LE RIFORME IN MATERIA DI CRISI CONIUGALE: UNA RIFLESSIONE IN PUNTO DI TEORIA DEL DIRITTO

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LE RIFORME IN MATERIA DI CRISI CONIUGALE: UNA RIFLESSIONE IN PUNTO DI TEORIA DEL DIRITTO 1. La disciplina del matrimonio e gli strumenti di risoluzione della crisi coniugale nel quadro legislativo moderno. Il complesso di norme volte a disciplinare i rapporti tra le persone trova la sua collocazione all’interno del Libro Primo del Codice Civile. La regolamentazione di questo genere di rapporti rappresenta per il legislatore del codice non certo l’obiettivo principale, stante la radicata convinzione che il diritto si possa addentrare nei rapporti di natura patrimoniale, lasciando al contrario al mondo del giuridicamente non rilevante tutto quel complesso di situazioni e relazioni che attengono alla sfera privata. Questo pensiero, che rappresenta un vero e proprio assioma di fondo del nostro sistema e che permane, seppur con alcune erosioni, tuttora, è certamente espressione del fondamentale principio pubblicistico di sussidiarietà orizzontale, elevato a rango costituzionale recentemente con la legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale è preordinato a regolare il rapporto tra Stato (inteso come apparato) e cittadino. Tale principio impone che il potere pubblico abbia il dovere di astenersi dall’interferire nella vita del cittadino con l’esclusione dei casi in cui quest’ultimo non sia in grado, da solo, di soddisfare propri bisogni a causa di una incapacità o per la natura stessa della materia in oggetto. In quest’ottica, la sfera dei rapporti di tipo “sentimentale” ha sempre rappresentato l’estremo baluardo di non ingerenza da parte del pubblico potere. Del resto, ancora prima del principio di sussidiarietà orizzontale, l’intangibilità della sfera privata trova il proprio fondamento nel principio di autodeterminazione, ricavabile (e ricavato dalla stessa Corte Costituzionale) dagli articoli 2, 3 e 31 Cost. In particolare, l’art. 31 Cost. è il dato normativo assolutamente preminente per la materia qui trattata, in quanto ha come

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LE RIFORME IN MATERIA DI CRISI CONIUGALE: UNA RIFLESSIONE IN PUNTO DI TEORIA DEL DIRITTO

1. La disciplina del matrimonio e gli strumenti di risoluzione della crisi

coniugale nel quadro legislativo moderno.

Il complesso di norme volte a disciplinare i rapporti tra le persone trova la sua

collocazione all’interno del Libro Primo del Codice Civile. La regolamentazione

di questo genere di rapporti rappresenta per il legislatore del codice non certo

l’obiettivo principale, stante la radicata convinzione che il diritto si possa

addentrare nei rapporti di natura patrimoniale, lasciando al contrario al mondo

del giuridicamente non rilevante tutto quel complesso di situazioni e relazioni

che attengono alla sfera privata. Questo pensiero, che rappresenta un vero e

proprio assioma di fondo del nostro sistema e che permane, seppur con alcune

erosioni, tuttora, è certamente espressione del fondamentale principio

pubblicistico di sussidiarietà orizzontale, elevato a rango costituzionale

recentemente con la legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale è preordinato a

regolare il rapporto tra Stato (inteso come apparato) e cittadino. Tale principio

impone che il potere pubblico abbia il dovere di astenersi dall’interferire nella

vita del cittadino con l’esclusione dei casi in cui quest’ultimo non sia in grado, da

solo, di soddisfare propri bisogni a causa di una incapacità o per la natura stessa

della materia in oggetto. In quest’ottica, la sfera dei rapporti di tipo

“sentimentale” ha sempre rappresentato l’estremo baluardo di non ingerenza da

parte del pubblico potere.

Del resto, ancora prima del principio di sussidiarietà orizzontale, l’intangibilità

della sfera privata trova il proprio fondamento nel principio di

autodeterminazione, ricavabile (e ricavato dalla stessa Corte Costituzionale)

dagli articoli 2, 3 e 31 Cost. In particolare, l’art. 31 Cost. è il dato normativo

assolutamente preminente per la materia qui trattata, in quanto ha come

oggetto specifico proprio la famiglia. Esso afferma che “la Repubblica agevola con

misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e

l’adempimento dei compiti relativi (…)”. Questa disposizione non è rivolta

direttamente ai consociati ma al Legislatore, il quale è chiamato ad adottare

strumenti di tipo economico, ma anche sociale, che favoriscano la formazione

della famiglia.

L’art. 31 Cost. è, infatti, la norma che, da un lato conferisce alla legge ordinaria il

potere di disciplinare la materia familiare, mentre dall’altro ne delinea con

estrema chiarezza i limiti. Pertanto, saranno ritenuti ammissibili tutti gli

strumenti che favoriscano l’istituto del matrimonio, mentre, per contro, saranno

vietati tutti gli interventi che possano essere finalizzati a “coartare” la volontà

del soggetto di contrarre matrimonio (in questa precisa ottica si dirige, ad

esempio, il divieto di cui all’art. 636 c.c. in tema di disposizione testamentaria

condizionale, come tra l’altro estensivamente interpretato dalla giurisprudenza

di legittimità).

L’ubi consistam del principio di autodeterminazione, quale principio fondante

ma anche limite della legislazione in materia di famiglia, è racchiuso nel verbo

“agevola”. Lo stesso, infatti, rende perfettamente l’idea di come l’intervento del

legislatore debba sempre essere esterno e come non debba mai andare a colpire

il merito della scelta di contrarre o meno matrimonio, scelta che deve sempre

rimanere totalmente libera e neanche indirettamente indotta.

Ecco, allora, che l’unico istituto giuridico afferente ai rapporti tra le persone,

espressamente disciplinato dal legislatore era il matrimonio.

Sul predetto, infatti, si fonda la famiglia definita “società naturale”, con enfasi

giusnaturalistica, dall’art. 29 della nostra Costituzione. Famiglia e matrimonio,

dunque, sono due aspetti della medesima entità: la prima è l’accezione

naturalistico-sociale del fenomeno, la seconda ne è l’accezione giuridica.

Così come delineato dal legislatore del 1942, il matrimonio civilistico era istituto

di chiara ispirazione canonica, come dimostra la riserva di giurisdizione a favore

dei Tribunali Ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio concordatario

(anche sul piano civile) che ha resistito fino alla modifica del Concordato tra

Stato e Chiesa Cattolica avutasi con la stipula del c.d. Accordo di Villa Madama

del 1984. Ma, ancora di più, come dimostrava la presenza nel codice penale del

delitto di cui all’art. 559, rubricato “Adulterio”, a mente del quale “la moglie

adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il

correo dell’adultera (…)”. Tale norma è stata dichiarata incostituzionale dal

Giudice delle leggi in due successive pronunce rispettivamente del 1968 e del

1969.

A completamento del quadro è necessario soffermarsi sul fatto che il

matrimonio era stato originariamente disegnato dal legislatore come un negozio

indissolubile che poteva trovare scioglimento solamente in caso di morte di uno

dei coniugi.

L’art. 149 c.c. disponeva che: “Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei

coniugi”. A fronte di una patologia nel negozio matrimoniale, quindi, i rimedi

ammessi erano solo quelli che intervenivano sulla patologia genetica (nullità ed

annullabilità, peraltro figure non così ben distinte come nel contratto) ma non

quelli tipici, quali risoluzione, recesso e rescissione, attinenti alla fase patologica

del rapporto, salvo l’ipotesi della morte di uno dei coniugi.

Dunque, al tempo, l’unico rimedio esperibile da parte dei coniugi, nel caso di una

crisi del rapporto matrimoniale, era costituito dalla separazione personale di cui

agli artt. 150 e ss. del c.c..

La stessa, però, rappresentava solo una soluzione temporanea, che, impiegando

una metafora bellica, poteva essere qualificata come una sorta di “tregua” dalla

battaglia. Tregua che avrebbe potuto durare anche tutta la vita, ma che non

avrebbe comunque mai concesso quello spazio di libertà rappresentato dalla

possibilità per il coniuge separato di contrarre un nuovo matrimonio. La

separazione personale, infatti, ora come allora, non è idonea a sciogliere il

vincolo matrimoniale, che permane, ma incide sugli effetti da esso prodotti.

Infatti, gli obblighi assunti dai coniugi con il matrimonio, elencati dagli artt. 143

e 147 c.c. (obbligo di fedeltà, dovere di assistenza morale e materiale, dovere di

collaborazione nell’interesse della famiglia, dovere coabitazione, dovere di

mantenimento, di istruzione ed educazione della prole), assumevano ed

assumono una differente conformazione nel corso della separazione tra coniugi.

Cessa, infatti, il dovere di coabitazione e si attenuano quelli di fedeltà e di

assistenza morale e materiale. Per contro, permangono gli obblighi di

collaborazione nell’interesse della famiglia e di mantenimento, istruzione ed

educazione della prole.

Nessun presidio giuridico era apprestato, quindi, alle situazioni di crisi della

coppia di coniugi tali da rendere necessaria la cancellazione dal mondo giuridico

del rapporto matrimoniale.

A seguito però di un accesissimo dibattito in seno alla società civile e alle forze

politiche dell’epoca, si giunse all’emanazione della legge 898 del 1 dicembre

1970, che ha introdotto l’istituto dello scioglimento del matrimonio, e la

correlativa cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario,

comunemente detto “divorzio”, che ha eliminato la caratteristica della tipicità

dello scioglimento del matrimonio, ma non quella della tassatività.

Ll’art. 149 c.c., come novellato dalla l. n. 151/1975 dispone che : “Il matrimonio si

scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge”. E gli

altri casi previsti dalla legge sono proprio quelli tassativamente elencati dal

succitato art. 3 l. 898/1970. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale, come

noto, è stato reso ammissibile quando:

dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato,

con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza;

l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da delitti di natura

sessuale e dal delitto di omicidio o tentato omicidio a danno del coniuge o

del figlio;

a seguito di sentenza passata in giudicato che pronuncia la separazione

giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione

consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto e la separazione

deve essersi protratta ininterrottamente per almeno tre anni;

è intervenuta sentenza di non doversi procedere per prescrizione di uno

dei reati di natura sessuale o di omicidio o tentato omicidio del coniuge o

del figlio;

il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di

proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per

mancanza di pubblico scandalo;

l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o

lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo

matrimonio;

il matrimonio non è stato consumato;

è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a

norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.

Ma il motivo che qui rileva è quello relativo alla separazione: è qui che si

instaura l’atipicità delle cause di scioglimento. Ed invero, l’art. 150 c.c. stabilisce

che è ammessa la separazione personale dei coniugi e che questa può essere

consensuale ovvero giudiziale.

La separazione consensuale si configura come un negozio giuridico nel quale i

coniugi esprimono la congiunta volontà di modificare il loro rapporto

matrimoniale. L’accordo deve, però, riguardare anche altri aspetti, come le

modalità della separazione, l’affidamento dei figli e la misura dell’assegno di

mantenimento. In questo caso, quindi, il legislatore non richiede dei presupposti

fattuali alla presenza dei quali è possibile stipulare l’accordo di separazione, ma

lascia la materia all’autonomia privata.

La separazione giudiziale, invece, può essere chiesta da uno dei coniugi in

assenza del consenso dell’altro e il legislatore prevede all’art. 151 c.c. che

debbano sussistere dei requisiti fattuali perché si possa addivenire alla

modificazione del vincolo matrimoniale. La separazione giudiziale, infatti, ai

sensi dell’art. 151 c.c., “può essere chiesta quando si verificano, anche

indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da

rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave

pregiudizio alla educazione della prole”. Tali requisiti, di fatto oggettivamente

valutabili, hanno proprio la finalità di ovviare all’assenza del consenso di

entrambi i coniugi e rispondono, altresì, allo scopo di evitare che la separazione

possa dipendere dal mero arbitrio ovvero dalle mere velleità di uno dei due

coniugi.

2. Riflessioni in punto di teoria del diritto.

In punto di teoria del diritto alcune riflessioni si pongono.

Innanzitutto, è necessario l’inquadramento delle norme sulla separazione

personale nella corretta tecnica di produzione degli effetti giuridici. È noto,

infatti, come l’ordinamento giuridico proceda per schemi logici ben precisi che

ne permettono la continua modificazione, secondo il modello del sillogismo

(premessa minore, premessa maggiore, conclusione). Entrambe le species di

separazione seguono lo schema: norma – fatto – potere sull’ an –

accertamento giudiziale – effetto. E, infatti, nella separazione giudiziale è

proprio il giudice a dover verificare la sussistenza dei requisiti fattuali richiesti

dalla legge, emettendo all’esito una sentenza. Ma anche nella separazione

consensuale è necessario il decreto di omologa dell’accordo, così che l’intervento

giudiziale diviene elemento costitutivo della fattispecie e la stessa si configura

come una fattispecie a formazione progressiva.

Ricostruiti secondo schemi sillogistici, la separazione giudiziale si atteggia nel

seguente modo:

premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione

fatto fatti che rendono intollerabile

la prosecuzione della convivenza

norma art. 151 c.c.

effetto separazione personale

potere sull’an diritto potestativo di adire

l’autorità giudiziaria

accertamento giudiziale sentenza di separazione

Diversamente, la separazione consensuale opera sillogisticamente in modo più

complesso, essendo necessari due passaggi:

premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione

potere volontà di entrambi i coniugi di

separarsi consensualmente

norma art. 150.2 c.c.

Effetto negozio di separazione

premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione

fatto negozio di separazione

norma art. 150.3 c.c.

Effetto separazione personale

potere sull’an diritto potestativo di adire

l’autorità giudiziaria

accertamento giudiziale decreto di omologa

Nel primo caso la norma attribuisce esclusivamente un diritto potestativo al

singolo coniuge di adire l’autorità giudiziaria affinché verifichi la sussistenza dei

presupposti fattuali richiesti dall’art. 151 c.c. Nel secondo, al contrario, siamo in

presenza di un vero e proprio potere negoziale (l’essenza del potere privatistico,

da contrapporsi concettualmente al potere pubblicistico) che non è elemento

sufficiente a produrre l’effetto della separazione personale ma ne è necessario.

Tali approfondimenti torneranno utili quando si andrà a trattare di come opera

sul piano giuridico la riforma sulla disciplina della separazione e dello

scioglimento del matrimonio.

Altra riflessione, che si pone in punto di teoria del diritto, è la digressione su

tassatività e tipicità della disciplina sullo scioglimento del matrimonio.

Innanzitutto, è bene inquadrare e definire compiutamente questi due attributi

della norma giuridica, sui quali troppo spesso aleggiano imprecisioni e poca

chiarezza, tanto da venire spesso confuse e ritenute sinonimi.

La tassatività è concetto che ha a che fare con la produzione degli effetti

giuridici: essa individua le norme giuridiche che producono i propri effetti in un

numero di casi determinabile ex ante (quindi con una valutazione prognostica ed

in astratto). Qui il legislatore si preoccupa di elencare anche i casi in cui la norma

opera, mentre con le norme non tassative non lo fa. La tassatività, pertanto, nel

sillogismo si incardina tra la premessa maggiore e la conclusione,

rappresentandone il trait d’union.

La tipicità, al contrario, è concetto che si inserisce tutto in seno alla sola

premessa maggiore, ovvero alla norma. Essa individua una determinata tecnica

di redazione della stessa. Una norma tipica non è che una norma redatta con una

precisa modalità: tutti gli elementi descrittivi della fattispecie sono

perfettamente determinati o facilmente determinabili perché sono la

trasposizione letterale di accadimenti studiati e spiegati da determinate scienze

che spiegano quella categoria di fatti descritti nella norma e attraverso i quali è

facilmente determinabile il significato e la portata di un termine ivi contenuto. In

altre parole, la norma tipica è quella che non ricorre ad elementi c.d. elastici. È

conseguenza logica che le norme tipiche siano quelle che descrivono classi di

fatti che trovano la loro spiegazione ed il loro studio nelle scienze esatte (le c.d.

leggi di natura) ovvero nelle scienze sociali (come l’economia, la sociologia,

l’antropologia e lo stesso diritto), vale a dire tutte quelle scienze che hanno uno

statuto epistemologico forte. Al contrario, non saranno tassative le norme che

disciplinano una classe di fatti che si rifanno e vengono spiegati dalle scienze

speculative (come l’arte, la filosofia, la religione), saperi che hanno uno statuto

epistemiologico estremamente debole e che, per questo, i termini linguistici che

ne vengono tratti non hanno una delimitazione del significante molto stringente.

Un tipico esempio che si può fare è il concetto di diligenza.

I due attributi, tipicità e tassatività, sebbene spesso si accompagnino, sono

slegati tra loro: ben può esservi una norma tipica ma non tassativa (un esempio

è l’art. 144 c.c. in tema di indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia),

ma anche una norma non tassativa che però sia atipica (ne è un chiaro esempio

l’art. 2043 c.c.).

Di contro, esistono norme tassative ma atipiche, di cui l’art. 149 c.c., attraverso le

norme ivi richiamate, è un esempio calzante. L’atipicità della disciplina dei casi

di scioglimento del matrimonio è data proprio dall’art. 3 comma 1 n. 2) lett. b)

della l. n. 898/1970, laddove annovera tra le cause di scioglimento la

separazione consensuale dei coniugi per un periodo ininterrotto di almeno tre

anni. L’art. 151 c.c. sulla separazione giudiziale è, infatti, fattispecie atipica. Essa

conta al suo interno alcuni elementi c.d. “elastici”, in quanto il loro significante

non è così delineato chiaramente: i “fatti tali da rendere intollerabile la

prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della

prole” non individuano chiaramente tutta la serie di fatti ivi astrattamente

sussumibili, lasciando ampio spazio all’interprete di individuarne la reale

portata valutando caso per caso. Sono, questi, i casi in cui il legislatore crea sì

una regola ma ne lascia all’interprete la effettiva individuazione della portata

applicativa.

3. Le recenti innovazioni ad opera della legge n. 132/2014: la

convenzione di negoziazione assistita e la modificazione del rapporto

matrimoniale di fronte all’ufficiale di stato civile.

Il legislatore ha recentemente introdotto delle modifiche che vanno proprio ad

inserirsi tra i c.d. istituti della crisi coniugale: la separazione e il divorzio. Con il

decreto legge n. 132/2014, rubricato “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione

ed altri interventi per la definizione dell’arretrato”, convertito nella l. n.

162/2014, la materia risulta, pertanto, profondamente innovata. Le norme che

qui interessano sono l’art. 6 e l’art. 12.

L’art. 6, rubricato “Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per

le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o

di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di

divorzio”, statuisce che: “1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un

avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una

soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del

matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo

comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive

modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. (…) 3.

L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo

dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i

procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del

matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di

separazione o di divorzio”.

L’art. 12, rubricato “Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento

o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di

separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile”, dispone che: “1. I

coniugi possono concludere, innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato civile a

norma dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre

2000, n. 396, del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui e'

iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, con l'assistenza facoltativa di un

avvocato, un accordo di separazione personale ovvero, nei casi di cui all'articolo 3,

primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, di

scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica

delle condizioni di separazione o di divorzio. (…)”.

Con una finalità ben diversa da quella di apportare una riforma organica della

materia matrimoniale (così come dimostra la rubrica della legge), questo

provvedimento legislativo introduce, quindi, due nuovi strumenti a sé stanti, che

non sostituiscono ma vanno ad affiancare le soluzioni ad oggi vigenti.

Oggi, pertanto, gli strumenti di risoluzione della crisi matrimoniale risultano i

seguenti:

separazione giudiziale

separazione consensuale omologata dal Tribunale

separazione consensuale assistita dall’avvocato

separazione consensuale innanzi l’ufficiale di stato civile

scioglimento del matrimonio innanzi il Tribunale (e speculare cessazione

degli effetti civili del matrimonio concordatario)

scioglimento del matrimonio assistito dall’avvocato

scioglimento del matrimonio innanzi l’ufficiale di stato civile

4. Nuove riflessioni in punto di teoria del diritto alla luce delle novità

normative.

Tralasciando l’aspetto delle modifiche alle condizioni della separazione

personale e quelle di scioglimento del matrimonio ovvero di cessazione degli

effetti civili dello stesso, ma soffermandoci unicamente sulla separazione e sul

“divorzio”, l’anzidetto novum legislativo impone delle ulteriori riflessioni in tema

di modalità di produzione degli effetti giuridici. Il quadro che si è venuto a creare

non apporta solo positivi risvolti pratici sulla vita dei consociati, ma richiede una

complessiva rilettura della materia. È innegabile, infatti, che lo studio

dell’operatività delle norme sul piano giuridico non sia uno sterile esercizio di

stile ma riveli le reali intenzioni del legislatore e, di conseguenza, apra uno

squarcio sul mutato quadro politico-sociale relativo alla materia dei rapporti di

natura strettamente personale.

L’angolo di visuale dal quale bisogna guardare è quello degli interessi coinvolti:

il soddisfacimento di un determinato interesse è per la norma giuridica

l’elemento teleologico, il fine verso il quale essa tende. Ed è, di conseguenza,

l’elemento razionalizzante, quello che orienta i destinatari della stessa. Quando il

legislatore disciplina una determinata fattispecie, molti sono gli interessi che

sono astrattamente coinvolti e spesso tra loro contrastanti, nel senso che il

soddisfacimento di uno comporta il mancato soddisfacimento dell’altro. Qui il

legislatore compie la sua attività (di natura puramente politica) di bilanciare i

vari interessi coinvolti e di decidere a quale dare rilevanza giuridica,

finalizzandovi quindi la norma.

Nell’ordinamento privatistico il legislatore ricorre allo schema di produzione di

effetti giuridici norma – fatto – potere sull’ an – accertamento giudiziale – effetto

quando sussistono due situazioni: nella fattispecie sono presenti interessi di

natura pubblicistica (i c.d. “interessi generali” secondo la dottrina pubblicistica

più moderna) ovvero vi sono interessi che fanno capo ad altri soggetti

dell’ordinamento diversi dal titolare della posizione giuridica soggettiva di

riferimento. Tipico esempio del primo caso è l’art. 833 c.c. così come

interpretato e reso vivo dalla dottrina e giurisprudenza, per il quale l’interesse

che rileva non è tanto quello del non ricevere molestia a causa di atti emulativi

del proprietario, quanto quello dell’intero ordinamento giuridico che non si

abusi del proprio diritto. Esempio, invece, del secondo tipo è la responsabilità

genitoriale, posizione giuridica soggettiva attiva in capo al genitore che

coinvolge, però, l’interesse del minore.

Ebbene, sia nella separazione che nello scioglimento del matrimonio, la

disciplina dettata dal legislatore del 1942 prima e del 1970 poi, era tale per cui

gli interessi, che venivano in rilievo, non erano esclusivamente quelli dei coniugi

a separarsi o divorziare, ma vi era un ulteriore e preminente interesse

pubblicistico di controllo su tutte quelle situazioni che portavano allo

sgretolamento del vincolo matrimoniale. Tutto ciò era spiegabile grazie al ruolo

che la famiglia fondata sul matrimonio ha da sempre svolto nella nostra società,

ossia quella di un forte collante sociale, sul quale si fonda il nucleo essenziale

della società e conseguentemente lo Stato, inteso nella sua accezione di Stato –

Comunità, così come si evince dall’art. 29 Cost.

La famiglia, quindi, vista in un’ottica fortemente pubblicistica, dove il controllo

giudiziale sugli avvenimenti che ivi accadevano era forte e pregnante.

Questo approccio culturale prima ancora che giuridico ha visto un progressivo

sgretolamento nell’ultimo periodo storico che ha preso le sue mosse a partire

dagli anni ’60 dello scorso secolo con le manifestazioni sessantottine e

femministe e che è approdato alla c.d. “società liquida” di Baumaniana memoria,

della velocizzazione di tutto. E l’idea che un rapporto di natura strettamente

personale, quale è il matrimonio, sia appannaggio dello Stato – Apparato e del

suo controllo non è più accettata.

Ecco, quindi, inserirsi due nuovi strumenti giuridici, la cui tecnica di produzione

degli effetti non segue più lo schema: norma – fatto – potere sull’ an –

accertamento giudiziale – effetto.

Stante il diverso modo di produzione degli effetti giuridici dei nuovi strumenti si

rende necessario un loro approfondimento.

La convenzione di negoziazione assistita dall’avvocato, di cui all’art. 6 della l.

162/2014, è fattispecie che permette al potere negoziale delle parti di produrre

autonomamente l’effetto della separazione o dello scioglimento del matrimonio.

L’intervento obbligatorio dell’avvocato, quale mero “ausiliario” del coniuge

appunto, ha lo scopo di tutelare al meglio le ragioni del coniuge suo assistito,

spiegare le conseguenze giuridiche della propria scelta, tutelarne la libertà del

consenso. Come si può facilmente notare, la portata della norma è dirompente,

perché, così formulata, sottrae completamente la materia al controllo giudiziale.

A questo punto, meritano però un approfondimento ed una diversa trattazione

le due diverse versioni dell’art. 6: la prima contenuta nel decreto legge

132/2014 e quella successivamente adottata nella legge di conversione n.

162/2014.

La formulazione originaria dell’art. 6 sanciva che: “1. La convenzione di

negoziazione assistita da un avvocato può essere conclusa tra coniugi al fine di

raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione

degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui

all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970,

n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di

divorzio. 2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza

di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero

economicamente non autosufficienti. 3. L'accordo raggiunto a seguito della

convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che

definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di

cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di

modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L'avvocato della parte e'

obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato

civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata

dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5”.

L’assetto che questa disposizione dava alla materia della separazione, della

modificazione delle condizioni e dello scioglimento del matrimonio

rappresentava veramente un cambio di passo nel sistema del diritto di famiglia:

la produzione dell’effetto giuridico era totalmente e completamente sganciata

dall’accertamento giudiziale e dal controllo esercitato dal PM, venendo così a

cadere quel controllo di tipo pubblicistico che è sempre stato espressione della

visione della crisi coniugale non come un mero affare privato tra soggetti, ma

come un accadimento che interessa l’intera società, che deve comunque

esercitare il proprio controllo sulla scelta di due persone di modificare il proprio

status matrimoniale. Qui erano solo i coniugi a valutare la sussistenza dei “fatti

tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza” e a manifestare la

propria volontà di produrre l’effetto della separazione (ovvero della

modificazione ovvero dello scioglimento) senza che vi fosse un soggetto terzo

rispetto al vincolo matrimoniale a valutarne la sussistenza. Anche l’avvocato,

infatti, nonostante fosse un soggetto terzo che doveva obbligatoriamente

intervenire in fase di stipula del negozio, a pena dell’invalidità dello stesso, non

aveva alcun potere di controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti

dall’art. 151 c.c. ai fini della separazione prima e del divorzio poi. Il legale, infatti,

doveva esclusivamente assistere il coniuge affinché questi manifestasse il

proprio consenso nella più totale libertà ed alle condizioni per sé migliori.

In punto di tecnica di produzione degli effetti giuridici, la norma si atteggiava nel

seguente modo: norma – potere – effetto più norma – fatto – effetto, dove il

fatto nel secondo momento è proprio la convenzione di negoziazione assistita.

Ricostruito in uno schema sillogistico risulta così:

premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione

potere volontà di entrambi i coniugi di separarsi consensualmente

o volontà di entrambi i coniugi di

modificare le condizioni matrimoniali

o volontà di entrambi i coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale

Norma art. 6.1 d.l. 132/2014

effetto convenzione di negoziazione

assistita dall’avvocato

premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione

fatto convenzione di negoziazione assistita

Norma art. 6.3 d.l. 132/2014

effetto negozio di separazione o di

modifica o di scioglimento del matrimonio

Il comma 3, infatti, che è norma sugli effetti, equiparava sul piano giuridico il

negozio, di cui al comma 1, al provvedimento giudiziale che definisce i

procedimenti in materia matrimoniale.

Naturalmente, il comma 2 faceva salvi i casi di presenza di figli minori,

maggiorenni incapaci o portatori di handicap, per i quali si sarebbe comunque

dovuto applicare la disciplina ordinaria precedente alla riforma.

L’assetto cambia completamente con la conversione del decreto legge in legge.

La nuova e vigente formulazione dell’art. 6 dispone che “1. La convenzione di

negoziazione assistita (da almeno un avvocato per parte) può essere conclusa

tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione

personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del

matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b),

della legge (1º dicembre) 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica

delle condizioni di separazione o di divorzio. (2. In mancanza di figli minori, di

figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi

dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero

economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di

convenzione di negoziazione assistita e' trasmesso al procuratore della

Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa

irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai

sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci

o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti,

l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve

essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della

Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che

l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che

l'accordo non risponde all'interesse dei figli, il procuratore della Repubblica

lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro

i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza

ritardo. All'accordo autorizzato si applica il comma 3). 3. L'accordo raggiunto

a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti

giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione

personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del

matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

(Nell'accordo si da' atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti

e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e

che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di

trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori). L'avvocato della parte

è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato

civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata

dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5”.

L’inserimento del nuovo comma 2 cambia tutto e stravolge completamente

l’impianto giuridico della precedente formulazione. Secondo la nuova

formulazione non è sufficiente che i coniugi addivengano ad una convenzione di

negoziazione assistita da un avvocato (che deve essere ora obbligatoriamente

uno per parte, mentre prima ne era sufficiente uno per entrambi, con esultanza

della categoria) ma è necessario un ulteriore passaggio. La legge pone a carico

degli avvocati l’obbligo di trasmettere entro 10 giorni l’accordo, stipulato con

l’assistenza degli avvocati, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale

territorialmente competente, il quale deve comunicare agli avvocati il proprio

nullaosta “quando non ravvisa irregolarità”.

La dicitura è chiaramente generica e non è in grado di definire chiaramente

quale tipo di controllo debba svolgere il procuratore: si tratta di un mero

controllo di legittimità formale del negozio e della sua non contrarietà a norme

imperative, ordine pubblico o buon costume, ovvero di un controllo che si

addentra nel merito, i.e. alla sussistenza o meno dei “fatti tali da rendere

intollerabile la prosecuzione della convivenza”? Il termine irregolarità utilizzato

nella disposizione fa certamente propendere per la prima interpretazione, ma

non è escluso che nella prassi applicativa ne verrà data la seconda lettura. È

comunque innegabile che, letta nel secondo modo, la norma non innova

assolutamente nulla sul piano del diritto sostanziale rispetto alla disciplina

finora in vigore. Si tratterà tutt’al più, di uno snellimento procedurale perché i

coniugi non saranno obbligati a presentarsi in Tribunale e subire un

procedimento di volontaria giurisdizione ma sarà sufficiente un nullaosta da

parte della Procura.

Infine, la nuova formulazione pone a carico dell’avvocato un ulteriore obbligo.

Questi deve, congiuntamente al collega che assiste l’altro coniuge, tentare la

conciliazione tra le parti che, prima della novella legislativa, era riservata

dall’art. 708 c.p.c. esclusivamente al presidente del Tribunale, nonché informarle

della possibilità di esperire la mediazione familiare.

I predetti oneri posti a carico dei legali denotano il persistente atteggiamento di

sfavore del legislatore nei confronti dello scioglimento del vincolo matrimoniale.

Si scopre, quindi, che nel nuovo testo di legge, fin qui esposto, la tecnica di

produzione degli effetti giuridici cambia e assume sembianze particolarmente

complesse: norma – potere – effetto prima e norma – fatto – potere sull’ an –

accertamento giudiziale – effetto poi, dove nel secondo momento alle parti è

attribuito il solo diritto potestativo di adire il Procuratore della Repubblica

presso il competente Tribunale affinché, dopo il suo controllo, rilasci il nullaosta

necessario. A seguito del nullaosta, l’avvocato ha l’obbligo di trasmettere copia

autenticata dell’accordo all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il

matrimonio fu iscritto o trascritto entro entro il termine di dieci giorni. La

violazione di tale obbligo è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria

da euro 2.000 ad euro 10.000, così come stabilisce l’art. 6 comma 4 della legge.

Trattasi, quindi, di fattispecie a formazione progressiva, dove il c.d. nullaosta del

Procuratore della Repubblica è elemento costitutivo della fattispecie, in assenza

del quale non si può produrre l’effetto di separazione o scioglimento. Trasfusa in

schema sillogistico, la norma si atteggia quindi nel seguente modo:

premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione

Potere volontà di entrambi i coniugi di separarsi consensualmente

o volontà di modificare le condizioni del matrimonio

o

norma art. 6.1 d.l. 132/2014 come

conv. in l. 162/2014

Effetto negozio di separazione o di

scioglimento del matrimonio

volontà di entrambi i coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale

premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione

Fatto negozio di separazione o

scioglimento del matrimonio potere sull’an

esercizio del diritto potestativo di adire il procuratore della Repubblica

accertamento giudiziale nullaosta del procuratore della Repubblica

norma art. 6.2 e 6.3 d.l. 132/2014 come conv. in l. 162/2014

Effetto separazione personale

o scioglimento del matrimonio

Lo schema così come rappresentato chiarisce perfettamente come ci sia stato un

passo indietro da parte del legislatore in sede di conversione: il Governo, infatti,

ha voluto sottrarre la materia matrimoniale al controllo da parte del giudice,

cosa che abbiamo detto è possibile fare solo laddove in una determinata

fattispecie non si voglia dare rilevanza giuridica ad interessi pubblicistici. È

evidente, dunque, come il Governo abbia ritenuto che nelle vicende di

separazione ovvero scioglimento o modifica del matrimonio non sussistano più

interessi di natura pubblicistica. Al contrario, il Parlamento, nel suo potere

sovrano di modificare i decreti legge in sede di conversione, ha valutato che tali

interessi di stampo pubblicistico non potessero essere sottratti dal mondo del

giuridicamente rilevante e, quindi, ha compiuto un passo indietro tornando alle

origini. Il risultato è uno strumento “ibrido”, che sul piano del diritto sostanziale

opera in modo identico alla disciplina originaria della separazione e

scioglimento del matrimonio, ma che presenta una semplificazione sul piano

procedurale, sostituendo la sentenza del giudice con un nullaosta del

Procuratore della Repubblica. In questo modo viene soddisfatta la ratio di

alleggerire il carico dei tribunali, non certo quella di innovare la materia

matrimoniale.

Lo stesso comma 3, poi, prevede una disciplina lievemente diversificata per i

casi in cui siano presenti figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di

handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti.

Negli anzidetti casi, l’accordo tra i coniugi deve sempre essere trasmesso entro

dieci giorni dalla sua conclusione al Procuratore della Repubblica presso il

Tribunale competente, il quale dovrà autorizzarlo. Il parametro sul quale dovrà

autorizzare o meno l’accordo è in tali casi espressamente individuato dal

legislatore proprio nell’interesse dei figli.

Il Pubblico Ministero, qualora rilevi che l’accordo sia lesivo dell’interesse dei

figli, dovrà trasmetterlo al Presidente del Tribunale competente entro cinque

giorni, il quale dovrà fissare entro i successivi trenta giorni la comparizione delle

parti e provvedere senza ritardo. Da tale momento, quindi, si aprirà un ordinario

procedimento di volontaria giurisdizione disciplinato dagli artt. 706 e ss. c.p.c.

Queste fattispecie, dunque, seguono anch’esse il doppio schema di cui sopra

norma – potere – effetto e norma – fatto – potere sull’ an – accertamento

giudiziale (che nei casi da ultimi esaminati può essere addirittura doppio, del

Procuratore prima e del Presidente del Tribunale poi) – effetto, cui si rimanda.

La logica spiegazione sta naturalmente nel fatto che in questo caso vengono

coinvolti interessi di soggetti terzi di cui si richiede la necessaria ponderazione e

a fronte dei quali l’interesse dei coniugi a separarsi, a modificare o a sciogliere il

proprio vincolo matrimoniale necessariamente cede.

La separazione o scioglimento del matrimonio dinnanzi l’ufficiale di stato

civile è fattispecie di sicuro interesse e, certamente, quella più innovativa

nell’impianto delineato de iure condito. L’art. 12, lo ripetiamo, dispone che: “1. I

coniugi possono concludere (innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato

civile a norma dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3

novembre 2000, n. 396,) del comune di residenza di uno di loro o del comune

presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, (con l'assistenza

facoltativa di un avvocato) un accordo di separazione personale ovvero, nei casi

di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge (1º

dicembre) 1970, n. 898, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del

matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. 2. Le

disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza di figli minori,

di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ai sensi dell'articolo

3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104,) ovvero economicamente non

autosufficienti. 3. L'ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti

personalmente (,con l'assistenza facoltativa di un avvocato,) la dichiarazione

che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o

ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. Allo stesso

modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

L'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. L'atto

contenente l'accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il

ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente comma. L'accordo tiene luogo dei

provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti

di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di

scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di

divorzio. (Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli

effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo

condizioni concordate, l'ufficiale dello stato civile, quando riceve le

dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di

trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell'accordo anche ai fini degli

adempimenti di cui al comma 5. La mancata comparizione equivale a

mancata conferma dell'accordo).

Sul piano della tecnica di produzione degli effetti giuridici la norma segue lo

schema norma – potere – effetto ed è proprio questo dato a dare conto della

vera portata innovativa di questa disposizione. Al contrario della precedente,

infatti, la separazione (o modifica o scioglimento del matrimonio) viene

interamente sottratta ad un controllo di tipo pubblicistico nel merito delle

ragioni che portano i coniugi a manifestare la loro volontà. Si potrà obiettare che

il controllo di tipo pubblicistico permane sempre, perché l’ufficiale di stato civile

è figura posta a presidio degli interessi di tipo pubblicistico coinvolti nella

fattispecie. Ma se sussistono dei dubbi sulla pervasività del controllo in capo al

Procuratore, non ve ne sono sui poteri dell’ufficiale di stato civile, il quale non

potrà certamente mai valutare se sussistono o meno le condizioni richieste dalla

legge (i famosi fatti che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza)

ma, tutt’al più, potrà esercitare un controllo formale e potrà rifiutarsi di ricevere

l’accordo dei coniugi qualora ravvisi motivi di invalidità dello stesso (ad esempio

questo contiene accordi patrimoniali, espressamente vietati dal comma 3).

Naturalmente, tutto ciò vale per i casi in cui non vi siano figli minori, figli

maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non

autosufficienti (art. 12, comma 2, d. l. n. 132/2014 conv. l. n. 162/2014), perché

in tal caso si rientra nella seconda categoria di cui sopra, quella in cui il

legislatore prende in considerazione gli interessi di soggetti diversi dai titolari

della posizione giuridica soggettiva (ovvero i coniugi) e per i quali, pertanto, si

renderà obbligatorio il controllo giudiziale affinché tali interessi vengano

tutelati e garantiti.

5. Brevi riflessioni conclusive

La ricostruzione dello stato dell’arte permette di addivenire ad una serie di

considerazioni di tipo socio-politico.

È innegabile, infatti, che gli interventi summenzionati traggono il loro

fondamento da un mutato clima della società nel considerare il fenomeno del

rapporto matrimoniale. Al minore allarme sociale, al minor clamore che

suscitano i fenomeni di sgretolamento del matrimonio fa da contraltare

l’innegabile esigenza del legislatore di creare strumenti più snelli, veloci, meno

onerosi economicamente. Oggi lo scioglimento del matrimonio (cui anche la

separazione è ormai preordinata) è visto non più come una patologia ma come la

fisiologia dei rapporti matrimoniali. Semplicemente, si accetta l’idea che il

vincolo matrimoniale non debba necessariamente durare per tutta la vita e al

legislatore non resta che prenderne atto. Il legislatore, quindi, benché li abbia

inseriti in un provvedimento che ha la chiara finalità di velocizzare e snellire la

macchina giudiziaria, in realtà ha ben presente anche questo mutato quadro

della società: la prova è data dalla disciplina dettata col decreto legge dal

Governo, organo che più e meglio del Parlamento è in grado di recepire e

tradurre in linee politiche le istanze che promanano dalla società ed adattare in

tempi più celeri il diritto alla realtà storica. E, benché in sede di conversione il

Parlamento abbia fatto un passo indietro, c’è da ipotizzare de iure condendo che

la materia sarà oggetto di attenzione e di probabile rivisitazione anche nel

prossimo futuro. Prova ne sia l’ulteriore e ravvicinato intervento da parte del

legislatore con la legge 6 maggio 2015 n. 55, rubricata “Disposizioni in materia di

scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di

comunione tra i coniugi”, con la quale vengono notevolmente accorciati i tempi

necessari per addivenire alla pronuncia di scioglimento del matrimonio a

seguito di separazione personale. Ed invero, per la separazione giudiziale sono

necessari dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al

presidente del tribunale al posto dei precedenti tre anni; mentre per la

separazione consensuale sono richiesti solamente sei mesi. L’accorciamento dei

tempi per sciogliere il vincolo matrimoniale era da tempo fortemente auspicato,

segno che anche in questo caso la legge non era più in linea con le esigenze della

società civile. Il combinato disposto dei due innesti normativi di cui si è dato

conto permetterà, pertanto, di snellire notevolmente il procedimento di

scioglimento del vincolo matrimoniale, grazie a procedure semplificate e a tempi

più ragionevoli.

Le resistenze in ordine alla completa degiurisdizionalizzazione dello

scioglimento del matrimonio che sono state manifestate dal Parlamento, in

particolare da una sua ala più conservatrice, sono sia di natura ideologica, che

politica, dato che lo Stato attraverso il processo opera un controllo e, quindi, un

potere sul rapporto matrimoniale.

Al contempo, però, non si può non evidenziare come le predette ragioni siano

destinate a sciogliersi progressivamente ma inesorabilmente come neve al sole

di fronte alla realtà, unico vero elemento con cui neppure il legislatore si può

scontrare.

D’altronde, come diceva qualcuno, non si può fermare il vento con le mani.

Giulia Poi