Padanie. Il reclutamento dei panjabi indiani nel settore dell'allevamento in Pianura Padana. Paper...

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Padanie Il reclutamento dei panjabi indiani nel settore dell’allevamento in Pianura Padana Nell’intervento ci si focalizzerà su un punto di vista peculiare, che si distanzia dal bracciantato, ma che nella sua specificità ci permetterà di problematizzare l’inserimento di forza lavoro migrante nel primo settore, l’influenza del mercato e delle leggi sull’immigrazione (in particolare la Bossi-Fini), e più in generale le trasformazioni sociali del tessuto locale. Nella relazione ci concentreremo infatti sul lavoro dei panjabi indiani negli allevamenti bovini e più in generale sulla filiera del latte, in particolare in merito alla produzione di Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’indagine è stata condotta utilizzando una metodologia etnografica e qualitativa. In particolare il materiale è stato raccolto tra il 2011 e il 2013, e comprende 52 interviste a migranti panjabi (e 42 a testimoni privilegiati) e sono state condotte osservazioni nei contesti di vita e di lavoro sia in Panjab indiano sia in Italia. La tesi che si vuole supportare parte dall’assunto secondo il quale in questo caso non è corretto parlare nella mansione di sostituzione della popolazione autoctona, ma piuttosto di una trasformazione del processo di produzione e centrale in questo è il sistema di reclutamento attuato dai panjabi attraverso gli intermediari. E' un sistema dove le tre figure coinvolte, datore di lavoro, fruitore e mediatore, ne ottengono un beneficio seppur di diversa entità ed è influenzato dal mercato del lavoro del settore e dalle politiche migratorie. Le tre figure infine hanno qualcosa in comune, essere agricoltori a latitudini diverse. Di Vanessa Azzeruoli La realtà della Pianura Padana ha visto una crescita esponenziale del fenomeno migratorio, dove Emilia Romagna, Lombardia e Veneto possiedono in quasi tutte le provincie una percentuale di migranti stranieri superiore al 20% rispetto alla popolazione locale. La migrazione è solo uno dei cambiamenti che hanno coinvolto la zona: negli anni ’90 e inizio 2000 l’apertura di nuove zone industriali sul territorio hanno portato ad un’urbanizzazione della campagna, seppur eterogenea sul territorio. Grandi palazzi svettano ai margini dei nuclei abitati e nelle frazioni, mentre tra i campi di grano e gli allevamenti emergono zone industriali, alcune delle quali fortemente colpite dalla crisi economica, con capannoni dismessi o mai terminati. Enormi stalle “moderne” si alternano a vecchi allevamenti di suini fatiscenti abbandonati con il crollo del prezzo della carne del settore. Parlare di agricoltura e migrazione in Pianura Padana nel 2014 dal punto di vista sociologico impone uno sguardo policentrico e necessariamente multidisciplinare. Nell’intervento ci si focalizzerà su un punto di vista peculiare, che si distanzia dal bracciantato, ma che nella sua specificità ci permetterà di problematizzare l’inserimento di forza lavoro migrante nel primo settore, l’influenza del mercato e delle leggi sull’immigrazione (in particolare la Bossi -Fini), e più in generale le trasformazioni sociali del tessuto locale. Nella relazione ci concentreremo infatti sul lavoro negli allevamenti bovini e più in generale sulla filiera del latte che a queste latitudini significa per lo più Grana Padano e Parmigiano

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Padanie Il reclutamento dei panjabi indiani nel settore dell’allevamento in

Pianura Padana

Nell’intervento ci si focalizzerà su un punto di vista peculiare, che si distanzia dal bracciantato, ma che

nella sua specificità ci permetterà di problematizzare l’inserimento di forza lavoro migrante nel primo

settore, l’influenza del mercato e delle leggi sull’immigrazione (in particolare la Bossi-Fini), e più in

generale le trasformazioni sociali del tessuto locale. Nella relazione ci concentreremo infatti sul lavoro

dei panjabi indiani negli allevamenti bovini e più in generale sulla filiera del latte, in particolare in merito

alla produzione di Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’indagine è stata condotta utilizzando una

metodologia etnografica e qualitativa. In particolare il materiale è stato raccolto tra il 2011 e il 2013, e

comprende 52 interviste a migranti panjabi (e 42 a testimoni privilegiati) e sono state condotte

osservazioni nei contesti di vita e di lavoro sia in Panjab indiano sia in Italia. La tesi che si vuole

supportare parte dall’assunto secondo il quale in questo caso non è corretto parlare nella mansione di

sostituzione della popolazione autoctona, ma piuttosto di una trasformazione del processo di produzione

e centrale in questo è il sistema di reclutamento attuato dai panjabi attraverso gli intermediari. E' un

sistema dove le tre figure coinvolte, datore di lavoro, fruitore e mediatore, ne ottengono un beneficio

seppur di diversa entità ed è influenzato dal mercato del lavoro del settore e dalle politiche migratorie.

Le tre figure infine hanno qualcosa in comune, essere agricoltori a latitudini diverse.

Di Vanessa Azzeruoli

La realtà della Pianura Padana ha visto una crescita esponenziale del fenomeno migratorio,

dove Emilia Romagna, Lombardia e Veneto possiedono in quasi tutte le provincie una

percentuale di migranti stranieri superiore al 20% rispetto alla popolazione locale. La

migrazione è solo uno dei cambiamenti che hanno coinvolto la zona: negli anni ’90 e inizio

2000 l’apertura di nuove zone industriali sul territorio hanno portato ad un’urbanizzazione della

campagna, seppur eterogenea sul territorio. Grandi palazzi svettano ai margini dei nuclei abitati

e nelle frazioni, mentre tra i campi di grano e gli allevamenti emergono zone industriali, alcune

delle quali fortemente colpite dalla crisi economica, con capannoni dismessi o mai terminati.

Enormi stalle “moderne” si alternano a vecchi allevamenti di suini fatiscenti abbandonati con

il crollo del prezzo della carne del settore.

Parlare di agricoltura e migrazione in Pianura Padana nel 2014 dal punto di vista sociologico

impone uno sguardo policentrico e necessariamente multidisciplinare. Nell’intervento ci si

focalizzerà su un punto di vista peculiare, che si distanzia dal bracciantato, ma che nella sua

specificità ci permetterà di problematizzare l’inserimento di forza lavoro migrante nel primo

settore, l’influenza del mercato e delle leggi sull’immigrazione (in particolare la Bossi-Fini), e

più in generale le trasformazioni sociali del tessuto locale.

Nella relazione ci concentreremo infatti sul lavoro negli allevamenti bovini e più in generale

sulla filiera del latte che a queste latitudini significa per lo più Grana Padano e Parmigiano

Reggiano. Da oramai due decenni il reclutamento degli indiani nel settore è divenuto un

elemento caratteristico e per quanto non vi siano dati ufficiali alla mano, si parla oramai di più

del 50% di mungitori di tale nazionalità. La convivenza apparentemente è pacifica, di

collaborazione, e non di rado all’imbrunire famiglie di locali e italiani si alternano nelle

passeggiate lungo gli stradelli di campagna. La voce è arrivata fino al New York Times che,

nel 2011, ha sostenuto come uno sciopero degli indiani all’interno della filiera avrebbe

interrotto la produzione di Grana Padano® (e Parmigiano Reggiano®). Ma all’orizzonte non vi

è nessuna ombra di sciopero.

Sotto la calma apparente, un assordante frastuono?

L’indagine è stata condotta utilizzando una metodologia etnografica e qualitativa. In particolare

il materiale è stato raccolto tra il 2011 e il 2013, all’interno della ricerca per la tesi di dottorato

in Scienze Sociali presso l’università di Padova. Il tema studiato era più vasto e comprendeva

lo studio della figura degli intermediari nella migrazione panjabi indiana in Italia, in particolare

in merito all’arrivo, alla stabilizzazione e allo spostamento in un paese terzo e l’influenza delle

politiche migratorie e il mercato del lavoro su di essa. Per questa ricerca sono state effettuate

52 interviste a migranti panjabi (e 42 a testimoni privilegiati) e sono state condotte osservazioni

nei contesti di vita e di lavoro sia in Panjab indiano sia in Italia.

La tesi che si vuole tentare di supportare parte dall’assunto secondo il quale nel caso dei panjabi

negli allevamenti non è corretto parlare nella mansione di sostituzione della popolazione

autoctona con i migranti. Piuttosto le trasformazioni all’interno della filiera, in particolare del

processo di trasformazione, hanno coinciso con il reclutamento della forza lavoro migrante. Vi

è stata infatti negli ultimi venti anni una riduzione del numero delle aziende (dimezzate in tutte

le fasce altimetriche) e degli allevamenti, un ampliamento delle dimensioni degli allevamenti

esistenti, un raddoppio della produzione nel Parmigiano Reggiano e una triplicazione della

produzione del Grana Padano. Centrale in questo è il sistema di reclutamento attuato dai

panjabi, sotteso all’etichetta del buon lavoratore indiano propenso al lavoro con gli animali, in

particolare le mucche. Esso, secondo piani diversi, è favorevole per tutti gli attori coinvolti:

datore di lavoro, lavoratore e mediatore. Da una parte all’interno del frame della Bossi-Fini

questo sistema ha permesso di costruire la catena migratoria dal Panjab; d’altra parte ha

garantito la produzione 365 gg l’anno e ha gerarchizzato la componente migrante attraverso la

figura del mediatore. Tale figura acquisisce attraverso il capitale simbolico ed economico

accumulato durante l’attività una posizione privilegiata e di potere all’interno della catena

migratoria. E le tre figure hanno qualcosa in comune, essere agricoltori in luoghi diversi.

L'immigrazione indiana si concentra in Lombardia (55 417), Emilia Romagna (18 901), Veneto

(17 522), e Lazio (18 144); il bacino principale comprende la Provincia di Mantova la bassa

Bresciana, Bergamasca e il basso Piacentino, Reggiano, Modenese. I lavori nel primo settore

effettuati dai panjabi sono principalmente due: bracciante, in particolare nella zona di Latina, e

di operaio specializzato nella filiera della trasformazione del latte. L’impiego più noto è nella

filiera del Grana Padano e Parmigiano Reggiano, mentre ancora non vi sono ricerche specifiche

nella filiera della Mozzarella di Bufala tra le provincie di Salerno e Caserta, e negli alpeggi

prealpini e appenninici. La mansione più ricorrente è quella di mungitore, mentre testimonianze

ancora non sufficientemente supportate da ricerche scientifiche riportano l’inserimento in altre

mansioni della filiera, sia nel trasporto del latte sia nella trasformazione del parmigiano stesso

(caseificio).

Grafico 9 Distribuzione soggiornati indiani in Italia

Fonte: ISTAT

Peculiare è invece la distribuzione territoriale con una forte concentrazione nelle aree rurali

o in piccoli aggregati. Prendendo come riferimento i residenti in termini assoluti ritroviamo, tra

i primi 5 agglomerati, 3 piccole città: Suzzara, Arzignano e Sabaudia.

Tabella 12 Città maggiormente rappresentative per la migrazione indiana. Numeri assoluti e

comparazione con il totale di resistenti

Indiani Residenti Totali

Roma 6.291 2 641 93

Brescia 2.045 188 872

Suzzara (MN) 1.244 20 314

Arzignano (VI) 1 095 25.713

Sabaudia (LT) 985 19.287

Fonte: ISTAT, Dati 2010. Elaborazione nostra

La migrazione indiana è particolarmente rilevante in agricoltura: è la seconda nazionalità in Italia ad

essere occupata in tale settore, preceduta dalla sola Romania. I dati della Coldiretti sottolineano infatti

come, nel 2012, 27 789 lavoratori indiani era impiegati in tale settore, un terzo del totale dei lavoratori

(e lavoratrici) di tale nazionalità. Da notare il trend positivo negli anni della crisi economica.

Grafico 15 Occupati indiani per settore di attività economica (v.%). Serie storica 2007-2012

Fonte: MPLS.

I lavoratori di nazionalità indiana detengono la percentuale più elevata di lavoratori agricoli a tempo

indeterminato (6 057), che supera di gran lunga i rumeni (4 824), nonostante questi ultimi siano 5

volte più numerosi nel settore; la classe di reddito è superiore rispetto agli altri migranti extra EU.

Inoltre il tasso di disoccupazione è in linea con quello dei locali e notevolmente inferiore alle altre

nazionalità.

Grafico 13 Reddito medio per cittadinanza. Serie storica 2007-2012

Fonte: MPLS.

Grafico 14 Occupati per classe di reddito. Anno 2012

Fonte: MPLS [2013, p. 40]

Grafico 16 Tasso di disoccupazione per cittadinanza. Serie storica 2007-2012

Fonte: MPLS.

Il Punjab è un piccolo stato nell’India del Nord al confine con il Pakistan e ha un forte legame

con la diaspora mondiale tanto che alcuni autori parlano di Panjab de-centrato.

Gran parte di loro è di religione sikh, mentre la minoranza è hindu e ravidassia. La casta prevalente

in Italia è quella dei seini, storicamente inseriti nel settore della coltivazione di frutta e verdura,

seguita dai jat, la casta più influente in Panjab che corrisponde ai proprietari agricoli (riso/grano). Ad

esse da segnalare inoltre minoranze di bramini (hindu), rajput (hindu e sikh), lubana (sikh), e di quelli

che furono “fuoricasta”, in particolare di casta chamar (conciatori) e di religione ravidassia. I Panjabi

sono per lo più agricoltori poco istruiti che migrano per motivi “economici” legati alla diminuzione

dei proventi delle terre dovuti, ironicamente, dalle ripercussione delle trasformazioni economiche nel

primo settore in Panjab.

In Italia la migrazione è iniziata negli anni ’70 attraverso il canale del circo equestre, mentre

l’inserimento in agricoltura è avvenuto a partire dalla fine degli anni ’80 inizio ’90. La strategia

migratoria dei pionieri, in panjabi babas, è piuttosto standardizzata e vede l’uomo che va all’estero,

prende i documenti, si sposa e ricongiunge la moglie ed eventualmente i figli. Nonostante la

restrizione degli ingressi a cittadini terzi da parte dell’Italia, la presenza della migrazione indiana è

decuplicata negli ultimi 20 anni. Ma come hanno fatto a costruire una catena migratoria negli anni

della Bossi-Fini? Il meccanismo di reclutamento e la figura del mediatore risulta centrale.

Grafico 7 Soggiornanti Indiani in Italia

Fonte: ISTAT.1 Elaborazione nostra

Il lavoro nelle stalle.

Il lavoro nelle stalle, in particolare la mungitura, è svolto su doppia turnazione a distanza di 12 ore e

comprende un turno notturno e uno diurno (solitamente dalle 4 alle 8 e dalle 16 alle 20). È un lavoro

duro, che richiede capacità di lavorare in autonomia e specializzazione, in quanto la mungitura è

sempre più tecnologizzata. La selezione dei capi è inoltre centrale nella produzione: il latte prodotto

per capo è passato dai pochi litri della frisona locale ai 35-40 della vacca selezionata attraverso

inseminazione artificiale, l’olandese. La vacca, d’altra parte, una volta rimaneva nella stalla per una

ventina d’anni ora dopo 2/3 parti viene macellata e sostituita. Questo significa un forte ampliamento

delle dimensioni delle stalle, e in particolare della parte non produttiva, dettata dalla crescita del tasso

di rimonta interna. In altri casi i capi vengono divisi in più strutture, come le aziende specializzate

che si occupano dei vitelli da ingrasso. Le aziende piccole sono quindi scomparse, mentre in quelle

grandi la taylorizzazione delle mansioni e la richiesta di personale subordinato diviene centrale.

Spesso le vecchie aziende e proprietà sono state acquistate dalle aziende in espansione per costruire

nuove stalle sul terreno e coltivare a foraggio i terreni;2 questo vuol dire che i molti casolari siti su di

essi possono essere affittati o dati in comodato. Vedremo poi come questo è stato un punto importante.

La famiglia dei datori di lavoro non basta per coprire i ruoli all’interno della produzione, i membri

più giovani preferiscono lavorare in altri settori o adempiere alle mansioni d’ufficio; vi è stato infatti

un aumento della burocratizzazione dettata dall’aumento delle certificazioni e dei controlli. La figura

1 I dati del 1971 e 1981 non distinguono il genere. 2 Oltretutto il nuovo protocollo del Parmigiano Reggiano prevede la coltivazione in loco del foraggio.

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

donne

uomini

storica del bergamino che spesso viveva a vita nella proprietà padronale con la famiglia e lavorava

con i datori di lavoro è stata sostituita da una serie di operai specializzati su una o più mansioni,

mentre il datore di lavoro si stacca sempre più dal lavoro manuale in sé. Nelle stalle è quindi difficile

vedere fisicamente il datore di lavoro, e i lavoratori devono adempiere agli impieghi in autonomia. I

datori di lavoro necessitano quindi di forza lavoro 365 giorni l’anno, sempre presente, specializzata,

autonoma. E l’hanno trovata nei migranti panjabi. Il “cappello culturalista” costruito dai datori di

lavoro locali in merito alla presunta propensione vocazionale nella mungitura dettata dalla sacralità

della vacca (sfatata anche dal fatto che la maggior parte dei mungitori è sikh o ravidassia, religioni

per le quali non vi è nessuna sacralizzazione della mucca) nasconde la scelta, dopo aver “testato”

lavoratori di diverse provenienze, dei migranti indiani proprio per il loro sistema di sostituzione che

garantisce la continuità della produzione.

Gli indiani sono un fenomeno positivo della globalizzazione. Negli anni 80 nessuno più si

fermava nella stalla ed è impossibile trovare dei ragazzi che si svegliano alle 4 di mattina ad

andare nella stalla, non li trovi. Ti dicono sì sì e dopo... non son capaci di lavorare pensano solo

allo stipendio […] e chiedono se sabato son liberi, domenica... quanto gli dai... in un'azienda

agricola non esiste il sabato e la domenica... ok non schiavizziamo... un ragazzo di Modena ha

lavorato 6 mesi e non ha mai lavorato una domenica... andava a Carpi... e poi se proprio

avevamo bisogno lo avvisavamo molto prima... ma l'approccio mentale è: “sabato sono libero

domenica sono libero?” […]. Gli indiani hanno usato una strategia. Negli anni ‘80 sono arrivati

i filippini e vietnamiti... noi non li abbiamo mai avuti... e gli altri ci han detto che erano

inaffidabili ed era vero... venivano e il giorno dopo andavano via... e uno rimaneva così... poi

sono venuti i neri ed è peggio che andar di notte... ne abbiamo avuti, alcuni incapaci, quello ci

sta, bianchi, neri... se uno non ha voglia di lavorare, non conta la pelle! Abbiamo avuto uno del

Congo, un'altro senegalese, uno della Costa d'Avorio che non possiamo dire che abbiano

lavorato male... tranne uno che era un disgraziato... erano bravi ma l'indomani arrivava

l'amichetto della comunità che diceva che alla TNT gli davano 10€ in più e andavano lì... E ne

ho visto tanti...che mi rincontravano dopo quando erano alla TNT e mi dicevano “Son sempre

per strada”. Ci dovevi pensar prima, devi aver l'attitudine, loro quando si presentano dicono che

non hanno mai problemi e fanno qualsiasi cosa... poi non è vero sono uomini come tutti... alcune

cose sono più propensi altri no... e da lì cos'è successo... che hanno iniziato a proporsi gli

indiani... guarda che son bravi! Ne abbiamo avuto uno all'inizio veramente bravo, era il 1997-

8, ha lavorato 4 anni e poi era un po' un esaltato, gli piacevano i muscoli ed è andato a fare il

buttafuori... se è contento lui! Poi ce ne han proposto un altro... ha lavorato benissimo... anche

lui ha fatto la scelta di fare il corriere di notte, gli piace distribuire i giornali, questo nel 2004-

5... Però gli indiani hanno un'accortezza che altre etnie non hanno... quella di preoccuparsi del

posto che lasciano... è una tendenza che mi han detto anche gli altri [agricoltori]... si

preoccupano del posto che lasciano... si preoccupano del datore di lavoro... cambio lavoro ma

attenzione se vuoi io c'avrei tizio che potrebbe venire al posto mio... ti vedi di fronte un operaio

che lavora bene, che ti dice, e ti propongo lui... ovvio se è bravo come te fallo venire... poi...

questo ragazzo qui aveva 2 fratelli uno bravissimo che ha lavorava con noi copriva i buchi

quando non c'era lui e andava in ferie... e l'altro fratello è quello che vive di su... questo qua...

ha la passione del bere, ciucca un po' e ha rischiato il licenziamento anche se siamo molto

pazienti... perché non sono lavori facili e cerchi di avere il massimo della comprensione... ma

abbiamo piazzato la figlia... che è maggiorenne ha detto che sarebbe venuta volentieri... è una

ragazza straordinaria... lei lavora con il papà. Della mungitura si occupa della stalla con una

precisione una cura... capisce tutto al volo e ti dà soddisfazioni... ha grosse difficoltà a capire

l'italiano... ma ha intuito... siamo contenti e il padre si affida a lei fa da parafulmine...anche lui

è bravo... sono persone che magari hanno dei vizi fuori dal lavoro... per dire... ha rischiato il

licenziamento perché è arrivato a lavorare sbronzo... ma nel lavoro in sé quando è sobrio lo fa

bene... non fa cazzate [Datore di lavoro, Prov. Parma, 01/10/2012].

Il sistema che emerge vede due figure: l’intermediario occasionale e quello di professione. Il primo

non reitera l’intermediazione e accumula come vedremo capitale simbolico; il secondo ne fa della

mediazione una vera e propria professione dove la Legge Bossi fini influenza la costruzione della

figura stessa e il guadagno è oltre che simbolico, anche economico. Vi sono due tipologie di

intermediario che abbiamo categorizzato in contractor, esterno all’azienda, o caporeparto, all’interno

dell’azienda. Il primo fornisce un nuovo contatto al datore di lavoro di un’altra azienda o della propria

azienda prima di andarsene; il secondo fornisce un nominativo da assumere all’interno dell’azienda

in cui già lavora o gestisce le sostituzioni temporanee.

In questo modo il datore di lavoro vede garantita la produzione; allo stesso tempo i lavoratori vengono

formati gratuitamente dall’intermediario. Ma perché fanno tutto questo?

Un lavoro strategico ai tempi della Bossi Fini.

Il lavoro nelle stalle è strategico per i panjabi in quanto ha permesso attraverso le sanatorie prima e i

decreti flussi poi la regolarizzazione dei migranti. Il lavoro nelle stalle nel Nord Italia è un lavoro

contrattualizzato e il salario è piuttosto cospicuo, e varia tra i 1 800 e i 2 500€ al mese. Molti per

arrivare a cifre così elevate si occupano anche dei parti. Il contratto e il salario elevato hanno permesso

di ottenere velocemente il ricongiungimento familiare e la carta di soggiorno, aiutati da un terzo

fattore fondamentale: la casa in comodato. Le famiglie così ricostituite spesso comprendono la moglie

i figli, i genitori/suoceri e talvolta fratelli e sorelle, parenti e conoscenti reclutati nel medesimo lavoro,

di cui parleremo pocanzi, o più semplicemente ospitati per un breve periodo durante la ricerca del

lavoro. Le case in comodato sono spesso grandi e permettono di ospitare diverse persone nonostante

siano prive di riscaldamento e piuttosto fatiscenti.

Il lavoro nelle stalle diviene quindi strategico per la prima parte del percorso di stabilizzazione sul

territorio. Allo stesso tempo la casa in comodato può divenire una sorta di gabbia: l’espressione di un

intervistato è risultata particolarmente felice nel definire la “seclusione” nella proprietà del padrone,

cioè essere “come il pulcino sotto gli occhi dell’aquila”.

Quando vivi dentro la proprietà, la casa in comodato ti trasforma in uno schiavo. Perché se vuoi

lasciare il posto di lavoro hai due problemi, o accetti tutto o devi trovare un altro lavoro e un’altra casa

contemporaneamente [Sunny, F, 49 anni, ND, Talvan ( Kapurthala ) , Prov. Reggio Emilia , 09-04-

2012].

Cambiare posto di lavoro significherebbe quindi perdere la casa contemporaneamente e questa

diviene una delle motivazioni della necessità di un sistema di sostituzione che garantisca nelle

modalità e nei tempi l’uscita dalla casa. Un’altra angolatura con la quale guardare il sistema di

reclutamento prende in considerazione l’ottica “generazionale” della migrazione. I primi ad essere

stati reclutati sono quei pionieri, babas, spesso arrivati o inseriti come primo lavoro nel circo che ha

permesso loro di conoscere la lingua e il territorio italiano e autonomamente hanno individuato la

stalla nella quale avrebbero poi lavorato. Il sistema di sostituzione garantisce loro di scegliere chi

chiamare; ovviamente in ultima istanza è il datore di lavoro a pronunciarsi in merito ma questo

permette di “chiudere” ai parenti e conoscenti l’accesso al lavoro in una determinata stalla che a loro

volta chiameranno i propri familiari. Occorre aggiungere come i panjabi negli anni ’80 e ’90

arrivavano in Italia senza documenti amministrativi attraverso viaggi rocamboleschi via terra o via

nave; dagli anni 2000 l’approdo irregolare è stato sostituito dall’arrivo via aereo con visto turistico,

grazie agli accordi bilaterali Italia-India, a cui sussegue la condizione di overstayer. I maggiori

controlli dei documenti in Italia settentrionale hanno portato alla creazione di un bacino di panjabi

senza documenti amministrativi nella zona del parco del Circeo (Latina) assunti come braccianti in

attesa di regolarizzarsi. Il reclutamento mediante intermediario permette di ottenere un lavoro

regolare anche senza aver prima acquisito sufficienti conoscenze della lingua e della società italiane;

tale dinamica provoca d’altra parte una dipendenza del fruitore nei confronti dell’intermediario che

si prolunga nel tempo, aggravata dall’isolamento geografico dettato dall’atomizzazione delle aziende

agricole in Pianura padana.

Il contratto di lavoro fornito mediante l’intermediario ha infine un costo diverso in base alla

funzione che esso svolge: basti pensare come un contratto che permetta l’emersione dall’irregolarità

amministrativa e l’ottenimento dei documenti sia sempre seguito da un pagamento anche nel caso dei

familiari, mentre l’arrivo diretto mediante decreto flusso l’importo decuplica, superando talvolta i 20

000€ da parte del fruitore, e implica una connessione con un agente in India, l’accordo del datore di

lavoro e altre figure sul territorio. Le politiche migratorie quindi non determinano le migrazioni

piuttosto influiscono sulla costruzione di gerarchie interne ai network e il costo di ipotetiche

regolarizzzazioni.

I datori di lavoro hanno quindi bisogno di lavoratori o di sostituti durante le assenze temporanee e i

licenziamenti; attraverso i mediatori adempiono alle proprie richieste con lavoratori come vedremo

formati e docili, in quanto sottoposti al ruolo disciplinatore dell’intermediario e spesso privi di

conoscenze linguistiche in merito all’italiano. Ma chi sono i mediatori?

“Per loro la mucca è sacra”. Il reclutamento e i mediatori panjabi

Nelle regioni della Pianura Padana considerate da questa ricerca (la provincia di Mantova, la bassa

Parmense, Reggiana, Modenese, cremonese e il Basso Bresciano e Bergamasco), gli intermediari

panjabi nel settore dell’allevamento sono principalmente lavoratori inseriti dagli anni ’80 e ’90 nelle

aziende zootecniche in qualità di mungitori di bovini da latte, i quali reclutano e formano connazionali

(spesso parenti) e in cambio acquisiscono capitale economico e/o sociale.

La storia di Amandeep e Darshan ci servirà come esempio per spiegare il funzionamento.

Amandeep arriva in Italia nel 1990 con un visto turistico per i mondiali di calcio. E’ rimasto oltre

la scadenza dello stesso e ha trovato un lavoro come stagionale nella zona di Latina. Ha lavorato 5

anni senza nessun tipo di contratto come bracciante e cameriere e ha deciso di trovare lavoro in Nord

Italia. E’ arrivato alla stalla di Mario con una borsina di plastica in mano. Il padre di Mario aveva

avuto alcuni problemi di saluti e decisero di assumere Amandeep in qualità di mungitore. Attraverso

la sanatoria del 1997 è stato regolarizzato e gli hanno fornito in comodato una delle case sulla

proprietà. Nel 1998 ha richiesto e ottenuto il ricongiungimento familiare della moglie e della figlia.

Altri allevatori del luogo sono interessati ad assumere nuova forza lavoro e chiedono a Luigi

nominativi e negli anni trova lavoro a decine di lavoratori. Franco è uno di essi. Amandeep stava

ospitando un compaesano, Darshan, che da alcuni anni viveva a Roma senza documenti, l’ha formato

come mungitore e l’ha proposto a Franco. Darshan ha ottenuto i documenti nel 1997. Franco negli

anni successivi ha deciso di aumentare la propria stalla e ha domandato a Darshan di reclutare altri

mungitori. Darshan chiama il fratello mediante il decreto flussi del 1998. Sia Darshan sia il fratello

“chiamano” moglie e figli l’anno successive mediante il ricongiungimento familiare. Nel 2008,

chiamano mediante la sanatoria badanti il fratello, poi assunto nella medesima azienda Agricola.

Darshan adesso non deve più alzarsi alle 3 di mattina, e provvede solo all’approvvigionamento del

cibo agli animali e alla direzione dei lavori in stalla, mentre i fratelli mungono. Mario decide di

allargare anch’egli la propria stalla, ma decide di non chiedere ad Amandeep. Piuttosto fonda assieme

a dei soci una cooperative di sostituzione manodopera e uno dei lavoratori dopo averlo “testato” è

stato assunto all’interno della stalla. Amandeep si licenzia nel 2012 e dopo qualche mese continuerà

la sola attività di mediatore in merito agli arrivi, grazie ai contatti costruiti negli ultimi 20 anni.

In entrambi i casi i lavoratori vengono formati prima di essere inseriti nella mansione dagli stessi

mediatori: l’identità imprenditoriale che si sono portati in valigia dal Panjab gli permette di capire le

esigenze del datore di lavoro. Questo è un nodo centrale per un lavoro specializzato come quello della

mungitura, e permette di costruire la fiducia necessaria con il datore di lavoro per evitare l’incursione

di esterni all’interno del sistema di reclutamento.

Amandeep e Darshan sono due figure molto diverse: la prima diviene un vero e proprio mediatore

di professione e svolge il lavoro contraccambiato con capitale sia economico sia simbolico. La

seconda è un mediatore occasionale che accumula capitale simbolico. Entrambe vedono come

centrale l’influenza delle politiche migratore che, attraverso un utilizzo strumentale, permettono la

regolarizzazione e allo stesso tempo stratificano la componente migrante.

Conclusioni. Gli imprenditori allo specchio.

I panjabi e la figura del mungitore in Pianura padana può difficilmente essere riassunto nel conflitto

tra lavoratori e datore di lavoro. I datori di lavoro in primo luogo non sono che un tassello della filiera

che deve sottostare alle logiche della GDO e i cambiamenti di produzione e di domanda

internazionali. Essi hanno trovato nei mungitori panjabi la possibilità di veder garantita la produzione

mantenendo il costo del lavoro basso, grazie al ricatto intrinseco alla legge Bossi-Fini. Le priorità del

migrante di veder garantita la propria presenza sul territorio e dei propri familiari porta a mettere in

secondo piano l’entità stessa del salario. Diciamo questo perché una delle dinamiche emerse, in

particolare negli anni della crisi economica, è di un abbassamento del salario per gli operai nella

mungitura. Sono gli stessi mediatori, decuplicati, che per piazzare qualcuno e rompere l’egemonia

“familiare” propongono il lavoratore ad un prezzo inferiore. Dinamica che sarebbe probabilmente

notevolmente ridimensionata senza la parte amministrativa legata alle politiche migratorie che in

Italia legano il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Si è arrivati a salari inferiori ai 1000€

mensili. In alternativa un secondo tipo di ricatto emerso è di pagare solo parzialmente le ore svolte

(vengono segnate 6 ore invece delle 8-10 ore realmente lavorare) o in alternativa è stato aumentato il

numero di capi da mungere, lasciando invariato il numero di mungitori.

Quando sono venuti quelli di Brescia [nuovi proprietari dell’azienda agricola, N.d.R.] loro

volevano pagarmi 6 ore... dicevano che erano 300 vacche... dicevano: “il computer di mia figlia

dice che ci vuole questo tempo per mungerle”. Poi le vacche sono aumentate in più c’erano i

vitelli... e il computer non ha detto niente.... e siamo rimasti lì... Poi hai quello malato, perdi

tempo, devi curarlo... gli facevo le punture, gli facevo tutto... Quando è morto mio marito ne

hanno voluto un po' approfittare perché oramai il mondo funziona così... mi hanno aiutato tanto

sono sempre stati bravi... poi dopo voleva più lavoro con la stessa paga... e ho detto no... perché

io lascio a casa i miei figli... io il mio lavoro lo faccio. Però non lavoro a gratis. Perché prima

io la domenica facevo festa non andavo a lavorare... dopo mi hanno chiamato ad andare a

lavorare anche domenica e per me non c'è problema.... Poi non è che quando finisco il lavoro

mi dai un pezzo di formaggio... e mi dai 10 uova. No tu mi dai quello che mi spetta le uova le

vado a comprare io [Sunny, F, vedova, 49 anni, non credente, Talvan (Kapurthala), Prov.

Reggio Emilia, 09-04-2012].

Dall’altra parte come abbiamo visto vi è il tentativo di alcuni datori di lavoro di sostituire il

reclutamento informale del mediatore con cooperative di sostituzione di proprietà degli stessi

allevatori che secondo gli stessi prevengono possibili forme di caporalato. Da un'altra prospettiva è

possibile leggere la formalizzazione del sistema di sostituzione come una forma di accaparramento

del padrone del profitto del mediatore. Notando che molti di essi continuano ad essere panjabi.

Tra i mungitori panjabi d’altra parte è possibile notare come molti di essi dopo un decennio hanno

lasciato tale lavoro perché considerato usurante e alcuni dei quali stanno costruendo aziende agricole

in Panjab di stampo “italiano”, dove la produzione del latte è intensiva e la mungitura è meccanizzata.

Negli ultimi dieci anni decine di macchinari agricoli sono stati acquistati smontati e spediti in Panjab

tanto da far lanciare all’Emilia Romagna un Progetto chiamato “campo prova” di inserimento delle

aziende produttrici di macchinari agricoli emiliane nel mercato indiano.

L’agricoltura in Pianura padana è in continua trasformazione. La lettura che si è cercata di dare

attraverso un caso ben specifico che è quello dei panjabi indiani nel settore dell’allevamento è che

focalizzarsi su un giudizio di valore sul ruolo dell’intermediazione è una modalità parziale che esula

dell’analisi in profondità delle complessità coinvolte. Esse coinvolgono politiche di mercato e

migratorie internazionali nelle quali i singoli cercano di trovare la propria dimensione.

Cadere in analisi semplicistiche in merito alla figura del mediatore sarebbe un po’ come ricordare,

celebrandolo, il tremendo naufragio dell’Isola dei Conigli occorso un anno fa, concentrandosi solo

sulla figura del trafficante.