L'immigrato e la comunità cittadina.Una riflessione sulle dinamiche di integrazione

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L’immigrato e la comunità cittadina: una riflessione sulle dinamiche di integrazione di Elisabetta Todisco In questo lavoro ci si propone una riconsiderazione sull’atteggiamento della società romana nei confronti dell’immigrazione che coinvolgeva individui all’in- terno dell’impero e sui processi di integrazione. Si cercherà quindi di tracciare alcune linee di confronto con i rapporti relativi a queste tematiche nella realtà moderna, attraverso alcuni indirizzi culturali di continuità o di rottura rispetto al- l’eredità del passato. Qui in particolare, considerata la coesistenza per il cittadino nel mondo romano dell’appartenenza a due patrie, Roma e la propria città di ori- gine, si concentrerà l’attenzione sulle dinamiche di integrazione nella piccola pa- tria, cioè all’interno delle comunità locali che rappresentano dal punto di vista istituzionale come anche sociale e comunitario il concreto spazio di integrazione dell’individuo. La riflessione condotta in queste pagine poggia innanzitutto sulla produzione normativa che raccoglie le istanze dell’ambiente politico, economico e culturale della società di cui è espressione; si vuole dunque verificare se e in che modo fosse preso in considerazione l’ingresso di elementi di diversa provenienza nel corpo civico delle realtà locali della piccola patria, e, in secondo luogo, di quali commoda della città essi potessero fruire; si vedrà se, all’interno di quest’ambito, fosse riconosciuto al soggetto un significativo spazio di scelta individuale. Non proporremo, in generale, a riguardo un’esegesi interna ai testi, di cui diamo per note le implicazioni filologiche e formali: leggeremo le norme nell’ottica della realtà a cui rispondono, dei fermenti che registrano e della situazione che espri- mono nel momento in cui vengono emesse. L’analisi a riguardo può essere condotta secondo linee differenti e tutte ugual- mente proficue; qui si intende ancorarla, nei limiti per cui parrà possibile per quella realtà, ai parametri elaborati nell’ambito della moderna sociologia delle migrazioni per individuare la collocazione degli immigrati nella società, ossia «la politica di ingresso e l’accesso alla residenza legale» e, eventualmente, le forme di «politica sociale» prevista dalle comunità nei confronti dello straniero 1 . 1 Pugliese 2003, p. 91.

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L’immigrato e la comunità cittadina:una riflessione sulle dinamiche di integrazione

di Elisabetta Todisco

In questo lavoro ci si propone una riconsiderazione sull’atteggiamento dellasocietà romana nei confronti dell’immigrazione che coinvolgeva individui all’in-terno dell’impero e sui processi di integrazione. Si cercherà quindi di tracciarealcune linee di confronto con i rapporti relativi a queste tematiche nella realtàmoderna, attraverso alcuni indirizzi culturali di continuità o di rottura rispetto al-l’eredità del passato. Qui in particolare, considerata la coesistenza per il cittadinonel mondo romano dell’appartenenza a due patrie, Roma e la propria città di ori-gine, si concentrerà l’attenzione sulle dinamiche di integrazione nella piccola pa-tria, cioè all’interno delle comunità locali che rappresentano dal punto di vistaistituzionale come anche sociale e comunitario il concreto spazio di integrazionedell’individuo.

La riflessione condotta in queste pagine poggia innanzitutto sulla produzionenormativa che raccoglie le istanze dell’ambiente politico, economico e culturaledella società di cui è espressione; si vuole dunque verificare se e in che modofosse preso in considerazione l’ingresso di elementi di diversa provenienza nelcorpo civico delle realtà locali della piccola patria, e, in secondo luogo, di qualicommoda della città essi potessero fruire; si vedrà se, all’interno di quest’ambito,fosse riconosciuto al soggetto un significativo spazio di scelta individuale. Nonproporremo, in generale, a riguardo un’esegesi interna ai testi, di cui diamo pernote le implicazioni filologiche e formali: leggeremo le norme nell’ottica dellarealtà a cui rispondono, dei fermenti che registrano e della situazione che espri-mono nel momento in cui vengono emesse.

L’analisi a riguardo può essere condotta secondo linee differenti e tutte ugual-mente proficue; qui si intende ancorarla, nei limiti per cui parrà possibile perquella realtà, ai parametri elaborati nell’ambito della moderna sociologia dellemigrazioni per individuare la collocazione degli immigrati nella società, ossia«la politica di ingresso e l’accesso alla residenza legale» e, eventualmente, leforme di «politica sociale» prevista dalle comunità nei confronti dello straniero 1.

1 Pugliese 2003, p. 91.

Elisabetta Todisco134

È noto che in una comunità cittadina gli incolae rappresentano i forestieri in-seriti ufficialmente entro le strutture giuridico-istituzionali della comunità 2: essisono regolarmente censiti e sono soggetti agli stessi munera dei cives.

Sarà indicativo allora richiamare quali siano le varie modalità attraverso cuisi può divenire incola. Da una disposizione di Diocleziano e Massimianotraiamo notizia dell’editto di Adriano che stabilisce che è il domicilio a costi-tuirne la condizione di accesso (CI. 10.40.7): la definizione di domicilium che èenunciata raccoglie la nozione di domicilio così come era venuta sviluppandosinella riflessione dei giurisperiti e senz’altro di Adriano e dei giuristi a cui egli fa-ceva riferimento: Cives quidem origo manumissio adlectio adoptio, incolas vero,sicut et divus Hadrianus edicto suo manifetissime declaravit, domicilium facit.Et in eodem loco singulos habere domicilium non ambigitur, ubi quis larem re-rumque ac fortunarum suarum summam constituit, unde rursus non sit disces-surus, si nihil avocet, unde cum profectus est, peregrinari videtur, quo si rediit,peregrinari iam destitit.

Così la norma è registrata in un noto e discusso passo dell’Enchiridion diPomponio (Dig. 50.16.239.2): “Incola” est, qui aliqua regione domicilium suumcontulit: quem Graeci pároikon appellant. Nec tantum hi, qui in oppido mo-rantur, incolae sunt, sed etiam qui alicuius oppidi finibus ita agrum habent, ut ineum se quasi in aliquam sedem recipiunt 3.

Si tratta, dunque, di organizzare la nostra riflessione proprio intorno al domi-cilio, e di selezionare la documentazione che più risponde alla nostra domandainiziale. Il domicilio, per la sua natura, la sua realizzazione, il suo utilizzo nellarealtà giuridica e amministrativa, è al centro di un vivace, intenso e complessodibattito che si snoda dall’età tardorepubblicana ad Adriano e poi ancora oltrefino ad età tardoantica. Se ne possono seguire le sorti ripercorrendo le opinioni,gli interrogativi, le definizioni dei giurisperiti, spesso anche in contrapposizionetra loro.

La prima riflessione giurisprudenziale che rinvia al concetto di domicilio èraccolta da Alfeno Varo nei suoi Digesta 4: egli precisa in quale significato debbaessere acquisito il sostantivo domus nella lex censoria portus Siciliae, dichia-rando di rispondere così ad un quesito postogli in maniera ricorrente, l’esatto va-lore da attribuire al sostantivo domus (Dig. 50.16.203, Alf. 7 dig.): igitur quaerisoleret, utrum, ubi quisque habitaret (…), an dumtaxat in sua cuiusque patria

2 Sono definiti incolae anche gli autoctoni di un luogo in cui è stata impiantata una comunità dicittadini romani, vd. con bibliografia sull’argomento, Poma 2001, pp. 1049-1051.

3 Per la discussione di questo passo e l’ampia bibliografia a riguardo, Licandro 2003, pp. 11-12e ntt. 47-50.

4 Sulla paternità di questa definizione, vd ampia bibliografia in Licandro 2003, pp. 1-2 e nt.1.

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domus esse recte dicetur. Sed de ea re constitutum esse eam domum unicuiquenostrum debere existimari, ubi quisque sedes et tabulas haberet suarumquererum constitutionem fecisset.

Domus indica qui il centro degli interessi reali, patrimoniali, umani del sog-getto. Il contesto in cui è adoperato lascerebbe supporre che si tratti anche di unarealtà identificata nella sua unicità rispetto al singolo individuo (unicuique no-strum debere existimari). I tempi in cui sono coniugati i due verbi (habere e fa-cere) sono differenti: il facere constitutionem risulta, infatti, precedente l’atto dihabere sedes et tabulas, indicando che fissare il centro della propria esistenzarappresenta il primo momento di questo processo.

Il sostantivo domus doveva presentarsi equivoco e facilmente male interpre-tabile, se capitava che i giuristi avessero esigenza di definirne l’esatto valore;esso è appunto posto in relazione a domicilium fino a comprenderlo 5. È così perUlpiano in merito all’uso di domus nella lex de iniuriis (Dig. 47.10.5.2, Ulp. 56ad ed.): Domum accipere debemus non proprietatem domus, sed domicilium.Quare sive in propria domu quis habitaverit sive in conducto vel gratis sive ho-spitio receptus, haec lex locum habebit; e l’esigenza di puntualizzare ricorre daparte di Ulpiano come anche di Papiniano anche in ulteriori contesti (Dig.9.3.1.9, Ulp. 23 ad ed.: Habitare autem dicimus vel in suo vel in conducto vel ingratuito. Hospes plane non tenebitur, quia non ibi habitat. Sed tantisper hospi-tatur, sed is tenetur, qui hospitium dederit: multum autem interest inter habita-torem et hospitem, quantum interest inter domicilium habentem et peregri-nantem; Dig. 11.5.1.2, Ulp. 23 ad ed.: Domum autem pro habitatione et domi-cilio nos accipere debere certum est; Dig. 48.5.23.2, Papin. 1 de adult.: (…) seddomus et pro domicilio accipienda est, ut in lege Cornelia de iniuriis).

Concentrando l’attenzione su domicilium, è inevitabile osservare come essosia oggetto di attenzione da parte dei giurisperiti soprattutto nel suo aspetto reale,pratico e applicativo; in particolare essi dibattono intorno alla possibilità che unsoggetto abbia più di un domicilio al contempo: il caso esemplificativo preso inesame è quello di un individuo, mercante, che opera in più luoghi diversi tra loroe dal suo luogo di origine. Ci si chiede dove questi abbia il domicilio. Alla do-manda si risponde diversamente da età augustea ad età severiana, arricchendosivia via il dibattito delle opinioni autorevoli del passato 6.

Il giurisperito Paolo in proposito riporta il parere di Labeone, di età augustea,secondo cui chi si trovi in questa condizione non ha nessun domicilio; è riferitoperò che altri giurisperiti hanno in merito un giudizio differente condiviso, ap-

5 Sul rapporto tra domus e domicilium, vd. Bonjour 1975, p. 55; Salgado 1980, pp. 500-501;Ayiter 1962, pp. 73-76; Thomas 1996, pp. 34-43.

6 Id. 1996, pp. 38-49.

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punto, dallo stesso Paolo (Dig. 50.1.5, Paolo 45 ad ed.: Labeo indicat eum quipluribus locis ex aequo negotietur, nusquam domicilium habere: quosdam autemdicere refert pluribus locis eum incolam esse aut domicilium habere: quod veriusest) 7.

La discussione parte da lontano. La centralità di questo interrogativo rivelache questa evenienza non doveva verificarsi in maniera occasionale, ma con unacerta frequenza. Agli inizi del I a.C. la situazione doveva essere diffusa: nella ta-bula di Heraclea è appunto individuata una categoria formata da qui pluribus inmunicipieis colon<i>eis praefectureis domicilium habebit (Crawford 1996,24.157).

Entra nel dibattito anche Ulpiano che, riproponendo sempre il caso di chi sitrovi in due luoghi per la stessa durata di tempo, cita Celso, giurista dell’età diAdriano e membro del suo consilium 8, che lascia all’animus la scelta del domi-cilio (Dig. 50.1.27.2, Ulp. 2 ad ed.: Celsus libro primo digestorum tractat, siquis instructus sit duobus locis aequaliter neque hic quam illic minus frequentercommoretur: ubi domicilium habeat, ex destinatione animi esse accipiendum);Ulpiano si affretta ad escludere che, nel caso l’animus orienti verso entrambi iluoghi, il soggetto possa avere due domicili. Ma è ancora Ulpiano a richiamare laposizione dei viri prudentes sulla possibilità di un duplice domicilio (Dig.50.1.6.2, Ulp. 2 opin.: Viris prudentibus placuit duobus locis posse aliquem ha-bere domicilium, si utrubique ita se instruxit, ut non ideo minus apud alteros secollocasse videatur).

L’istituto del domicilio, in effetti, come si legge, fu posto come base di riferi-mento nello svolgimento di alcune procedure giuridiche. Giavoleno, in età flavio-traianea, pone il problema del luogo dove aprire il testamento nel caso in cui siagenericamente indicato “in foro fiat”; per dirimere la questione egli cita Labeoneper il quale il luogo deputato è il domicilio del de cuius (Dig. 35.39.1, Giav. 1 expost.) 9. In questi casi doveva evidentemente risultare più semplice per l’espleta-mento delle funzioni che il domicilio fosse unico. In considerazione di ciò non èescluso che proprio i giurisperiti, addentro alle necessità dell’Impero, avesserosollecitato un intervento di Adriano per una più sistematica regolamentazione deldomicilio. Adriano, almeno secondo la nostra documentazione, avrebbe fatto deldomicilio la base dell’incolato; egli non sarebbe intervenuto formalmente a vie-tare la pluridomiciliazione, ma col rendere economicamente meno conveniente

7 Per la discussione sull’ultima parte del passo (quod verius est), fondamentalmente, Berger,1916, cc. 1252-1253; Tedeschi 1932, pp. 228-229.

8 Crook 1955, pp. 59-60.9 Anche il domicilio è considerato in merito alla tutela, Dig. 27.1.46.2, Paol. de cogn., Sed et

hoc genus excusationis est, si quis se dicit ibi domicilium non habere, ubi ad tutelam datus est:idque imperator Antoninus cum divo patre significavit.

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per l’individuo, sottoposto ai munera anche della città in cui era incola, oltre chedi quella di provenienza (e.g. Dig. 50.1.29, Gai. ad ed. prov.), avere più domicili,avrebbe di fatto spinto in questa direzione. A questo proposito mi pare utile ricon-durci ad una iscrizione proveniente da Aquileia: in questo testo è infatti ricordatocome Traiano abbia decretato, su richiesta, di imporre i munera anche agli inco-lae (CIL V 875=ILS 1374=Insc.Aq. 495: Traianum A[ugustum decrevisse rogatuei]us et super cet[era omnibus sit notu]m sacratissimum principem TraianumA[ugustum decrevisse rogatu ei]us, ut incolae, quibus fere censemur, muneri[busnobiscum fungantur]; il bisogno da parte della città dell’autorizzazione dell’im-peratore mostra come almeno fino a questo momento non vi fosse un vincolo in-derogabile dell’incola ai munera 10. Un passo di Callistrato, che ricorda un inter-vento di Adriano, denuncia, invece, che sotto Adriano – come sarà anche in se-guito – quest’obbligo sussisteva (Dig. 50.1.37, Callistr. 1 de cogn.: De iure om-nium incolarum, quos quaeque civitates sibi vindicant, praesidum provinciarumcognitio est. Cum tamen se quis negat incolam esse, apud eum praesidem provin-ciae agere debet, sub cuius cura est ea civitas, a qua vocatur ad munera, nonapud eam, ex qua ipse se dicit oriundum esse: idque divus Hadrianus rescripsit):non si trattava più, dunque, di situazioni straordinarie rese possibili da una con-cessione del principe. Evidentemente le città erano ben consapevoli del beneficioche traevano dalla possibilità di far prestare i munera agli incolae, e anzi dal casodocumentato di Aquileia si può legittimamente arguire che fossero anche le cittàstesse ad avere sollecitato l’intervento imperiale.

È così che verosimilmente, da una parte la necessità finanziaria delle cassecittadine, dall’altra le necessità dell’amministrazione sollecitarono l’interventodi Adriano, che segna una svolta. È evidente la centralità di Adriano intorno alladefinizione di questa materia, anche se sono noti interventi di imperatori succes-sivi 11. Egli, tuttavia, non pose fine al dibattito in materia, visto che la discussionea riguardo continua anche oltre, come non l’aveva sollevato per primo 12. Se, in-fatti, la maggior parte della riflessione in materia coinvolge giurisperiti del II e

10 Così Mommsen a commento di CIL V 875, riportato poi anche da Dessau: Tempore Traianiincolas nondum generali lege ad munera suscipienda adscriptos fuisse, sed speciali principis re-scipto ad eam rem opus fuisse; della stessa opinione Berger 1916, c. 1255. Rodriguez Neila 1978,p. 162, ritiene difficile stabilire se la sottomissione degli incolae di Aquileia ai munera fosse la so-spensione, tramite il principe, di un privilegio precedente ovvero se fossero gli statuti locali a di-sporre, ciascuno per sé, che gli incolae fossero sottoposti o no ai munera. Egli ritiene, inoltre, chel’esenzione dai munera degli incolae avrebbe riguardato i soli munera personalia; Pavis d’Escurac1988, pp. 64-65, ricondurrebbe a questa stessa fase il rescritto di Vardagate (AE 1947, 44). Uncaso particolare di incolae sottoposti ai munera è ricordato da Frontino (de controv. agr. 52L=Agen. Urb. 84 L), per cui vd. l’interpretazione di Laffi 1966, pp. 198-202.

11 Per una raccolta dei provvedimenti imperiali sul domicilio vd. Licandro 2003, p. 3.12 Ayiter 1962, pp. 74-75, ritiene che l’intervento di Adriano mostri come le questioni riguar-

danti il domicilio fossero divenute di colpo attuali, pensando senz’altro ad una regolamentazioneanche di tipo fiscale.

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III d.C., già in età tardorepubblicana era vivace il dibattito tra i giuristi, in meritoall’applicazione della categoria del domicilio, la cui definizione doveva risaliread una fase ancora precedente 13.

Sarà proficuo, però, riflettere a questo punto su una peculiarità del recuperodell’editto adrianeo sul domicilio; nella costituzione di Diocleziano e Massi-miano che ne dà notizia il domicilio è reso sia nei termini della sede materiale(rerum ac fortunarum) e spirituale dell’individuo (lar) 14, sia come un suo luogointimo, quello a cui vuole tornare quando parte, quello in cui si sente “a casa”. Ildomicilio è il luogo in cui sceglie liberamente di stare e si contrappone perciò aldeterminismo topografico dato dalla nascita. Si riconosce nelle disposizioni suldomicilio la libertà del soggetto a vivere nel luogo che egli ritiene più adeguatoper sé, a cui addirittura può unirlo un sentimento più intenso di quello che lo legaal luogo di origine. Questa descrizione trova un corrispettivo e una sintesi nel so-stantivo animus, una categoria rilevante nella disciplina giuridica, adoperato pro-prio da Celso per la determinazione del domicilio 15.

La medesima posizione è ribadita anche in un riferimento di Marcello (Dig.50.1.31, Marc. 1 dig.: Nihil est impedimento, quo minus quis ubi velit habeat do-micilium, quod ei interdictum non sit).

Coerentemente a questa linea il domicilio del figlio è del tutto indipendenteda quello del padre: (Dig. 50.1.17.11, Papin. 1 resp.: Patris domicilium filiumaliorum incolam civilibus muneribus alienae civitatis non adstringit, cum in pa-tris quoque persona domicilii ratio temporaria sit; 50.1.6.1, Ulp. 2 opin.: Filiuscivitatem, ex qua pater eius naturalem originem ducit, non domicilium sequitur;Dig. 50.1.3. Ulp. 25 ad Sab.: Placet etiam filios familias domicilium habereposse Dig. 50.1.4. Ulp. 39 ad ed.: non utique ibi, ubi pater habuit, sed ubi-cumque ipse domicilium constituit) 16, come quello del liberto da quello del pa-trono (Dig. 50.1.22.2, Paol. 1 sent.: Municipes sunt liberti et in eo loco, ubi ipsidomicilium sua voluntate tulerunt, nec aliquod ex hoc origini patroni faciuntpraeiudicium et utrubique muneribus adstringuntur): l’unica regola a cui atte-nersi è seguire la propria voluntas.

A livello di amministrazione centrale, pertanto, il criterio che si cerca di te-nere salvo è la possibilità del diritto di libertà del cittadino a stare nel luogo chepreferisce, dimostrando questa sua opzione. Certamente questo principio gene-

13 Su questo Licandro 2003, pp. 1-23.14 Per la laris constitutio e la sua ricorrenza per la definizione del domicilio vd. Tedeschi 1932,

p. 214 e nt. 2.15 Bauman 1996, pp. 263-272.16 Ayiter 1962, pp. 76-84.

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rale e afferente al diritto individuale doveva confrontarsi con le singole realtà cit-tadine: era qui che si sviluppavano le dinamiche di inserimento. In linea generalela città non sembra, però, frapporre alla sistemazione di un cittadino di altra co-munità ostacoli di rilievo, anzi cerca di fissare la sua presenza nel territorio unavolta che questi abbia manifestato ferma volontà a stabilirvisi.

Prima di procedere in quest’analisi è opportuno considerare una immediataconseguenza di quanto detto fin qui. Il valore d’elezione del domicilio, che si èsinora sottolineato, fa sì che non tutti coloro che si trovano in una comunitàanche a lungo, o per ragioni legate alla risoluzione o allo svolgimento dei propriinteressi, abbiano ivi il domicilio, se non lo hanno liberamente scelto.

In qualche passo si trova traccia di questa terza categoria di persone nequemunicipes neque incolae (Dig. 50.4.18.21-23, Arc. Char. de mun. civ.) che hannocomunque un legame con la città. Questo si sostanzia o nel solo interesse patri-moniale, piccolo o grande che fosse, del soggetto nella comunità, anche non con-giunto ad una sua presenza nel luogo, oppure in un interesse coniugato anchealla sua presenza.

Tra coloro che hanno nella città il solo interesse patrimoniale vi sono i pro-prietari di terre che non risiedono nella città al cui territorio l’agro appartiene ov-vero non risiedono in quel podere. Proprio nella definizione riportata nell’Enchi-ridion di Pomponio, e citata sopra (Dig. 50.16.239.2, Pomp. enchir.), si distin-guono all’interno della più generale categoria degli incolae, coloro che abitanoin città (in oppido morantur) e coloro che posseggono un agro in cui risiedono:la proposizione consecutiva (…) ita (…) ut in eum se quasi in aliquam sedem re-cipiunt esprime precisamente la nozione che la proprietà dell’ager di per sé nonè sufficiente.

Proprio il riferimento a questi gruppi di proprietari colti come distinti dai mu-nicipes e dagli incolae emerge esplicitamente in alcuni passi del Digesto: (Dig.50.4.6.5, Ulp. de off. proc.). Sed enim haec munera, quae patrimoniis indicuntur,duplicia sunt: nam quaedam possessoribus iniunguntur, sive municipes sunt sivenon sunt, quaedam non nisi municipibus vel incolis. Intributiones, quae agrisfiunt vel aedificiis, possessoribus indicuntur: munera vero, quae patrimoniorumhabentur, non aliis quam municipibus vel incolis.

(Dig. 50.4.18.21-23, Arc. Char. de mun. civ.): Patrimoniorum autem muneraduplicia sunt: nam quaedam ex his muneribus possessionibus sive patrimoniisindicuntur, veluti agminales equi vel mulae et angariae atque veredi. Huiusmodiigitur obsequia et hi, qui neque municipes neque incolae sunt, adgnoscere co-guntur.

Come anche un riferimento può rintracciarsene in una costituzione di Costan-tino del 317 d.C. (CTh. 12.1.5): Imp. Costantinus A. ad Bithinos. (…) Eum

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quoque, qui originis causa vel incolatus vel ex possidendi condicione vocatur adcuriam, perfectissimatus suffragio impetrati dignitas non defendit qua remotatradi eum curiae oportebit.

Che la proprietà, pur indicando un interesse nel luogo del possessore, nonfosse un criterio significativo per l’attribuzione del domicilio emerge con chia-rezza anche da altri contesti, nello specifico in merito alla proprietà di una casaPapiniano indica esplicitamente (Dig. 50.1.17.13, Papin. 1 resp.): Sola domuspossessio, quae in aliena civitate comparatur, domicilium non facit.

La stessa considerazione è contenuta nella lex Cornelia de iniuriis; Ulpiano,in un passo già citato (Dig. 47.10.5, Ulp. 56 ad ed.), dopo aver enunciato il con-tenuto della legge (Lex Cornelia de iniuriis competit ei, qui iniuriarum agerevolet ob eam rem, quod se pulsatum verberatumve domumve suam vi introitamesse dicat (…). Lex itaque Cornelia ex tribus causis dedit actionem: quod quispulsatus verberatusve domusve eius vi introita sit), sente la necessità di preci-sare: Domum accipere debemus non proprietatem domus, sed domicilium. Quaresive in propria domu quis habitaverit sive in conducto vel gratis sive hospitio re-ceptus, haec lex locum habebit.

Nella categoria dei neque municipes neque incolae un secondo gruppo è co-stituito da coloro che nella comunità sono presenti, perché vi svolgono un’atti-vità economica o comunque hanno un qualche interesse o legame nella comunitàche genera una obbligazione. L’interesse dei giurisperiti a queste presenze è su-scitato dalla necessità di stabilire il foro a cui essi devono rispondere in caso dicitazione in giudizio: gli operatori, e in particolare i commercianti, in effetti ven-dono, comprano, fanno contratti con la popolazione locale, intersecando in talmodo i propri interessi con quelli della comunità stabile. Così in proposito Ul-piano (Dig. 5.1.19, Ulp. 60 ad ed.): Si quis tutelam vel curam vel negotia vel ar-gentariam vel quid aliud, unde obligatio oritur, certo loci administravit: etsi ibidomicilium non habuit, ibi se debebit defendere et, si non defendat neque ibi do-micilium habeat, bona possideri patietur. Proinde et si merces vendidit certo locivel disposuit vel comparavit: videtur, nisi alio loci ut defenderet convenit, ibidemse defendere. Numquid dicimus eum, qui a mercatore quid comparavit advena,vel ei vendidit quem scit inde confestim profecturum, non oportet ibi bona possi-deri, sed domicilium sequi eius? At si quis ab eo qui tabernam vel officinamcerto loci conductam habuit, in ea causa est ut illic conveniatur: quod magishabet rationem. Nam ubi sic venit, ut confestim discedat, quasi a viatore emptis,vel eo qui transvehebatur, vel eo qui parapleî, emit: durissimum est, quotquotlocis quis navigans vel iter faciens delatus est, tot locis se defendi. At si quo con-stitit, non dico iure domicilii, sed tabernulam, pergulam horreum officinam con-duxit ibique distraxit egit: defendere se eo loci debebit.

In un crescendo di posizioni che si susseguono anche nello stesso Ulpiano, è

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significativo leggere che non soltanto il possesso di una casa o di un agro o ilsolo svolgervi un’attività potevano non essere determinanti al fine dell’acquisi-zione del domicilio, ma neppure l’abitare in un luogo col solo scopo di svolgereun’attività: (Dig. 50.1.27, Ulp. 2 ad ed.): Si quis negotia sua non in colonia, sedin municipio semper agit, in illo vendit, emit, contrahit, in eo foro, balineo, spec-taculis utitur, ibi festos dies celebrat, omnibus denique municipii commodis,nullis coloniarum fruitur, ibi magis habere domicilium, quam ubi colendi causadeversatur.

L’esegesi di questo passo ha trovato un elemento di discussione nella inter-pretazione del sostantivo colonia inteso come casa colonica ovvero come co-lonia nel senso istituzionale. Se l’espressione colendi causa potrebbe far pensaread una soluzione del primo tipo, il riferimento alla fruizione dei commoda civi-tatis, alla frequentazione dei balinea, degli spectacula come anche del forum delmunicipio in un sottinteso rapporto con le corrispettive realtà della colonia lasce-rebbe intendere che si tratti della colonia intesa come realtà istituzionale 17.

La ragione di ciò potrebbe scorgersi nel fatto che in questi casi la presenza inuna comunità fosse in qualche modo indotta da necessità.

Procedendo nella definizione di questa categoria di neque municipes nequeincolae, in situazione preadrianea, avanzerei l’ipotesi che suoi componenti pos-sano nascondersi, insieme agli indigeni, anche nella lex coloniae Genetivae Iu-liae (Crawford 1996, 25), dove al capitolo 98, de munitione (ll. 33-35), si fa rife-rimento a qui in ea colon(ia)/intrave eius colon(iae) fin<e>s domiciliumpraedi/umve habebit neque eius coloniae colonus erit. Nella seconda parte delladefinizione sono stati identificati gli incolae 18. Al capitolo 103 (l. 3) della stessalegge, però, in merito alle procedure di reclutamento nella milizia cittadina il le-gislatore individua senz’altro esplicitamente colonos incolasque contributos 19; eagli incolae si fa riferimento anche al capitolo 126 (l. 30). L’uso della perifrasi alcap. 98, proprio in ragione del fatto che il sostantivo incolae è adoperato nellastessa legge, sarà da riferire dunque ad un gruppo più ampio, individuato comenon coloni: esso doveva comprendere tutti coloro che erano domiciliati nel terri-torio o vi possedevano terre, senz’altro gli incolae erano tra questi – ma essi nonavevano solo questi requisiti –, vi dovevano essere, tuttavia, anche i non incolae,gente che comunque, pur non avendo una titolarità specifica a stare nella comu-

17 Per la bibliografia sull’esegesi del passo vd. la relazione sugli incolae presentata da L. Ga-gliardi nel settembre 2004 nell’ambito del II Collegio CEDANT.

18 Tra gli altri, Laffi 1966, p. 207; Rodriguez Neila 1978, p. 153; Crawford 1996, pp. 427; 444. 19 Laffi 1996, pp. 127-133; Crawford 1996, pp. 428; 445, riconoscono nei contributi qui men-

zionati una terza categoria di presenze, distinta dagli incolae; diversamente Rodriguez Neila 1978,p. 152; Portillo Martin 1980, pp. 60-61, ritengono si tratti di un gruppo particolare di incolae.

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nità, aveva qui dei propri interessi 20. D’altra parte, ad esempio, nel capitolo 26della lex (ll. 30-31), già citato, vengono menzionati insieme a coloni e incolaeanche hospites e adventores 21.

Altrettanto interessante è quanto contenuto nella lex Irnitana al capitolo 83 demunitione (Lamberti 1996, 83, ll. 45-47), quicumque [mu]/nicipes incolaeve eiusmunicipi erunt a[u]t intr[a fines mu]nici/pi eius habitabunt agrum agrosve ha-bebun[t, ii omn]es (…). In generale si interpretano le proposizioni introdotte daaut come una precisazione delle categorie di persone che potevano costituire ilgruppo dei municipes e degli incolae 22. La struttura del periodo pone tuttavia al-cune difficoltà a questa interpretazione. Aut introduce i verbi habitare e habere,non in rapporto con erunt della prima definizione che indica lo statuto specificodi municipes e incolae rispetto al municipio. Diversamente l’habitare e l’haberepraedia definiscono situazioni di fatto di chi pare non avere altro rapporto giuri-dico con il municipio; ii omn]es alla fine della sequenza pare confermare che igruppi presi in considerazione siano più di due. Proprio questa precisazione nellalex Irnitana, dunque chiarisce, rispetto alla lex Coloniae Genetivae Iuliae, che lacategoria degli incolae è distinta anche da quella dei semplici domiciliati.

Se l’interpretazione di questi due ultimi passi tratti da statuti municipali co-glie nel segno, si potrebbe intravedere in questa categoria di domiciliati non in-colae, una modalità di presenza precedente appunto l’intervento adrianeo, ossiauna condizione in cui il domicilio non determina direttamente lo status di incola.

Nella prospettiva che si è prefigurata, relativamente ai soggetti né municipesné incolae, è chiaro, si diceva, che nessuna condizione in sé è sufficiente ad ac-quisire il domicilio, se disgiunta dalla volontà, dall’animus: si richiede a chiscelga di risiedere in un luogo di rendere evidente questa opzione e di farlo assu-mendo una serie di comportamenti sociali 23.

È così che quando un individuo decide di trasferirsi non basta una semplicedichiarazione, bensì deve farlo concretamente, come afferma Paolo (Dig.50.1.20, Paol. 24 Quaest.: Domicilium re et facto transfertur, non nuda contesta-tione: sicut in his exigitur, qui negant se posse ad munera ut incolas vocari): lascelta deve essere manifestata re et facto e deve essere resa visibile alla comu-

20 Mommsen 1875, p. 126 [=1904, p. 214], distingue in questo passo gli incolae dai posses-sores, così anche Berger 1916, c. 1251; su questa linea pure Tedeschi 1932, p. 243, nt. 2.

21 Poma 2001, pp. 1054-1055.22 Lamberti 1993, p. 347; Poma 2001, p. 1055. Thomas 1996, p. 41, nt. 45, ugualmente rico-

nosce due sole categorie, i municipes e gli incolae, tuttavia, esprime l’eventualità che se ne possaintravedere qui una terza.

23 Così anche Salgado 1980, p. 502.

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nità 24 che deve prenderne atto: il domicilio non resta un dato intenzionale, nonrimane astratto, ma si realizza. Quali sono le forme e le modalità che possono ap-punto rendere in concreto questa elezione?

Un presupposto è la permanenza protratta nel luogo dove si vuole essere do-miciliati. Da Cicerone ad Adriano a Celso ad Ulpiano la permanenza per untempo significativo come condizione per l’integrazione emerge senza soluzionedi continuità 25. Così, ad esempio, anche quando Adriano interviene in merito aldomicilio degli studenti richiede una permanenza di dieci anni (CI. 10.40.2):Imp. Alexander A. Crispo. Nec ipsi, qui studiorum causa aliquo loci morantur,domicilium ibi habere creduntur, nisi decem annis transactis eo loci sedes sibiconstituerunt, secundum epistulam divi Hadriani, nec pater, qui propter filiumstudentem frequentius ad eum commeat – e l’avverbio frequenter ricorre anchein altri passi 26.

Nel domicilium occorre poi senz’altro concentrare le proprie fortune e fissarela sede del proprio mondo interiore simbolizzato dal lar (Dig. 50.16.203, Alf. 7dig.) 27; il soggetto domiciliato deve inoltre aderire alla comunità, condividernegli spazi della vita civica, i momenti di coesione e incontro collettivo, le feste ap-punto, e quindi fruire dei commoda (Dig. 50.1.27, Ulp. ad ed.).

D’altra parte, se l’individuo gode delle opportunità che il territorio offre, lacomunità deve, a sua volta, trarre dalla sua stabile permanenza, dalla sua assiduapresenza un contributo per la sua propria crescita 28.

Risulta, dunque, che il forestiero ammesso a partecipare alla vita civica, poli-tica ed economica della comunità deve disporre di una certa capacità economica,dovendo far fronte non solo ai munera nella propria comunità di origine, maanche in quella in cui è incola 29. Questo elemento induce ad una riflessione sullecondizioni di accesso all’incolato. Un’indicazione utile è data in proposito dallaiscrizione di Aquileia menzionata sopra, in cui si ricorda l’ammissione degli in-colae ai munera.

24 Licandro 2003, p. 15, ritiene appunto che il trasferimento del proprio patrimonio in una cittàrendesse evidente la scelta di stabilirvisi alla comunità del luogo.

25 La necessità di una permanenza stabile torna in una costituzione di Valente, Graziano e Va-lentiniano (CI. 3.24.2) dove nella definizione del domicilio dei senatori, relativamente a questionigiudiziarie, si precisa: In provinciis vero ubi larem fovent aut ubi maiorem bonorum partem possi-dent et adsidue versantur respondebunt.

26 Thomas 1996, p. 33, intende la durata di dieci anni richiesta per gli studenti riferita a tutti glistranieri.

27 Per il valore di sedes, Bonjour 1975, p. 56-59.28 Un significativo esempio ed una sintesi delle dinamiche descritte si rintraccia nella iscrizione

CIL III 12489=ILS 7182= ISCMGL 373 in cui è ricordato L. Pompeius Vales originario di Anquira,di 76 anni, consistens nella regio Histri, il quale muneraque fecit Histro in oppido archontium etaedilicium et sacerdotium.

29 Langhammer 1973, pp. 30-31; Portillo Martin 1980, p. 39; Pavis d’Escurac 1988, p. 64.

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Tra i benefici dunque che la comunità può ricevere da queste presenze è pri-mario quello economico: l’individuo stabilizzatosi sul territorio con le propriesostanze costituisce una indiscutibile ricchezza per la comunità. Il dato econo-mico che viene sottolineato fa pensare che vi fosse nella società una certa consa-pevolezza dell’arricchimento per la città, se i residenti esterni avessero messo lapropria fortuna e la propria operosità in circolazione. Una considerazione,questa, che acquista un maggiore rilievo se valutata anche alla luce della perce-zione dell’immigrato da parte della società romana, secondo quanto può desu-mersi dalle fonti letterarie: l’immigrato risulta avvertito come risorsa positiva,forza benefica per la comunità proprio in relazione alla sfera economica 30.

Questo dato percettivo trova una sua corrispettiva e immediata realizzazionenel vantaggio che la comunità può trarre dagli immigrati che, una volta incolae,prestano appunto i munera come i cives. I munera assicurano la partecipazioneeconomica dell’incola al ménage cittadino, e verosimilmente proprio in virtù diquesto, agli incolae sono riconosciuti alcuni diritti. Tra questi il diritto di voto(Lex Malacitana 53: quicumque in eo municipio comitia IIviris, item aedilibus,item quaestoribus rogandis habebit, ex curiis sorte ducito unam in qua incolae,qui cives Romani Latinive cives erunt, suffragium ferant, isque in ea curia suf-fragi latio esto): si tratta certo di una forma attenuata e che proprio per le moda-lità che prevede – iscrizione in una sola curia – risulta non incisiva sulla vitadella comunità, tuttavia garantisce agli incolae la visibilità sociale e permetteloro di porsi come legittimi interlocutori degli organi istituzionali della comu-nità; molto esiguo è, invece, il numero delle attestazioni di incolae ascesi allemagistrature cittadine, almeno fino ad età tardoantica 31.

Certo il provvedimento di Adriano che vincola il domicilio all’incolato creaun numero superiore di persone che possono offrire un contributo alla città e in-contra il favore delle città stesse, che anzi, si è detto, sono state verosimilmentele prime a promuoverlo; la pressione di queste richieste da parte delle città versoi residenti non originari del posto dovette anzi suscitare in questi ultimi protestein merito al loro inquadramento come incolae e, dunque, alla loro soggezione aimunera, quasi una rivendicazione di appartenenza a quella terza categoria di cuisi diceva. Esempi di questa dinamica si intravedono già sotto Adriano, come silegge nel passo già citato di Callistrato (Dig. 50.1.37, Callistr. 1 de cogn.), eanche nel passo di Paolo sopra menzionato in cui si recupera la situazione di chi,essendogli richiesto l’adempimento dei munera, rifiuta di comportarsi da incola,adducendo come causa il mutamento di domicilio. Certo agli incolae, poi, conti-

30 Vd. in proposito E. Todisco, La percezione dello straniero, in corso di stampa.31 Su questo vd. Rodriguez Neila 1978, pp. 154-160; Pavis d’Escurac 1988, pp. 66-68; Poma

1998, p. 147; Ead. 2001, p. 1057.

L’immigrato e la comunità cittadina: una riflessione sulle dinamiche di integrazione 145

nuava ad essere riconosciuta la facoltà di trasferirsi, ma perfecto munere (Dig.50.1.34, Mod. 3 Reg.: Incola iam muneribus publicis destinatus nisi perfectomunere incolatui renuntiare non potest). In età tardoantica – in particolare apartire da Diocleziano –, come trapela dagli interventi imperiali a riguardo, lecittà devono aver spinto oltre misura queste richieste, suscitando sempre più re-sistenza da parte degli immigrati nel territorio: l’incolato pare quasi in alcunicasi essersi trasformato da privilegio in coazione, da libera scelta in imposi-zione forzata:

CI. 10.40.3: Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Alexandro. Est verumeos, qui in territorio alicuius civitatis commorantur, velut incolas ad subeundamunera vel capiendos honores non adstringi.

CI. 10.40.5: Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Maximo. Si in patriauxoris tuae vel in qualibet alia domicilium defixisti, incolatus iure ultro te eiu-sdem civitatis muneribus obligasti.

CI. 10.40.6: Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Et CC. Marcello. Privi-legio speciali civitatis non interveniente tantum originis ratione ac domicilii vo-luntate ad munera civilia quemque vocari certissimum est.

Naturalmente ad ogni tipologia di presenza dell’immigrato nella comunitàcorrisponde un diverso livello di integrazione: se un cittadino ha in un luogo in-teressi eminentemente commerciali o patrimoniali, ma non ha là il domicilio,sarà ammesso a fruire dei servizi della città necessari allo svolgimento della suaattività e sarà tenuto a rispondere al foro di questa città in caso di citazione ingiudizio; se avrà qui possedimenti e non vi sarà domiciliato potrà senz’altro go-dere dei servizi della città, ma sarà soggetto ad alcuni munera. Diversamente seegli ha là il domicilio sarà ammesso ad ogni manifestazione della vita della co-munità. Posta poi la coincidenza, almeno sicuramente da Adriano in avanti, didomicilio e incolato, egli come domiciliato svolgerà i munera e godrà di alcunidiritti.

L’integrazione che ha corso non sviluppa però, come è noto, a meno che nonsi considerino procedimenti specifici 32, una completa equiparazione incolae/cives. Lo si desume dal paragrafo citato della lex Malacitana (53), dalle nume-rose attestazioni anche epigrafiche in cui gli incolae vengono ricordati da soli ocomunque distintamente dai cives 33, o, per citare un documento a cui si è fatto ri-ferimento, dalla iscrizione di Aquileia, in cui i cives si riconoscono in un nos, di-

32 Un esempio è la sublectio in numerum colonorum attestata anche epigraficamente, e.g. CILXIII 1996=ILS 7035.

33 Rodriguez Neila 1978, pp. 147-148; Portillo Martin 1980, pp. 17-20; Thomas 1996, pp. 30-31; Poma 2001, pp. 1055-1056.

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stinguendosi dagli incolae recepiti quindi come esterni. La distinzione tra cives eincolae, che naturalmente si riconduce ad un atteggiamento di salvaguardia deiprivilegi della comunità stabile e di conservazione della gerarchia di presenze edi diritti al suo interno, può essere intesa anche come espressione della necessitàdella comunità di garantirsi il suo normale e regolare funzionamento anche isti-tuzionale: l’incola è pur sempre una presenza temporanea nella comunità a cuinon lo vincola un legame saldo e indissolubile fissato dalla ratio originis, ma lavoluntas domicilii (CI. 10.40.6) che ha la sua peculiarità nella possibilità di es-sere mutata secondo la volontà dell’individuo.

Se proviamo ora a proporci il confronto con alcuni aspetti della tematica del-l’accoglienza ai nostri giorni, osserveremo subito come l’estrema fluidità di pro-blematiche come quella dell’immigrazione renda difficile entrare nel dibattitocontemporaneo, soprattutto perché la disciplina sulle politiche di immigrazione èsoggetta a continue modifiche che rispondono ad istanze di vario ordine. Èchiaro, infatti, come queste riflettano tutta una dinamica interna alle società ealle loro fasi, e principalmente alle tendenze dell’economia 34. Tuttavia per la so-cietà moderna è possibile parlare di disegni politici che mirano ad obiettivi pre-cisi anche in materia di immigrazione, mettendo in atto processi che tendono arendere stabili le presenze ovvero a mantenerle in uno stato di precarietà e tem-poraneità; ad assimilarle o a tenerle separate, anche nel solco della fisionomiaculturale e politica propria di ogni paese 35. Per la società romana, invece, è diffi-cile individuare l’esistenza di un disegno politico consapevole, almeno primadell’età tardoantica. Si passa dalla disponibilità verso forme di attribuzione dellacittadinanza della grande patria – e ricordiamo in proposito i meccanismi messiin atto coi municipi di diritto latino – che varia anche da imperatore a impera-tore- fino alla concessione generalizzata con la Constitutio Antoniniana. Proprioa fronte di ciò, osserverei che come le immigrazioni costituiscono la contraddi-zione della società attuale tra una dimensione “internazionale” dei mercati, dellacultura “e per certi versi del diritto”, e lo Stato nazione che, invece, continua aprevedere, sulla base della sua storia, i criteri di accesso alla cittadinanza e al go-dimento dei diritti, così in età romana dinanzi ad una mobilità interna al corpodell’Impero e ad una progressiva estensione della cittadinanza, la contraddizione

34 Pugliese 2003, pp. 87-107; Zanfrini 2004, pp. 102-134.35 Bernard 2001, p. 39, in un tentativo di lettura unitaria del quadro delle politiche di emigra-

zione/integrazione in Europa, evidenzia due modelli, l’uno francese, l’altro tedesco, i quali si ri-chiamerebbero ad un differente background politico, demografico, economico e soprattutto cultu-rale: il modello cosiddetto francese avrebbe alla base il principio del ius soli, quello tedesco del iussanguinis.

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nasce rispetto alla tradizione della città stato custode della propria identità, che siperpetua nelle realtà locali 36.

Emerge dall’analisi della documentazione disponibile che tendenzialmente ladisciplina romana in materia di circolazione di individui da una città all’altra del-l’impero esprime una tendenza alla stabilizzazione della presenza e alla integra-zione dell’immigrato nel tessuto della comunità locale (naturalmente si tratta diimmigrati cives di diritto romano o latino) 37. Questa prospettiva di integrazione,che sostanzialmente dice di una società aperta, mobile che ben rientra a livellolocale nel disegno a noi noto della società romana di età imperiale, si esprimenon solo nella considerazione della effettiva iscrizione di questi individui nelleliste di censo della comunità ospite, ma anche nel corrispettivo riconoscimentodi diritti, anche politici – sebbene poco incisivi – che seguono naturalmente lasorte dei comizi, come anche nell’attribuzione di doveri. Naturalmente come èstato via via detto necessita la definizione economica di colui che deve essere in-serito. Questo elemento raccoglie e sistema in un meccanismo giuridico, se-condo un processo consueto, anche la considerazione dello straniero immigratodiffusa all’interno della comunità.

D’altra parte la valutazione della figura del migrante in chiave economica èelemento significativo nella definizione della programmazione delle politiche at-tuali di immigrazione, come anche in riflessioni di ampio spettro sulla politicaeconomica. Studi e indagini condotti per le diverse epoche e società e culture nedanno conto. Ed è significativo come già Werner Sombart nella sua riflessionesociologica sul capitalismo moderno (Modernen Kapitalismus, 1902) inseriscalo straniero tra le forze di base per la nascita e lo sviluppo di questo sistema.

In quest’ottica, dunque, le moderne politiche di immigrazione programmanostrategie di apertura o di chiusura agli immigrati in corrispondenza delle stagionidella economia e concretamente delle esigenze di produzione del paese ospite 38.Senza voler vedere nel mondo romano instaurati meccanismi di questo genere –eminentemente legati alle logiche di un’economia di mercato –, si può co-munque trovare qui un riscontro, sullo sfondo, nella maggiore disponibilità, dicui abbiamo visto, verso lo straniero operoso e con sostanze – attività commer-ciali, possesso di terra –, sia perché questo aumenta la capacità economica dellacittà, come si è detto, sia perché questa condizione garantisce riguardo alla nonpericolosità dell’immigrato per l’equilibrio della comunità.

Passando ad un livello di analisi successiva, è difficile stabilire se in generale

36 Cfr. Pavis d’Escurac 1988, p. 68, per la libertà di circolazione nell’Impero a fronte del con-servatisme juridique della città.

37 La città non può attribuire la cittadinanza romana che è un privilegio concesso dall’impera-tore, vd. Thomas 1996, pp. 83-102.

38 Tra gli altri, Macioti - Pugliese 2003; Zanfrini 2004, pp. 42-102.

i comportamenti sociali messi in atto più o meno consapevolmente miravano allaseparazione o all’assimilazione degli immigrati una volta stabilizzati nel tessutodella comunità. Se per alcuni versi, infatti, si tese all’assimilazione del soggetto– ad esempio nella celebrazione dei giorni di festa, nella partecipazione aigiochi: manifestazioni che esprimono la necessità di adesione e condivisionedello spazio civico e dell’identità comunitaria della città ospite da parte del mi-grante –, per altri se ne osservò la separazione – nessuna prescrizione attiene, adesempio, alla sfera religiosa; inoltre sono presenti nel territorio veri e proprigruppi in cui si riuniscono stranieri provenienti dallo stesso luogo, ne sono unesempio le attestazioni epigrafiche di consistentes che si rintracciano in variearee dell’impero 39.

Nella comunità, quindi, si poteva essere inseriti ufficialmente sia come cives,tramite la nascita, la manumissio e l’adoptio, sia come incola, certamente daAdriano in avanti, tramite il domicilium. La procedura di accesso all’incolato co-stituisce, dunque, un processo dinamico, fondato sul domicilio, incentrato sullalibera scelta dell’individuo a stare in un luogo, sulla concretizzazione quindi diquesta volontà e sul riconoscimento da parte della comunità del contributo cheegli offre, sì che essa lo integra nella sua struttura come un “quasi cittadino”. Èutile concentrare l’attenzione sullo strutturarsi di questo processo appunto in-torno alla voluntas del singolo individuo 40. L’idea del domicilio in questo èchiara: valorizza la volontà del singolo e gli riconosce la possibilità di scegliereliberamente il luogo dove risiedere; e questa possibilità assume tanto più rilievonella considerazione che, ad esempio, è riconosciuta al figlio la libertà di sce-gliere il proprio domicilium, come abbiamo visto, restando fuori delle logichedella patria potestas. In questo l’idea del domicilio, relativamente all’ambito chedefinisce, apre la via al riconoscimento di una forma di libertà individuale che ri-chiama in nuce l’idea di quello che concepiremo come diritto soggettivo 41. Delresto la piena padronanza del diritto a scegliere la cittadinanza, naturalmente ri-spetto alla grande patria, (…) nequis invitus civitate mutetur neve in civitate ma-neat invitus (…), è richiamata da Cicerone nella Pro Balbo (31): Haec sunt enimfundamenta firmissima nostrae libertatis, sui quemque iuris et retinendi et dimit-tendi esse dominum, dove questo principio è posto proprio tra i fondamenti della

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39 Sulla circolazione dei commercianti attraverso l’Impero e il loro rapporto con le comunità incui si stabilivano, Pavis d’Escurac 1988, pp. 57-68. Sui consistentes e i rapporti col domicilium vd.Todisco, Aggregazioni e dinamiche, in corso di stampa.

40 Così anche Thomas 1996, p. 46.41 Comunemente, come è noto, i diritti individuali vengono riconosciuti nel secolo XVII-XVIII,

vd. Laurent 1994, e ultimamente Costa 20044, pp. 37-56; per l’età antica un tentativo di richiamo èin Crifò 1996, pp. 19-66. Per la centralità della potestà della volontà nel processo di definizione deidiritti individuali, Orestano 1968, p. 16.

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nostra libertas. È chiaro che in Cicerone come nei giuristi successivi è anchepresente, come è noto, l’influenza della riflessione stoica 42.

Proprio il dibattito tra i giuristi antichi tra la possibilità di un unico domicilioo di più domicili, col quale abbiamo cominciato questa nota apre la strada all’e-mergenza della voluntas che avrà una lunga storia nel tempo.

Diversamente da quanto potrebbe immaginarsi non è la possibilità di averepiù domicilia a chiamare in causa l’animus dell’individuo, ad esigere una sua op-zione. Questo è richiesto piuttosto dall’idea del domicilio unico che, nei fatti, ri-chiede che si scelga tra i diversi luoghi di interesse del soggetto e che il luogoeletto sia quello verso cui il soggetto è attratto non da un interesse specifico eparziale, ma da un interesse generale e complessivo. Questo pare trarsi dalla tra-dizione adrianea sul domicilio, che valorizza proprio lo stato d’animo dell’indi-viduo, il suo stare bene in un luogo, che necessariamente si traduce e concre-tizza, dal punto di vista materiale nella sua sistemazione stabile e visibile nel ter-ritorio, da quello psicologico nell’animus revertendi ogni qualvolta vi si allon-tani. Acutamente e con fine sensibilità nelle glosse ad alcuni passi del Digesto edel Codice ciò è posto in luce; questa idea ritorna nei commentatori del 1500 e1600, come anche negli storici del diritto intermedio 43. D’altra parte la dipen-denza di queste definizioni da quella romana è indubitabile 44. Ed anche la du-plice consistenza del domicilio – materiale e psicologica – indicata quale innova-zione del diritto intermedio 45, a ben vedere pare già sottilmente tralucere nellacategoria del domicilio romano.

Proprio per questo il domicilium costituisce un ulteriore possibile legame,dopo l’origo, che un individuo può stabilire, di sua volontà, con un luogo, le sueistituzione e la sua comunità. E nel suo svincolarsi in alcuni casi dall’origo perdivenire la definizione giuridica degli “uomini che si spostano”, il domicilium

42 Su cui Bauman 1996, passim; Honoré 20022, passim.43 Vittorio Tedeschi nel suo fondamentale studio sul domicilio del 1936, pp. 9-27, raccoglie, ap-

punto, alcuni passaggi di questa letteratura, ne riporterò qui qualche riferimento. Nel 1589 cosìscriveva Baldo degli Ubaldi: In constitutione autem domicilii animus et factum requiritur (…), ethabitatio requiritur intervenire eo animo, ut perpetuo ibi sit et maneat. Echi della teorizzazione ro-mana tornano tra i teorici del diritto intermedio che largo spazio hanno avuto nella codificazionedel diritto francese del ‘700; ad esempio J.B. Denisart nella sua Collection de décisions del 1787,giusto alla vigilia della codificazione francese, così precisava: Le domicile s’acquiert par le con-cours du fait et de l’intention; c’est à dire de la résidence effective et de l’intention manifeste defixer son domicile en un lieu.

44 Tedeschi 1936, pp. 14-15, cita in proposito la definizione di domicilio di J. Domat (Les loisciviles dans leur ordre naturel, 1689) che collaziona in una sola le varie definizioni di domiciliumdel diritto romano; inoltre Tedeschi richiama la presenza di queste definizione nel dibattito sulleCoutumes, ne è un esempio l’art. 449 delle Coutumes di Bretagna.

45 Id. 1936, pp. 27-27; P. Grossi, s.v. Domicilio. b) Diritto intermedio, in Enciclopedia del Di-ritto, XIII, 1964, pp. 838-840.

ben si presta, come abbiamo visto sin dall’inizio di questo lavoro, ad una rifles-sione sulle dinamiche di migrazione individuale e integrazione e a testimoniareuna società aperta e dinamica 46. Il domicilio interviene dunque a caratterizzare lacondizione degli elementi dinamici della società 47 che, se per un verso rimar-ranno legati alla propria origine non turbando l’ordine sociale e istituzionaledella comunità, per un altro si vedranno riconosciuta la propria facoltà a sce-gliere il luogo dove risiedere. Evidentemente la circolazione di uomini che do-veva essersi messa in atto doveva trovare una qualche sistemazione e regolamen-tazione, soprattutto perché poneva in essere problemi di natura amministrativa, acui si cercherà di rispondere appunto con la disciplina del domicilio 48. Ed è sug-gestivo osservare come di fatto all’interno delle singole comunità convivesseropresenze legate al territorio da vincoli differenti: i cives da un legame indiscuti-bile, indotto da una sorta di determinismo topografico e istituzionale, stabilitoper nascita 49; gli incolae da un legame generato prevalentemente da una liberascelta, naturalmente orientata da ragioni differenti. Se il primo tipo di legamesalvaguarda il diritto collettivo, comunitario, politico; il secondo tiene conto del-l’individuo, della sua adesione volontaria ad una comunità.

Il riconoscimento della possibilità che un soggetto scelga dove risiedere co-stituisce una idea forza della cultura occidentale, un valore trasversale alleepoche che torna a riaffermarsi dopo periodi di maggiore chiusura e disponibi-lità. Per fare un esempio ricorderei qui come nella Costituzione della Repubblicaromana del 1849, all’art.1 sui diritti e doveri del cittadino, tornano suggestiva-mente situazioni previste nella sistemazione giuridica romana, sicché in riferi-mento alla concessione della cittadinanza si prevede che sia possibile darla aglistranieri domiciliati là da dieci anni, o agli Italiani domiciliati da 6 mesi – e quitorna la necessità della permanenza durevole per la concessione del domiciliovisto nella Roma antica –; ma assai stringente per la nostra riflessione è la deter-minazione delle circostanze che possono causare la perdita della cittadinanza: ilprovvedimento colpisce chi dimora in un paese straniero con “animo di non piùtornare”.

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46 Thomas 1996, pp. 43-49.47 In particolare Licandro 2003, pp. 20-21, raccoglie la documentazione letteraria e giuridica

che gli consente di porre la nascita della categoria del domicilio già agli inizi del II a.C. In generalele posizioni sulla natura del domicilio sono contrapposte, a chi lo reputa una categoria giuridicache ha mutato la sua fisionomia seguendo lo sviluppo della società romana da “agraria a mercan-tile” - tra gli altri, Pernice 1873, pp. 98-99; R. Leonhard, s.v. domicilium, in RE V, 1903, c. 1300 eVisconti 1947, p. 434; Salgado 1980, p. 500-, si contrappone chi lo ritiene come già definito sindall’inizio nella sua fisionomia che conserva poi immutata, vd. Tedeschi 1932, pp. 219-223.

48 Per l’uso del concetto di domicilium nella produzione normativa a partire dal II a.C., Licandro2003.

49 Per l’origo e le sue implicazioni D. Nörr, s.v. Origo, in RE Suppl. X, 1965, cc. 433-473.

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Ma andando oltre i riferimenti specifici, sono proprio i presupposti, le lineeculturali, i comportamenti sociali, le trame antropologiche intrecciate ad un com-plesso di fattori economici, demografici, politici a perdurare e orientare le linee ele tendenze della civiltà che le eredita. Essi si insinuano persino in una materiapiù che mai duttile e in continua evoluzione come è quella del concetto di cittadi-nanza soggetto ad una molteplicità di sollecitazioni che ne rendono necessarioun continuo ripensamento, per cui non risulta adeguato un confronto sulla scortadei soli parametri formali 50.

Proprio l’idea della libera circolazione degli individui, dell’accoglienza dellostraniero fondata sul riconoscimento del suo diritto a fermarsi in un qualsiasiposto della terra, non in virtù di un principio filantropico ma proprio per un suoproprio individuale diritto è alla base del pensiero occidentale, a prescinderedalle singole linee politiche che possono divergere per soluzioni e orientamenti.Mi pare significativo riportare qui in conclusione quanto Immanuel Kant, ma-trice del pensiero moderno, in una fase di particolare significato per la costitu-zione dello stato di diritto, dichiara nel suo trattato Per la pace perpetua. Un pro-getto filosofico del 1795 (sezione seconda, terzo articolo): «Qui non si tratta difilantropia ma di diritto e ospitalità significa quindi il diritto di uno straniero chearriva sul territorio altrui a non essere trattato ostilmente. Può venire allontanato,se ciò è possibile senza suo danno, ma fino a che dal canto suo si comporta paci-ficamente l’altro non deve comportarsi ostilmente contro di lui. Non si tratta didiritto di ospitalità, cui lo straniero può fare appello (…) ma di un diritto di visitaspettante a tutti gli uomini, quello cioè di offrirsi alla socievolezza in virtù delcomune diritto al possesso della terra (...) nessuno avendo in origine maggior di-ritto di un altro ad una porzione determinata della terra».

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