Una questione di “habito”e di “Ordine”: l’iconografia di Verdiana da Castelfiorentino
LE RIFORME IN MATERIA DI CRISI CONIUGALE: UNA RIFLESSIONE IN PUNTO DI TEORIA DEL DIRITTO
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LE RIFORME IN MATERIA DI CRISI CONIUGALE: UNA RIFLESSIONE IN PUNTO DI TEORIA DEL DIRITTO
1. La disciplina del matrimonio e gli strumenti di risoluzione della crisi
coniugale nel quadro legislativo moderno.
Il complesso di norme volte a disciplinare i rapporti tra le persone trova la sua
collocazione all’interno del Libro Primo del Codice Civile. La regolamentazione
di questo genere di rapporti rappresenta per il legislatore del codice non certo
l’obiettivo principale, stante la radicata convinzione che il diritto si possa
addentrare nei rapporti di natura patrimoniale, lasciando al contrario al mondo
del giuridicamente non rilevante tutto quel complesso di situazioni e relazioni
che attengono alla sfera privata. Questo pensiero, che rappresenta un vero e
proprio assioma di fondo del nostro sistema e che permane, seppur con alcune
erosioni, tuttora, è certamente espressione del fondamentale principio
pubblicistico di sussidiarietà orizzontale, elevato a rango costituzionale
recentemente con la legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale è preordinato a
regolare il rapporto tra Stato (inteso come apparato) e cittadino. Tale principio
impone che il potere pubblico abbia il dovere di astenersi dall’interferire nella
vita del cittadino con l’esclusione dei casi in cui quest’ultimo non sia in grado, da
solo, di soddisfare propri bisogni a causa di una incapacità o per la natura stessa
della materia in oggetto. In quest’ottica, la sfera dei rapporti di tipo
“sentimentale” ha sempre rappresentato l’estremo baluardo di non ingerenza da
parte del pubblico potere.
Del resto, ancora prima del principio di sussidiarietà orizzontale, l’intangibilità
della sfera privata trova il proprio fondamento nel principio di
autodeterminazione, ricavabile (e ricavato dalla stessa Corte Costituzionale)
dagli articoli 2, 3 e 31 Cost. In particolare, l’art. 31 Cost. è il dato normativo
assolutamente preminente per la materia qui trattata, in quanto ha come
oggetto specifico proprio la famiglia. Esso afferma che “la Repubblica agevola con
misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l’adempimento dei compiti relativi (…)”. Questa disposizione non è rivolta
direttamente ai consociati ma al Legislatore, il quale è chiamato ad adottare
strumenti di tipo economico, ma anche sociale, che favoriscano la formazione
della famiglia.
L’art. 31 Cost. è, infatti, la norma che, da un lato conferisce alla legge ordinaria il
potere di disciplinare la materia familiare, mentre dall’altro ne delinea con
estrema chiarezza i limiti. Pertanto, saranno ritenuti ammissibili tutti gli
strumenti che favoriscano l’istituto del matrimonio, mentre, per contro, saranno
vietati tutti gli interventi che possano essere finalizzati a “coartare” la volontà
del soggetto di contrarre matrimonio (in questa precisa ottica si dirige, ad
esempio, il divieto di cui all’art. 636 c.c. in tema di disposizione testamentaria
condizionale, come tra l’altro estensivamente interpretato dalla giurisprudenza
di legittimità).
L’ubi consistam del principio di autodeterminazione, quale principio fondante
ma anche limite della legislazione in materia di famiglia, è racchiuso nel verbo
“agevola”. Lo stesso, infatti, rende perfettamente l’idea di come l’intervento del
legislatore debba sempre essere esterno e come non debba mai andare a colpire
il merito della scelta di contrarre o meno matrimonio, scelta che deve sempre
rimanere totalmente libera e neanche indirettamente indotta.
Ecco, allora, che l’unico istituto giuridico afferente ai rapporti tra le persone,
espressamente disciplinato dal legislatore era il matrimonio.
Sul predetto, infatti, si fonda la famiglia definita “società naturale”, con enfasi
giusnaturalistica, dall’art. 29 della nostra Costituzione. Famiglia e matrimonio,
dunque, sono due aspetti della medesima entità: la prima è l’accezione
naturalistico-sociale del fenomeno, la seconda ne è l’accezione giuridica.
Così come delineato dal legislatore del 1942, il matrimonio civilistico era istituto
di chiara ispirazione canonica, come dimostra la riserva di giurisdizione a favore
dei Tribunali Ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio concordatario
(anche sul piano civile) che ha resistito fino alla modifica del Concordato tra
Stato e Chiesa Cattolica avutasi con la stipula del c.d. Accordo di Villa Madama
del 1984. Ma, ancora di più, come dimostrava la presenza nel codice penale del
delitto di cui all’art. 559, rubricato “Adulterio”, a mente del quale “la moglie
adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il
correo dell’adultera (…)”. Tale norma è stata dichiarata incostituzionale dal
Giudice delle leggi in due successive pronunce rispettivamente del 1968 e del
1969.
A completamento del quadro è necessario soffermarsi sul fatto che il
matrimonio era stato originariamente disegnato dal legislatore come un negozio
indissolubile che poteva trovare scioglimento solamente in caso di morte di uno
dei coniugi.
L’art. 149 c.c. disponeva che: “Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei
coniugi”. A fronte di una patologia nel negozio matrimoniale, quindi, i rimedi
ammessi erano solo quelli che intervenivano sulla patologia genetica (nullità ed
annullabilità, peraltro figure non così ben distinte come nel contratto) ma non
quelli tipici, quali risoluzione, recesso e rescissione, attinenti alla fase patologica
del rapporto, salvo l’ipotesi della morte di uno dei coniugi.
Dunque, al tempo, l’unico rimedio esperibile da parte dei coniugi, nel caso di una
crisi del rapporto matrimoniale, era costituito dalla separazione personale di cui
agli artt. 150 e ss. del c.c..
La stessa, però, rappresentava solo una soluzione temporanea, che, impiegando
una metafora bellica, poteva essere qualificata come una sorta di “tregua” dalla
battaglia. Tregua che avrebbe potuto durare anche tutta la vita, ma che non
avrebbe comunque mai concesso quello spazio di libertà rappresentato dalla
possibilità per il coniuge separato di contrarre un nuovo matrimonio. La
separazione personale, infatti, ora come allora, non è idonea a sciogliere il
vincolo matrimoniale, che permane, ma incide sugli effetti da esso prodotti.
Infatti, gli obblighi assunti dai coniugi con il matrimonio, elencati dagli artt. 143
e 147 c.c. (obbligo di fedeltà, dovere di assistenza morale e materiale, dovere di
collaborazione nell’interesse della famiglia, dovere coabitazione, dovere di
mantenimento, di istruzione ed educazione della prole), assumevano ed
assumono una differente conformazione nel corso della separazione tra coniugi.
Cessa, infatti, il dovere di coabitazione e si attenuano quelli di fedeltà e di
assistenza morale e materiale. Per contro, permangono gli obblighi di
collaborazione nell’interesse della famiglia e di mantenimento, istruzione ed
educazione della prole.
Nessun presidio giuridico era apprestato, quindi, alle situazioni di crisi della
coppia di coniugi tali da rendere necessaria la cancellazione dal mondo giuridico
del rapporto matrimoniale.
A seguito però di un accesissimo dibattito in seno alla società civile e alle forze
politiche dell’epoca, si giunse all’emanazione della legge 898 del 1 dicembre
1970, che ha introdotto l’istituto dello scioglimento del matrimonio, e la
correlativa cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario,
comunemente detto “divorzio”, che ha eliminato la caratteristica della tipicità
dello scioglimento del matrimonio, ma non quella della tassatività.
Ll’art. 149 c.c., come novellato dalla l. n. 151/1975 dispone che : “Il matrimonio si
scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge”. E gli
altri casi previsti dalla legge sono proprio quelli tassativamente elencati dal
succitato art. 3 l. 898/1970. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale, come
noto, è stato reso ammissibile quando:
dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato,
con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza;
l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da delitti di natura
sessuale e dal delitto di omicidio o tentato omicidio a danno del coniuge o
del figlio;
a seguito di sentenza passata in giudicato che pronuncia la separazione
giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione
consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto e la separazione
deve essersi protratta ininterrottamente per almeno tre anni;
è intervenuta sentenza di non doversi procedere per prescrizione di uno
dei reati di natura sessuale o di omicidio o tentato omicidio del coniuge o
del figlio;
il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di
proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per
mancanza di pubblico scandalo;
l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o
lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo
matrimonio;
il matrimonio non è stato consumato;
è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a
norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.
Ma il motivo che qui rileva è quello relativo alla separazione: è qui che si
instaura l’atipicità delle cause di scioglimento. Ed invero, l’art. 150 c.c. stabilisce
che è ammessa la separazione personale dei coniugi e che questa può essere
consensuale ovvero giudiziale.
La separazione consensuale si configura come un negozio giuridico nel quale i
coniugi esprimono la congiunta volontà di modificare il loro rapporto
matrimoniale. L’accordo deve, però, riguardare anche altri aspetti, come le
modalità della separazione, l’affidamento dei figli e la misura dell’assegno di
mantenimento. In questo caso, quindi, il legislatore non richiede dei presupposti
fattuali alla presenza dei quali è possibile stipulare l’accordo di separazione, ma
lascia la materia all’autonomia privata.
La separazione giudiziale, invece, può essere chiesta da uno dei coniugi in
assenza del consenso dell’altro e il legislatore prevede all’art. 151 c.c. che
debbano sussistere dei requisiti fattuali perché si possa addivenire alla
modificazione del vincolo matrimoniale. La separazione giudiziale, infatti, ai
sensi dell’art. 151 c.c., “può essere chiesta quando si verificano, anche
indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave
pregiudizio alla educazione della prole”. Tali requisiti, di fatto oggettivamente
valutabili, hanno proprio la finalità di ovviare all’assenza del consenso di
entrambi i coniugi e rispondono, altresì, allo scopo di evitare che la separazione
possa dipendere dal mero arbitrio ovvero dalle mere velleità di uno dei due
coniugi.
2. Riflessioni in punto di teoria del diritto.
In punto di teoria del diritto alcune riflessioni si pongono.
Innanzitutto, è necessario l’inquadramento delle norme sulla separazione
personale nella corretta tecnica di produzione degli effetti giuridici. È noto,
infatti, come l’ordinamento giuridico proceda per schemi logici ben precisi che
ne permettono la continua modificazione, secondo il modello del sillogismo
(premessa minore, premessa maggiore, conclusione). Entrambe le species di
separazione seguono lo schema: norma – fatto – potere sull’ an –
accertamento giudiziale – effetto. E, infatti, nella separazione giudiziale è
proprio il giudice a dover verificare la sussistenza dei requisiti fattuali richiesti
dalla legge, emettendo all’esito una sentenza. Ma anche nella separazione
consensuale è necessario il decreto di omologa dell’accordo, così che l’intervento
giudiziale diviene elemento costitutivo della fattispecie e la stessa si configura
come una fattispecie a formazione progressiva.
Ricostruiti secondo schemi sillogistici, la separazione giudiziale si atteggia nel
seguente modo:
premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione
fatto fatti che rendono intollerabile
la prosecuzione della convivenza
norma art. 151 c.c.
effetto separazione personale
potere sull’an diritto potestativo di adire
l’autorità giudiziaria
accertamento giudiziale sentenza di separazione
Diversamente, la separazione consensuale opera sillogisticamente in modo più
complesso, essendo necessari due passaggi:
premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione
potere volontà di entrambi i coniugi di
separarsi consensualmente
norma art. 150.2 c.c.
Effetto negozio di separazione
premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione
fatto negozio di separazione
norma art. 150.3 c.c.
Effetto separazione personale
potere sull’an diritto potestativo di adire
l’autorità giudiziaria
accertamento giudiziale decreto di omologa
Nel primo caso la norma attribuisce esclusivamente un diritto potestativo al
singolo coniuge di adire l’autorità giudiziaria affinché verifichi la sussistenza dei
presupposti fattuali richiesti dall’art. 151 c.c. Nel secondo, al contrario, siamo in
presenza di un vero e proprio potere negoziale (l’essenza del potere privatistico,
da contrapporsi concettualmente al potere pubblicistico) che non è elemento
sufficiente a produrre l’effetto della separazione personale ma ne è necessario.
Tali approfondimenti torneranno utili quando si andrà a trattare di come opera
sul piano giuridico la riforma sulla disciplina della separazione e dello
scioglimento del matrimonio.
Altra riflessione, che si pone in punto di teoria del diritto, è la digressione su
tassatività e tipicità della disciplina sullo scioglimento del matrimonio.
Innanzitutto, è bene inquadrare e definire compiutamente questi due attributi
della norma giuridica, sui quali troppo spesso aleggiano imprecisioni e poca
chiarezza, tanto da venire spesso confuse e ritenute sinonimi.
La tassatività è concetto che ha a che fare con la produzione degli effetti
giuridici: essa individua le norme giuridiche che producono i propri effetti in un
numero di casi determinabile ex ante (quindi con una valutazione prognostica ed
in astratto). Qui il legislatore si preoccupa di elencare anche i casi in cui la norma
opera, mentre con le norme non tassative non lo fa. La tassatività, pertanto, nel
sillogismo si incardina tra la premessa maggiore e la conclusione,
rappresentandone il trait d’union.
La tipicità, al contrario, è concetto che si inserisce tutto in seno alla sola
premessa maggiore, ovvero alla norma. Essa individua una determinata tecnica
di redazione della stessa. Una norma tipica non è che una norma redatta con una
precisa modalità: tutti gli elementi descrittivi della fattispecie sono
perfettamente determinati o facilmente determinabili perché sono la
trasposizione letterale di accadimenti studiati e spiegati da determinate scienze
che spiegano quella categoria di fatti descritti nella norma e attraverso i quali è
facilmente determinabile il significato e la portata di un termine ivi contenuto. In
altre parole, la norma tipica è quella che non ricorre ad elementi c.d. elastici. È
conseguenza logica che le norme tipiche siano quelle che descrivono classi di
fatti che trovano la loro spiegazione ed il loro studio nelle scienze esatte (le c.d.
leggi di natura) ovvero nelle scienze sociali (come l’economia, la sociologia,
l’antropologia e lo stesso diritto), vale a dire tutte quelle scienze che hanno uno
statuto epistemologico forte. Al contrario, non saranno tassative le norme che
disciplinano una classe di fatti che si rifanno e vengono spiegati dalle scienze
speculative (come l’arte, la filosofia, la religione), saperi che hanno uno statuto
epistemiologico estremamente debole e che, per questo, i termini linguistici che
ne vengono tratti non hanno una delimitazione del significante molto stringente.
Un tipico esempio che si può fare è il concetto di diligenza.
I due attributi, tipicità e tassatività, sebbene spesso si accompagnino, sono
slegati tra loro: ben può esservi una norma tipica ma non tassativa (un esempio
è l’art. 144 c.c. in tema di indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia),
ma anche una norma non tassativa che però sia atipica (ne è un chiaro esempio
l’art. 2043 c.c.).
Di contro, esistono norme tassative ma atipiche, di cui l’art. 149 c.c., attraverso le
norme ivi richiamate, è un esempio calzante. L’atipicità della disciplina dei casi
di scioglimento del matrimonio è data proprio dall’art. 3 comma 1 n. 2) lett. b)
della l. n. 898/1970, laddove annovera tra le cause di scioglimento la
separazione consensuale dei coniugi per un periodo ininterrotto di almeno tre
anni. L’art. 151 c.c. sulla separazione giudiziale è, infatti, fattispecie atipica. Essa
conta al suo interno alcuni elementi c.d. “elastici”, in quanto il loro significante
non è così delineato chiaramente: i “fatti tali da rendere intollerabile la
prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della
prole” non individuano chiaramente tutta la serie di fatti ivi astrattamente
sussumibili, lasciando ampio spazio all’interprete di individuarne la reale
portata valutando caso per caso. Sono, questi, i casi in cui il legislatore crea sì
una regola ma ne lascia all’interprete la effettiva individuazione della portata
applicativa.
3. Le recenti innovazioni ad opera della legge n. 132/2014: la
convenzione di negoziazione assistita e la modificazione del rapporto
matrimoniale di fronte all’ufficiale di stato civile.
Il legislatore ha recentemente introdotto delle modifiche che vanno proprio ad
inserirsi tra i c.d. istituti della crisi coniugale: la separazione e il divorzio. Con il
decreto legge n. 132/2014, rubricato “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione
ed altri interventi per la definizione dell’arretrato”, convertito nella l. n.
162/2014, la materia risulta, pertanto, profondamente innovata. Le norme che
qui interessano sono l’art. 6 e l’art. 12.
L’art. 6, rubricato “Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per
le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o
di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di
divorzio”, statuisce che: “1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un
avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una
soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo
comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive
modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. (…) 3.
L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo
dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i
procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di
separazione o di divorzio”.
L’art. 12, rubricato “Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento
o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di
separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile”, dispone che: “1. I
coniugi possono concludere, innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato civile a
norma dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre
2000, n. 396, del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui e'
iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, con l'assistenza facoltativa di un
avvocato, un accordo di separazione personale ovvero, nei casi di cui all'articolo 3,
primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica
delle condizioni di separazione o di divorzio. (…)”.
Con una finalità ben diversa da quella di apportare una riforma organica della
materia matrimoniale (così come dimostra la rubrica della legge), questo
provvedimento legislativo introduce, quindi, due nuovi strumenti a sé stanti, che
non sostituiscono ma vanno ad affiancare le soluzioni ad oggi vigenti.
Oggi, pertanto, gli strumenti di risoluzione della crisi matrimoniale risultano i
seguenti:
separazione giudiziale
separazione consensuale omologata dal Tribunale
separazione consensuale assistita dall’avvocato
separazione consensuale innanzi l’ufficiale di stato civile
scioglimento del matrimonio innanzi il Tribunale (e speculare cessazione
degli effetti civili del matrimonio concordatario)
scioglimento del matrimonio assistito dall’avvocato
scioglimento del matrimonio innanzi l’ufficiale di stato civile
4. Nuove riflessioni in punto di teoria del diritto alla luce delle novità
normative.
Tralasciando l’aspetto delle modifiche alle condizioni della separazione
personale e quelle di scioglimento del matrimonio ovvero di cessazione degli
effetti civili dello stesso, ma soffermandoci unicamente sulla separazione e sul
“divorzio”, l’anzidetto novum legislativo impone delle ulteriori riflessioni in tema
di modalità di produzione degli effetti giuridici. Il quadro che si è venuto a creare
non apporta solo positivi risvolti pratici sulla vita dei consociati, ma richiede una
complessiva rilettura della materia. È innegabile, infatti, che lo studio
dell’operatività delle norme sul piano giuridico non sia uno sterile esercizio di
stile ma riveli le reali intenzioni del legislatore e, di conseguenza, apra uno
squarcio sul mutato quadro politico-sociale relativo alla materia dei rapporti di
natura strettamente personale.
L’angolo di visuale dal quale bisogna guardare è quello degli interessi coinvolti:
il soddisfacimento di un determinato interesse è per la norma giuridica
l’elemento teleologico, il fine verso il quale essa tende. Ed è, di conseguenza,
l’elemento razionalizzante, quello che orienta i destinatari della stessa. Quando il
legislatore disciplina una determinata fattispecie, molti sono gli interessi che
sono astrattamente coinvolti e spesso tra loro contrastanti, nel senso che il
soddisfacimento di uno comporta il mancato soddisfacimento dell’altro. Qui il
legislatore compie la sua attività (di natura puramente politica) di bilanciare i
vari interessi coinvolti e di decidere a quale dare rilevanza giuridica,
finalizzandovi quindi la norma.
Nell’ordinamento privatistico il legislatore ricorre allo schema di produzione di
effetti giuridici norma – fatto – potere sull’ an – accertamento giudiziale – effetto
quando sussistono due situazioni: nella fattispecie sono presenti interessi di
natura pubblicistica (i c.d. “interessi generali” secondo la dottrina pubblicistica
più moderna) ovvero vi sono interessi che fanno capo ad altri soggetti
dell’ordinamento diversi dal titolare della posizione giuridica soggettiva di
riferimento. Tipico esempio del primo caso è l’art. 833 c.c. così come
interpretato e reso vivo dalla dottrina e giurisprudenza, per il quale l’interesse
che rileva non è tanto quello del non ricevere molestia a causa di atti emulativi
del proprietario, quanto quello dell’intero ordinamento giuridico che non si
abusi del proprio diritto. Esempio, invece, del secondo tipo è la responsabilità
genitoriale, posizione giuridica soggettiva attiva in capo al genitore che
coinvolge, però, l’interesse del minore.
Ebbene, sia nella separazione che nello scioglimento del matrimonio, la
disciplina dettata dal legislatore del 1942 prima e del 1970 poi, era tale per cui
gli interessi, che venivano in rilievo, non erano esclusivamente quelli dei coniugi
a separarsi o divorziare, ma vi era un ulteriore e preminente interesse
pubblicistico di controllo su tutte quelle situazioni che portavano allo
sgretolamento del vincolo matrimoniale. Tutto ciò era spiegabile grazie al ruolo
che la famiglia fondata sul matrimonio ha da sempre svolto nella nostra società,
ossia quella di un forte collante sociale, sul quale si fonda il nucleo essenziale
della società e conseguentemente lo Stato, inteso nella sua accezione di Stato –
Comunità, così come si evince dall’art. 29 Cost.
La famiglia, quindi, vista in un’ottica fortemente pubblicistica, dove il controllo
giudiziale sugli avvenimenti che ivi accadevano era forte e pregnante.
Questo approccio culturale prima ancora che giuridico ha visto un progressivo
sgretolamento nell’ultimo periodo storico che ha preso le sue mosse a partire
dagli anni ’60 dello scorso secolo con le manifestazioni sessantottine e
femministe e che è approdato alla c.d. “società liquida” di Baumaniana memoria,
della velocizzazione di tutto. E l’idea che un rapporto di natura strettamente
personale, quale è il matrimonio, sia appannaggio dello Stato – Apparato e del
suo controllo non è più accettata.
Ecco, quindi, inserirsi due nuovi strumenti giuridici, la cui tecnica di produzione
degli effetti non segue più lo schema: norma – fatto – potere sull’ an –
accertamento giudiziale – effetto.
Stante il diverso modo di produzione degli effetti giuridici dei nuovi strumenti si
rende necessario un loro approfondimento.
La convenzione di negoziazione assistita dall’avvocato, di cui all’art. 6 della l.
162/2014, è fattispecie che permette al potere negoziale delle parti di produrre
autonomamente l’effetto della separazione o dello scioglimento del matrimonio.
L’intervento obbligatorio dell’avvocato, quale mero “ausiliario” del coniuge
appunto, ha lo scopo di tutelare al meglio le ragioni del coniuge suo assistito,
spiegare le conseguenze giuridiche della propria scelta, tutelarne la libertà del
consenso. Come si può facilmente notare, la portata della norma è dirompente,
perché, così formulata, sottrae completamente la materia al controllo giudiziale.
A questo punto, meritano però un approfondimento ed una diversa trattazione
le due diverse versioni dell’art. 6: la prima contenuta nel decreto legge
132/2014 e quella successivamente adottata nella legge di conversione n.
162/2014.
La formulazione originaria dell’art. 6 sanciva che: “1. La convenzione di
negoziazione assistita da un avvocato può essere conclusa tra coniugi al fine di
raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione
degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui
all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970,
n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di
divorzio. 2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza
di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero
economicamente non autosufficienti. 3. L'accordo raggiunto a seguito della
convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che
definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di
cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di
modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L'avvocato della parte e'
obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato
civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata
dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5”.
L’assetto che questa disposizione dava alla materia della separazione, della
modificazione delle condizioni e dello scioglimento del matrimonio
rappresentava veramente un cambio di passo nel sistema del diritto di famiglia:
la produzione dell’effetto giuridico era totalmente e completamente sganciata
dall’accertamento giudiziale e dal controllo esercitato dal PM, venendo così a
cadere quel controllo di tipo pubblicistico che è sempre stato espressione della
visione della crisi coniugale non come un mero affare privato tra soggetti, ma
come un accadimento che interessa l’intera società, che deve comunque
esercitare il proprio controllo sulla scelta di due persone di modificare il proprio
status matrimoniale. Qui erano solo i coniugi a valutare la sussistenza dei “fatti
tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza” e a manifestare la
propria volontà di produrre l’effetto della separazione (ovvero della
modificazione ovvero dello scioglimento) senza che vi fosse un soggetto terzo
rispetto al vincolo matrimoniale a valutarne la sussistenza. Anche l’avvocato,
infatti, nonostante fosse un soggetto terzo che doveva obbligatoriamente
intervenire in fase di stipula del negozio, a pena dell’invalidità dello stesso, non
aveva alcun potere di controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti
dall’art. 151 c.c. ai fini della separazione prima e del divorzio poi. Il legale, infatti,
doveva esclusivamente assistere il coniuge affinché questi manifestasse il
proprio consenso nella più totale libertà ed alle condizioni per sé migliori.
In punto di tecnica di produzione degli effetti giuridici, la norma si atteggiava nel
seguente modo: norma – potere – effetto più norma – fatto – effetto, dove il
fatto nel secondo momento è proprio la convenzione di negoziazione assistita.
Ricostruito in uno schema sillogistico risulta così:
premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione
potere volontà di entrambi i coniugi di separarsi consensualmente
o volontà di entrambi i coniugi di
modificare le condizioni matrimoniali
o volontà di entrambi i coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale
Norma art. 6.1 d.l. 132/2014
effetto convenzione di negoziazione
assistita dall’avvocato
premessa minore PREMESSA MAGGIORE conclusione
fatto convenzione di negoziazione assistita
Norma art. 6.3 d.l. 132/2014
effetto negozio di separazione o di
modifica o di scioglimento del matrimonio
Il comma 3, infatti, che è norma sugli effetti, equiparava sul piano giuridico il
negozio, di cui al comma 1, al provvedimento giudiziale che definisce i
procedimenti in materia matrimoniale.
Naturalmente, il comma 2 faceva salvi i casi di presenza di figli minori,
maggiorenni incapaci o portatori di handicap, per i quali si sarebbe comunque
dovuto applicare la disciplina ordinaria precedente alla riforma.
L’assetto cambia completamente con la conversione del decreto legge in legge.
La nuova e vigente formulazione dell’art. 6 dispone che “1. La convenzione di
negoziazione assistita (da almeno un avvocato per parte) può essere conclusa
tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione
personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del
matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b),
della legge (1º dicembre) 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica
delle condizioni di separazione o di divorzio. (2. In mancanza di figli minori, di
figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi
dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero
economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di
convenzione di negoziazione assistita e' trasmesso al procuratore della
Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa
irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai
sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci
o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti,
l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve
essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della
Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che
l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che
l'accordo non risponde all'interesse dei figli, il procuratore della Repubblica
lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro
i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza
ritardo. All'accordo autorizzato si applica il comma 3). 3. L'accordo raggiunto
a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti
giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione
personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del
matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
(Nell'accordo si da' atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti
e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e
che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di
trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori). L'avvocato della parte
è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato
civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata
dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5”.
L’inserimento del nuovo comma 2 cambia tutto e stravolge completamente
l’impianto giuridico della precedente formulazione. Secondo la nuova
formulazione non è sufficiente che i coniugi addivengano ad una convenzione di
negoziazione assistita da un avvocato (che deve essere ora obbligatoriamente
uno per parte, mentre prima ne era sufficiente uno per entrambi, con esultanza
della categoria) ma è necessario un ulteriore passaggio. La legge pone a carico
degli avvocati l’obbligo di trasmettere entro 10 giorni l’accordo, stipulato con
l’assistenza degli avvocati, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
territorialmente competente, il quale deve comunicare agli avvocati il proprio
nullaosta “quando non ravvisa irregolarità”.
La dicitura è chiaramente generica e non è in grado di definire chiaramente
quale tipo di controllo debba svolgere il procuratore: si tratta di un mero
controllo di legittimità formale del negozio e della sua non contrarietà a norme
imperative, ordine pubblico o buon costume, ovvero di un controllo che si
addentra nel merito, i.e. alla sussistenza o meno dei “fatti tali da rendere
intollerabile la prosecuzione della convivenza”? Il termine irregolarità utilizzato
nella disposizione fa certamente propendere per la prima interpretazione, ma
non è escluso che nella prassi applicativa ne verrà data la seconda lettura. È
comunque innegabile che, letta nel secondo modo, la norma non innova
assolutamente nulla sul piano del diritto sostanziale rispetto alla disciplina
finora in vigore. Si tratterà tutt’al più, di uno snellimento procedurale perché i
coniugi non saranno obbligati a presentarsi in Tribunale e subire un
procedimento di volontaria giurisdizione ma sarà sufficiente un nullaosta da
parte della Procura.
Infine, la nuova formulazione pone a carico dell’avvocato un ulteriore obbligo.
Questi deve, congiuntamente al collega che assiste l’altro coniuge, tentare la
conciliazione tra le parti che, prima della novella legislativa, era riservata
dall’art. 708 c.p.c. esclusivamente al presidente del Tribunale, nonché informarle
della possibilità di esperire la mediazione familiare.
I predetti oneri posti a carico dei legali denotano il persistente atteggiamento di
sfavore del legislatore nei confronti dello scioglimento del vincolo matrimoniale.
Si scopre, quindi, che nel nuovo testo di legge, fin qui esposto, la tecnica di
produzione degli effetti giuridici cambia e assume sembianze particolarmente
complesse: norma – potere – effetto prima e norma – fatto – potere sull’ an –
accertamento giudiziale – effetto poi, dove nel secondo momento alle parti è
attribuito il solo diritto potestativo di adire il Procuratore della Repubblica
presso il competente Tribunale affinché, dopo il suo controllo, rilasci il nullaosta
necessario. A seguito del nullaosta, l’avvocato ha l’obbligo di trasmettere copia
autenticata dell’accordo all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il
matrimonio fu iscritto o trascritto entro entro il termine di dieci giorni. La
violazione di tale obbligo è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria
da euro 2.000 ad euro 10.000, così come stabilisce l’art. 6 comma 4 della legge.
Trattasi, quindi, di fattispecie a formazione progressiva, dove il c.d. nullaosta del
Procuratore della Repubblica è elemento costitutivo della fattispecie, in assenza
del quale non si può produrre l’effetto di separazione o scioglimento. Trasfusa in
schema sillogistico, la norma si atteggia quindi nel seguente modo:
premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione
Potere volontà di entrambi i coniugi di separarsi consensualmente
o volontà di modificare le condizioni del matrimonio
o
norma art. 6.1 d.l. 132/2014 come
conv. in l. 162/2014
Effetto negozio di separazione o di
scioglimento del matrimonio
volontà di entrambi i coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale
premessa minore PREMESSA MAGGIORE Conclusione
Fatto negozio di separazione o
scioglimento del matrimonio potere sull’an
esercizio del diritto potestativo di adire il procuratore della Repubblica
accertamento giudiziale nullaosta del procuratore della Repubblica
norma art. 6.2 e 6.3 d.l. 132/2014 come conv. in l. 162/2014
Effetto separazione personale
o scioglimento del matrimonio
Lo schema così come rappresentato chiarisce perfettamente come ci sia stato un
passo indietro da parte del legislatore in sede di conversione: il Governo, infatti,
ha voluto sottrarre la materia matrimoniale al controllo da parte del giudice,
cosa che abbiamo detto è possibile fare solo laddove in una determinata
fattispecie non si voglia dare rilevanza giuridica ad interessi pubblicistici. È
evidente, dunque, come il Governo abbia ritenuto che nelle vicende di
separazione ovvero scioglimento o modifica del matrimonio non sussistano più
interessi di natura pubblicistica. Al contrario, il Parlamento, nel suo potere
sovrano di modificare i decreti legge in sede di conversione, ha valutato che tali
interessi di stampo pubblicistico non potessero essere sottratti dal mondo del
giuridicamente rilevante e, quindi, ha compiuto un passo indietro tornando alle
origini. Il risultato è uno strumento “ibrido”, che sul piano del diritto sostanziale
opera in modo identico alla disciplina originaria della separazione e
scioglimento del matrimonio, ma che presenta una semplificazione sul piano
procedurale, sostituendo la sentenza del giudice con un nullaosta del
Procuratore della Repubblica. In questo modo viene soddisfatta la ratio di
alleggerire il carico dei tribunali, non certo quella di innovare la materia
matrimoniale.
Lo stesso comma 3, poi, prevede una disciplina lievemente diversificata per i
casi in cui siano presenti figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di
handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti.
Negli anzidetti casi, l’accordo tra i coniugi deve sempre essere trasmesso entro
dieci giorni dalla sua conclusione al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale competente, il quale dovrà autorizzarlo. Il parametro sul quale dovrà
autorizzare o meno l’accordo è in tali casi espressamente individuato dal
legislatore proprio nell’interesse dei figli.
Il Pubblico Ministero, qualora rilevi che l’accordo sia lesivo dell’interesse dei
figli, dovrà trasmetterlo al Presidente del Tribunale competente entro cinque
giorni, il quale dovrà fissare entro i successivi trenta giorni la comparizione delle
parti e provvedere senza ritardo. Da tale momento, quindi, si aprirà un ordinario
procedimento di volontaria giurisdizione disciplinato dagli artt. 706 e ss. c.p.c.
Queste fattispecie, dunque, seguono anch’esse il doppio schema di cui sopra
norma – potere – effetto e norma – fatto – potere sull’ an – accertamento
giudiziale (che nei casi da ultimi esaminati può essere addirittura doppio, del
Procuratore prima e del Presidente del Tribunale poi) – effetto, cui si rimanda.
La logica spiegazione sta naturalmente nel fatto che in questo caso vengono
coinvolti interessi di soggetti terzi di cui si richiede la necessaria ponderazione e
a fronte dei quali l’interesse dei coniugi a separarsi, a modificare o a sciogliere il
proprio vincolo matrimoniale necessariamente cede.
La separazione o scioglimento del matrimonio dinnanzi l’ufficiale di stato
civile è fattispecie di sicuro interesse e, certamente, quella più innovativa
nell’impianto delineato de iure condito. L’art. 12, lo ripetiamo, dispone che: “1. I
coniugi possono concludere (innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato
civile a norma dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 3
novembre 2000, n. 396,) del comune di residenza di uno di loro o del comune
presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, (con l'assistenza
facoltativa di un avvocato) un accordo di separazione personale ovvero, nei casi
di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge (1º
dicembre) 1970, n. 898, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. 2. Le
disposizioni di cui al presente articolo non si applicano in presenza di figli minori,
di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ai sensi dell'articolo
3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104,) ovvero economicamente non
autosufficienti. 3. L'ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti
personalmente (,con l'assistenza facoltativa di un avvocato,) la dichiarazione
che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o
ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. Allo stesso
modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
L'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. L'atto
contenente l'accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il
ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente comma. L'accordo tiene luogo dei
provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti
di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di
scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di
divorzio. (Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli
effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo
condizioni concordate, l'ufficiale dello stato civile, quando riceve le
dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di
trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell'accordo anche ai fini degli
adempimenti di cui al comma 5. La mancata comparizione equivale a
mancata conferma dell'accordo).
Sul piano della tecnica di produzione degli effetti giuridici la norma segue lo
schema norma – potere – effetto ed è proprio questo dato a dare conto della
vera portata innovativa di questa disposizione. Al contrario della precedente,
infatti, la separazione (o modifica o scioglimento del matrimonio) viene
interamente sottratta ad un controllo di tipo pubblicistico nel merito delle
ragioni che portano i coniugi a manifestare la loro volontà. Si potrà obiettare che
il controllo di tipo pubblicistico permane sempre, perché l’ufficiale di stato civile
è figura posta a presidio degli interessi di tipo pubblicistico coinvolti nella
fattispecie. Ma se sussistono dei dubbi sulla pervasività del controllo in capo al
Procuratore, non ve ne sono sui poteri dell’ufficiale di stato civile, il quale non
potrà certamente mai valutare se sussistono o meno le condizioni richieste dalla
legge (i famosi fatti che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza)
ma, tutt’al più, potrà esercitare un controllo formale e potrà rifiutarsi di ricevere
l’accordo dei coniugi qualora ravvisi motivi di invalidità dello stesso (ad esempio
questo contiene accordi patrimoniali, espressamente vietati dal comma 3).
Naturalmente, tutto ciò vale per i casi in cui non vi siano figli minori, figli
maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non
autosufficienti (art. 12, comma 2, d. l. n. 132/2014 conv. l. n. 162/2014), perché
in tal caso si rientra nella seconda categoria di cui sopra, quella in cui il
legislatore prende in considerazione gli interessi di soggetti diversi dai titolari
della posizione giuridica soggettiva (ovvero i coniugi) e per i quali, pertanto, si
renderà obbligatorio il controllo giudiziale affinché tali interessi vengano
tutelati e garantiti.
5. Brevi riflessioni conclusive
La ricostruzione dello stato dell’arte permette di addivenire ad una serie di
considerazioni di tipo socio-politico.
È innegabile, infatti, che gli interventi summenzionati traggono il loro
fondamento da un mutato clima della società nel considerare il fenomeno del
rapporto matrimoniale. Al minore allarme sociale, al minor clamore che
suscitano i fenomeni di sgretolamento del matrimonio fa da contraltare
l’innegabile esigenza del legislatore di creare strumenti più snelli, veloci, meno
onerosi economicamente. Oggi lo scioglimento del matrimonio (cui anche la
separazione è ormai preordinata) è visto non più come una patologia ma come la
fisiologia dei rapporti matrimoniali. Semplicemente, si accetta l’idea che il
vincolo matrimoniale non debba necessariamente durare per tutta la vita e al
legislatore non resta che prenderne atto. Il legislatore, quindi, benché li abbia
inseriti in un provvedimento che ha la chiara finalità di velocizzare e snellire la
macchina giudiziaria, in realtà ha ben presente anche questo mutato quadro
della società: la prova è data dalla disciplina dettata col decreto legge dal
Governo, organo che più e meglio del Parlamento è in grado di recepire e
tradurre in linee politiche le istanze che promanano dalla società ed adattare in
tempi più celeri il diritto alla realtà storica. E, benché in sede di conversione il
Parlamento abbia fatto un passo indietro, c’è da ipotizzare de iure condendo che
la materia sarà oggetto di attenzione e di probabile rivisitazione anche nel
prossimo futuro. Prova ne sia l’ulteriore e ravvicinato intervento da parte del
legislatore con la legge 6 maggio 2015 n. 55, rubricata “Disposizioni in materia di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di
comunione tra i coniugi”, con la quale vengono notevolmente accorciati i tempi
necessari per addivenire alla pronuncia di scioglimento del matrimonio a
seguito di separazione personale. Ed invero, per la separazione giudiziale sono
necessari dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al
presidente del tribunale al posto dei precedenti tre anni; mentre per la
separazione consensuale sono richiesti solamente sei mesi. L’accorciamento dei
tempi per sciogliere il vincolo matrimoniale era da tempo fortemente auspicato,
segno che anche in questo caso la legge non era più in linea con le esigenze della
società civile. Il combinato disposto dei due innesti normativi di cui si è dato
conto permetterà, pertanto, di snellire notevolmente il procedimento di
scioglimento del vincolo matrimoniale, grazie a procedure semplificate e a tempi
più ragionevoli.
Le resistenze in ordine alla completa degiurisdizionalizzazione dello
scioglimento del matrimonio che sono state manifestate dal Parlamento, in
particolare da una sua ala più conservatrice, sono sia di natura ideologica, che
politica, dato che lo Stato attraverso il processo opera un controllo e, quindi, un
potere sul rapporto matrimoniale.
Al contempo, però, non si può non evidenziare come le predette ragioni siano
destinate a sciogliersi progressivamente ma inesorabilmente come neve al sole
di fronte alla realtà, unico vero elemento con cui neppure il legislatore si può
scontrare.
D’altronde, come diceva qualcuno, non si può fermare il vento con le mani.
Giulia Poi