L'idea di ciclismo - Alfabeta2
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L’idea di ciclismoPubblicato il 22 marzo 2014 · in AlfaDomenica · 1 Commento
Antonín Kosík
Mario de la Vega Ulibarri faceva il rigattiere.Acquistava per lo più macchinari dallefabbriche, macchinari tenuti ormai fuoriservizio, perché nessuno degli operai sapeva
più come far funzionare dei marchingegni così strani, né cosa ci sifabbricasse e a cosa realmente servissero. Su un grande foglio dicarta eseguiva un disegno a colori dell’artefatto, ne annotava lemisure e quindi si recava dalla sua ex moglie Alicia Becerril Moya,che viveva lontano, fuori città, in un bosco. Fino a poco tempoprima si era dedicata alla stregoneria e a tutto ciò che ne fa parte:leggere il passato e il futuro, fabbricare amuleti, fare fuochicolorati e soffiare palline di luce, guarire schiene doloranti o ditaindurite e così via. Ma negli ultimi tempi Alicia aveva deciso cheera tutto solo una perdita di tempo e si era dedicataesclusivamente alla cura degli alberi attaccati dai coleotteri, asputare palline di fuoco e a borbottare a voce alta.
Tuttavia al suo ex marito, anche dopo anni,non sapeva rifiutarenulla, e in un attimo guardava nel passato per spiegargli a cosaservisse e come funzionasse quel tal macchinario. Quindicompletava con freddezza il disegno a colori anche con unadeterminazione temporale della macchina. Non vorremmocomplicare la situazione, ma è opportuno osservare come Alicia
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vedesse sì nel passato, ma talvolta in luoghi del tutto diversi daquelli da cui proveniva il mezzo di produzione in questione, oppurecapitava spesso che quel luogo nel passato lo scorgesse trasognatada qualche parte nel futuro. Ma forse questo è solo un nostrosospetto, dato che non siamo capaci di accertare le visioni di Aliciacon la competenza degli esperti. I suoi commenti sapeva decifrarlisolo il suo ex marito, che forse spesso se li aggiustava a modoproprio, oppure non era affatto in grado di leggerli e seli inventavadi sana pianta mentre li leggeva. D’altra parte, conta qualcosa? Ètutto solo una questione di interpretazione.
Sì, è tutto solo una questione di interpretazione. Mario de la Veganon era solo un rigattiere, ma anche un ciclista, un appassionatociclista. Mario non possedeva una bicicletta, ma ne conosceval’aspetto dalle vecchie pubblicità; eppure, al di là di questacosiddetta “catena” di rigatteria – comprare la macchina,inventarne l’uso, rivenderla – non era in grado d’inventarsi unamacchina che potesse fabbricare una bicicletta. E fino al momentoin cui non avesse rimediato un tal macchinario, o dei talimacchinari con cui fabbricare una bicicletta, girava nel frattempo acavallo. Non c’era niente di strano in ciò. Tra l’andare in biciclettae l’andare a cavallo, per chi non sia mai salito su una bicicletta, nonc’è poi una differenza così significativa: ci si siede sopra, si fa forzasui pedali, si guarda il paesaggio circostante, si prende un respiro esi va avanti. Prima lentamente e poi sempre più veloce, si passa altrotto, al galoppo e poi di nuovo al passo, è inutile sfinire unabicicletta.
Spesso si dice che tutto dipende dall’interpretazione. È vero?Dipende? O non dipende? Oppure dipende? In realtà a Mario nonimportava affatto se o come si interpretassero le sue gite inbicicletta. Ogni volta che, ricurvo in avanti, saliva affannato suun’erta cima, oppure con leggerezza ed eleganza passava lungo uncampo di granturco, qualsiasi interpretazione di qualsiasi cosa nonlo toccava minimamente. Se in quel momento qualcuno gli avessedetto che stava andando a cavallo invece che in bicicletta, avrebbecreduto alle sue parole come alla pioggia del giorno prima. Dellesciocche parole non potevano mettere in pericolo la fusionedell’uomo e della bicicletta in un unico essere che doveva fareattenzione ai serpenti o alle buche scavate dai cani randagi.
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Interpretano solo le vecchie decrepite ciancianti, incapaci diconcentrarsi, per le quali un’esperienza di qualsiasi genere è unpassato perduto che non tornerà e allo stesso tempo un futuroimpossibile e irraggiungibile, e per questo la mettono in dubbio inogni modo possibile. Mario invitava spesso alle sue escursioniciclistiche dei colleghi commercianti e ospiti importanti, oppureandava in giro con altri proprietari di biciclette. Quindi sirincorrevano a vicenda per brevi tratti, progettavano nuovipercorsi ciclistici, oppure legavano le biciclette a una palma dacocco e si ristoravano con del latte di cocco fresco e mezcal. Nonc’era spazio per alcuna interpretazione, le cose erano chiare esalde, anche se dai tratti inafferrabili: scudiscio, pedale, manubrio,sella, sombrero per proteggersi dal sole, chi avrebbe potutomettere in dubbio la sostanza stessa del ciclismo?
Poco prima che Mario si trasferisse a Tlaltizapan, la sua ex moglieAlicia morì. Improvvisamente, da un giorno all’altro smise disputare palline di fuoco, di curare gli alberi e di borbottare. “Ètutto solo una questione di interpretazione” pensò tra sé e séMario, quando venne a sapere della morte della sua ex moglie.Vendette il cavallo e volò via chissà dove su un tappeto volante. Trai ciclisti non ricomparve mai più. Non c’era più niente dainterpretare.
Traduzione di Mariapia Ciaghi
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Una Risposta a L’idea di ciclismo
portreviu scrive:23 marzo 2014 alle 08:44
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Marica Larocchi su Go down,Moses Una riflessione sui monoteismi
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59LikeLike
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