L’Alto Tigri fra preistoria e protostoria. Sequenze stratigrafiche e occupazione del territorio...

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2014 LE LETTERE FIRENZE UNIVERSITÀ DI TORINO XLIX

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2014

LE LETTERE FIRENZE

UNIVERSITà DI TORINO

XlIX

Rivista fondata da Giorgio Gullini.

Direttore: Carlo lippolis

Redazione: GiorGio BuCCellati

stefano de Martino

antonio invernizzi

roBerta MeneGazzi

roBerta venCo riCCiardi

Proprietà letteraria riservata

Iscritta al Tribunale di Torino n. 1886 del 20/6/67.

Si prega di indirizzare la corrispondenza diretta alla Redazione e i manoscritti a: Carlo Lippolis, Redazione di Mesopotamia, Dipartimento di Studi Storici - Università degli Studi di Torino, Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino.

ISSN: 0076-6615

«Mesopotamia» is an International Peer Reviewed journal.

sommario

mesopotamia xlix 2014

Paolo Fiorina, The Excavations at Tell Hassan, Hamrin, Iraq: Final Report ............................... p. 1

Lucia Chiocchetti, Tell Hassan: the Ubaid pottery ...................................................................... » 27

michele Cammarosano, The Cuneiform Stylus ............................................................................. » 53

marco iamoni, L’Alto Tigri fra preistoria e protostoria. Sequenze stratigrafiche e occupazione del territorio dal Tardo Neolitico ceramico al Tardo Calcolitico ..................................................... » 91

hendrik hameeuw, sam Van oVermeire , The Seleucid bullae from Uruk in the Royal Museums of Art and History, Brussels ................................................................................................... » 113

Notiziario Bibliografico

G.F. Grassi, Semitic Onomastics from Dura Europos. The names in Greek Script and from Latin Epigraphs (Fabrizio a. Pennacchietti) ............................................................................. » 143

m. mouton, J. schiettecatte, In the desert margins. The settlement process in ancient South and East Arabia (Jacopo Bruno) .............................................................................................. » 144

s. plischke, Die Seleukiden und Iran. Die seleukidische Herrschaftspolitik in den östlichen Satrapien (Vito messina) ......................................................................................................... » 145

l. dirVen (a cura di), Hatra. Politics Culture and Religion between Parthia and Rome (Vito messina) ......................................................................................................................... » 146

u. ellerbrock, s. winkelmann, Die Parther. Die vergessene Großmacht (Vito messina) ............ » 148

abstracts ...................................................................................................................................... » 149

plates

marco iamoni

L’ALto tigri frA preistoriA e protostoriAsequenze strAtigrAfiche e occupAzione deL territorio

dAL tArdo neoLitico cerAmico AL tArdo cALcoLitico

La regione in esame

il bacino dell’alto tigri oggetto di studio nel pre-sente articolo corrisponde in gran parte ai moderni governatorati di ninawa e dohuk (entrambi in iraq, il secondo facente parte del Kurdistan iracheno) e alla regione meridionale della provincia di Şirnak, in turchia sud orientale (fig. 1).

da un punto di vista geografico, l’area in esame è nel suo complesso abbastanza omogenea, in quanto caratterizzata dalla vasta piana semi arida nord irache-na e turco meridionale e da una serie di creste rocciose a carattere collinare/montuoso (rappresentate a so dal Jebel sinjar e a ne dagli sviluppi più meridionali del punto di congiunzione fra la catena montuosa del tauro e quella degli zagros) che attraversano la regio-ne in senso no-se. L’attraversamento della regione in senso e-o risulta perciò condizionato dalla presenza di questi rilievi che obbligano il passaggio attraverso determinati percorsi1. i corsi d’acqua sono per lo più di tipo stagionale (eccezion fatta per il fiume tigri) e quindi secchi per la maggior parte dell’anno: si tratta dei cosiddetti wadi che col loro andamento tortuoso caratterizzano la parte immediatamente a ridosso del loro bacino di formazione (ossia le aree in prossimità dei pendii delle sopracitate catene collinari) per poi disperdersi nei bacini endoreici nella piana più meri-dionale o immettersi nel tigri2.

occasionalmente, la regione è attraversata da fiumi veri e propri: è questo ad esempio il caso del fiume dohuk nella piana dell’omonima città, a nord est del bacino di eski mosul, il quale rappresenta un’impor-tante (seppur oggigiorno spesso limitata) sorgente d’acqua per la regione. i suoli sono contraddistinti da terreni a forte componente argillosa, con tipica co-lorazione rosso/marrone che caratterizza tutta la piana a ridosso del fiume tigri3. da un punto di vista clima-tico l’area è posizionata ben al di sopra dell’isoieta di 200 mm di precipitazioni4 (corrispondenti alla quantità minima necessaria per praticare coltivazioni con metodi seccagni, ossia senza fare ricorso a irrigazioni artifi-ciali5), con temperature che variano considerevolmente fra inverno ed estate (fig. 2). ciò determina durante le stagioni più piovose (inverno e primavera) un pae-saggio “verde”, ricco di querce (nelle aree montane e pedemontane) e piante erbacee e arbustive, mentre durante il periodo estivo, l’area si caratterizza per la presenza di piante per lo più selezionate dal pascolo

ma anche, per loro natura, più resistenti a climi aridi, quali pistacchi e cespugli di Fabaceae.

Le ricerche nell’area

i dati archeologici a disposizione sono frutto di due differenti periodi di ricerca: in nessuno di questi l’area è stata oggetto di indagini multidisciplinari e solo in

1 Buringh 1960; rothman 2001b, 377-378.2 Wilkinson, tucker 1995, 3-9; Wilkinson 1990, 50-53. si

veda anche ur 2010, 5-9 per una recente discussione delle ca-ratteristiche geomorfologiche della adiacente Jezirah siriana.

3 Buringh 1960, 210-214. per una più sintetica descrizio-ne della morfologia del terreno in iraq cfr. http://www.fao.org/ag/agp/Agpc/doc/counprof/iraq/iraq.html#topography; per una mappa dei suoli presenti in iraq cfr. http://eusoils.jrc.ec.europa.eu/esdb_archive/eudasm/asia/images/maps/down-load/iq2000_1so.jpg.

4 il clima non sembra essere cambiato in maniera significativa a partire dall’inizio dell’olocene, sebbene variazioni climati-che di breve durata (quali il cosiddetto “8.2 kal Bp event”) siano state rilevate in diversi studi (cfr. in particolare l’analisi degli speleotemi della grotta di soreq in Bar-mattheWs, aya-lon, kaufman, WasserBurg 1999; roBinson, Black, sellWood, Valdes 2006). Va però rimarcato come i dati provenienti dal lago di Van, mettano in evidenza un periodo umido in corri-spondenza del “8.2 kal Bp event” (Wick, lemcke, sturm 2003, 673), quindi in sostanziale discrepanza con i dati della grotta di soreq. Analisi di carotaggi dai laghi di mirabad e zeribar negli zagros centro settentrionali evidenziano invece una fase iniziale dell’olocene più arida seguita da una fase più umida (steVens, ito, schWalB, Wright 2006; steVens, Wright, ito 2001; Wilkinson, hritz 2013, 11-14): ciò potrebbe indica-re una sostanziale differenza climatica fra l’area degli zagros (e quindi parte della mesopotamia settentrionale) e le regioni più occidentali del Vicino oriente (Valsecchi, sanchez goñi, londeix 2012, 1949-50). come generale linea di tendenza è comunque attestato un progressivo aumento delle temperature e dell’umidità a partire dal 10.000 Bp fino al 4000 Bp (riehl, PustoVoytoV, hotchkiss, Bryson 2009).

5 rothman 2001b, 376-378. La cosiddetta isoieta dei 200 mm è comunque un margine altamente instabile e insicuro per un’agricoltura non irrigua a causa della variabilità non solo an-nuale, ma anche regionale e/o stagionale, (cfr. Buringh 1960, 208) delle precipitazioni che possono talora scendere ben al di sotto di tale soglia. i più recenti studi identificano in realtà un’intera fascia (la cosiddetta “zone of uncertainty”) dove le mutevoli condizioni climatiche possono favorire o sfavorire la nascita o l’abbandono di insediamenti stabili (Wilkinson 2000b; Wilkinson et al. 2012; Wilkinson, hritz 2013, 9-18).

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anni recentissimi sono stati avviati progetti in tal senso6. Le fasi pre e protostoriche hanno in particolar modo sofferto di tale carenza di ricerche sistematiche, anche a causa della presenza, pochi chilometri più a sud delle grandi capitali neo assire (ninive e dur Šarrukin, odierna Khorsabad), le quali attirarono l’attenzione delle primissime missioni archeologiche, catalizzando gli sforzi degli archeologi sul primo millennio a.c. a discapito dei periodi precedenti. i primissimi lavori volti a indagare i livelli di occupazione più antichi della regione si devono agli scavi delle missioni americane e inglesi durante gli anni trenta. in questa fase furono indagati i siti di tepe gawra, tell Arpachiya e tell Billa, senza dimenticare lo scavo del cosiddetto “sondaggio

fig. 2 - grafici a barre delle precipitazioni a dohuk (sinistra) e mosul (destra) con andamenti annuali delle relative tempe-rature (linee rosse). La media delle precipitazioni a dohuk è di 810 mm, mentre a mosul (ca 60 km più a sud) la media è di 456 mm. dati consultabili e scaricabili gratuitamente da http://climate.data.org.

fig. 1 - immagine satellitare con i principali siti presenti nella regione in esame (foto presa da google earth).

6 A partire dal 2012 la missione Archeologica italiana in Assiria (mAiA) dell’università di udine sotto la direzione del prof. morandi Bonacossi opera nell’area di dohuk con il pro-getto Archeologico regionale terra di ninive (pArten); più a nord, l’area di zakho ha invece visto il recente avvio di un progetto archeologico di ricognizione da parte della missione dell’università di tubinga sotto la direzione del prof. p. pfälzner. per una bibliografia abbastanza aggiornata e un elenco dei lavori svolti nella mesopotamia settentrionale si veda anastasio 1995 e anastasio, leBeau, sauVage 2004.

7 gut 1995, 51.

preistorico” di ninive (altrimenti anche noto come deep sounding, prehistoric pit, o deep pit)7, ossia

93l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

fig. 3 - foto scattata a maggio 2014 dalla città di Alqosh: in primo piano si vede la città stessa e poi la piana dell’alto tigri con il fiume visibile sul lato destro della foto (autore della foto: marco iamoni).

il sondaggio stratigrafico aperto presso il lato ovest del tempio di ishtar (cfr. fig. 1 per la posizione di questi siti nella regione)8.

dopo queste primissime sporadiche, ma di sicuro fondamentali, ricerche, l’indagine dei periodi pre e protostorici lungo il bacino dell’alto tigri ha subito un’interruzione durata quasi cinquant’anni. È solo con l’inizio degli anni ottanta del XX secolo che si assiste a una ripresa dei lavori in campo archeologico, grazie all’apertura di numerosi scavi di salvataggio per la costruzione del bacino artificiale di eski mosul9. in particolare, l’area di zammar, situata in prossimità del lato nord ovest del sopracitato bacino, è stata indagata in dettaglio grazie ai lavori della missione dell’univer-sità di edimburgo (fig. 4, pl. 2a)10.

sono stati così aperti una serie di scavi su ambo le rive del fiume tigri che hanno indagato diversi siti pluristratificati, con risultati di particolare rilievo per le fasi pre e protostoriche grazie ai lavori condotti a nemrik per il neolitico preceramico, a Kharabeh shattani per il periodo halaf, ad Abu dhahir per il periodo hassuna e ubaid, a Khirbet hatara per i pe-riodi obeid e uruk/tardo calcolitico, a tell Karrana 3 e mohammed ‘Arab per il tardo uruk (ora tardo calcolitico 4-5) e la successiva transizione con il pe-riodo ninive 511.

gli scavi di salvataggio nella regione dell’Alto tigri sono terminati nel 1986, anno in cui molti dei siti studiati sono stati sommersi dalle acque dell’invaso artificiale. i promettenti risultati hanno avuto però l’ulteriore effetto di rinnovare l’interesse per l’inda-gine archeologica dell’area ed è proprio sulla scor-ta di tale interesse che negli anni successivi hanno

8 sPeiser 1935; toBler 1950; malloWan, cruikshank 1935; Woolley, sPeiser 1933; camPBell thomPson, malloWan 1933, 127-178. per un riesame più aggiornato dei dati di gawra e ninive si vedano anche rothman 2002; Butterlin 2009; gut 1995.

9 Al riguardo si veda il testo “researches on the antiquities of saddam dam Basin salVage and other researches” 1987, mosul e in particolare il contributo “extensive salvage exca-vations in the saddam dam Area” di Abu Al soof).

10 Ball, camPBell, simPson 2003; simPson 2007. nonostante, i risultati promettenti, la mancanza nelle due monografie di riferimento della pubblicazione (almeno) del materiale ceramico limita fortemente l’utilizzo i tali dati.

11 Baird, camPBell, Watkins 1995; Watkins, camPBell 1986; kozloWski 2002; fiorina 1997; Id. 2001; roaf 1984; roaf, killick 1987; Wilhelm, zaccagnini 1993; simPson 2007.

12 Wilkinson, tucker 1995; Wilkinson 1990. nonostante pioneristici lavori di tipo ricognitivo abbiano riguardato la me-sopotamia settentrionale (lloyd 1938; adams 1965; Wilkin-son 2000a, 232), le prime vere indagini di superficie si sono concentrate soprattutto nella mesopotamia centro-meridionale (cfr. adams, nissen 1972; adams 1981; Wilkinson 2000a, 230-232; Wilkinson, ur, hritz 2013, 34-35), ma si vedano al riguardo anche i lavori di Braidwood nel Levante (BraidWood 1937; BraidWood, BraidWood 1960). per una storia sintetica dei lavori di ricognizione di superficie in mesopotamia si veda anche mattheWs 2003, 47–55.

avuto inizio due progetti strettamente interconnessi di indagine archeologica. il primo di questi è stato il “north Jazira survey” (di seguito nJs), grazie al quale una significativa porzione dell’area a ovest del tigri e a nord del Jebel sinjar è stata ricognita in maniera sistematica, fornendo così, per la prima volta, un’analisi di tipo territoriale dell’Alto tigri iracheno12.

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in contemporanea, ha avuto inizio il secondo progetto, il “tell al hawa project”, che mirava a indagare in dettaglio l’occupazione nel sito chiave di tell al hawa, con l’apertura di scavi (durati purtroppo solo un paio di campagne) e con una prospezione di superficie del sito stesso e di tutta l’area circostante, per un totale di 75 km quadrati13. ulteriori ricerche sono state inoltre portate avanti da missioni irachene a cavallo fra il 1987 e il 1994, tramite l’apertura di cantieri archeologici in diversi siti identificati dal nJs14.

gli ultimissimi lavori disponibili per l’area e il pe-riodo presi in esame riguardano il versante turco dell’Alto tigri. Anche in questo caso, l’avvio di un imponente programma di costruzione di bacini artifi-ciali ha dato il via a una serie di indagini di salvataggio, tra le quali spicca il “tigris-euphrates reconnaissance project” (di seguito terp) diretto da g. Algaze15, grazie al quale un importante settore dell’Alto tigri turco è stato ricognito in maniera estensiva.

La regione presenta perciò una serie di informa-zioni che, sebbene diffuse a “macchia di leopardo” e per certi versi disomogenee per metodologie adotta-te, formano insieme un consistente corpo dati, il cui

fig. 4 - mappa con evidenziate le aree di ricerca esaminate e relativi siti pre / protostorici ispezionati e/o scavati (la pianta è elaborata tramite database gis sviluppato dallo scrivente su immagine dem Aster prodotta da nAsA e meti e disponibile gratuitamente online grazie al sito http://gdex.cr.usgs.gov/gdex/; i corsi d’acqua sono ricavati da shapefiles -parzialmente modificati dallo scrivente- in parte gentilmente forniti da A. savioli in parte scaricabili gratuitamente presso il sito http://www.diva-gis.org/gdata/; l’area di zammar non ha confini precisi di ricognizione: quelli visibili nella figura sono puramente indicativi e sono dedotti sulla base dei risultati conseguiti).

riesame, come si vedrà qui di seguito, permetterà di identificare sia l’esistenza di più modelli di occupazio-ne caratterizzanti l’Alto tigri, sia le principali linee di sviluppo dei singoli insediamenti. il risultato sarà un quadro più completo e aggiornato dell’occupazione fra Vii e iV millennio a.c.

Metodologie d’indagine e cronologia relativa

gran parte dei problemi da affrontare nel riesame complessivo di sintesi e/o rapporti finali/preliminari di indagini archeologiche (sia di superficie sia di scavo) risiede nell’integrare dati frutto di metodologie diverse. queste producono infatti risultati a volte difficilmente comparabili e ciò può complicare, talora in maniera

13 Ball, tucker, Wilkinson 1989.14 altaWeel 2006; Id. 2007.15 algaze, hammer, Parker 2012. sull’area di cizre e si-

lopi si vedano inoltre i risultati della missione turca (kozBe 2008).

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considerevole, il lavoro di rianalisi critica delle in-formazioni a disposizione. per quanto riguarda l’area in esame, si è visto come le indagini archeologiche risalgano essenzialmente a due principali periodi (ossia gli anni a cavallo fra le due guerre mondiali e gli anni post 1980 a causa della costruzione della diga eski mosul), con la seconda tranche di lavori che ha fornito i dati più interessanti e utili, soprattutto per l’analisi di superficie della regione. Vi sono quindi una serie di informazioni frutto di metodologie di ricerca abbastan-za omogenee, la cui unica pecca è purtroppo la scarsa pubblicazione dei risultati conseguiti; in particolare, è da osservare una sostanziale carenza di informazioni per quanto riguarda gli scavi di salvataggio del bacino di eski mosul, a fronte del numero consistente di lavori svolti e portati a termine nell’area.

Le precedenti indagini (ossia quelle risalenti agli anni tra le due guerre) forniscono invece una serie di informazioni archeologiche di valore, soprattutto per ciò che concerne le sequenze intra sito. Le pochissi-me ricognizioni di superficie restituiscono un quadro frutto di un approccio di carattere descrittivo più che analitico/scientifico e hanno, di conseguenza, un valo-re limitato per lo studio dei modelli insediativi.

un problema di portata ben superiore riguarda la cronologia assoluta e relativa. La prima ha visto cam-biamenti notevoli grazie soprattutto all’introduzione di curve di calibrazione in costante aggiornamento attra-verso le quali ottenere datazioni sempre più precise16. ciononostante, sebbene l’utilizzo di datazioni al c14 calibrate sia ormai prassi comune in molti scavi pre e protostorici17, le discrepanze fra datazioni assolute vecchie e nuove non sono mai tali da rappresentare un grosso ostacolo, soprattutto nel caso di uno studio concentrato sui macroperiodi (quale è quello qui di seguito illustrato).

La seconda, invece, ossia la cronologia relativa, ne-cessita di una discussione più dettagliata. Le indagini di superficie tendono in genere a usare cronologie con macroperiodi, a causa della maggior difficoltà insita nel datare materiali di superficie per loro natura pri-vi di contesto archeologico (e che possono in taluni casi derivare da occupazioni distribuite lungo svariati millenni). A ciò va aggiunta l’introduzione nel 2001 di una periodizzazione diversa per la seconda metà del V e per tutto il iV millennio a.c.18 che ha rimpiazzato la precedente suddivisione impostata sulle cosiddette fasi “ubaid finale” e “uruk Antico-medio e finale” (in uso soprattutto nella mesopotamia meridionale).

questi due elementi (periodizzazioni più o meno raffinate a seconda dell’obiettivo perseguito e crono-logie relative frutto di nuovi modelli) illustrano come il lavoro di analisi congiunta fra dato di superficie e sequenze stratigrafiche/fasi di occupazione possa risultare problematico, soprattutto quando si adottino scansioni cronologiche diverse. nJs e terp usano una macro-cronologia che prevede sostanzialmente l’uso di 4 fasi (hassuna/neolitico ceramico, halaf,

ubaid e uruk/tardo calcolitico) con alcune differenze abbastanza marginali (nel terp si identifica anche una fase di transizione fra ubaid e tardo calcoliti-co; la cronologia assoluta differisce poi leggermente in quanto per il periodo 4, corrispondente all’uruk settentrionale nel nJs e al tardo calcolitico nel terp, viene proposta una durata diversa, ossia 3700-3000 a.c. nel nJs e 4000-3000 a.c. nel terp)19.

i dati frutto di scavi (di salvataggio e non) tendo-no in genere (soprattutto se si tratta di pubblicazioni recenti) a cercare di fornire periodizzazioni più det-tagliate; questo vale in particolare per il cosiddetto periodo “uruk”, oggi meglio trattato in mesopotamia del nord come tardo calcolitico con 5 sottofasi20.

dal momento che scopo del presente lavoro non è fornire un’analisi di dettaglio su precise fasi arche-ologiche, bensì identificare un corpus omogeneo di informazioni che diano un quadro esauriente dei prin-cipali tratti caratterizzanti l’occupazione dell’Alto tigri fra Vii e iV millennio a.c., è sembrato opportuno usare la macro cronologia adottata sia nel nJs sia nel terp per poi integrare, ove necessario, i dati di scavo con le loro periodizzazioni più precise. come unica variazione, le fasi hassuna/samarra saranno sostituite da un più generico e neutro “tardo neolitico ceramico”, al fine di raccordare meglio i risultati delle due indagini di superficie.

Il Tardo Neolitico Ceramico (fig. 5, pl. 2b)

il periodo vede nell’area del nJs una discreta pre-senza di piccoli insediamenti collocati per lo più lungo corsi d’acqua temporanei, ma con alcuni gruppi di siti localizzati lontano da sorgenti. più a nord, nell’area del terp, si assiste invece a un’occupazione diversa, molto più rada e concentrata lungo fiumi e/o wadi. questa differenza è di sicuro un fatto importante da tenere in considerazione: sebbene processi di accumuli posteriori frutto di insediamenti più tardi incidano sul-la visibilità di insediamenti molto antichi, mascherando in maniera sostanziale la loro reale distribuzione nel territorio, una tale discrepanza non può non derivare da dinamiche insediative diverse.

16 si veda al riguardo l’ultima curva pubblicata in Radiocar-bon 55/4 (reimer et al. 2013).

17 si veda da ultimo ad esempio il lavoro di campbell per la cronologia halaf (2007) e stein per l’obeid e il tardo cal-colitico (2012, 126-127).

18 si tratta della cosiddetta “santa fe chronology” dal nome della città che ha ospitato la conferenza dove sono state po-ste le basi per la suddivisione del tardo calcolitico in 5 fasi (rothman 2001a).

19 Wilkinson, tucker 1995, ix; algaze, hammer, Parker 2012, 18-19.

20 rothman 2001a.

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fig. 5 - il tardo neolitico ceramico.

fig. 6 - il periodo halaf.

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purtroppo non vi sono ulteriori dati archeologici che possano in una qualche maniera aiutare a comprende-re meglio la natura di tale diversità. Alcuni sondaggi aperti a tell Jigan e Abu dhair21 hanno confermato il bacino del tigri come area abitata durante il tar-do neolitico ceramico, ma non aiutano a spiegare la minore diffusione di siti nell’area più settentrionale del corso. dati paleoclimatici non sembrano poter spiegare una tale differenza22; è da supporre, perciò, una diversa morfologia del paesaggio/ambiente alla base della maggiore/minore diffusione di siti. non da ultimo, è probabile che l’insediamento della regione sia caratterizzato da un maggior numero di siti stagionali (con un grado di visibilità quindi assai inferiore agli insediamenti stabili) contraddistinti da un’occupazione di tipo seminomadico, a causa della ancora incipiente, e quindi “fragile”, produzione di cibo23.

Il periodo Halaf (fig. 6, pl. 3a)

durante il Vi millennio, l’occupazione dell’Alto tigri mostra ancora sostanziali differenze. nell’area del nJs l’insediamento resta stabile, sebbene con una marcata discontinuità occupazionale: il numero di siti abitati rimane infatti più o meno identico, ma solo il 34% di questi risulta presente anche nel tardo neo-litico ceramico24. L’area occupata aumenta invece in maniera significativa con un media di 1-2.5 ettari per sito (a fronte di un ettaro o meno nel periodo precedente)25. nell’area di zammar si assiste invece a un’apparente contrazione, con un numero di siti attestati decisamente inferiore: l’occupazione stessa del sito di tell Abu dhahir (che fornisce la sequenza stratigrafica principale per l’area) sembra interrom-persi per poi riprendere in epoca obeid.26

La presenza stabile di insediamenti emersa nell‘area del nJs trova invece conferma più a nord: la piana di silopi mostra infatti un identico numero di atte-stazioni (9 a fronte di 8 siti occupati durante la fase precedente) con, al tempo stesso, una buona continui-tà insediativa27. in particolare, uno di questi, takyan höyük, sembra rivestire un ruolo centrale nell’area: grazie ai suoi 10 ettari occupati, è infatti il sito halaf più grande dell’area ricognita dal terp, con una serie di insediamenti satellite più piccoli disposti tutto intor-no28. sebbene l’interpretazione di una prima forma di gerarchia insediativa sembri la spiegazione più ovvia e semplice, questa è tuttavia difficile da accettare, in quanto rappresenterebbe un unicum per il periodo halaf29.

Allo stato attuale delle conoscenze, sembra più si-curo proporre una distribuzione di siti localizzata in aree circoscritte, situate talora anche lontano dai corsi più o meno stagionali (quali ad esempio gli wadi). ciò dimostra perciò la capacità di approvvigionarsi d’acqua in maniera autonoma (ossia tramite scavo di pozzi). tale abilità trova riscontro non solo nel nJs

ma anche nell’Alto tigri turco, sebbene i siti non at-testati lungo il tigri o relativi affluenti siano presenti in misura molto inferiore30. fattori climatici anche in questo caso non sembrano giocare un ruolo di primo piano: il già citato “8.2 ka event” sembra di durata limitata (ca 250 anni) e quindi –forse– di rilievo per variazioni intra sito (quali quelle identificate a tell sabi Abyad) e non per analisi di carattere regionale.

il dato archeologico frutto di scavi fornisce in que-sto caso informazioni più interessanti: insediamenti halaf sono stati scavati in diversi siti lungo il ti-gri quali Khirbet dera, Kutan e sheikh homsi31. un sito in particolare, Kharabeh shattani, ha restituito sequenze halaf, con 3 fasi di occupazione che coprono tuttavia un arco di vita di breve durata32 caratterizzato dalle tipiche strutture circolari (tholoi) e da un’insolita presenza di forni per la cottura di alimenti. Kharabeh shattani nel suo complesso si configura come un sito halaf di modeste dimensioni.

È difficile sulla base di tali dati ipotizzare l’esistenza di gerarchia insediativa; il già citato caso di takyan höyük sembra un’eccezione e, in assenza di indagini dettagliate, come tale va trattato; in genere, sembra

21 fujii 1987; Ball 1987; simPson 2007.22 algaze, hammer, Parker 2012, 6–7. L’unica variazione

significativa è il cosiddetto “8.2 k event” (alley, Ágústdóttir 2005) durante il quale un raffreddamento verificatosi nell’emi-sfero del nord Atlantico ha causato un probabile calo delle precipitazioni (con conseguenti fenomeni di inaridimento) so-prattutto in Africa settentrionale e nel Vicino oriente Antico (si vedano però i dati dal lago di Van che sembrano contraddire tale fenomeno, cfr. supra). tale cambiamento climatico è legger-mente posteriore ed è maggiormente associabile con il periodo halaf (Van der horn 2012) dove, come si avrà modo di vedere, le differenze fra le due aree sembrano diminuire.

23 Ball 2003, 9-10. akkermans, schWartz 2003, 126-127. una certa continuità ocupazionale, basata tuttavia ancora su un campione di siti molto piccolo, è stata però proposta fra neolitico aceramico e ceramico (Bader, le miére 2013).

24 Wilkinson, tucker 1995, 39.25 Id. 1995, 40.26 Ball 2003, 9-10.27 algaze, hammer, Parker 2012, 14–15.28 Id. 2012, 15.29 La reale esistenza di siti halaf di grosse dimensioni è

ancora dibattuta. Abitati di grandi dimensioni (fino ai 20 ettari) sono stati apparentemente identificati a domuztepe, Kazane, mounbatah e tell Badan/nisibin (camPBell, fletcher 2013, 42-43), tuttavia la loro reale estensione (ossia, l’area occupata in una singola fase halaf) è stata messa in dubbio (akkermans 2013, 71; BernBeck 2013, 57). per quanto il presente lavoro non possa addentrarsi in dinamiche intra sito, va sottolineato che i dati di superficie qui analizzati confermano l’assenza di gerarchia insediativa e quindi di una marcata differenziazione per ettari occupati nel periodo halaf.

30 in effetti a giudicare dalle piante pubblicate (algaze, ham-mer, Parker 2012, 76, fig. 5) solo due siti sono localizzati in aree non direttamente adiacenti ai corsi d’acqua.

31 forest, Bachelot 1987; fujii 1987, 54-61; Bader 1987.32 Watkins 1986; Baird 1995; camPBell 1995, 74-75.

98 marco iamoni

più probabile la diffusione di siti di piccole dimensioni in maniera più o meno sparsa secondo le modalità discusse sopra. il dato ceramico lascia supporre, tut-tavia, l’esistenza di una differenziazione nei siti halaf: la presenza/assenza di ceramica policroma (in genere considerata come diagnostico per l’halaf finale) è stata infatti anche interpretata come indicatore di un livello tecnologico più o meno avanzato33. La presenza di vasi con decorazione policroma potrebbe essere perciò in-terpretata come indicatore di una ulteriore specializza-zione nella produzione ceramica non necessariamente riconducibile a una fase tarda del periodo halaf. ciò permetterebbe di identificare insediamenti halaf con marcati processi di sviluppo/complessità tecnologica (quali ad esempio Arpachiyah)34 oppure con minore propensione verso fenomeni di innovazione tecnolo-gica e, di riflesso, sociale.

questo però non sembra implicare una variazione nelle dimensioni degli insediamenti, che rimangono per lo più di piccole dimensioni senza che alcuno di essi emerga come centro principale35.

Il periodo Obeid (fig. 7, pl. 3b)

il periodo obeid nella mesopotamia settentrionale corrisponde, in base alle ultime datazioni disponibili, alla fine del Vi millennio-prima metà del V millennio

a.c.36 durante questa fase i risultati di ricognizione sono concordi nel documentare la presenza di una in-cipiente gerarchia insediativa, in concomitanza con un graduale, seppur minimo, aumento dei siti occupati. così nell’area del nJs, l’insediamento a tell el hawa copre ora una superficie compresa fra i 15 e i 18 ettari e diventa il principale centro abitato dell’area, mentre gli altri siti rimangono compresi fra uno e due ettari circa, suggerendo quindi l’esistenza di una minima differenziazione in termini di dimensioni occupate37 e, al tempo stesso, confermando una sostanziale con-tinuità con il periodo precedente.

tale continuità è attestata anche dal dato archeolo-gico: scavi condotti in un sito campione dell’area del nJs hanno rivelato l’esistenza di strutture circolari in “tauf” virtualmente identiche a quelle tipiche del pe-riodo halaf, ma con un orizzonte materiale interamen-te obeid settentrionale38, in maniera sostanzialmente simile a quanto osservato a tepe gawra39.

fig. 7 - il periodo obeid.

33 camPBell 1995, 74.34 malloWan, cruikshank 1935.35 Wilkinson, tucker 1995, 80.36 stein 2012, 74.37 tale fenomeno, a differenza della mesopotamia meridio-

nale, è ben noto al nord Wilkinson, tucker 1995, 40-41.38 idem 1995, 41-42.39 toBler, 1950, 41-48.

99l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

La regione dello zammar mostra una ripresa con-sistente, con diversi siti che mostrano tracce chiare di occupazione (caratterizzate da materiale ceramico di superficie insieme a un’estesa presenza di litica con resti di selce e ossidiana)40.

nell’area del terp si assiste invece a un fenomeno radicalmente diverso rispetto a quanto osservato nel nJs, con un incremento netto del numero degli insedia-menti: questi, durante il periodo obeid, raddoppiano e occupano la piana di cizre e silopi in maniera ora più regolare. tale aumento però non sembra accompagna-to da una differenziazione dei siti per dimensioni. gli ettari occupati rimangono stabili, dimostrando perciò l’assenza di una iniziale gerarchia insediativa, che in-vece sembra verificarsi nel nJs così come in altre aree limitrofe della mesopotamia settentrionale41.

L’occupazione dell’Alto tigri qui in esame duran-te il V millennio sembra perciò caratterizzarsi per la presenza di siti di dimensioni più marcate rispetto al precedente periodo soprattutto a sud (area nJs), mentre più a nord (area terp) tale differenza non è stata riscontrata: ciò rimarca ancora una volta la presenza di linee di sviluppo diverse in aree dell’alto tigri anche molto vicine. il successivo periodo del tardo calcolitico vedrà queste discrepanze emergere in misura per certi versi ancora più netta.

dati archeologici interessanti sembrano provenire dal sito di tell Abu dhahir dove livelli di occupazio-ne databili al periodo obeid sono stati scavati dalla missione dell’università di edimburgo. L’intero sito sembra ora abitato; una serie di ambienti sono stati interpretati quali strutture dedicate alla lavorazione di selce/ossidiana, forse da leggersi in chiave di una vera e propria produzione a carattere “industriale” (fig. 9). il dato è di particolare interesse non solo alla luce dei numerosi ritrovamenti di frammenti di ossidiane e selce anche in altri siti minori, che dimo-strano quindi l’esistenza di una densa occupazione dell’area con intensa attività di lavorazione di materiale litico, ma anche (e, forse, soprattutto) grazie ai recen-ti ritrovamenti (di datazione leggermente posteriore, ossia risalenti al tardo calcolitico iniziale) di Khirbet al fakhar nella gezira siriana. recenti scavi condotti fra il 2005 e il 2008 hanno infatti riportato alla luce un edificio a più ambienti (fig. 9) con chiare tracce di massiccia produzione di manufatti in litica (con percentuali altissime di oggetti in ossidiana)42.

il caso di Abu dhahir unito a quello di Khirbet al fakhar sottolinea l’importanza della litica e in parti-colar modo dell’ossidiana nelle dinamiche di svilup-po economico di quinto millennio a.c.43 e non è da escludere che future analisi di più ampi archivi di dati indichino il reperimento e la lavorazione di questo materiale come fattori rilevanti per l’avvio di processi che avranno esito durante il tardo calcolitico.

una sequenza importante e ben pubblicata risalente al periodo obeid (ma con sicure evidenze di pre-esistente occupazione halaf) è stata rinvenuta nel sito

di Khirbet hatara, grazie al ritrovamento nel Livello 1 di due case con struttura tripartita probabilmente da interpretarsi, in base a quanto proposto dagli ar-cheologi che vi hanno lavorato, secondo il modello cruciforme già attestato in siti quali Kheit qasim iii e tell Abada (fig. 8)44. La tipologia delle strutture rinvenute conferma quindi un orizzonte omogeneo di cultura materiale, testimoniato anche da una distribu-zione di siti più capillare, forse dovuta alla necessità di recupero di materie prime quali, per l’appunto, la già citata ossidiana.

Il Tardo Calcolitico (fig. 10, pl. 4a)

il tardo calcolitico mostra un cambiamento netto nell’occupazione dell’Alto tigri. nell’area del nJs il numero degli insediamenti sale drasticamente (da 43 a 66), con una gerarchia insediativa ora più chiara e stratificata45. due siti (tell al hawa e tell samir) rivestono in questa fase un ruolo chiave: occupano una superficie di diversi ettari (il primo arriva a coprirne quasi 50) e sono circondati da un’ampia area priva di insediamenti46. di difficile identificazione è invece

40 Ball 2003, 9-10.41 algaze, hammer, Parker 2012, 18. si vedano ad esempio

i casi di tell zeidan e hammam et turkman (stein 2012, 128-129) nella Jezirah siriana, i quali durante il periodo obeid diventano centri di dimensioni superiori rispetto alla maggio-ranza degli insediamenti coevi.

42 al-quntar, khalidi, ur 2011; va tuttavia rimarcato che i livelli obeid non hanno restituito assemblaggi in ossidiana (Id. 2011, 165-166). un altro caso di notevole interesse proviene dal sito di tell Brak: i livelli 22-19 (databili al tardo calcoliti-co 1 e 2) del sondaggio tW mostrano la presenza di un’area dedicata alla lavorazione e produzione su larga scala non solo di manufatti in ossidiana (anche di notevole prestigio, cfr. il famoso calice in ossidiana con base in marmo bianco) ma an-che di tessuti (mcmahon 2013, 73-77; oates et al., 2007, 591-594). La presenza in livelli più recenti (20 e 19) di un edificio pubblico di imponenti dimensioni (il cosiddetto “Basalt threshold Building”) suggerisce un costante incremento delle attività produttive con la conseguente necessità di porre l’intera area sotto un controllo più stretto da parte di una società proba-bilmente già gerarchizzata all’inizio del quarto millennio a.c.

43 healey 2010.44 fiorina 1997, 13-17; Id. 2001. sembra più ragionevole,

tuttavia, proporre, almeno per la casa 1, una normale pianta tripartita, quale ad esempio quelle rinvenute a gawra XViii o meglio ancora (sebbene appartenente a una fase leggermente più tarda) l’edificio con la cosiddetta “White room” di gawra Xii (toBler 1950, 43-45, pl. XViii; 25-28, pl. Viii). per una sintesi delle diverse tipologie di abitazioni private in epoca obeid nel nord della mesopotamia si veda forest 1996, 56-59.

45 Wilkinson, tucker 1995, 44-45.46 ciò è probabilmente frutto di intense attività agricole nelle

aree immediatamente adiacenti il tell (Wilkinson, tucker 1995, 44-45; Ball, tucker, Wilkinson 1989, 31-32), sebbene non sia da escludere come spiegazione anche l’incipiente urbanizzazio-ne, ossia la capacità di attrarre insediamenti minori.

100 marco iamoni

fig. 8 - edifici del periodo obeid settentrionale e tardo calcolitico iniziale.

101l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

fig. 9- strutture del periodo obeid settentrionale e tardo calcolitico iniziale.

102 marco iamoni

la cosiddetta fase tardo uruk di cui si è detto sopra (cfr. metodologie d’indagine e cronologia relativa): l’orizzonte della cultura materiale della mesopotamia del nord durante il iV millennio mostra infatti una originalità che solo in anni recenti si è iniziato ad apprezzare con maggior consapevolezza. L’importanza del sito di uruk nella mesopotamia del nord (e di conseguenza della sua cultura materiale, in particolare ceramica), sebbene sia fondamentale per lo studio dei fenomeni di complessità sociale, delle dinamiche inter-regionali e dei processi di acculturazione/emulazione, è stata indubbiamente sovrastimata47. L’adozione di una cronologia neutra (il tardo calcolitico) per il periodo cruciale di questa fase formativa è indubbiamente un modo per correggere tale interpretazione e rispondere meglio ai nuovi dati di scavo (ma anche a quelli vecchi, si pensi a tepe gawra) provenienti soprattutto dall’alto eufrate e dalla gezira siro-irachena48.

ciononostante i tipi ceramici tardo uruk della me-sopotamia meridionale giocano ancora oggi un ruolo basilare sia per identificare le ultimissime fasi di tali dinamiche, sia per studiare i complessi fenomeni di interazione che hanno coinvolto sud e nord meso-potamia. sebbene sia già stato dimostrato come esi-sta una continuità di produzione con fenomeni anche di “ibridizzazione” culturale (cfr. il caso di hassek höyük)49, forme ceramiche tardo uruk sono tuttora

usate, soprattutto nelle ricognizioni di superficie, come indicatori cronologici a causa della loro presenza nelle ultimissime fasi di iV millennio di importanti sequenze nord mesopotamiche, quali ad esempio tell Brak50.

nell’area del nJs, i siti con evidente materiale tardo uruk meridionale in superficie sono una minoranza (26 su 66) e sembrano disporsi con maggior frequenza lungo le cosiddette “hollow ways”: questo farebbe pen-sare a una loro distribuzione più capillare, articolata lungo reti commerciali tardo uruk51.

un considerevole aumento di siti occupati durante il tardo calcolitico caratterizza anche la regione di zammar, ora sì in sostanziale concordanza con l’area del nJs. L’occupazione è adesso più fitta con buone attestazioni sia nella piana alluvionale direttamente a

fig. 10 - L’Alto tigri durante il tardo calcolitico.

47 oates et alii 2007. questo grazie anche ai numerosi scavi di salvataggio condotti lungo il bacino dell‘alto eufrate siriano che hanno portato alla scoperta di „colonie“ uruk forse intese a controllare l‘accesso alle materie prime situate in area anatolica (si pensi in particolare alla teoria del cosiddetto „uruk World system“, cfr. algaze 1993).

48 Al riguardo si veda rothman 2001a.49 helWing 1999; idem 2002.50 algaze, hammer, Parker 2012, 20.51 Wilkinson, tucker 1995, 45; 86.; rothman 2001b, 385-

386.

103l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

ridosso del fiume tigri sia in aree più elevate (e più distanti dal corso del fiume). tuttavia, ciò riguarda soprattutto una fase avanzata del periodo. sebbene il materiale databile alla fase iniziale del calcolitico (qua-le la cosiddetta “sprig Ware” rinvenuta in abbondanza nel sito di tell shelgiyya)52 sia infatti identificabile con chiarezza quando rinvenuto in scavo e/o ricognizione grazie a tratti diagnostici ben distinti, i siti occupati risultano comunque pochi.

nell’area del terp, l’evidenza rimane invece con-trastante: il numero di insediamenti cala, nonostante il buon livello di continuità con la precedente fase obeid (ca il 50% dei siti obeid continuano a essere abitati durante il quarto millennio); in maniera per certi versi sorprendente, non si osservano ancora fenomeni di gerarchia insediativa: i siti continuano a essere tutti di piccole dimensioni53.

il dato archeologico frutto di scavi mostra per l’area del bacino di eski mosul l’esistenza di sequenze chiave a tell Abu dhahir e tell syana: nel primo sito si è rinvenuta un’area di lavorazione della ceramica mirata alla produzione di “Bevelled rim Bowls”, mentre nel secondo livelli definiti come “tardo uruk” mostrano la presenza di strutture semi-interrate interpretate come granai54.

A Khirbet hatara è stata infine rinvenuta un’impor-tante sequenza tardo calcolitica che abbraccia quasi tutto il periodo (Livello 2 medio uruk Livello 3 tardo uruk, quindi secondo la nuova cronologia il tardo calcolitico 3-5): strutture di carattere agricolo dome-stico con tracce di magazzini cosiddetti “a pettine” sono stati scoperte nel Livello 2, mentre il Livello 3 è caratterizzato da una serie di installazioni pirotec-nologiche, tra le quali una fornace per la produzione ceramica. il Livello 4 è invece caratterizzato da una struttura quadrangolare con due forni di grandi di-mensioni situati, rispettivamente, in un ambiente in-terno e nel cortile dell’edificio: non è purtroppo chiara la loro destinazione d’uso (fig. 11)55. La sequenza di hatara testimonia senza dubbio il maggior livello di sviluppo sociale ed economico raggiunto dagli in-sediamenti di iV millennio a.c., grazie alla presenza di magazzini per lo stoccaggio intensivo di prodotti agricoli e/o frutto di allevamento animale e grazie anche all’esteso uso di forni/fornaci dedicati a una produzione artigianale ormai sganciata dall’ambito strettamente domestico.

tell al hawa, come detto, rimane il sito di dimen-sioni maggiori dell’area, con un’estensione massima di 50 ettari caratterizzata dalla presenza di un’impo-nente acropoli circondata sui lati sud, sud-est ed est dalla città bassa; infine, è da notare come i frammenti cosiddetti tardo uruk, ossia riconducibili a tipologie meridionali (tra i quali, quindi, le cosiddette “Bevelled rim Bowls”) provengano quasi esclusivamente dalla collina principale di tell al hawa, quindi dall’acropoli del sito56. il materiale di superficie rinvenuto rimane comunque in gran parte riconducibile a un orizzonte

di tardo calcolitico locale. È interessante osservare come in questa fase l’unico altro sito nell’Alto tigri in grado di competere con tell al hawa per dimensioni sia, al momento, ninive: sebbene manchi una ricogni-zione di superficie sistematica del sito, dati provvisori suggeriscono la presenza di un insediamento urbano di dimensioni considerevoli, paragonabili a quelle ri-scontrate a tell al hawa57.

È possibile che la crescita di ninive sia dovuta a una forte influenza sud mesopotamica come è stato proposto in passato58. tuttavia, gran parte dell’evi-denza archeologica usata per avanzare tale ipotesi è frutto di scavi non solo datati, ma anche di difficile interpretazione, in quanto provenienti dalla famosa “deep pit”, un sondaggio stratigrafico profondo più di 27 metri scavato nell’area del tempio di ishtar in soli due mesi59.

in particolare, l’attribuzione delle imponenti strut-ture a volta al periodo uruk è stato recentemen-te contestata60; ciò mette in dubbio la presenza di architettura monumentale (funeraria o pubblica, la funzione è ancora da chiarire) di fine iV millennio frutto di una consistente presenza sud mesopotamica nel sito. contatti con le società sud mesopotamiche sono indubbiamente attestati dai numerosi ritrova-menti di chiara origine meridionale, fra questi, le cosiddette Bevelled rim Bowls, i “glockentopfe”, esempi di glittica meridionale e un frammento di tavoletta numerica il cui contesto di ritrovamento è purtroppo ignoto.

ciononostante, la portata di tali attestazioni è an-cora da definire. L’amplissima sequenza stratigrafica scavata suggerisce indubbiamente la presenza di un considerevole insediamento a ninive di epoca pre/protostorica: tuttavia, sfuggono ancora le dinamiche di formazione, la natura di tale insediamento e l’influenza che i contatti con la mesopotamia meridionale ebbero nello sviluppo di un sito urbano di grandi dimensioni a ninive. in assenza di un’indagine sistematica mirata a indagare l’antica ninive del Vi-iV millennio a.c., il ruolo del sito in mesopotamia settentrionale è desti-nato a rimanere oggetto di ricostruzioni il cui valore è, purtroppo, puramente ipotetico (se non addirittura di carattere speculativo).

52 Ball, Pagan 2003, 154.53 algaze, hammer, Parker 2012, 21.54 simPson 2007; Ball, gill 2003, 23-24.55 fiorina 1997, 17-31.56 Ball, tucker, Wilkinson 1989, 31-32.57 stronach, 1994.58 algaze, 1986.59 camPBell, thomPson, malloWan 1933, 127.60 gut 1995, 42; idem 2002, 17-18.

104 marco iamoni

fig. 11 - strutture di epoca tardo calcolitico a Khirbet hatara.

105l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

Conclusioni

L’analisi dei dati di superficie e di sequenze stra-tigrafiche-chiave nell’area dell’Alto tigri ha messo in luce una serie di informazioni in genere concordanti, ma con alcune interessanti discrepanze che meritano una discussione più approfondita.

innanzitutto, è da rimarcare il numero particolar-mente alto di siti identificati nell’area del nJs, soprat-tutto se messo a confronto con il terp e l’area di zammar: nel nJs siamo di fronte a 184 insediamenti (dei quali 110 occupati nei periodi esaminati nel pre-sente lavoro), mentre nell’area di cizre-silopi abbiamo un numero decisamente inferiore di attestazioni (75 siti con 30 occupati fra fine Vii e iV millennio a.c.). L’area di zammar (dove la ricerca si è concentrata maggiormente sullo scavo di siti chiave, con una ri-cognizione meno sistematica e intensa rispetto al nJs e al terp)61 vede invece 41 siti identificati (con 34 occupati nelle fasi pre e protostoriche). indubbiamente le aree coperte dai diversi progetti incidono in maniera netta: il nJs copre un’area di ca 475 kmq, il terp di ca 40062, mentre per l’area di zammar, come si è detto, non si dispone di chiari limiti di ricognizione, per cui non è possibile fornire una precisa dimensione in chilometri quadrati.

giocano poi di sicuro un ruolo fondamentale le diverse conformazioni, sia per quanto riguarda la vi-sibilità dei siti sia per quanto riguarda la “capacità” insediativa del territorio, ossia la presenza di caratteri-stiche (risorse naturali e loro accessibilità, fertilità del terreno) idonee a sostenere insediamenti via via più fitti e di dimensioni sempre crescenti. non da ultimo, le mutate e mutevoli condizioni paleoambientali hanno influito, anche se forse non in maniera così pesante come si potrebbe credere, sul numero di siti presenti in ciascuna area, talora cambiando non solo rispetto al presente, ma anche durante il corso del periodo in esame, le caratteristiche di ciascuna regione e ren-dendo ora l’una ora l’altra più adatte all’insediamento umano63.

non è questa la sede per esaminare in dettaglio cia-scun elemento, è comunque chiaro che l’area del nJs spicca per numero di insediamenti (basti pensare che un rapido calcolo di proporzioni riporta un sito ogni 4,3 kmq per l’area del nJs contro un sito ogni 13,3 kmq per il terp) e che deve avere offerto condizioni particolarmente favorevoli all’occupazione umana al-meno fino a tempi anche recenti (un calo netto emerge durante il periodo medio-tardo islamico).

nonostante questa discrepanza per numero di siti rilevati, i risultati emersi per ciascuna area sono tutto sommato concordi nell’identificare un modello insedia-tivo omogeneo per il tardo neolitico ceramico (fine Vii millennio a.c.) e halaf. tutte le aree vedono abitati di piccole dimensioni (1-3 ha ca) disposti presso corsi d’acqua, con una ipotetica tendenza a concentrarsi in aree circoscritte. ciò potrebbe dipendere da ciclicità

insediativa, ossia ripetuta occupazione di una stessa area da parte di una stessa comunità con spostamenti limitati dell’abitato durante il corso di tale occupa-zione64.

Viceversa, è anche ipotizzabile l’esistenza di un vero e proprio “settlement pattern”, con villaggi raggrup-pati in aree ristrette e localizzate. i dati archeologici confermano l’assenza di siti particolarmente signi-ficativi: quelli scavati mostrano sempre occupazioni di piccole dimensioni, prive di strutture che in una qualche maniera lascino ipotizzare la presenza di abi-tati particolari. i due dati combinati sembrano ben concordare con l’esistenza di un “horizontal egali-tarian system” proposto da frangipane per il tardo neolitico e soprattutto per il periodo halaf, in base al quale le società di fine Vii millennio sviluppano un modello socio-economico fortemente integrato dove gruppi diversi cooperano per sfruttare al meglio risorse locali e permettere il sostentamento della comunità65. frangipane identifica diversi campi dove tale modello si esplicita (assenza di differenziazione di abitazioni private, stoccaggio collettivo di surplus alimentare, co-operazione fra gruppi ed economia mista, coesione sociale rappresentata anche dall’uso di ceramica con tratti decisamente tipici, uguaglianza sociale nei riti fu-nerari): il dato archeologico dall’alto tigri, soprattutto di superficie, sembra fornire un’ulteriore evidenza a sostegno di tale interpretazione.

La distribuzione dei siti infatti ben riflette un mo-dello di coesione e cooperazione quale quello pro-posto da frangipane: ulteriori analisi frutto di nuove prospezioni di superficie potrebbero in questo senso fornire dati archeologici più aggiornati, con metodo-logie più moderne e quindi con risultati maggiormente “leggibili”.

il periodo obeid presenta una prima possibile evi-denza di gerarchia insediativa, ma solo nell’area del nJs. non vi sono chiari cambiamenti nella distribu-zione degli insediamenti, sebbene un incremento sia ora visibile, soprattutto nella regione più settentrionale presa in esame, ossia l’area del terp. si nota, inol-tre, un aumento della superficie occupata, soprattutto nell’area nJs: fra i siti ricogniti, tell al hawa spicca indubbiamente per grandezza (anche se le sue di-

61 Ball 2003, 9.62 Wilkinson, tucker 1995, 1; algaze, hammer, Parker

2012, 2.63 il reale peso dei cambiamenti climatici nell’insediamento è

argomento ancora largamente dibattuto: è comunque probabile che oltre al già citato “8.2K event” che ha comportato una temporanea riduzione delle precipitazione, il quarto millennio abbia visto un periodo di maggiore umidità (ur 2010, 10).

64 Wilkinson, tucker 1995, 39. akkermans 2013, 71-72.65 frangiPane 2007, 154–164. sulla coesione sociale delle

comunità halaf si veda anche frangiPane 2013 e camPBell, fletcher 2013.

106 marco iamoni

mensioni risultano quanto meno singolari all’interno dell’orizzonte dell’insediamento obeid nel nord della mesopotamia). questa discordanza (più siti al nord, ma di dimensioni più o meno piccole, numero di siti più o meno stabile al sud, ma di dimensioni ora cre-scenti) potrebbe indicare un fenomeno di espansione, con una serie di nuovi insediamenti, in aree prece-dentemente meno popolate.

tale informazione ben si raccorda con i dati prove-nienti da scavo, in base ai quali l’obeid è un periodo di crescita e diffusione di un modello socio economi-co66 basato in maggior misura su contatti anche su lunga distanza67. i pochi dati archeologici disponibili confermano questa incipiente forma di complessità insediativa. È difficile, tuttavia, integrare tali evidenze con le moderne interpretazioni della società obeid che si distinguono in due correnti opposte di pensiero, una favorevole alla presenza di una società in via (sempre più netta) di gerarchizzazione e una, invece, favorevole a una società ancora largamente egalitaria68. i dati di scavo presi in esame non permettono di approfondi-re la questione e avvalorare una della due ipotesi (o proporre una interpretazione alternativa per l’area in esame).

Va però rimarcato come l’incipiente gerarchia inse-diativa discussa sopra mostri un grado di affinità con una società più complessa e come tratti che poi emer-geranno in maniera più chiara nel tardo calcolitico (quali una distribuzione più capillare e più regolare dei siti, un’attività produttiva artigianale più specializzata e marcata, con lavorazione intensiva di materie prime anche non reperibili direttamente in loco ma frutto di commerci a lunga distanza come l’ossidiana) siano già presenti durante il periodo obeid).

Anche in questo caso, frangipane ha proposto un’interessante chiave di lettura per il periodo obeid che potrebbe ben rispondere al caso: la sua definizione di “vertical egalitarian system” ipotizza la nascita di un modello socio-economico sempre egalitario, ma con i prodromi di un’incipiente competizione nella capacità di sfruttare al meglio le risorse del territorio, il cui sviluppo completo e maturo sarà osservabile solo nel iV millennio69. L’assenza di una diffusa gerarchia insediativa (solo nell’area nJs si osserva tale feno-meno) unita comunque a una distribuzione dei siti più ramificata e alla presenza di un’intensa attività di reperimento e lavorazione di materiale litico sugge-risce una sostanziale corrispondenza con il modello proposto da frangipane. La mancanza nell’Alto tigri di dati archeologici più specifici impedisce tuttavia di confermare la presenza di una società più o meno strutturata70.

il tardo calcolitico si distingue nettamente dai pe-riodi precedenti per una crescita netta degli insedia-menti sia in numero sia in ettari occupati71. questo riguarda però l’area più a sud, ossia quella del nJs: più a nord, nella piana di cizre, il numero degli in-sediamenti rimane costante, senza differenziazione

66 Breniquet parla di “social identity” rimarcando i tratti co-muni evidenti nella cultura materiale che vanno a soppiantare in maniera pacifica la precedente fase halaf (1987).

67 stein 2012, 128-129. forest 1996, 103-114.68 akkermans, schWartz 2003, 178-179.69 frangiPane 2007, 164-172.70 si veda però al riguardo la sequenza obeid di gawra che

dalla fase XiX vede una costante diversificazione degli edifici in termini di dimensioni fino alla fase Xiii caratterizzata dalla presenza di tre grandi strutture di tipo pubblico – forse tem-pli? – (forest 1996, 61-63; stein 2012, 128-132; toBler 1950, 30-48).

71 ciò sembra caratterizzare soprattutto il pieno tardo cal-colitico, ossia dalla fase 2 in poi (rothman 2001b, 380-383).

72 algaze, hammer, Parker 2012, 21; luPton 1996, 26, 99-100

73 Wilkinson, tucker 1995, 46-47; Ball, tucker, Wilkinson 1989, 16. come già rimarcato altrove, la presenza di materiale esotico in contesti di inizio tardo calcolitico è già di per sè indicatore di reti commerciali (luPton 1996, 99) i cui percorsi sono però ancora difficili da identificare sulla base dei pochi dati disponibili. Al riguardo si veda anche Branting et alii 2013.

dimensionale (e quindi senza una chiara gerarchia) e, dato interessante, la loro distribuzione rimane “an-corata” ai corsi d’acqua.

La gerarchia insediativa è invece ora presente in maniera spiccata più a sud, grazie non solo al sito di tell al hawa (che emerge ora definitivamente come principale centro urbano dell’area del nJs), ma anche a una serie di siti minori che comunque si distinguono per le loro dimensioni. questa diversità fra nJs e terp va indubbiamente spiegata, come già proposto altrove72, con la nascita di siti urbani di grosse dimen-sioni nella piana mesopotamica durante il iV millennio a.c. (i quali avrebbero attirato fette sempre maggiori di popolazione). È tuttavia probabile che l’urbanizzazione nella pianura mesopotamica spieghi solo in parte tale fenomeno: è ragionevole infatti ritenere che anche (o forse soprattutto?) lo sviluppo di circuiti commerciali (appena percepibili durante il periodo obeid perché ancora in fase embrionale) abbia giocato un ruolo altrettanto chiave nello stimolare la nascita di nuo-vi insediamenti e la crescita ed espansione di altri a scapito dei villaggi circostanti.

se ci si deve basare sulle cosiddette “hollow ways”, chiare tracce di percorsi e vie di comunicazione sono osservabili solamente sul finire del tardo calcolitico73: tuttavia un ulteriore buon indicatore della presenza di collegamenti a lungo raggio potrebbe essere ricostru-ibile dalla disposizione dei siti. da questo punto di vista i siti dell’area del nJs mostrano un allineamento generale lungo un asse all’incirca nord ovest – sud est: se questo orientamento dovesse essere dimostrato da ulteriori ricognizioni nell’area della mesopotamia set-tentrionale, allora si avrebbe una prova sostanziale a favore dello sviluppo di siti urbani di grosse dimensioni

107l’alto tigri fra Preistoria e Protostoria

lungo vie commerciali e del relativo peso di queste ultime nella formazione di grandi abitati74.

il dato archeologico al momento non fornisce ul-teriori informazioni al riguardo, mancando scavi si-stematici ed estesi in siti chiave del tardo calcoliti-co, quali tell al hawa. Le informazioni provenienti da scavi minori quali Khirbet hatara e Abu dhahir mostrano la presenza di insediamenti con prolungate occupazioni che suggeriscono l’esistenza di una con-tinuità insediativa per tutto il iV millennio a.c., ma non permettono di addentrarsi in una spiegazione più dettagliata dei modelli di occupazione emersi dai dati di superficie.

nel complesso è chiaro che l’Alto tigri mostra una originalità sia insediativa sia di cultura materiale per certi versi inaspettata; ciò è frutto di dinamiche di svi-luppo che sembrano talora diversificarsi ulteriormente a livello locale in maniera più o meno accentuata, a seconda dei periodi in esame. La frammentarietà dei dati disponibili non consente di definire con maggior

74 itinerari con percorso simile sono noti per successivi periodi storici: si veda ad esempio il caso della “Via reale” di età ache-menide riutilizzata anche in periodi successivi (french 1998).

75 oltre al già citato pArten vanno anche aggiunti l’epAs (erbil plain Archaeological survey) diretto da J. ur, lo ugzAr (upper greater zab Archaeological reconnaissance project)” diretto da r. Kolinski e l’eastern habur Archaeological sur-vey diretto da p. pfälzner: tutti questi progetti hanno deciso di operare su una base comune di diagnostici ceramici per la ricognizione di superficie, in maniera tale da produrre una base dati il più possibile omogenea.

precisione tali processi né di identificarne in maniera più concreta le cause: i nuovi progetti di indagine archeologica avviati di recente nel Kurdistan iracheno75 promettono tuttavia di colmare questi vuoti, grazie a ricerche sistematiche che forniranno ampie basi di dati per lo studio delle problematiche discusse qui sopra.

Ringraziamenti

per quanto si tratti di un lavoro che mira a fare una sintesi (in alcuni casi estrema) di diversi aspetti riguar-danti l’insediamento nell’area dell’Alto tigri, la sua stesura ha comunque richiesto la consulenza di alcuni esperti afferenti, talora, ad aree di ricerca non strettamente archeologiche. in particolare, desidero ringraziare daniele morandi Bonacossi per le numerose discussioni sulla nascita dell’urbanizzazione in mesopotamia settentrionale, Anna maria mercuri per i suggerimenti riguardanti la descrizione della flora presente nell’area dell’Alto tigri; Andrea zerboni per i consigli concernenti la morfologia del territorio nell’area dell’Alto tigri iracheno e Alberto savioli per il suo fondamentale aiuto nell’elaborazione delle piante gis. sono infine in debito con Verushka Valsecchi per le molteplici indicazioni riguardanti il paleoclima in mesopotamia settentrionale e le problematiche connesse alla validità delle diverse informazioni disponibili. “Last but not least” (come si direbbe in inglese) de-sidero ringraziare mia moglie Anita per essersi sobbarcata il (temo per lei noiosissimo!!) lavoro di rilettura.

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Impaginazione a cura di Stefano Rolle

finito di stamparenel mese di marzo 2015

per conto dellacasa editrice le lettere

dalla tipografia abcsesto fiorentino - firenze