Le tavole di corte tra Cinquecento e Settecento a cura di

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Le tavole di corte tra Cinquecento e Settecento a cura di Andrea Merlotti Bulzoni Editore ESTRATTO

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Le tavole di cortetra Cinquecento e Settecento

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€ 25,00

In copertina:

Banchetto di Cristina di Francia, sul palco con accanto le figlie Adelaide e Margherita, al Castello di Rivoli il 10 febbraio 1645, da T. Borgonio, Dono del Re delle Alpi a Madama Reale» (1645), Torino, Ris.q. V.60, Torino, Biblioteca Nazionale, foto Ernani Orcorte.

ISBN 978-88-7870-867-9

Bulzoni Editore

ESTRATTO

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Franca Varallo

DAI TRIONFI DEL PETRARCA ALLA SFERA DI CRISTALLO.I BANCHETTI ALLA CORTE DI CARLO EMANUELE I DI SAVOIA

La corte sabauda, come ogni altra italiana o europea, ha riservato alla tavolae ai suoi riti grande attenzione, sia in termini economici sia culturali e rappresen-tativi. Il non essere pressoché menzionata nei numerosi studi pubblicati a tal ri-guardo non dipende, dunque, dalla minore sontuosità dei banchetti o dalla noncu-ranza dei duchi, quanto semmai dalla trascuratezza degli storici. È noto come ilcaso Savoia sia rimasto per molto tempo estraneo alle indagini sul sistema dellacorte degli stati di antico regime, tanto da far passare l’idea che quella torinesefosse una realtà anomala, caratterizzata da una seriosità tutta subalpina, una fittacoltre di nebbia inspessitasi in tempi più recenti con il maleodorante fumo dellefabbriche (o meglio della fabbrica), capace di tener lontana ogni tentazione didivertimento, finanche l’insinuante industria del turismo. Da poco più di un de-cennio e con maggior vigore dopo che la spettacolosa macchina delle Olimpiadiha mostrato il nuovo volto della città, la Venaria ha fatto scoprire una reggia degnadi Versailles e persino il Museo Egizio ha deciso di rinnovarsi, anche gli studisulla corte sembrano essersi conquistati uno spazio nella severa capitale sabauda.

Negli anni precedenti solo pochi interventi hanno preso in considerazioneil tema della tavola, tra questi mi piace menzionare il convegno del 1996 e ilsaggio di Robert Oresko del 2004, che insieme coprono un arco temporale cheva dal XIII alla prima metà del XVIII secolo1. Anche gli studi sulle feste, a

1 La mensa del principe: cucina e regimi alimentari nelle corti sabaude, XIII-XV secolo,atti del convegno a cura di R. Comba, A.M. Nada Patrone, I. Naso, Cuneo 1996; R. ORESKO,Banquet princiers à la cour de Turin, sous le règne de Victor-Amédée II, 1675-1730, in Tablesroyales et festins de cour en Europe, 1661-1789, actes du colloques international (Versailles,25-26 febbraio 1994), a cura di C. Arminjon, B. Saule, Parigi 2004. Il saggio di Robert Oreskoè stato il primo studio sui cerimoniali e l’organizzazione della Casa dei duchi di Savoia inrelazione ai banchetti pubblici e privati tra Sei e Settecento, inserito in un quadro europeo.

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differenza di quanto è successo in altri contesti, non hanno tenuto in particolareconto i banchetti, negligenza a cui io stessa ho di recente contribuito: nella mostrasulle cerimonie barocche, che ha avuto luogo nella primavera del 2009 a Palaz-zo Madama, a cura di Clelia Arnaldi di Balme e della sottoscritta, il tema erapressoché assente, se si esclude il riferimento alla colazione allestita sulla Navedella Felicità2. La scelta, va detto e non per trovare facili giustificazioni, è statadettata dalla natura particolarmente effimera dei conviti e dalla mancanza didocumentazione iconografica. A differenza di altre corti, penso in primo luogoa Ferrara3 così come a Mantova, Firenze, Napoli e Venezia, nonché a Vienna eParigi se si guarda oltralpe4, a Torino non si dispone né degli scritti di scalchi edi cuochi, né di immagini pertinenti. Nessun Cristoforo Messisbugo o GiovanBattista Rossetti, per citare gli autori di note opere a stampa più volte riproposteanche in edizioni recenti, e neppure testi manoscritti come quello di GiacomoGrana, pubblicato nel 1985 con prefazione di Gianni Venturi5.

2 Feste barocche. Cerimonie e spettacoli alla corte dei Savoia tra Cinque e Settecento,catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama, 7 aprile – 5 luglio 2009) a cura di C. Arnaldidi Balme, F. Varallo, Cinisello Balsamo 2009. Della festa intitolata la Nave della Felicità siconosce un’incisione di Giovenale Boetto che raffigura una grande imbarcazione con velecostruita nel salone delle feste del Castello pieno d’acqua, dalla quale Cristina di Franciaassiste alla rappresentazione teatrale consumando con le dame una colazione disposta su pic-cole tavole circolari. L’immagine, riprodotta nel volume di N. BRANCACCIO, M.A. PROLO, Dalnido savoiardo al trono d’Italia: vita, ritratti e politica dei Savoia dall’anno 1000 al 1870,Milano 1930, già nella Biblioteca del Re, non è più stata rinvenuta tra le collezioni dellaBiblioteca Reale di Torino.

3 La bibliografia sulla corte di Ferrara è assai cospicua, per brevità mi limito ad alcunitesti: L. CHIAPPINI, La Corte estense alla meta del Cinquecento: i compendi di Cristoforo diMessisbugo, Ferrara 1984; B. DI PASCALE, Banchetti estensi: la spettacolarità del cibo allacorte di Ferrara nel Rinascimento, Imola 1995, e il recente volume Gli dei a corte: letteraturae immagini nella Ferrara estense, a cura di G. Venturi, F. Cappelletti, Firenze 2009.

4 C. BENPORAT, Feste e banchetti: convivialità italiana fra Tre e Quattrocento, Firenze2001; A. TOCCI, Tacuinum rinascimentale: itinerario di trionfi gastronomici, Perugia 2005; G.MALACARNE, Sulla mensa del principe: alimentazione e banchetti alla corte dei Gonzaga,Modena 2000; N. D’ARBITRIO ZIVIELLO, La tavola del re: cronaca dei reali Offici di bocca.Feste pubbliche e private alla corte dei Borbone, Napoli 1997; A. BUISINE, Cenes et banquetsde Venise, Cadeilhan 2000; M. DE LA FOREST-DIVONNE, Festins de France, Paris 1987; Versailleset les tables royales en Europe: 17eme – 19eme siècles, Musée national des Chateaux deVersailles et de Trianon, Paris 1993; Tafeln bei Hofe: zur Geschichte der furstlichen Tafelkultur,Hamburg 1998; B.M. ANDRESSEN, Barocke Tafelfreuden: Tischkultur an Europas Hofen,München 2001; R. STRONG, Feast: a history of grand eating, Orlando 2002; K. ALBALA, Thebanquet: dining in the great courts of late Renaissance Europe, Urbana and Chicago 2007.

5 G. GRANA, Descrizione del banchetto nuziale per Alfonso II Duca di Ferrara e BarbaraPrincipessa d’Austria preparato. Con appendice di una lettera sopra due piatti di majolicadipinti di Giuseppe Boschini, con prefazione di G. Venturi, Ferrara 1985.

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Niente di tutto ciò, perlomeno stando a quanto finora emerso; se una taledeficienza di testi ha prodotto scarsa curiosità fino ad inibire gli studi, le crona-che e la documentazione archivistica (per ora poco sondata) avrebbero dovutoindurre, al contrario, a non sottovalutare il fenomeno. La situazione torinesepresenta, infatti, evidenti analogie con gli altri centri di potere tra Cinque eSeicento in Italia come in Europa, insieme ad altrettante anomalie.

Le affinità sono facilmente rilevabili nelle relazioni delle feste, molte dellequali riservano ampio spazio ai banchetti; le differenze sono deducibili, forsemeno agevolmente, dall’organizzazione del regno e dalla funzione del convitonei ricevimenti e negli spettacoli. Il mio intervento intende far emergere tanto leune quanto le altre, considerando un arco temporale che corrisponde al regno diCarlo Emanuele I di Savoia (1580-1630), sia per la sua ben nota predilezioneper i fastosi divertimenti, sia perché tale periodo si inserisce con ampi marginitra gli estremi cronologici dei due studi citati, l’uno riservato ai secoli XIII, XIVe XV, l’altro agli anni 1675-1730. Volendo completare il quadro e a parzialemotivazione dei periodi esclusi, va specificato che il Cinquecento si presentaper la prima metà come epoca di occupazione straniera e di guerre, per la secon-da fino al 1580 come fase di ricostruzione, durante la quale il duca EmanueleFiliberto è più impegnato nella organizzazione e difesa dello stato che alla suacelebrazione attraverso feste e banchetti. Spostandosi invece agli anni compresitra il 1630 e il 1675, coincidenti con i regni di Vittorio Amedeo I, la reggenza diCristina di Francia e il ducato di Carlo Emanuele II, le occasioni festive sonoassai numerose ed includono allegri conviti e pranzi ufficiali, alcuni di questifissati nelle tavole dei codici di Giovanni Tommaso Borgonio6. Ma a differenzadel periodo precedente, le formule adottate sono perlopiù ripetitive e, come sievince dalle stesse immagini, il cerimoniale prevale sull’apparato spettacolarefino a tradursi, con il mutare della situazione politica e culturale, nelle coerciti-ve regole dell’etichetta, asettico e rigido codice dietro il quale la nobiltà si trin-cera nell’ultimo tentativo di salvaguardare i propri privilegi.

Analogie e differenze

Le tavole torinesi tra fine Cinque e inizio Seicento sono sovraccariche ditrionfi, sculture e scene allegoriche in zucchero e pasta7, laghi di gelatina con

6 I dodici codici di Giovanni Tommaso Borgonio, più il Carnevale Languente di collezioneprivata, sono stati esposti in occasione della mostra Feste barocche, cit., pp. 94-107, 124-126.

7 Sulle sculture in zucchero si veda, oltre l’ormai storico studio di A.-C. GRUBER, Lesdécors de table éphémeres aux XVIIe et XVIIIe siècles, «Gazette des beaux-arts», t. LXXXIII,

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pesci che vi nuotano, selvaggina cucinata e rivestita del proprio piumaggio opelliccia, fontane di acque odorifere, frutta di ogni stagione, dolci e confettu-re, il tutto in una continua ed estenuante competizione con la natura, con im-mancabile accompagnamento di musiche, versi e danza. Così accade nel 1585per il matrimonio del duca con l’infanta Caterina d’Austria, nel 1602, 1603 ea seguire fino al fastoso banchetto allestito sulla già menzionata Nave dellaFelicità costruita nel salone delle feste del Castello per il compleanno di Cri-stina di Francia nel 1628. I soli aspetti che sembrano mancare nei banchettisabaudi, o perlomeno vengono taciuti, sono il rituale dei mantili sostituiti adogni cambio di portata e la straordinaria e raffinatissima tradizione della pie-gatura dei tovaglioli, dai quali prendevano vita creature meravigliose e delica-te che si abbinavano ai fiori di stoffa e alle acque profumate.

La già rilevata assenza di fonti attribuibili agli addetti ai lavori, scalco oquant’altro, può trovare parziale spiegazione nella conduzione della vita di cor-te impostata da Carlo Emanuele I e nella sua personalità fortemente accentratri-ce. È il duca a decidere le forme di rappresentazione e ad inventarne i soggetti,come confermato dalle relazioni medesime, con un’attenzione quasi maniacaleper ogni dettaglio capace di concorrere alla costruzione della perfetta macchinacelebrativa e dell’immagine di sovrano divino. Artefice della sua gloria, de-miurgo, padrone della e sulla natura, il principe fa del banchetto il momentocentrale dell’esibizione del suo potere sul tempo e sulle stagioni: a lui è datorealizzare da un giorno all’altro luoghi straordinari, tali da imbarazzare qualsi-asi re, nonché competere con la natura vincendola in ricchezza, varietà ed arti-ficiosità grazie alla messa in scena delle vivande ingegnosamente inventate,trasformate, travestite. D’altronde, come scrive Daniele Seragnoli, il banchettoè momento nel quale l’individuo, e a maggior ragione il sovrano, «si pone inuno stato di recita sociale assoluta, rappresentando se stesso come proiezione diun’alterità non quotidiana»8, intorno a lui i cortigiani-commensali agiscono daattori e da spettatori insieme, in un sistema di relazioni che si costruiscono suicomportamenti e sugli sguardi9. La scansione teatrale, chiara allo stesso Era-smo, è data dal succedersi delle portate: i piatti di apertura ne sono il “prologo”,il cambio delle tovaglie e dei servizi il passaggio da un “atto” all’altro che,

116° année, 1974, II, pp. 285-300, in questo stesso volume il bel contributo di R. MORSELLI, R.PICCINELLI, Breve ragguaglio delle sculture in zucchero in epoca moderna. Ovvero saccarumtriumphans alla corte di Carlo II Gonzaga Nevers.

8 D. SERAGNOLI, Recita sociale e recita del cibo nel Rinascimento, in B. DI PASCALE,Banchetti estensi. La spettacolarità del cibo alla corte di Ferrara nel Rinascimento, Imola1995, p. 5.

9 DI PASCALE, Banchetti estensi, cit., p. 12.

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come nel susseguirsi delle scene, fanno crescere l’attenzione e l’aspettativa coneffetti capaci di produrre stupore e incanto10.

La spettacolarità del convito richiede una regia accorta e la maestria diarchitetti, scultori, plastificatori e cuochi, nonché l’abilità di danzatori e musici.Carlo Emanuele inventa e dirige con meticolosità la complessa macchina, asse-condato dai figli, dall’aristocrazia nonché dagli artisti e letterati al suo servizio;gli incontri si spostano dal castello ai palazzi nobiliari che si affacciano sullapiazza, in una sorta di meccanismo di irradiazione caleidoscopica, come in ungioco di specchi che non a caso caratterizza uno dei banchetti più fastosi.

La ricerca continua della meraviglia, la volontà di stupefare non solo con lagrandiosità degli apparati, ma anche con la frequente scelta di locations diverseo la costruzione di luoghi effimeri, realizzati unicamente per accogliere le tavo-le imbandite, veri e propri teatri tanto improvvisati quanto imprevedibili, costi-tuiscono senza dubbio la peculiarità più suggestiva dei banchetti torinesi traCinque e Seicento.

I banchetti di Carlo Emanuele I

Il 1585 costituisce una realtà a sé stante: il matrimonio con la figlia del re diSpagna va al di là di un’oculata strategia matrimoniale, è un avvenimento la cuiimportanza non sfugge alle diplomazie straniere pronte a giudicare e valutarecon severità ogni passo del giovane sovrano. Di fatto è il primo vero banco diprova per l’intraprendente duca, che predispone con cura le cerimonie control-lando ogni particolare delle accoglienze previste dalle singole città anche du-rante la sua assenza, grazie alle figure dei governatori, del marchese Filippod’Este, incaricato di sovrintendere, e di una capillare rete di agenti che lo tengo-no informato quasi in tempo reale. Il risultato è un tanto sorprendente quantoequilibrato succedersi di eventi che accompagnano la coppia di sposi di città incittà da Nizza a Torino, in un crescendo di magnificenza ed efficacia politica esimbolica. Il momento più alto è ovviamente riservato alla capitale; lì il duca dàfondo alla sua giovanile ingegnosità affidando la realizzazione degli apparati aun artista raffinato ed eclettico come Alessandro Ardente. Il tragitto da Monca-lieri alle porte della città si svolge sul Po per mezzo di una chiatta trasformata inisola galleggiante con boschi, giardini, grotte, fontane zampillanti e sentieri.L’Infanta, invitata dal duca ad entrare in una spelonca circondata da «piccolecaverne onde uscivano vivi e limpidi fonti», è accolta dai versi di Alfeo liberatodalla rottura di un sasso, al quale fa eco Aretusa. Terminati i canti, una grotta

10 SERAGNOLI, Recita sociale, cit., p. 6

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scompare lasciando «in suo luogo una ricchissima e lauta mensa colma di con-fetti et eletti vini», coperti di «fiori di seta e penne colorate con diverse frutte dipaste di zuccaro naturalissime» destinata alle dame di Caterina, mentre in unagrotta attigua un’altra tavola di minori dimensioni, anche questa comparsa al-l’improvviso, è riservata ai duchi11.

Il 1585 non è che un assaggio; tuttavia gli anni immediatamente successiviimpongono una pausa causa le numerose e spesso rocambolesche imprese mili-tari di Carlo Emanuele I. Per entrare nel vivo delle feste e dei banchetti bisognaaspettare il nuovo secolo nel quale il duca, abbandonata una politica fortementefilo spagnola, avvia una nuova fase costruita intorno alla figura del principe“italiano” che si erge a difesa dell’ingerenza straniera. Un’anteprima è offertadal carnevale del 1603 dei cui intrattenimenti dà memoria un manoscritto con-servato in Biblioteca Reale12:

Apparecchiate le tavole cariche d’animali delle proprie penne vestiti, alcuni dequali tiravano carri trionfanti et altri quasi vivi parea che volar volessero, conimprese, fonti, città fortezze, et altre mille vaghissime invenzioni che meglio ima-ginar che servir si ponno, si posero a mensa S.A., i Serenissimi Principi, gli illustriAmbasciatori di Spagna e Venetia, la sig. Donna Matilde di Savoia, e con esse bencento delle principali Dame di questa Città, le quali servite furono da gentilissimiCavaglieri di questa corte.

Qualche anno dopo il piacere dei banchetti non sfugge alla penna di Fede-rico Zuccari, che nel suo Passaggio per Italia lascia alcune pagine straordinariesui divertimenti torinesi e ferraresi13.

Il matrimonio delle infanti Margherita e Isabella nel 1608, rispettivamentecon i duchi di Mantova e di Modena, suggella le scelte politiche del duca dive-nendone momento catalizzatore. I festeggiamenti ne sono il manifesto culturale

11 F. VARALLO, Da Nizza a Torino. I festeggiamenti per il matrimonio di Carlo EmanueleI e Caterina d’Austria, Torino 1992; EAD., Le cerimonie per l’infanta Catalina, in Las RelacionesDiscretas entre las Monarquía Hispana y Portuguesa: las Casas de las Reinas (siglos XV-XIX), atti del convegno internazionale (Madrid, 2007), cura di J. Martínez Millán, M. PaulaMarçal Lourenço, 3 voll., Madrid 2008, vol. III, pp. 1711-1732.

12 Relatione della festa fatta da S.A. di Savoia la sera di Carnevale nel gran Salone delCastello di Torino, testo manoscritto conservato nella Biblioteca Reale di Torino, colloca-zione Varia 298, cfr. F. VARALLO, Le feste da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele I, inStoria di Torino, vol. III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato, acura di G. Ricuperati, Accademia delle Scienze, Torino, 1998, pp. 673-698: 688.

13 F. ZUCCARI, Passaggio per Italia, a cura di A. Ruffino, Lavis 2007, pp. 35-37 (banchettitorinesi); sulle feste pp. 25-37; 107 e sgg.

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ed encomiastico narrati in una lunga relazione che pone al centro il grande spet-tacolo del torneo interrotto a più riprese dalle cerimonie, funzioni religiose,dalle giornate di pioggia o da quelle riservate alla preghiera e, naturalmente, dalsopraggiungere della notte, nel corso della quale tutti i convitati si raccolgononel castello per le danze e i banchetti offerti dal duca14. Tra questi una «cena allaChinese, cioè con compartimento di cinquanta picciole tavole poco distanti l’unadall’altra, per ciascuna delle quali sedeva una Dama della Città et un Cavalierodella Corte di Mantova e di Modena, serviti tutti ad uno stesso tempo da i Paggidi S.Alt., vista in vero nuova e gratiosa»15.

Sul finale del lungo periodo di manifestazioni e svaghi, quando oramai lacorte modenese ha lasciato Torino, e con essa la principessa Isabella, la residen-za di Miraflores diviene la cornice entro la quale si svolge l’ultimo atto, giostrae banchetto, alla presenza del cardinale Aldovrandini e San Cesareo, sancendol’utilizzo del parco/giardino, secondo una modalità ampiamente sperimentata16.Come di regola i duchi e gli ospiti più illustri siedono sotto un baldacchino suuna pedana rialzata, la tavola è ricoperta di un semplice e candido mantile; nonappena tutti i commensali si sono accomodati Mercurio, al suono di trombe,annuncia che la schiera dei numi celesti è scesa sulla terra per offrire i cibi e lebevande ai numi terreni. Al suono di vari strumenti entra Cerere con dieci ninfeche recano panieri dorati con il pane; segue Bacco seduto su una botte accom-pagnato dalle baccanti con il vino; quindi Tetide con il seguito di dieci ninfeNereidi che reggono ciascuna una fontana di coralli «da cui havessero acquaper lavarsi le mani i Serenissimi convivanti. Essendo inoltre in ogniuna d’esseun coltello, un cucchiaro et una forchetta con manico di bellissimo corallo».Quindi fa il suo ingresso Flora accompagnata da dodici ninfe, le quali portano ifiori, le insalate e gli antipasti, «in somma l’entrata del pranzo»; segue Pomonacon la frutta, Diana con ogni tipo di cacciagione e in ultimo Venere, in compa-gnia delle Grazie e degli Amori con bacili d’oro ripieni di confetture. Ogniportata prevede una breve danza chiusa da quella di Nettuno col seguito dei sei

14 P. BRAMBILLA, Relatione delle feste, torneo, giostra etc. fatte nella corte del Sereniss. diSavoia nelle reali nozze delle serenissime infanti donna Margherita e donna Isabella di Savo-ia Sue Figliuole. Aggiuntovi la festa di Mirafiori, Torino 1608; F. VARALLO, Il Duca e la corte.I. Cerimonie al tempo di Carlo Emanuele I, Cahiers des civilisation alpine, 11, Genève, 1991;EAD., Le feste per il matrimonio delle Infane (1608), in Torino, Parigi, Madrid: politica ecultura nell’età di Carlo Emanuele I, atti del convegno (Torino, 1995), a cura di M. Masoero,S. Mamino, C. Rosso, Firenze 1999, pp. 475-490; C. ARNALDI DI BALME, Pompeo Brambilla, inFeste barocche, cit., p. 76.

15 BRAMBILLA, Relatione, p. 68.16 Ivi, pp. 139-151. Non tutte le relazioni includono i festeggiamenti di Miraflores; delle

due copie conservate presso la Biblioteca Reale di Torino, solo in una è presente.

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fiumi principali dello stato di S.A., «i quali portavano tra dua una gran monta-gna di corallo, dalle cui cime come in tante dirupi versavano acqua dove sipotessero lavare que’ Principi». Nel gran finale tutte le divinità si ripresentano eballando distribuiscono ai commensali guanti di Spagna, vasi d’agata, d’ambrae di cristallo, pelli e cinture di profumo.

Fin qui nulla di particolarmente avvincente; il vero salto di qualità per quantoconcerne i banchetti si verifica a partire dall’anno successivo, durante il carne-vale del 1609 descritto dal Berthelot, segretario di Enrico di Savoia Nemours,cugino di Carlo Emanuele I. Secondo una tradizione diffusa a corte, il tempodel carnevale, che peraltro coincideva con il compleanno del duca, è scanditonelle ore diurne dalle rappresentazioni e dalle corse in slitta17, la sera dal ritualescambio del bouquet che impegna, chi lo riceveva, a ospitare presso la propriadimora danze e laute cene; apre e chiude il galante giro di inviti il duca, vero eunico regista dei festeggiamenti.

La sera del 24 febbraio è il turno di Enrico di Savoia Nemours che ospitaS.A., i principi e quarantacinque dame nel cortile del suo palazzo fatto coprireper l’occasione; sulle mense le consuete sculture di zucchero, laghi di gelatinacon pesci e anatre; piramidi piene di uccelli vivi, uomini intenti alla caccia apiedi e a cavallo, ruscelli, foreste e scene mitologiche, tutto reso con particolarenaturalezza18. A distanza di pochi giorni i principi restituiscono l’invito nel sa-lone del Castello dove sono allestite otto tavole variamente imbandite; in una sivede Fetonte conducente il Sole, su un’altra il colosso di Rodi dell’altezza di unbambino di dodici anni sotto le cui gambe passa, fluttuando in un lago di gela-tina blu, una galea con vele e stendardi ornati di cifre dorate, che reca vasi evarie galanterie di pasta di profumo19. Il 3 marzo, ultima sera di carnevale, ilduca conclude il lungo intervallo festivo con un banchetto, nel medesimo salo-ne, più ricco e sontuoso dei precedenti. Sulle tavole vi sono, su un lato, monta-gne con boschi verdi pieni di ogni sorta di uccelli e cacciatori, in basso contadi-ni con gerle colme di bouquets; di fronte pastori con i loro greggi, castelli asse-diati, combattimenti di leoni e tori, scimmie di pasta rese come vive in atto difare smorfie, lepri e conigli che corrono. Poco distante scene mitologiche come

17 Anche di questo divertimento Federico Zuccari ha lasciato una descrizione e un dise-gno inserito in alcune copie del suo testo, ZUCCARI, Passaggio per Italia, cit., pp. 40-43.; vediinoltre M. GHILARDI, “Correre in slizza per l’agghiacciata neve”. Parole e immagini per unpassatempo cortegiano del Seicento, «Italianistica», 2004, n. 3, pp. 95-118; A. RUFFINO, Fede-rico Zuccari, in Feste barocche, cit., p. 75.

18 BERTHELOT, Abregé de ce qui s’est passé en la Court de S.A. Durant le Caresme prenantde l’Année 1609, A Turin Par les FF. des Chevaliers, pp. 93-96.

19 Ivi, pp. 108-110.

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la fuga di Elena e Paride, la disperazione di Didone, la liberazione di Androme-da e, su un mare di gelatina, la rappresentazione della battaglia di Augusto con-tro Antonio20.

Tra gli eventi del carnevale del 1609 va annoverato anche una cena, forse lasera del 2 marzo, resa nota da una piccola edizione ottocentesca e assegnata,credo erroneamente, al 160821. Al di là delle imprecisioni cronologiche, il moti-vo di interesse risiede nella spettacolarità del banchetto che prevede la sostitu-zione delle tavole, con conseguente cambio delle portate, grazie all’impiego diuna macchina di nuvole calata dall’alto; si tratta della prima vera introduzione aTorino di meccanismi scenografici durante un convito, la cui invenzione vieneattribuita naturalmente al duca. La soluzione adottata non ha nulla di particolar-mente originale ed è assai diffusa nella pratica teatrale; lo stesso Giovan Batti-sta Rossetti a Ferrara aveva fatto uso di un marchingegno affine per introdurre ipersonaggi destinati a cantare e recitare, ma l’azione scenica torinese è più au-dace, perché indirizzata non agli elementi di contorno, bensì alle mense imban-dite, segno evidente di un mutamento in direzione della fastosità barocca. Nelsoffitto della stanza (una delle sale basse del Castello), in corrispondenza dellatavola, nel cui centro si erge «il monte Parnaso col cavallo Pegaso su la cima,che facea con l’ugna scaturire una fontana d’acque odorifere», è una gran nubeoscura con altre intorno non meno tenebrose e in continuo moto. Terminato ilcanto di Flora, che ha accompagnato la prima portata,

s’avvolsero quelle nubi di torbida chiarezza e cadde la neve che, aggiunta la qua-lità della stagione, parea verissima. Mangiato poi a sufficienza del primo imbandi-mento, di nuovo turbandosi il cielo, calossi con naturalissimo effetto la nube gran-de di mezzo e ricoperse la tavola, che senza strepito alcuno, non veduta da personaalcuna fece luogo alla seconda nello stesso posto. Dissipandosi quindi a poco apoco la nube e rischiarato il cielo, appariva la vivanda di selvaggina accomodatacon tutta la maestria ed ammannita co’ più delicati condimenti22.

Ancora più sorprendente, scrive l’anonimo cronista, è l’apparato della stanzavicina allestito per la colazione in così breve tempo che, senza dubbio, avrebbe«recato impaccio ad ogni gran re» dove, oltre ai consueti trionfi e le figure

20 Ivi, pp. 160-164.21 F. STEFANI, Le feste di Torino nel carnevale del MDCVIII Per le nozze della Serenis-

sima Infanta Maria Margherita di Savoia col Principe di Mantova Francesco Gonzaga,Venezia 1868. Copia dell’opuscolo, che pubblica una breve relazione manoscritta, si trovanella Collezione Simeom dell’Archivio Storico della Città di Torino (ASCT, CollezioneSimeom, C 2379).

22 STEFANI, Le feste di Torino nel carnevale del MDCVIII, cit., pp. 16-17.

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mitologiche, sono esibite le fortezze del ducato a simboleggiare l’animo guer-riero del duca e le sue scelte di politica militare: «Vedansi torreggiare sulletavole disposte in giro alte rocche con le fortezze in cima, di tutto punto adimitazione de’ castelli di Nizza, di Momegliano, di Pinerolo, di Cavour, di Re-vello e d’altre piazze di questo stato, le quali accostandosi le dame spararonoalquanti tiri d’artiglieria con fuoco di profumi, in quel modo gentile che potràciascuno agevolmente persuadersi»23.

La guerra del Monferrato impone una momentanea sospensione delle fe-ste, perlomeno della loro memorialistica; quando nel 1618, chiusa la prima fasedi combattimenti, riprendono, il gusto e l’artificiosità barocca si sono piena-mente affermate anche (e soprattutto) nel banchetto con risultati sorprendenti.L’occasione è data ancora dal carnevale e compleanno di Carlo Emanuele I, ilcui lungo periodo di festeggiamenti (anche oltre due mesi) dà luogo a una viva-ce sperimentazione di nuove soluzioni spettacolari24.

Due sono i momenti di maggiore rilievo; uno si svolge l’ultima sera dicarnevale ed è l’omaggio di Vittorio Amedeo al padre. Nella testa del salone delPalazzo di Racconigi su piazza Castello, dimora che era appartenuto a monsi-gnor di Racconigi poi adibita a casa ai principi, è allestita a rilievo la prospettivadi un superbo edificio «composto a colonnati d’argento, con nicchi e statue,essendo attorno attorno nel più alto addobbate le mura di broccati d’oro, e nelbasso ornate di piante d’aranci posti in vasi di bronzo». Nel mezzo della sala ècollocato un ampio palco alto nove piedi, largo ventisette e lungo ottanta sulquale è imbandita la tavola capace di sessanta dame. All’arrivo di queste,

aprendosi a suono di tromba la porta della prospettiva del già detto palazzo, videsicome da una gran lontananza (imperocché fu su fortissimi archi appoggiata latorre, si che veder a dirittura si poteva il cortile di Racconigi) venir un carro Trion-fale tirato da quattro cavalli bianchi, co’ i fornimenti di riccamo d’argento, nellacui sommità stava Amore alato, con l’arco e lo strale in atto di stoccare, e più inbasso due altri rappresentanti la stessa Deità, i quali giunti a capo della tavolapresero con soavissimo concerto a cantare i terzetti del primo Trionfo d’Amoredel Petrarca.

Nel mentre il carro compie un giro intorno alla mensa, la porta del palazzosi apre nuovamente lasciando vedere in lontananza «quasi nave che’n alto mare

23 Ivi, p. 19.24 Con l’arrivo nel 1619 di Cristina di Francia, sposa del principe Vittorio Amedeo, al

compleanno del duca in gennaio si aggiunge quello della nuora il 6 febbraio, dando motivo diulteriore amplificazione delle feste.

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veleggiasse, venir condotta da quattro unicorni una tavola della medesima gran-dezza della prima, carica del secondo servitio», con ornamenti, sculture e versiriferiti al Trionfo della Castità. «Al comparir dell’una, senza ch’altri s’avedessecome, sparì condotta da quattro cavalli bianchi per la gran porta l’altra, occu-pando questa giustamente il loco di quella». Succede quindi la terza tavola colservizio di frutta condotta da quattro elefanti, rappresentante il Trionfo dellaFama. La quarta, introdotta da quattro unicorni, è «intesa per lo Trionfo delTempo, tutta carica di carri dorati tirati da velocissimi animali, che le confetioniportavano» e mentre queste si susseguono, dal soffitto si sparge sulle dame unaminuta pioggia d’acqua odorifera o una neve di sottilissimi fiocchi d’argento ed’oro25. Con un’evidente contaminazione spettacolare, il carro trionfale, abitua-le presenza nei tornei, diviene espediente un po’ macchinoso, ma di sicuro effet-to, per introdurre le diverse portate con la sostituzione dell’intera tavola imban-dita.

Il virtuosismo tecnico e scenografico va viepiù accentuandosi, divenendoil segno distintivo dei banchetti torinesi, come ben dimostra il convito offertodal duca alle dame qualche giorno prima, il 25 febbraio, ultima domenica delcarnevale del 1618. In tale occasione, in luogo dell’utilizzo di una sala preesi-stente appositamente trasformata ed addobbata, come avvenuto nel palazzo diRacconigi o nel 1609 quando in soli due giorni aveva pressoché «rifabbricatotutta [la] camera», Carlo Emanuele inventa e fa costruire uno spazio acconcio inun casino contiguo al Palazzo Nuovo, così da poter predisporre azioni scenichepiù mirate e complesse. La relazione descrive una sala «in pochi giorni dirizzataa questo effetto» di forma «ovata ripiena e arricchita la volta con bellissimicompartimenti a specchi grandi e piccioli, ne’ quali si riflettevano i lumi ch’in-torno, intorno scintillavano». Le dame e i cavalieri convenuti si riflettono neglispecchi in un moltiplicarsi continuo di volti, sguardi e luci, dando «altrui acredere che fossero in sì angusto spatio le bellezze della terra e del Cielo rin-chiuse»; effetto reso ancor più vivido dalla presenza delle serenissime Infanti edelle loro dame, le quali «di si meraviglioso spettacolo spettatrici davano a sìangusto loco incredibile ornamento». La piccola sala ovale, oltre alla strabilian-

25 Relatione delle Feste rappresentate da S.A. Serenissima e dal Seren.mo Principe Que-sto Carnevale, Torino 1618, pp. 27-30. A questo banchetto Angelo Solerti dedicava, nel IVcentenario di Francesco Petrarca, un breve intervento: A. SOLERTI, I Trionfi del Petrarca in unbanchetto, «Bollettino degli Atti del Comitato», maggio 1904, fasc. 4. È utile ricordare chequalche anno prima Francesco Antonio Olivero, poeta della corte di Torino, aveva scritto deiTrionfi ad imitazione di quelli del Petrarca, conservati manoscritti presso la Biblioteca Nazio-nale Universitaria, cfr. G. RUA, Un episodio letterario alla corte di Carlo Emanuele I di Savo-ia, «Giornale Ligustico», XX (1893), fasc. 1-2, p. 6 e nota.

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te decorazione di specchi disposti su pareti e soffitto, dei quali si ha parzialeriscontro tra i conti dell’archivio26, esibisce in otto nicchie, con la superficierivestite di compartimenti ugualmente riflettenti, otto sculture di vetro che reg-gono ciascuna uno specchio con inscritte quattro storie tratte dall’antichità equattro dalla favola:

In tanto, come che S.A. pensasse di non poter fare cosa più grata alle Dame, chedar loro a vedere in mille lochi, ovunque l’occhio volgessero vivissimi ritrattidelle bellezze loro, e insieme insieme come queste sieno col paragone del vetropoco durabili, divise tutta la parete intorno in otto pilastrate, che in doppio ordinedi colonne si dirizzavano, fra quali restano otto nicchi, ornati pur anco, e ripieni dispecchi grandi più dell’ordinario, e in quelli a foggia di bugne rappresentanti ilrustico altri specchi e cristalli compartiti con non meno vaga invenzione, che bel-lissima architettura. Vedansi ne i sudetti nicchi otto statue tutte di vetro la testa, eciò che si scopriva di nudo, rappresentanti Archimede Siracusano inventore despecchi combustivi, co’ quali potè abbruggiar le navi, che a danno della sua patriavennero. Prasitelle famosissimo pittore, che a tempo del gran Pompeo inventò glispecchi d’argento. Hostio, sotto Augusto inventore de specchi che le immaginimolto maggiori di quello che in effetto erano, rappresentavano. Promotteo, chetrovò pur anco quegli specchi de quali parla Orontio Finco. Erano queste quattrotolte dalla Historia, e le seguenti dalla Favola. Narciso che mal seppe servirsi dellospecchio dell’Acque. Medea di cui favoleggiano che con uno specchio potessecangiar alla Luna aspetto. Atlante che presso Ariosto fece con lo specchio tanteprove. Don Florisello di Nichea, che lo specchio in cui tutti i secreti d’Amore sidimostravano, con si gran periglio ottenne. Era il vestito loro qual viene da gliHistorici e da i Favolosi Poeti descritto; avevano però tutte il manto tempestato esparso di piccioli specchi tondi, che fra la copia de’ lumi, quasi stelle lampeggia-vano, e con gran maestria l’oggetto che si porgeva loro innanzi in mille lochirappresentavano, si che altri vedendo se stesso in si varie e diverse parti diviso, emoltiplicar per ogni verso la sua propria figura, pareva ch’estatico se stesso in sestesso discerner non sapesse. Portavano ciascuno d’esse in mano uno specchio,alle cui basi leggevasi i seguenti versi [...].

Altre iscrizioni a lettere d’oro poste tra un pilastro e l’altro e i versi dimadrigali sotto i grandi specchi forniscono la spiegazione dell’artificiosa in-venzione, nonché il significato delle statue con un moralistico richiamo all’in-ganno e alla fugacità della bellezza (8° madrigale):

26 AST, Camerale, art. 182 Conto del signor Gio. Battista Massena, Tesoriere delle Fab-briche, Artiglieria, et munitioni da guerra dalli 14 marzo 1617 sino li 30 d’aprile 1620.1617in 1620, I, 1618, n. 14.

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Come pomposa, e bellaDonna, hor qui vi mirateTal se da me fra poco ritornateVedrete con doloreQuanto il Tempo suol fareQuanto suol ingannarePoiché passa, e no dura ogni bel fiore.

Il duca, i principi, gli ambasciatori e le dame entrano «in questa cristallinasfera» e si dispongono a sedere pensando di essere in tale luogo convenuti anessun altro fine che dilettare la vista con il caleidoscopico gioco di riflessi el’orecchio con le soavi musiche quando

si videro in un medesimo tempo, non so con qual artificio, uscire in uno istantedalle quattro parti della stanza quattro tavole cariche non meno di lautissimi cibi,che di fontane composte di coralli e di madreperla, per lavar le mani, di banderole,di statuette, e d’altri rilievi, che tutti all’inventione alludevano. Era ogni tavola informa di mezzo circolo, capace di sedici persone, toccante l’estremità di quelleinvisibili porte, per le quali entravano e uscivano. Non era qui Cavaliere, che perportare attorno la coppa, o scudiero, che per metter le vivande potesse far nascereconfusione, essendo che disposti a lochi assignatili i Maggiordomi, e gli Scalchi.Haveva ogni Dama il suo bicchiero, con duo vasetti uno d’acqua, l’altro di vinobianco, co’ quali poteva da se stessa temprar a suo piacer la sete. Girarono cinquevolte a suono di trombe le tavole, sempre con variati servitij, ma fra tutt’altri unodi pesci di estraordinaria grandezza, essendovi trotte e lucci, ch’eccedevano dilunghezza tre braccia, oltre un’infinita quantità di pesci di marina. Rese nondime-no stupore ad ogni uno la ricca, e lauta colatione di confitture, che tutta compostadi statue di zuccaro rappresentanti caccie, giochi, pesci, e frutti, ingombrava isensi, si che altri difficilmente sapeva risolversi qual d’essi goder più ne dovesse.Erano ugualmente il tatto, il gusto, l’occhio, e l’odorato di quelle dolcezze capaci,così bene fu in ogni cosa la magnificenza di tanto Prencipe rappresentata27.

La descrizione restituisce, anche in mancanza di documentazione visiva,un’avvincente idea dell’apparato e della sua suggestiva invenzione scenografi-ca. Il banchetto alla corte sabauda raggiunge qui il suo momento apicale in unperfetto dosaggio di azione scenica – basata presumibilmente sull’impiego diperiaktoi, o simili congegni che facendo ruotare le pareti consentono la sostitu-zione delle tavole imbandite ad essi addossate –, luci, suoni, richiami alla tradi-zione classica e alla favola, dove il cibo è una delle componenti di questa totale

27 Relatione, cit., pp. 19-26.

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e coinvolgente teatralità. L’invenzione della Sfera di cristallo, titolo del ban-chetto, è data dall’anonimo cronista al solo duca, nessun coadiutore, né artistané letterato, compare nel testo o nei conti d’archivio. Silenzio che sa di omissio-ne ben calibrata e rispondente alla già rilevata personalità accentratrice di CarloEmanuele I nonché a evidenti scopi celebrativi, ma che trova altresì un buonmargine di giustificazione nel ben noto interesse dei principi sabaudi per lacultura scientifica e matematica, su cui sembra fondarsi la scelta spettacolare28.

La descrizione dell’apparato suggerisce, infatti, un nesso con l’invenzionedello specchio teatrale pentagonale di Euclide, rielaborato in forma ottagonaleda Leonardo (1488), come documentato nel manoscritto ora all’Insitut de Fran-ce. Nel secolo successivo Giovan Battista Della Porta, tra il 1561 e il 1589, sicimenta a sua volta con costruzioni analoghe; i suoi specchi teatrali ottagonalisono concepiti come macchine capaci di moltiplicare le immagini in un giocoinfinito e stupefacente, riprese e ulteriormente perfezionate da molti scienziati ematematici del Seicento, dal Settala al Kircher, dal Du Breuil a Gaspar Schott,magistralmente indagati da Jurgis Baltrusaitis nel suo affascinante testo sullospecchio29. Niente di più facile, dunque, che il duca, curioso delle scoperte scien-tifiche, appassionato, come il padre, di matematica e di fortificazioni, si siaispirato direttamente a questi per inventare la sala ovale del banchetto, dispo-nendo nella propria biblioteca di tutte le fonti necessarie, dai testi antichi agliscritti cinque e secenteschi30. Come infatti la recente mostra dell’Archivio di

28 A tal riguardo rinvio al bel lavoro di M. CECCHINI, La matematica alla Corte Sabauda1567-1624, Torino 2002, e ai contributi di Clara Silvia Roero nel catalogo della recentemostra Il Teatro di tutte le scienze e arti. Raccogliere libri per coltivare idee in una capitaledi età moderna Torino 1559-1861, catalogo della mostra (Archivio di Stato di Torino, 22novembre 2011 – 29 gennaio 2012), a cura di M. Carassi, I. Ricci Massabò, S. Pettenati,Savigliano 2011, in particolare C.S. ROERO, Emanuele Filiberto, «Vera calamita degli inge-gni» e Carlo Emanuele I, bibliofilo delle scienze, pp. 76-77, le schede su Luca Pacioli eGalileo Galilei, pp. 79-80, G.B. Benedetti, N. Tartaglia, B. Cristini e Hero Alexandrinus, pp.83-87 incluse nella parte dedicata alla Grande Galleria (pp. 67-104). Si veda anche C.S.ROERO, Galileo e la scuola in Piemonte, in Galileo e la Scuola Galileiana nelle Universitàitaliane del Seicento, congresso internazionale, Bologna 28-30 ottobre 2010, a cura di L.Pepe, Bologna 2011, pp. 347-371.

29 J. BALTRUSAITIS, Le miroir, essai sur une légende scientifique, révélations, science fiction,Paris, 1978 (trad. italiana Lo specchio. Rivelazioni, inganni science-fiction, Milano 1981).

30 A tal proposito mi permetto di rinviare al mio saggio Dal Theatro alla Grande Galle-ria. La biblioteca ducale tra Cinque e Seicento, in Il Teatro di tutte le scienze e arti, cit., pp.23-34 e di ricordare che la biblioteca della Grande Galleria includeva pressoché tutta la lette-ratura nota all’epoca relativa all’utilizzo degli specchi sia in campo bellico sia alchemico escientifico, da Euclide, Archimede fino a Giovan Battista Della Porta, si veda l’inventariostilato dal protomedico Giulio Torrini nel 1659: Archivio di Stato, Corte, Gioie e mobili, m. 5

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Stato ha fatto emergere con grande evidenza, tali aspetti hanno fortemente ca-ratterizzato la cultura torinese a partire da Emanuele Filiberto e Carlo Emanue-le I, che sappiamo si procurò repentinamente i testi di Galileo, procedendo nellefigure del cardinale Maurizio, che fonda presso la sua residenza collinare l’ac-cademia dei Desiosi e del principe Tommaso, capostipite della linea SavoiaCarignano, il cui erede Emanuele Filiberto Amedeo affida a Guarino Guarini lacostruzione della sua dimora31.

Rinviando ad altra occasione approfondimenti in tale direzione e ritornan-do, in chiusura, al tema del banchetto, si può a ragion veduta ritenere non soloche la corte sabauda, tra Cinque e Seicento, abbia condiviso con le altre realtàitaliane ed europee l’inclinazione per la teatralità del cibo, ma che, anche inquesta forma di spettacolo, abbia raggiunto, perlomeno durante il regno di Car-lo Emanuele I, un livello di originalità e magnificenza ragguardevole. In specialmodo le sperimentazioni sceniche adottate dal duca e la scelta, di volta in volta,di spazi deputati diversi o realizzati ad hoc, legittimano pienamente, su questofronte come su quello delle feste, l’assunzione del ‘caso’ sabaudo in seno aglistudi sulle corti di antico regime.

d’addizione, n. 30 Giulio Torrini (1607 – 1671?), Ricognitione, o sia Inventaro de libri ritrova-ti nelle Guardarobbe della Galleria di S.A.R.le doppo la morte del protomedico Boursier, fattanel marzo del 1659 dal Protomedico Torrini al Secretario Giraudi d’ordine di S.A.R.

31 Si veda a tal proposito C.S. ROERO, Filosofi, matematici e architetti al servizio deiSavoia, 1637-1730, in Il Teatro di tutte le scienze e arti, pp. 149-151; si veda inoltre C.S.ROERO, Le symétrie admirables de Guarino Guarini, in Symétries, contribution au séminairede Han-sur-Lesse, septembre 2002, édoté par P. Radelet de Grave, Turnhout 2005, pp. 425-442; EAD., Guarino Guarini and Universal Mathematics, «Nexus Network Journal», 11, 2009,3, pp. 415-439.