oujde;n paqousai meizon h] dedravkamen…

di tono più specificamente politico, volto a far prevalere una so-luzione per il bene della città122, e più diffusamente intessuto di for-mule del lessico retorico123, è l’oratoria di cui dà prova Prassagora(una sorta di demegoria in miniatura), di fronte alle compagne, invista dell’imminente assemblea (170-240)124.

Rimandate a posto una dopo l’altra le donne che hanno fallitonelle loro precedenti prove, tradendosi incautamente con il rivelarei soliti ‘vizi’ femminili (vv. 130-169)125, Prassagora decide che saràlei stessa a parlare in pubblico. da sfollata, durante la guerra, ha vis-suto nei pressi della Pnice, e così, ascoltando gli oratori che lì si av-vicendavano, ha potuto apprenderne le tecniche più sofisticate (vv.243-244): e[peit∆ ajkouvous∆ ejxevmaqon twn rJhtovrwn.

dopo l’iniziale, scontata, breve invocazione agli dèi per il successodei loro propositi (toiı qeoiı me;n eu[comai É tucein kator-qwvsasi ta; bebouleumevna) – topica dell’esordio assembleare126 –

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122 ejmoi; d∆ i[son me;n thsde thı cwvraı mevta É o{sonper uJmin:a[cqomai de; kai; fevrw É ta; thı povlewı a{panta barevwı pravgmata(vv. 173-175). di uguale impegno il discorso che lisistrata tiene agli ateniesied agli Spartani per convincerli a desistere dal reciproco atteggiamento di dif-fidenza ed ostilità in nome della comune appartenenza ad un unico popolo edel soccorso vicendevolmente prestato in passato in situazioni di emergenza(Lys. 1128-1161).

123 una puntuale ricognizione in vetta 19942.124 Già in qualche modo preannunciato dal tono oratorio dei vv. 105-109.125 esemplare, pur nella sua brevità, è il saggio proposto dalla seconda

delle donne che accolgono l’invito di Prassagora, un’intera orazione concen-trata in quattro versi, con immancabile distorsione comica finale (vv. 151-155):ejboulovmhn me;n e{teron a]n twn hjqavdwn É levgein ta; bevltisq∆, i{n∆ ej-kaqhvmhn h{sucoı: É nun d∆ oujk ejavsw, katav ge th;n ejmh;n mivan, Éejn toiı kaphleivoisi lavkkouı ejmpoiein É u{datoı. ejmoi; me;n ouj dokeima; tw; qewv (vd. n. 105).

126 cfr. d. or. 18.1 (prwton me;n, w\ a[ndreı ∆Aqhnaioi, toiı qeoiıeu[comai pasi kai; pavsaiı) e Prooem. 31.2. Termine tecnico dell’oratoriapolitica è anche katorqovw.

il suo discorso contiene la consueta dichiarazione di piena parteci-pazione personale ai mali che affliggono la città (ejmoi; d∆ i[son me;nthsde thı cwvraı mevta É o{sonper uJmin: a[cqomai de; kai;fevrw É ta; thı povlewı a{panta barevwı pravgmata) e la lungaesposizione (vv. 176-208) dei guai di atene e delle loro cause.

in una narrazione vivace e di grande presa sull’uditorio, Prassa-gora passa frequentemente, secondo una prassi corrente, dalla se-conda alla prima persona plurale (vv. 181, 182, 199; 185, 193, 212)127,dalla prima alla terza persona plurale (vv. 193-195 to; summaciko;nau\ touq∆, o{t∆ ejskopouvmeqa, É eij mh; gevnoit∆, ajpolein e[fa-skon th;n povlin: É o{te dh; d∆ ejgevnet∆, h[cqonto) ed all’allo-cuzione diretta in seconda persona singolare (v. 179 ejpevtreyaıeJtevrw/: pleivon∆ e[ti dravsei kakav). fa ricorso a parallelismi edantitesi (vv. 177 s. ka[n tiı hJmevran mivan É crhsto;ı gevnhtai,devka ponhro;ı givgnetai)128, a coppie di enunciati epiforici o inomoteleuto (vv. 197 s. tw/ pevnhti me;n dokei, É toiı plousivoiıde; kai; gewrgoiı ouj dokei)129, a figure di sapore gorgiano (vv.199 s. korinqivoiı a[cqesqe, kajkeinoiv ge soiv: É nun eijsi;crhstoiv, kai; suv nun crhsto;ı genou), ad accostamenti di frasiin paratassi (v. 197 nauı dei kaqevlkein: tw/ pevnhti me;ndokei)130, al cosiddetto dev solitarium (vv. 173, 214), frequentissimonell’oratoria ufficiale.

con una formula131, che verrà ripresa nell’epilogo (v. 239), è in-trodotta la proposta di “affidare il governo della città alle donne”(v. 209 h]n ou\n ejmoi; peivqhsqe, swqhvsesq∆ e[ti), mentreun’espressione tecnica, appartenente propriamente alla lessico dellaprosa filosofico-scientifica, è quella che dà avvio alla dimostrazione(v. 215 ejgw; didavxw) della grande competenza delle donne in fatto

141

127 in 199 si ha anche il passaggio dalla seconda plurale alla seconda sin-golare. un caso di ‘tu’ impersonale in 218 (i[doiı), parallelo all’uso già richia-mato in 179 (ejpevtreyaı).

128 cfr. anche vv. 186 s., 194 s.129 cfr. anche vv. 219 s. (ejswv/zeto É perihrgavzeto).130 cfr. anche vv. 199 e 202: una caratteristica già osservata in Thesm. 405

e 407 s. (vd. n. 111).131 formula oratoria è anche calepo;n me;n ou\n che abbiamo incontrato

all’inizio della dihvghsiı (v. 180).

di pubblica amministrazione: un passo caratterizzato dalla ripeti-zione, per nove versi, della frasetta w{sper kai; pro; tou, forse “unapresa in giro della moda delle ripetizioni enfatiche proprie dellinguaggio oratorio, specialmente di quello improvvisato” (vetta19942, 166)132.

come abbiamo visto, aristofane fa muovere tutti i suoi oratori-donna su due registri, quello formale e quello informale. ma, nell’af-fettazione di un linguaggio tecnico, è proprio la doppia deformazioneche svela il suo gioco. il fatto che la performance sia affidata a perso-naggi che non hanno una ‘naturale’ confidenza con le tecniche reto-riche, produce una sensibile esagerazione dello stile oratorio, resopalese dal ricorso ad un armamentario già stereotipo e di routine: l’esi-bizione di una già topica recusatio, una certa mozione degli affetti, in-terrogazioni retoriche, insistite ripetizioni, enfasi espressive.

5. le mille voci del ‘comico’

negli ultimi decenni del secolo appena trascorso, gli studi su ari-stofane hanno tratto nuova linfa dalle teorie formulate da m. Ba-chtin nel corso delle sue ricerche sulla poesia di Rabelais133. nozionicome quelle di ‘poesia carnevalesca’ o ‘corporea’ hanno trovato di-ritto di cittadinanza anche in riferimento alla Grecia arcaica e clas-sica, affiancando quelle, elaborate per altra via, di ‘poesiagastronomica’134, ‘aiscrologica’135, ‘giambica’136. Questo ampio spet-tro di definizioni ha gettato ulteriore luce sul nucleo fondante dellacommedia attica antica, permettendoci di ripercorrere a ritroso una

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132 un nesso simile, in forma ridotta (pro; tou), era usato dalla donna inelle Tesmoforiazuse per contrapporre i bei tempi andati alla dura realtà in cui sitrova ora a vivere (vv. 398, 418, 424).

133 Bachtin 1965. Sull’importanza degli studi di Bachtin per la compren-sione del comico aristofaneo, vd. Rösler 1991; Platter 1993; von möllendorff1995.

134 degani 1990; degani 1991.135 Rösler 1993.136 Rosen 1988; degani 1988; degani 1993; Treu 1999; mastromarco 2002.

strada che com’è noto arriva da lontano, dalle processioni fallicheche propiziavano la fecondità di uomini, piante, animali; dagli scontriritualizzati all’interno delle prime comunità cittadine; dalle grandiabbuffate delle feste popolari – ricuperando la motivazione più pro-fonda del riso, la soddisfazione delle necessità del corpo, l’esultanzadi chi è vivo e vincente ed infierisce sul ‘diverso’ o sul nemico scon-fitto o morto.

c’è tuttavia un rischio: che tutta la comicità di aristofane vengaracchiusa entro questi angusti limiti, e che si perda di vista la grandevarietà di motivi e spunti che fanno della sua arte un già complessoe maturo prodotto teatrale e letterario. È a questo aspetto della suapoikiliva che intendiamo ora rivolgere la nostra attenzione.

la consapevolezza della ‘straordinarietà’ della commedia atticaantica ha indotto spesso gli studiosi ad averne una visione distorta:era facile essere colpiti da ciò che risultava estraneo o inaccettabileal gusto dello spettatore moderno, e trascurare gli aspetti apparen-temente più ‘normali’ delle sue strategie comiche. in particolare, lagrande attenzione rivolta, nel corso dei secoli, a tutto quel che potevarientrare nella categoria dell’‘osceno’ ha prodotto qualche inevitabileeccesso: il costume caratterizzato dal fallo, il ricorrere di temi di ta-glio scopertamente sessuale (come la cosiddetta ‘farsa megarese’ diach. 735-815, o l’argomento che costituisce la trama dell’intera Li-sistrata) hanno contribuito, nella concezione dei moderni, a fare dellascurrilità la cifra fondamentale del grande comico – cosa di cui ilnostro si sarebbe indubbiamente molto risentito.

Partendo da un simile pregiudizio, non sono rari i casi in cui iltesto è stato piegato ad interpretazioni improbabili, se non assurde.chiunque abbia anche soltanto scorso le tante pagine che, ad esem-pio, Henderson137 dedica alla nomenclatura aristofanea delle partisessuali maschili e femminili, sarà stato colto in un caso o nell’altroda un senso di smarrimento, non riuscendo a comprendere come ildoppio senso ipotizzato dallo studioso riuscisse ad integrarsi conqualche logica nel relativo contesto. in Lisistrata, in particolare, sipuò avere l’impressione che nessuna delle frasi pronunciate nei dia-

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137 Henderson 1991, pp. 108-150.

loghi – o cantate dal coro – si sottragga ad una possibile lettura am-bigua, se non apertamente oscena. non è perciò difficile ravvisarecasi di forzatura palese, e in qualche misura sconcertante.

mi limito a menzionare un passaggio della scena iniziale, là dove,pur di veder terminata la guerra e poter avere ancora a disposizionei loro uomini, le donne si dichiarano pronte a sottoporsi ad una seriedi stravaganti sacrifici: impegnarsi la mantellina e… spendersi il ri-cavato in bevute; dividersi a metà, a costo di ridursi come una so-gliola; salire a piedi sulla cima del Taigeto (vv. 113-118)138. la primadi queste affermazioni (v. 113: ka]n ei[ me creivh tou[gkuklon Étouti; kataqeisan ejkpiein aujqhmerovn), che contiene il consuetoriferimento alla presunta passione femminile per il bere, viene cari-cata, nella lettura che ne dà Henderson, di una valenza erotica assaiimprobabile, il cui senso continuo a trovare imperscrutabile139.

molto più diffuso, anche se a mio avviso non meno fuorviante,è il caso in cui una metafora maliziosa venga brutalmente riportataal suo (ipotetico) senso reale, con una dettagliata, ed infine poco co-mica, identificazione di particolari anatomici. faccio solo dueesempi: in ach. 275 lo hapax katagigartivsai (con cui diceopolisi ripromette, nella sua futura oasi di pace, di ‘far la festa’ ad unabella legnaiola), derivando da givgarton (‘seme dell’acino d’uva’, ‘vi-nacciolo’), può essere stato forgiato dal nostro autore intorno a dueipotesi semantiche: ‘metterla sotto torchio’140 oppure ‘snocciolar-

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138 la presenza in questa scena di ben quattro personaggi parlanti rendedifficile risolvere il problema dell’attribuzione delle battute. non ho motivodi modificare la mia vecchia ipotesi (mureddu 1970/72, pp. 122 s.) che l’ordinedegli interventi sia: mirrina, calonice, lampitò. Sulla ‘coralità’ tutta femminileche caratterizza le tre amiche di lisistrata, cfr. nieddu 2001, pp. 209-211.

139 Henderson 1991, p. 139: “This pun, pawn my shawl/lay down my cunt,constitutes another joke on female lechery. We must suspect also that the deic-tic demonstrative pronoun indicates byplay on stage”. di tale ipotesi di lettura,presente nella prima edizione (1975), e non ritrattata negli ‘addenda, Corrigenda,Retractanda’ (Henderson 1991, pp. 240-252), non trovo tuttavia traccia nellasua edizione commentata della Lisistrata (Henderson 1987, pp. 81 s.).

140 ovvero ‘pigiarla’, come traduce mastromarco 1983, p. 137. Si tratta diuna delle proposte d’interpretazione presenti negli scoli: h] o{ti to; rJhmaprovskairon, i}na ajpo; twn gigavrtwn to; movrion h\/ peplasmevnon. oujga;r dia; panto;ı sunousiavsai dhloi to; ÆkatagigartivsaiÆ. givgarta

mela’141, ‘piluccarmela’. ambedue le traduzioni sarebbero in gradodi trasferire nel testo d’arrivo quell’aura di indeterminata allusivitàche è propria del testo di partenza, e che ne costituisce la vis comica.eppure, sulla scorta delle informazioni contenute nello scolio, nonsono stati pochi gli interpreti che hanno finito con l’obliterarel’aspetto giocoso dell’immagine, disquisendo con maggiore o mi-nore finezza sul preciso valore osceno da attribuire al verbo142.

forse anche più significativo il trattamento riservato ad un altropasso simile, Pax 440, in cui Trigeo augura a chi ama la pace di potertrascorrere la vita e[conq∆ eJtaivran kai; skaleuvont∆ a[nqrakaı:“tenendosi stretta un’amante e… attizzando la brace”. a partire dalchretienne, l’attenzione dei commentatori è stata prevalentementeindirizzata a sviscerare una sagace informazione scoliastica: to; gu-naikeion aijdoion a[nqrakaı levgei...143. un chiarimento chechiunque troverà non necessario, e pedantemente fuor di luogo – ela cui lettura ha l’inevitabile risultato di depotenziare la battuta.

145

de; ta; ejnto;ı stafulhı ojspriwvdh. h] ajnti; tou sunousiavsai. givgartonga;r to; aijdoion. h] kataqliyai, ajpo; metaforaı twn gigavrtwn.

141 cfr. Sommerstein 1980, p. 65 (“stone her fruit”).142 Henderson 1991, p. 166: “katagigartivsai appears in a choral fantasy

of rape in the fields (a 275) and surely means ‘de-pit’, hence deflower”; olson2002, p. 151: “katagigartivsai (a hapax) is obviously used metaphorically tomean ‘fuck’. it is none the less unclear whether the intended sense is (a) ‘removeher seed’, i.e. ‘deflower her’ (thus Starkie, followed by mm § 285); (b) ‘pressher like a grape’ (thus van leeuwen); (c) ‘stick my grape-stone/penis into her’(thus sReG3); cf. the use of kata- in katapuvgwn (79 n.) and of ejrevbinqoı (lit.‘chick pea’) to mean ‘penis’ at Ra. 545”. Si dimentica, tra l’altro, che l’italiano‘deflorare’ (come l’inglese ‘deflower’), da più parti richiamato per la sua appa-rente affinità semantica con il nostro verbo, trae origine dalla voce eufemisticaecclesiastica ‘deflorare’: il suo valore di ‘privare del fiore della verginità’ ha poco oniente a che fare con le relative traduzioni ‘de-pit’ o ‘remove her seed’.

143 Sommerstein 1985, p. 153: “the phrase can also easily be understoodin a sexual sense: the female genitals are called a heart or fireplace in knights1268 and Thesm. 912, an oven in Peace 891”; Henderson 1991, p. 143: “a[nqrax,hot coals, twice indicates the cunt inflamed by coitus and poked by a (phallic)stoker…”; olson 1998, p. 166: “as sRvGnotes, however, there is also a sexualdouble-entendre (‘her coals’, i. e. ‘her vagina’; cf. 891 with n., Ec. 611; Henderson1991 § 165, 203-94), so that the chorus’ comment lowers the tone somewhat,as throughout the prayer”.

credo invece opportuno mettere l’accento su un fatto ben piùrilevante: in questi casi, come in altri simili, aristofane, mediante ilricorso ad un’espressione allusiva (spesso frutto della sua personaleinventiva) moltiplica l’effetto che si sarebbe prodotto attingendo di-rettamente ad un linguaggio più esplicito. l’oscenità viene sfumata,filtrata attraverso la metafora, ed il piacere dell’ascoltatore o del let-tore deriva non tanto o non solo dal gusto di veder infrante le regoledella buona educazione144, quanto dal divertimento che nasce dallosciogliere l’enigma145.

Per quanto riguarda l’altra componente ‘primigenia’ del comico,l’invettiva, già a partire dalle prime testimonianze archilochee pos-siamo apprezzare il contributo di elaborazione e stilizzazione chefu in grado di esercitarvi la poesia giambica146. Proprio facendo te-soro di questa preziosa esperienza, la commedia attica utilizza l’in-sulto come strumento atto a muovere il riso, attraverso meccanismiprettamente poetico-letterari, come il ricorso ad accumulazioni ver-bali, a fantasiosi composti, a grottesche iperboli, a inedite metafore.

ne è uno straordinario esempio l’irresistibile scambio di battutetra il Salsicciaio ed il Paflagone nei Cavalieri (Eq. 280-455), dove idue contendenti fanno a gara ad inventare improbabili minacce,tutte costruite a partire dall’esperienza della loro attività plebea. ilculmine è raggiunto nel vorticoso ‘duetto’ ai vv. 369-380:

146

144 Henderson 1991, pp. 13 s.145 Questo il procedimento evidenziato da aristotele, Rhet. 1410b: to; ga;r

manqavnein rJadivwı hJdu; fuvsei pasi ejstiv, ta; de; ojnovmata shmaivneiti, w{ste o{sa twn ojnomavtwn poiei hJmin mavqhsin, h{dista. ª...º hJ de;metafora; poiei touto mavlista.

146 Rinvio, anche per l’esaustiva bibliografia, a degani 1993 (soprattutto allepp. 33-36). Particolarmente significativa la risposta che lo studioso dedicava alleobiezioni di Gelzer (pp. 39 s.): “mi pare che il raffronto tra il tedesco ‘Hurensohn’e l’italiano ‘figlio di puttana’ sia forse sollazzevole, ma, temo, non più che tale.con tali locuzioni ci si mantiene su un piano meramente linguistico, diciamopopolaresco, nel quale i parallelismi, anche tra lingue e culture diverse, non sonorari; mentre con i patronimici -ivdhı -(i)avdhı ci spostiamo viceversa su un pianosquisitamente letterario, colto, parodico e però scaltrito e consapevole. i comici,facendone volentieri uso, si rivelano eredi diretti dei giambografi”.

PA. hj buvrsa sou qraneuvsetai.AL. Derw se quvlakon klophı.PA. diapattaleuqhvsei camaiv147.AL. perikovmmat∆ e[k sou skeuvasw.PA. ta;ı blefarivdaı sou paratilw.AL. to;n prhgorewnav sou ∆ktemw.Oi.AV kai; nh; Di∆ ejmbalovnteı auj<

tw/ pavttalon mageirikwıeijı to; stovm∆, ei\ta d∆ e[ndoqenth;n glwttan ejxeivranteı auj<tou skeyovmesq∆ eu\ kajndrikwıkechnovtoı to;n prwktovn, eij calaza/148.

in questi versi, l’insulto è chiaramente piegato alla superiore esi-genza del divertimento, è diventato arte. il pirotecnico succedersidelle trovate trasforma l’acida virulenza dell’invettiva in una provadi abilità, superando con il ricorso all’assurdo il greve realismo chepoteva ancora caratterizzare la poesia giambica149.

un identico procedimento viene messo in atto anche quandochi attacca è lo stesso aristofane, ed il bersaglio è il suo dichiaratoavversario politico. mi sembra inevitabile richiamare ancora unavolta l’elaborata immagine messa in campo (Vesp. 1031-1035 = Pax

147

147 ciascuno dei due avversari trae ispirazione dalla pratica della propriaattività: il Paflagone dalla concia delle pelli, il Salsicciaio dalla lavorazione dellecarni. Trovo perciò del tutto improprio il suggerimento avanzato da Sommer-stein 1981, p. 163, che “there may also be allusion (…) to homosexual rape(since Greek pattalos means ‘penis’ as well as ‘peg’, and khamai means strictly‘on the ground’ rather than ‘to the ground’”).

148 “Paf. Ti concerò la pelle. Sal. della tua cotenna ne farò un sacco…da ladri. Paf. finirai ben teso, inchiodato a terra. Sal. di te mi faccio unospezzatino. Paf. Ti spelerò… le ciglia. Sal. Ti taglierò la pappagorgia. i Se.e infine, ficcandogli un palo in gola, come esperti cuochi gli faremo cacciarfuori la lingua: con la bocca aperta alla grande, potremo guardargli fin dentroal culo, che non sia pieno di cisti”.

149 cfr. Heath 1987, p. 25: “But abuse can also be transformed into enter-tainment, or even into a form of art”, che prosegue citando il commento,dello stesso tenore, di West 1974, p. 16, a Theogn. 453-456.

754-758) per descrivere cleone, il mostro con il quale, come un no-vello eracle, il commediografo non ha esitato a confrontarsi:

qrasevwı xusta;ı eujqu;ı ajp∆ ajrchı aujtw/ tw/ karcarovdonti, ou| deinovtatai me;n ajp∆ ojfqalmwn kuvnnhı ajktineı e[lamponejkato;n de; kuvklw/ kefalai; kolavkwn oijmwxomevnwn ejlicmwntoperi; th;n kefalhvn, fwnh;n d∆ ei\cen caravdraı o[leqron teto-

kuivaı,fwvkhı d∆ ojsmhvn, Lamivaı d∆ o[rceiı ajpluvtouı, prwkto;n de;

kamhvlou150.

ancora una volta, come può vedersi, l’effetto viene raggiuntomediante l’accumulazione di iperboli, composti altisonanti (aujtw/tw/ karcarovdonti), descrizioni improbabili o bizzarre (ejkato;n de;kuvklw/ kefalai; kolavkwn ejlicmwnto); pur nell’indubitabile effi-cacia dell’attacco personale e diretto, che risponde ad una precisascelta di campo (dettata dall’impegno civile e politico dell’autore)151,è indiscutibile la forte elaborazione letteraria dell’ingiuria, il cui fineprimario resta comunque quello di suscitare il riso.

un trattamento molto simile viene riservato ai personaggi che ildramma destina ad essere sconfitti. Sofferenza e dolore, che per sta-tuto non possono aver diritto di cittadinanza in ambito comico, ven-gono privati di gran parte della loro valenza tragica con il sistematicoricorso ad una grottesca deformazione, che li rende definitivamenteimplausibili152: in questo quadro si iscrivono le scene di pestaggi e diincidenti semi-mortali (lamaco ferito in ach. 1190-1226; i servi bat-tuti in Eq. 1-10 e in Vesp. 1293-1307; il sicofante scacciato a bastonatein av. 1461-1469 – per non parlare dell’epica prova di resistenza alle

148

150 “audacemente fronteggiando fin da principio l’asprodentato, cui lampiterribili uscivano dagli occhi di cinna, e cento teste di maledetti adulatori glileccavano tutt’intorno la testa, ed aveva voce di rovinoso torrente, puzza difoca, coglioni mai lavati di lamia, culo di cammello”. un’attenta lettura delpasso, che ne mette in luce tutti i complessi risvolti intertestuali, in mastro-marco 1989, pp. 410-423.

151 cfr. le precisazioni avanzate sull’argomento da mastromarco 2002.152 ulteriori riflessioni sul trattamento del dolore in commedia (e sugli ar-

tifici letterari che vengono messi in atto per metterne fuori portata gli aspetticruenti) in mureddu 2006a, pp. 206-208.

frustate alla quale si sottopongono dioniso e Santia in Ran. 618-673),che non producono mai danni seri o permanenti. Tanto che nonmancano le circostanze in cui chi ne è stato vittima, in scena o fuoriscena, ricompaia per offrirsi allo sberleffo del pubblico.

Si tratta nel complesso di procedimenti destinati ad ottenere ilriso assai a buon mercato: e difatti aristofane li considera al di sottodel proprio rango di poeta dexiovı, relegandoli nell’ambito del for-tikovn e dei bwmoloceuvmata153. Per suo conto, in verità, il nostrocommediografo compie a questo riguardo un consapevole passoavanti (e lo rivendica come segno distintivo della propria ‘cifra’ ar-tistica) spostando il bersaglio dell’invettiva dal corpo dell’individuoai suoi prodotti culturali ed artistici: opere poetiche, musicali, dram-matiche; elaborazioni filosofiche; scelte e dottrine politiche. a questitemi sono riservate ampie porzioni di commedie, se non commedieintere, di cui fanno le spese personaggi come Socrate, euripide,eschilo, agatone. agli aspetti della poikiliva aristofanea connessicon questa scelta di campo è stata dedicata la prima sezione del no-stro intervento, e su di essi non devo perciò ora soffermarmi.

Perché si abbia però una più chiara nozione di quale enormeevoluzione subisca, nelle mani di aristofane, il tradizionale stru-mento comico dell’invettiva, mi sembra utile citare un brano dai Ca-valieri (1300-1312), in cui l’ojnomasti; kwmw/dein, privato di ognivirulenza, diventa il pretesto per una deliziosa scenetta, che vedeprotagoniste le triremi della città, presentate come un gruppo di ma-ture ragazze da marito:

fasi;n ajllhvlaiı xunelqein ta;ı trihvreiı eijı lovgonkai; mivan levxvai tin∆ aujtwn, h{tiı h\n geraitevra:Æoujde; punqavnesqe taut∆, w\ parqevnoi, tajn th/ povlei…fasi;n aijteisqaiv tin∆ hJmwn eJkato;n eijı karchdovna,a[ndra mocqhro;n polivthn, ojxivnhn ÔUpevrbolon:Ætaiı de; dovxai deino;n ei\nai touto koujk ajnascetovn,kaiv tin∆ eijpein, h{tiı ajndrwn a\sson oujk ejlhluvqei:Æ∆Apotrovpai∆, ouj dht∆ ejmou g∆ a[rxei pot∆, ajll∆ ejavn me crh/,uJpo; terhdovnwn sapeis∆ ejntauqa kataghravsomaiÆ.Æoujde; Naufavnthı ge thı Nauvswnoı, ouj dht∆, w\ qeoiv,

149

153 ach. 629, Nub. 518-550; Vesp. 66; Pax 748.

ei[per ejk peuvkhı ge kajgw; kai; xuvlwn ejphgnuvmhn.h]n d∆ ajrevskh/ taut∆ ∆Aqhnaivoiı, kaqhsqaiv moi dokweijı to; Qhseion pleouvsaı h] ∆pi; twn semnwn qewnÆ154

l’asse del divertimento è chiaramente spostato: dall’attacco in-giurioso ad iperbolo (quasi appena menzionato) alla rappresenta-zione del piccolo mondo delle ragazze/triremi, pronte (come novelledanaidi) a cercare la protezione dei più sacri patroni della città, purdi preservare la propria verginità dalle insane voglie del demagogo.

ma esiste in aristofane una comicità che non possa in alcunmodo essere riportata al ‘carnevalesco’, inteso sia come gioco ses-suale o scatologico (per quanto elegantemente dissimulato) sia comeinvettiva, di marca più o meno colta, più o meno letterariamenteelaborata? indubitabilmente sì. distribuita tra le pieghe delle primecommedie, con spazio sempre crescente, essa è rappresentata dalricorso a quegli ‘scherzi urbani’, quegli ajsteia, che troveranno illoro humus ideale nella commedia di mezzo155 e soprattutto in quellanuova. Si tratta sostanzialmente di giochi di parole senza risvoltiosceni o scurrili; accumulazioni verbali che non hanno in vista l’in-vettiva; ajprosdovketa che ricavano tutta la loro verve dal semplicegioco di frustrazione delle attese156.

150

154 Raccontano che le triremi si riunirono per chiacchierare; e parlò una diloro, la più anziana: “Ragazze, le avete sapute le ultime in città? Si dice che untale, un pessimo cittadino, quell’acido di iperbolo, pretenderebbe cento di noicontro cartagine”. Tutte dichiararono che era tremendo, intollerabile, ed una,che mai si era accostata ad uomo, disse: “dio ne guardi! me, non mi avrà, acosto di invecchiare qui dove sono, marcita dai tarli!”. “e neppure naufantefiglia di nausone, davvero no, santi dei!, com’è vero che son fatta di pece e le-gname. e se gli ateniesi gli daranno retta, credo che noi si debba far vela percercare asilo nel Teseion, o nel tempio delle sacre dee!”.

155 del corno 2006 ne discute alcuni interessanti esempi.156 agli ajsteiaaristotele dedica un’ampia sezione del terzo libro della sua

Retorica (1410b-1413a); la loro efficacia dipende a suo avviso dalla capacità disuscitare in chi ascolta il piacere dell’apprendimento, soprattutto se si fa unuso opportuno di artifici come la metafora, l’antitesi, la potenza espressiva(1410a: dei a[ra touvtwn stocavzesqai triwn, metaforaı, ajntiqevsewı,ejnergeivaı. Più avanti (1412a), il filosofo ricorda il processo mentale mediante

Spesso misconosciuta da studiosi e commentatori, pervicace-mente decisi a scoprirvi improbabili implicazioni sessuali o risvoltipolemici, quest’importante manifestazione dell’arte aristofanea157 èvolta esclusivamente a soddisfare l’interesse tutto umano per gliaspetti puramente ludici, superflui – del linguaggio come di tutte lealtre manifestazioni della vita158. la battuta si propone allora comeil prodotto di un raffinato gioco intellettuale, assai vicino al piacerementale che deriva dalla soluzione di un indovinello159.

Si tratta soprattutto dei classici ‘giochi di parole’160, che tanto se-guito avranno nelle manifestazioni di umorismo, più o meno riu-scite, dei secoli successivi, fino ai nostri giorni. essi possono esserefondati sull’omonimia, come avviene per esempio in Eq. 548-550,dove l’epiteto faidrovı (che, come il nostro ‘luminoso’, vale sia ‘il-lustre’ che ‘lucente’) si inserisce in una autoironica allusione alla pre-coce calvizie del poeta161; in Vesp. 1157-1160, dove nel nome di uncomune tipo di calzature, le lakwnikaiv, il vecchio eliaste legge unriferimento a Sparta, la “terra nemica”162; o come in Plut. 1205,

151

il quale l’aprosdoketon può garantirne la riuscita: e[sti de; kai; ta; ajsteia ta;pleista dia; metaforaı kai; tou prosexapatan. mallon ga;r giv-gnetai dhlon o{ ti e[maqe para; to; ejnantivwı e[cein, kai; e[oiken lev-gein hJ yuch; ÆwJı ajlhqwı, ejgw; de; h{martonÆ.

157 debitamente riconosciuto comunque da Platone, che ne fa un trattoessenziale del suo aristofane nel Simposio. Su ciò cfr. nieddu 2007.

158 la dimensione ludica del linguaggio nella commedia antica non ha tro-vato finora tutta l’attenzione che a mio avviso merita. Qualche opportuno ri-ferimento è presente in Halliwell 1991, pp. 283-285; Rapallo 2004, pp. 27-28.cfr. mureddu 2006b, pp. 8-9.

159 di ‘Witz’, ‘Kalauer’, parla in questi casi Schareika 1978 che ne presenta(pp. 24-35) un catalogo tratto dalle Nuvole.

160 un tratto molto significativo del comico di aristofane, fatto oggetto distudi e contributi a partire dall’ottocento (Holzinger 1876, frommann 1879).Per un approccio di taglio più modernamente linguistico, lisu 2000, lópezeire 2002. un discorso a parte meritano la creazione dei ‘nomi parlanti’ e lari-semantizzazione dei nomi propri, per cui si vedano almeno Bonanno1980;Bonanno1987; Ghiron-Bistagne 1989; olson 1992.

161 i[n∆ oJ poihth;ı ajpivh/ caivrwn É kata; noun pravxaı É faidro;ılavmponti metwvpw/.

162 Fi. ejgw; ga;r a]n tlaivhn uJpodhvsasqaiv pote É ejcqrwn par∆ajndrwn dusmenh kattuvmata…

quando la vecchia si offre di recare sulla testa la pentola, e cremetegioca sulla parola grauı, usata popolarmente anche per designarela ‘panna’ del latte o del brodo163. il calembour può infine riguardareun modo di dire o un proverbio, presi scherzosamente alla lettera,come in av. 301:

EU. cajuthiv ge glaux.PE. tiv fhv/ı… tivı glauk∆ Aqhvnaz∆ h[gagen;

Rientrano nello stesso genere i giochi che prevedono la sostitu-zione di una o più lettere, come avviene nelle Nuvole, al v. 74, quandosul modello di i[kteroı, ‘ittero’, viene coniato il burlesco i{pperoı,la malattia di cui soffrono gli averi di Strepsiade, dilapidati dall’insanapassione di fidippide per i cavalli; o al v. 166, dove la grande scopertatesté fatta da Socrate (ossia che le zanzare emettono il loro ronziodal didietro) viene definita di<entevreuma164, termine ‘scientifico’coniato a partire da e[ntera, giocando presumibilmente sull’evidenteassonanza con un composto come *di<ent<eu[rhma165.

ma nel meccanismo del puro e semplice gioco finiscono conl’essere trascinati anche altri espedienti comici, come l’accumula-zione verbale. in Nub. 444-451 ritroviamo lo stesso incalzante suc-cedersi di epiteti insultanti, secondo lo schema dell’invettiva; ma inquesto caso lo scherzo consiste nel fatto che essi vengono presentati

152

163CR. kai; me;n polu; twn a[llwn cuvtrwn tajnantiva É au|tai poiousi.Taiı me;n a[llaiı ga;r cuvtraiı É hJ grauı e[pest∆ ajnwtavtw, tauvthıde; nun É thı grao;ı ejpipolhı e[peisin aiJ cuvtrai.

164 sT. savlpigx oJ prwktovı ejstin a[ra twn ejmpivdwn. É w\ tri-smakavrioı tou dientereuvmatoı.

165 una spiegazione che non mi pare sia stata ancora avanzata: a partire dachantraine 1933, p. 187, i commentatori hanno fin qui notato come il terminevada annoverato tra le brillanti imitazioni aristofanee della nomenclatura scien-tifica, facilmente evocata attraverso l’uso della terminazione in -ma. osservaWilli 2003, p. 137, “There is no verb *dientereuvein and dover has pointedout that formations in -ma with a prefix dia- are rare before the end of thefourth century; the word must therefore lend an aura of sophistic solemnityto the rustic’s phrase”. lo studioso cita in nota l’ingegnosa ipotesi di noël1997, p. 178, che il vocabolo possa essere stato formato a partire da di∆ejntevr(ou pn)euvmatoı.

sotto forma di auspicio, ed attribuiti da chi parla (il vecchio Strep-siade) a se stesso:

(sT.) toiı t∆ ajnqrwvpoiı ei\nai dovxwqrasuvı, eu[glwttoı, tolmhrovı, i[thı,bdelurovı, yeudwn sugkollhthvı,euJrhsiephvı, perivtrimma dikwn,kuvrbiı, krovtalon, kivnadoı, truvmh,mavsqlhı, ei[rwn, gloiovı, ajlazwvn,kevntrwn, miarovı, strovfiı, ajrgalevoı,matioloicovı.

il divertimento è assicurato dalla capacità del poeta di dar la sturaad un’interminabile sequela di epiteti, epiteti ed ancora epiteti, finquasi ad esaurire la sopportazione del pubblico. ma al successo avràprobabilmente contribuito anche il ricorso ad una recitazione tuttad’un fiato, quella che, secondo la tradizione, doveva caratterizzare ilcosiddetto pnigos166.

in altri casi, l’accumulazione verbale risponde a fini comici ditutt’altro genere. Si veda la caotica descrizione dell’allestimento diuna flotta, immediata risposta degli ateniesi alla più insignificanteprovocazione da parte degli Spartani (ach. 545-554):

h\n d∆ a]n hJ povliı plevaqoruvbou stratiwtwn, peri; trihravrcou bohımisqou didomevnou, palladivwn crusoumevnwn,stoaı stenacouvshı, sitivwn metroumevnwn,ajskwn, tropwthvrwn, kavdouı wjnoumevnwn,skorovdwn, ejlawn, krommuvwn ejn diktuvoiı,stefavnwn, tricivdwn, aujlhtrivdwn, uJpopivwn:to; newvrion d∆ au\ kwpevwn platoumevnwn,tuvlwn yofouvntwn, qalamiwn trupwmevnwn,aujlwn, keleustwn, niglavrwn, surigmavtwn167.

153

166 di una maestria ancora maggiore dà prova aristofane nelle Tesmoforia-zuse Seconde (fr. 332 K.-a.), proponendoci un armamentario di oltre cinquantaoggetti indispensabili in un boudoir femminile. cfr. albini 1997, pp. 88 s.

167 “ed ecco la città piena di chiasso di soldati, grida al trierarca, pagheconsegnate, polene indorate, stoà intransitabile, misure di grano, otri, scalmi,

in questo vivace quadretto, lo sguardo divertito e complice cheil giovane comico ateniese lascia scorrere sulla scena rivela tutta lasua consapevole partecipazione, che mette assolutamente in se-condo piano ogni asprezza polemica.

anche l’uso dell’aprosdoketon, che aristotele raccomandava comestrategia ideale per i motti di spirito, liberato dalla necessità di inne-scare un gioco osceno, si può trasformare nella materia ideale per deipezzi virtuosistici. i più straordinari compaiono nella Lisistrata: pre-parati con grande cura, hanno come pointe finale l’inaspettata frustra-zione di un’attesa abilmente costruita lungo l’arco di un certo numerodi versi. cito a titolo di esempio uno dei quattro (vv. 1189-1202):

strwmavtwn de; poikivlwn kai;clanidivwn kai; xustivdwn kai;crusivwn, o{s∆ ejstiv moiouj fqovnoı e[nestiv moi pasi parevcein fevreintoiı paisivn, oJpovtan te qugavthr tini; kanhforh/.pasin uJmin levgw lambavnein twn eJmwncrhmavtwn nun e[ndoqen, kai; mhde;n ou{twı eu\ seshmavnqai to; mh; ouci;tou;ı rJuvpouı ajnaspavsaica[tt∆ ãa]nà e[ndon h\/ forein.o[yetai d∆ oujde;n skopwn, eij mhv tiı uJmwnojxuvteron ejmou blevpei168.

154

acquisto di giare, agli, olive, cipolle nella rete, corone, acciughe, flautiste, occhigonfi – e nell’arsenale: remi piallati, chiodi pestati, fiancate trapanate, flauti,richiami, sibili, fischi”. Sembra quasi di aver sotto gli occhi una delle affollatescene create dalla fantasia di uderzo e Goscinny.

168 “di tappeti ricamati, e tuniche, e mantelli, e tesori, tutto quel ch’è mio,non vi impedirò di portarne ai vostri figlioli, o alla figlia, quando sarà canefora.lo dico a tutti voi, venite anche subito a prender quel che c’è: nulla è statochiuso tanto bene che non si possano levar via i sigilli, e portarsi via la robache ho a casa. ma, cerca, cerca, a meno che qualcuno di voi non ci veda megliodi me, non troverà un bel nulla…”. dello stesso tenore e di contenuto affine(un apparente invito ad approfittare della generosa ospitalità dei coreuti, ino-pinatamente smentito dall’ultimo verso) sono ancora il brano corrispondentedell’antistrofe (vv. 1203-1215) e la coppia strofica precedente (vv. 1043-1057;

È un genere di scherzi che ci è familiare, e che molti avranno uti-lizzato una volta o l’altra come battuta al momento di invitare a pranzoun amico (anche a scopo di elegante excusatio, come nell’espressione‘venite a digiunare con noi!’). Quel che stupisce è ritrovarne il modello,ed in una forma tanto elaborata e reiterata, già in aristofane169.

vi sono infine anche circostanze in cui la poesia di aristofane at-tinge il livello della lirica ‘seria’ e dell’elegia. e non intendo parlaresoltanto dei canti di alto o altissimo profilo, come i coloratissimi coridegli Uccelli (vv. 226-262), dove le onomatopee, le varietà dei metri,le immagini, disegnano con incomparabile leggerezza l’universo felicedegli abitanti del cielo170, o quelli delle Nuvole (vv. 275-313)171, dove

155

1058-1071). uno schema molto simile ritorna nelle Ecclesiazuse (vv. 1145-1148),“a stock joke in audience invitations in comedy both old and new (Plaut.Rud. 1418)” lo definisce ussher 1973, p. 232.

169 moulton (1979, pp. 28-31), che pure chiama a confronto il cappellaiomatto di alice (“Have some more tea… There isn’t any”), tratta queste sezionicome esempi “of insult and abuse”, giungendo a riconoscervi un intento “tea-singly insulting”. dover 1972, p. 154, sembrava invece trovare particolarmentetedioso il fatto che il coro dedicasse “no less than four whole stanzas to theprimitive joke, ‘if anyone wants to borrow anything from me, let him come tomy house at once – and he’ll get nothing’”, per concludere: “enough’s enough,one feels, but no doubt there were plenty of people in the audience who likedit”. colpisce l’uso, da parte di un profondo e fine conoscitore dell’arte aristo-fanea, dell’espressione “primitive joke”. Siamo davvero autorizzati a credere chescherzi di questo genere fossero da considerarsi ovvi già nell’ultimo scorcio delv secolo a.c.? l’evidente compiacimento dell’autore, e la ripresa che ne farà,anni più tardi, nelle Ecclesiazuse autorizzerebbero a pensare il contrario.

170 ancor più ammirata, la monodia con cui l’upupa invoca la presenzadell’usignolo (av. 209-222), un’ode che ispirò probabilmente a euripide unastrofe corale dell’Elena: cfr. dover 1972, pp. 148 s.: “it would seem that (…)a tragic poet was not above borrowing from a comedian” e mureddu 2003,con ulteriore bibliografia.

171 così dover 1972, p. 71: “The language of aristophanes’ lyric may so-metimes be indistinguable, in its majestic compound words with heroic andreligious associations, from the language of the serious lyric of tragedy; thestrofe and antistrophe sung by the clouds, before they come in sight, in Clouds275-290 and 298-313, are the most impressive example”; cfr. anche fraenkel1962, p. 198.

l’evidente alta caratura stilistica ruba tutto lo spazio altrove destinatoal gioco comico-parodico172. voglio riferirmi piuttosto ad alcuni suoi‘pezzi’ sorridenti, in cui la venatura comica (se così la si vuole definire)è data da un approccio quasi affettuoso alla realtà, da una lettura for-temente poetica del mondo del quotidiano.

Particolarmente significativa mi sembra un’ampia sezione coraledella Pace (vv.1140-1171) che si diffonde in due quadretti campestripieni di struggente nostalgia per la perduta normalità. la vita delcontadino in inverno, e, successivamente, nella buona stagione, viviene tratteggiata in una sapida rappresentazione, che si riempie,come in un quadro fiammingo, di particolari messi in luce quasiamorevolmente l’uno dopo l’altro173: finita la semina, mentre un dioprovvede a mandar giù una pioggia sottile, che impedisce qualunquelavoro nei campi, non c’è niente di meglio che starsene a casa, ac-canto al fuoco, e improvvisare tra vicini uno spuntino con quel chesi ha in dispensa (vv. 1149-1158):

kajx ejmou d∆ ejnegkavtw tiı th;n kivclhn kai; tw; spivnw:h\n de; kai; puovı tiı e[ndon kai; lagw/a tevttara,ei[ ti mh; ∆xhvnegken aujtwn hJ galh thı eJspevraı:ejyovfei goun e[ndon oujk oi\d∆ a{tta kajkudoidovpa:w|n e[negk∆, w\ pai, triv∆ hJmin, e}n de; dounai tw/ patriv:murrivnaı d∆ ai[thson ejx Aijscinavdou twn karpivmwn:

156

172 Su un versante totalmente opposto si colloca Silk 1980, che dedicaun’ampia sezione (pp. 199-224) del suo lavoro ad un’analisi assai dettagliatadelle più ‘serie’ liriche aristofanee (ai casi già menzionati, occorre aggiungerequalche esempio dalle Rane, e la parte conclusiva della Lisistrata), ritenendo inconclusione di poter “count as established” che in nessun caso l’autore viraggiunga un alto livello poetico. lasciando da parte la soggettività di giudizicome ‘conventional’, ‘commonplace’ ‘perfunctory’, ‘frankly unmemorable’(polemicamente, ma in fondo sterilmente, contrapposti ad altri, ampiamentediffusi, di ‘high poetry’, ‘enchanting’, ‘finest lyric’ ‘charming lines’), non si puòcomunque ignorare la singolarità della scelta di aristofane di imprimere (conmaggiore o minore successo) ad alcuni dei suoi canti i tratti di uno stile indu-bitabilmente e seriamente elevato.

173 moulton 1981, pp. 92-101, fa esplicito ricorso alla parola “pastoral” perdefinire questi versi della Pace, osservando: “The variety and realism of thedetails in this passage suggests Theocritus or Herondas”.

ca[ma thı aujthı oJdou Carinavdhn tiı bwsavtw,wJı a]n ejmpivh/ meq∆ hJmwneu\ poiountoı kwjfelountoıtou qeou tajrwvmata174.

la descrizione, che si dilata progressivamente, aprendosi dall’in-terno verso l’esterno, con sempre nuovi tocchi di colore (la fainache si aggira in casa; il vecchio padre; le bacche sul mirto) ha unastraordinaria suggestione. È di certo un brano che non potrebbetrovar posto in una tragedia; ma ci è difficile percepirlo come es-senzialmente comico. vi riconosciamo al fondo la stessa atmosferadi sereno disimpegno evocata (per una diversa classe sociale, e condiverse modalità espressive) da Senofane (fr. 22 d.-K.):

pa;r puri; crh toiauta levgein, ceimwnoı ejn w{rh/ejn klivnh/ malakh/ katakeivmenon, e[mpleon o[nta,pivnonta gluku;n oi\non, uJpotrwvgont∆ ejrebivnqouı:Ætivı povqen ei\ı ajndrwn, povsa toi e[te∆ ejsti; fevriste…phlivkoı h[sq∆, o{q∆ oJ Mhdoı ajfivketo…Æ

non mi sentirei anzi di escludere che aristofane abbia fatto te-soro proprio dello spunto senofaneo, da cui dipende con maggiorevidenza la strofe che introduce la sezione trocaica che abbiamo ap-pena citato (Pax 1130-1139):

ouj ga;r filhdw mavcaiıajlla; pro;ı pur dievl<kwn met∆ ajndrwn eJtaiv<rwn fivlwn, ejkkevaı twn xuvlwn a{tt∆ a]n h\/ danovtata tou qevrouı ejkpepremnismevna,

157

174 “Qualcuno passi da me, a prendere il tordo e i due uccelletti; c’era incasa anche della cagliata, e quattro parti di lepre – se non si è presa qualcosala faina (iersera sentivo certi rumori e tramestii…) – tre porzioni portale quida noi, ragazzo, l’altra a mio padre; e chiedi a eschinade qualche ramo di mirto,di quelli con le bacche; e, di passaggio, si chiami carinade, che venga a berecon noi: i campi, ci pensa un dio ad occuparsene!”.

kajnqrakivzwn toujrebivnqou thvn te fhgo;n ejmpureuvwnca[ma th;n Qra/ttan kunwnthı gunaiko;ı loumevnhı175.

Qui, l’uso abbastanza incongruo del nesso ajndrwn ejtaivrwn,che non può non richiamare il contesto dell’eteria176, nonché i pun-tuali riferimenti al bere davanti al fuoco ed allo sgranocchiare ceciabbrustoliti, appaiono a mio avviso nel loro insieme importanti in-dizi della diretta dipendenza di un testo dall’altro177.

la scelta di un livello letterariamente allusivo, determinata pro-babilmente anche dalla generale serietà dell’obiettivo perseguito nel-l’intera commedia (la conquista della pace, appunto) è confermatadall’incipit dell’antistrofe, dedicata ad una descrizione di un’estatenon disturbata dalla guerra (vv. 1159-1165):

158

175 “non stravedo per la guerra; ma starmene presso il fuoco a bere coni compagni, bruciando la legna più secca accatastata dall’estate, e arrostirececi, e bruciacchiare fave, e baciarmi la Tracia mentre mia moglie si fa ilbagno…”.

176 il termine ejtairoı è piuttosto raro in aristofane (oltre che in questopasso ricorre in ach. 263 riferito a falete, ‘compagno’ di Bacco; in Lys. 1153allude agli ‘alleati’ di ippia e in Pl. 303, 313 ai ‘compagni’ di odisseo) e certonon è mai usato in sostituzione di geivtwn, o in rapporto, come qui, ad unambiente contadino.

177 la probabile allusione ai versi senofanei è stata (a quanto posso vedere)fin qui ignorata dai commentatori. lo scherzoso riferimento finale alle libertàche ci si pregusta di prendere con la servetta ha spesso offuscato la piena com-prensione di questa lirica: occorrerà invece rinunciare alla tentazione di vedereun riferimento osceno nell’espressione kajnqrakivzwn toujrebivnqou. comedel resto fa, in una contrita ritrattazione, Henderson 1991, p. 246, prendendoatto dei rilievi di vaio 1979, p. 693: “in these chapters i sometimes succumbedto a danger inherent in the glossarian method and about which i warn users;treating words apart from their dramatic context (…) nowhere is the songconsidered as a whole. Had i done so, as vaio 693 points out, i would haveseen that this song pictures ‘a rustic drinking bout with male comrades, therebeing no mention of female companionship until lines 1138 f. (…). Why talkof mere osculation at 1138, when you’ve just ‘baked and roasted your phallusin coitus’ at 1136 f.?’”.

hJnivk∆ a]n d∆ ajcevtaıa[/dh/ to;n hJdu;n novmon,diaskopwn h{domai ta;ı Lhmnivaı ajmpevlouı,eij pepaivnousin h[<dh < to; ga;r fitu prw/<on fuvsei < tovn te fhv<lhc∆ oJrwn oijdavnont∆:

la nonchalance con cui si introduce la citazione di esiodo178 edalceo non tradisce alcuna intenzione parodica; il livello stilistico èconfermato e sottolineato dal dorismo e dall’uso dell’epiteto tradi-zionale per la cicala in luogo del nome comune (tevttix). ma poi, la‘rassegna’ (diaskopwn h{domai) delle viti ci lascia immaginare ilpigro passeggiare del contadino, e la parentetica, con la presenzadell’articolo (to; ga;r fitu) rivela un’amichevole, quasi familiareconsuetudine con ‘l’indole’ naturale della pianta179.

Quest’intera sezione corale (vv. 1127-1190) può costituire, inconclusione, un interessante esempio della grande capacità del no-stro autore di alternare i più diversi piani stilistici: dall’attacco di sa-pore giambico dei primi versi della strofe (1127-1129: h{domai g∆h{domai kravnouı ajphllagmevnoı turou te kai; krommuvwn), altaglio letterario dei vv. 1130-1137, alla scenetta licenziosa con la ser-vetta (1137-1138) fino all’ampio quadro ‘pastorale’ di cui abbiamoappena parlato (1140-1158). il livello stilistico torna ad elevarsi,come si è visto, nei primi versi dell’antistrofe: ma la sua serietà siandrà stemperando per gradi. la chiusa (vv. 1170-1172)

ka\/ta givgnomai pacu;ıthnikauta tou qevrouımallon h] qeoisin ejcqro;n taxivarcon prosblevpwnª...º

159

178 Segnalata già dallo scolio al passo.179 non sarà forse un caso che questi versi ricordino abbastanza da vicino

un frammento euripideo di incerta sede (fr. 896 Kn): bakcivou filanqevmouÉ ai[qopa pepaivnont∆ ojrcavtouı ojpwrinouvı, É ejx ou| brotoi; kalousinoinon ai[qopa.

consente, con qualche durezza, il ritorno alla piena invettiva, a cuisono destinati i tetrametri che seguiranno, volti, con un piglio bendiverso (e senza evitare le più trite scurrilità180) a descrivere i soprusiche il perdurare della guerra ha consentito a politici e militari, neiconfronti di onesti cittadini inermi.

nell’arco di una sessantina di versi, parlando con la voce delcoro, aristofane fa risuonare le molteplici e diverse corde del suostraordinario strumento. Pochi altri autori del suo tempo – e deitempi che verranno – saranno in grado di mostrare un’abilità altret-tanto proteiforme.

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