«L’antropologia fisica». ». In: Sandro Petruccioli (editor), Storia della scienza, vol. VII,...

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I:HULULd/\ Questi sistemi animali del Romanticismo così armonica- mente costruiti erano considerati del tutto 'artificiali' dagli empirici che li respinsero. Essi avevano però introdotto in tas- sonomia l'idea di 'evoluzione', divenuta poi utilizzabile sol- tanto con la teoria evoluzionista esposta da Darwin in On the origin ofspecies (1859). Molti wologi empirici confrontavano, seguendo l'indiriz- w cuvieriano, forme animali recenti e fossili senza accettare ipotesi di trasmutazione. Tra costoro spiccava Heinrich Georg Bronn (1800-1862), ordinario di wologia e storia naturale a Heidelberg, premiato nel 1850 dall'Académie des Sciences di Parigi; il tema del concorso evidenzia bene le questioni al- lora dibattute in wologia: «Ricercare la natura dei rapporti esistenti tra lo stadio attuale del regno organico e i suoi sta- di anteriori». Una particolare importanza assunse il progetto inaugurato da Bronn di rappresentare scientificamente, per immagini e parole, le classi e gli ordini del regno animale: è questo il titolo dei tre volumi Die Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs, wissemchaftlich dargestellt in Wort und Bi/d (Clas- si e ordini del regno animale, rappresentati scientificamente per parole e immagini, 1859-1862); Bronn, inoltre, fu il pri- mo a tradurre, nel 1860, On the origin ofspecies di Darwin. L'influsso del darwinismo su ll a sistematica animale Prima di pubblicare il suo capolavoro, Darwin si era impe- gnato nella tassonomia zoologica. Nella Zoology ofthe voyage of H.M.S. 'Beagle' (1839-1843) la descrizione dei vertebrati fu affidata agli specialisti londinesi Owen, G.R. Waterhouse, John Gould, Thomas Beli e Leonard Jenyns, mentre quella degli invertebrati spettò a Darwin; proprio questo lavoro lo Morfologia e sistematica CAPITOLO LXVI L'ANTROPOLOGIA FISICA SoMMARIO : l. La storia naturale dell'uomo: monogenesi ver- sus poligenesi (1800-1850). 2. La svolta razzista degli anni Cinquanta. 3. Gli anni Sessanta: tra antichità dell'uomo e antropometr i a. 4. L'istituzionalizzazione dell'antropologia fi- sica. (R. G. Mazzolini) ' E difficile concepire una dissonanza maggiore tra quan- to affermò il farmacista e naturalista]ulien-Joseph Vi- rey (1775-1846) nella sua Histoire nature/le du genre humain -«A me pare che non si possa concludere a favore dell'uni- tà della specie del genere umano sulla base della fecondità re- ciproca delle diverse razze» (Virey 1800, I, p. 412) -e la de- dica di tale opera alla memoria di Georges-Louis Ledere de Buffon (1707-1788), il grande naturalista che, assieme a Lin- neo (Cari von Linné), aveva incluso l' uomo tra gli oggetti di studio della storia naturale e aveva elevato l'interfecondità tra gli individui a fondamento della nozione di specie. Se- condo Buffon, infatti, l'unicità della specie umana era fuori questione, ma riteneva che andasse spiegato perché vi fosse portò a maturare importanti conoscenze riguardanti l'evo- luzione delle specie. La teoria dell'evoluzione aprì nella sistematica animale nuo- ve possibilità di interpretazione del sistema 'naturale', che or- mai poteva essere definito secondo una linea genealogica, non soltanto, quindi, in base alla somiglianza morfologica. Sul- la scorta delle ricerche tassonomiche effettuate sino ad allo- ra, molti sistematici, come per esempio Thomas H. Huxley (1825-1895), che lavorava sugli animali marini invertebrati, erano intimamente convinti del fatto che l'evoluzione fosse una spiegazione plausibile per le affinità morfologiche nei 'gruppi naturali'. Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919) tentò invece di rein- terpretare i sistemi esistenti come 'alberi genealogici'. I suoi primi abbozzi in tal senso mostravano il sistema animale di Cuvier, i cui rami venivano ora interpretati come 'tronchi' . Haeckel era principalmente un sistematico, che come prima opera zoologica presentò una nuova classificazione dei 'ra- diolari' (1862) facendo riferimento alla teoria evolutiva di Darwin. Questo lavoro gli procurò, su proposta di Cari Ge- genbaur (1826-1903), la prima cattedra di zoologia a Jena; nell'opera Genere/le MorphoLogie der Organismen (Morfologia generale degli organismi, 1866), Haeckel elaborò i metodi per future ricerche tassonomiche, applicandoli in seguito nel- le monografie dedicate alle calcisponge (1874) e alle medu- se (1879-1880). La comune attività didattica di Gegenbaur e Haeckel a Jena pose le basi di una influente scuola scientifica di zoo- logia, i cui effetti si fecero sentire ben oltre la Germania e il XIX secolo. ILSE}AHN tanta variabilità interindividuale nel colore della pelle, nella statura, nella forma e colore dei capelli, nella forma delle lab- bra, del naso, del viso e degli occhi. Poiché tutti i membri della specie umana discendevano da un unico ceppo, egli era convinto che le cause dell a loro differenziazione andassero individuate nella migrazione di popolazioni nei più disparati luoghi della Terra ove esse erano state soggette nel corso del tempo alla lenta, ma costante azione di climi, ambienti e ali- mentazioni diversi. Egli non rese assolute le differenze fisi- che osservate, ma le descrisse come una successione di sfu- mature che passavano, quasi impercettibilmente, da indivi- duo a individuo, da popolazione a popo lazione. Virey, di contro, tenne a sottolineare che «nel genere umano esistono differenze radicali, costanti, indelebili» (ibidem, p. 417). La concezione dell'unità della specie umana e della sua origine da un unico ceppo (monogenesi) venne percepita da Virey e da altri studiosi dell'Ottocento come un discutibile o infon- dato retaggio religioso cui andava contrapposta l'idea che le razze umane erano talmente diverse tra loro da legittimare l'ipotesi che esse potessero essere addirittura considerate spe- cie diverse con una origine differente (poligenesi). La storia dell'antropologia fisica del primo Ottocento, al- lora generalmente chiamata 'storia naturale dell'uomo', è la storia della sua costituzione come disciplina relativamente au- tonoma fondata sull'osservazione dei caratteri fisici delle po- polazioni della Terra e, successivamente, su un loro confron- to, teso a dimostrare l'esistenza di razze diverse, spesso indi- viduate e classificate secondo schemi gerarchici in cui la

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Questi sistemi animali del Romanticismo così armonica­mente costruiti erano considerati del tutto 'artificiali' dagli empirici che li respinsero. Essi avevano però introdotto in tas­sonomia l'idea di 'evoluzione', divenuta poi utilizzabile sol­tanto con la teoria evoluzionista esposta da Darwin in On the origin ofspecies (1859).

Molti wologi empirici confrontavano, seguendo l'indiriz­w cuvieriano, forme animali recenti e fossili senza accettare ipotesi di trasmutazione. Tra costoro spiccava Heinrich Georg Bronn (1800-1862), ordinario di wologia e storia naturale a Heidelberg, premiato nel 1850 dall'Académie des Sciences di Parigi; il tema del concorso evidenzia bene le questioni al­lora dibattute in wologia: «Ricercare la natura dei rapporti esistenti tra lo stadio attuale del regno organico e i suoi sta­di anteriori». Una particolare importanza assunse il progetto inaugurato da Bronn di rappresentare scientificamente, per immagini e parole, le classi e gli ordini del regno animale: è questo il titolo dei tre volumi Die Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs, wissemchaftlich dargestellt in Wort und Bi/d (Clas­si e ordini del regno animale, rappresentati scientificamente per parole e immagini, 1859-1862); Bronn, inoltre, fu il pri­mo a tradurre, nel 1860, On the origin ofspecies di Darwin.

L'influsso del darwinismo sulla sistematica animale

Prima di pubblicare il suo capolavoro, Darwin si era impe­gnato nella tassonomia zoologica. Nella Zoology ofthe voyage of H.M.S. 'Beagle' (1839-1843) la descrizione dei vertebrati fu affidata agli specialisti londinesi Owen, G.R. Waterhouse, John Gould, Thomas Beli e Leonard Jenyns, mentre quella degli invertebrati spettò a Darwin; proprio questo lavoro lo

Morfologia e sistematica

CAPITOLO LXVI

L'ANTROPOLOGIA FISICA

SoMMARIO: l. La storia naturale dell'uomo: monogenesi ver­sus poligenesi (1800-1850). 2. La svolta razzista degli anni Cinquanta. 3. Gli anni Sessanta: tra antichità dell'uomo e antropometria. 4. L'istituzionalizzazione dell'antropologia fi­sica. (R. G. Mazzolini)

' E difficile concepire una dissonanza maggiore tra quan-to affermò il farmacista e naturalista]ulien-Joseph Vi­

rey (1775-1846) nella sua Histoire nature/le du genre humain -«A me pare che non si possa concludere a favore dell 'uni­tà della specie del genere umano sulla base della fecondità re­ciproca delle diverse razze» (Virey 1800, I, p. 412) -e la de­dica di tale opera alla memoria di Georges-Louis Ledere de Buffon (1707-1788), il grande naturalista che, assieme a Lin­neo (Cari von Linné), aveva incluso l'uomo tra gli oggetti di studio della storia naturale e aveva elevato l'interfecondità tra gli individui a fondamento della nozione di specie. Se­condo Buffon, infatti, l'unicità della specie umana era fuori questione, ma riteneva che andasse spiegato perché vi fosse

portò a maturare importanti conoscenze riguardanti l'evo­luzione delle specie.

La teoria dell'evoluzione aprì nella sistematica animale nuo­ve possibilità di interpretazione del sistema 'naturale', che or­mai poteva essere definito secondo una linea genealogica, non soltanto, quindi, in base alla somiglianza morfologica. Sul­la scorta delle ricerche tassonomiche effettuate sino ad allo­ra, molti sistematici, come per esempio Thomas H. Huxley (1825-1895), che lavorava sugli animali marini invertebrati, erano intimamente convinti del fatto che l'evoluzione fosse una spiegazione plausibile per le affinità morfologiche nei 'gruppi naturali ' .

Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919) tentò invece di rein­terpretare i sistemi esistenti come 'alberi genealogici'. I suoi primi abbozzi in tal senso mostravano il sistema animale di Cuvier, i cui rami venivano ora interpretati come 'tronchi' . Haeckel era principalmente un sistematico, che come prima opera zoologica presentò una nuova classificazione dei 'ra­diolari' (1862) facendo riferimento alla teoria evolutiva di Darwin. Questo lavoro gli procurò, su proposta di Cari Ge­genbaur (1826-1903), la prima cattedra di zoologia a Jena; nell'opera Genere/le MorphoLogie der Organismen (Morfologia generale degli organismi, 1866), Haeckel elaborò i metodi per future ricerche tassonomiche, applicandoli in seguito nel­le monografie dedicate alle calcisponge (1874) e alle medu­se (1879-1880).

La comune attività didattica di Gegenbaur e Haeckel a Jena pose le basi di una influente scuola scientifica di zoo­logia, i cui effetti si fecero sentire ben oltre la Germania e il XIX secolo.

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tanta variabilità interindividuale nel colore della pelle, nella statura, nella forma e colore dei capelli, nella forma delle lab­bra, del naso, del viso e degli occhi. Poiché tutti i membri della specie umana discendevano da un unico ceppo, egli era convinto che le cause della loro differenziazione andassero individuate nella migrazione di popolazioni nei più disparati luoghi della Terra ove esse erano state soggette nel corso del tempo alla lenta, ma costante azione di climi, ambienti e ali­mentazioni diversi. Egli non rese assolute le differenze fisi­che osservate, ma le descrisse come una successione di sfu­mature che passavano, quasi impercettibilmente, da indivi­duo a individuo, da popolazione a popolazione. Virey, di contro, tenne a sottolineare che «nel genere umano esistono differenze radicali, costanti, indelebili» (ibidem, p. 417). La concezione dell'unità della specie umana e della sua origine da un unico ceppo (monogenesi) venne percepita da Virey e da altri studiosi dell'Ottocento come un discutibile o infon­dato retaggio religioso cui andava contrapposta l'idea che le razze umane erano talmente diverse tra loro da legittimare l'ipotesi che esse potessero essere addirittura considerate spe­cie diverse con una origine differente (poligenesi).

La storia dell'antropologia fisica del primo Ottocento, al­lora generalmente chiamata 'storia naturale dell'uomo', è la storia della sua costituzione come disciplina relativamente au­tonoma fondata sull'osservazione dei caratteri fisici delle po­polazioni della Terra e, successivamente, su un loro confron­to, teso a dimostrare l'esistenza di razze diverse, spesso indi­viduate e classificate secondo schemi gerarchici in cui la

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soltanto concetti astratti, ma una costellazione di finalità operative che investirono, an­che con una forte carica emo­tiva, le ricerche e le teorie de­gli antropòlogi , i quali, a vol­te, si sentirono chiamati a legittimare, sulla scorta dei loro studi, il rapporto di do­minio instaurato dagli euro­pei nei confronti delle po­polazioni extraeuropee, op­pure a enfatizzare i caratteri di una determinata popola­zione europea in funzione di una sua presunta discenden­za da un popolo antico idea­lizzato. Eurocentrismo e na­zionalismo caratterizzano, quindi, molte delle ricerche antropologiche ottocentesche conferendo loro un consi­stente spessore ideologico. Né va dimenticato, inoltre, co­me soprattutto nella prima

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Fig. l - George Moutard Woodward, Caricature fisiognomiche; incisione, 1796.

vaJutazione del soma era strettamente associata a presunti ca­ratteri morali e storici delle popolazioni considerate. Nei lo­ro studi, gli autori che si occuparono di questa disciplina fu­rono variamente influenzati dalla fisiognomica tardo-sette­centesca, dalla frenologia, dall 'anatomia comparata, dalla morfologia ripologica dei primi decenni del secolo, dalla lin­guistica comparata e, in misura maggiore, dai dibattiti sto­riografìci che, soprattutto a partire dagli anni Venti dell'Ot­tocento, elevarono i concetti di razza e di lotta tra le razze a principi con i quali spiegare e comprendere i grandi processi storici quali le migrazioni, il dominio di una popolazione su un'altra, la divisione delle popolazioni in caste e/o classi, le rivoluzioni politiche e sociali. In sintonia con le coeve ricer­che sul sistema nervoso centrale e con la diffusa ossessione di decifrare i rapporti ritenuti necessari tra fisico e morale, così come tra morfologia del cervello e prestazioni intellettuali, gli studiosi dell'Ottocento enfatizzarono l'indagine sui crani ab­binando in tal modo alla settecentesca codificazione croma­tica dell'umanità, per cui si distinguevano i bianchi, i gialli, i rossi e i neri, nuove e disparate codificazioni craniologiche.

Nelle controversie tra monogenisri e poligenisri, negli stu­di sulla composizione razziale delle popolazioni europee, nel­le investigazioni sui primi abitanti dell'Europa, nelle indagi­ni craniomerriche delle popolazioni extraeuropee e, più in ge­nerale, nella costituzione dell'antropologia come disciplina, si può riscontrare una tensione verso un maggiore rigore scien­tifico non disgiunto, tuttavia, da preoccupazioni religiose e filosofiche che tradiscono la presenza di interessi politici più profondi non sempre esplicitati. Non va dimenticato, infat­ti, che l'antropologia fisica si è andata affermando in un perio­do in cui gli europei da un lato erano impegnati in una mas­siccia colonizzazione dei paesi extraeuropei, dall'altro erano intenti a disegnare e quindi portare a compimento una va­rierà di costituzioni nazionali nell'ambito dell'Europa stessa. Nazione, popolo, colonialismo e impero non rappresentarono

metà del secolo l'indagine an­tropologica abbia risentito

dell'ampio dibattito suscitato da quello straordinario movi­mento di opinione pubblica che ha portato prima all' aboli­zione della tratta degli africani subsahariani e, successiva­mente, a quella della schiavitù nelle colonie europee. Se da un lato furono pochi gli antropologi che si dichiararono espli­citamente a favore della schiavitù, dall'altro lato furono nu­merosi quelli che, sostenendo l'incomparabile superiorità fi­sica e morale degli europei nei confronti di tutte le 'popola­zioni di colore', a loro volta considerate inferiori, assunsero posizioni che oggi definiremmo razziste. Bisogna sottolinea­re, pertanto, come la legittimazione su base razziale del com­portamento adottato dagli europei nei confronti delle popo­lazioni non europee abbia trovato tra gli antropologi no­nostante alcuni decisi avversari, soprattutto numerosi fautori. La storia dell 'antropologia ottocentesca si configura, quindi, anche come storia del razzismo e dell ' ideologia insita nella biologia dell 'epoca.

l. LA STORIA NATURALE DELL'UOMO:

MONOGENESI 'VERSUS' POLIGENESI (1800-1850)

Nei primi decenni dell 'Ottocento la storia naturale dell'uo­mo, pur non essendo ancora una disciplina ben definita e dai contorni precisi, annoverava molti cultori non soltanto tra gli anatomisti e gli zoologi, ma anche tra i geografi e i viaggiato­ri, in particolare in Germania, Francia e Inghilterra. Il resto di riferimento obbligato era il De generis humani varietate na­tiva che il ventitreenne Johann Friedrich Blumenbach (1 752-1840) aveva redatto nel1 775 come resi di laurea presso la Fa­coltà di medicina dell 'Università di Gottinga e che aveva con­tinuato ad arricchire e rimaneggiare fino a cambiarne quasi completamente la struttura nella terza e definitiva edizione del 1795. Oltre che dai suoi studi di anatomia comparata e

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BIOLOGIA

dalla letteratura di viaggio, Blumenbach trasse molti dei dati confluiti nella sua opera da quella celebre collezione di crani, capelli, feti , preparati anatomici e illustrazioni che si era pro­curato in circa vent'anni grazie alla collaborazione di molti dei suoi corrispondenti e di alcuni dei suoi ex studenti.

Gli argomenti discussi da Blumenbach furono sostanzial­mente quattro. Il primo riguardò i caratteri distintivi del­l'uomo rispetto agli animali. Diversamente da Linneo, Blu­menbach pose in evidenza l'esistenza di differenze sia ester­ne, come la posizione eretta e il possesso di due mani, sia interne, come l'assenza nell 'uomo del panniculus carnosus e dell'osso intermascellare, e sostenne che l'uomo doveva esse­re considerato un animale bimano mentre le scimmie animali quadrumani. Notò anche che, in proporzione al corpo, la massa del cervello umano era maggiore di quella degli ani­mali. Il secondo argomento affrontato fu il meccanismo- da lui chiamato degeneratio- per cui in una specie animale si formano varietà distinte per colore, dimensioni , forma del pelo e del cranio. Attingendo a una casistica ben selezionata, egli ipotizzò che i cambiamenti osservati in numerose varie­tà animali fossero imputabili alla deviazione della forza for­matrice - o nisus formativus - di ciascun essere animato. La deviazione era dovuta all'azione dell'ambiente, degli alimen­ti, della condotta di vita, ma anche a disposizioni ereditarie. Es.tese quindi tale ipotesi all'uomo, poiché le medesime cau­se che modificano una specie animale devono agire ugual­mente sull'uomo. Presentò infine una classificazione delle va­rietà della specie umana. Considerando il colore della pelle e, soprattutto, la forma del volto e quella del cranio osserva­to non soltanto di profilo o frontalmente, ma anche dall'al­to (la cosiddetta norma verticalis), distinse cinque varietà uma­ne: la caucasica, la mongolica, l'etiope, l'americana e la ma­lese. Furono principalmente ragioni estetiche a fargli ritenere che la varietà caucasica fosse la più vicina a quella 'primige­nia' da cui, per il meccanismo della degenerazione, si sareb­bero formate le altre varietà.

È importante ricordare come Blumenbach abbia sottoli­neato a più riprese sia il carattere arbitrario delle classifica­zioni sia il fatto che le varietà da lui descritte non erano fis­se, ma scorrevano l'una nell'altra quasi impercettibilmente attraverso una serie ininterrotta di variazioni individuali. Ol­tre a non attribuire una reale struttura gerarchica alla sua clas­sificazione, se si eccettua la preminenza estetica accordata al

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Fig. 2 - Comparazione tra i crani di un africano, di un caucasico e di un polinesiano.

Da James C. Prichard, Researches into the physical history of mankind, Londra 1826.

cranio caucasico, Blumenbach si espresse non soltanto a fa­vore dell'abolizione della tratta e della schiavitù, ma raccolse anche numerose testimonianze contro l'opinione, allora as­sai diffusa, secondo la quale gli africani subsahariani sareb­bero stati stupidi e comunque intellettualmente inferiori agli europei. A conclusione della sua monografia, egli scrisse che non poteva più sussistere alcun dubbio sul fatto che «tutte e ciascuna varietà di uomini poteva essere riferita con grandis­sima verosimiglianza a una sola e medesima specie» (Blu­menbach 1775, p. 322).

A Blumenbach, il più eminente dei monogenisti, dedicaro­no le loro opere i due maggiori antropologi inglesi del primo Ottocento, William Lawrence (1783-1867) e James C. Pri­chard (1786-1848), mentre numerosi anatomisti e fisiologi, seguendone l'esempio, introdussero nei loro manuali di ana­tomia e fisiologia umana un capitolo relativo alle razze uma­ne e le enciclopedie mediche, di storia naturale, ma anche ge­nerali, inclusero voci sullo stesso argomento.

In Francia una sessantina di studiosi, tra i quali naturali­sti e medici, storici, linguisti e archeologi, si riunirono nel 1799 nella Société cles Observateurs de l'Homme dando un notevole impulso agli studi antropologici. Poco dopo la sua fondazione, infatti, la Société fu incaricata dall'Institut de France di fornire le istruzioni scientifiche per il viaggio di esplorazione delle terre australi che di lì a poco avrebbero compiuto diversi studiosi imbarcati su due corvette poste sot­to il comando di Nicolas Baudin. In quella occasione Geor­ges Cuvier (1769-1832) fornì all'allievo François Péron (1775-1810), che era stato reclutato come zoologo e antropologo della spedizione, istruzioni riguardo le ricerche da compiere sulle differenze anatomiche tra le razze umane e suggerì di collezionare crani e teste integre che potessero essere oppor­tunamente conservate e quindi seccate. L'idéologue Joseph­Marie de Gérando (1772-1842), invece, diede indicazioni sul modo di condurre l'osservazione dei popoli selvaggi nella con­vinzione che la scienza dell'uomo avesse gli stessi metodi del­le scienze naturali e procedesse, pertanto, dall'osservazione alla comparazione dei fatti osservati per giungere infine a sve­lare le leggi generali che regolerebbero il comportamento uma­no. Egli sostenne che lo studio dei selvaggi da parte del viag­giatore-filosofo avrebbe reso più semplice tale processo co­noscitivo, poiché recandosi alle estremità della Terra questi avrebbe di fatto compiuto un viaggio nel passato «alle prime epoche della nostra stessa storia>> giungendo a uno stato di ci­vilizzazione in cui le leggi generali del comportamento uma­no erano più evidenti. A tale finalità conoscitiva ne era abbi­nata una filantropica che lo induceva a credere che il contat­to con gli europei avrebbe consentito, attraverso il commercio e un «patto d'alleanza fraterna>> , di «ritrovare questi antichi parenti separati da un lungo esilio dal resto della famiglia co­mune e di tendere loro la mano per elevarli a uno stato più felice>> (in Copans 1978, pp. 131-132), quello degli europei. Péron, invece, colpito dalle descrizioni fornite da alcuni viag­giatori, relative alla forza, prestanza fisica e longevità di alcu­ne popolazioni esotiche ma anche dalla loro impassibilità quando assistevano, infliggevano oppure subivano atroci tor­ture, riteneva che la spedizione avrebbe potuto chiarire se la 'perfezione fisica' di quelle popolazioni non fosse la causa del­la loro «insensibilità fisica e morale>> ! (ibidem, p. 184).

Il parziale insuccesso della spedizione di Baudin, il blocco continentale e i dissidi politici e culturali insorti tra i membri della Société dopo la proclamazione dell'Impero, ne portarono

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Fig. 3 - Morfometria del cranio e della testa di primati subumani e di soggetti umani appartenenti a razze diverse. Da Petrus Camper, The works of the late Projèssor Camper, on the connexion between the science of anatomy

and the arts of drawing, painting, statuary, Londra 1821.

al definitivo scioglimento nel1805, nonostante l'entusiasmo con cui i suoi membri si erano prefissi di fare progredire l'an­tropologia studiando l'uomo nei suoi rapporti fisici, intellet­tuali e morali, istituendo un museo etnografico e tenendo le­zioni sulla storia naturale dell'uomo, come fece, due volte la settimana nel corso del1803, il segretario della Société, Louis­François Jauffret.

Lo scioglimento della Société non significò, tuttavia, la fine della ricerca antropologica. Virey, che ne aveva fatto parte, svolse un'intensa attività pubblicistica sia per il Nou­veau dictionnaire d'histoire naturelle, pubblicato in 24 volu­mi tra il1803 e il 1804 e in una seconda edizione ampliata di 36 volumi tra il 1816 e il 1819, sia per il Dictionnaire des sciences médicales ( 1817) diffondendovi le proprie idee sul­le razze umane. Egli era un trasformista, credeva cioè che la vita consistesse in un processo storico di sviluppo dal più semplice al più complesso in cui gli esseri viventi si inanel­lavano gli uni agli altri non però in un'unica linea ascensio­nale, ma divergendo come i rami di un albero. Virey rite­neva che non vi fossero specie invariabili in Natura, ma nel­la trattazione delle razze umane era alquanto più rigido, perché attribuiva loro una sorta di preformismo fisico e psi­chico. Pur seguendo il sistema classificatorio di Blumenbach, era in realtà più incline ad aderire alla concezione di Chri­stoph Meiners che negli ultimi due decenni del Settecento aveva postulato una radicale dicotomia tra genti bianche, belle e civilizzate da un lato e genti di colore, brutte e inci­vili dall'altro. Enfatizzando il significato dell'angolo faccia­le- un sistema di misurazione introdotto dall'olandese Pe­trus Camper (1722-1789) per misurare il prognatismo ri­spetto alla fronte fortemente osteggiato da Blumenbach -, Virey distinse tra razze con l'angolo facciale superiore a 85°, cioè i bianchi e i gialli, e le razze nere in cui questo era com­preso tra 7SO e 80°. Per il loro prognatismo, per il colore del­la pelle, del sangue e della corteccia cerebrale e, infine, per dimensioni e capacità della reca cranica, Virey considerò la razza nera come una specie diversa da quella bianca. D'altra parte, lo stesso Cuvier ne Le règne animai, pur affermando che la specie umana sembrava essere una sola, insistette sul fatto che si potevano osservare «alcune conformazioni eredi­tarie» che consentivano di distinguere nettamente tre razze: «la bianca o caucasica, la gialla o mongolica, e la nera o etio­pica». Egli riteneva, inoltre, che vi fossero «Cause intrinseche»

che sembravano << arrestare i progressi di certe razze» (Cuvier 1817, I, p. 94).

Una posizione analoga a quella di Virey assunse nel1825 il viaggiatore e barone Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent, che distinse ben 15 razze umane in un lungo saggio pubbli­cato nell'ottavo volume del Dictionnaire classique d'histoire na­ture/le poi riproposto, in forma monografìca e con l'aggiun­ta di numerose note, in due successive edizioni, rispettiva­mente del 1825 e del 1836. Il suo poligenismo, tuttavia, non lo portava a giustificare né la schiavitù dei neri - << uno stato d'abiezione in cui noi li abbiamo ridotti» - né il disprezzo e la tirannide con cui i francesi trattavano i mulatti, ossia << i frut­ti del loro amore con le donne di specie etiopica>> (Bory de Saint-Vincent 1836, II, pp. 37-39). Per molti lettori coevi, tuttavia, il suo poligenismo strideva con la sua declamata fi­lantropia o con il tentativo di <<conciliarlo con i nostri libri sa­cri >> , come osservò l'abate Henri-Baptiste Grégoire (1750-1831), il decano degli abolizionisti francesi (1826, p. 27).

Di particolare importanza per tutti i dibattiti successivi fu la pubblicazione nel1829, a opera del fisiologo William-Fré­déric Edwards (1776-1842), del volume Des caractères physio­logiques des races humaines indirizzato allo storico Amédée Thierry, noto per la sua Histoire des Gaulois del 1828 in cui aveva cercato di individuare attraverso il metodo storico la composizione razziale della nazione francese. Edwards si fece allora paladino di un'auspicata collaborazione tra fisiologia e storiografìa, ma anche tra filologia e geografia, che più tardi avrebbe portato all'istituzione di una nuova disciplina: l'et­nologia, termine con cui allora alcuni vollero designare la de­scrizione specifica delle razze umane nei loro caratteri fisici e culturali. Un ragionamento analogico era alla base del suo pro­gramma: <<Se le forme del linguaggio lasciano delle tracce ne­gli idiomi moderni che ne svelano la loro antica origine, cosa dovremmo pensare delle forme del corpo? Non avremmo con­servato nulla dei tratti dei nostri antichi antenati?>> (Edwards 1829, p. 6). Occorreva rinvenire negli uomini viventi le trac­ce di quelli deceduti e quindi identificare << i tipi caratteristici dei popoli antichi >> (ibidem, p. 44), poiché i tipi erano tra­smissibili e, se erano esistiti in passato, dovevano esistere an­cora. Per l'identificazione dei tipi non era necessario, però, guardare tanto a caratteri secondari, come la capigliatura o la pigmentazione, quanto a quelli essenziali come la forma e le proporzioni della testa e del volto, ossia a quei caratteri sui

razze e che le ineguaglianze sociali era­no la conseguenza di originarie inegua­glianze tra le razze. A suo dire, «la civiltà degli europei era l'effetto e non la causa della loro superiorità» (Courtet de l'Isle 1835 [1836, p. 81]).

quali, nella vita quotidiana, era general­mente basato il riconoscimento dell'i­dentità di un individuo. Il termine 'raz­za' venne così a designare per Edwards un gruppo umano che partecipava del medesimo tipo fisico che, nonostante conquiste, migrazioni, rivoluzioni poli­tiche e sociali, era caratterizzato da una continuità temporale: ne era un esempio significativo il popolo ebraico i cui ca­ratteri fisici si sarebbero mantenuti inal­terati nel tempo come testimoniavano antichi documenti iconografici (Piguet 2000). Nel1829 Edwards stesso dichia­rò d'astenersi dal considerare se a quella continuità fisica ne corrispondesse an­che una relativa a disposizioni morali e intellettuali. Successivamente, tuttavia, abbandonò questo atteggiamento pru­denziale che, del resto, non era nemme­no condiviso da anatomisti come Pier­re-Pau! Broc il quale nel1836, oltre a di­scettare dei caratteri intellettuali e morali delle popolazioni umane, reintrodusse la settecentesca classificazione cromatica delllumanità distinta in bianchi, gialli, rossi e neri. Quest'ultimo punto è di par­ticolare importanza, poiché, nonostante l'enfasi attribuita al cranio e al cervello, la pigmentazione umana rimase fino a metà secolo il criterio fondamentale e più popolare per distinguere le razze umane come risulta, tra l'altro, dalle indagini anatomiche della pelle compiute da Ma­rie-Jean-Pierre Flourens (1794-1867) e

Fig. 4 - Muscolatura e organi interni del corpo umano.

Nell'Inghilterra dei primi decenni del­l'Ottocento antropologi come Prichard e Lawrence, o per convinzioni religiose profonde o per una tradizione di filoso­fia morale diversa da quella francese, si dedicarono alla difesa della tesi dell 'u­nità della specie umana, tuttavia, non con argomenti filosofici o teologici, ma scientifici. Prichard, in particolare, fece di questa difesa lo scopo della propria vita a partire dalla dissertazione del1808 presentata alla Facoltà di medicina del­l'Università di Edimburgo, fino alla stam­pa in cinque volumi della terza edizio­ne delle sue Researches into the physical history of mankind, avvenuta tra il 1836 e il1847, pubblicate per la prima volta nel 1813 in un unico tomo. Attraver­so un paragone sistematico con gli ani­mali egli mostrò che l'intervallo della variazione umana non era più ampio di quello osservabile in diverse specie di animali. Seguendo Blumenbach criticò l'angolo facciale di Camper osservando che esso non forniva un carattere co­stante nemmeno tra gli individui della stessa nazione e, inoltre, che vi erano in­dividui di razze diverse e con crani dif-

Da Charles d 'Orbigny, Dictionnaire universel d'histoire naturelle,

Parigi 1849.

dall'iconografia relativa alla sezione di antropologia inclusa nell 'atlante del 1849 del Dictionnaire universel d'histoire na­ture/le curato da Charles d'Orbigny.

In Francia il dibattito sulle razze umane ebbe una grande diffusione pubblica. Claude-Henri de Saint-Simon (1760-1825) e i suoi seguaci, per esempio, pur mantenendo l' opinio­ne che la specie umana fosse una, ne sottolinearono l'inegua­glianza naturale affermando che i neri erano costituzionalmen­te inferiori ai bianchi, la cui superiorità era testimoniata da spettacolari successi militari e scientifici. Auguste Com te (1798-1857) attribuì tali successi a un particolare sviluppo del cer­vello dei bianchi, mentre Gustave d'Eichthal (1804-1886) contrapponeva al cerebralismo degli europei il carattere fem­mineo della razza nera, la quale, come nel caso delle donne; sarebbe stata priva d'intelligenza politica e scientifica, ma do­tata delle sole virtù del sentimento (Cohen 1980). Pregiudi­zi relativi al genere si legavano così a pregiudizi razziali.

Nel1836 il saintsimoniano Victor Courtet de l'Isle estese a un'analisi dei sistemi sociali la tesi di Edwards relativa alla fissità della razza e alla permanenza dei suoi caratteri eredita­ri come il colore della pelle. Egli sostenne che le razze uma­ne differivano per caratteri fisici, morali e intellettuali. La doppia ineguaglianza - fisica da un lato, morale e intellet­tuale dall'altro- determinava una diversa collocazione sociale delle razze, per cui tra gli uomini sarebbe esistita una scala so­ciale parallela a quella del colore della pelle. Egli scrisse, per esempio, che il regime delle caste rifletteva una divisione tra

ferenti, ma con lo stesso angolo faccia­le. Nel1813 Prichard non concordava con la spiegazione del processo di differenziazione razziale fornita da Blumenbach, trovando del tutto insoddisfacente considerare l'ambiente co­me la causa principale delle alterazioni corporee che avreb­bero dovuto subire le antiche popolazioni nelle loro trasmi­grazioni e successivi insediamenti nelle diverse regioni della Terra. A suo dire, era il processo di incivilimento progressi­vo la ragione principale delle variazioni umane, così come lo era l'addomesticamento per le piante e gli animali. Egli ar­gomentò questa ipotesi sostenendo che la pelle era sempre scura nei selvaggi e chiara nei civilizzati. <<Non vi è- egli scris­se- alcun esempio di una razza di selvaggi con la costituzio­ne e i caratteri europei», per questo suggerì che << il ceppo pri­mitivo degli uomini fosse probabilmente costituito da negri» (Prichard 1813, pp. 237-239) e che anche le più chiare raz­ze europee discendessero da questi avendo gradualmente mo­dificato il colore della pelle per il processo di incivilimento. Nelle edizioni successive della sua opera Prichard abbando­nò tale ipotesi, limitandosi a mostrare gli elementi unifican­ti presenti nelle razze umane.

Nelle Lectures on physiology, zoology, and the natura! history ofman anche Lawrence si disse insoddisfatto della teoria am­bientale, e avanzò l'idea che la variazione tra le popolazioni umane fosse dovuta a fenomeni relativi alla riproduzione e alla trasmissione dei caratteri e, in particolare, alla selezione sessuale del partner, all'isolamento geografico di una popola­zione e all'endogamia tra individui simili. Egli negò, infatti,

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che i caratteri acquisiti da un individuo in seguito all'azione di cause esterne fos­sero ereditari e affermò che la progenie nasce esclusivamente con la costituzio­ne e le proprietà originali dei genitori. Attribuì, invece, particolare rilevanza al­le variazioni spontanee, ovvero al fatto che alcuni individui possono presenta­re alla nascita caratteri diversi da quelli dei genitori. Scrisse, tuttavia, che le co­noscenze fisiologiche del tempo non era­no in grado di spiegare «perché una pe­cora bianca a volte desse alla luce un agnello nero, oppure alcuni genitori aves­sero, a volte, figli albini» (Lawrence 1819, p. 510).

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era espressa in termini percentuali ri­spetto alla sua lunghezza, che ebbe note-

• P!. 8 · vole successo. Ciò consentì a Retzius di classificare i crani umani in dolicocefa­li e brachicefali, ove con il primo ter­mine si indicavano le teste la cui lun­ghezza era uguale o maggiore di 1/4 del­la larghezza, mentre con il secondo quelle la cui lunghezza era di 117 o 1/8 mag­giori della larghezza. Il belga Lambert­Adolphe-Jacques Quételet (1796-187 4) diede, invece, un notevole impulso a in­dagini statistiche in cui si considerava­no oltre ai dati corporei come taglia, pe­so e forza, anche quelli relativi alla na­talità, mortalità e durata media della vita con lo scopo di fornire una sorta di fi­sica sociale basata su una teoria delle me­die. Tale teoria si fondava sulla consta­tazione che per ciascuna caratteristica studiata, come per esempio la statura, vi fosse una misura media attorno alla quale si distribuiva circa il 70 o/o della po­polazione, mentre il restante 30 o/o si di-

Nella critica della spiegazione am­bientale della variabilità umana, gli scrit­ti di Prichard e di Lawrence concorda­vano con molte delle convinzioni emer­genti in Francia, mentre negli Stati Uniti si arrivò a sostenere che la stessa ipotesi di influenze ambientali non era neces­saria, poiché le razze erano fisse ed era­no esistite cotne tali ab origine. L'autore che più operò in tal senso fu il medico di Filadelfia Samuel G. Morton (1799-1851) che mise insieme una delle più grandi collezioni craniologiche del tem­po, pagando individui senza scrupoli che operavano lungo la frontiera americana perché gli procurassero teste di indiani. Influenzato dalla frenologia e convinto che forma e capacità del cranio fossero indizi sicuri delle razze umane, egli in-

:E.SPÈCLS . stribuiva equamente ai margini estremi della media. Secondo Quételet questa media rappresentava una sorta di perfe­zione e << allontanarsene avrebbe signifi­cato una scivolosa deriva verso il diffor­me per eccesso o per difettO >> (in Poglia­no 1994, p. 463).

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Fig. 5 - Profili di un caucasico, di un africano e di una scimmia antropomorfa. Da Julien-Joseph Virey, Histoire nature/le du genre Per tutta la prima metà dell'Ottocento

in Germania prevalse, con poche ecce­zioni, l'orientamento monogenista pa-

humain, Bruxelles 1826.

trodusse un metodo assai semplice per quantificare la capaci­tà cranica. Sigillati i fori di un cranio con del cotone, egli ne riempiva la cavità con granelli di pepe che successivamente travasava in un cilindro graduato per determinare il volume occupato. Utilizzando tale metodo associato ad altre misure craniometriche, egli stese una gerarchia di tipi razziali con i neri in fondo, gli aborigeni delle Americhe al centro e i bian­chi in cima. Avendo ottenuto antichi crani egiziani e avendo proceduto con il medesimo metodo, in un'opera successiva, Crania Aegyptiaca (1844), sostenne che nell'antico Egitto si poteva riconoscere l'esistenza di due distinte razze a partire dal 2000 a.C.: la caucasica e la negroide. Ciò significava, a suo dire, che l 000 anni dopo il Diluvio universale queste raz­ze erano già ben delineate e che quegli anni non erano suffi­cienti per spiegare una differenziazione così marcata da pre­sunti progenitori comuni. Per i neri si prospettava, pertanto, un'origine preadamitica o comunque diversa da quella dei bianchi. Inoltre, oltre a sostenere che la teoria poligenetica era in accordo con una << interpretazione liberale>> (Morton 1850-51 , p. 33) dei testi sacri, egli contestò che la fecondità degli incroci tra membri di razze diverse costituisse una <<prova del­la unità della specie umana>> (Morron 1847, p. 212): una te­si che in seguito sarebbe stata ripresa da numerosi autori.

Nella prima metà del secolo anche l'antropometria ebbe alcuni sviluppi significativi. Lo svedese Anders Adolf Retzius (1796-1860), per esempio, introdusse l'indice cefalico, una nuova misura craniometrica con cui la larghezza del cranio

trocinato da Blumenbach cui si ispira­rono, tra gli altri, Rudolph Wagner in un volume dell831, l'autorevole fisiologo Johannes Peter Miiller nel suo classico manuale di fisiologia del 1833-1840, e soprattutto l' anato­mista Friedrich Tiedemann che si oppose alla tesi sostenuta da Virey e Lawrence secondo la quale i neri sarebbero stati una sorta di anello intermedio tra gli europei e gli oranghi. Specializzato in anatomia del sistema nervoso egli pubblicò nel periodico della Royal Society dell836 uno studio in cui, paragonando tra loro cervelli di neri e di bianchi, mostrò co­me non esistesse alcuna differenza anatomica rilevante né nel­la forma, né nelle dimensioni. «<l risultato principale delle mie ricerche sul cervello del Negro è - egli scrisse - che né l'anatomia, né la fisiologia può giustificare di collocarli al di sotto degli Europei da un punto di vista morale o intellet­tuale. Allora, come è possibile negare che la razza etiopica è capace di incivilimento? Ciò è altrettanto falso come lo sa­rebbe stato se all'epoca di Giulio Cesare si fossero considera­ti incapaci di incivilimento i Germani, i Britanni, gli Elvezi e i Batavi>> (Tiedemann 1836, p. 525).

Pervaso da impulsi universalistici simili a quelli di Tiede­mann, Alexander von Humboldt (1769-1859) ebbe a scrive­re al termine del primo volume di Kosmos, un passo veramente degno di nota: <<Mentre asseriamo l'unità del genere umano, nello stesso tempo ci opponiamo anche a quella infelice sup­posizione di razze di uomini superiori e inferiori. Vi sono stir­pi culturalmente più plasmabili, più acculturate, più nobilita­re dalla cultura spirituale, ma nessuna più nobile. Tutte sono

BIOLOGIA

ugualmente destinate alla libertà; alla libertà che, in condi­zioni più rozze, spetta al singolo, e nella vita degli Stati per quanto concerne il godimento di istituzioni politiche spetta di diritto alla totalità» (Humboldt 1845-62, I, p. 385).

2. LA SVOLTA RAZZISTA DEGLI ANNI CINQUANTA

Tra il 1849 e il 1859 apparve in Europa e negli Stati Uniti una serie di opere che avrebbe esercitato una profonda in­fluenza sull'antropologia fisica per quasi un secolo, facendo pendere il dibattito decisamente a favore della tesi poligene­tica e dell ' ineguaglianza naturale delle razze umane. Il co­smopolitismo ottimistico di sapore settecentesco, che con il suo egualitarismo naturale ancora traspirava dagli scritti di autori come Tiedemann e Humboldt, che consideravano il processo d'incivilimento e cioè di educazione dei popoli del­la Terra non solo come plausibile, ma anche auspicabile, ce­dette il posto a una sorta di pessimismo radicale che, elevan­do supposte qualità naturali insite in ciascuna razza umana a stigma di un destino storico e sociale predeterminato, decre­tò per gli europei l'esigenza di erigere steccati che ne impe­dissero incroci con popolazioni non perfettibili come quelle extraeuropee, pena la inevitabile decadenza fisica e morale.

Tale svolta non fu solo una conseguenza dello sviluppo lo­gico, associato a raccolte di nuove osservazioni trattate in ma­niera statistica, di tem.atiche discusse nelle opere degli an­tropologi , ma anche dell 'abolizione della schiavitù nelle co­

Entwickelung (Sulle dissimili capacità delle diverse razze uma­ne di giungere a un'elevata evoluzione spirituale), pubblica­ta nel1849, propose una classificazione quadripartita in po­poli diurni, notturni, crepuscolari d'Oriente e crepuscolari d'Occidente. L'aspetto più inquietante di tale indirizzo è il fatto che esso elevò il soma a simbolo dello sviluppo spiri­tuale dell'uomo secondo una gerarchia ascensionale di cui i germani avrebbero occupato l'apice.

Nel1850 l'anatomista scozzese Robert Knox pubblicò The races of men, una raccolta di conferenze che egli aveva tenu­to con notevole successo e concorso di pubblico in diverse contrade del Regno Unito. Chirurgo militare, con una espe­rienza di studio a Parigi, Knox aveva dovuto abbandonare nel 1831 la pratica anatomica che svolgeva a Edimburgo, per­ché coinvolto in modo marginale nello scandalo sul reperi­mento, da parte di alcuni loschi individui, di cadaveri per il tavolo anatomico con l'uccisione di sedici persone (Biddiss 1976). Ripiegò allora sull'attività di giornalista e conferen­ziere in cui sembra abbia brillato per la capacità di dramma­tizzare gli argomenti trattati. La sua tesi principale è espres­sa in modo lapidario nella prefazione al volume: «La razza è tutto: la letteratura, la scienza, l'arte, in una parola, la civil­tà discendono da essa>> (Knox 1850, p. 7) . Per Knox, il con­cetto di razza costituiva la nozione primaria per spiegare co­me operano politica e società, il corso della storia, lo svilup­po della cultura e la stessa morale. Gli uomini, a suo dire, appartengono a razze diverse e tra loro ineguali per genio, istinti e temperamento; ogni razza è adatta a un solo habitat e per questo il colonialismo va evitato come vanno evitati gli

incroci, poiché gli ibridi umani sono ste­rili o instabili.

lonie d 'oltremare. In Inghilterra essa fu decretata nel 1833 - dopo oltre cin­quant'anni di pressione da parte dell 'o­pinione pubblica - e in Francia il 27 aprile 1848, durante il provvisorio gover­no repubblicano, per il colpo di mano del ministro della Marina e delle Colo­nie, il fisico Dominique-François Ara­go (1 786-1853), spronato dal sottose­gretario alle Colonie, l'abolizionista e repubblicano radicale Victor Schoelcher. Inoltre, l'abbattimento di un istituto tra­dizionale come la schiavitù e le con­temporanee rivoluzioni dell'Europa con­tinentale suscitarono paure per gli in­croci di individui di razze diverse fuori dall'Europa e di classi differenti in Eu­ropa. Per questo sembra legittimo inter­pretare l'ossessione con cui gran parte della letteratura antropologica di quegli anni si occupò di ereditarietà, meticcia­to e ibridismo come l'esito della mitiz­zazione di supposte razze pure del pas-

Fig. 6- Pierre-Pau! Broca, 1855 ca. Sainte-Foy-La-Grande, Municipio.

Knox concentrò la maggior parte del­la propria trattazione sulla composizio­ne razziale dell'Europa, sostenendo che soltanto comprendendo quest'ultima si potevano spiegare gli eventi rivoluzio­nari del 1848-1849, i quali, lungi dal­l' essere scontri di nazionalismi, rinvia­vano a cause strutturali più profonde e cioè ai conflitti tra le quattro principali razze europee: i sassoni, che eccellevano nelle arti meccaniche, perseguivano or­dine e libertà e abitavano i paesi scan­dinavi e alcune zone della Germania e dell'Inghilterra; i celti, portati al dispo­tismo, essendo ugualmente incapaci di applicare l' idea di libertà per sé e per gli altri, occupavano la maggior parte del­la Francia, della Spagna e dell 'Italia set­tentrionale; gli slavi, forti combattenti con grandi potenzialità intellettuali e po-

sato e delle paure per paventati incroci futuri tra razze, o tra classi diverse della razza bianca.

In Germania si sviluppò un indirizzo di studi, fortemen­te influenzato dall'idealismo e dalla Naturphilosophie, che eb­be i suoi maggiori rappresentanti a Dresda in Gustav Klemm (1802-1867), bibliotecario e cultore di studi etnologici che nella sua storia culturale dell'umanità divise le razze in attive e passive, e in Carl Gustav Carus (1 789-1869), anatomista, letterato e pittore che, nella monografia O ber ungleiche Befo­higung der verschiedenen Menschheitstdmme for hohere geistige

litiche; i sarmati, che erano portati a una cieca obbedienza, costituivano un pericolo per la libertà del­l'Europa e abitavano la Russia. Degli Ebrei, sparsi per l'Eu­ropa, scrisse che erano incapaci di offrire una produzione ar­tistica, letteraria e musicale degna di rilevanza.

Sintetizzando abilmente le indagini di linguisti, naturali­sti e storici, il diplomatico e letterato francese Joseph-Arthur de Gobineau prospettò nell'Essai sur l'inégalité des races hu­maines, pubblicato in quattro volumi tra il 1853 e il 1855, una visione del processo storico i cui attori principali erano le tre razze umane e i lori incroci.

LXVl- L'ANTROPOLOGIA FISICA

Contrariamente a una lunga tradi- AN,r1lllli\'~ll"i(J)~Ilim 1rll'liHCAlf., ICJUfAJffi.•Jl'

zione storiografica che spiegava l'asce­sa di una civiltà sulla base delle virtù morali dei suoi fondatori e la decaden­za sulla base della corruzione dei costu­mi dei discendenti, Gobineau attribuì l'una e l'altra a fattori ereditari. Infatti, la fondazione di tutte le grandi civiltà del passato era merito, a suo dire, dell'a­zione creatrice della sola razza bianca (o ariana) nello stato di purezza. Poiché ta­le azione si esplicava in luoghi ove abi­tavano anche popolazioni appartenen­ti ad altre razze era inevitabile che con il passare del tempo vi fossero degli in­croci. Gobineau attribuiva al mescolar­si di elementi ariani con quelli di razze inferiori la degenerazione del sangue e il conseguente e inevitabile decadimen­to della civiltà che essi avevano genera­to. Prendendo in considerazione la si­tuazione dell'Europa a lui coeva, egli ri­teneva che la civiltà espressa dalla razza bianca o ariana, rappresentata dall'ari­stocrazia, era in uno stato di crisi per il duplice attacéo della borghesia e delle masse rivoluzionarie che rappresentava­no a loro volta elementi di diversa ori­gine razziale. Di qui il suo sconsolato pessimismo. Diversamente da Knox, tut­tavia, Gobineau non fu antisemita, an­zi esaltò i contributi intellettuali degli Ebrei profetizzandone comunque un de­cadimento per contaminazione da ele­menti razziali inferiori.

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Fig. 7 ·-Tabella antropometrica.

Da poco giunto negli Stati Uniti, il naturalista svizzero Jean-Louis-Rodol­phe Agassiz, che dal 1848 occupò la cat-

Da Charles Roberts, A manual of anthropometry; or, A guide to the physical examination and measurement of the human body, Londra 1878.

tedra di storia naturale dell'Harvard College, pubblicò nel 1850 il saggio The diversity oforigin ofthe human race in cui sosteneva che la morfologia e la distribuzione geografica de­gli uomini e degli animali suggerivano una loro origine po­licentrica. Dichiarandosi discepoli spirituali di Morton, il medico Josiah C. Notte il diplomatico George R. Gliddon pubblicarono congiuntamente due volumi, Types of man­kind (1854) e Indigenous races ofthe Earth (1857), conte­nenti contributi di diversi autori che sostenevano l' esisten­za di specie differenti di uomini. Il poligenismo era formu­lato in questi testi in termini tali da legittimare apertamente il mantenimento della schiavitù. Poiché l'interfecondità de­gli uomini era evidente a qualunque osservatore, Nott fu costretto a introdurre una nuova definizione di specie che non facesse riferimento alla riproduzione e che compren­desse << un tipo, o forma organica, che è permanente, o che per secoli è rimasto inalterato sotto opposte influenze cli­matiche» (Nott 1854, p. 375) . Sull'ibridismo, invece, conti­nuò a insistere l'antropologo francese Pierre-Pau! Broca in una serie di saggi pubblicati fra il1858 e il1860. Egli era un poligenista dichiarato e sostenne la fissità delle specie uma­ne, la loro prossimità che consentiva la produzione di ibri­di , ma non la loro consanguineità. Va notato, tuttavia, che diversamente dai suoi colleghi americani, egli non riteneva

che la differenza di origine implicasse necessariamente l'i­dea della subordinazione delle razze.

Con Delle razze umane, il primo significativo manuale di antropologia fisica pubblicato in Italia, Giustiniano Nicolucci ( 1819-1904), scostandosi dall 'atteggiamento pessimistico menzionato sopra, sostenne, difendendola, la <<dottrina del­l'unità della specie nostra» (Nicolucci 1857-58, I, p. 8).

3. GLI ANNI SESSANTA: TRA ANTICHITÀ DELL'UOMO E ANTROPOMETRIA

Nella ricerca antropologica gli anni Sessanta furono domi­nati da due questioni principali: l'antichità dell 'uomo e l'an­tropometria. Per quanto concerne la prima questione va no­tatO che fino alla fine degli anni Cinquanta la maggior parte degli antropologi si era occupata del problema delle origini nel quadro della cronologia tradizionale, fondata cioè sull'e­segesi biblica, e non aveva preso in considerazione le coeve scoperte compiute dai geologi e dagli archeologi. In sostan­za, si affrontò il problema delle origini delle razze umane in un periodo di tempo limitato a circa seimila anni e non si prese in considerazione l'ipotesi che l'estensione del tempo

BIOLOGIA

geologico avesse potuto intaccare anche la storia dell'uomo. Cuvier, inoltre, aveva sostenuto l'inesistenza di fossili uma­ni, rafforzando in tal modo l'idea che l'umanità fosse molto recente. Ciò impedì di apprezzare alcuni ritrovamenti, avve­nuti negli anni Venti e Trenta, di fossili attribuibili a scim­mie o all'uomo stesso come, per esempio, la scoperta da par­te di Philippe-Charles Schmerling ( 1791-1836) di crani uma­ni e manufatti associati a scheletri di mammut nelle grotte di Engis nei pressi di Liegi.

Con la pubblicazione, però, nel 1859 di On the origin of species di Charles Darwin si profilò un nuovo scenario in cui situare lo stesso sviluppo dell'umanità. In una celebre confe­renza, tenuta il 26 maggio 1859 alla Royal Society, Joseph Prestwich riconobbe l'importanza delle scoperte effettuate in Francia da Jacques Boucher de Penhes e da lui divulgate in numerose pubblicazioni nelle quali postulava l'esistenza del­l'uomo antidiluviano; a partire dal1837, Boucher de Penhes aveva rinvenuto nella valle della Somme, in strati geologici contenenti resti di fauna estinta, numerosi manufatti che for­n.ivano la prova dell 'esistenza dell 'uomo in un'epoca molto antica rispetto a quanto ritenuto fino ad allora. Tuttavia, la comunità scientifica francese riconobbe l'importanza delle sue scoperte soltanto quando ne parlò Prestwich.

Nel 1863 Charles Lyell raccolse tutta la documentazione a favore dell'ipotesi dell 'antichità dell 'uomo nel volume Geo­logical evidences ofthe antiquity ofman, mentre John Lubbock pubblicò nel1865 Prehistoric times in cui introdusse i due ter­mini 'paleolitico' e 'neolitico' per distinguere i più antichi manufatti in pietra da quelli più recenti e rese popolare il ter­mine 'preistoria' che era stato coniato nel 1851.

Negli anni Sessanta, inoltre, il dibattito relativo alla sco­perta effettuata nel 1856 nelle grotte di Feldhof nella valle di Neander, a pochi chilometri da Diisseldorf, di resti scheletri­ci fossilizzati molto simili a quelli umani acquisì una dimen­sione europea grazie ai dettagliati rapporti pubblicati dall'a­natomista e antropologo dell'Università di Bonn, Hermann Schaaffhausen, e dall'insegnante Johann Karl Fuhlrott. En­trambi ritennero di trovarsi di fronte a ossa umane antichis­sime; in particolare, Schaaffhausen sostenne che la peculiare morfologia della calotta cranica rinvenuta fosse naturale e non una conseguenza di uno stato patologico. Egli attribuiva lo scheletro a una razza umana vissuta in Europa prima dei Cel­ti e dei Germani; di contro, altri ritennero che quei resti fos­sero da attribuire a un idiota idrocefalo o, comunque, fosse­ro di natura patologica come sentenziò Rudolf Virchow. Stu­di e rinvenimenti successivi avrebbero mostrato che l'eminente patologo di Berlino si sbagliava.

Fig. 8 - Cranio di scimmia; disegno a matita di Thomas H. Huxley, XlX secolo. Londra, Contemporary Medicai Archives Centre.

Per quanto riguarda l'antropometria, si può notare come essa abbia assunto un ruolo particolarmente rilevante per Bro­ca e la sua scuola. Si trattava di sviluppare un sistema che con­sentisse, senza ambiguità alcuna, di misurare il corpo umano -vivente o cadavere, giovane, adulto o vecchio - per scopri­re quali fossero le leggi relative alla crescita e all'invecchia­mento, quali le proporzioni reciproche tra le varie parti del corpo e quali le differenze tra le razze umane. Per sottoporre l'uomo a tale misurazione, Broca ideò una serie di strumen­ti e ne migliorò altri , sforzandosi di tradurre tutti i dati d'os­servazione relativi all'uomo fisico in dati misurabili e, per­tanto, in dati numerici tra loro paragonabili. Per questo egli prestò attenzione anche ad aspetti meno quantificabili come il colore. Nel1865, per esempio, pubblicando un lungo sag­gio contenente alcune istruzioni sulla conduzione di ricerche e di osservazioni antropologiche Broca fece stampare una ta­vola cromatica di cinquantaquattro colori, dove i primi venti riguardavano «la scala cromatica degli occhi» e gli altri «rap­presentavano i principali tipi di colore della pelle e del siste­ma pilifero» (Broca 1865, p. 113). Su un apposito foglio, de­stinato a raccogliere i dati relativi alle osservazioni riguardanti un unico individuo, una serie di numeri indicava il colore de­gli occhi, della pelle e dei capelli.

4. L'IsTITUZIONALIZZAZIONE

DELL'ANTROPOLOGIA FISICA

Irritato dall'ostilità dei membri della Sociéré de Biologie che non volevano pubblicare i suoi saggi sull'ibridismo e non con­dividevano il suo poligenismo, Broca fondò nel maggio del 1859la Sociéré d'Anrhropologie de Paris di cui fu segretario fino al 1880, anno della sua morte. Poiché le autorità politi­che erano sospettose nei confronti di questa nuova società, ottennero l'assicurazione che non vi si parlasse né di religio­ne né di politica e imposero che alle riunioni fosse sempre presente un pubblico ufficiale, cosa che effettivamente si ve­rificò nei primi due anni di vira della società. Essa riscosse immediato interesse tanto da contare quasi cento membri nel 1860 e cinquecentocinque nel1884.

Questo successo si spiega anche con il progressivo declino e la finale chiusura nel 1864 della Société Ethnologique de Paris che era stata fondata da William Edwards nel1839 prin­cipalmente con lo scopo di effettuare uno studio comparati­vo delle razze umane. La Sociéré Erhnologique, però, aveva anche finalità filantropiche del tutto assenti nella Sociéré d'Anrhropologie che si proponeva principalmente di racco­gliere dari antropologici attraverso, per esempio, appositi que­stionari distribuiti a quei membri della società che compiva­no viaggi di studio ed esplorazioni. Tali dari venivano suc­cessivamente depositati al Laboratoire d'Anrhropologie istituito presso l'École Prarique cles Haures Études. La società iniziò la pubblicazione di un "Bullerin" rrimesrrale a partire dal1860, di una serie di "Mémoires" più o meno regolari e, dal1872, della "Revue d'Anrhropologie".

In Inghilterra, un gruppo di cultori di studi antropologi­ci guidati da James Hunt- un razzista seguace delle idee di Knox- abbandonò la londinese Ethnological Society per fon­dare, nel 1863, la Anrhropological Society of Lo n don la qua­le avrebbe dovuto occuparsi maggiormente di anatomia e fi­siologia piuttosto che di geografia e di linguistica.

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lf4'mpM LA CRANIOMETRIA

La craniomerria consisre nello srudio, nella ricosrruzione e nel­la comparazione dei crani (o parti di quesri) di uomini e orni­nidi, fossili e non. Quesw ' ramo' dell 'anrropomeuia ha le sue origini ua la fine del XVIII e la prima merà del XIX sec., quan­do alcuni studiosi iniziarono un'opera di oggerrivazione e sran­dardizzazione delle osservazioni concione, medianre l'applica­zione di una mewdologia sperimenrale. Tra le figure principa­li in quesw campo si possono ricordare: Perrus Camper al quale vengono ascrirri i primi srudi (1774); Georges Cuvier che in­uodusse la misura dell 'angolo facciale (1795); George Combe che sviluppò il rilevamenw dei diameui anrropologici (1831); Samuel G. Morron creawre della branca specializzara della cra­niologia (1839) e Anders Adolf Rerzius che inrrodusse m erodi rigorosi per dererminare gli indici cefalici (1843).

Nel corso del XIX sec., una delle figure più influenri della craniomerria fu Pierre-Pau! Broca. La sua reoria più discuribi­le fu sicuramenre quella che prevedeva l'esisrenza di una corre­lazione direrra fra inrelligenza e volume del cervello. Broca ri­levò che gli uomini di colore, le donne e le persone povere, pos­sedevano cervelli di dimensioni minori. Tale reoria, olrre che essere conresrara da alcuni conremporanei, venne rivisra dallo sresso Broca nel momenw in cui gli venne 'l'orrendo' sosperro che i Tedeschi avessero il cervello leggermenre più grande di quello dei Francesi, suoi connazionali.

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Srrumenri per la misurazione del cranio. Da Pierre-Pau! Broca, M émoires d'anthropofogie, Parigi 1871-1888.

BIOLOGIA

La società, guidata dallo stesso Hunt, pubblicò sia le "Me­moirs" della società, sia la "Anthropological Review", ma non sopravvisse al proprio fondatore. Infatti, dopo la sua morte, avvenuta nel 1869, Thomas H. Huxley riuscl ari­unire nell87lle due società nell'Anthropological lnstitute of Great Britain an d lreland di cui furono membri persona­lità come John Beddoe e Francis Galton.

In Germania, dopo il tentativo, subito fallito , di fondare una società antropologica nazionale a Gottinga da parte di Rudolph Wagner (1805-1864) e Karl Ernst von Baer (1792-1876), si formarono diverse società locali con sedi a Berlino, Monaco, Francoforte, Stoccarda e nella stessa Gottinga. Nel 1870 tali società si riunirono nella Deutsche Gesellschaft fiir Anthropologie che elesse a suo primo presidente Virchow e fece dell'"Archiv fur Anthropologie" fondato da Alexander Ecker nel 1866 il proprio organo di stampa. In Italia, infi­ne, fu creato nel1869 a Firenze il Museo Nazionale di An­tropologia ed Etnologia alla cui direzione fu chiamato nel 1870 Paolo Mantegazza che l'anno seguente fondò la Società Italiana di Antropologia con il periodico "Archivio per l'an­tropologia e la etnologia".

Con la fondazione di società scientifiche nazionali e di pe­riodici specializzati, il lento processo di istituzionalizzazione

Istologia e citologia

CAPITOLO LXVII

MICROSCOPIA E ISTOLOGIA

SoMMARIO: l. Microscopi. 2. Microtomi. 3. Tecniche isto­logiche. (B. Bracegirdle)

l. MICROSCOPI

All'inizio dell 'Ottocento, il microscopio composto era anco­ra largamente insoddisfacente, poco pratico e, benché utile per lavori a bassi ingrandimenti, permetteva di ottenere solo immagini di scarsa qualità ad alti ingrandimenti. Ciò spiega perché alcuni scienziati lavorassero con il solo microscopio semplice (a lente singola), mentre altri addirittura preferiva­no farne a meno, come nel caso di Marie-François-Xavier Bi­chat (1 771-1802), nel suo lavoro del 1800 (Traité des mem­branes en général et diverses membranes en particulier) , cui si fa risalire la nascita dell'istologia. A partire dalla metà degli an­ni Venti dell 'Ottocento furono compiuti progressi, si co­struirono microscopi più maneggevoli e si iniziò a lavorare alla produzione di minuscoli obiettivi non più solo a lenti sin­gole, ma anche a doppietti acromatici, in grado di corregge­re l'aberrazione cromatica; anche l'interesse crescente per l'i­stologia determinò una forte richiesta commerciale di stru­menti in grado di offrire immagini di migliore qualità.

FuJosephJ. Lister (1786-1869), un mercante di vini londi­nese, a scoprire come produrre lenti completamente corrette.

dell 'antropologia fisica, che era iniziato alla fine del XVIII sec., si consolidò definitivamente nel corso degli anni Ses­santa del XIX secolo. La standardizzazione delle misure an­tropometriche, la catalogazione di reperti scheletrici che si andavano rinvenendo un po' dovunque nei paesi europei e la raccolta di dati relativi al soma di tutte le popolazioni extraeuropee divennero fini prioritari per tracciare una sto­ria dell 'uomo biologico e delle sue culture a partire da un passato indefinito che aveva comunque superato i confini temporali della cronologia biblica. Tuttavia, al posto di fi­nalità filantropiche ora giudicate con irrisione, che però ancora animavano le ricerche di alcuni studiosi attivi ne­gli anni Trenta e Quaranta, si sostituì una visione apparen­temente più scientifica, ma in realtà stereotipata e gerar­chica della diversità umana, marcata come era da forti con­notazioni nazionaliste e anche da un generale disprezzo per le genti di colore. Essa spezzò l'unità della specie umana, e, postulando una continuità tra fisico e morale, divise il mondo in razze e culture superiori e inferiori erigendo e raf­forzando così, sotto il pretesto della scientificità, barriere ideologiche tuttora esistenti nella società.

RENATO G. MAZZO LINI

Lister aveva commissionato nel 1826 un microscopio dota­to di obiettivi acromatici che egli stesso aveva progettato sul­la base di osservazioni empiriche. Le immagini ad alti in­grandimenti così ottenute risultarono di qualità molto più elevata che in passato. Nel 1827 egli scrisse un saggio (No­tice of some microscopic observations of the blood and anima/ tissues) insieme con Thomas Hodgkin (1 798-1866) , in cui definì accuratamente per la prima volta la struttura delle fi­bre muscolari umane e delle cellule del sangue, osservata usan­do questo strumento: si trattava del primo saggio moderno di istologia. In seguito Lister condusse una serie di esperi­menti, giungendo a scoprire come correggere due difetti che affliggevano l'ottica microscopica: l'aberrazione cromatica (per cui colori diversi raggiungono fuochi diversi ad alti in­grandimenti) e, ben più grave, l'aberrazione sferica (per cui parti diverse di una lente producono fuochi diversi ad alti in­grandimenti) , pubblicando i risultati delle sue ricerche nel 1830. Tale data segnò l'inizio dell 'uso del microscopio in la­vori scientifici ad alti ingrandimenti.

Strumenti con obiettivi acromatici, ma non in grado di correggere l'aberrazione sferica, erano molto usati in Ger­mania, e grazie a essi furono condotte ricerche istologiche originali; ci sarebbero voluti altri vent'anni , tuttavia, perché il microscopio si affermasse definitivamente. Obiettivi acro­matici per microscopi, di notevole perfezione, furono co­struiti anche da Giovanni Battista Amici, che nel 1847 in­ventò l'obiettivo a immersione omogenea.

Un ostacolo alle ricerche istologiche era costituito dalla mancanza di tecniche adeguate per la preparazione dei tes­suti. I primi microscopisti ponevano direttamente il cam­pione da osservare, intero, sotto le lenti del microscopio e so­lo più tardi ne iniziarono a tagliare e osservare parti o sezio­ni. Iniettare sostanze colorate nei vasi degli organi induriti era utile per individuarne i percorsi, ma non mostrava molto al­tro, soprattutto se il campione era spesso e, quindi, opaco. Negli anni Venti dell'Ottocento questi metodi erano noti ed