L'antico pozzo di Camalò, ovvero il centro del mondo nella pianura trevigiana, in Atti e memorie...

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Domenica 8 luglio 1352 i capifamiglia di Camalò, villaggio dell’alta pianura trevigiana oggi ubicato entro il territorio di Povegliano, decidono di far riattivare un pozzo. Lo attesta un documento conservato presso l’archivio di Stato di Treviso, nel quale vengono scrupolosamente specifi- cate misure, materiali da costruzione, committenti, incaricati dei lavori e spese previste. L’atto, inoltre, indica l’esistenza di resti appartenenti ad un precedente manufatto. Il testo, recentemente scoperto, trascritto e studia- to dallo storico Giovanni Battista Tozzato è stato da questi riconosciuto come testimonianza dell’esistenza di un’antica opera muraria. A proposi- to di Camalò, una nota tradizione orale locale attribuisce ai suoi abitanti lo scavo di un pozzo così profondo 1 da raggiungere addirittura il centro della Terra (!). Su questo piccolo centro abitato l’erudito trevigiano Fran- cesco Scipione Fapanni 2 nel 1859 scriveva … di fronte alla chiesa esiste un grande pozzo profondo, ed osservabile nella scarsezza di acque locali. Vi è un detto volgare: il Creatore piantò a Camalò il compasso per segnare il mondo. La punta del compasso aprì il pozzo. Per- ciò dicono: Camalò nel centro del mondo. Se non è chiaro a quando risalga e a cosa faccia riferimento questa pre- tenziosa dichiarazione a onore della frazione poveglianese, tuttavia, la 89 L’ANTICO POZZO DI CAMALÒ, OVVERO IL CENTRO DEL MONDO NELLA PIANURA TREVIGIANA Giovanni Roman Relazione tenuta il 14 dicembre 2010 1 Ottorino Sottana, Il Comune di Povegliano visto dalla storia, Treviso, Tipo/Lito Tinto - retto, 1985, p. 169. 2 Francesco Scipione Fapanni, La Congregazione di Cusignana di Treviso, ms. 1372, BCTv, c. 191. Il problema, in tempi recenti, è stato nuovamente affrontato da Giovanni Netto, Da Camalò… a Rieti, in “Treviso Rotary”, gennaio-febbraio 2001, pp. 16-18.

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Domenica 8 luglio 1352 i capifamiglia di Camalò, villaggio dell’altapianura trevigiana oggi ubicato entro il territorio di Povegliano, decidonodi far riattivare un pozzo. Lo attesta un documento conservato pressol’archivio di Stato di Treviso, nel quale vengono scrupolosamente specifi-cate misure, materiali da costruzione, committenti, incaricati dei lavori espese previste. L’atto, inoltre, indica l’esistenza di resti appartenenti ad unprecedente manufatto. Il testo, recentemente scoperto, trascritto e studia-to dallo storico Giovanni Battista Tozzato è stato da questi riconosciutocome testimonianza dell’esistenza di un’antica opera muraria. A proposi-to di Camalò, una nota tradizione orale locale attribuisce ai suoi abitantilo scavo di un pozzo così profondo1 da raggiungere addirittura il centrodella Terra (!). Su questo piccolo centro abitato l’erudito trevigiano Fran -cesco Scipione Fapanni2 nel 1859 scriveva

… di fronte alla chiesa esiste un grande pozzo profondo, ed osservabile nellascarsezza di acque locali. Vi è un detto volgare: il Creatore piantò a Camalòil compasso per segnare il mondo. La punta del compasso aprì il pozzo. Per -ciò dicono: Camalò nel centro del mondo.

Se non è chiaro a quando risalga e a cosa faccia riferimento questa pre-tenziosa dichiarazione a onore della frazione poveglianese, tuttavia, la

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L’ANTICO POZZO DI CAMALÒ, OVVERO IL CENTRO DEL MONDO NELLA PIANURA TREVIGIANA

Giovanni Roman

Relazione tenuta il 14 dicembre 2010

1 Ottorino Sottana, Il Comune di Povegliano visto dalla storia, Treviso, Tipo/Lito Tinto -retto, 1985, p. 169.

2 Francesco Scipione Fapanni, La Congregazione di Cusignana di Treviso, ms. 1372, BCTv,c. 191. Il problema, in tempi recenti, è stato nuovamente affrontato da Giovanni Netto, DaCamalò… a Rieti, in “Treviso Rotary”, gennaio-febbraio 2001, pp. 16-18.

testimonianza del Fapanni ci permette di valutare che, alla metà del XIXsecolo, la modalità di trasmissione di questa tradizione, fondata sull’orali-tà, ne presupponeva per forza di cose un’origine anteriore. A dire il vero,un tentativo di spiegare il detto era stato fatto nel 1897 da Carlo Agnolet -ti, altro erudito della Marca vissuto tra Ottocento e Novecento, cheriportava3

… se si aggiunge dal volgo a Camalò “in mezzo al mondo” si accenna conciò la sua situazione che è confine di altri paesi, benché si favoleggiò esserestato scavato il pozzo di questo paese tanto profondo da giungere al centrodella terra!

Ma, ricavare conoscenze da fantasiose storie paesane può rientrare tra icompiti di chi si occupa di storia del territorio? Personalmente ritengo disì, qualora nel sopracitato manufatto si intravvedano elementi pertinentiagli antichi assetti territoriali tali da fornire un senso ed una base concretaa quanto tramandato oralmente. Certo, decifrare un nucleo informativoche nasce da una tradizione orale è per il ricercatore compito indubbia-mente impegnativo. C’è il rischio che una ricerca e una relativa criticizza-zione storica di ambito locale, poi, se mosse da intenti meramente cam-panilistici perdano credibilità già in partenza. In realtà, se frutto di un’in-dagine condotta con rigore e metodo scientifico, qualsiasi contributomicrostorico, ancor più se originale, può apportare un sostanziale pro-gresso delle conoscenze. La descrizione di una situazione particolare,infatti, può benissimo costituire materia esemplare valida anche per altrerealtà.4 Capita, però, che le informazioni di carattere orale sconfinino nelfolklore o nell’esoterismo, rendendo arduo allo studioso distinguere e de -cifrare ciò che può essere riconducibile a eventi realmente accaduti.Fortunatamente, la materia può essere presa seriamente in considerazionequalora una sede accademica dia credito a certe argomentazioni fino afarle diventare oggetto di studi sistematici. Una materia che, per forza dicose, richiede abilità filologiche, interpretative ed esegetiche, come la

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3 Carlo Agnoletti, Treviso e le sue pievi. Illustrazione storica nel XV centenario dalla istitu-zione del Vescovato trevigiano (CCCXCVI-MDCCCXCVI), 2 voll., vol. II, Premiato Sta bilimentoTipografico Istituto Turazza, Treviso 1897, ed. anastatica, Forni Editore, Bologna 1968, pp. 590-91.

4 Innumerevoli leggende e racconti popolari insistono sulla necessità che, per durare neltempo, il luogo di qualsiasi costruzione – città, ponte, edificio sacro, centuriazione e altro –debba essere scelto in ossequio alle “leggi” della geografia e debba essere indicato dalla presenzadi animali sacri o di altri segni: per esempio, un luogo dove gli animali guadano un fiume.

cosiddetta Archeologia Leggendaria. L‘espressione, coniata alla fine delXIX secolo da Antonio De Nino, studioso di usanze, costumi e tradizioniabruzzesi, ha indicato per qualche tempo qualunque studio compiuto sulleprincipali leggende diffuse in un dato territorio, in relazione a complessiarcheologici. Questo tipo di studi, però, è stato presto abbandonato inseguito alla sopraggiunta separazione delle scienze ar cheologiche da quellecosiddette demo-etno-antropologiche.5 Pur con tutti i suoi evidenti limitil’Archeologia leggendaria, o se si preferisce epica è però – innegabilmente –una disciplina che permette il recupero e l’interpretazione di informazioniche, altrimenti, andrebbero facilmente per se. Numerose tradizioni, docu-mentate en passant, rischierebbero di non essere prese seriamente in consi-derazione se qualcuno non avesse la vo lontà di andare oltre l’apparenzaletterale del racconto confrontando le informazioni orali con i dati stori-co-archeologici per scorgere un nucleo di verità – grande o piccola – cheogni epos porta immancabilmente con sé.6

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5 “Per scienze demo-etno-antropologiche, s’intendono quelle discipline che si occupanodello studio e della tutela delle culture di tradizione orale, del patrimonio immateriale (musica,canti, balli, oggetti della produzione artigianale, della civiltà contadina, pastorale e marinara) checostituiscono un patrimonio in via di veloce trasformazione e  forte pericolo di estinzione. Lanozione di salvaguardia, come riportata nella Convenzione Unesco sul Patrimonio culturale imma-teriale, è di ampio respiro e comprende in particolare: l’identificazione, la documentazione, laricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione e il rav-vivamento. Tutte queste misure hanno lo scopo di garantire la “vitalità” del patrimonio cultura-le immateriale nel suo carattere dinamico e mutevole e di impedire una musealizzazione di sin-goli elementi. La Convenzione si concentra dunque sulle condizioni contestuali in cui il patri-monio culturale immateriale può essere praticato, utilizzato e tramandato a lungo termine. Diconseguenza, le misure di salvaguardia del patrimonio immateriale comprendono in ugual misu-ra diversi ambiti della politica culturale, quali la salvaguardia e la promozione, la formazione e lamediazione culturale, lo scambio e la garanzia dell’accesso alla cultura… Il risveglio dell’interesseper questo genere di sapere, sollecitato anche da recenti contributi e ricerche sulla toponomasti-ca archeologica, promosse dall’Istituto di Topografia Antica dell’Università degli Studi di RomaLa Sapienza, ha suggerito l’avvio di un progetto, intitolato a Calliope, musa della poesia epica edi tutto quello che viene tramandato oralmente attraverso i secoli. Lo scopo di questa propostadi lavoro è la raccolta, la catalogazione e l’analisi critica del maggior numero possibile di leggen-de e tradizioni popolari, alla scoperta di tutti gli elementi utili all’individuazione di resti antichi,la loro salvaguardia e segnalazione agli organi competenti”. Dal sito http://www.bta.it (BollettinoTelematico dell’Arte). Per quanto il suddetto progetto non sia mai stato realmente avviato è amio avviso comunque significativo il fatto che in sede accademica si sia sentito il bisogno dimettere ordine nell’ambito della materia.

6 Si vedano, su tutti, gli straordinari risultati conseguiti a Roma dall’equipe di AndreaCarandini, nel corso degli ultimi anni. Le ricerche archeologiche sul Colle Palatino hannosostanzialmente confermato quanto tramandato in forma leggendaria, oltre che storica, sullanascita di Roma. Per ricavare indicazioni di metodo davvero esemplari cfr. Andrea Carandini,Roma. Il primo giorno, Laterza, Roma-Bari 2007.

Ritornando all’analisi del racconto trevigiano, dobbiamo convenire sulfatto che Camalò non è certo Greenwich, località londinese attraversatadalla linea del meridiano terrestre “zero” e convenzionalmente ricono-sciuta come principale riferimento geografico planetario nel senso dellalongitudine. Né la storia lontana o recente ci racconta che il paese avessequalche valido motivo per rivendicare un ruolo così universale. Pertanto,credo che per decifrare il racconto sia innanzitutto necessario capire cosaintendere per ‘mondo’. Bisogna quindi andare alle origini del vocabolo etradurre opportunamente la parola latina mundus, che in origine signifi-cava ‘pozzo’, ‘fossa’. Dunque, è anche e soprattutto con questa accezioneche, per esempio, dobbiamo pensare all’antica Roma caput mundi. Qui,infatti, la tradizione faceva del mundus una fossa circolare scavata all’attodella Fondazione dell’Urbe.7 Lo storico greco Plutarco, in un passo degliOe béoi ParÁllgloi racconta

Nella fossa, la gente raccolta da Romolo per farne il popolo Romano, gettòciascuna un pugno della propria terra d’origine… le primizie di ogni cosache, ciascuno secondo la propria cultura, ritenesse buona o che fosse per suanatura necessaria.8

Il mundus, dunque, era il centro simbolico di un rito di affratellamentotra le genti che entravano a far parte della nuova comunità9. Plutarco sot-tolinea come questo rito fosse stato appreso da Romolo nel corso di unacerimonia sacra “come fosse un’iniziazione” allestita da alcuni Etruschifatti appositamente venire perché dessero consigli sul modo di eseguire lecose “secondo le norme divine e i libri sacri”. Il mundus del Foro10 è pro-priamente quello che corrisponde all’Umbilicus Urbis Romae, il centrogeografico e simbolico della città. Sempre di origine etrusca era il cerimo-

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7 Dal sito web http://www.zen-it.com/symbol/ombelico.htm. Si veda anche Roma sotterranea, in“National Geographic” edizione italiana, n. 18, luglio 2006, p. 9.

8 Plutarco, Vite parallele, Teseo e Romolo, 11, 2. In realtà la ricerca moderna ha messo inrilievo l’errore dello storico greco che attribuì a Romolo l’intervento politico-religioso. Questo èinvece da attribuire a Servio Tullio, penultimo sovrano della tradizione, che incentrò nel mun-dus la sua rifondazione di Roma. Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi, lari, eroi euomini all’alba di una civiltà, 2 voll., Einaudi, Torino 20032, I, p. 206.

9 Oltre che propiziatorio, concordo con quanti attribuiscono al rito anche valore purificato-rio. Si veda Giacomo Devoto-Giancarlo Oli, Dizionario della Lingua Italiana, Firenze, LeMonnier, 2012, p. 1758 ad vocem ‘mondare’ “liberare dagli elementi nocivi, impuri o inutilizzabili”.

10 L’altro era il Mundus del Palatino, in corrispondenza del sepolcro di Acca Larentia.Carandini, op. cit., p. 531.

niale messo in atto per il tracciato di una centuriazione.11 Dopo aver deli-mitato uno spazio sacro a mezzo di due assi ortogonali, che i Romani inseguito denominarono cardo e decumanus, nel punto centrale si procede-va a scavare una fossa chiamata mundus. In seguito, tutt’intorno venivanoquindi tracciati i confini secondo i riti prescritti.12

A questo punto, quali riferimenti cultuali agrari possiamo mettere inrelazione a Camalò? Ricapitoliamo, innanzitutto, gli elementi fondamen-tali della tradizione orale trevigiana oltre al mundus: l’intervento delCreatore, il compasso e una dichiarata centralità geografica. Questo cen-tro dell’alta pianura è citato per la prima volta nel XII secolo “Cama -lao”.13 Da un punto di vista etimologico il toponimo rimane di non facileinterpretazione e per non suscitare aspettative devo subito puntualizzarecome, allo stato attuale della ricerca, non sia stato ancora possibile venir-ne a capo. Alcuni ricercatori individuano una possibile etimologia nellatino *Ca(sa) malatorum ‘casa, ospitale degli ammalati’, alludendo all’an-tico Ospedale di Lovadina,14 fondato nel 1009 circa e nel medioevo pro-prietario dei terreni sui quali è situato il paese. Altri studiosi, invece,fanno riferimento ad una *callis maior ‘calle maggiore’ o ‘calle principa-le’15 dell’agro centuriato romano facente capo all’antica Tarvisium, dal

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11 Così in Frontino, Liber II, De Limitibus, “Limitum prima origo, sicut Varro descripsit, adisciplina Etrusca; quod aruspices orbem | terrarum in duas partes diviserunt, dextram appella-verunt quae septentrioni subiaceret, sinistram quae ad meridianum terrae esset, ab oriente adoccasum, quod eo sol et luna spectaret, sicut quidam architecti delubra in occidentem rectespectare scripserunt. Aruspices altera linea ad septentrionem a meridiano diviserunt terram, et amedia ultra antica, citra postica nominaverunt. Ab hoc fondamento maiores nostri in agrorummensura videntur costituisse rationem. primo duo limites duxerunt; unum ab oriente in occa-sum, quem vocaverunt decimanum; alterum a meridiano ad septentrionem, quem vocaveruntcardinem. Decimanus autem | dividebat agrum dextra et sinistra, cardo citra et ultra”. Cfr.Gromatici Veteres ex recensione Caroli Lachmanni, II vol., edizione anastatica, Bardi, Roma 1966,pp. 27-28. Varrone, De re rustica,

12 Varrone, De re rustica, I, 20, 2.13 Il toponimo “Camalao” è citato in una bolla pontificia di Alessandro III del 10 agosto

1177. Antonio Sartoretto, Antichi documenti della diocesi di Treviso (905-1199), TET, Treviso1979, p. 95. Nel Trevigiano, poi, esiste un’altra Camalò, in Comune di Vidor, nel cosiddettoQuartier del Piave.

14 Si tratta dell’ospedale di S. Maria del Piave. Cfr. Pier Angelo Passolunghi, I Collalto,ASVE, S. Maria degli Angeli in Murano, b. 22, perg. 31.

15 Non si tratterebbe del cardine massimo centuriale, ma di un cardine corrispondente alladelimitazione di una centuria. Anche nella Treviso medievale, a partire dal XII secolo, le vie cit-tadine erano divise in calles maiores, de medio e minores. Non è però chiaro se tale classificazionegerarchica risalga ad epoca romana o più probabilmente medievale. In epoca antica, infatti, gliassi centuriali principali e secondari erano chiamati limites e le strade urbane viae. Dunque, la

momento che la strada principale del paese coincide – per un tratto – conun cardine antico.16 Nella pianura trevigiana tra Piave e Sile, infatti, sonostate osservate linee ortogonali riferibili ad almeno tre diversi orientamen-ti17 di terreni, strade e fossati (Fig. 1).

Dei tre orientamenti, uno in particolare (43° NO - 47° NE) è ricon-ducibile ad un intervento romano organizzato su vasta estensione secon-do un modulo canonico costante (Fig. 2).

L’individuazione delle suddette linee su immagini satellitari opportu-namente elaborate, permette di postulare una serie di interventi agrimen-sori ripetuti nel tempo e modificati da eventi alluvionali18 di vasta portataai quali l’alta pianura è stata storicamente esposta. La fitta presenza delle

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presenza di una Calmaggiore – di indubbia origine medievale – potrebbe significare che fossenon tanto la principale strada cittadina quanto, piuttosto, una delle strade destinate a scandire lospazio urbano.

16 La centuriazione facente capo a Treviso dovrebbe risalire al I secolo d.C. Ezio Buchi,Tarvisium e Acelum nella Transpadana, in Storia di Treviso, vol. I, Le origini, Marsilio, Venezia1989, pp. 223-33, 260-261; Paola Furlanetto, Treviso, in AA. VV., Misurare la terra: centuria-zione e coloni nel mondo romano; il caso veneto, Edizioni Panini, Modena 1984, pp. 172-177 (cata-logo della mostra itinerante, Padova, Verona, Treviso, Portogruaro, 1984-85), p. 172.

17 indicare gli orientamenti in gradi.18 Achille Costi-Luciano Lazzaro-Bruno Marcolongo-John Visentin, La centuria-

zione romana fra Sile e Piave nel suo contesto fisiografico. Nuovi elementi di lettura, CNR-Istitutodi Geologia Applicata, Padova 1992, carta. Bruno Marcolongo -Mario Mascellani, Imma -gini da satellite e loro elaborazioni applicate alla individuazione del reticolato romano nella PianuraVeneta, Archeologia Veneta, 1, 1978, pp. 131-145. Furlanetto, op. cit., pp. 172-177.

Fig. 1. Il palinsesto centurialenella pianura trevigiana.

linee riconducibili ai tre orientamenti agrari in un’area geografica com-presa tra gli attuali territori comunali di Ponzano, Povegliano, Villorba eMaserada dimostra la preferenza accordata dagli agrimensori per l’incipitdelle operazioni di misura e organizzazione territoriale (Fig. 1). Si trattadi una scelta reiterata dovuta, oltre che alla sua posizione centrale, credo,anche ad un’antica ritualità. Prima di poter intraprendere una seria inda-gine, però, occorreva accertare ab antiquo l’esistenza e soprattutto l’ubica-zione di un pozzo, rivelate entrambe dalla suddetta ricerca d’archivio acura del Tozzato.19 Il manufatto, utilizzato fino agli anni Cinquanta delsecolo scorso, si trovava nell’attuale Piazza S. Matteo (Fig. 3).

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19 Giovanni Battista Tozzato, vedi opera. ANotTV, in ASTV, b. 73, 19-5-1352.

Fig. 2. Le tracce ancora riscontrabili della centuriazione romana di Treviso.

Ma quali elementi abbiamo per affermare che il mundus sia proprio ilpozzo menzionato nel 1352? In attesa della sua riapertura, analisi ed even-tuale conferma archeologica degli interventi sulla muratura non ci sonoargomenti decisivi per affermarlo. Seguendo la lettera del documento,poi, è possibile evidenziarne una caratteristica tecnica. Il manufatto, con-trariamente ai pozzi romani, generalmente costruiti senza impermeabiliz-zazione della canna per recuperare l’acqua infiltrata dagli strati del terre-no, doveva essere isolato da uno spessore di argilla e rivestito di mattoni eciottoli legati da malta. L’analisi topografica ha fatto molto significativa-mente emergere che il pozzo, per quanto sia ormai chiuso da alcunidecenni, si trova vicino – circa 150 metri in linea d’aria – ad un’interse-zione di un cardine centuriale superstite con un decumano (Fig. 4).

Al riguardo, mi pare estremamente interessante un passo di Vitruvioche riferisce “… si erit caput aquae inventum, plures putei suntfodiendi”20 (se verrà trovata la falda, si dovranno scavare numerosi pozzi).Con queste parole il grande architetto latino invitava ad approfittare del-l’individuazione della falda, soprattutto in contesti poveri di vene acqui-fere. Scavando più pozzi possibili, se una sorgente si esauriva, non si cor-reva il rischio di rimanere senz’acqua. Il “centro” dell’intera estensionecenturiale originaria, dunque, non si sarebbe trovato in corrispondenzadel pozzo documentato dal XIV secolo, ma presso una sorgente.

Infatti, a testimonianza delle rilevanti risorse idriche del sito è estre-mamente significativo che, esattamente all’intersezione appena ricordata,

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20 Vitruvio, De Architectura, VIII, I, 6.

Fig. 3. Il luogo in cui si trovail pozzo, adiacente alla piazzadel paese.

la carta catastale austriaca del 184721 riporti una pozza d’acqua grande suf-ficientemente da formare un laghetto (Fig. 5), in luogo dell’attuale com-plesso idrico realizzato per il monumento ai caduti (Fig. 6). Si tratta delcosiddetto Lavajo, cioè di una risorsa idrica a lungo utilizzata per abbeve-rare il bestiame transumante tra pianura e pedemontana, nonché per altreesigenze igieniche della comunità locale (Fig. 7). Dunque, analizzandoulteriormente il racconto alla luce di quanto riscontrato sul terreno esulle fonti documentarie è lecito chiedersi se l’umbilicus/mundus dellacenturiazione si trovasse proprio qui, in corrispondenza del laghetto. O,piuttosto, si tratta di un detto originato da un evento posteriore eseguitoa Camalò per obliterare il lontano ricordo di un’operazione agrimensoria“pagana”? Allo stato attuale della ricerca, il problema rimane aperto.22

Tuttavia, pur non potendosi ricavare coordinate temporali dagli eventimensori sul terreno e dal detto popolare, sono del parere che quest’ulti-mo faccia riferimento ad una tradizione agrimensoria di origine antica,continuata in epoca medievale, veneziana e contemporanea, tale da“inventare” e mantenere vivo il racconto.

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21 ASTV, Catasto Austriaco, Camalò, f. 4, 1847.22 Un’altra possibile ubicazione dell’umbilicus centuriale, come proposto da chi scrive, era la

località Caotorta. Cfr. Giovanni Roman, La Via del Porto: ipotesi per un’antica strada del Trevi -giano, Piazza Editore, Silea (Treviso) 1998, p. 48.

Fig. 4. Incrocio di uncardine e di un decu-mano presso Cama lò.

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Fig. 5 e particolare (ASTV, Catasto Austriaco, Camalò, f. 4, 1847). Concessa dal Mini -stero bb.aa.cc. Archivio di stato di Treviso. Concessione n. 8/2012 prot. n. 2084 cl.28.13.07/7.

Anche l’attestazione seicentesca23 di una Strigada (1635) nella microto-ponomastica di Camalò, sembra fare riferimento ad un’operazione di stri-gatio, cioè ad un tracciato di linee agrarie in senso nord-sud. Senza tut -tavia farlo necessariamente risalire ad un intervento romano, questotoponi mo seicentesco testimonia la vitale continuità delle attività agri-mensorie in area trevigiana. Infatti, è indubbio che l’orientamento ancora

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23 ASTV, b. 622 - Comune.

Fig. 6. Il monumentoai Caduti sul sito del-l’antico Lavajo.

Fig. 7. Il Lavajo di Ca -malò.

evidente su larga parte della pianura centuriata dimostri la validità di scel-te mensorie romane mantenute nel tempo perché estremamente funzio-nali. A tale riguardo, particolarmente rilevante è il carattere conservativodel campo trevigiano, equivalente a 5204,70 mq.24

Dunque, constatata la presenza dei segni sul terreno e la loro origine,è significativo che il racconto riporti elementi – riferibili tanto alla praticaquanto agli strumenti – che con ogni probabilità prefigurano interventidi organizzazione agraria: il mundus/pozzo, cioè la risorsa idrica fonda-mentale, il compasso, cioè la pertica dell’agrimensore25 (Fig. 8), il Crea -tore, cioè l’agrimensore stesso rivestito di alte funzioni sacrali e – nonultima – la centralità di Camalò in ambito centuriale.

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24 Achille Costi, Ritrovamenti e persistenze dell’antico, in Costi-Lazzaro-Marcolongo-Visentin, op. cit., p. 27. L’autore osserva che “… la misura del campo trevigiano di 5204,70 mqsi può ottenere, dopo i necessari aggiustamenti dovuti alla presenza delle strade e con una certaapprossimazione, dalla centesima parte della centuria che corrisponde a 529.887,36 mq; non soloma che la centuria si potrebbe dividere in 100 appezzamenti da 240X252 ‘pes’ (1 ‘pes’ = 29,6cm), superficie corrispondente appunto al campo trevigiano”. Cfr. anche Buchi, op. cit., p. 203.

25 La pertica, strumento agrimensorio usato praticamente fino ai giorni nostri, nella forma sipresenta come un grande compasso. Alcuni esemplari sono conservati presso il Museo dell’Uomodi Susegana (Treviso). Per una dettagliata descrizione dello strumento e del suo uso, si vedaDanilo Gasparini, “Il General Dissegno” della campagna trevigiana. Estimo e agrimensori frainnovazione e tradizione, in Montebelluna. Storia di un territorio. Cartografia ed estimi tra Sei eSettecento, Edizioni Archivi, Venezia 1992, pp. 11-40 (catalogo della mostra, Montebelluna (Tv)28 marzo-31 maggio 1992).

Fig. 8. Il “compasso”,cioè la pertica per ope-razioni mensorie usataancora fino a pochi an -ni fa in area centurialetrevigiana.

La centralità del paese, poi, sarebbe ulteriormente motivata dal fattoche, come sottolinea il Fapanni e come abbiamo constatato, avrebbe for-nito risorse idriche importanti alle comunità circostanti. Dunque, se lalettura del detto popolare in chiave agrimensoria fosse corretta, così comel’accezione originaria di mundus,26 riscontrata solamente in epoca roma-na, si dovrebbe porre decisamente indietro nel tempo l’origine del nucleoinformativo alla base del racconto.

Per concludere, credo si possa quindi affermare che Camalò non ven -ne ubicata al centro del mondo27 inteso come orbs terrarum, ma, con ilsuo mundus/pozzo, fu punto di riferimento per operazioni di suddivisio-ne agraria su ampia scala.

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L’ANTICO POZZO DI CAMALÒ, OVVERO IL CENTRO DEL MONDO NELLA PIANURA TREVIGIANA

26 Già nel Glossario del Du Cange, relativo quindi alla media e bassa latinità, non si riscon-tra più l’accezione di ‘fossa’ e ‘pozzo’. Cfr. Charles Du Cange, Glossarium Mediae et InfimaeLatinitatis…, a cura di Léopold Favre, XIV voll., Niort, 1883-1887, rist. anastatica, ForniEditore, Bologna 1981-1982, vol. V, p. 547. La suddetta accezione non è attestata nemmeno nellalingua italiana. Cfr. anche Manlio Cortelazzo-Paolo Zolli, Dizionario Etimologico dellaLingua Italiana, XI rist., vol. III, Zanichelli, Bologna 1992, pp. 771-772.

27 In provincia di Rieti in epoca romana collocarono l’Umbilicus Italiae, ma la geografia hainfluenzato la toponomastica anche altrove, perfino al di fuori dell’Europa, presso civiltà chenon ebbero alcun contatto con quelle eurasiatiche. In Sud America, infatti, gli antichi Incaschiamarono Cuzco ‘ombelico’ la loro capitale. Cfr. Netto, op. cit., p. 17. All’interno di un’anti-ca area centuriata patavina, in comune di S. Giustina in Colle, esiste il toponimo Cao del mondo‘capo del mondo’. Sebbene non sia ancora stato accertato a quale epoca risalgano le attestazionidel nome di luogo, è estremamente significativa non solo l’evidente connessione con il reticolocenturiale, ma soprattutto la presenza di un mundus fissata nella toponomastica. Anche Giave -nale di Schio (Vicenza), ubicato in area anticamente centuriata, è detto “centro del mondo”.Cfr. Aldo Benetti, Il “graticolato romano”. La centuriazione dell’agro patavino “cis Musonem”. Icastelli, le pievi, la toponomastica, Litotipografia Nigrizia, Verona 1974, p. 74. Rimanendo inItalia, a Cirìmido (Como), esiste il detto “Cirìmido è in mezzo al mondo” e per spiegarlo la tra-dizione locale riporta “È un antico detto, quasi una leggenda, che fa riferire quest’espressione adun bizzarro personaggio cirimidese il quale sosteneva appunto che Cirìmido fosse in mezzo almondo. Per provare le sue affermazioni salì sul campanile e con una lunga pertica cercò di toc-care qualcosa che non fosse di Cirìmido. Naturalmente non ci riuscì e per lui questa fu la provadella somma centralità del paese”. “Il giornale di Cirìmido. InMezzAlMund”, a. I, n. 1, 2000, p.1. Per una possibile etimologia del toponimo, cfr. Dante Olivieri, Dizionario di toponomasticalombarda, II ed., Casa Editrice Ceschina, Milano 1961, p. 178.